Giovanna Parimbelli La scatola magica, offrendo al bambino la possibilità di immergersi nel suo mondo interiore, permette di osservare l’altro e farlo proprio attraverso l’imitazione consentendo anche il conflitto, come esperienza di arricchimento. Non serve spiegare come svolgerla, né esiste un modo universale per farlo, sarà l’educatore stesso che, in momenti diversi della giornata, utilizzerà in assoluta autonomia la sua scatola personale che ogni volta gli permetterà di essere unico, scegliendo di estrarre e narrare ciò che in quel momento può condividere in modo autentico. L’autrice, lavorando da oltre vent’anni con minori da 0 a 6 anni e non solo, in ambito educativo prima e psicologico poi, ha allargato l’utilizzo della scatola magica anche alla sfera psicopedagogica perché è la magia, che pian piano si genera, a portare i bambini ad avvicinarsi e prendere posto per restare in attesa di ciò che uscirà dalla scatola dando il via al processo di relazione. Non si tratta quindi della semplice estrazione di un oggetto e di qualche canzone cantata, ma del contenuto che veicola significati più ampi e profondi sviluppando il pensiero magico del bambino, poiché ogni cosa all’interno della scatola magica è per lui viva e animata da sentimenti. Così la macchinina sarà arrabbiata o felice e il maialino spaventato o triste, progressivamente i bambini comprendono azioni e prevedono reazioni agli oggetti in un’ottica di sviluppo di pensiero. Si potrà allora affrontare con loro una moltitudine di argomenti quali il lutto, l’identità di genere, l’intelligenza, il bilinguismo e tutto ciò che il bambino riuscirà ad esprimere. La magia scaturita della scatola magica, intesa come il semplice piacere di assistere ad una sorta di spettacolo o un libro narrato con trame sempre diverse, si può difficilmente raccontare a parole. Bisogna usarla.
LA SCATOLA MAGICA Uno strumento per facilitare le relazioni con il bambino
Giovanna Parimbelli, mamma di Giulia e Filippo, psicologa clinica, psicoterapeuta sistemica in formazione, laureata in scienze dell’educazione con indirizzo infanzia, è operatrice di pet therapy e praticien secondo il pensiero di Arno Stern nel gioco del tracciare. Coordina l’asilo nido “La stellina” di ispirazione montessoriana ed è consulente formatore in diversi servizi educativi all’infanzia. Dal 2005 ha iniziato ad utilizzare e approfondire la scatola magica fino a farne uno strumento quotidiano di lavoro.
In copertina disegno di Fabio Magnasciutti In copertina disegno di Fabio Magnasciutti
ISBN 978-88-6153-857-3
Euro 12,00 (I.i.)(I.i.) Euro 12,00
edizioni la meridiana edizioni la meridiana p pa ar tr et en nz ze e
Giovanna Parimbelli
LA SCATOLA MAGICA Uno strumento per facilitare le relazioni con il bambino Prefazione di Evelina Scaglia
Indice
Prefazione di Evelina Scaglia.............................. 9 Premessa........................................................... 11 Incontri inaspettati........................................... 17 Scatola magica e permanenza dell’oggetto...... 19 Scatola magica ed apprendimento sociale: imitazione......................................................... 23 Scatola magica e identità.................................. 27 Scatola magica e identità di genere.................. 29 Scatola magica: linguaggio e relazione............. 31 Scatola magica ed immaginazione, creatività ed emozione...................................................... 33 Scatola magica e pensiero................................ 37 Scatola magica e pensiero magico.................... 39 Scatola magica e intelligenza............................ 41 Scatola magica e bilinguismo........................... 43 Scatola magica e lutto....................................... 45 Qualche consiglio pratico e narrazioni personali in ambito educativo.......................................... 49 Scatola magica e interventi psicologici/psicoterapeutici............................. 53 Conclusioni....................................................... 57 Bibliografia....................................................... 59
Prefazione
La scatola magica. Uno strumento per facilitare le relazioni con il bambino è il titolo con il quale ha preso avvio quest’opera, che racchiude in sé – nelle esperienze illustrate, così come nelle riflessioni psico-pedagogiche suscitate – una serie di interrogativi di fondo, che richiamano innanzitutto l’insondabilità e l’insostituibilità della relazione educativa, frutto originale e irripetibile dell’esercizio esclusivamente umano dell’intenzionalità e del lógos e primo terreno di formazione della persona umana. Da qui deriva il riconoscimento del ruolo pedagogico dell’experientia, come prima “maestra” di ogni bambina e ogni bambino, in quanto fonte di innumerevoli occasioni di sviluppo, sperimentazione ed implementazione di una vita che si “fa”, giorno dopo giorno, attraverso i cinque sensi, i movimenti, le pulsioni, le emozioni, i sentimenti. Si tratta di una processualità che avviene in ogni uomo, da quando esiste l’umanità, come evidenzia la stratificazione plurimillenaria del sentire, del pensare e dell’agire presente nella genealogia dei processi di educazione, formazione e istruzione, rivissuta da ciascuno di noi in prima persona secondo una propria morfologia1. Vi è un passaggio, a suggello di questa interpretazione, in cui Giovanna Parimbelli afferma che “la scatola magica è qualcosa di molto personale”. La 1. Fra gli altri, si vedano: Bertagna, 2010, pp. 52-94; Potestio, 2020, pp. 4-20.
sua funzione non è, infatti, quella di uno strumento da impiegare per un determinato uso, bensì di un agente “facilitatore” di relazioni educative che hanno un ben precisato fine, coinvolgono soggetti riconosciuti nella propria natura (empirica e meta-empirica) e si consolidano grazie ad una metodologia fondata sull’“osservare” come esercizio sistematico di uno sguardo sul bambino/con il bambino, grazie al quale poter avviare un discorso pedagogico. È solo sullo sfondo tracciato dall’integralità delle dimensioni teleologiche, antropologiche e metodologiche implicate in ogni rapporto educativo, in sé unico e irripetibile, che è possibile ricondurre ad un senso unitario quella costellazione di significati e significanti intersecati dalla scatola magica – lo sviluppo, l’imitazione, l’identità, il linguaggio, la relazione, l’immaginazione, la creatività, l’emozione, il pensiero, l’intelligenza, il bilinguismo, ma anche il lutto – che la rendono un dispositivo di valorizzazione pedagogica dei gesti, delle espressioni, delle voci di ciascuna bambina e di ciascun bambino fin dalla prima infanzia. Lungo questo crinale, la pratica della scatola magica si inserisce all’interno di quel più ampio filone di pensiero pedagogico che – fin dall’antichità con le intuizioni di Platone, Quintiliano, Girolamo, per giungere alle novità dell’Umanesimo italiano ed europeo, poi riprese da Comenio e da Locke fino ad aprire con Rousseau le porte alla contemporaneità – ha riconosciuto l’esistenza di uno stretto legame fra lo sviluppo della sensorialità e la ricerca di un metodo naturale, grazie all’introduzione graduale di materiali e strumenti didattici per favorire processi educativi e di formazione personale, in cui le sensazioni venissero riconosciute come primi motivi dell’azione umana, in vista della promozione di un’educazione secundum naturam2. Piace richiamare, a tal proposito, come questa 2. Mi permetto di rimandare al percorso storico-pedagogico tracciato nel mio lavoro: La scoperta della prima infanzia. Per una storia della pedagogia 0-3, 2020.
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affermazione, che ha costituito uno dei perni della “rivoluzione copernicana” avviata con l’educazione nuova a inizio Novecento, nasconda in sé la duplice natura, personale e sociale, di ogni relazione educativa, come ben rimarca Maria Montessori ne Il segreto dell’infanzia (1935):
cioè nella complessa e meravigliosa “arte del vivere”5. Evelina Scaglia ricercatrice in Storia della pedagogia, Università degli Studi di Bergamo
“il bambino per vedere, per udire, cioè raccogliere dall’ambiente gli elementi necessari alla prima sua costruzione mentale, ha bisogno di impossessarsene. Ora quando deve muoversi in modo costruttivo, usando le sue mani in un lavoro, ha pure bisogno di cose esterne da maneggiare, cioè ha bisogno che nell’ambiente esistano motivi di attività”3.
La scatola magica rappresenta una di queste “cose esterne” in grado di accompagnare, cioè di educare, ma anche di far uscire, cioè educere, il potenziale di crescita insito in ogni piccina e in ogni piccino, sulla strada della formazione della sua personalità. Del resto, come già proposto da Fröbel nel progetto pedagogico del Kindergarten, il ricorso ad una molteplicità di mediatori didattici, iconici, linguistici e musicali – tutti presenti nella scatola magica di Giovanna Parimbelli – è finalizzato ad offrire occasioni educative in grado di mettere, piccoli e piccolissimi, nelle migliori condizioni per esprimere il proprio “impulso vitale”, guidandoli via via nel passaggio dall’osservazione reale della “cosa” all’“immagine”, dall’“immagine” al “simbolo” e da quest’ultimo alla comprensione dell’essere individuale della cosa all’interno di una più ampia realtà unitaria4. Ancora una volta, l’osservazione risulta essere lo strumento “principe” nelle mani di ogni buon educatore, per identificare le modalità di relazione educativa più confacenti ad introdurre bambine e bambini nella vita reale, 3. Montessori, 2007, p. 110. 4. Grazzini, Gasparini, 1999, pp. 1027-1029.
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5. Rousseau, Emilio, o dell’educazione, 2016, p. 80.
Premessa
Il sistema educativo è continuamente coinvolto in processi di cambiamento, trasformazione, ma qualsiasi operazione compiamo volta al cambiamento richiede, spesso inconsapevolmente, il collegamento a concetti e informazioni distribuite altrove. Come educatori e professionisti in ambito psico-educativo occorre essere consapevoli del contesto nel quale agiamo, ma altresì dobbiamo essere disposti ad una presa di coscienza ed ancor più di innovazione fornite dalle continue transazioni. Non è possibile considerare l’educazione prescindendo dai cambiamenti intrinsechi nei singoli soggetti e di conseguenza della società, di cui sono attori. Cambiamenti che prevedono un passaggio da uno stato a un altro, di durata variabile e che implicano una ridefinizione più o meno radicale del sistema abituale di significati entro cui l’individuo si riconosce e apprende, scambiando attività, relazioni e aspettative di ruolo con altri1. L’offerta educativa è a mio parere valida solo se rischiosa, intendendo con questo la necessità di uscire dal proprio perimetro di conoscenze. Parlando in termini Vygotskijani diremmo che è proprio qui, nell’avventurarsi nella zona di svi1. Beatrice, Ligorio, Pontecorvo, 2010, p. 51.
luppo prossimale in cui è chiamato ad incontrare ed esercitare competenze che non ha, che il bambino si espone al rischio per nuovi apprendimenti. Lo stesso deve accadere all’educatore, in questa zona di sviluppo prossimale anche lui deve esporsi. Educare significa essere disposti ad uscire da un contesto sicuro, dalla propria comfort zone, significa essere disposti ad esplorare nuovi contesti e nuovi approcci facendoli propri. Ovviamente queste incertezze devono essere sostenibili e questo è possibile se vi è un costante desiderio di confronto conoscitivo, un costante riconosciuto bisogno di formazione che permette ad ogni educatore il riconoscimento della propria titolarità. Le contraddizioni insite nel cambiamento generano consapevolezza, sono propulsive per la trasformazione, generano stupore che si aggiunge alla visione classica che deve rimanere con forza il punto di partenza. Non serve demolire ma trasformare, arricchire, serve, credo, spostare per aggiungere nuovi punti di vista possibili anche se apparentemente improbabili. Il cambiamento visto nell’ottica di una transizione ecologica, uno spostamento di ruolo e/o di ambiente che possano offrire informazioni e riflessioni sulla percezione di sé nella nuova esperienza. Queste transizioni ecologiche hanno maggiore probabilità di innescare cambiamenti positivi, se i processi di interscambio tra le diverse situazioni ambientali sono congruenti per quanto concerne le mete, garantiscono sostegni, incrementano relazioni di fiducia, propongono un equilibrio di potere che si sposta in favore dell’autonomia della persona che sta crescendo. Educatori e bambini/ragazzi trascorrono nei contesti educativi un tempo lungo, nel corso del quale i compiti di sviluppo cambiano, e quindi si modificano anche i loro obiettivi motivazionali e le loro aspettative di riconoscimento sociale. In questa prospettiva diventa allora importante che gli educatori verifiLA SCATOLA MAGICA
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chino la corrispondenza di significati con i bambini e le loro famiglie sui modi di interpretare il rapporto tra compiti di sviluppo, compito di apprendimento e transizioni scolastiche2. L’apprendimento, quindi, non è più un fatto individuale né tantomeno limitato all’interazione, piuttosto l’apprendimento è un processo radicato nelle interazioni tra le persone che formano gruppi allargarti, comunità che condividono valori e obiettivi che creano contesti interagendo a più livelli3. L’insegnamento è, invece, un processo finalizzato alla trasmissione accurata della conoscenza da parte dell’esperto verso il non esperto: è un’attività, prevalentemente individuale e unidirezionale, in cui gli aspetti relazionali hanno una funzione meramente strumentale, in quanto funzionali ad assicurare un clima positivo per un’esperienza vissuta sostanzialmente in una solitudine cognitiva, ben lontano dall’idea di una comunità di apprendimento, i cui membri operano insieme per supportarsi reciprocamente nella realizzazione delle attività. È la messa in crisi del proprio sapere e la necessità di trovare un accordo con altri che produce la conoscenza, e la conoscenza è profondamente situata nei contesti in cui viene prodotta. Il contesto educativo diviene quindi il luogo dove non solo impariamo a scoprire chi siamo, ma anche chi potremmo essere, è il luogo dove veniamo continuamente proiettati nel futuro e confrontati con chi siamo ora, con le nostre potenzialità, e dove costruiamo i nostri sé possibili. Questa visione del sistema educativo prevede inevitabilmente il riconoscere al bambino una funzione attiva, il bambino è agente di senso. L’agentività è la facoltà di far accadere le cose, di intervenire sulla realtà. L’esercizio di una agency (capacità di attribuzione, costruzione, cambiamento di significato) comporta che la persona 2. Ivi, p. 55. 3. Ivi, p. 63.
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sia in grado innanzitutto di valutarsi e valutare i diversi contesti, perciò non può essere qualcosa che viene dall’esterno, ma deve accompagnarsi con incremento/costruzione di capacità autovalutative. L’esercizio della titolarità del pensiero consiste nel fatto che a partire dal bambino piccolo fino allo studente, abbia a disposizione ogni possibilità per poter autogovernare il proprio apprendimento, per poter costruire gli assetti mentali. Concetto quindi di studente come soggetto di apprendimento e non come oggetto di insegnamento4. Il contesto educativo deve quindi favorire la crescita professionale e personale di chi vive la scuola, serve un cambiamento che non è un semplice riorganizzare ma si tratta di cambiamenti sociali rapidi e continui che chiedono capacità di adattamento costanti: attesi imprevisti. L’autonomia delle istituzioni scolastiche non costituisce un valore in sé, ma è funzionale alla promozione dell’autonomia delle responsabilità del soggetto rispetto alla propria formazione personale5. L’istituzione scolastica, sia il nido o l’università, è quindi chiamata a promuovere l’autonomia personale del soggetto conferendo ad esso una progressiva responsabilità nella costruzione del proprio processo formativo6. Un luogo che pone al centro il compito di rafforzare le capacità di scelta, di decisione dei singoli ed offrire opportunità di espressione e di esercizio delle scelte fin dall’inizio del percorso formativo, sostenere quindi un pensiero critico e riflessivo, da sempre una finalità fondamentale per i processi educativi7. Tutti diventano attori: studente-insegnanti, famiglie-società-comunità, non è più una scuola nozionistica, o meglio non dovrebbe più esser4. Bertini, Braibanti, Gagliardi, 2006, p. 11. 5. Ivi, p. 12. 6. Ivi, p. 14. 7. Ivi, p. 21.
lo, ma un contesto nel quale anche lo studente è agente individuale. I cambiamenti politici e sociali presenti in tutti gli ambiti della vita moderna, fanno capire che non è possibile né auspicabile presentare ai bambini/ragazzi una visione statica rassicurante del mondo. Il programma si concentra dunque, su una gamma di competenze che permetteranno ai futuri adulti del XXI secolo di essere flessibili, pronti a cambiare, di sapersi confrontare con le opportunità e le sfide di una società in continuo cambiamento8. Lo sviluppo personale, sociale è un processo lungo l’intero arco di vita di apprendimento, di costruzioni di senso e di realizzazione di sé, nella relazione con gli altri e con la società in cui viviamo9. In questo mio viaggio tra formazione continua, incontri inaspettati e teorie scientifiche è stata indispensabile una personale riflessione sul mio lavoro che avviene in uno specifico contesto educativo, l’asilo nido. La nuova visione dell’infanzia che si è andata definendo nell’ultima parte del XIX secolo, insieme alla grande fiducia nella forza dell’educazione, ha dato vita a diverse esperienze all’interno di quel movimento noto come “Scuola Nuova”10. Nel saggio di Ellen Key, Il secolo del fanciulli, la scrittrice svedese esprime la convinzione che si possa rendere migliore l’umanità ponendo l’infanzia al centro della vita pubblica e privata11. In questo periodo Tolstoj, nel suo libro Quale scuola?, fa una dissertazione interessante circa la differenza tra l’educazione vista come azione coercitiva unilaterale, esercitata da un individuo su un altro individuo, e la formazione culturale, che invece implica un rapporto libero tra le persone; questo rapporto si basa sull’esigenza di acquisire
delle conoscenze nuove da una parte, e di comunicare le conoscenze già acquisite dall’altra12. Era già molto evidente la differenza tra formare ed educare intendendo in tal caso insegnare, dove quest’ultimo si sente in diritto di esercitare un sapere. Viene dunque messa in discussione l’idea di un’educazione concepita per plasmare un’altra persona a sua immagine, tipico della scuola tradizionale. In Europa ma anche oltre oceano, i forti cambiamenti sociali spingono ad aprire nuovi contesti educativi. In Germania il movimento scuola nuova si sviluppa su due assi: da un lato, Geheeb e Lietz organizzarono le loro case di educazione in campagna, dall’altra gli studenti tedeschi fuori dalle organizzazioni scolastiche che organizzarono un movimento di opposizione alla cultura tradizionale, al mondo degli adulti. In Inghilterra, prima Cecil Reddie con la scuola di Abbotsholme nel 1889 da lui nominata New School, successivamente John Haden Badley con la scuola di Bedales, sia pur differenti tra loro, danno un significativo impulso al movimento delle scuole nuove in tutta la Gran Bretagna13. In Spagna il primo tentativo di scuola nuova del 1889 è ad opera dell’educatore don Andres Manjon, in un contesto sociale molto particolare rispetto al resto dell’Europa, perché la Spagna conosce proprio in quei decenni uno dei periodi più agitati della sua storia, cambiamenti politici, rivoluzioni sanguinose e violenti movimenti sociali. In Svizzera, intorno all’istituto Jean Jacques Rousseau, nel cui ambito operano alcuni tra il maggiori esponenti della pedagogia attiva come Claparède, Bovet, Ferriere e Piaget14, si aprono varie scuole ispirate alla centralità del bambino, e successivamente Pestalozzi attraverso il mutuo insegnamento diede un grande contributo alla riorganizzazione dell’educazione popolare.
8. Ivi, p. 48. 9. Ivi, p. 51. 10. Chiosso, 2012, p. 60. 11. Ivi, p. 45.
12. Lanfranchi, Prellezo, 2011, p. 45. 13. Chiosso, op. cit., p. 49. 14. Ivi, p. 61.
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Oltreoceano Dewey aprì la sua University laboratory School che rappresenta un’esperienza alla base del movimento scuola nuova15. Per quanto riguarda i movimenti in Italia, nel 1907 Maria Montessori inaugura la sua prima casa dei bambini nel quartiere popolare di San Lorenzo a Roma, mentre a Brescia le sorelle Agazzi aprono l’allora scuola materna per bambini in età prescolare16. La grande innovazione è che ovunque l’educazione ribalta le abitudini radicalizzate nella scuola classica, abbandona la ripetizione e la memorizzazione a favore di attività manuali pratiche, attraverso cui il bambino entra in contatto con la realtà, stabilendo così una interazione con l’ambiente sociale e vive esperienze di vita di stile familiare in un contesto comunitario. La scuola non è più una solitaria isola del futuro del mondo che trasmette cultura preconfezionata, ma uno strumento che trasmette cultura e promuove una continua ricostruzione della vita sociale, “una scuola di vita”. Non è più una scuola nella quale i bambini/ragazzi ascoltano passivamente, il cui fulcro non è l’insegnante, il programma e la nozione, ma una scuola nella quale ragazzi innanzitutto vivono e attraverso questo vivere imparano. Molto è cambiato da quell’inizio del Novecento, da quel movimento che era l’educazione nuova vi sono stati tanti cambiamenti sociali, ma ancor più dei ruoli familiari17. La cura sociale del bambino è infatti un fenomeno recente che si collega al nuovo peso assunto dal lavoro femminile fuori da casa, al movimento delle donne, a una diversa configurazione della coppia e dei ruoli parentali. Il nido rappresenta uno dei principali contesti naturali per lo sviluppo e l’educazione: gli scambi e le interazioni che si costruiscono al suo interno svolgono una funzione primaria rispetto 15. Ivi, p. 54. 16. Ivi, p. 53. 17. Honneger Fresco, 2001, p. 34.
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al processo di socializzazione dei nuovi membri della società. In particolare, un’esperienza educativa extrafamiliare, come quella offerta dal nido, può avere un ruolo centrale nella promozione e nel sostegno dello sviluppo della socialità, in quanto propone un’ecologia molto diversa da quella tipicamente domestica, non fosse altro che per la possibilità che il bambino ha di interagire quotidianamente con un certo numero di coetanei, oltre che con alcuni adulti. I confini tra ciò che tradizionalmente veniva definito rispettivamente come socializzazione primaria (deputata alla famiglia) e socializzazione secondaria (deputata ad altre agenzie) si vanno sempre più sfumando. Ai bambini che frequentano regolarmente il nido, infatti, viene offerta l’opportunità di sperimentare contemporaneamente diverse forme di socialità, adulte e infantili, che associata all’organizzazione spazio-temporale e relazionale del “contesto” nido favorisce e contribuisce allo sviluppo della socialità infantile. È necessario, in primo luogo, che una persona del nido sia disposta a fare da stabile punto di riferimento sia per la famiglia che per il bambino. Il bambino si costruisce da sé ma non nel vuoto: il tramite indispensabile per la formazione della base sicura è la relazione con il genitore in primis ma anche con l’educatore al nido che nell’ambientamento pone le primissime e fondamentali pietre. Una delle funzioni centrali dell’educazione al nido è legata alla capacità di “creare le condizioni per” ovvero di costruire un contesto fisico e socio relazionale al cui interno i bambini siano liberi di interagire tra di loro con una certa autonomia. In questa modalità si riconosce ciò che Elinor Goldschmied ha definito come l’“approccio della persona chiave”, e cioè tutte quelle azioni che permettono ad ogni bambino di stabilire un collegamento forte tra casa e nido18. 18. Elfer, Goldschmied, Selleck, 1996.
In tal senso è importante che gli adulti sappiano leggere, valorizzare e rispettare i momenti di pausa e di silenzio, senza interpretarli necessariamente come situazioni di “vuoto” e senza cercare a tutti i costi di “riempirli” con un intervento piuttosto che con un altro19. Una programmazione quindi pensata e condivisa ma al tempo stesso flessibile e continuamente ri-programmabile. È evidente che le modalità con cui gli individui gestiscono questi interstizi (di attesa e/o di transizione) influiscono notevolmente sulla possibilità che i bambini costruiscano complesse situazioni interelazionali e che le gestiscano in maniera autonoma rispetto al mondo degli adulti20. Non basta però “metter insieme” un gruppo di bambini e alcuni educatori per garantirne la qualità, occorrono caratteristiche della struttura, scelte pedagogiche e una contaminazione (con accezione positiva) di vari stili educativi, nonché la relazione con le famiglie21. Per Dewey l’educatore è una guida nei processi di scoperta del fanciullo e personalizza il suo insegnamento a seconda degli interessi, dei bisogni del bambino, non impone dall’alto. Il compito dell’educatore, anche in prospettiva deweyana, è molto delicato, è un attento conoscitore della psicologia del bambino ed un osservatore della realtà sociale, in grado di promuovere lo sviluppo individuale. Come emerge dal pensiero di Dewey il bambino non è un soggetto in crescita inteso come soggetto, qui manca qualcosa rispetto ad un adulto, ma, al contrario, la sua immaturità è fondamentale come potere di crescita, cioè la possibilità di imparare dall’esperienza. Questo potere appartiene sia ai bambini che agli adulti. È importante tener presente che il significato del bambino è altresì legato alle culture di appartenenza alla storia familiare, ai conflitti irrisolti dei genitori, alle interazioni attuali, alla 19. Beatrice, Ligorio, Pontecorvo, op. cit., p. 134. 20. Ivi, p. 135. 21. Ivi, p. 122.
storia personale del bambino e alle caratteristiche del bambino. Quando nel 2005 ho aperto l’asilo nido “La stellina” avevo ben chiaro quale avrebbe dovuto essere la proposta educativa del mio servizio. Una proposta finalizzata alla creazione di un contesto che sostenesse il processo di strutturazione dell’identità e la promozione dello sviluppo globale del bambino, valorizzando le sollecitazioni e le esperienze messe in atto dalla famiglia e facendo attenzione alla qualità delle relazioni e all’accoglienza. La finalità principale del progetto educativo era quella di rimettere al centro il bambino e la sua autonomia. Per questo era fondamentale avere a me chiaro: • il concetto di bambino: un bambino attivo, non dipendente, ma predisposto alla relazione, desideroso di comunicare con bambini e adulti. Un bambino ricercatore, mosso dalla curiosità e dall’esplorazione, costruttore delle sue conoscenze; • il concetto di adulto: l’adulto deve essere accogliente, sostiene e dà sicurezza al bambino, non si sovrappone o sostituisce. Un adulto che sa osservare e coglie quando si deve mettere da parte, per permettere al bambino di ricercare e vivere il suo spazio, di fare esperienze e costruire la propria autonomia. L’educatore, quindi, si dovrà porre ed operare nei confronti del bambino e dei suoi genitori come una figura di riferimento per garantire la stabilità, la continuità e l’individualizzazione delle cure del bambino, l’accoglienza e la cura delle relazioni tra adulti nel nido. Dovrà, inoltre, individuare e mettere in atto strategie relazionali, predisporre i contesti e le esperienze in cui le diverse potenzialità del bambino si uniscono per la costruzione dell’identità. Si occuperà dell’organizzazione di un contesto (fisico e relazione), che possa essere per il bambino fonte di benesseLA SCATOLA MAGICA
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re e sicurezza affettiva, permettendo lo sviluppo dell’autonomia, della voglia di esplorare e della capacità di scegliere. Ne consegue un’idea di adulto che mette al centro del proprio operare l’osservazione come strumento base della sua professionalità. Egli, in particolare, saprà: • osservare per conoscere, capire il significato dei comportamenti del bambino e quindi progettare (pianificare, verificare, modificare); • osservare per predisporre un ambiente adeguato, facendo attenzione a spazi, arredi, materiali, dedicando tempo e operando per la “cura” degli stessi, cercando di far cogliere ai bambini ed ai genitori il “gusto estetico”, il piacere di vivere in spazi gradevoli; • non è direttivo, non “fa fare” cose al bambino, ma gli sta vicino, lo accoglie, lo sostiene nella manifestazione delle sue potenzialità e dei suoi bisogni, in modo che diventi consapevole delle proprie competenze; • è attento alla cura delle relazioni con la famiglia, per dare senso al proprio lavoro educativo e costruire insieme una linea educativa che corrisponda ai reali bisogni del bambino, in modo da evitare conflitti e confusioni nello stesso, creando cioè una continuità tra nido e famiglia. Ho pensato, quindi, ad un nido ricco di contaminazioni, non intendendo con questo qualcosa di negativo, che inquini e sporchi, ma qualcosa che arricchisca e apra a nuove possibilità di esperienza. Il mio più grande desiderio è quello di predisporre un ambiente adatto, senza influenzare, così che il gioco sia facile e possibile, curando ogni minimo particolare, lasciando che qualche cosa accada senza pretendere nulla. Al tempo stesso, sono consapevole che nulla vada improvvisato e che sia fondamentale una continua riflessione sul nostro operare in un momen16
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to della vita così delicato e fondamentale per la costruzione del sé come la fascia 0-3 anni, confrontando tra loro pensieri pedagogici differenti ed adottando ciò che ci appartiene di più, ciò che si avvicina alla nostra idea di bambino. All’interno dei contesti educativi occorre promuovere sviluppo, e questo a mio parere richiede uno sforzo di innovazione negli strumenti, nei progetti, nella teoria e il futuro richiede creatività, fantasia ed innovazione. È in questa ottica di innovazione e creatività che a mio parere la scatola magica può trovare il suo meritato riconoscimento di possibile strumento educativo.
Incontri inaspettati
Ogni esperienza influenza nel bene e nel male le nostre abitudini, nel decidere le qualità delle esperienze che seguiranno, e così come un’esperienza è in grado di suscitare curiosità, rafforzare l’iniziativa, far nascere desideri propositivi, può essere una forza propulsiva, Qualsiasi esperienza fatta, subita, modifica il soggetto che agisce e crea nuove attitudini emotive ed intellettuali, di sensibilità fondamentali e di modalità di risposte alle svariate condizioni in cui ci si imbatte nella vita (Dewey), per questo penso che la scatola magica possa divenire un’esperienza qualitativamente positiva in ambito educativo. Il mio incontro con la scatola magica è avvenuto, come spesso mi è successo nella vita, un po’ per caso ma all’interno di un continuo desiderio di sapere. Tra questi fortuiti incontri c’è stato quello con Gigi, educatore di rara e profonda sensibilità, delicatezza e passione verso il mondo dell’infanzia ma con un grande rispetto dei bambini e della loro unicità, ma forse nemmeno lui era del tutto consapevole dell’enorme potenzialità di uno strumento così apparentemente semplice. Una scatola di cartone, di plastica, la mia di legno al cui interno riporre infiniti oggetti ai quali ogni educatore o possessore di scatola magica, dà un personale significato in una continua relazione.
Ho fatto mia questa proposta e nel tempo ho sentito l’esigenza di comprendere potenzialità e possibili risvolti psicopedagogici. Uno strumento che mi ha permesso di narrare mille altri mondi possibili. Al nido “La stellina” ogni educatore ha la sua personale scatola che in momenti diversi della giornata utilizza in assoluta autonomia di modi e tempi. Si siede a terra senza chiedere di seguirlo, semplicemente inizia ad estratte oggetti e narra storie, canta o semplicemente muove oggetti che poi ripone delicatamente estraendone di nuovi. È la magia che pian piano si genera a portare i bambini ad avvicinarsi e prendere posto per restare in attesa di ciò che ne uscirà. La scatola magica permette all’educatore in primis di portare il proprio sé, non esiste un modo per svolgerla, non vi è uno schema se non il porsi generatori di uno stupore che coinvolga e renda partecipi, fosse solo anche per un singolo bambino. Permette ad ogni educatore di essere diverso ogni giorno, di essere unico ogni volta che la apre, perché anch’egli possa scegliere di estrarre e narrare ciò che in quel momento può condividere in modo autentico. Mi piace pensare che sia ogni volta una prima volta.
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Scatola magica e permanenza dell’oggetto22
Non si può parlare di apprendimento senza soffermarsi su Piaget: la condizione fondamentale per l’apprendimento è il contesto che consente al bambino di essere presente, autonomo e possessore di titolarità. Secondo la visione di Piaget l’epistemologia riguarda il problema della relazione fra soggetto agente o pensante e gli oggetti della sua esperienza. Il viaggio di Piaget nel campo della psicologia evolutiva ci ha introdotto alla parte genetica dell’espressione di epistemologia; genetico non si riferisce in quanto ad innato. Studiando i cambiamenti evolutivi del processo di conoscenza e nell’organizzazione della conoscenza, egli fu un innovatore formulando ipotesi empiriche e ricercandone le verifiche. La soluzione semplice ma rivoluzionaria che diede una spiegazione al problema dell’epistemologia, consistette nel concepire la conoscenza come un processo piuttosto che uno stato, un evento o una relazione tra conoscente e conosciuto. In un certo senso, una persona costruisce la propria 22. Piaget, 1966.
conoscenza in base a quanto prende parte attiva al processo stesso di conoscenza, e contribuisce anche a quale forma tale conoscenza prenderà. La conoscenza che il bambino ha del mondo cambia con lo sviluppo del suo sistema con il conoscitivo, e così come cambia il conoscente di pari passo cambia il conosciuto. Secondo Piaget lo sviluppo cambia con la natura delle strutture mentali e le modifica di conseguenza. Le strutture cognitive di un infante sono da lui chiamate schemi, ed uno schema è un pattern organizzato di comportamento, esso riflette un modo particolare di interagire con l’ambiente. Piaget chiama “schema” ciò che di un atto è ripetibile e generalizzabile Nel suo pensiero vi è l’idea di sviluppo che si muove intorno a concetti quali equilibrazione tra apprendimento e assimilazione. L’assimilazione impegna i propri schemi per una lettura della realtà che incontra i suoi schemi anche se non riescono a spiegare interamente tale realtà, in altre parole l’assimilazione avviene finché tra realtà e schemi personali non vi è troppa discordanza. In tal caso interviene l’accomodamento, che richiede invece di modificare lo schema. L’apprendimento è quindi il prodotto dell’equilibrazione tra assimilazione ed accomodamento. Il bambino si sviluppa perciò assimilando e accomodando la realtà. Questo bilanciamento è la forza trainante e il bambino così costruisce continuamente il proprio mondo e le proprie strutture. Il bambino per Piaget è attivo costruttore della propria realtà intellettiva, del proprio mondo. Piaget distingue 4 fasi dello sviluppo del bambino: 1) periodo senso motorio dalla nascita ai 24 mesi; 2) periodo preparatorio tra 24 e 7 anni; 3) periodo operatorio concreto tra 8 e 11 anni; 4) periodo operatorio formale dagli 11 anni in avanti. LA SCATOLA MAGICA
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Nella sua teoria stadiale egli afferma: 1. uno stadio è una totalità strutturata in stato di equilibrio, gli schemi o operazioni di ciascuno stadio infatti, sono interconnessi e formano una totalità organizzata. Ogni stadio ha una struttura diversa che dà luogo a un diverso tipo di interazione tra bambino e ambiente da cui discende una visione del mondo fondamentalmente diversa; 2. ciascuno stadio deriva dallo stadio precedente, lo incorpora e lo trasforma e prepara allo stadio successivo, pertanto, una volta che il bambino raggiunge un nuovo stadio, egli non ha più a disposizione lo stadio precedente. Nonostante rimangano delle abilità precedenti cambia la loro posizione di ruolo nell’organizzazione; 3. gli stadi seguono una sequenza invariante, devono procedere in un determinato ordine e non si può saltare nessuno stadio; 4. gli stadi sono universali, ciascuno stadio include una preparazione ad essere e un essere vero e proprio, c’è un periodo di preparazione iniziale e un periodo di raggiungimento in ogni stadio. Il cambiamento entro uno stadio così come quello da uno stadio all’altro è piuttosto graduale. Il bambino passa quindi da una fase all’altra per un potenziamento, maturazione delle capacità del sistema nervoso centrale. Il passaggio non viene percepito come un accrescimento ma al contrario come una perdita di capacità di codifica della realtà. In altre parole è come se il bambino perdesse degli strumenti precedenti ma non ha ancora quelli nuovi così chiari e pervasivi. In questa riorganizzazione il bambino manifesta insicurezza, instabilità e regressione. Secondo Piaget il compito delle strutture educative (adulti, insegnanti) nella relazione educativa non è tanto quella di insegnare ai bambini, cioè di pre20
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disporre per i bambini piani di accrescimento delle conoscenze attraverso la somministrazione di apprendimento, ma piuttosto è quella di cogliere la prontezza delle strutture cognitive ad entrare in rapporto con il materiale educativo. L’insegnante sarà una persona che presterà molta attenzione al bambino, leggerà il suo livello di sviluppo e proporrà al bambino del materiale sufficientemente ricco e articolato, coerente con le capacità del bambino di assimilare e di accomodare tra schemi. Il bambino si consoliderà e si predisporrà per crescere. L’insegnante non deve accelerare né dovrà porre compiti se il bambino non è cognitivamente pronto. Ma qual è il motore dello sviluppo? Che relazione c’è tra sviluppo e contesto? L’ambiente per Piaget è quello di facilitare e sostenere i passaggi di assimilazione e accomodamento, ma il cuore della spinta dello sviluppo è la condizione interna individuale biologica. L’ambiente quindi per Piaget è indispensabile per lo sviluppo ma ha un significato secondario. Quindi la sua visione è di tipo individualistico, legato a meccanismi endogeni di sviluppo biologico in interattività con l’ambiente, e per ambiente intende oggetti/cose/persone visti però come oggetti. Soffermiamoci ora sul primo stadio che ci riguarda direttamente in ambito di nido e nell’uso della scatola magica. In questo periodo il bambino comprende il mondo in termini di azioni manifeste che esercita su di esso. Inizialmente egli modificherà i propri riflessi, tentando così di ripeterle prima su se stesso e successivamente sull’ambiente. In questo modo il bambino giunge a vedere un oggetto e tenta di raggiungerlo e passa attraverso il suo repertorio di cose che si possono fare con l’oggetto. In questa fase di sviluppo le strutture cognitive del bambino sono sempre più integrate ed organizzate, e già verso gli 8/12 mesi i bambini giungono a combinare i loro schemi in
modo complesso e si può veder sorgere la pianificazione e l’intenzionalità. Tra i 12 e i 18 mesi il bambino agisce come uno scienziato e l’ambiente diventa il suo laboratorio. Inizia così un’esplorazione deliberata caratterizzata da prove ed errori. In questa fase il bambino apprende le proprietà degli oggetti e le loro relazioni in modo attivo; forse il concetto più importante che viene acquisito durante questo periodo è la nozione di oggetto permanente: un oggetto continua ad esistere anche quando non si può vederlo, dirlo e sentirlo. Successive ricerche hanno nel tempo profondamente criticato la rigidità stadiale ma l’enorme spinta allo sviluppo dell’apprendimento e la geniale intuizione di Piaget rispetto la permanenza dell’oggetto rimane valida ancor oggi. È in questa cornice teorica di riferimento piagetiana, che i giochi del cucù, il comparire e scomparire di oggetti nella scatola magica possono sostenere il bambino a fare esperienze di continue partenze e ritorni che potrà generalizzare anche nelle relazioni. Il bambino non è in grado di tenere nella mente un oggetto che non vede o con il quale non ha interagito, perciò ogni volta che scompare qualcosa il bambino vive un’angosciante perdita, un abbandono che trova pace nella ricomparsa dello stesso. La scatola magica quindi può essere intesa come sostegno ad interiorizzare la permanenza non solo oggettuale ma anche e soprattutto delle figure primarie durante le ore di permanenza al nido.
LA SCATOLA MAGICA
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Giovanna Parimbelli La scatola magica, offrendo al bambino la possibilità di immergersi nel suo mondo interiore, permette di osservare l’altro e farlo proprio attraverso l’imitazione consentendo anche il conflitto, come esperienza di arricchimento. Non serve spiegare come svolgerla, né esiste un modo universale per farlo, sarà l’educatore stesso che, in momenti diversi della giornata, utilizzerà in assoluta autonomia la sua scatola personale che ogni volta gli permetterà di essere unico, scegliendo di estrarre e narrare ciò che in quel momento può condividere in modo autentico. L’autrice, lavorando da oltre vent’anni con minori da 0 a 6 anni e non solo, in ambito educativo prima e psicologico poi, ha allargato l’utilizzo della scatola magica anche alla sfera psicopedagogica perché è la magia, che pian piano si genera, a portare i bambini ad avvicinarsi e prendere posto per restare in attesa di ciò che uscirà dalla scatola dando il via al processo di relazione. Non si tratta quindi della semplice estrazione di un oggetto e di qualche canzone cantata, ma del contenuto che veicola significati più ampi e profondi sviluppando il pensiero magico del bambino, poiché ogni cosa all’interno della scatola magica è per lui viva e animata da sentimenti. Così la macchinina sarà arrabbiata o felice e il maialino spaventato o triste, progressivamente i bambini comprendono azioni e prevedono reazioni agli oggetti in un’ottica di sviluppo di pensiero. Si potrà allora affrontare con loro una moltitudine di argomenti quali il lutto, l’identità di genere, l’intelligenza, il bilinguismo e tutto ciò che il bambino riuscirà ad esprimere. La magia scaturita della scatola magica, intesa come il semplice piacere di assistere ad una sorta di spettacolo o un libro narrato con trame sempre diverse, si può difficilmente raccontare a parole. Bisogna usarla.
LA SCATOLA MAGICA Uno strumento per facilitare le relazioni con il bambino
Giovanna Parimbelli, mamma di Giulia e Filippo, psicologa clinica, psicoterapeuta sistemica in formazione, laureata in scienze dell’educazione con indirizzo infanzia, è operatrice di pet therapy e praticien secondo il pensiero di Arno Stern nel gioco del tracciare. Coordina l’asilo nido “La stellina” di ispirazione montessoriana ed è consulente formatore in diversi servizi educativi all’infanzia. Dal 2005 ha iniziato ad utilizzare e approfondire la scatola magica fino a farne uno strumento quotidiano di lavoro.
In copertina disegno di Fabio Magnasciutti In copertina disegno di Fabio Magnasciutti
ISBN 978-88-6153-857-3
Euro 12,00 (I.i.)(I.i.) Euro 12,00
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