Storia di Franco

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Maria Marcone STORIA DI FRANCO

Maria Marcone (1931-2014), primogenita di quattro figli, è nata a Foggia e, appena adolescente, è rimasta orfana del padre Arturo, fondatore della Biblioteca provinciale di Foggia. Ha conseguito la laurea in Lettere classiche presso l’Università di Bari nel 1954 e, dopo diversi anni di insegnamento nella scuola, ha continuato la sua attività di scrittrice. Tra le opere spiccano La casa delle donne (Palomar, 1983), da cui, nel 2003, è stato tratto l’omonimo film e Analisi in famiglia (Feltrinelli, 1977), dal quale è stato realizzato uno sceneggiato televisivo. Artista poliedrica, alternava alla scrittura la pittura e la poesia, soprattutto in età avanzata, conseguendo anche in questi ambiti significativi riconoscimenti (“Il Gargano” di Vieste e “Giacomo Strizzi” di Alberona, nel 1987; “Europa Sud” di Bari, nel 1990). Molte sue opere sono state tradotte all’estero, tra cui in Germania, Svezia, Canada e Australia.

“Non possiamo modificare il finale della storia di Franco, ma consapevoli di quanto gli è successo e della solitudine in cui ha vissuto il suo impegno, abbiamo la possibilità, nel presente, di essere comunità capace di accompagnare coloro che, tra mille paure ed incertezze, scelgono di denunciare il grande come il piccolo malaffare.” (dalla Postfazione di Paolo e Daniela Marcone)

Maria Marcone

Storia di Franco

ISBN 978-88-6153-934-1

Euro 16,50 (I.i.)

Prefazione di Mario Desiati


Maria Marcone

S TORIA DI FRANCO Prefazione di Mario Desiati

edizioni la meridiana


Indice

Prefazione di Mario Desiati.........................................................9 Ai giovani lettori ...................................................................... 13 Un’alba fredda di dicembre..................................................... 15 Il giardino incantato................................................................. 19 Prima della tempesta................................................................ 25 Morbillo e gelosia..................................................................... 33 Venti di guerra.......................................................................... 37 Il Signore del Paese.................................................................. 47 Villa e villeggiatura................................................................... 53 Luglio e agosto di fuoco........................................................... 63 Chi va e chi viene...................................................................... 75 Ritorno nella città fantasma..................................................... 85 Piccolo è bello.......................................................................... 91 Il miraggio dell’isola che non c’è............................................. 99 Fuochi d’una estate tutta da dimenticare.............................. 109 Arturo se ne va....................................................................... 119 Natale non è per tutti Natale................................................. 129 Michele torna e Franco se ne va............................................ 141 La chioccia.............................................................................. 149 Nel nome del padre................................................................ 157 Ciascuno a suo modo............................................................. 163 A volo d’uccello...................................................................... 171 La forza ovvero il prezzo dell’Onestà ................................... 187 E ora, che fare?....................................................................... 195 Postfazione di Paolo e Daniela Marcone .............................. 201



Ai giovani lettori

Questa volta, cari ragazzi, voglio raccontarvi una storia che mi sta più a cuore delle altre, una storia tutta vera di cui io stessa sono stata testimone dal principio alla fine, e che cercherò di ricostruire per voi perché desidero fortemente che, leggendola, vi innamoriate del personaggio principale, Franco, un bambino e ragazzo come voi, anche se è stato bambino e ragazzo in tempi molto diversi da questi. Certo, quando la sua storia si è conclusa non era più un ragazzo, ma era ancora nel pieno delle sue forze, ed era bello e bravo, il più bello della famiglia in cui era nato, di cui era anche il più giovane. Questa storia fatela leggere anche ai vostri genitori fratelli sorelle zii cugini e nonni, perché anche per loro l’ho scritta. Nella mia mente fioriscono storie e racconti come funghi dopo una pioggia; ma, credetemi, mai mi era passato per la testa di raccontare la storia di Franco che pur mi era nota da sempre. Che volete che vi dica, la vita è imprevedibile, e lo sapete anche voi che ogni giorno ci riserva delle sorprese, a volte belle e bellissime, altre volte brutte e bruttissime. La storia di Franco avrei potuto scriverla per gli adulti, e in tal caso avrei dovuto privilegiare altri fatti e circostanze, perché una vita è fatta di tanti tasselli e necessariamente nel raccontarla bisogna scegliere quali scartare e quali collocare nelle righe di una pagina, in modo che comunque il mosaico finale risulti completo. Ho deciso di raccontarla a voi perché siete proprio voi in cima dei miei pensieri, voi che avete tutto un futuro da costruire e da vivere e siete i più capaci di slancio e di partecipazione. Infatti mi piacerebbe che Franco trovasse un posto nel vostro cuore e nella vostra immaginazione, che diventasse un vostro compagno di strada, come succede quando qualcosa o qualcuno ci colpisce profondamente. 13


Lo so, l’impresa è difficile, ma io ci provo perché è davvero speciale in me il desiderio che Franco continui a vivere, e per ottenere questo ho solo un mucchio di fogli bianchi da riempire di parole e io credo nelle parole, altrimenti non sarei una scrittrice. Vi lascio dunque con la sua storia e sarete voi, quando l’avrete letta, a dirmi se sono riuscita nell’impresa oppure no. Maria Marcone, Bari 1998

La prima edizione del libro era corredata di un “Apparato didattico” strutturato dalla stessa Maria Marcone. Abbiamo scelto di renderlo disponibile on line e scaricabile dal link: https://bit.ly/ApparatoDidattico_Marcone

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Un’alba fredda di dicembre

Quella notte Marilù Ninuccio e Lillino, che dormivano nella camera attigua a quella dei genitori, furono svegliati da voci concitate trapestii vari e grida. Marilù, che aveva sei anni e mezzo, messasi a sedere sul letto, vide attraverso i vetri smerigliati della porta agitarsi dei fantasmi che correvano di qua e di là, con le luci della casa tutte accese. Ninuccio! – chiamò piano. – Non senti anche tu? Il bambino, che aveva quattro anni, si buttò giù dal letto e andò a spiare alla porta socchiudendone il battente; ma una mano sconosciuta glielo richiuse sul muso. Non è la mamma che grida così? – domandò Marilù scendendo anch’essa dal letto. Sì, è proprio lei! Che cosa le stanno facendo? Mah, non so –. Ninuccio si strinse nelle spalle spalancando gli occhi spauriti. Forse ha bisogno del nostro aiuto – osservò Marilù, – forse qualcuno le sta facendo del male. In quel momento Lillino, che aveva due anni e mezzo, si mise a piangere a squarciagola. I fratellini gli andarono vicini per calmarlo; ma lui piangeva alla disperata stringendo i pugnetti e menando calci all’aria; ed ecco che la porta si apri ed entrò Arturo, pallido in volto nella penombra. Papà, che succede, perché grida la mamma? – domandatono i due più grandicelli. Non è niente, non è niente, sta nascendo il fratellino, questo è tutto, state tranquilli. È lui che le fa male? Ma no, che male, la mamma grida di gioia. Piuttosto, bambini, vestitevi alla svelta, su. 15


Marilù e Ninuccio non se lo fecero ripetere, mentre il papà badava a vestire Lillino che era stato zittito con una pupattola di zucchero: questa era l’equivalente dell’odierno ciucciotto o succhiotto, fatta con una pezzuola di cotone al cui centro veniva raccolto un po’ di zucchero legato poi strettamente con un filo. Quando i tre furono pronti, il padre li spinse verso la porta d’ingresso, anche se loro avrebbero preferito correre nella camera della mamma. No, no – disse il padre, – la mamma ora non vi può dar retta, voi andate a stare un po’ dalle signorine Merendi. I due più grandi salirono a malincuore le scale tenendo per mano il più piccolo. A metà salita sopraggiunsero dal piano di sopra le due sorelle Maria e Bianca, l’una bassina e rotondetta, l’altra alta e magra, tutt’e due con facce rassicuranti e simpatiche. Maria si prese in braccio Lillino dicendo: – Vieni, piccino, vieni dalla zia tua! Bianca prese per mano gli altri due annunciando che li aspettava il latte col cacao, e pure i biscotti e i frufrù, che altro non erano che gli odierni wafers (ma a quel tempo, in piena era fascista, era severamente proibito usare parole straniere, tanto più quelle degli “stramaledetti” Inglesi). Le due donne fecero sedere i tre bambini al tavolo della cucina ricoperto da una incerata a scacchi bianchi e rosa: sulla sedia per Lillino avevano messo un cuscino così voluminoso e gonfio che il bimbo vi affondò come un papa. C’era un buon odore di cioccolata e un calduccio accogliente. Tre tazze vennero colmate di bevanda fumante e le due donne fecero di tutto per invogliare i miniospiti a bere e a servirsi dei biscotti da una ciotola di ceramica bianca; ma loro se ne stavano imbalorditi e inerti. Su, su, coraggio, bevete prima che si raffreddi. Marilù accennò a bere un piccolo sorso, ma poi rimise la tazza al suo posto e cominciò a piagnucolare.

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Non fare così, tu sei la più grande e devi dare il buon esempio ai fratellini – disse Maria. E poi, perché piangi? Non è mica successo niente di male; anzi, vi sta solo nascendo un altro fratellino, o magari una sorellina – soggiunse Bianca. Per tutta risposta Marilù scese dalla sedia e corse verso la finestra perché le era parso di sentire un grido più forte degli altri: scostò la candida tendina e guardò verso il cielo nel quale andava diffondendosi un chiarore rosato. Una nuvoletta pareva allontanarsi velocemente partendo, così sembrò alla piccola, proprio dal tetto della casa. La mamma, la mamma! – gridò. – La sua anima se ne vola via! Infatti dabbasso, a quell’ultimo grido, era subentrato un silenzio totale. Bianca si chinò sulla piccola che tremava. Ma no, carina, quella è solo una nuvola che corre spinta dal vento. Su, vieni a bere il cioccolatte. Finalmente i tre si decisero e consumarono la colazione. A quel punto squillò il campanello d’ingresso, ed entrò Arturo, il viso sbattuto ma pieno di gioia. È nato un altro maschietto. È bellissimo! E Ninella sta benino, ha faticato un po’, ma ora è tutto passato. Le due attempate signorine gli fecero festa mentre i tre bambini gli si attaccarono alle gambe. Vogliamo andare dalla mamma! Vogliamo la mamma! Maria cercò di distoglierli spiegando che loro due avrebbero potuto intrattenerli almeno per un’altra ora, che poi sarebbero dovute andare al lavoro: lei infatti era impiegata alle poste e la sorella faceva la maestra. Vi ringrazio molto – disse Arturo, – voi non vi smentite mai, siete proprio due care persone buone e gentili; ma ora posso riportarli giù, grazie a Dio è finito tutto nel migliore dei modi. Così i tre bambini potettero rientrare nella loro casa che era ancora piena di gente: c’erano i due nonni materni, la nonna patema, la cugina Antonietta e la signora Abbatescianni dirim-

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pettaia delle Merendi. Se n’erano andati il medico l’ostetrica e la zia Nannina, sorella della nonna materna. Arturo portò i tre a vedere la mamma e il neonato, solo per un momento, precisò. La mamma era distesa nel lettone coi neri capelli ondulati sparsi a ciocche sul cuscino: era pallida pallida, ma gli occhi scuri le brillavano di una dolcezza infinita e quando i tre piccoli le si avvicinarono a ognuno fece una carezza, a ognuno rivolse un sorriso, anche se era così stanca che non disse neppure una parola. Il padre dirottò subito i figli verso una culla di vimini tutta vaporosa di tulle bianco sormontata da un’alzata da cui pendevano due bande anch’esse di tulle divise da un fiocco celeste con al centro un’icona d’argento della Madonna. In mezzo a tanto biancore spiccava un faccino roseo dai tratti delicati e morbidi, con gli occhi chiusi ombreggiati da lunghe ciglia e una zazzeretta di capelli biondissimi: le manine strette a pugno erano mollemente adagiate sul cuscino ai due lati della testa. Ecco, questo è il vostro fratellino Franco – disse Arturo con la voce incrinata dalla tenerezza, ma anche con tanto orgoglio. Com’è bello! – esclamò Marilù accarezzandogli lievemente la fronte. Sembra un bambolotto – disse Ninuccio toccandogli una manina come per verificare che fosse di carne. E Lillino, che era in braccio al papà, rimase a bocca aperta, senza fiato. Un raggio di sole spuntò da un cirro e andò a baciare i capelli del nuovo nato trasformandoli in oro lucente. Era il 14 dicembre 1937 e con quest’ultimo si completava la cucciolata di Arturo e di Ninella. In quel di Foggia, Puglia settentrionale, nella piana del Tavoliere fra il Subappennino Dauno e il promontorio bellissimo del Gargano.

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Il giardino incantato

Franco crebbe a vista d’occhio, e più cresceva più diventava bello e vispo. Sotto il caschetto di riccioli dorati le pupille azzurre sembravano due frammenti di cielo sereno a primavera, e tutti andavano pazzi per lui, tanto che gli altri tre fratellini, che pure erano belli, non potevano reggere il confronto con lui e reagivano ciascuno a suo modo, chi con le bizze chi con i capricci chi con le moine. Ma anche Marilù Ninuccio e Lillino erano stregati dalle grazie del nuovo venuto e facevano a gara nel vezzeggiarlo e coccolarlo, avendo a loro modo intuito che ogni tenerezza usata al fratellino avrebbe ricevuto sicura ricompensa; guai invece fare il contrario. Dalla primavera agli ultimi fulgori dell’estate i quattro bambini passavano lunghe ore nel giardino dei nonni materni che abitavano al piano rialzato sotto la loro stessa casa: nonno Michele, dai capelli candidi e gli occhi azzurri, aveva comprato un siticarro per Marilù e Franco e due tricicli per Ninuccio e Lillino. Il giardino si estendeva sui due lati interni della casa, aveva piante e alberi lungo il muro di cinta e un viale asfaltato a forma di elle che andava da un cancello all’altro delle due estremità. Marilù già da quando Franco aveva poco più di un anno lo caricava nell’abitacolo legato alla sua bici e si lanciava in sfide senza fine con gli altri due fratelli: Franco rideva beato socchiudendo gli occhi al vento che gli soffiava sul viso e lanciava gridolini di gioia quando la sorella andava a sbattere intenzionalmente contro una pianta o contro uno dei tricicli dei fratelli, piano però, per non fargli male. Quando la nonna Francesca si alzava dalla siesta, s’affacciava alla terrazza che s’apriva sul giardino e chiamava i nipotini per distribuire taralli o biscotti fatti con le sue mani. 19


Per Franco scendeva dal primo piano Ninella che si prendeva in braccio il piccolino, lo cambiava e se lo attaccava al seno per dargli il latte: a quel tempo le mamme usavano allattare anche oltre un anno e mezzo, e Ninella in questo non era stata mai da meno rispetto alle altre donne, anzi di latte ai figli ne aveva dato sempre senza risparmio. Quando era sazio, Franco lasciava la presa e si abbandonava a lunghi sonni. A mano a mano che crebbe, fu proprio in quel giardino che cominciò a mettere i primi passi e poi a trotterellare dietro a una farfalla o a un uccellino, o anche a una foglia che si staccava da un albero e volteggiava nell’aria sulle ali del vento finché non si posava al suolo: e rimaneva deluso il piccino quando vedeva che quella non si muoveva più, avendola presa per un animale dotato di moto proprio. Nell’ampio sottoscala della terrazza c’era un po’ di tutto: gli arnesi del giardiniere, un vecchio cassettone, ceste e damigiane, una cassapanca con vecchi vestiti e cappelli, scope e cornici in disuso, e perfino uno specchio corroso dall’umidità. Era quello il rifugio di una gatta dal pelo giallo che ogni tanto scodellava gattini, taluni simili a lei tal altri grigi o neri secondo il pelo dei padri. I bambini erano molto interessati a questa gatta e soprattutto ai suoi gattini: ormai sapevano che per ammansirla dovevano sacrificarle una parte della merenda; ma quando c’erano i gattini la madre pareva una piccola tigre, sbuffava e graffiava con repentine zampate, e bisognava essere lesti a tirarsi indietro per non beccarsi delle unghiate micidiali. Tuttavia la tentazione di prendere fra le braccia un gattino morbido e caldo come un gomitolo di lana era troppo forte e soprattutto Marilù si era specializzata a ghermirne uno per farlo accarezzare a turno dai fratellini. Fra loro quattro era Ninuccio che si mostrava più appassionato verso gli animali, tanto che in seguito spesso e volentieri si sarebbe trascinato dietro ogni sorta di bastardini trovati per

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strada, talora anche feriti e bisognosi di cure, che in Ninella avrebbero comunque trovato una santa protettrice, essendo anche lei assai tenera verso il genere animale. Franco per il momento era assai interessato agli uccellini: nel giardino ce n’erano parecchi, o di passaggio o in pianta stabile su qualche ramo. Se ne stava per lunghi minuti col naso per aria ad ascoltare duetti o assoli che riempivano l’aria di note festanti. Talvolta cadeva dal nido un passerotto troppo fiducioso delle sue alucce ancora implumi, e allora Franco pretendeva di tenerlo vicino e di osservarlo ben bene prima che il giardiniere o qualche muratorino del nonno, che era un costruttore, salisse sulla scala per restituirlo alla passera. Ma il piccino era assai interessato anche alle formiche ai grilli e alle farfalle: delle formiche s’incantava a guardare le lunghe file e gli sforzi che facevano per trasportare molliche o altre leccornie spesso più grandi di loro, dei grilli si beava al lungo zirlio, delle farfalle s’entusiasmava ai colori e alla capacità di volare veloci da una pianta all’altra. Senza parlare della gioia che provava quando vedeva sgattaiolare un ramarro o una lucertola. E gli piacevano anche i fiori: lungo il muro che sosteneva la terrazza c’erano vasi e cassette di ogni tipo, gerani peonie viole garofani rose gelsomini e rampicanti di edera che andavano ad attorcigliarsi alle ringhiere della terrazza stessa; e poi c’era la spettacolare fioritura, lungo tutte e due le pareti esterne della casa che s’affacciavano sul giardino, della passiflora, una pianta rampicante di rigogliosa prolificità, con tantissime foglie di un verde intenso e con fiori delicati di un bianco carnicino con l’interno a sfumature viola e con pistilli neri che sembravano chiodi, i chiodi della passione di Cristo, secondo la tradizione popolare che per questa pianta aveva un religioso rispetto. Era un piccolo paradiso quel giardino per i quattro bambini che là dentro imparavano a stare a contatto con la natura e ad amarne le piccole creature che la popolavano. Dalla terrazza vigilava su di loro la cugina Antonietta figlia di zia Nannina sorella della nonna: era una bella ragazzotta tutta

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latte e miele con gli occhioni azzurri e le trecce bionde, che dava una mano a Ninella nei lavori domestici, ma per lo più faceva da baby-sitter, una vera vocazione per lei, che già da allora aveva uno spiccato senso materno e sapeva farsi amare dai bambini. Fu lei la prima passione amorosa di Ninuccio, poi di Lillino, e infine di Franco che lei chiamava Francuccio. Arturo però diceva che già Franco era diminutivo di Francesco e quindi poteva bastare. Ma perché – protestava Antonietta, – Ninuccio non è diminutivo del diminutivo di Antonio, e Lillino diminutivo del diminutivo di Michele? Ma Arturo dettava legge in queste cose: per esempio pareva strabiliante che già dal primo figlio maschio avesse cominciato ad attribuire come secondo nome quello dei tre re magi, e così avesse proseguito, manco sapesse che di maschi avrebbe finito con l’averne tre: Baldassarre, Melchiorre e Gasparre. Il nome Marilù era invece la fusione di Maria e di Lucia, Maria in ricordo di una sorellina di Arturo morta a tre anni, e Lucia nome della madre di lui: Marilù era solo Arturo a chiamare così la figlia, gli altri la chiamavano Maria, senza diminutivi perché il nome della Madonna va rispettato così com’è; ma la bambina, se qualcuno l’avesse interpellata, avrebbe preferito essere chiamata Marilù, ed è appunto così che la chiamiamo noi. L’ultima primavera in cui i quattro bambini potettero godere del meraviglioso giardino fu quella del 1940, e Franco era già abbastanza cresciutello per scorrazzarvi anche in triciclo. Poi il nonno vendette la casa con tutto il giardino perché già i venti di guerra si facevano sempre più vicini, e si trasferì con la moglie e col figlio Pippo in una casa più modesta a pochi isolati di distanza, proprio dirimpetto al suo cantiere edile. Venne a stabilirsi in quella casa e in quel giardino la famiglia di un ricco proprietario terriero. E i quattro bambini cominciarono ad affacciarsi alle finestre della loro casa al primo piano circondate dalla passiflora per guardare con rimpianto e invidia altri quattro bambini più o meno della loro età che si rincor-

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revano da una parte all’altra, inseguivano farfalle, pedalavano sui tricicli e sul siticarro appartenuti a loro, che il nonno aveva ceduto insieme al resto. Un giorno Lillino vide dall’alto la nuova padrona che allattava l’ultimo nato ed esclamò: – Che belle provole! – Il marito della signora venne su a fare le sue vive rimostranze a Ninella che quella volta s’arrabbiò davvero molto, anche perché aveva dovuto arrossire davanti a quell’uomo, e proibì tassativamente ai figli di affacciarsi alle finestre che davano sul giardino o di spiare dabbasso. Ai nostri quattro non rimase che inventarsi e raccontarsi storie costruite intorno a un giardino incantato, e poiché sulla loro fantasia nessuno trovava a ridire, vi ambientarono anche fate gnomi e folletti.

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Prima della tempesta

I primi anni di vita di Franco furono sereni e felici. Essendo rimasto l’ultimo della famiglia, poté godere più a lungo, anzi a tempo indeterminato, dell’amore privilegiato di Ninella che così si era comportata anche con gli altri figli riversando sempre sull’ultimo nato una passione viscerale che sembrava escludere qualunque altro amore; solo che quest’amore appunto aveva cambiato oggetto per ben quattro volte e invece si era fermato sull’ultimo della serie per non spostarsene mai più. Anche Arturo per quest’ultimo maschietto più mite e meno capriccioso provava un trasporto più intenso e convinto. E così i nonni e gli altri parenti lo preferivano per la sua mitezza e giocosità e ne erano conquistati per la particolare bellezza. Ninella poi non era tipo da usare qualche cautela nel nascondere la sua trabocchevole passione per Franco: a quei tempi non si allevavano i figli con la psicologia, ma senza tante storie e sottigliezze, anche se, bisogna dirlo, Arturo non mancava di avvertire la moglie di non dar troppo a vedere le sue preferenze per un figlio piuttosto che per un altro. Ma era tutto inutile perché lei era fatta così. E del resto anche gli altri della famiglia, nonni zie e cugine, avevano i loro preferiti: per esempio nonna Francesca dava a vedere in ogni modo la sua predilezione per Marilù, nonna Lucia per Ninuccio, nonno Michele per Lillino a cui andavano anche le preferenze di Antonietta. Marilù si beava delle attenzioni di nonna Francesca, però si crucciava delle disattenzioni della madre e fu contenta solo quando riuscì a compensarle con l’affetto particolare del padre catturandolo con la sua bravura nel disegnare fiori uccellini e casette con tanto di comignolo fumante. 25


Ninuccio reagì alla disattenzione materna inventandosi capricci incredibili che mandavano letteralmente in bestia la donna: per punizione, a parte gli scappellotti, si meritò ben presto il declassamento da Ninuccio a Nino, ma si guadagnò in compenso la protezione incondizionata di nonna Lucia che viveva nella stessa casa praticamente barricata nella stanza più grande, in eterna lotta di collisione con la nuora che obbligava Arturo a una difficile quotidiana opera di mediazione; Nino era caro alla nonna anche perché portava il nome del marito scomparso. Per lo stesso motivo Lillino era caro a nonno Michele; ma questo entusiasmo per il nipote era effimero perché Lillino, essendo figlio di una figlia, non portava lo stesso cognome, e quindi tutte le speranze di “immortalità” del vecchio erano riposte nel figlio Pippo, il quale per il momento non si decideva ancora a sposarsi e così facendo deludeva questa legittima aspirazione. Ninella con la quarta gravidanza avrebbe voluto un’altra figlia femmina ed era già convenuto che sarebbe stata chiamata Francesca come sua madre; ma, come sappiamo, era nato un altro maschio, e il problema era stato solo di cambiare la a finale in una o, anche se poi da subito Arturo aveva deciso di chiamarlo Franco, e Franco rimase. Forse voi riderete o alzerete le spalle per queste questioni di nomi: quanti di voi oggi portano i nomi dei nonni? Beh, a quei tempi guai a trasgredire, bisognava accontentare tutti, ecco perché si facevano almeno quattro figli. Ora che di figli se ne fanno molti di meno, uno o due al massimo, il problema non si pone più, meglio attribuire nomi di fantasia, magari suggeriti dal mondo dello spettacolo, della musica, o anche dell’ideologia; ma pure quest’ultima è in nettissimo calo, mentre salgono le quotazioni dei personaggi delle telenovelas. Tutto cambia col passar del tempo e per questo è interessante ogni tanto spiare ne1 nostro passato prossimo, anche per misurare di quanto e in che cosa ci siamo allontanati da esso, e magari per recuperare qualcosa che ancora ci piaccia o convinca. Perché no? Dopotutto “possedere passato” è una ricchezza in più

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che ci garantisce anche maggiori possibilità di impadronirci nel modo giusto del presente e del futuro che certo ci appartiene ed è un diritto di ognuno, ma che è tutto da conquistare, con armi lecite, s’intende, da non farci male l’un l’altro. Ma torniamo a Franco e alla sua famiglia dalla quale per il momento dipendeva del tutto. Dicevo che i suoi primi anni furono felici. Sì, perché con questo amore universale che lo circondava non ebbe a subire quei traumi della prima infanzia che spesso sono soliti infliggere danni irreparabili capaci di condizionare tutto il futuro delle persone. Invece Franco poté esprimere senza ostacoli fin dall’inizio la sua natura espansiva aperta fiduciosa protesa a tutte le curiosità e instancabile nel gioco. I bambini, voi lo sapete, hanno la tendenza ad imitare le figure che li circondano, e anche in questo Franco era fortunato perché aveva a disposizione una serie abbastanza varia di modelli: prima di tutto i due fratellini a lui più prossimi che già di per sé erano assai diversi, tenace cocciuto intraprendente e generoso Nino, dolce insinuante zuzzerellone e accattivante Lillino. Marilù che era competitiva con i due primi fratellini, con Franco era molto più accondiscendente e affettuosa, già con sfumature materne, e tendeva a farselo alleato per ristabilire un certo equilibrio di forze; e poi spesso le piaceva intrattenerlo per raccontargli favole che inventava lì per lì e che trovavano in lui un ascoltatore affascinato. Il modello del padre era di grande attrazione: intelligentissimo, saggio, di prestigio indiscusso, dal parlare pacato e suadente (che lui avrebbe ereditato in pieno), giusto e moderato in ogni sua azione, soprattutto capace di emanare un gran senso di sicurezza e di protezione, ma senza né schiacciare né reprimere i suoi interlocutori se non con la superiorità della cultura e della ragione. Era proprio un gran bel padre e a lui guardavano con istintiva attrazione la prima e l’ultimo nato, mentre i due di mezzo già da allora cominciavano a preferire il modello di zio Pippo e di nonno Michele tutti rivolti all’attività pratica, al fare, al costruire con la materia: insomma

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quanto il padre era un classico modello di intellettuale, tanto il nonno e lo zio rappresentavano il modello altrettanto classico dell’imprenditore in perenne sfida di audacia e di operosità costruttiva. Ma come, direte, già da quell’età si scelgono i modelli? Sì, vi dico, è così che funziona la trasmissione dei modelli di comportamento all’interno di un gruppo familiare. Oggi forse voi avete a disposizione più modelli grazie alla televisione, ma non è detto che, abbiate maggiore scelta, perché i modelli televisivi sono un po’ tutti simili e spingono a quel che si chiama massificazione, omologazione, e se volete maggiori spiegazioni in proposito parlatene con i genitori o con i professori perché io non ho nessuna intenzione di farvi un predicozzo. C’era poi a disposizione di Franco e degli altri tutto il variegato mondo femminile, la madre innanzitutto con la sua passionalità viscerale, l’esuberanza del carattere e la facile irritabilità, per cui da un lato si poteva godere della sua grande capacità di amore e di dedizione alla famiglia, dall’altro bisognava stare attenti a non farle saltare la mosca al naso, altrimenti allungava lo zampino come una gatta irritata. Era naturalmente Nino il più bravo ad attaccare queste corde scoperte della mamma e ad assaggiare più spesso queste sue zampate che a volte si avvalevano del prolungamento di una scopa o di uno spazzolone con cui andava a stanare il furfantello nei nascondigli più segreti che il malcapitato cercava sotto un letto o sotto un tavolo: si salvava solo se la nonna Lucia gli allargava le braccia in tempo, che quello era territorio neutro e inviolabile dinanzi al quale la donna, pur rossa di ira irrefrenabile, doveva solo battere in ritirata. Le nonne le zie le cugine le comari, per lo più chiocce protettive, erano un enorme serbatoio di favole leggende e riti che non avevano nulla da invidiare all’odierna scatola sputaimmagini a cui voi siete tanto affezionati, e che, vi assicuro, facevano sognare assai di più. Franco poté anche fruire in quei primi cinque anni del relativo benessere raggiunto dalla famiglia grazie al passaggio di

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Arturo dalla professione di avvocato di incerto guadagno e di altalene economiche al più stabile e prestigioso lavoro di bibliotecario direttore della Biblioteca Provinciale da lui stesso riordinata e resa funzionante. Così Ninella poté riscattarsi dalla dipendenza economica dal padre, anche se la madre non smise mai di far passare dalla sua fornitissima dispensa alla spoglia credenza della figlia salsicce e provoloni, legumi e pastarelle, conserve sott’olio e quant’altro avesse in esubero: del resto donna Francesca era altrettanto munifica verso la meno fortunata sorella Nannina e verso il fratello Peppino che aveva tanti figli, verso l’altra figlia Anita ogni volta che veniva da Bari, e verso le famiglie dei muratori di don Michele quando andavano a riverirla. Ci gode a la buona donna a dare, e questo accresceva il rispetto di cui lo stesso don Michele godeva in città, che pure lui, se si trattava di far beneficenza, apriva volentieri la borsa. Questa raggiunta stabilità economica consentì ad Arturo di concedere a sé e alla famiglia il sospirato mese di ferie che andavano a passare in Abruzzo, a Francavilla a Mare, a Pineta di Pescara, a Pineto, a Roseto, tutte spiagge sabbiose con fondale basso e mare senz’ombra di inquinamento, dove i quattro diavoletti si scatenavano per l’intera giornata di sole, lunghissima anche senza l’aiuto dell’ora legale, assolutamente sconosciuta all’epoca. Era Arturo che se li trascinava dietro la mattina di buonora, ombrellone in spalla e borsone milleusi: il loro ombrellone era il primo a schiudersi come un fiore sulla spiaggia assolata e ancora solitaria, mentre i bambini cominciavano subito a trafficare con secchielli palette rastrelli e formette: mica di plastica, che ancora non esisteva, ma di stagno con manici di legno, roba fina, per signori, che bisognava difendere dai continui tentativi di furto da parte di altri bambini meno fortunati per i quali costituivano un’attrazione irresistibile. Franco che aveva la pelle chiarissima dei biondi purosangue non poteva essere esposto al sole per più di pochi minuti, e per farlo star buono sotto l’ombrellone bisognava portargli decine

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di secchielli di acqua con cui Arturo impastava la sabbia per costruire castelli torrioni muraglie staccionate, un intero fortilizio, con l’aiuto dei più grandicelli che andavano su e giù volenterosi e in gara di velocità e di destrezza. Il divertimento di Franco e degli altri era poi demolire il tutto mettendosi a pestare come un tempo facevano i contadinelli nella tinozza piena di uva quando arrivava l’ora della vendemmia. Alle dieci arrivava Ninella con la sporta della merenda che consisteva in pane con la marmellata e frutta: a quell’ora lei aveva già riordinato la casa fatta la spesa avviato il pranzo ed era certo già stanca; ma Arturo era pure lui stanco per aver dovuto intrattenere e badare a quattro indemoniati, sicché pretendeva di andare a fare una passeggiata lungo la riva fumandosi lentamente una sigaretta e guardando all’orizzonte lontano: gli si accodava a turno uno solo dei figli, anche Franco nell’ultima vacanza, quando già era scoppiata la guerra, ma ancora non si sapeva che sarebbe stata la II Guerra Mondiale. Il bottino di queste passeggiate era un bel gruzzolo di ogni sorta di conchiglie e sassolini dai più vari colori e forme che i bambini raccoglievano nel secchiello e mostravano come trofeo: conchiglie e sassolini che diventavano ornamento per altri castelli e fortilizi costruiti sulle rovine delle precedenti costruzioni dopo il bagno e a fine merenda. La discesa in mare era l’emozione più grande: tutt’e quattro i fratelli andavano pazzi per l’acqua; i due genitori li accompagnavano in un punto dove anche il più piccolo poteva toccare il fondale coi piedi e lasciavano che là si abbandonassero a tutte le bizzarrie possibili con l’acqua, rimanendo a guardia Arturo in calzoncini a righe larghe bianche e blu, e Ninella col prendisole a fiorellini arrotolato sui fianchi. Loro no, il bagno non lo facevano più: era forse disdicevole per adulti con prole, o il medico glielo aveva proibito? Forse per Ninella era vera la prima ipotesi, per Arturo la seconda. Sì, perché Arturo era malato di cuore: una stenosi mitra-

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lica che oggi si guarisce con un’operazione praticamente senza rischi, ma che a quel tempo poteva avvalersi solo di cure di mantenimento. E Arturo queste cure le faceva da tempo, fin da quando, a soli tre mesi dopo il matrimonio, gli si era manifestata la prima crisi, e stava però relativamente bene, poteva svolgere quasi tutte le attività osservando solo alcune precauzioni. I bambini di questa malattia del padre avevano una vaga percezione: ogni tanto lo vedevano a letto per qualche giorno e quando ne domandavano il perché gli veniva risposto che aveva uno “scompenso”: che cosa significasse solo Marilù l’aveva chiesto al padre direttamente, già divenuto il suo interlocutore privilegiato, e Arturo le aveva spiegato che il cuore è una pompa che regola il flusso del sangue nelle arterie e nelle vene, e che la sua pompa ogni tanto si... spompava procurandogli affanno, per cui era meglio per lui stare a letto e non fare sforzi, finché la pompa non si rimetteva a funzionare com’era suo dovere. Marilù a sua volta aveva cercato di spiegare la cosa ai fratelli e chissà questi che cosa avevano capito, specie il più piccolo: l’unica restrizione a cui la madre li obbligava era il silenzio ogni volta che i giochi si facevano rumorosi: sicché ora sapevano che quando il padre rimaneva a letto in pieno giorno loro dovevano giocare ai congiurati, complottare in silenzio sotto un tavolo, rinunciare alle corse su e giù per il lungo corridoio e privilegiare giochi sedentari come le costruzioni e i disegni. Per fortuna ciò avveniva una volta ogni tanto. Via via che crescevano i bambini avevano cominciato ad andare a scuola, e non per tutti questa era stata una gradevole novità. Marilù aveva iniziato pochi mesi prima della nascita di Franco con un precedente tirocinio di un anno presso l’asilo delle suore del Conventino; poi anche Nino e Lillino avevano preso la stessa via, e a casa Franco, in assenza dei fratelli, si annoiava a morte a fare e disfare costruzioni o a guardare e riguardare le illustrazioni di un libro: era una fortuna per lui quando la mamma gli permetteva di tirar giù dalla credenza pentole e coperchi con cui suonare la grancassa. Insomma lui ebbe tutto il tempo

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di invidiare ai più grandi la frequenza scolastica, tanto più che la mamma non volle neppure mandarlo all’asilo perché non poteva sopportare il distacco dall’ultimo nato che le sembrava sempre troppo piccolo. Finalmente, a guerra già iniziata, il nostro poté varcare la soglia della scuola e proprio perché l’aveva tanto desiderata il suo rapporto con questa iniziò sotto i migliori auspici: a differenza di Nino e di Lillino che si buscavano spesso note di biasimo sui quaderni per l’irrequietezza e l’eccessiva vivacità, lui se ne tornava tante volte con la medaglietta attaccata al petto con un nastrino tricolore, segno che aveva ben meritato. E Arturo si mostrava assai soddisfatto di questo suo buon esordio portandolo insieme a Marilù come esempio ai due discoli della famiglia. Nino e Lillino per tutta risposta lo motteggiavano e gli davano della femminuccia, anche per via della persistente faccia d’angelo e della mitezza. Franco a volte si metteva a piangere, ma altre volte si faceva prendere dalla tentazione di imitarli e a bella posta commetteva qualche birbonata. Come – diceva allora la maestra, – anche tu che sei buono e bravo ti metti a fare il cattivo! – E giù la nota di biasimo sul quaderno. Come – diceva il papà deluso, – vuoi diventare peggio di Nino e di Lillino? E la mamma: Come, pure tu mi vuoi dare dei dispiaceri? No, no, quando vedeva le facce dispiaciute dei genitori, provava una tale mortificazione che le lacrime gli venivan giù sole sole dagli occhi che gli bruciavano. E allora cercava di assomigliare a Marilù che riceveva solo elogi; ma in una cosa proprio non riusciva ad imitarla: nel disegno, perché lei era sempre più brava e a lui dalle mani venivan fuori soltanto degli sgorbi, anche se ce la metteva tutta.

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Maria Marcone STORIA DI FRANCO

Maria Maria Marcone Marcone (1931-2014), (1931-2014), primogenita primogenita di di quattro quattro figli, figli, èè nata nata aa Foggia Foggia e, e, appena appena adolescente, adolescente, èè rimasta rimasta orfana orfana del del padre padre Arturo, Arturo, fondatore fondatore della della Biblioteca Biblioteca provinciale provinciale di di Foggia. Foggia. Ha Ha conseguito conseguito la la laurea laurea in in Lettere Lettere classiche classiche presso presso l’Università l’Università di di Bari Bari nel nel 1954 1954 e, e, dopo dopo diversi diversi anni anni di di insegnamento insegnamento nella nella scuola, scuola, ha ha continuato continuato la la sua sua attività attività di di scrittrice. scrittrice. Tra Tra le le opere opere spiccano spiccano La La casa casa delle delle donne donne (Palomar, (Palomar, 1983), 1983), da da cui, cui, nel nel 2003, 2003, èè stato stato tratto tratto l’omonimo l’omonimo film film ee Analisi Analisi in in famiglia famiglia (Feltri(Feltrinelli, nelli, 1977), 1977), dal dal quale quale èè stato stato realizzato realizzato uno uno sceneggiato sceneggiato televisivo. televisivo. Artista Artista poliedrica, poliedrica, alternava alternava alla alla scrittura scrittura la la pittura pittura ee la la poesia, poesia, soprattutto soprattutto in in età età avanzata, avanzata, conseguendo conseguendo anche anche in in questi questi ambiti ambiti significativi significativi riconoscimenti riconoscimenti (“Il (“Il Gargano” Gargano” di di Vieste Vieste ee “Giacomo “Giacomo Strizzi” Strizzi” di di Alberona, Alberona, nel nel 1987; 1987; “Europa “Europa Sud” Sud” di di Bari, Bari, nel nel 1990). 1990). Molte Molte sue sue opere opere sono sono state state tradotte tradotte all’estero, all’estero, tra tra cui cui in in Germania, Germania, Svezia, Svezia, Canada Canada ee Australia. Australia.

“Non “Non possiamo possiamo modificare modificare ilil finale finale della della storia storia di di Franco, Franco, ma ma consapevoli consapevoli di di quanto quanto gli gli èè successo successo ee della della solitudine solitudine in in cui cui ha ha vissuto vissuto ilil suo suo impegno, impegno, ababbiamo biamo la la possibilità, possibilità, nel nel presente, presente, di di essere essere comucomunità nità capace capace di di accompagnare accompagnare coloro coloro che, che, tra tra mille mille paure paure ed ed incertezze, incertezze, scelgono scelgono di di denunciare denunciare ilil grangrande de come come ilil piccolo piccolo malaffare.” malaffare.” (dalla (dalla Postfazione Postfazione di di Paolo Paolo ee Daniela Daniela Marcone) Marcone)

Maria Marcone

Storia di Franco

ISBN ISBN 978-88-6153-943-3 978-88-6153-934-1

Euro Euro 16,50 16,50 (I.i.) (I.i.)

Prefazione di Mario Desiati


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