Maternità e sesso. Studio psicoanalitico e psicosomatico

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Marie Lisbeth Glas Hauser Langer, di famiglia ebrea, si laurea in medicina a Vienna dove si forma come psicoanalista. Iscritta al partito comunista, nel 1937 partecipa attivamente alla guerra di Spagna. Emigra col marito in America Latina e si stabilisce in Argentina dove è tra i fondatori dell’APA (Associazione Psicoanalitica Argentina) e dove approfondisce la propria formazione e la sua ricerca. Con l’inizio della dittatura militare, emigra in Messico per tornare in Argentina nell’ultimo periodo della sua vita. Qui muore nel 1987. La meridiana ha pubblicato di Marie Langer Frammenti di un’autobiografia. La neutralità impossibile dello psicoanalista (a cura di Maria Elena Petrilli, 2021).

ISBN 978 - 88 - 6153 - 903-7

Euro 35,00 (I.i.)

Marie Langer

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Sesso

Studio psicoanalitico e psicosomatico

Maternità

Maternità e sesso, uscito nel 1951 in Argentina, è stato il primo testo di Marie Langer ad essere pubblicato in Italia nel 1981 collocandosi all’interno della lunga ricerca che le psicoanaliste donne hanno intrapreso per rispondere all’interrogativo di Freud: La grande domanda, alla quale nemmeno io ho saputo rispondere malgrado trent’anni di lunghe ricerche, è questa: che cosa vuole la donna? Attraverso questo testo, Marie Langer aiuta a scoprire e a portare avanti la ricerca sul sentire femminile, sul vissuto interiore della donna, sulle conflittualità relazionali che vivono ogni madre, moglie e figlia. Sono sentimenti, stati d’animo e vissuti contraddittori che ancor di più in questo inizio del terzo millennio, a distanza di settanta anni dalla prima pubblicazione di questo testo, segnano il nostro tempo. Ad una maggior libertà culturale non ha dunque corrisposto un’importante liberazione psichica. Alle volte i sintomi che narrano questa storia di identificazioni tra donne della famiglia sono ancora più enigmatici, ma permangono dolorosamente nella vita di molte ragazze, madri e anziane signore. La repressione sessuale oggi è meno incisiva, ma non è meno intenso il dialogo di ogni donna con il suo corpo. Riproporre al pubblico questo libro significa riportare la dimensione femminile al centro della ricerca del sapere psicosocioanalitico mostrando come le fantasie sul corpo determinino le paure più profonde. Dice Langer aprendo il suo libro: “Questo è un libro in più sulla donna. Uno tra i tanti”. Noi vorremmo ribadire che è un libro unico e cruciale per comprendere il mondo femminile. (dalla Presentazione a cura di Aurelia Galletti e Paola Scalari)


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Maternità e sesso Studio psicoanalitico e psicosomatico Presentazione di Aurelia Galletti e Paola Scalari Traduzione di Gilberto Sacerdoti


Indice Presentazione. Un pensiero attuale di Paola Scalari e Aurelia Galletti......................................................... 7 Prefazione di Giorgio Sacerdoti........................................................17 Intervista a Marie Langer ..........................................................27 di Maria Elena Petrilli 1. La donna e il suo conflitto attuale.....................................33 2. Revisione della letteratura psicoanalitica sulla femminilità.....................................................................53 3. L’immagine della “madre cattiva”....................................89 4. Parte clinica............................................................................101 5. Il menarca e i disturbi successivi.....................................131 6. Il timore della deflorazione................................................149 7. La frigidità..............................................................................169 8. Disturbi della fecondazione...............................................187 9. Cinque casi psicoanalitici di donne sterili....................215 10. Gravidanza e parto...............................................................249 11. Problemi psicologici dell’allattamento...........................289 12. Il climaterio. Considerazioni finali..................................305 Appendice La donna: le sue limitazioni e potenzialità..........................321 I. ....................................................................................................322 II. ....................................................................................................328 III. ....................................................................................................335 IV. ....................................................................................................339 Bibliografia....................................................................................343



Presentazione Un pensiero attuale La grande domanda, alla quale nemmeno io ho saputo rispondere malgrado trent’anni di lunghe ricerche, è questa: che cosa vuole la donna? Sigmund Freud Maternità e sesso, uscito nel 1951 in Argentina, è stato il primo testo di Marie Langer ad essere pubblicato in Italia nel 1981 e si colloca all’interno della lunga ricerca che le psicoanaliste donne hanno intrapreso per rispondere alla domanda di Freud che abbiamo messo in esergo. Se il merito di Freud è stato quello di intraprendere questa ricerca, è anche vero che le conclusioni a cui egli giunge, ci appaiono oggi alquanto riduttive. In fondo, come la stessa Langer ricorda, egli riduce la donna a un uomo castrato, auspicando che siano le colleghe donne a dire la parola ulteriore in un campo in cui egli riconosceva i suoi limiti. Nella sua autobiografia1, Langer dedica il testo “… a tutte queste giovani donne2, e non solo a loro…”, con le quali ha continuato il suo dialogo serrato sulla psicoanalisi del femminile ed è proprio grazie ad una di queste, Maria Elena Petrilli, che Marie Langer e il suo pensiero sono approdati in Italia. È stata Petrilli, giovane psicoterapeuta, allieva ed amica di Langer in Argentina, a mettere in collegamento Langer con Basaglia e ad iniziare un confronto che vedeva la nostra autrice argentina arrivare quasi annualmente dal Messico a Venezia, a casa di Petrilli, per tessere i suoi rapporti con l’Italia e con l’Europa. Questo dialogo serrato è alla base della traduzione di Gilberto Sacerdoti di Maternità e sesso e della sua prima pubblicazione in Italia, introdotto da un’intervista all’autrice fatta proprio da Maria Elena Petrilli. 1. Langer M. “Frammenti di un’autobiografia: la neutralità impossibile dello psicoanalista” a cura di Maria Elena Petrilli, edizioni la meridiana, Molfetta (BA), 2021. 2. “come ad esempio Marta Lamas, o Diana qui in Messico, o Maria Elena Petrilli, laggiù a Venezia”, in “Frammenti di un’autobiografia”, cit.

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Attraverso questo testo, Marie Langer aiuta a scoprire e a portare avanti la ricerca sul sentire femminile, sul vissuto interiore della donna, sulle conflittualità relazionali che vivono ogni madre, moglie e figlia. Sono sentimenti, stati d’animo e vissuti contraddittori che ancor di più in questo inizio del terzo millennio, a distanza di settant’anni dalla prima pubblicazione di questo testo, segnano il nostro tempo. Le intuizioni di questa psicoanalista, che, insieme ad alcuni colleghi, fondò la società psicoanalitica Argentina, rimangono infatti impareggiabili. La sua onestà nello sguardo del mondo interno delle donne, la sua capacità di dare senso al discorso muto del corpo femminile rimangono un insegnamento fondamentale, insuperato e, forse, insuperabile. La bellezza dell’incontro del pensiero psicoanalitico con il mondo culturale diviene una porta che apre alla comprensione del continente oscuro della psicoanalisi come lo chiamava Sigmund Freud. Dopo di lui molte psicoanaliste hanno continuato la ricerca su come l’inconscio segni i vissuti di ogni donna aprendo porte sulla sua realtà psichica mai aperte prima. Ma il pensiero di Langer, che coniuga una visione antropologica, politica, storica, mitologica e sociologica, rimane una pietra miliare. Ed intanto, nel trascorrere dei decenni con l’arrivo di un sentimento femminista diffuso e con il transito per il Sessantotto, la donna si emancipava, si riconosceva soggetto di desiderio sessuale, mutava la sua idea di compagna del suo uomo, si liberava dalla inevitabilità della maternità, proclamava di voler essere padrona del suo corpo e superava una visione statica e falsificata del suo ruolo. Eppure i sintomi psicosomatici continuano a scrivere la fatica di portare a termine la liberazione da quella catena generazionale che non sempre emancipa, anzi delle volte oscura lo sviluppo della propria identità. La madre cattiva, così come la definisce Langer, permane nella mente delle figlie e la paura che chi le ha generate possa vendicarsi del loro divenire femmine feconde come lei rende difficili i processi di identificazione. Ad una maggior libertà culturale non ha dunque corrisposto un’importante liberazione psichica. Alle volte i sintomi che narrano questa storia di identificazioni tra donne della famiglia sono ancora più enigmatici, ma permangono dolorosamente nella vita di molte ragazze, madri e anziane signore.


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La repressione sessuale oggi è meno incisiva, ma non è meno intenso il dialogo di ogni donna con il suo corpo. Riproporre al pubblico questo libro significa riportare la dimensione femminile al centro della ricerca del sapere psicosocioanalitico mostrando come le fantasie sul corpo determinino le paure più profonde. Quante madri non lo sono psicologicamente a causa di questa conflittualità? Quante morti perinatali si iscrivono a questa lotta interiore? Quanto la sterilità è una difesa dalla paura di mettersi al posto della madre? Quanto la donna con il suo corpo vive ancora un destino inesorabile? Langer ci parla dunque di inquietudini, transiti, cambiamenti fisici, trasformazioni che segnano la vita delle donne. Possiamo perciò ripartire dalle radici di un sapere saldo, come quello espresso da questa autrice, per comprendere perché essere donne sia ancor oggi così difficile. Vorremmo che il sapere psicoanalitico fosse accostato e conosciuto da più persone perché in una visione multidisciplinare si potessero affrontare problemi cruciali come quello della violenza sul corpo femminile. Anche quando non ci sono segni evidenti, ma solo segni interiori. È violento l’uso pornografico soprattutto delle minorenni, l’abuso sessuale anche se del coniuge, il maltrattamento continuo con percosse o denigrazioni, ma possono essere violenti anche la sanitarizzazione della gestazione e del parto o il mercato che diffonde un pensiero negativo sull’allattamento e sul fisico non in forma, costringendo le donne a sottoporsi a dolorosissimi interventi di chirurgia plastica “al fine di restare competitive nel campo sessuale”3. Oggi osserviamo che il numero più elevato di divorzi si ha o subito dopo la nascita di un figlio, o nella fase della menopausa. Le mogli divenute madri perdono l’attrattiva erotica, o le donne avanti con l’età vengono respinte mentre i mariti cercano “carne fresca”. Il nostro modello teorico, partito dalla psicosocioanalisi italiana, fondata da Luigi Pagliarani che ha coniugato il pensiero di Melanie Klein, di Wilfred Bion, di Enrique Pichon-Rivière e José Ble3. Barbieri C., Galletti A., La violenza di genere: una questione complessa, edizioni la meridiana, Molfetta (BA), 2021.

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ger, arricchito poi dal contributo di Donald Meltzer, ci obbliga quindi ad interessarci e ad approfondire questo discorso specifico sul femminile. Vorremmo così riprendere i temi cari a Langer tra sviluppo puberale e senso di sé, vita erotica e piacere sessuale con al centro il compito riproduttivo e l’instaurarsi del primo contatto con il bambino all’interno dei processi intergenerazionali e transgenerazionali. Ci piacerebbe riaprire questa analisi con tutti quelli che sentiranno l’esigenza di non trattare il corpo della donna come un mero involucro, bensì come il luogo del discorso. Nella femmina questo narrare di sé si fa articolato poiché il suo fisico è sempre segnato dalla sua identità di genere. Mestruazioni, deflorazione, godimento sessuale, gravidanza e parto lo segnano profondamente. E poi l’allattamento fonda la prima relazione che radica un rapporto di reciprocità specifica tra madre e figlio divenendo solco di tutto il successivo processo educativo. Ed oggi si apre anche un capitolo specifico sul climaterio poiché esso entra in contraddizione con un mondo che vuole la donna sempre giovane, ammaliante, performante e piacente. Mai vecchia. Per continuare a capire il “continente” donna, approfondirne i suoi meccanismi evolutivi ed involutivi, articolare le sue origini inconsce, allora abbiamo bisogno di riattraversare il pensiero di questa pioniera del femminismo, o meglio di questa grande psicoanalista desiderosa di comprendere e valorizzare il femminile. Un pensiero all’avanguardia che ha affermato altresì il diritto della donna a non voler procreare ed essere diversamente creativa e ugualmente felice. Un pensiero precursore quindi del baby-free che oggi a fatica le donne stanno ancora rivendicando. Certamente non sono molte le novità comportamentali dal tempo in cui Langer ha scritto Maternità e Sesso, ma alcune ulteriori evoluzioni nell’interpretazione del ruolo femminile, e di conseguenza maschile, sicuramente sono avvenute. Il calo delle nascite e i tassi di fecondità in continua discesa nel mondo Occidentale paiono un sintomo importante che si è consolidato via via in questi ultimi decenni nei paesi ricchi. Donne più libere nelle loro scelte professionali e familiari vivono quindi un perenne conflitto con la maternità rinunciando a divenire madri, diventano usualmente primipare attempate, o ritrovandosi sterili. Le pratiche di fecondazione assistita rendendo possibile ad ogni età la maternità la rendono anche sempre meno un evento natu-


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rale. La scelta di procreare pare difficile e troppo programmata al “momento opportuno”. Dunque molto controllata. Questo poter programmare il concepimento sfocia poi in un’idea di poter costruire il bambino che si desidera. Il rimandare una gravidanza ha dunque aperto un conflitto non solo con la maternità, ma anche nel campo educativo. Allevare un cucciolo d’uomo, educarlo, renderlo adulto sembra sempre di più un’impresa complessa e senza troppe possibilità di successo. Questa paura del fallimento induce le donne a rinunciare a fare figli o ad arrivare al limite del big bang biologico con tutte le ripercussioni sullo sviluppo di un’eccessiva centralità nella dedizione verso la prole. Intercettiamo un crescendo di bambini tiranni per madri poco sicure di sé e spesso molto bisognose di una conferma narcisistica da parte dei loro piccoli. Ed ecco allora che in questi ultimi decenni l’uomo è entrato in scena come partner alla pari nella cura dei figli creando un’ulteriore paura nella madre. Il marito entrato in sala parto si è innamorato del suo cucciolo e lo vuole accudire. La donna ha dunque dovuto riposizionarsi e non sempre ha accettato questa estromissione dal ruolo principale. Ha allora cercato l’amore assoluto del piccolino impedendosi in realtà di educarlo per paura di perdere una dose di amore sconfinato. In rivalità con il padre del piccino ha chiesto al maschio di femminilizzarsi per poi temere una competizione che mai aveva dovuto affrontare sul piano della cura della prole. E i bambini rischiano di crescere invischiati in amori abusanti, nel senso di funzionali al narcisismo dei genitori; amori che poi rendono i figli eterni immaturi che sempre più faticano ad amare, procreare, educare, accettare il ciclo della vita. Dunque provare ad interrompere questo circolo vizioso è nostro compito come studiosi e come professionisti che si prendono cura del mondo psichico individuale e collettivo. L’interpretazione del ruolo paterno forse è la più grande rivoluzione che è avvenuta dai tempi in cui Langer scrisse il suo testo su Maternità e sesso creando alla donna nuove paure. Inevitabilmente quindi il cambiamento dai tempi della prima psicoanalisi in cui Sigmund Freud parlava di invidia del pene come meccanismo fondante la psicologia femminile, insieme ad alcune conseguenze che ne derivavano, è superato. A Freud va però riconosciuto di essere stato il primo ad interessarsi di sessualità femminile. Ai tempi di Freud persino riconoscere che le donne potessero avere un desiderio sessuale, la cui repressione le rendeva isteriche, era rivoluzionario.

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Solo successivamente Karen Horney (1885-1952), una psicoanalista femminista, suggerì che non sono le donne a desiderare il pene, quanto sono piuttosto gli uomini ad invidiare l’utero femminile, visto che questo permette di generare dei figli che nascono nel proprio corpo. Ma anche questa visione può essere limitata poiché la maternità non è la realizzazione del femminile. Oggi ipotizziamo che l’invidia sia per l’amore senza limiti che può offrire un neonato, un nuovo partner, una vita sessuale aperta sempre a nuove esperienze. Nell’epoca dei legami liquidi tutti cercano un legame soddisfacente, ma anche temono un legame vincolante. Possiamo quindi osservare nelle coppie una cooperazione alla pari nelle migliori situazioni e una conflittualità guerrafondaia nelle peggiori famiglie per il possesso del figlio. La rivalità dunque nelle famiglie si sedimenta nel possesso dell’amore del bambino portando, se cala, alla ricerca di nuove esperienze erotiche. Il piccino, trofeo della propria generatività e oggetto del proprio amore assoluto, se non appaga fa spostare la libido in nuove avventure amorose. Questo bisogno di conferme affettive ha rotto gli equilibri di coppia portando con sé una nuova angoscia nel legame amoroso che spesso si traduce in caduta del desiderio sessuale e in un allontanamento fisico e psichico tra i due partner. L’incremento esponenziale dei divorzi ne sarebbe la conseguenza. Assistiamo ad una rottura dei legami per un crescendo di paura dell’inconsistenza dei vincoli. Il gruppo familiare non custodisce più i suoi compiti principali: contenere la sessualità e prendersi cura della prole. Langer ci aiuta a capire perché tutto questo possa avvenire ponendo l’attenzione a come l’inconscio renda palesi i suoi conflitti. E guarda al vissuto invisibile che segna la dimensione psicosomatica della donna nell’interrelazione tra le femmine di ogni gruppo familiare. Quanto la relazione primaria tra madre e figlio segni questa difficoltà nel custodire le relazioni rappresenta però una domanda tutt’ora aperta. Per esaminarla bisogna guardare al mondo femminile a al suo dire non solo a parole, ma con un’interessante costellazione di sintomi psicosomatici. Il corpo oggi nelle ragazze è attaccato in vari modi: affamandolo o riempiendolo a dismisura. Il che rende i disturbi alimentari tra i più rilevanti del mondo femminile.


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Il corpo allora parla, come dice Marie Langer usando lo schema analitico, permettendoci di esprimere le paure di procreare e l’angoscia di cambiare ruolo passando da figlia e moglie a quello di madre. È questo un ostacolo emotivo che talvolta le donne non riescono proprio a superare e la sterilità psicologica è divenuta il male del terzo millennio: un’impossibilità di generare perché il corpo si oppone al desiderio manifesto di avere un bambino. Ne è nata una vera e propria industria del concepimento. La medicina ha cercato di forzare questo blocco. Ma non tenendo conto della vita psichica ha visto fallire il suo progetto di manipolare il concepimento in provetta. E se anche è riuscita nella fecondazione il corpo ha poi rigettato quanto la mente non poteva tollerare. Gli aborti da fecondazione assistita sono una delle violenze più importanti che le donne stanno subendo da anni, depresse da viaggi della speranza e da rientri dolorosi senza nessun pargolo in grembo. Ma anche quando non sono andate così lontane, i centri per la fecondazione assistita le hanno viste massacrate da potenti dosi di ormoni che hanno però lasciato troppe volte vuoto il loro utero. Non possiamo, quindi, non tornare ad indagare il senso profondo di questo non poter procreare e Marie Langer ci accompagna in visioni che vanno oltre la superficie, all’interno dei delicati quanto preziosi meccanismi psichici che contraddistinguono l’identità femminile che lega ogni figlia alla propria madre. Langer lo fa con molti esempi che ci fanno accomodare nella stanza d’analisi per osservare come, quando la mente può costruire nuovi pensieri, il corpo può smettere quel discorso implicito che fa con la gamma dei sintomi che narrano di dolore, paura, rabbia, competizione, svalutazione. Non sempre è facile abitare il proprio mondo interiore. Anzi alle volte è proprio contraddittorio. E di questa complessità ci parlano molto le nuove generazioni mostrando i tanti ostacoli che devono superare per individuarsi come maschi o come femmine. È questo, un percorso che oggi è contraddistinto da un’epoca, più o meno dilatata e risolta, di ambiguità di genere là dove la componente eterosessuale convive con una forte tendenza omosessuale e quella di chi è omosessuale spesso convive con la sua parte eterosessuale. Una lunga epoca della non scelta di campo che va alla ricerca del piacere sessuale al di là del genere biologico mantenendo in vita il bambino polimorfo per molto tempo, se

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non per sempre. Se da una parte allora la società attuale lascia maggior libertà di espressione sessuale anche alle donne, grazie anche alla diffusione della contraccezione, spesso questa libertà comporta un difficile percorso per arrivare almeno ad una parziale scelta di campo. Identità fluide vengono sbandierate con estrema convinzione da adolescenti che rinnegano la possibilità di avere un’unica tendenza. Scegliere, rinunciare, definirsi non fanno parte dunque delle urgenze degli adolescenti. Ma questa, che può apparire solo come un’apertura, è invece anche una responsabilità pesante poiché se tutto è possibile ci si può perdere. E nella vita promiscua molti giovani si smarriscono. Se non svilupperemo una competenza nella lettura di questi segnali, come ben ci indica il libro Maternità e sesso, potremo divenire incapaci di aiutare le donne che ne hanno bisogno siano esse una figlia, un’allieva, un’utente, una paziente. Se non approfondiremo il senso da dare al discorso che fa il corpo quando diventa impenetrabile sviluppando vaginismi inespugnabili, frigidità siderali, menopause tribolate e somatizzazioni incomprensibili, resteremo senza un discorso da sviluppare a partire dai sintomi che il corpo femminile trasforma in grida d’aiuto. In questo Marie Langer è stata ed è un faro da cui non è possibile prescindere. Nella nostra professione di psicosocioanaliste appartenenti all’associazione “Ariele Psicoterapia”, da sempre sviluppiamo l’interesse per una psicoanalisi capace di mettere in relazione l’individuo con i gruppi e i contesti sociali. Oggi quindi osserviamo da vicino come molti dei sintomi portati in seduta dalle donne abbisognino anche di uno sguardo antropologico che sappiamo essere lo sfondo sul quale il discorso del corpo va attingendo. Guardiamo quindi al contesto culturale prendendo atto dei cambiamenti del gruppo familiare dentro ai quali la donna sta vivendo e patendo le sue trasformazioni che, se non comprese, analizzate, tradotte in un discorso con un suo senso, diventano sofferenza psichica soggettiva, ma anche che si riversa nelle nuove generazioni4. La psicosocioanalisi, a partire dalla metafora della finestra tratteggiata da Luigi Pagliarani, ci fa dunque portare il cursore dell’analisi del femminile dall’individuale al collettivo, dal mondo 14

4. Berto F., Scalari P., Mal d’amore, edizioni la meridiana Molfetta, 2011.


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produttivo al mondo generativo, permettendoci di rinnovare la ricerca su come le donne vivano la loro dimensione femminile. Abbiamo ora a disposizione una guida magistrale data dal pensiero di questa grande psicoanalista viennese che visse a lungo nell’America del Sud per attraversare poi più volte l’Oceano per aiutarci a crescere come pensatrici libere da pregiudizi, stereotipi e fissità. Ora tutti possono continuare a conoscerla attraverso la riedizione di questo prezioso testo. Siamo grati a lei per quello che ci ha donato e a tutti quelli che hanno contribuito a mantenere vivo il suo innovativo e sempre attuale pensiero. Dice Langer aprendo il suo libro: “Questo è un libro in più sulla donna. Uno tra i tanti”. Noi vorremmo ribadire che è un libro unico e cruciale per comprendere il mondo femminile. Aurelia Galletti psicoterapeuta e psicosocioanalista “past-president” di Ariele Psicoterapia e docente Coirag Paola Scalari psicoterapeuta e psicosocioanalista socia Ariele Psicoterapia e docente Coirag

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Intervista a Marie Langer di Maria Elena Petrilli

D. – Quando venne pubblicato per la prima volta Maternità e sesso? R. – Lo pubblicò Editorial Nova nel 1951; era la casa editrice della Asociación Psicoanalítica Argentina. Il libro era più voluminoso perché conteneva la mia concezione marxista del problema della donna; ciononostante ci fu una critica di Silvia Bergman, una psichiatra combattiva che elogiava la parte clinica sottolineando però il fatto che tutte le pazienti provenivano da un nucleo ristretto di classe media, mentre la problematica della classe operaia era stata tralasciata. Io risposi che ero pienamente d’accordo con quella critica, ma che, data la mia condizione di psicoanalista dell’Associazione, non avevo l’opportunità di vedere altri tipi di pazienti. Il libro fu distribuito male e la casa editrice si disinteressò dei libri di argomento psicologico. D. – Come fu accolto dai membri dell’Associazione? R. – Molto bene perché era kleiniano, e in quel momento essere kleiniani andava molto bene. Nel 1964 lo prese Paidós, a condizione che venisse ridotto di volume e venissero tolte le parti marxiste per esigenze di mercato. Paidós è tuttora la casa editrice più importante per quanto riguarda la psicologia perché si è sempre preoccupata di mantenere scrupolosamente la sua neutralità politica, cosa che ne ha permesso la sopravvivenza. D. – Lei ha voluto che come appendice all’edizione italiana venisse pubblicato La donna: le sue limitazioni e potenzialità, che è un articolo di Cuestionamos, libro chiave nell’ambiente psichiatrico del 1973 in Argentina.

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R. – Sì, Cuestionamos venne presentato nei locali della Federación Argentina de Psiquiatras in un momento di grande tensione politica; io ero appena uscita dall’Associazione psicoanalitica. Quanto all’articolo è un tentativo di risposta a chi mi aveva chiesto la rielaborazione del libro; in esso assumo un punto di vista marxista e femminista e cerco di dimostrare come la psicologia della donna sia determinata non soltanto dalla sua situazione biologica, ma anche dal momento storico e dall’evoluzione dei rapporti di produzione. Cerco di distinguere ciò che è biologicamente fino ad ora immutabile da ciò che cambia in base al momento sociale. D. – Che distanza c’è tra ciò che dice nell’articolo e il momento attuale? R. – “Gli anni di guerra contano doppi”. Non sono passati tanti anni, ma il cambiamento della situazione della donna in questo secolo è così rapido che in effetti l’adolescente ormai è diversa dalla donna anche giovane. Sono stata al Simposio de la Mujer Mexicana e ho visto come l’indigena non sia cambiata per nulla; però invece a Cuba la donna è cambiata moltissimo. In Messico ci sono villaggi interi che sono rimasti senza uomini perché la miseria è così grande che gli uomini vanno a lavorare come braccianti negli Stati Uniti; quelli che non riescono ad attraversare la frontiera vanno a lavorare in città e ritornano ogni tanto o mandano soldi; in questo caso il paese viene diretto da donne. D. – Ritorniamo al libro. Non le sembra troppo esigente il modello di donna che implicitamente propone? R. – Sì, la donna è gravata da compiti eccessivi; è lei che è al centro dei cambiamenti più grandi. Finché non ci sia uno Stato che si renda responsabile, che si assuma il peso del doppio ruolo, la situazione della donna rimarrà estremamente faticosa. Nel Terzo Mondo le donne di classe media per mezzo di altre donne hanno la possibilità di conciliare maternità molteplici e lavoro professionale. Se la donna non ha una professione, un lavoro suo, riconosciuto e pagato, il figlio, per desiderato che sia, diventa un freno per la sua evoluzione, un’ancora che la lega alla famiglia nucleare. Il bambino deve andare all’asilo. A Cuba si è proposto di assumere anche degli uomini negli asili. C’è bisogno di un uomo, non di un padre per confermare l’identità o per integrarla. D. – Le esigenze del modello però non comprendono soltanto la maternità, ma anche la sessualità. R. – Nel corso di questo secolo la donna ha ottenuto la libertà sessuale, accompagnata però da un’immediata esigenza supere-


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goica. Per un uomo il rapporto sessuale può essere angosciante, e lo è sempre quando è la prima volta, perché ha l’obbligo della potenza. La donna “liberata sessualmente” ha l’obbligo dell’orgasmo e la donna analizzata degli ultimi trent’anni, fino a Masters e Johnson e la protesta furibonda delle femministe, aveva l’obbligo dell’orgasmo vaginale simultaneo all’orgasmo del partner. La donna analizzata, e qui riconosco di essere stata molto superegoica, aveva anche altri due doveri: partorire senza anestesia e allattare abbondantemente e con piacere. Bisogna rispettare le necessità di ogni donna. Ovviamente, dato il suo modo di vita attuale, la funzione che soffre di una fase involutiva è l’allattamento. Di fronte alle necessità della donna questo obbligo superegoico non ha più senso. D. – Come considera le posizioni di Freud sulla sessualità femminile? R. – Freud formula una teoria che poi è stata smentita da tutte le successive ricerche embriologiche. Il clitoride non è un pene che ha subito un processo involutivo, come pensava lui; è vero il contrario: il pene è un clitoride che ha subito un processo evolutivo. Le cellule formano una creatura femminile; se poi si tratta di un maschio comincia il processo di crescita del clitoride e le grandi labbra diventano lo scroto. Il sesso fondamentale è quello femminile. Come è possibile negare il clitoride e la sua capacità di dare piacere se nel mondo arabo la repressione della donna si basa proprio sulla clitoridectomia? Senza sapere tutti questi dati quando scrissi il libro adottai anzitutto Melanie Klein, perché malgrado la mia ammirazione per Freud la sua spiegazione della sessualità femminile mi sembrava molto ingiusta. D. – Secondo Freud la formazione del Super-io nella bambina è carente, perché essa supera solo incompletamente l’Edipo. Come vede questo aspetto del problema? R. – Se la donna soffre più ancora dell’uomo di melanconia, che è la malattia superegoica per eccellenza, è clinicamente dimostrato che nella donna il Super-io è molto più forte. Il nucleo del Superio è femminile, è la relazione con l’oggetto parziale della madre. Freud non ha pensato alla donna nel periodo della vecchiaia; è rimasto legato al modello di Dora. Comunque non c’è stata altra professione in cui le donne siano state accolte altrettanto bene che nella pratica analitica. Due donne continuarono il movimento: la Klein e Anna Freud, finché compare Lacan che ripropone il fallo.

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D. – A un certo punto in Maternità e sesso sembra che lei faccia coincidere il massimo della soddisfazione sessuale con la capacità di maternità. La pensa ancora così? R. – Da quando l’atto sessuale non è più concretamente legato alla maternità (i contraccettivi da un lato, l’inseminazione artificiale dall’altro) non credo che si possa continuare a sostenere il piacere erotico in funzione della procreazione. Aver avuto dei figli non è garanzia di nulla. Finché non c’erano contraccettivi sicuri, in pratica il problema del figlio desiderato non si poneva, anche se in teoria molte coppie erano d’accordo sul fatto che bisognasse avere un figlio avendolo deciso; però da quando i contraccettivi sono usati dalla donna essa si pone anzitutto il problema della scelta di uno stile di vita che tenga conto o meno della maternità. In Europa ho visto molte donne giovani con una buona relazione di coppia che non vogliono avere figli perché l’allevamento, l’educazione sono dei freni per la realizzazione in altri campi. Non credo che sia la situazione ideale, ma in molti casi è così. Negli Stati Uniti i bianchi di classe media prendono la sterilizzazione come una grande cosa, mentre i negri considerano la fertilità delle loro donne come un’arma. Tutta l’America Latina è un laboratorio per la prova di contraccettivi per la donna bianca. Prima di essere messa ufficialmente in vendita la pillola venne sperimentata su un terzo delle portoricane. Nei centri dove si decidono i programmi di pianificazione familiare non ci sono donne che partecipino alle decisioni. Alla Gandhi non hanno perdonato il tentativo di sterilizzare gli uomini. D. – Quali sono le sue conclusioni sul problema dei contraccettivi? R. – Le ricerche sono ideologizzate; il mio libro è ideologizzato. Juliette Michel descrive molto bene come nacquero le ricerche di Spitz e di Winnicott sull’importanza del legame madre-figlio mentre gli uomini tornavano dalla prima guerra mondiale con il bisogno di recuperare il loro posto di lavoro. Io direi di no alla legatura delle tube; ho potuto verificarlo in Messico dove è molto comune che le donne di classe bassa, che sono quelle che subiscono questo tipo di intervento, formino varie coppie e abbiano figli da diversi padri. Molte ritornano ai centri di sterilizzazione chiedendo che venga loro data nuovamente la possibilità di avere figli, perché ciò può essere importante per la loro nuova situazione di coppia, ma la cosa è irreversibile. La pillola per molto tempo no perché fa male; sì al diaframma perché lo può usare la


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donna per conto suo se familiarizza con i propri genitali; sì anche per poco tempo alla spirale. D. – Pensa che per tutto questo l’educazione sessuale serva? R. – Sì, ma bisognerebbe lavorare sui maestri e sui genitori, e includere il piacere, dare per scontato che dà molto piacere e che la contraccezione è normale. Organizzare dei gruppi di lavoro per trasmettere un buon atteggiamento di fronte al sesso. Però è necessario difendere l’intimità dell’esperienza sessuale di ciascuno, non bisogna che i padri invadano la sessualità dei figli. È la differenza che propone Meltzer tra sincerità e privacy. D. – Con questo ritorniamo alla psicoanalisi: qual è secondo lei la sua funzione di fronte a tutti questi problemi? R. – A livello clinico è liberatoria, aiuta a realizzare tutte le potenzialità femminili. Può aiutare ad avere il figlio che si desidera, ma il problema è più ampio: il problema è sviluppare al massimo tutte le potenzialità, in modo da affrontare meglio il problema della menopausa che è sempre accompagnata dalla depressione nella donna il cui unico prodotto è un figlio. L’equivalente della depressione della donna nell’uomo è l’ipocondria, perché l’uomo quando è in difficoltà non può deprimersi e non lavorare. Quando vuole uscire da una situazione che non sopporta più diventa ipocondriaco. D. – Lei dice che l’analisi è liberatoria, ma a sua volta recupera molto la Klein, la quale ha dato un’enorme importanza al concetto di riparazione; cosa ne pensa? R. – Non si deve assumere il termine riparazione nel senso del peccato originale. Bisogna prenderlo combattivamente. Melanie Klein non era affatto asettica. Sceglie una terminologia poco felice, ma in quello che dice c’è molto affetto, molta ricerca del piacere. D. – Però sosterrebbe ancora che la capacità di orgasmo è legata alla maternità? R. – Adesso non lo formulerei più come l’ho formulato nel libro, perché penso che si trattasse di un’altra ideologizzazione che pretendeva che nella donna il massimo piacere dovesse essere in un certo senso pagato con il desiderio di maternità. Tuttavia credo che le difficoltà di orgasmo siano legate in ogni caso al rapporto con la madre. 31



1. La donna

e il suo conflitto attuale

Il conflitto della donna d’oggi e le sue origini. La sua storia. Il pregiudizio dell’inferiorità della donna, sue cause e funzioni psicologiche. La sua posizione in altre società. Nella nostra società. Questo è un libro in più sulla donna. Uno tra i tanti. Per questo mi sento obbligata a giustificare la sua pubblicazione. Intendo qui descrivere e analizzare i disturbi più frequenti delle funzioni procreative della donna. L’incremento di questi disturbi, evidente malgrado i grandi progressi della medicina negli ultimi decenni, rende necessario considerarli da un altro punto di vista, utilizzando come mezzo di ricerca, e spesso anche di cura, il metodo psicoanalitico. La tesi fondamentale di questo libro è la seguente: una volta la società imponeva alla donna delle severe restrizioni nel campo sessuale (assumendo il termine nel suo senso più stretto) e sociale, ma favoriva lo sviluppo delle sue attività e funzioni materne. Le conseguenze di queste restrizioni furono la grande frequenza dell’isteria e altre manifestazioni psiconevrotiche nella donna. Tuttavia essa sembra aver sofferto relativamente poco di disturbi psicosomatici nelle sue funzioni procreative. Attualmente il quadro è cambiato. Nell’ultimo secolo la donna della nostra civiltà ha acquisito una libertà sessuale e sociale completamente sconosciuta solo tre generazioni prima.

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Invece le circostanze culturali ed economiche impongono gravi restrizioni alla maternità. Come conseguenza di questa situazione diminuiscono i quadri nevrotici tipici e ormai non si trova più la grande hysthérie, ma aumentano in forma allarmante i disturbi psicosomatici menzionati. Oppure, per parlare in termini più semplici e con immagini della vita concreta: le nostre nonne alla vista di un topo salivano su una sedia e raccoglievano le gonne gridando aiuto, ma generalmente non avevano difficoltà nell’allattare i loro figli, mentre attualmente le donne giovani sanno guidare automobili, ambulanze e anche aerei, ma spesso non sanno alimentare le loro creature o rinunziano fin dall’inizio a questo compito. Oggetto della nostra ricerca saranno dunque le difficoltà nelle funzioni femminili, e cioè mestruazioni, concepimento, fertilità, allattamento, ecc. Trent’anni fa ciò sarebbe stato tema adatto unicamente per un trattato di ginecologia e ostetricia. Quasi a nessuno sarebbe venuto in mente di affrontarlo dal punto di vista psicopatologico. È vero che Freud, nel suo lavoro Un caso di guarigione ipnotica, già alla fine del secolo scorso trattò una giovane madre, incapace di alimentare il figlio, con l’ipnosi, cioè la curò con mezzi psicologici e che il primo studio psicosomatico sui disturbi mestruali e del travaglio di parto fu pubblicato da Josef Eisler nel 1923; ma comunque solo un piccolo gruppo di medici era disposto ad affrontare in questo modo il problema scientifico e terapeutico di questi disturbi. La grande maggioranza non intravedeva neppure la possibilità di un simile approccio alle malattie “organiche”. Oggi questi concetti scientifici stanno cambiando. Stiamo comprendendo che la maggior parte dei disturbi della vita procreativa femminile proviene da conflitti nevrotici e che ciò avviene in donne che nella loro vita quotidiana non mostrano segni di malattie nervose. Anche la maggioranza delle pazienti i cui disturbi verranno descritti in questo libro, non sono tali in senso stretto e non erano ricorse al trattamento psicanalitico per essere curate da un tipico quadro nevrotico, ma erano in conflitto con la loro femminilità. Per poter capire meglio i conflitti della donna moderna dobbiamo conoscere la loro evoluzione storica e confrontare inoltre la nostra società attuale con società diverse. Il cambiamento dell’attuale posizione della donna nella nostra società sembrò brusco e inaspettato, ma era il risultato di un lungo processo nel quale intervennero e interagirono molti fattori.


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Nella nostra società occidentale e patriarcale (“fallocentrica”, la chiamò Zilboorg) per molti secoli la donna era stata completamente sottomessa all’uomo. Fu la Rivoluzione francese che all’insegna dell’uguaglianza mise per la prima volta in dubbio che questa sottomissione fosse naturale e immutabile. Comunque nella classe media e alta non si produsse alcun cambiamento immediato, mentre nella classe bassa il ruolo della donna non aveva mai differito molto da quello dell’uomo. Tanto nella famiglia del contadino, come in quella dell’artigiano, la donna e i figli avevano condiviso il lavoro dell’uomo e tutti erano molto limitati nei propri diritti. La donna faceva parte del processo di produzione domestico, ma alternava senza limiti ben definiti a questo lavoro la cura della famiglia e l’allevamento dei bambini. Le parole d’ordine della Rivoluzione francese, imposte da Napoleone a tutta Europa, divennero effettive solo attraverso la rivoluzione industriale. Con le scoperte tecniche e la trasformazione del lavoro che portava inevitabilmente alla concentrazione degli operai nella fabbrica, l’uomo abbandonò l’industria domestica, e la donna lo seguì, non per rivalità, ma unicamente per necessità. Perfino i bambini vennero impiegati perché la famiglia potesse sussistere. Come conseguenza delle lotte sociali attraverso le quali si raggiunse una legislazione del lavoro, vennero eliminati i bambini dalla fabbrica, ma il loro destino e la vita familiare avevano subito un cambiamento fondamentale. Mentre prima i figli diventavano molto presto un aiuto nella casa e nell’industria domestica, ora diventavano un peso per la donna che, tornando stanca dal lavoro, doveva dedicarsi nelle poche ore libere alla cura della casa e dei bambini. Fin qui il cambiamento della donna appartenente alla classe operaia. Nelle campagne i cambiamenti avvennero molto più tardivamente e in due modi: primo, la migrazione della popolazione contadina verso i grandi centri urbani, che continua anche oggi. Per il gruppo familiare essa porta con sé tutto il problema dello sradicamento, dei quartieri di baracche, della prostituzione, dei figli illegittimi, ecc. E, secondo, soprattutto nei paesi con industrializzazione avanzata, anche il lavoro agricolo si industrializza sempre di più, avvicinando la situazione della famiglia contadina a quella operaia.

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Mentre il cambiamento della donna appartenente alla classe operaia avvenne durante il secolo scorso, fino alla prima guerra mondiale la donna di classe media e alta non ne venne coinvolta. Fu allora che improvvisamente le donne dei diversi paesi belligeranti, il cui unico campo di azione era stato la casa e il loro nucleo sociale, la cui unica funzione era avere figli ed educarli, e che vivevano in una situazione di dipendenza economico-sociale, prima dai padri e dopo dai mariti, si videro spinte a occupare in tutti i campi il posto dell’uomo. Esse svolsero con successo dei compiti che fino ad allora erano stati considerati irrealizzabili per loro e con l’inclusione nel processo lavorativo ottennero piena indipendenza e responsabilità. Una volta terminata la guerra il cambiamento era ormai irreversibile. Le donne di classe media nel 1914 risposero con tanto entusiasmo all’appello delle autorità ad abbandonare la casa e cominciare a lavorare, non soltanto per patriottismo, ma perché erano disponibili psicologicamente e materialmente. Le loro madri, a suo tempo, non lo sarebbero state, occupate com’erano dalle numerose gravidanze e dal difficile allevamento dei molti figli. Ma lei, la donna dell’inizio del secolo, aveva un numero ridotto di figli e si sentiva sprecata nella casa vuota. Erano stati i progressi della medicina a causare questa situazione. Era diminuita la mortalità infantile e venivano messi a disposizione della coppia dei metodi anticoncezionali efficaci e perfino l’aborto che poteva ormai essere eseguito senza grandi rischi fisici o legali. Il declino dell’influenza religiosa, caratteristico dei primi decenni del nostro secolo, facilitava questo processo, come anche il successo del marxismo, erede delle rivendicazioni egualitarie della Rivoluzione francese. Terminò la guerra. Gli uomini tornarono e trovarono una donna indipendente economicamente, cosciente del proprio valore, con i capelli tagliati alla garçonne e con una libertà sessuale comparabile a quella dell’uomo. Non implicando più conseguenze biologiche per lei, l’atto sessuale correva il rischio di diventare mera fonte di piacere, di perdere trascendenza e acquistare autonomia. I risultati concreti della donna fecero finire il pregiudizio, radicato fin dal principio della nostra storia, della sua inferiorità mentale ed emotiva. Essa aveva dimostrato, e negli anni successivi continuò a dimostrarlo sempre di più, che poteva competere con l’uomo.


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Questo cambiamento tuttavia non portò con sé unicamente difficoltà economiche e sociali, ma tutta una confusione di concetti, poiché l’antico pregiudizio sull’inferiorità della donna assolve molte funzioni ed è solidamente sorretto da cause sociali e psicologiche. La più profonda in questo campo proviene dalla nostra prima infanzia. Nasce dal risentimento del bambino contro la madre per la sua dipendenza totale da lei, dalle sue gelosie e invidie. Il bambino invidia la madre perché ha un ventre nel quale crescono i suoi fratelli, e un seno che li alimenta. La invidia anche per il piacere e i figli che le dà il padre. Tutti questi sentimenti precoci rimangono attivi nell’inconscio. Essi servirono come base psicologica per mantenere la donna in uno status di inferiorità, che lei stessa accettava con rassegnazione; sprovvisti ora di una forma di sfogo socialmente accettabile sono causa di molteplici conflitti all’interno e all’esterno della coppia. Questo pregiudizio serviva da appoggio alla stabilità della società. Delimitava i campi di azione dei due sessi, e, benché penalizzasse la donna, rendeva anche possibile ad ambedue i sessi di sentirsi sicuri all’interno del proprio ruolo rigidamente definito. In questo modo, per esempio, Krafft-Ebing, il grande sessuologo del secolo scorso, poteva descrivere come caratteristica della donna virilizzata la sua capacità di fischiare o il gusto per la birra e le sigarette. Ma ora che era stato comprovato che l’inferiorità della donna non era altro che un pregiudizio, tanto l’uomo che la donna cominciarono a sentirsi insicuri, a dubitare dei propri diritti e dei propri doveri nel nuovo status imposto da una società in trasformazione. La donna del dopoguerra agiva ribellandosi alla madre, al padre e al partner. Aveva ottenuto molto, ma i suoi successi erano pur sempre all’interno di una società fallocratica. Si sentiva uomo per la sua libertà sessuale e le sue sublimazioni. Proprio per questo l’uomo si sentiva spodestato, e nella misura in cui la donna si sentiva meno femminile, l’uomo temeva per la propria virilità. A poco a poco la situazione cambiò. Ora che i successi della donna non si basavano più sulla ribellione contro la società, il suo lavoro e i suoi capelli corti perdevano il loro carattere di sfida. I padri della generazione seguente accettavano ormai che le figlie studiassero e lavorassero. In termini psicoanalitici l’interrogativo si pone in questi termini: la donna che lavora senza necessità economica assoluta lo fa per rivalità

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con l’uomo, per invidia del pene o per un’autentica vocazione e sublimazione dei suoi istinti materni? Questo interrogativo ha una risposta concreta a seconda di ogni caso individuale e di ogni nucleo sociale. La relatività dei nostri concetti e dei nostri valori impedisce una risposta generale e di validità assoluta. Questa stessa relatività induce al confronto con altre società per scoprire ciò che è caratteristica intrinseca della donna e ciò che invece appartiene a variabili culturali. Se volessimo risalire fino agli stadi preistorici ci scontreremmo inevitabilmente con diverse teorie. È quasi universalmente accettato che un tempo esisteva il matriarcato, del quale rimangono alcune vestigia in società primitive. Matriarcato significa un certo predominio sociale della donna e il disconoscimento pratico della paternità, con la conseguenza che tanto la parentela che l’eredità sono rette unicamente dalla linea materna. Benché ci siano pochi dubbi sul fatto che tale epoca sia esistita, ci sono teorie molto diverse sulle conseguenze pratiche che il matriarcato aveva sulla vita sociale e sulla forma in cui l’uomo ottenne per sé la supremazia sociale e riuscì ad iniziare l’era del patriarcato in cui continuiamo tuttora a vivere. Secondo Engels, per esempio, la prima divisione del lavoro sorge tra uomo e donna per la procreazione dei figli e il primo antagonismo di classe e oppressione di una da parte dell’altra appare con l’avvento del patriarcato quando gli uomini sottomettono le donne. Da allora la donna rimane confinata in un ruolo sociale ristretto. Le ricerche antropologiche condotte in diverse società primitive dimostrano chiaramente che la primitiva supremazia sociale femminile era basata sulle funzioni biologiche della donna e sull’influenza psicologica che ne conseguiva. Prendiamo, per esempio, gli Arapesh, popolo primitivo della Nuova Guinea, la cui vita sociale e il cui carattere sono stati magistralmente descritti da Margaret Mead in Sesso e temperamento. Gli Arapesh vivono in una società patriarcale che tuttora conserva alcune tracce dell’organizzazione matriarcale. È gente povera, gentile, laboriosa. Per loro non esistono differenze di temperamento o intellettuali tra uomo e donna. Sono comunque gli uomini che si assumono le responsabilità e che si dedicano a certe attività, come il culto religioso e l’arte, che sono vietate alle donne. Essi sostengono che la donna potrebbe pregiudicare le sue capacità procreative se si dedicasse a qual-


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cosa di soprannaturale. Ci si prende molta cura di lei in questo senso. Tuttavia, evidentemente, questa spiegazione non basta per comprendere perché l’uomo si assuma queste responsabilità davanti alla donna. Qui interviene un altro fatto interessante. Tra gli Arapesh, la bambina, quando arriva ai sei o sette anni, viene promessa al suo futuro sposo, che ha circa otto anni più di lei e si trasferisce nella casa di lui, che lavora con la sua famiglia per mantenerla. Quando la ragazza arriva alla maturità sessuale, si compiono diversi riti di iniziazione, che culminano in un digiuno. Mentre la giovane fidanzata sta digiunando, reclusa nella capanna della prima mestruazione, il suo fidanzato prepara una zuppa fatta con diverse foglie di valore rituale. Alla fine delle cerimonie il fidanzato le dà un cucchiaio avvolto in una foglia, ed è lui stesso che come una madre la aiuta a mangiare e le sostiene la mano portandogliela alla bocca, come se alimentasse un bambino. Dopo la seconda cucchiaiata lei continua a mangiare da sola, come se avesse ormai acquistato abbastanza forza per farlo, e da quel momento la collettività li considera come marito e moglie, lasciandoli liberi di consumare il matrimonio quando lo desiderino. Analizzando questo tipo di fidanzamento si arriva alla conclusione che l’uomo acquisisce dei diritti sulla donna perché assume il ruolo della madre; egli infatti la porta a casa sua quando è ancora giovane. Margaret Mead racconta che se nasce qualche conflitto tra coniugi, il marito non si basa mai sul diritto dell’uomo per obbligarla a ubbidire, ma le dice: “Io ho lavorato il sagù, ho coltivato l’igname, ho ucciso il canguro e ho fatto il tuo corpo. Io ti ho fatto crescere. Perché tu non porti la legna quando te lo chiedo?” Quindi l’uomo ha potere sulla donna perché l’ha fatta crescere per mezzo di sacrifici, come il feto cresce dentro la madre nutrendosi di lei. Vediamo dunque che in questa società, che non si è ancora completamente allontanata dal matriarcato, gli uomini ottengono la loro autorità, acquisita da relativamente poco tempo, proprio assumendo un ruolo materno di fronte alla sposa. Lo stesso avviene anche con i figli. Durante le prime settimane della gravidanza della donna il marito è obbligato a compiere il coito con la maggiore frequenza possibile, perché si crede che il seme può alimentare il feto all’interno dell’utero. Lo fa crescere, come precedentemente ha fatto crescere la fidanzata.

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Marie Lisbeth Glas Hauser Langer, di famiglia ebrea, si laurea in medicina a Vienna dove si forma come psicoanalista. Iscritta al partito comunista, nel 1937 partecipa attivamente alla guerra di Spagna. Emigra col marito in America Latina e si stabilisce in Argentina dove è tra i fondatori dell’APA (Associazione Psicoanalitica Argentina) e dove approfondisce la propria formazione e la sua ricerca. Con l’inizio della dittatura militare, emigra in Messico per tornare in Argentina nell’ultimo periodo della sua vita. Qui muore nel 1987. La meridiana ha pubblicato di Marie Langer Frammenti di un’autobiografia. La neutralità impossibile dello psicoanalista (a cura di Maria Elena Petrilli, 2021).

ISBN 978 - 88 - 6153 - 903-7

Euro 35,00 (I.i.)

Marie Langer

Marie Langer

Maternità e Sesso

e

Sesso

Studio psicoanalitico e psicosomatico

Maternità

Maternità e sesso, uscito nel 1951 in Argentina, è stato il primo testo di Marie Langer ad essere pubblicato in Italia nel 1981 collocandosi all’interno della lunga ricerca che le psicoanaliste donne hanno intrapreso per rispondere all’interrogativo di Freud: La grande domanda, alla quale nemmeno io ho saputo rispondere malgrado trent’anni di lunghe ricerche, è questa: che cosa vuole la donna? Attraverso questo testo, Marie Langer aiuta a scoprire e a portare avanti la ricerca sul sentire femminile, sul vissuto interiore della donna, sulle conflittualità relazionali che vivono ogni madre, moglie e figlia. Sono sentimenti, stati d’animo e vissuti contraddittori che ancor di più in questo inizio del terzo millennio, a distanza di settanta anni dalla prima pubblicazione di questo testo, segnano il nostro tempo. Ad una maggior libertà culturale non ha dunque corrisposto un’importante liberazione psichica. Alle volte i sintomi che narrano questa storia di identificazioni tra donne della famiglia sono ancora più enigmatici, ma permangono dolorosamente nella vita di molte ragazze, madri e anziane signore. La repressione sessuale oggi è meno incisiva, ma non è meno intenso il dialogo di ogni donna con il suo corpo. Riproporre al pubblico questo libro significa riportare la dimensione femminile al centro della ricerca del sapere psicosocioanalitico mostrando come le fantasie sul corpo determinino le paure più profonde. Dice Langer aprendo il suo libro: “Questo è un libro in più sulla donna. Uno tra i tanti”. Noi vorremmo ribadire che è un libro unico e cruciale per comprendere il mondo femminile. (dalla Presentazione a cura di Aurelia Galletti e Paola Scalari)


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