Occorre un uomo

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figura imprescindibile per la comprensione e la messa in pratica di una pedagogia della liberazione che ci appare oggi più necessaria che mai di fronte alle razionali paure di un nero futuro incombente, al sentimento della indispensabilità di una reazione nei confronti delle manipolazioni che finanza e cultura mettono in atto per il dominio e che, coscientemente o meno, avvicinano la fine dell’uomo”. Dalla Prefazione di Goffredo Fofi

ISBN 978-88-6153-878-8 ISBN 978-88-6153-711-8

Euro 14,50 Euro 15,50 (I.i.)(I.i.)

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LazzaroDaconto Gigante Giuseppe

OCCORRE UN PENSIERI SOSTENIBILI AI UOMO PIEDI DI UN BAOBAB

nazzo (Bari), di vive a Roma. Laureato in stico, docente pedagogia presso l’UniverEconomia all’Università Aldo Moro di Bari e sità LUMSA e giudice onorario del Tribunale alla Caffè Roma 3, si dedica anche per Federico i minorenni di di Bari, è membro del comiallo scoutismo cattolico e al volontariato tato scientifico della rivista “Minorigiustizia”. politico, la Pugliaha e Roma. Attualmente Con la tra meridiana pubblicato Prestamiè economista presso Fondosviluppo, il fondo orecchio (2005) e Di padre in padre (2008). mutualistico di Confcooperative, all’interno DonCentro ToninoStudi. BelloSilooccupa ha nominato responsadel principalmente di bile del settore minori a rischio della Caritas economia cooperativa, sviluppo e politiche e gli ha affidatoNel l’osservatorio delle lo povertà della coesione. 2018, l’amore porta e il coordinamento dell’équipe del esperienza Centro di alcuni mesi in Senegal: da questa solidarietà di Molfetta. nasce il libro.

“Tantisisono i punti di taccuino incontro tra visione Non tratta di un di una viaggio, di sostanun rezialmente religiosa dell’ e ducazione, quale quella di don portage giornalistico, di un racconto romanzato di Tonino Bello e dell’appassionato autore che narra incontri. Non è un saggio di politica o di economiae analizza in questo volume le sue e il svisuo sull’Africa, sulla sua cultura, né convinzioni un libro sullo luppo sostenibile. Ma è di ununpo’laico, tuttodiciamo questo.pure Queste modo di agire, e quella un pagine sono un melting di qui emozioni non credente quale sono pot io che scrivo.eIlriflessioni punto di che l’autore scoprendo in quel pezzodi dipartenza mondo, arrivo è assaifasimile ancheche quando il punto rappresentato è diverso. [...] nelle cartoline dai baobab, come nel nostro, in tuttiche i sud terra,sono c’è ancora da Dice come don Tonino glidella educatori colorotanto ‘che difare, tantoil da costruire, tanto da migliorare. sturbano manovratore; coscienza critica; spina dell’iIn filigrana il libro contiene che essennappagamento conficcata nelconsiderazioni fianco del mondo’ , ed è zialmente riguardano noi europei, racchiuse in questa una definizione appassionata e definitiva una che domanda provocatoria: non crede, è che tutti ci stiamo concerne chi crede e chi non coloro “africache avnizzando”? vertono nel loro sangue e nella loro anima l’indispensaSe è vero che quei luoghi assoluta pongonodi domande bilità, il dovere, la necessità reagire allastrinStogenti sul futuro, proprio dal confronto tra noi e loro, ria, all’imperfezione dell’uomo e delle sue costruzioni, Senegal e Italia, sicuramente nemmeno troppo lontani del potere e all’oscenità delle sue maealla purprepotenza sempre dello stesso pianeta, sorge un dubbio: nifestazioni. I credenti, forse, perché forti del loro Dio, verso dove stiamo andando? con minor “eroismo” dei Ed ecco che guardare non-credenti, e raccontaremauncertamente pezzetto non con minore impegno, minore passione. medell’Africa, il Senegal, puòcon servire a parametrare Don ilTonino come dimostra l’appassionato e però glio nostroBello, futuro, come umanità, senza distinzioanche stimolatore e provocatorio saggio che abbiamo ni di sorta, partendo da alcune immagini forti come ora in mano,metaforici” è stato, da dentro la Chiesa, un educatore “chiavistelli per entrare in questa porzione vero e grande e ben più socratico che aristotelico, una di continente e rapportarla al nostro.

edizioni la meridiana

Lazzaro Gigante , già dirigentedi scolaGiuseppe Daconto , originario Giovi-

GIUSEPPE DACONTO

Lazzaro Gigante

OCCORRE UOMO P E N SUN IE RI TONINO BELLO EDUCATORE SOSTENIBILI AI PIEDI DI UN BAOBAB Prefazione di Goffredo Fofi

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Lazzaro Gigante

Occorre un uomo

Tonino Bello educatore Prefazione di Goffredo Fofi

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Indice

Prefazione di Goffredo Fofi

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Introduzione 15 Il sapere sull’uomo e sul cittadino Il disprezzo per l’uomo Lo stupore per l’uomo Lo svuotamento dell’io. Il volto dell’altro L’ultimo e l’oppresso gridano “anche noi vogliamo essere uomini” Il cittadino L’uomo planetario

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Il formato della relazione 59 Il “faccia a faccia” 59 La direzionalità dello sguardo e il nome 62 La parola 66 L’investitura 70 Le regole di protezione 73 La sinergia 77 Il metodo 82 L’azione concreta I bambini educatori e la famiglia I giovani I laici La cittadinanza

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I lontani 100 La cultura 102 Una casa per la pace 105 Pax Christi 109 C.A.S.A. 111 I “centri” di accoglienza 113 Biografia di don Tonino Bello

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Bibliografia 121

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Introduzione

Ciò che occorre è un uomo / non occorre la saggezza. Ciò che occorre è un uomo, / in spirito e verità. / Non un paese, non le cose. / Ciò che occorre è un uomo / un passo sicuro, e tanto salda / la mano che porge, che tutti / possano afferrarla e camminare / liberi, e salvarsi.

Con questa poesia di Carlo Betocchi don Tonino Bello esalta il compito dell’uomo e amplia, come non avverrebbe con un trattato, ancora di più i confini smisurati dell’educazione. Molti sono questi confini. Due emergono inevitabilmente. Il primo riguarda la carriera umana: necessaria quanto difficile. Pone moltissime domande, alcune tremende. Sono questioni che occupano e preoccupano da sempre genitori, insegnanti, educatori. Più di duemila anni fa un dialogo famoso si svolge ad Atene tra due interlocutori: So che tu hai due figli. Se fossero puledri, sicuramente ti rivolgeresti a chi è capace di renderli cavalli perfetti. Ma siccome sono uomini, chi pensi sia abile a sviluppare in loro le doti proprie dell’uomo e del cittadino?1.

Circa tre decenni fa don Tonino Bello scrive: Noi pensiamo che si nasca uomini. E, invece, uomini si diventa. Pagando il prezzo di lunghe fatiche […] Farsi uomo. È tutto un programma. Che va svolto con pazienza. Che deve essere scrupolosamente approfondito. È il dialogo, reso in modo succinto, tra Callia e Socrate che si trova in Platone, Apologia di Socrate, 20a. 1

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Che richiede i suoi tempi. Che non può essere bruciato con riassunti superficiali, o abbreviato con scorciatoie di comodo […] Dobbiamo intraprendere anche noi quella difficile carriera di “umanità” nella quale pensavamo di essere, per diritto di nascita, professionisti consumati, mentre siamo costretti a riconoscerci appena novizi, alle prese con le prime regole dell’apprendistato […] Esperti in umanità. Uomini fino in fondo. Anzi, fino in cima2.

La passione di don Tonino per l’uomo ha, quindi, radici profonde. Rimanda agli inizi della riflessione sull’educativo, cioè sull’educabilità dell’uomo, sul suo cammino verso la libertà, sul raggiungimento della felicità. Il nucleo primario di questo approccio, relativo alla umanazione o dis-umanazione, si serve della “sapienza umana”, quella che Socrate voleva si riconoscesse a lui3. Essa, libera da schematismi, si confronta con i problemi enormi della realizzazione del Bello A., Una difficile carriera, in Bello III, p. 222. “Nell’Apologia (28e-30), in una pagina non tra le più note ma tra le più intrise di ironia tragica, Platone fa esprimere a Socrate il senso primitivo del suo insegnare. L’anthropine sophia (sapere umano e umanante), che lui coltiva con cura, gli ha disvelato che c’è una distinzione netta tra sapere e sapere. La spaccatura è questa: c’è il sapere che, trasmesso, fornisce agli uomini informazioni utili, conoscenze superbe, e li immette nel mondo vasto della cultura (sapere A). Alimenta il flusso del progresso, è impartito da autorità riconosciute, è oggetto di sicuro riconoscimento. E c’è il sapere che, accolto, risveglia, illumina, sconvolge, direziona o ridireziona il vivere personale verso la pienezza umanamente possibile (sapere B). Esso non condiziona né costringe, accende il potenziale umano fin nel fondo libero della sua natura. È un incendio che per sé si propaga e interessa la qualità primaria della convivenza. È insidioso verso i sistemi, che mal ne sopportano l’apparire. Si fonda su sicura autorevolezza, ma nessuno sembra potersene attribuire l’autorità”. Così Ducci E. (a cura di), Aprire su paideia, Anicia Roma, 2004, pp. 15-6. Nella storia della pedagogia contemporanea la prospettiva dell’umanizzazione o umanazione (diventare uomo per l’uomo) è stata assunta e analizzata da Edda Ducci nei suoi numerosi scritti. Tra i tanti, oltre a quelli fondamentali su Ferdinand Ebner (coautore Pietro Rossano), si ricordano qui: Ducci E., Approdi dell’umano, Anicia, Roma 1992; Id. L’uomo umano, La scuola, Brescia 1999. Sulla figura di questa pedagogista si vedano: Costa C., Per una filosofia dell’educazione. La riflessione di Edda Ducci attraverso i suoi scritti, Anicia, Roma 2014; Mattei F., Costa C., Edda Ducci. La parola che educa, Anicia, Roma 2017. 2 3

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potenziale umano: che idea di uomo ho? Che sento di lui? Cosa faccio concretamente per lui? Ho presenti le particolari esigenze educative relative alle diverse energie umane? È, allora, una sapienza che cerca di comprendere tutto l’uomo, anche le sue dimensioni che sfuggono ai percorsi scientifici, pur necessari. Questa sapienza umana pone, pertanto, tre domande fondamentali all’educativo: •

Chi sa cosa vuol dire rendere l’uomo e il cittadino migliori? Esiste un sapere sull’uomo e sul cittadino? Lo dichiara chi vuole essere educatore? E qual è? • Chi è in grado di farlo? Chi ha gli strumenti per realizzare l’educazione? Con quale formato? • Chi è davvero interessato a farlo? Chi realizza concretamente il proprio dovere educativo? Chi può definirsi autore e non ripetitore di teorie? Quali gli eventi che lo dimostrano?4 In ognuna di queste domande si trova il tema di fondo dei successivi capitoli. Il primo capitolo è la risposta alla domanda circa il sapere di don Tonino sull’uomo e sul cittadino. Il secondo lo interroga sugli strumenti e sul formato del suo rapporto educativo. Il terzo è un racconto-testimonianza che don Tonino è stato educatore autorevole e maestro di vita non a parole ma nei fatti. Il secondo confine riguarda la carriera umana che don Tonino indica. È di difficile lettura, anche perché non ce la descrive con uno svolgimento organico e sistematico. Affinché venga compresa nella sua profondità è necessario riviverla concretamente con lui. E qui emerge il limite di questo libro, che non è, né vuole essere, una biografia. Per due motivi. Anzitutto perché ci sono già belle pubblicazioni a riguardo5. In secondo luogo don Tonino stesso avverte: Ducci E. (a cura di), Preoccuparsi dell’educativo, Anicia, Roma 2002, p. 13. Si vedano in Bibliografia: Amato, 2013; Angiuli, 2015; Di Molfetta, 1996; Magarelli, 1996; Paronetto, 2012; Ragaini, 1994; Torsello, 2010. 4 5

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le biografie mi insospettiscono. Sono il sintomo della paura che un ricordo non riesca a sopravvivere nella coscienza popolare e allora lo si impaglia con le ritualità imbalsamatrici del mito6.

In questo libro, dunque, si ritrovano solo alcuni suoi frammenti, in particolare quelli di continuità tra Alessano, Ugento, Tricase e Molfetta. Alcune tessere sicuramente mancheranno nel mosaico della sua vita tra noi. Così attribuisco a lui ciò che egli stesso dice di un altro vescovo: […] ebbe così spiccato il senso della modestia, che non doveva essergli estranea la concezione della vita intesa come cumulo di frammenti poveri, quasi tasselli di un mosaico, che la mano di Dio in parte scarta tra i rifiuti e in parte adopera per inserirli nel suo grande disegno7.

Lo scopo di queste pagine è ridare vitalità a questi frammenti. Ho evitato di rielaborarli e commentarli per far emergere unicamente don Tonino. Ho cercato di mettere ogni cura nel raccoglierli, ponendo massima attenzione al loro contesto. Li ho ricomposti con alcuni paradigmi che ora preciso. Passione per l’umano Egli non si ritiene sociologo, o politico, o pedagogista, o esperto di scienze umane. Sono […] vescovo che vive determinate esperienze e porta nella sua anima le stigmate di alcune contraddizioni di questo nostro mondo violento; che si trova anche lui tra diluvio e arcobaleno […] Un po’ come Noè, insomma, che usciva sulla tolda dell’arca per misurare i guasti del diluvio: in una mano aveva lo Bello A., Presentazione, in Bello VI, p. 21. Ivi. È il ricordo che il vescovo don Tonino traccia del suo predecessore a Molfetta, mons. Achille Salvucci, nel centenario della nascita. 6 7

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scandaglio, mentre con l’occhio scrutava il cielo in attesa dell’arcobaleno8.

Non ha, quindi, una teoria pedagogica, non ha definito un sistema di principi metodologici e organizzativi, né è evidente in lui un apparentamento con altre teorie o sistemi. È utile riportare qui ciò che don Tonino afferma in una questione analoga: Come maestro di pace io sento profondamente solo Gesù Cristo. Nel suo messaggio e nella sua esperienza terrena si concentra tutto lo shalom di cui è gravida la Sacra Scrittura […] Tutti gli altri li sento come condiscepoli. Bravissimi quanto volete, originali, generosi, ma sempre condiscepoli. Nella condizione, quindi, di poter sbagliare per eccesso di zelo o per inesattezza di formule. Mi hanno comunque stimolato nella ricerca. Mi hanno provocato all’emulazione. Mi hanno aiutato con l’esempio. Sono debitore verso tanti. Qualche nome? Tra quelli che ho conosciuto di persona: La Pira, Lercaro, Bettazzi, Carretto, Turoldo, Balducci, il mio vescovo Mincuzzi… E poi la gente, i diseredati della mia parrocchia, i poveri della mia diocesi, gli umili e i semplici che ho incontrato nella mia esperienza pastorale9.

Se, talvolta, fa dei riferimenti, diretti e indiretti, a educatori e pedagogisti, come ad esempio don Bosco, Capitini, Dolci, Freire, don Milani, egli ne metabolizza il pensiero in “maniera tutta particolare e personale”10. Per questo non Bello A., Verso una società solidale, in Bello VI, p. 255. Bello A., Pacifisti non codardi, in Bello VI, p. 496. 10 Di Molfetta F., Don Tonino, vescovo a Molfetta dagli anni della scelta degli ultimi a quelli della evangelizzazione e testimonianza della carità, in “Siamo la Chiesa”, 2, 1996, p. 14. In tal senso anche don Tito Oggioni Macagnino, collega educatore di don Tonino fino al 1962, che di lui sottolinea il personale ritmo e stile educativo. Cfr. Oggioni Macagnino T., Don Tonino, educatore moderno del clero ugentino, in “Siamo la Chiesa”, 2, 1995, pp. 10 e sg. Di questo vedasi il seguito delle riflessioni. Comunque non è agevole trovare una sistematicità nelle argomentazioni di carattere educativo di don Tonino. Anche per tale questione vale quanto afferma mons. Marcello Semeraro e, cioè, che don Tonino, al di fuori del progetto pastorale diocesano pubblica8 9

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è da considerarsi un ripetitore, in quanto si serve di quegli approcci per realizzare e proporre una propria prospettiva. E questa la vedremo nel corso dell’argomentazione. Transumanza Egli ha vissuto il processo di trasformazione sociale, culturale ed ecclesiale del secolo scorso. Ha constatato il tramonto di certezze stabilizzate e di narrazioni ideologiche che fissavano sicuri orientamenti di vita personale e collettiva. Ha, però, accolto come un’importante opportunità le nuove istanze di rinnovamento culturale e religioso oltre che dei sistemi di relazione sociale e civile. Si è confrontato con il pluralismo, la globalizzazione, i flussi migratori, il sottosviluppo, il degrado ambientale, ecc. Ha individuato le profondità di questo viaggio: verso se stessi e l’altro11. Egli parla di tre transumanze dell’uomo: dalla produzione dei servizi (la sola assistenza) a quella della cultura (la coscienza critica); dalla cultura dell’indifferenza (il dono) a quella della differenza (lo scambio); infine dalla cultura della differenza alla convivialità delle differenze, cioè della festa che fiorisce solo quando i fratelli si trovano insieme12.. Se c’è una conversione che dobbiamo chiedere alle nostre comunità è proprio quella di essere capaci di librare la speranza, di saperla organizzare, di dare carne e sangue agli aneliti dei piccoli, dei poveri: di disegnare, sì, to il 25.12.1984, non “ha prodotto qualcosa che abbia la forma di una esposizione sistematica […] Gli scritti di mons. Bello hanno il carattere dell’occasionalità. Non è una critica ma, piuttosto, un elogio e un riconoscimento alla sua ‘pastoralità’”. Cit. Semeraro M., La Chiesa del grembiule. Pensiero ecclesiologico di mons. Antonio Bello, in “Luce e Vita. Documentazione”, 1, 1997, pp. 56-7. 11 La metafora della strada è una metafora antica e profonda dell’educazione; indica l’andare verso l’Altro e l’Oltre: “il pellegrinaggio più faticoso è quello che porta l’uomo dalla periferia al centro del proprio cuore. Il più lungo, quello che conduce alla casa di fronte, sullo stesso pianerottolo. Il più serio, quello che porta all’incontro con Dio”. Bello A., Osare la pace, in Bello VI, p. 365. 12 Bello A., Verso una società solidale, in Bello VI, p. 267. 20

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per loro le grandi sporgenze utopiche del Vangelo, ma anche di disegnare i percorsi concreti per raggiungere queste cime utopiche. […] È un passaggio da una terra all’altra (trans-humus) molto difficile, però è quello che ci resta13.

Laicità Sembra strana questa curvatura di lettura dei frammenti di don Tonino che sono la rappresentazione della sua più radicale dichiarazione al suo interlocutore: “Devo fare tutto quello che dice il Vangelo, alla lettera!”. Quindi, si potrebbe obiettare che il quadro di riferimento concettuale e operativo di mons. Bello sia orientato ai processi di formazione religiosa, di iniziazione cristiana, di catechesi. Non è così. Don Tonino, ricordando la doppia polarità tra la passione per il cielo e quella per la terra, raccomanda di evitare di cristallizzarsi su una di esse. Vale la pena leggere questa parte, tratta da un messaggio scritto da lui ai politici, educatori non solo di fatto: Per dirvi che la più grande opera di misericordia che voi politici potete compiere è quella di rimanere fedeli a Dio e fedeli all’uomo, desidero prendere l’avvio da una lettera che Dietrich Bonhoeffer, teologo luterano, scrisse nel campo di concentramento nazista il 20 gennaio 1944: “Dio e la sua eternità devono essere amati da noi Bello A., Educare all’altro nella scuola, in Bello VI, p. 292. Nell’omelia della messa celebrata il 14.11.2021 nella basilica di S. Pietro per la giornata mondiale dei poveri Papa Francesco ha detto: “Di recente mi è tornato in mente quel che ripeteva un Vescovo vicino ai poveri, e povero di spirito lui stesso, don Tonino Bello: «Non possiamo limitarci a sperare, dobbiamo organizzare la speranza». Se la nostra speranza non si traduce in scelte e gesti concreti di attenzione, giustizia, solidarietà, cura della casa comune, le sofferenze dei poveri non potranno essere sollevate, l’economia dello scarto che li costringe a vivere ai margini non potrà essere convertita, le loro attese non potranno rifiorire. A noi, specialmente a noi cristiani, tocca organizzare la speranza – bella questa espressione di Tonino Bello: organizzare la speranza –, tradurla in vita concreta ogni giorno, nei rapporti umani, nell’impegno sociale e politico”. Cfr. https://tinyurl.com/8e5twjk 13

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pienamente. Ma questo amore non deve nuocere a un amore terrestre né affievolirlo”. Un anno dopo, all’alba del 9 aprile 1945, venne impiccato a Flossenbürg. Nella sua cella trovarono la Bibbia e Goethe. Il massimo dei libri sacri e il massimo dei libri profani. Due simboli. L’uno, della passione per il cielo. L’altro, della passione per la terra. Fedeltà a Dio e fedeltà all’uomo. Già un altro teologo protestante, Karl Barth, aveva detto che il cristiano del Ventesimo secolo si caratterizza per il fatto che sulla scrivania ha da una parte la Bibbia e dall’altra il giornale. E un grande politico, Giorgio La Pira, ripeteva che il cristiano deve pregare contemplando il mappamondo che tiene sul comodino. Comprendete già che l’asse su cui voi politici potete esprimere il dovere della misericordia ha due poli. Dio, il cielo, la Bibbia da una parte. L’uomo, la terra, Goethe dall’altra. Per chi non crede in Dio potremmo dire: il senso globale delle cose, la visione metastorica, l’orizzonte complessivo da una parte. La concretezza, il mappamondo, il giornale dall’altra […] Di qui già scaturisce tutta una galassia di interrogativi su cui ognuno di voi può misurare la sua attitudine alla misericordia. Misericordia che, occorre dirlo, nel linguaggio biblico non significa tanto pietà, quanto tenerezza, lealtà, bontà, cuore fedele, stile generoso, animo disponibile, comportamento disinteressato 14.

Ho messo, quindi, in evidenza la laicità delle implicazioni pedagogiche della testimonianza di don Tonino, senza negare o sottacere gli assi teologici del suo pensiero: Questo viaggio verso l’uomo lo dobbiamo inaugurare, e non sulle carte geografiche disegnate dai teologi, ma sulle carte topografiche disegnate dai sociologi, dagli antropologi, da tutti coloro che si piegano all’uomo per studiarne la natura. E quando noi, sulle carte geografiche […] ci saremo mossi alla ricerca dell’uomo, noi allora andremo a portargli l’annuncio di Dio15.

Bello A., Capaci di misericordia, in Bello VI, p. 58. Cfr. Cei, Il rinnovamento della catechesi, (Documento base), 1970. 15 Bello A., Omelia per il congresso mariano diocesano, in Bello II, p. 173. 14

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Il

sapere sull ’ uomo e sul cittadino

Se è difficile autodefinirsi educatore, è più facile assegnare tale qualifica. Per farlo, nell’Introduzione ho posto le tre classiche domande per garantire l’accredito. Socrate ha definito la prima: chi sa cosa vuol dire rendere l’uomo e il cittadino migliori? Qual è il sapere sull’umano dell’educatore? Don Tonino si pone quell’interrogativo perché abita la città dell’uomo senza fughe. Tiene a dire: “io sono compagno davvero dell’uomo”16; compagno dell’uomo concreto, non di una categoria sociologica astratta o di una prospettiva ideologica.

Il disprezzo per l’uomo Egli non condivide l’orientamento culturale “negativo” nei riguardi della concezione dell’uomo17. Nel 1982 da parroco scrive: Dovreste leggere un bellissimo articolo di Italo Mancini apparso su “Il Regno”, dal titolo Rizoma. Il rizoma è una pianta senza radice, senza fusto […] metafora della realtà: niente sopra, niente alto, niente radici; inoltre, volontà smemorizzatrice, il passato non ci interessa, demolizione della memoria, distrazione del passato; e la mancanza dell’“alto”, della verticalità, significa l’as Bello A., La bisaccia del cercatore, la meridiana, Molfetta 2007, p. 48. È un filone di pensiero collegato ai “nuovi filosofi”, sorto intorno al ‘68, in particolare ad A. Glucksmann e B.H. Lévy. 16 17

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senza di ogni trascendenza sia storica, sia metastorica. Queste cose le vivono e le esprimono i ragazzi; nelle scuole le ragionano18.

Questo progetto radicale della civiltà “rizomatica” porta a considerare l’uomo un “pacco” di desideri, di pulsioni, di sentimenti, di aneliti, inscatolato dalla società, dalla morale e dalla religione. Basta rompere le scatole della legge, della morale, della religione, per liberare queste pulsioni. C’è pure il progetto nichilista secondo cui nella storia non c’è un andare verso, una proiezione, c’è solo quello che in termini heideggeriani si dice: “l’essere gettato”. Chi si cura della lametta da barba? Noi la mattina ci facciamo la barba e poi la gettiamo nel cestino. Così è l’uomo, l’essere gettato, un essere per la morte.

Anche per Vattimo “il nostro è un essere declinante verso il nulla”. C’è infine il progetto cibernetico che propone un uomo e un mondo rigorosamente soggetti alla razionalità scientifica, in cui tutto viene determinato […] Questo comporta la violenza sia della disoccupazione tecnologica che quella derivante dalla concentrazione del potere in mano a pochi tecnocrati che hanno la banca dati e possono manipolarli […] Io non sto parlando contro i computer, contro la civiltà, però bisogna stare veramente molto attenti. La scienza e la tecnica sarebbero la grande Pasqua laica dell’umanità e il computer sarebbe il nuovo Mosè, che porta l’uomo verso la liberazione da millenarie schiavitù19.

Questi progetti portano, quindi, al dis-prezzo per l’uomo, alla scorretta stima del suo valore profondo, del tessuto ontologico. Questo spregio si insinua, pure, negli interstizi Bello A., La terra dei miei sogni (a cura di Angiuli V., Brucoli R.), Ed. Insieme, Terlizzi 2015, p. 426. Il termine rizoma è usato da G. Deleuze e F. Guattari. 19 Bello A., La non violenza in una società violenta, in Bello IV, pp. 52-9. 18

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della coscienza di se stessi per scarsa comprensione della vita: Che senso hanno le nostre fatiche e i nostri sudori, le nostre angosce e le nostre gioie, le nostre attese e le nostre speranze, le nostre lacrime, i nostri tormenti, i nostri amori e le nostre delusioni, il nostro vivere e il nostro morire? Ma c’è una direzione verso cui confluiscono le aspirazioni, i dinamismi, i travagli, le macerazioni, i progetti, i fallimenti, le costruzioni dello spirito umano? Perché mai siamo inquieti? Non c’è nulla che copra completamente il nostro bisogno di felicità, e quando pensiamo di aver raggiunto tutto ci accorgiamo che ci manca sempre qualcosa? Da che dipende che nonostante tanta compagnia, avvertiamo la solitudine; che, nonostante la sincerità di certe amicizie e l’intimità di tanti amori, ci accorgiamo che l’altro ci sfugge; che, nonostante i soldi, i piaceri, gli anni giovanili, ci ritroviamo poveri, vuoti e spregevoli?20.

Il dis-prezzo, poi, porta pure all’impoverimento dell’esperienza dell’umano e alla mancanza di rispetto interiore quando ci rapportiamo a un altro. Il guaio è che pervade anche le istituzioni. Caro Massimo, ho saputo per caso della tua morte violenta, da un ritaglio di giornale. Mi hanno detto che ti avrebbero seppellito stamattina, e sono venuto di buon’ora al cimitero a celebrare le esequie per te. Ma non ho potuto pronunciare l’omelia. Perché alla mia messa non c’era nessuno. Solo don Carlo, il cappellano, che rispondeva alle orazioni. E il vento gelido che scuoteva le vetrate. Sulla tua bara, neppure un fiore. Sul tuo corpo, neppure una lacrima. Sul tuo feretro, neppure un rintocco di campana. Ho scelto il Vangelo di Luca, quello dei due malfattori crocifissi con Cristo, e durante la lettura mi è parso che la tua voce si sostituisse a quella del ladro pentito: “Gesù, ricordati di me!”. Bello A., La terra dei miei sogni, op. cit., p. 480. Cfr. Bello A., E troverete ristoro per le vostre anime, in Bello II, p. 371. 20

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Povero Massimo, ucciso sulla strada come un cane bastardo, a 22 anni, con una spregevole refurtiva tra le mani che è rotolata nel fango con te! Povero randagio. Vedi: sei tanto povero, che posso chiamarti ladro tranquillamente, senza paura che qualcuno mi denunzi per vilipendio o rivendichi per te il diritto al buon nome. Tu non avevi nessuno sulla terra che ti chiamasse fratello. Oggi, però, sono io che voglio rivolgerti, anche se ormai troppo tardi, questo dolcissimo nome. Mio caro fratello ladro, sono letteralmente distrutto… No, non sono amareggiato per la tua morte violenta. Ma per la tua squallida vita. Prima che giustamente ti uccidesse il metronotte, ti aveva ingiustamente ucciso tutta la città. Questa città splendida e altera, generosa e contraddittoria. Che discrimina, che rifiuta, che non si scompone. Questa città dalla delega facile. Che pretende tutto dalle istituzioni. Che non si mobilita dalla base nel vedere tanta gente senza tetto, tanti giovani senza lavoro, tanti minori senza istruzione. Questa città che finge di ignorare la presenza, accanto a te che cadevi, di tre bambini che ti tenevano il sacco! Prima che giustamente ti uccidesse il metronotte, ti avevano ingiustamente ucciso le nostre comunità cristiane. Che, sì, sono venute a cercarti, ma non ti hanno saputo inseguire. Che ti hanno offerto del pane, ma non ti hanno dato accoglienza. Che organizzano soccorsi, ma senza amare abbastanza. Che portano pacchi, ma non cingono di tenerezza gli infelici come te. Che promuovono assistenza, ma non promuovono una nuova cultura di vita. Che celebrano belle liturgie, ma faticano a scorgere l’icona di Cristo nel cuore di ogni uomo. Anche in un cuore abbrutito e fosco come il tuo, che ha cessato di batter per sempre. Prima che giustamente ti uccidesse il metronotte, forse ti avevo ingiustamente ucciso anch’io che, l’altro giorno, quando c’era la neve e tu bussasti alla mia porta, avrei dovuto fare ben altro che mandarti via con diecimila miserabili lire e con uno scampolo di predica. Perdonaci, Massimo. Il ladro non sei solo tu. Siamo ladri anche noi perché prima ancora che della vita, ti abbiamo derubato della dignità di uomo. 26

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Perdonaci per l’indifferenza con la quale ti abbiamo visto vivere, morire e seppellire. Perdonaci se, ad appena otto giorni dall’inizio solenne dell’anno internazionale dei giovani, abbiamo fatto pagare a te, povero sventurato, il primo estratto conto della nostra retorica. Addio, fratello ladro. Domani verrò di nuovo al camposanto. E sulla tua fossa senza fiori, in segno di espiazione e di speranza, accenderò una lampada21.

La negazione della dignità dell’altro, l’insoddisfazione di se stessi e una cultura negativa sembrano portare dritto all’irreversibile condanna dell’esistenza, senza alcuna possibilità di recupero.

Lo stupore per l’uomo Don Tonino, invece, con il supporto della sua formazione teologica e filosofica22 continua a ragionare: quando il cuore si fermerà, cadrà il muro d’ombra e davanti al Signore comparirà l’essere profondo della nostra persona […] Sappiamo che il muro d’ombra c’è davanti a tutta la gente malfamata, avvilita, handicappata, povera, la gente che piange, la gente esaurita23.

Peraltro, non fa l’elenco dei disprezzati con una classifica scientifica, ma li considera con quella sapienza “umana”, detta prima, che guarda a tutto il potenziale dell’uomo, non contenibile in schemi o ideologie. Il suo è un atteggiamento di cura primaria, più che di studio. Bello A., Lettera a Massimo, ladro, ucciso a Molfetta la notte dell’8 gennaio 1985. Anno internazionale dei giovani, in Bello V, pp. 275 e sg. 22 Don Tonino, ad esempio, sa bene che San Tommaso nella Summa contra Gentiles afferma che sottovalutare la perfezione delle creature significa sminuire la perfezione del creatore. Cfr. Bello A., La terra dei miei sogni, p. 304. 23 Bello A., Omelia per il Capitolo Generale delle Suore Francescane Alcantarine, in Bello II, p. 182. 21

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È morto l’altr’anno, pace all’anima sua. Ma ogni volta che nella recita del breviario mi imbatto in quel versetto del Salmo 8 che dice: “L’hai fatto poco meno degli angeli”, non posso fare a meno di ricordarmi di lui. Povero Giuseppe! Viveva allo sbando, come un cane randagio. Aveva trentasei anni, e metà dell’esistenza l’aveva consumata nel carcere […] “Vedi, Basilica Minore è quella fatta di pietre, Basilica Maggiore è quella fatta di carne. L’uomo insomma. Basilica Maggiore sono io, sei tu! Basilica Maggiore è quel bambino, è quella vecchietta… Casa del re” […] Me ne tornavo a piedi verso casa, quando una macchina mi raggiunse e alcuni giovani mi offrirono un passaggio […] Giunti davanti al portone dell’episcopio, si presentò allo sguardo una scena imprevista. Disteso a terra a dormire, infracidito dalla pioggia e con una bottiglia vuota tra le mani, c’era lui: Giuseppe… Ci fermammo muti a contemplarlo con tristezza, finché la ragazza che era in macchina dietro di me mormorò, quasi sottovoce: “Vescovo, Basilica Maggiore o Basilica Minore?”. “Basilica Maggiore” risposi. E lo portammo di peso a dormire. All’alba, volli andare a vedere se si fosse svegliato. Avevo intenzione di cantargliene quattro. Giuseppe riposava, sereno. Un respiro placido gli sollevava il petto nudo. Sotto le palpebre socchiuse luccicavano due pupille nerissime, e la barba dava al suo volto un tocco di eleganza. Forse stava sognando. Mi venne spontaneo rivolgermi al Signore e ripetere col salmo: “Lo hai fatto poco meno degli angeli”. Mi attardai per vedere se avesse le ali. Forse le aveva nascoste sotto il guanciale24.

Davanti a questo mistero di grandezza incommensurabile, don Tonino cerca di indicarne alcune dimensioni ontologiche e antropologiche. Evita l’accademia e, per questo, usa un lessico e un registro “quotidiani”. Anzitutto l’uomo è animato dall’inquietudine: C’è una cosa che accomuna tutti quanti, il vescovo e voi, un adolescente e una donna anziana, i credenti e i non credenti, gli atei e i santi, le monache di clausura Bello A., Lettere ai catechisti, in Bello III, pp. 189-92.

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che si alzano nel cuore della notte in preghiera e coloro che nel cuore della notte fanno delle rapine a mano armata… tutti quanti: il bisogno profondo di felicità. Sperimentiamo davvero, credenti e non credenti, la verità delle parole che sant’Agostino diceva, anche lui alla ricerca ansiosa di spezzoni di felicità, che potessero riempirgli il cuore: “Oh Dio, tu ci hai fatto per te e il nostro cuore è inquieto finché non trova riposo in te”25.

L’uomo, poi, è parola di Dio. La creatura è rappresentazione del suo creatore, tessuto di sensi ed energie di questa partecipazione: […] ha senso la vita? Ragazzi, non solo vi dico di rispondere sì, ma vorrei esortarvi di andarlo a cercare questo senso della vostra vita. C’è il senso! Non siete inutili, siete irripetibili. Ognuno di voi è una parola del vocabolario di Dio che non si ripete più. E non abbiate la preoccupazione che non ci sia la passerella per voi, che la storia non vi offra un proscenio, che non vi dia la copertina di prima pagina, la copertina patinata, che non vi dia il video come schermo delle vostre esibizioni: non vi preoccupate di questo. Non è questo il senso. Voi non avete il compito nella vita di fare scintille, ma di fare luce. Questo è diverso. Molti sono preoccupati di fare scintille nella vita, fare faville, guizzare in modo che gli altri si accorgano della loro presenza […] Nella vita non dobbiamo fare faville, non dobbiamo fare scintille, dobbiamo fare luce. E la luce si può fare anche nel silenzio. Non vi preoccupate se voi nella tastiera non appartenete a quel settore dei tasti che vengono continuamente colpiti dalle dita veloci del pianista e, magari, siete relegati in quelle note che sembrano stonate per chi non è intenditore, le note gravi o le note alte. Capita che nel concerto ci sia bisogno anche di quella nota. C’è un senso anche nell’oscurità. Anche la sofferenza ha un senso. Anche la tribolazione. Anche la solitudine. Anche l’abbandono. Queste cose le sperimento nella mia vita prima che nella confidenza degli altri. Anche Tratto dal discorso di don Tonino Bello ai maturandi dell’Istituto magistrale di Terlizzi, il 12 aprile del 1991. Consultabile all’indirizzo: leggoerifletto.blogspot.com/2017/07/la-vita-giocatevela-bene-di-tonino-bello.html. 25

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nella bancarotta – purché non sia fraudolenta –, anche nel fallimento, cioè, c’è un senso profondo nella vita. C’è stato un senso profondo anche nella croce di Gesù Cristo!26.

Ogni uomo è irripetibile: “Non ti dimenticherò mai”. È Lui che questa frase la ripete a me, a te, a tutti fin da quando siamo stati concepiti nel grembo materno. Lui che, come dice il profeta Baruc, chiama le stelle per nome ed esse gli rispondono: “Eccomi” brillando di gioia. Lui che non deposita negli archivi i nostri volti ma li sottrae all’usura delle stagioni illuminandoli con la luce dei suoi occhi. Lui che non seppellisce i nostri nomi nel parco delle rimembranze, ma li evoca a uno a uno dalla massa indistinta delle nebulose e, pronunciandoli con la passione travolgente dell’innamorato, li incide sulle rocce dei colli eterni […] “Chi è l’uomo perché te ne ricordi?” La risposta forse la si può trovare accartocciata in quel viluppo di panni in cui Bartolo, la notte, si ripara dal freddo sotto il portale della chiesa. Ai nostri occhi quei panni sembrano cenci che coprono membra fetide di sudore. Agli occhi di Dio invece sono reliquiari che racchiudono frammenti di santità27.

L’uomo è partner privilegiato: Il nostro Dio non soffre di gelosia, non considera l’uomo come suo rivale ma come partner che collabora con Lui nel cantiere sempre aperto della creazione, come socio di pari dignità nella sua cooperativa di lavoro. Non si macera nel timore che l’uomo un giorno o l’altro debba trafugargli i brevetti delle sue creazioni ma gli concede i poteri delegati su tutte le ricchezze dell’universo […] “Gli hai dato potere sull’opera delle tue mani” con queste parole bibliche veniamo messi a conoscenza, se ce ne fosse ancora bisogno, dei nostri diritti regali su tutto il creato. Si badi bene, sul creato da custodire e da portare a compiutezza non da manipolare a piacimen Bello A., Ci vuole audacia, la meridiana, Molfetta 2009, p. 12. Bello A., Lettere ai catechisti, in Bello III, pp. 187 e sg.

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to combinandolo e scombinandolo secondo le lussurie dei nostri capricci28.

È il compagno di altre creature: L’uomo è signore del creato ma non monarca che spadroneggia su tutto […] Oggi, purtroppo a causa della scienza e della tecnica, ma soprattutto con la complicità sotterranea delle leggi del profitto, la natura ha perso la sua plurisecolare funzione di socia dell’uomo. Amputata, sfruttata, disintegrata e ricomposta a piacimento è diventata materia grezza da asservire, schiava da soggiogare, spazio su cui esercitare sconcertanti frenesie manipolatorie. Da compagna a serva, insomma. A causa di quel maledetto delirio di onnipotenza nascosto nell’uomo, a cui però il Signore non ha mai dato carta bianca di poter sfregiare l’intima essenza delle cose o di alterarne i connotati o di sviare le leggi che ne disegnano l’identità […] La lezione è chiara: dobbiamo dare diritto di parola alle creature, dobbiamo stringere con loro rapporti cordiali […] È incredibile la fiducia di Dio: Egli ha posto sotto i nostri piedi l’opera delle sue mani perché dalla natura potessimo fin d’ora far scaturire i lineamenti di quella creazione nuova che Dio un giorno porterà a compimento. Ma è più incredibile ancora la sua laicità. La laicità di Dio. C’è da scommettere che Egli rende meritoria di premi eterni perfino la nostra appartenenza a un gruppo ambientalista e la nostra attività presso l’ente della protezione degli animali29.

L’uomo è capace di bellezza: La bellezza è il linguaggio universale […] Noi vogliamo ringraziare il Signore e vogliamo chiedere che ci riconcili con la bellezza, perché noi non la sappiamo trattare bene. La manipoliamo, oppure, se ci mettiamo le mani sopra, subito la deturpiamo, non sappiamo sostenerla. Vogliamo ringraziare Dio perché ci fa capire che attraverso la bellezza salverà il mondo. Il mondo non verrà Ivi, p. 197. Ivi, p. 201.

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preservato dalla catastrofe planetaria, né dall’astuzia dei diplomatici e dei politici, né dalla forza del diritto e neppure dalla cultura degli accademici: il mondo verrà preservato dalla bellezza e dalla musica, dalla poesia e dall’arte […] Se voi coltivate l’arte, la bellezza, la musica, la poesia, il rapporto con l’altro, la bellezza del vostro corpo, l’eleganza della vostra persona; se voi coltivate, se avete questa cultura del vostro corpo, avrete inesorabilmente anche la cultura della vostra anima30.

La grandezza dell’uomo, allora, giustifica le ragioni sia della sollecitudine e dell’angoscia per lui sia dell’impegno. Il prestigio della creatura e le sue profondità misteriose si offrono alla sapienza umanante dell’educatore: Uno, cioè, che davanti ad un pozzo [l’uomo] è incaricato di far affiorare l’acqua dalle viscere della terra, mestiere tutt’altro che facile, anzi addirittura imbarazzante […] per lo sgomento di sentirsi sprovvisti di secchi, carrucole e brocche.

Don Tonino sottolinea che, poiché educare deriva dal latino e-dùcere, che significa tirare fuori dal di dentro, è necessario attrezzarsi non solo di un grande entusiasmo e di un metodo, ma Anzitutto degli strumenti culturali: la conoscenza delle leggi fondamentali che presiedono alla crescita umana, da una parte, e lo studio della parola di Dio dall’altra. È da questa temperie culturale che nascono quelli che Paulo Freire chiamava temi generatori 31, cioè quei nuclei vitali di conoscenze che rendono capace l’educatore di scatenare nell’uomo impegni appassionati all’interno della storia, e dare significato alla trama della sua esistenza32. Bello A., Omelia, in Bello II, p. 229. Cfr. anche Bello A., Eleganza, fantasia, speranza: i doni da chiedere a Maria, in Bello VI, p. 315. 31 Si veda il paragrafo successivo “L’ultimo e l’oppresso gridano: ‘anche noi vogliamo essere uomini’”. 32 Cfr. Bello A., Il pozzo è profondo, in Bello III, pp. 219-20. 30

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figura imprescindibile per la comprensione e la messa in pratica di una pedagogia della liberazione che ci appare oggi più necessaria che mai di fronte alle razionali paure di un nero futuro incombente, al sentimento della indispensabilità di una reazione nei confronti delle manipolazioni che finanza e cultura mettono in atto per il dominio e che, coscientemente o meno, avvicinano la fine dell’uomo”. Dalla Prefazione di Goffredo Fofi

ISBN 978-88-6153-878-8 ISBN 978-88-6153-711-8

Euro 14,50 Euro 15,50 (I.i.)(I.i.)

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LazzaroDaconto Gigante Giuseppe

OCCORRE UN PENSIERI SOSTENIBILI AI UOMO PIEDI DI UN BAOBAB

nazzo (Bari), di vive a Roma. Laureato in stico, docente pedagogia presso l’UniverEconomia all’Università Aldo Moro di Bari e sità LUMSA e giudice onorario del Tribunale alla Caffè Roma 3, si dedica anche per Federico i minorenni di di Bari, è membro del comiallo scoutismo cattolico e al volontariato tato scientifico della rivista “Minorigiustizia”. politico, la Pugliaha e Roma. Attualmente Con la tra meridiana pubblicato Prestamiè economista presso Fondosviluppo, il fondo orecchio (2005) e Di padre in padre (2008). mutualistico di Confcooperative, all’interno DonCentro ToninoStudi. BelloSilooccupa ha nominato responsadel principalmente di bile del settore minori a rischio della Caritas economia cooperativa, sviluppo e politiche e gli ha affidatoNel l’osservatorio delle lo povertà della coesione. 2018, l’amore porta e il coordinamento dell’équipe del esperienza Centro di alcuni mesi in Senegal: da questa solidarietà di Molfetta. nasce il libro.

“Tantisisono i punti di taccuino incontro tra visione Non tratta di un di una viaggio, di sostanun rezialmente religiosa dell’ e ducazione, quale quella di don portage giornalistico, di un racconto romanzato di Tonino Bello e dell’appassionato autore che narra incontri. Non è un saggio di politica o di economiae analizza in questo volume le sue e il svisuo sull’Africa, sulla sua cultura, né convinzioni un libro sullo luppo sostenibile. Ma è di ununpo’laico, tuttodiciamo questo.pure Queste modo di agire, e quella un pagine sono un melting di qui emozioni non credente quale sono pot io che scrivo.eIlriflessioni punto di che l’autore scoprendo in quel pezzodi dipartenza mondo, arrivo è assaifasimile ancheche quando il punto rappresentato è diverso. [...] nelle cartoline dai baobab, come nel nostro, in tuttiche i sud terra,sono c’è ancora da Dice come don Tonino glidella educatori colorotanto ‘che difare, tantoil da costruire, tanto da migliorare. sturbano manovratore; coscienza critica; spina dell’iIn filigrana il libro contiene che essennappagamento conficcata nelconsiderazioni fianco del mondo’ , ed è zialmente riguardano noi europei, racchiuse in questa una definizione appassionata e definitiva una che domanda provocatoria: non crede, è che tutti ci stiamo concerne chi crede e chi non coloro “africache avnizzando”? vertono nel loro sangue e nella loro anima l’indispensaSe è vero che quei luoghi assoluta pongonodi domande bilità, il dovere, la necessità reagire allastrinStogenti sul futuro, proprio dal confronto tra noi e loro, ria, all’imperfezione dell’uomo e delle sue costruzioni, Senegal e Italia, sicuramente nemmeno troppo lontani del potere e all’oscenità delle sue maealla purprepotenza sempre dello stesso pianeta, sorge un dubbio: nifestazioni. I credenti, forse, perché forti del loro Dio, verso dove stiamo andando? con minor “eroismo” dei Ed ecco che guardare non-credenti, e raccontaremauncertamente pezzetto non con minore impegno, minore passione. medell’Africa, il Senegal, puòcon servire a parametrare Don ilTonino come dimostra l’appassionato e però glio nostroBello, futuro, come umanità, senza distinzioanche stimolatore e provocatorio saggio che abbiamo ni di sorta, partendo da alcune immagini forti come ora in mano,metaforici” è stato, da dentro la Chiesa, un educatore “chiavistelli per entrare in questa porzione vero e grande e ben più socratico che aristotelico, una di continente e rapportarla al nostro.

edizioni la meridiana

Lazzaro Gigante , già dirigentedi scolaGiuseppe Daconto , originario Giovi-

GIUSEPPE DACONTO

Lazzaro Gigante

OCCORRE UOMO P E N SUN IE RI TONINO BELLO EDUCATORE SOSTENIBILI AI PIEDI DI UN BAOBAB Prefazione di Goffredo Fofi

edizioni la meridiana 24/11/21 11:15


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