Le due potenze
L’atomica e la nonviolenza Prefazione di Daniel Vigne
Con i contributi di: Antonino Drago Giovanni Mazzillo Maria Albanese ed Enzo Sanfilippo Frédéric Vermorel
Prefazione di Daniel Vigne 9
Della Bomba di Lanza del Vasto 15
La Chiesa di fronte al problema della guerra di Lanza del Vasto 31
I Quattro Flagelli (Estratti) di Lanza del Vasto 57
La Bomba e la nonviolenza: l’analisi di Lanza del Vasto di Antonino Drago 65
Linee portanti del Magistero ecclesiale sulla pace emerse successivamente a Lanza del Vasto di Giovanni Mazzillo 101
L’eredità disarmante di Lanza del Vasto di Maria Albanese ed Enzo Sanfilippo 115
Biobibliografia (parziale) di Lanza del Vasto a cura di Frédéric Vermorel 125
Gli autori 129
Prefazione di Daniel Vigne
I testi di Lanza del Vasto che leggerete in questo libro sono stati scritti da lui al tempo della guerra fredda tra Stati Uniti e URSS. La brutale invasione dell’Ucraina da parte della Russia, con lo spettro terrificante di un possibile con flitto nucleare, dà loro un’attualità scottante.
Il primo, intitolato De la Bombe, riguarda evidentemen te l’arma atomica, alla quale si possono associare le armi chimiche e batteriologiche. Questi nuovi mezzi di guerra sono concepiti per sterminare centinaia di migliaia – se non milioni – di civili, uomini, donne, anziani, bambini. Un tale armamento è assolutamente inumano, ad onta della nostra civiltà.
In nome dell’“equilibrio del terrore”, le superpotenze del globo hanno, da mezzo secolo, trascinato il mondo in una logica folle. Nove Paesi detengono oggi il potere di an nientare più volte l’umanità intera e di distruggere ogni vita sulla terra. Che questo ci garantisca sicurezza è un ragionamento aberrante.
Quando la Francia voleva acquistare la Bomba, Lanza del Vasto lanciò un urlo. Non l’“Evviva!” ingenuo del generale de Gaulle davanti allo spettacolo dei primi esperimenti nucleari, ma piuttosto un “Altolà!” profetico, un richiamo alla coscienza. Un tale grido di allarme, Lanza era l’unico a farlo sentire nel 1961. Ma ha attraversato il tempo e gra dualmente ha convinto le menti.
Dal 1968 ad oggi, il Trattato di non proliferazione delle armi nucleari è stato ratificato da 190 paesi e ha portato
molti di loro a rinunciarvi. Dalla fine degli anni Ottanta, il totale delle testate nucleari nel mondo ha cominciato a di minuire, passando da 64.000 a 17.000 oggi. Infine, stipulato nel 2017, il Trattato sulla proibizione delle armi nucleari è già stato firmato da quasi 100 paesi, il cui numero continua ad aumentare. Non è forse, a posteriori, una sorta di vittoria morale del Servitore di pace1?
Eppure, i pochi Stati che fabbricano e perfezionano que ste armi, come la Francia, o che le ospitano sul loro suolo, come l’Italia, fanno orecchie da mercante e rifiutano di fir mare questo trattato. Dobbiamo dunque gridare più forte: no a quella violenza abominevole che è il crimine di massa! No alla sua preparazione, alla sua premeditazione! No a questa minaccia immorale, a questa spesa rovinosa, a questa protezione inefficace...
Perché la Bomba non garantisce la pace: aumentando la paura, aumenta il pericolo. Trasmette, prima ancora di esplodere, un’onda d’urto che soffoca il buon senso e, come dice Lanza, disintegra la logica. Per la sua stessa potenza, acceca le nostre intelligenze. È una sorta di droga statale. Con forza e chiarezza, Lanza del Vasto ci convince: l’uma nità deve rinunciare a questa arma atroce.
Ma si pone una domanda, inevitabile: questa rinuncia, come attuarla concretamente e progressivamente? Sarebbe illusorio immaginare che gli Stati che possiedono centinaia o migliaia di testate nucleari le distruggano unanimamente e in un sol giorno. Come ogni guarigione, lo “svezzamento” da questa dipendenza, da questa ebbrezza di onnipotenza, richiederà tempo. Ciò non deve scoraggiarci dal lottare per il disarmo nucleare, al contrario. Ma dobbiamo farlo con argomentazioni convincenti e tenendo conto delle possibi lità concrete, affinché la nostra protesta sia credibile.
Perché la nonviolenza non consiste solo nel brandire principi morali generali, ma nell’accompagnare i processi,
1 Lo stesso Lanza del Vasto (N.d.T.).
nel contribuire ai cambiamenti, tenendo conto della men talità dell’avversario. Questo è un punto su cui Lanza del Vasto ha spesso insistito: il nemico ha una coscienza. Non è privo di ogni ragione, di ogni buona volontà. La nonviolen za consiste nel fare affidamento sul meglio che c’è in lui. Gli strateghi che oggi si affidano al fuoco nucleare non sono ne cessariamente mostri amorali, ma uomini convinti di essere nel vero. La nonviolenza deve destabilizzare le loro giusti ficazioni cominciando col comprenderle, per mostrarne le incoerenze e la necessità di superarle.
Non è questo il luogo per riflettere sul lavoro paziente che una tale lotta richiede. Ma un simile lavoro, pedagogico e terapeutico, è indispensabile ed era necessario richiamar lo qui. L’umanità deve essere “decontaminata” dalla pseudologica nucleare, affinché gli arsenali di guerra siano gra dualmente svuotati da queste bombe abominevoli. A meno che il fuoco non si accenda all’improvviso, l’orrore si scateni – Dio non voglia –, mettendoci tutti davanti all’evidenza della loro follia.
Il secondo testo riguarda la guerra. Questo problema più ampio, Lanza del Vasto lo affronta da un punto di vista preciso: quello della posizione dei cristiani e della Chiesa di fronte a questo dramma, quello della relazione tra la Croce e le armi.
Bisogna dire che la storia ci mette davanti agli occhi, in questo campo, fatti strani e molto deplorevoli. Nel corso dei secoli la Chiesa, pur nata da un messaggio di nonvio lenza radicale, ha talvolta mantenuto un rapporto ambiguo con la violenza e la guerra.
Dall’adozione del cristianesimo come religione ufficiale da parte dell’Impero Romano, grande è stata la tentazione di porsi sotto la protezione dei potenti, quindi di approvare le loro pratiche omicide. Nel Medioevo si assiste a strane mescolanze: la croce capovolta diventa una spada, la caccia agli eretici accende i roghi... E più tardi, cattolici e prote
stanti si uccidono a vicenda in nome della loro fede.
La dottrina della “guerra giusta”, di cui Lanza del Vasto ricorda l’esistenza e i limiti, tentava di frenare un po’ que sti straripamenti, di arginare questo fiume di odio. Ma era portatrice di una grave ambiguità, perché nel suo nome si continuavano a benedire i cannoni, e i discepoli di Cristo continuavano a massacrarsi. Qualcosa mancava.
Ciò che mancava, spiega Lanza, era la nonviolenza at tiva, proposta e vissuta da Gandhi come forma di azione politica, attuata in modo non solo personale, ma collettivo. Il Vangelo preso sul serio nelle sue conseguenze sociali e pratiche. Leggerete con interesse l’argomentazione dell’au tore, sempre ben formulata e dettata dal buon senso.
Ricordiamo che il suo testo è stato scritto nel 1963, quando la Chiesa cattolica entrava, all’appello di Giovanni XXIII, nella grande avventura del Concilio. Non era l’occa sione per un nuovo orientamento? Lanza ci ha creduto, con tutte le sue forze, e non si è sbagliato!
Quell’anno, durante tutta la Quaresima, digiunò in se greto alle porte di Roma, non mangiando nulla per quaranta giorni. Il papa ed alcuni vescovi erano a conoscenza del suo gesto. Lo scopo non era di fare pubbliche pressioni, ma di supplicare Dio e gli uomini che la posizione della Chiesa di fronte al problema della guerra fosse rivista e riformulata.
Ora, il giovedì santo 11 aprile di quello stesso anno, con sorpresa generale, Giovanni XXIII pubblicava l’enciclica Pacem in terris, la prima della storia su questo argomento, dando risolutamente una spinta nella direzione auspicata... E da sessant’anni tutti i papi che gli sono succeduti non hanno fatto che confermare questo orientamento.
Lo si può facilmente verificare: Paolo VI, Giovanni Pa olo I, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI, oggi Papa Francesco, non hanno sostenuto né incoraggiato alcuna guerra. La parola “nonviolenza”, che era ancora implicita nei testi del Concilio, è ormai presente nella parola ufficiale della Chiesa. I tempi sono cambiati. L’idea stessa di nonviolenza
è diventata, tra i cattolici e per l’insieme dei cristiani, una sorta di evidenza.
È vero che il grande vascello ecclesiastico, sul piano istituzionale, ha lentezze e talvolta ritardi. Alcuni ideologi, forse, sognano ancora una cristianità che dominerebbe il mondo con la forza. Ma questo modello ha fatto il suo tempo: uccidere nel nome di Cristo, versare il sangue nel nome del Crocifisso, è semplicemente un’aberrazione.
“Beati i miti, perché possederanno la terra”. Ci vuole co raggio per far sentire questo messaggio. Dove gli uomini si lacerano e si uccidono, la Chiesa non può avallare discorsi di odio e atti di violenza. La sua missione propria è diffon dere il profumo dell’amore, rendere possibile il miracolo del perdono. Forse per questo sarà incompresa e criticata. Ma non deve cadere nei meccanismi ideologici o naziona listici che fanno nascere le guerre, che le mantengono e le rafforzano!
In molti Paesi i cristiani subiscono oggi situazioni di per secuzione o di discriminazione, senza per questo ricorrere alla violenza. Il discorso aggressivo e vendicativo non è loro. È una codardia, un errore? No, perché Gesù non ha promesso ai suoi discepoli di vincere con la forza e di regna re in questo mondo. Ma la nonviolenza attiva può aiutare questi credenti ad andare oltre, resistendo apertamente al male con il bene. Testimoniando la loro fede in modo più collettivo e audace, senza ricorrere alle armi.
Di fronte alle dittature politiche e religiose che imper versano nel mondo, i seguaci di Cristo devono inventare nuovi modi di lottare, insieme e a mani nude. Questa è la battaglia di Davide contro Golia, che si potrebbe pensare persa, ma di cui lo Spirito ci promette la vittoria.
Questi due testi di Lanza del Vasto sulla bomba e sulla guerra affrontano questioni molto difficili con una “disar mante” saggezza, che risveglia in noi l’energia del bene. Ad un mondo lacerato dalle forze del male portiamo questo
messaggio originale – straordinariamente attuale – di pace, di conciliazione e di riconciliazione. E per questo, iniziamo al nostro livello, dove siamo, con la consapevolezza di par tecipare a un movimento sociale molto più ampio. Lanza del Vasto sta al crocevia dei tempi nuovi ai quali abbiamo la fortuna di partecipare. Che si alzino oggi, sulla sua scia, dei credenti della tempra di Martin Luther King, di Helder Camara, dei monaci di Tibhirine, di Christian de Chergé! E non sia dimenticato l’insegnamento di colui che Gandhi aveva chiamato Shantidas, cioè “Servitore di pace”. L’Associazione degli Amici di Lanza del Vasto, fonda ta dall’autore nel 1970 per proteggere e diffondere la sua opera, lavora a questa missione. La comunità dell’Arca, da lui fondata, e che esiste sotto varie forme in diversi paesi d’Europa e d’America, testimonia concretamente il suo messaggio. Più in generale, la Chiesa e i cristiani, le donne e gli uomini di buona volontà, contribuiscono a irradiarlo. Nonostante i fragori del mondo, non perdiamo coraggio. Scommettiamo insieme sulla “forza della verità” e dell’a more.
A nome dell’Associazione degli Amici di Lanza del Vasto, ringrazio Maria Albanese ed Enzo Sanfilippo, responsabili dell’Arca in Italia, per aver avuto l’iniziativa di pubblicare questo libro. Grazie a Elvira Zaccagnino, direttrice delle edizioni la meridiana, per averla sostenuta con entusiasmo. Grazie ad Antonino Drago, che da tanti anni lavora sul pensiero di Lanza del Vasto, di offrire una luce documentata sul problema della bomba atomi ca in prospettiva storica e nonviolenta. Grazie a Giovanni Mazzillo per aver messo in luce la posizione della Chiesa e l’attuale discorso del Magistero in materia. Infine, saluto con riconoscente amicizia Frédéric Vermorel, che ha tradotto i testi dal francese e ha accompagnato con cura la realizzazione dell’opera.
Il problema della Bomba, ossia la disintegrazione logica
La Fisica ci insegna che la disintegrazione nucleare è un lavoro di reazioni a catena.
Allo stesso modo, il problema atomico provoca delle reazioni a catena che colpiscono l’integrità della ragione e della volontà umana e provoca in seno alle nazioni una malattia mentale che si attacca al nucleo stesso delle facoltà atte a risolverlo.
Ogni elemento della bomba è una meraviglia di logica, di sapere, di sagacia, di previdenza, d’inventività, di abilità costruttiva. Ebbene, il tutto sfocia in una esplosione insen sata e disastrosa.
Similmente, ognuna delle motivazioni che hanno spinto alla sua fabbricazione risulta irresistibile, irrefutabile ognu no degli argomenti che sostengono la sua necessità. Solo la conclusione ne manifesta l’assurdità.
È vano urlare che l’accumulo di questi marchingegni costituisce un pericolo mortale e un crimine stupido se non si riconosce il concatenamento impeccabile di reazioni normali, di ragioni tradizionali, di premure prudenziali che spingono gli uomini verso tale estremità.
Si tratta di una trappola logica, di un inganno del Diavo lo. I più “furbi” vi accorrano tutti per farsi prendere.
È probabilmente imprudente poter opporre solo alle Potenze vicine un armamento di qualità inferiore. Ed è probabilmente maggiormente imprudente che non essere affatto armato.
Ora, non è forse ragionevole tentare di colmare il ritar do, qualora ci si sia lasciato sorpassare?
Ma quelli che avremo raggiunti non vorranno perdere il loro anticipo, e quelli che avremo sorpassati vorranno rag giungerci. Vi è mai cosa più ragionevole?
Vi è mai cosa più ragionevole che pensare: se possedessi l’arma assoluta, il vicino, colpito dal terrore, rifletterebbe, cosicché sarei al riparo da un suo attacco o liberato dalla sua resistenza?
E, di certo, rifletterà! Ma a che cosa, se non ai mezzi di procurarsela anche lui, e per le medesime ragioni?
Ebbene sì, cosa vi è di più ragionevole se non procurarsi da un lato e dall’altro “armi di dissuasione”, come dicono i nostri strateghi politici nel loro linguaggio eccessivamente suadente? Parlano pure di “equilibrio del terrore”, e fonda no là sopra la nostra sicurezza.
Cosicché i nostri precisissimi e assai parchi ragionieri, i nostri finanzieri tanto attenti al guadagno, i nostri tecni ci specializzati nell’ottimizzazione del rendimento, i nostri statisti sempre preoccupati dal possibile dissesto del bilan cio. Nulla di più ragionevole, vero?
A garantirci l’ultima possibilità di pace è “l’equilibrio del terrore”, vero? Ma parlare di equilibrio del terrore è come evocare la rotondità del quadrato o il biancore del nero.
È pur scritto che “il timore è il principio della saggezza”. Certo, se parliamo del timore di sbagliare, ad esempio, o di offendere il prossimo, se parliamo del timor di Dio. Ma il terrore è la radice delle follie più oscure.
Dato che a quest’arma non si può opporre alcuna dife sa se non la paura dell’impiego di un’arma simile, ognuno pensa proteggersi facendosi minaccioso, e più minaccia e più è minacciato.
È un circolo vizioso, un vortice che conduce dritto alla morte.
Ogni potenza che entra nel vortice trascina altri nel la fatale concatenazione, a cominciare da quello che non
vorrebbe mai vedere irrompere nella propria cerchia: il suo peggior nemico. E più aumenta il numero delle nazioni do tate del privilegio di far scoppiare la terra, e più si moltipli cano i rischi.
Ora, se sulla base di una falsa notizia o di un malinte so, qualche popolo vicino, o qualche capo di Stato un po’ nervoso, si convince che lo attaccheremo di sorpresa prima dello scoccare della mezzanotte, non tenterà, forse, di col pirci per primo e di annientarci d’un colpo?
Se i belligeranti resistono alla tentazione del primo mo mento, sapranno resistere a quella dell’ultimo? È mai im possibile che uno dei due che si vede perso usi in un im peto di rabbia disperata la sua suprema risorsa? Possiamo dubitare anche solo un attimo che Hitler, nell’ora in cui, rinchiuso nel suo sotterraneo, si sparava una pallottola nella tempia e si consegnava alle fiamme, si sarebbe privato della cupa gioia di trascinare il mondo intero nella sua caduta?
Tempo addietro, un ministro britannico della Difesa Na zionale dichiarava senza mezzi termini che non vi era di fesa possibile da un attacco nucleare. L’unica certezza che poteva dare alla nazione era che un dispositivo automatico avrebbe immediatamente colpito il nemico in ugual misura. Concludeva questo storico discorso ringraziando la popolazione di prenderlo in così buona parte.
C’era di che! Se dovessi morire polverizzato, non so se tale vendetta postuma a danno di milioni di innocenti mi consolerebbe!
Ancora una volta mi direte che non si tratta di vendetta, ma di protezione: sapendo il nemico di non poter sfuggire alla risposta anche se ci annienta, si guarderà dall’attaccarci cosicché milioni di innocenti saranno al riparo da un lato e dall’altro.
Non ne sono poi così certo. Se la risposta dipende da un delicato meccanismo di attivazione immediata e facile, tale apparecchio deve stare sotto costante sorveglianza di alcu ni tecnici. Mettiamo per ipotesi che il nostro nemico abbia
corrotto uno di questi per tagliare i fili di trasmissione, ec colo certo (a torto o a ragione) che la risposta non verrà e tutta la malizia e l’astuzia del nostro formidabile equipag giamento risulteranno vane e derisorie.
Può pure darsi che lo scoppio avvenga senza malizia, né astuzia, né tradimento, per via di un semplice incidente tec nico. Può pure darsi che un lieve errore nell’aggiustamento della meccanica ci conduca a colpire il vicino pacifico, il nostro alleato oppure noi stessi.
Gribouille2 era quello scemo del villaggio che, per pro teggersi dalla pioggia, s’immergeva nello stagno delle ana tre. Gribouille era un precursore. È il maestro dei nostri strateghi, dei nostri politici, dei nostri valorosi difensori, dei nostri dirigenti d’avanguardia.
Checché si possa aspettare e temere del terrore atomico nel giorno in cui cadrà sui popoli, nonché delle folli gestico lazioni che provocherà, oggi non vi è nulla di più inquietante dell’assenza totale di paura, della generale indifferenza ed insensibilità.
Come fu ai giorni di Noè, dice Gesù, mangiavano e beve vano, prendevano moglie e marito, fino a quando Noè entrò nell’arca, e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e inghiottì tutti3 .
Essi dicono ai veggenti, come a Isaia: “Non abbiate visioni” e ai profeti: “Non fateci profezie sincere, diteci cose piace voli, profetateci illusioni!”4
Sbadigliando diamo un’occhiata distratta alle immagini di Hiroshima. Il Giappone è così lontano! Le suppliche di Einstein e di Schweitzer ci fanno scrollare le spalle: che ci
2
Famoso personaggio della letteratura francese (N.d.T.).
3 Mt 24,37-39.
4 Is 30,10. I testi biblici sono generalmente citati secondo la traduzione della CEI. (N.d.T.).
possiamo fare? La cosa migliore è non pensarci affatto. An diamo a divertirci subito!
Tra i vari divertimenti, applaudiamo, con la bocca aperta e col naso all’insù, i razzi che salgono al cielo; ammiriamo la sapienza di quelli che sognano di abitare la luna dopo aver reso la terra inabitabile. Speriamo che la scienza e la tecnica ci producano eccellenti verdure dopo che avranno avvele nato tutto quanto la terra produce in modo così grossolano e primitivo.
Ascoltiamo il politico previdente che ci insegna che più avremo bombe in riserva, più avremo pace.
Fiduciosi, ascoltiamo lo scienziato di turno che ha per compito di dimostrare che sono state prese tutte le precau zioni al fin di preservare le popolazioni; ascoltiamo soprat tutto il teologo che spiega che tutto questo è perfettamente ortodosso, che non si trova in san Tommaso alcun argomen to contro l’armamento nucleare e che sarebbe imprudente avanzare obiezioni alla dottrina della “guerra giusta”.
In effetti, la guerra è talmente giusta che lo è doppia mente: lo è da entrambi i lati! E nel dubbio, soldato, astie niti dal pensare e picchia duro!
Si solleverà popolo contro popolo e regno contro regno […] ma tutto questo è solo l’inizio dei dolori 5 .
Al momento dell’esplosione a Hiroshima, ci fu una luce abbagliante e tutto il centro della città fu soffiato in un lampo.
Un vento così violento si alzò nella città che svestì i so pravvissuti. Le donne che portavano dei kimono si ritrova rono nude con i disegni delle stoffe impressi sulla loro carne decorata di scottature.
Il vento mitragliò i corpi di mille punture di fuoco. Cen tinaia di migliaia di persone furono consumate in un batter d’occhio, altre si bruciarono per decenni. Per sfuggire al ca-
5 Mt 24,7-8.
lore del suolo bruciante come la placca di un forno, alcuni si buttarono nel fiume, ma l’acqua bolliva.
Vi sarà sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti 6 …
Le 500.000 tonnellate di acido nitrico che produce una bomba H e le due milioni di tonnellate di polvere che sole va intercettano la luce del sole. Un migliaio di queste bom be lo nasconderebbe per sempre e farebbe della terra un astro morto.
Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle […]. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte7 .
Perché in quei giorni ci sarà una tribolazione, quale non è mai stata dall’inizio della creazione, fatta da Dio, fino al presente, né mai vi sarà8 .
“Dopo tutto, dicono alcuni, è forse volontà di Dio che il mondo perisca”, e si esprimono con una sorridente serenità che sarebbe davvero sublime se provenisse da un reale di stacco da ogni cosa.
Ora, le persone che accolgono con siffatta grandezza d’animo la fine di tutto nel Diluvio di Fuoco, si spaven tano alla prospettiva di perdere il loro posto di lavoro o di dispiacere i loro conoscenti oppure di essere considerati cattivi cittadini (protestando contro la bomba, ad esempio).
La loro immaginazione e il loro buon senso sono così deboli da risultare essi incapaci di provare la semplice pau ra animalesca. Vanno dove vengono spinti, come bestie condotte al macello, con questa differenza che ci vanno filosofando, e con quest’altra differenza che nessuna bestia
6 Lc 21,25.
7 Lc 21,25-26.
8 Mc 13,19.
costruisce il macello, né forgia il coltello col quale si fa scan nare.
Perché guardino, ma non vedano, ascoltino, ma non in tendano9 …
E Dio indurì il cuore di Faraone10…
Virgilio dice: “Quos vult perdere Jupiter, dementat”. (Quelli che Giove vuole perdere, li fa impazzire).
Fino a quando uno sprovveduto, tra milioni di altri sprovveduti, faccia saltare tutto per sbaglio.
9 Mc 4,12. 10 Es 9,12.
la BomBa e la nonviolenza: l’analisi Di lanza Del vasto di Antonino Drago
Premessa
Una persona semplice capisce subito che le armi nuclea ri sono qualcosa di sovrumano. Ma, dato che esse vengono mantenute, sviluppate e giustificate dagli Stati, i quali non vogliono rinunciarvi e le propagandano come strumenti di pace internazionale, occorre allora che essa si formi una idea precisa e complessiva del tema delle armi nucleari nella situazione storica odierna, anche se gli potrebbe sembrare un’impresa molto difficile; egli ha questa impressione perché la letteratura sui settant’anni di era nucleare raccoglie tanti fatti scientifici e storici, utilizza parole specifiche, di scienza, di tecnologia e di politica, di solito presentate in maniera mi tica o artificialmente tecnica. Scoraggiata da queste difficoltà, la persona semplice abbandona l’impresa e delega il problema alle istituzioni preposte al compito, ma ciò è proprio quello che vuole il potere nucleare militare, che è molto accentrato e autoritario: poter decidere con il minimo controllo democrati co. Io credo tuttavia che per arrivare ad un controllo culturale di questo settore sociale, in realtà occorre acquisire solo pochi concetti specifici. Prima di tutto, occorre “bucare” la cortina di silenzio e omertà sulla storia di questa tecnologia bellica. È quello che farò nel testo che segue.
Chi, come me, si propone questo compito va incontro ad un altro ostacolo: per ogni affermazione, egli dovrebbe indi care, per onestà, le corrispondenti repliche dei sostenitori del nucleare, i quali però sono dei professionisti statali che lavo
rano in collettivo e quindi sfornano rapporti tecnici volumi nosi (le cui tesi finali non ammettono mai una sostanziale alternativa); se li si dovesse ribattere punto per punto, que sto articolo diventerebbe una enciclopedia. Ma anche questo ostacolo è oggi superabile, perché le notizie e i fatti più im portanti sono diventati di dominio comune, reperibili anche su Wikipedia. Perciò tralascerò di aggiungere una bibliogra fia dettagliata, perché ogni lettore potrà verificare i dati e le affermazioni con una semplice ricerca su Internet. E anche perché il punto di scontro cruciale di un dibattito sulle armi nucleari non è più sull’informazione riguardo singoli fatti, ma sul tipo di analisi che si vuole offrire dei settant’anni dell’era nucleare. La gestione statale del problema domina il dibattito pubblico sul tema proprio perché troppo spesso incontra risposte emotive o di principio, invece di controa nalisi di pari grado. Ora, si tratta precisamente di formulare un’analisi articolata e coerente sul complesso dei fatti e delle questioni seguendo un preciso punto di vista. Nel seguito affronterò il tema 1) dal punto di vista popolare, cioè degli interessi dei popoli, 2) ponendo l’etica prima degli interessi bellici, economici e di potere di qualsiasi Stato, e 3) secondo una sapienza che non ha avuto bisogno della bomba atomica per “progredire”, perché la bomba non è un progresso, ma è il punto di esplosione di una corsa infinita alla distruttività. Questa mia analisi si svilupperà in tre parti. Innanzitutto, una brevissima storia delle armi nucleari. A questa farà seguito un’analisi di come tratta il problema Lanza del Vasto, il quale ha saputo decostruire la razionalità degli Stati nu cleari. Infine, verrà presentata la lotta per una razionalità al ternativa nella difesa; questa razionalità oggi ha come punti di forza il Trattato TPNW di messa al Bando delle Armi Nucleari e, in positivo, la novità storica della nonviolenza.
La storia
Di fronte ad una situazione complessa la maniera più piana di comprenderne le coordinate e trovarne una chiave di lettura è quella di recuperare la storia del suo sviluppo sin dall’origine. In tal modo i fatti tecnici vengono rappor tati al vissuto collettivo, al di là della pretesa assolutezza dei dati scientifici e tecnologici. Per questo motivo iniziamo con i punti essenziali della storia della bomba nucleare.
Nasce quello che era l’“impensabile” per tutte le generazioni precedenti
Il famoso scienziato Albert Einstein era radicalmente antimilitarista e anarchico. Ma, durante la seconda guerra mondiale la prospettiva (comunemente condivisa) di un Hitler che stava per arrivare alla bomba nucleare lo spaven tò a tal punto da accettare il 2 agosto 1939 l’invito di colle ghi (Szilard, Teller, Wigner) a scrivere al Capo dello Stato più potente, Franklin Delano Roosevelt, affinché i militari USA potessero disporre di questo tipo di bombe, da usare come deterrente e nel caso di attacchi nazisti, per risponde re alla pari. Con ciò egli tradiva gli ideali di tutta la sua vita; ma su ogni sua considerazione ideale in lui prevalse l’enor mità della seconda guerra mondiale e il timore che tutto il mondo venisse assoggettato al nazismo.
Dopo varie vicende burocratiche, nel giugno 1942 il “Progetto Manhattan” per costruire la bomba iniziò. Fu messo in atto uno sforzo colossale di centomila scienziati ed ingegneri, con una spesa di due miliardi di dollari di allora. Nel febbraio 1943 a causa della vittoria russa a Stalingra do, Hitler incominciò a temere la sconfitta. Poi, pur avendo raggiunto per primo (15 giugno 1944) la disponibilità di missili (le V1) da lanciare in tutta Europa, egli non riuscì a costruire bombe nucleari. Si suicidò a Berlino il 30 aprile
1945. L’8 giugno di quell’anno la Germania si arrese. Ein stein aveva sbagliato la previsione storica. Nonostante ciò, la prima bomba USA (al plutonio) fu completata e il 16 luglio 1945 fu sperimentata nel deserto di Alamagordo (New Mexico). Gli scienziati non sapevano prevedere la sua potenza. Essa poteva essere pari a quella di una bomba al tritolo, o inferiore, o superiore, fino al punto di essere in grado di bruciare in cielo una grande zona del la ozonosfera (quella zona che riduce la potenza dei raggi solari); in questo caso avrebbe desertificato un’intera regio ne terrestre. Incoscienti, risolsero i dubbi scommettendoci sopra. L’incoscienza era generale: a 6 km di distanza dal punto zero vennero schierati in trincee dei soldati dotati di semplici occhiali da sole.
Allo scoppio, il fisico Robert Oppenheimer (capo del progetto Manhattan) pensò alle parole della divinità Vi shnu, scritte nella Bhagavad Gita: “Ora sono diventata la Morte, la distruggitrice dei mondi”60. In altra occasione dis se: “La fisica ha conosciuto il peccato originale”. L’italiano Franco Rasetti, del gruppo romano di Fermi, dall’inizio si era rifiutato di collaborare al progetto Manhattan. Riguardo gli altri fisici egli poi scrisse: “Tra tutti gli spettacoli disgu stosi di questi tempi ce ne sono pochi che eguaglino quello dei fisici che lavorano nei laboratori sotto la sorveglianza militare per preparare mezzi più violenti di distruzione per la prossima guerra”. E anche: “[I fisici] Hanno venduto la fisica al diavolo”. Invece Enrico Fermi, che ebbe una parte molto importante in quel progetto, era contento di “fare buona fisica”.
Dopo l’esplosione di Alamagordo sorse il problema: che fare delle altre due bombe (una all’uranio e una al plutonio) fino allora costruite? Ormai era rimasto in guerra solo il Giappone; il quale però dopo la sconfitta di Okinawa (21 giugno 1945) cercava, attraverso la mediazione dell’URSS, 60 tinyurl.com/4w3w2p6c, min. 28.
di trattare una pace onorevole (anche con un preciso tele gramma del 2 agosto, che fu intercettato e criptato dagli americani). L’allora generale Dwight Eisenhower riteneva che per ottenere la resa del Giappone non ci fosse proprio bisogno di bombardamenti nucleari. Qualche scienziato suggerì un bombardamento dimostrativo in un luogo de sertico giapponese.
Ma gli USA decisero di provare la nuova potenza distrut tiva delle due prime bombe nucleari, lanciandole su due città giapponesi, Hiroshima e Nagasaki, che non avevano installazioni militari significative. Fu il 6 e il 9 agosto 1945. L’8 agosto l’URSS (che da mesi aveva evitato di mediare per la pace) entrò in guerra contro il Giappone. Il tutto si concluse con la resa del Giappone, l’umiliazione dell’imperatore Hiro-Hito e la spartizione del mondo intero già stabilita dai “Quattro Grandi” a Jalta sei mesi prima. Dopo l’immane tragedia giapponese, il presidente Harry Truman giustificò le due bombe per aver salvato le vite di un milio ne di soldati USA, quelli che sarebbero stati necessari per invadere e piegare il Giappone; e questa fu la “verità” dei giornali di tutto il mondo per almeno cinquant’anni61.
I responsabili diretti, i fisici: che fare?
Con l’attuazione del progetto Manhattan cambiò radicalmente anche la scienza nella società: finì la scienza di tipo artigianale (quella di alcuni scienziati in un laboratorio composto da qualche stanza e con finanziamenti limitati e precari) e nacque la big science. Ricevendo grandi finanzia
61 Subito dopo i bombardamenti, le popolazioni giapponesi colpite furono studiate scientificamente da una commissione americana, senza che i me dici giapponesi potessero farne parte. I risultati ottenuti servirono poi per regolamentare l’uso delle radiazioni nucleari fino agli anni Ottanta, quando nuovi studi (di ampiezza demografica simile) li corressero al rialzo riguardo alla pericolosità delle radiazioni.
menti statali, quest’ultimo tipo di scienza organizza ormai grandi gruppi di scienziati, ognuno dei quali svolge un lavo ro scientifico parcellizzato su singole questioni.
Dopo i bombardamenti delle città giapponesi, una mi noranza (esigua) di fisici si sentì responsabile della costru zione dell’enorme potere distruttivo di queste bombe e del le tremende vicende storiche che ne erano seguite; cercò allora di proporre iniziative collettive per una pace di lunga prospettiva. Furono lanciati appelli, che però furono sotto scritti da pochi fisici (i laboratori per la produzione di armi nucleari ne avevano arruolati una grande parte) e furono poco ascoltati dalla gente.
L’appello più famoso fu quello scritto dal filosofo Ber trand Russell e poi firmato da Einstein (che si era pentito della sua lettera a Truman) ed altri otto premi Nobel. Fu lan ciato dopo la morte di Einstein, avvenuta il 18 aprile 1955, il 9 luglio 1955. L’appello si basava sulla concezione della neutralità della scienza. Da questo testo si deduce che gli scienziati, lavorando solo per il bene dell’umanità, non pos sono essere ritenuti responsabili di questo enorme pericolo per l’umanità, perché la scienza di per sé è sempre buona. Il compito di evitare questo pericolo riguarda i capi di Stato; in democrazia gli scienziati si sentono solamente in obbligo di informare la gente e si rimettono ad essa affinché agisca sui politici responsabili in modo da farli arretrare. Più im pegnato invece era l’appello di Max Born ed altri 52 premi Nobel (15 luglio 1955, anticipato volutamente dall’appello di Russell); in questo appello gli scienziati sottoscrittori si consideravano eticamente responsabili della bomba e criticavano la politica estera di deterrenza degli Stati, al costo di farsi ritirare i finanziamenti alle loro ricerche scientifiche62. Vediamo qui alcuni degli atteggiamenti degli scienziati riguardo alla bomba. Questi possono essere ridotti a quattro:
1) indifferenza alle questioni etiche riguardanti la propria scienza (è l’atteggiamento della stragrande maggioranza degli scienziati).
2) Fede nella neutralità della scienza; questo atteggiamen to è di una minoranza: alcuni di questi scienziati colla borano come esperti con i loro Stati, così come – essi dicono – un soldato combatte per la sua patria dentro un esercito; tutt’al più essi si sentono spinti ad avvertire la gente dei possibili risultati negativi delle applicazioni della propria scienza, in modo che essa faccia pressione sui politici.
3) Responsabilità e preoccupazione per le applicazioni mi litari della scienza, ma solo pochissimi scienziati hanno questo atteggiamento.
4) Solo qualche scienziato isolato antepone l’etica alla scien za, fino a rifiutarsi di partecipare al tipo di scienza che prepara quella tecnologia e (come nel caso del chimico Linus Pauling, premio Nobel per la pace) addirittura pro muovere manifestazioni pubbliche contro di essa.
Purtroppo, si deve osservare che non sono gli scienzia ti, per lo più irretiti da una concezione mitica della loro scienza, che possono risolvere il problema politico delle armi nucleari; già allora, e ancor più oggi, il potere politico della nuova istituzione sociale, la big science, sovrasta la loro eventuale dissonanza politica.
Ciò detto, alcune loro iniziative sono state importanti. L’unica duratura è stata la fondazione della rivista The Bul letin of the Atomic Scientists: è quella che sulla copertina ha un orologio le cui lancette segnano i pochi minuti mancanti all’apocalisse nucleare. Sono ormai più di settant’anni che la rivista segue, con molta attenzione e con informazioni di ottima qualità, i dibattiti sulle armi nucleari e, più in gene rale, su tutti i problemi riguardanti il rapporto scienza-so cietà. Un’altra iniziativa molto interessante è quella del fi
sico Alvin Weinberg (rimasto convinto di aver fatto bene a sostenere i bombardamenti nucleari di allora!): ha proposto di “santificare” le due città, in modo che nei secoli futuri della storia dell’umanità esse rappresentino un’azione da mai ripetere; perciò, egli ha proposto una proibizione supe riore a quella giuridica: un tabù etico universale63.
63 “Sanctifying Hiroshima”, Bullettin of the Atomic Scientists, 41, dic. 1985, p. 34.
I due testi di Lanza del Vasto raccolti in questo volume sono stati scritti al tempo della guerra fredda tra Stati Uniti e URSS. Il primo riguarda l’arma atomica, alla quale si possono associare le armi chimiche e batteriologiche. Il secondo riguarda la guerra. Già allora Lanza del Vasto scriveva che la Bomba non garantisce la pace: trasmette, prima ancora di esplodere, un’onda d’urto che soffoca il buon senso e disintegra la logica. Per la sua stessa potenza, acceca le nostre intelligenze. È una sorta di droga statale. Con forza e chiarezza indicava anche la sola strada possibile: rinunciare come umanità tutta a questa arma atroce. Il tema della guerra è affrontato da un punto di vista preciso: quello della posizione dei cristiani e della Chiesa rispetto alle armi e al loro uso.
La Chiesa, pur nata da un messaggio di nonviolenza radicale, ha talvolta mantenuto un rapporto ambiguo con la violenza e la guerra. Nel nome di una “guerra giusta” si è continuato a benedire i cannoni, e i discepoli di Cristo hanno continuato a massacrarsi. È mancata la pratica della nonviolenza attiva, proposta e vissuta da Gandhi come forma di azione politica, attuata in modo non solo personale, ma collettivo.
La parola “nonviolenza”, che era ancora implicita nei testi del Concilio, è ormai presente nella parola ufficiale della Chiesa. I tempi sono cambiati. L’idea stessa di nonviolenza è diventata, tra i cattolici e per l’insieme dei cristiani, una sorta di evidenza.
Questi due testi di Lanza del Vasto affrontano questioni molto difficili con una “disarmante” saggezza che risveglia in noi l’energia del bene.
A questo mondo e a noi consegniamo la lettura di queste pagine che indicano come irreversibile la strada della pace, della conciliazione e riconciliazione.
ISBN 978-88-6153-938-9
Euro 15,00 (I.i.)