La violenza di genere. Una questione complessa

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La violenza sulle donne o “violenza di genere”, che l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha definito “una pandemia invisibile”, continua a rappresentare una minaccia, tra quelle rilevanti, per la salute pubblica globale. Il fenomeno si è acuito in modo sensibile durante il periodo di lockdown per il Covid-19 che ha costretto alla convivenza e all’isolamento coppie e famiglie. La stesura di questo testo nasce dall’importante lavoro di ricerca fatto dalle autrici sul tema della violenza sulle donne, con riferimento ad un ampio contesto storico, culturale e sociale, secondo il modello psicosocioanalitico, di cui le autrici sono portavoce e a cui sempre più guarda chi opera in campo Psicosociale.

AURELIA GALLETTI è psicologa, psicoterapeuta, psicosocioanalista, past-president di Ariele Psicoterapia, si occupa di individui, coppie e gruppi, e dei processi di formazione e trasformazione istituzionale nell’ambito dei servizi. È docente e supervisora nella scuola COIRAG ed è autrice di numerose pubblicazioni sulla psicosocioanalisi e sulla psicoterapia progettuale, individuale e di gruppo. Per la meridiana è coautrice, con Leonardo Speri, di Con la lente della mente. Alle radici dell’osservazione psicoanalitica (2020).

ISBN 978-88-6153-809-2

Euro 15,00 (I.i.) www.lameridiana.it

LA VIOLENZA DI GENERE

CRISTINA BARBIERI, psicologa psicoterapeuta, psicosocioanalista è vicepresidente di Ariele Psicoterapia e docente della Scuola di Psicoterapia della COIRAG. Già Dirigente Psicologa all’interno del Servizio Sanitario Nazionale, ha svolto attività clinica e di coordinamento nei Servizi per le dipendenze patologiche, per l’età evolutiva, per la famiglia/genitorialità. Attualmente svolge attività libero professionale come psicoterapeuta e formatrice in ambito individuale gruppale e istituzionale. Curatrice e coautrice di pubblicazioni sui temi oggetto di ricerca nell’ambito delle diverse attività esercitate.

C. BARBIERI - A. GALLETTI

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CRISTINA BARBIERI AURELIA GALLETTI

LA VIOLENZA DI GENERE UNA QUESTIONE COMPLESSA

P E R C O R S I PsicoSocioAnalitici

“Percorsi PsicoSocioAnalitici”è il punto di connessione tra teoria e ricerca operativa in ARIELE Psicoterapia e ne intreccia il continuo approfondimento clinico, teorico e tecnico. La PsicoSocioAnalisi orienta teoria e prassi attraverso il paradigma individuo-famigliagruppo-polis declinando i verbi fondamentali del vivere umano: “amare” e “lavorare”. La collana rappresenta l’occasione per tracciare un itinerario e utilizzare l’approccio psicosocioanalitico per analizzare da diversi vertici l’esperienza e la sofferenza psichiche nelle loro molteplici manifestazioni. “Percorsi PsicoSocioAnalitici” è indirizzata a quanti operano nei vasti ambiti della psicologia, della psicoterapia, delle scienze sociali e della formazione e a quanti siano interessati ad un approccio psicoanalitico dinamico e articolato.


2 Cristina Barbieri – Aurelia Galletti

LA VIOLENZA DI GENERE Una questione complessa


Indice A mo’ di introduzione Raccogliere l’eredità: il racconto della famiglia analitica Intervista a M.E. Petrilli ..................................................... 7 Premessa ............................................................ 17 La violenza di genere........................................ 23 Alcuni dati.................................................................23 Radici antiche............................................................26 Una questione di potere..........................................28 Tradizione e miti.......................................................30 Il corpo delle donne ................................................32 Scissione............................................................. 37 Violenza e difese primitive......................................37 Stereotipi...................................................................39 Allargare lo sguardo.................................................42 Complessità........................................................ 47 La psicosocioanalisi...................................................47 Il linguaggio..............................................................48 Linguaggio inclusivo.................................................52 Ethos e eidos ............................................................54 Il contesto legislativo................................................56 Una spirale evolutiva................................................61 Psicoanalisi del femminile................................ 63 Il prezzo della libertà...............................................63 Le donne e la psicoanalisi........................................64 Madri e figlie............................................................70 Psicoanalisi della relazione............................... 73 Il campo relazionale.................................................73 "Vinculo"..................................................................75 Il linguaggio della clinica.........................................78 Che fare.............................................................. 83 La polis......................................................................83 L’invisibilità...............................................................85 La capacità di pensare..............................................86 L’istituzione...............................................................88 La formazione...........................................................89 Mettersi in rete.........................................................93


Riflessioni sull’interno e sull’esterno.............. 99 Senza speranza?.......................................................99 La ricerca.................................................................100 Il processo................................................................101 Radicalismo e terza via...........................................104 Bibliografia....................................................... 107

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Premessa Non desidero suscitare convincimenti. Desidero stimolare il pensiero e scuotere i pregiudizi. Sigmund Freud2 Tuttavia mi irrita e mi rende triste che gli uomini dicano che le donne vogliono essere stuprate e che a loro non dispiace essere violentate, anche quando si ribellano e urlano; non riesco a credere che possano gradire una così grave villania. Non dubitare cara amica […] non traggono nessun piacere dall’essere violentate, ma un dolore senza paragoni. Christine de Pizan, 14043

La violenza sulle donne o “violenza di genere” è una questione che ci ha interrogato come psicosocioanaliste di fronte all’evidenza e al riproporsi continuo e drammatico del fenomeno che si è acuito in modo sensibile durante il periodo di lockdown per il Covid-19, che ha costretto alla convivenza e all’isolamento coppie e famiglie. Il brusco calo delle denunce per violenza domestica registrato in Italia come altrove nelle prime settimane di pandemia, è da interpretarsi, verosimilmente, come timore di telefonare al numero nazionale di supporto da parte delle donne confinate in casa con i propri partner. Tuttavia l’Istat ha dichiarato un aumento del 73% di chiamate al numero antiviolenza, il 1522, durante il lockdown, con un numero di vittime in crescita del 59%4. La violenza sulle donne è una questione che l’Organizzazione   Freud, 2016.   de Pizan, 2004. La prima donna che, nel 1300, ha concepito se stessa come scrittrice di professione. Cfr. anche, su di lei, Barbero su www.youtube.com/watch?v=D9vzlwBffm4. 4   An.Ga., 2020. 2 3

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Mondiale della Sanità ha definito “una pandemia invisibile”5 che continua a rappresentare la maggiore minaccia alla salute pubblica globale. Questa questione ci interroga anche per la violenza della contrapposizione sul tema, che è stata pubblicamente visibile negli ultimi anni, man mano che il fenomeno stesso emergeva: una contrapposizione fra opposte fazioni, con fratture che a volte hanno coinvolto gli stessi movimenti femminili. Basti pensare al manifesto sottoscritto in Francia da 100 donne, alcune delle quali molto famose, che si contrapponevano alla denuncia delle donne del mondo di Hollywood, il movimento #metoo, in nome della libertà di essere corteggiate dagli uomini. Abbiamo visto attrici e donne pubbliche schierarsi su posizioni reciprocamente accusatorie in pubblici dibattiti, dove le une accusavano le altre di aver utilizzato il proprio corpo e la propria sessualità per fare carriera, tranne poi, a distanza di anni, accusare chi le aveva rese famose. Mentre le protagoniste del movimento #metoo accusavano a loro volta le altre di essere conservatrici e di non capire l’importanza di ribellarsi finalmente all’utilizzo del corpo delle donne come merce di scambio all’interno del sistema di potere che regola i rapporti maschio-femmina: la rappresentazione anche mediatica di una scissione apparentemente insanabile. La violenza sulle donne è una storia di potere antica, che affonda le proprie radici nella storia stessa del genere umano. Proprio per questo essa si pone al crocevia di molteplici discipline che, ciascuna dal proprio angolo di visuale, ne hanno studiato le diverse implicazioni: l’antropologia, la storia, il diritto, la psicologia, la sociologia, le neuroscienze, la medicina… Negli studi fatti da ciascuna di queste discipline, sono stati esplorati tutti i possibili aspetti delle questioni che il tema pone, dai punti di vista più disparati. Il nostro punto di vista sarà perciò estremamente parziale e cercherà di utilizzare quelle informazioni che sono utili al nostro discorso, nel tentativo di rendere evidente la complessità del tema, di aprire a domande che allarghino sempre più la visuale per riuscire anche a fare delle proposte progettuali che coinvolgano i singoli (donne e uomini), le coppie, le famiglie, i gruppi e le istituzioni. Lo faremo attraverso una riflessione sul tema, che tenga   Tevere, 2020.

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PREMESSA

conto dei suoi aspetti diversi, dei livelli diversi a cui si sviluppa, e soprattutto delle connessioni tra loro, proponendo angoli di osservazione che appartengono alla nostra formazione: psicoanalitica e psicosocioanalitica. Avere la consapevolezza di questi nessi, può essere uno strumento di lavoro molto utile per andare oltre gli stereotipi aumentando la pensabilità. Gli stereotipi sono infatti zone non accessibili al pensiero, frutto di difese che diventano automatismi. Aumentare la pensabilità, cioè la possibilità di aprire a pensieri nuovi, significa mettere al centro la ricerca, il desiderio di capire per poter cambiare, che è il nostro lavoro. Dai nostri maestri abbiamo appreso a guardare contemporaneamente al mondo interno e al mondo esterno, all’intrapsichico e all’interpersonale, ma anche all’istituzione e alla polis, cercando di leggerne le dinamiche latenti e i nessi, per evitare che i problemi vengano solo spostati al livello successivo di contesto. Siamo consapevoli che è un terreno difficile e ambiguo, che riguarda questioni molto profonde, zone psichiche inesplorate quindi molto cariche emotivamente, perché toccano corde sensibili sia a livello individuale che sociale e che stanno alla base dell’identità stessa delle persone e dei gruppi sociali. Alcuni capitoli potrebbero risultare impegnativi perché specialistici. Ci auguriamo che chi ci leggerà non si scoraggi. Questo nostro lavoro si rivolge, infatti, non solo alle colleghe e ai colleghi psicoterapeuti, ma anche alle operatrici e agli operatori del sociale che nei diversi contesti si trovano ad occuparsi del tema della violenza di genere, e a chi voglia riflettere su una questione che per la sua importanza interroga tutte e tutti. In particolare si rivolge agli allievi della Scuola COIRAG che si apprestano ad affrontare situazioni cliniche che sicuramente avranno a che fare anche con queste tematiche. Ci auguriamo che venga accolto come un contributo per approfondire la riflessione, versus la tentazione diffusa di aderire al modello della semplificazione del pensiero. La fase storica che stiamo attraversando è segnata, infatti, dal riproporsi del meccanismo della semplificazione, intesa in senso negativo, dove il pensiero sembra bandito perché richiede troppo tempo: è una fase dominata dal “tutto e subito”, dove chi grida più forte pare aver ragione soprattutto se parla alla “pancia” delle persone. Sappiamo tuttavia che anche queste considerazioni rischiano di

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essere luoghi comuni e frasi fatte se non sosteniamo a nostra volta qualcosa di diverso. Proprio per la complessità del tema che coinvolge diverse discipline e punti di vista, alcuni concetti necessariamente ritorneranno nel corso del lavoro. La divisione in capitoli non è quindi esaustiva rispetto alle singole problematiche, ma solo una facilitazione alla lettura. Abbiamo fatto tesoro di quanto molte psicoanaliste e psicoanalisti, attraverso il loro lavoro coraggioso e i loro scritti, ci hanno messo a disposizione sul tema della psicologia del femminile e della psicologia della relazione. Abbiamo attinto anche a quanto elaborato sul tema della violenza sulle donne, da scrittrici e scrittori, filosofe e filosofi, magistrate e magistrati, giornaliste e giornalisti, organizzazioni di donne e di uomini, che a diverso titolo, da vertici diversi, singolarmente e in gruppo, si sono occupate/i e si occupano attivamente della questione. A tutte e a tutti loro siamo grate. Siamo riconoscenti anche alla d.ssa P. Cicuto, che ha accolto il nostro contributo al Convegno di Pordenone nel 20186 al posto di Maria Elena Petrilli, che ci aveva chiesto di sostituirla: un passaggio di testimone che noi abbiamo sentito come una autorizzazione7 e che è diventato l’occasione per dare avvio alla nostra riflessione sul tema della violenza di genere. Un ringraziamento importante va anche alle socie e ai soci di Ariele Psicoterapia che con noi hanno condiviso le loro riflessioni sul tema e ci hanno posto alcune domande che ci hanno costrette ad approfondire la ricerca8. Ad un certo punto abbiamo dovuto accettare di finire questo lavoro che continuava ad aprire nuovi capitoli, vedendone tutta la parzialità e incompletezza, consapevoli, tuttavia, che questo è solo un passaggio di un cammino in progress che ha presupposto l’elaborazione di una nostra posizione depressiva.

“Affrontare la violenza sulle donne: l’esperienza e il possibile”, 12 ottobre 2018, Azienda Assistenza Sanitaria 5, Friuli Occidentale, Regione autonoma, Friuli Venezia Giulia. 7   Autorizzazione è un termine che ricorrerà nel prosieguo di questo lavoro. 8   In particolare ringraziamo M.T. Aceti, L. Apostolo, A. Grazioli, W. Jelasi, N. Livelli, C. Pontalti, L. Rillosi, P. Scalari, L. Speri, M. Valentini. 6

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L’elaborazione della posizione depressiva9 comporta un ulteriore raf-

PREMESSA

Facciamo nostre le parole di Jacques:

forzamento della capacità di accettare e tollerare il conflitto e l’ambivalenza. Non è più indispensabile raggiungere la perfezione nel proprio lavoro: lo si può plasmare e riplasmare, ma lo si accetterà anche con dei difetti. Il processo scultoreo può essere proseguito fino a quando è abbastanza soddisfacente: gli ossessivi tentativi di raggiungere la perfezione diventano inutili perché l’imperfezione non è più vissuta come un fallimento dolorosamente persecutorio10.

Secondo M. Klein, lo sviluppo psichico avverrebbe attraverso l’elaborazione di successive posizioni, diverse dalle “fasi” di Freud, perché si ripetono nella vita ad ogni successiva elaborazione delle problematiche che l’individuo si trova ad affrontare. Alla posizione schizo-paranoide (vedi nota 36) segue la posizione depressiva in cui l’individuo fa i conti con i propri limiti e con quelli della realtà. Secondo J. Bleger (vedi Bibliografia), le due posizioni della Klein, sarebbero precedute da una posizione indiscriminata che rappresenta il livello in cui il bambino non riesce ancora a distinguere se stesso dal mondo esterno. 10   Jacques, 1978. 9

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La violenza di genere

ALCUNI DATI Esiste una “violenza di genere”: una violenza degli uomini sulle donne che continuamente vediamo messa in atto in tutta la sua distruttività, fisica e simbolica. La violenza contro le donne rappresenta “un problema di salute di proporzioni globali enormi”. Questo dichiarava l’OMS già nel ’9311. Per avere una dimensione dell’entità del fenomeno ci pare imprescindibile far riferimento ad alcuni dati. Amnesty International denuncia che in Italia il 31,5% delle donne tra 16 e 71 anni ha subito una qualche violenza fisica o sessuale. Che una donna su 10 dopo i 15 anni ha subito qualche forma di violenza sessuale. Che una donna su 20 dopo i 15 anni è stata stuprata. Denuncia che il Codice penale italiano, e di quasi tutti i Paesi del mondo, non definisce lo stupro “un rapporto sessuale senza consenso”, come richiesto dalla Convenzione di Istanbul12, ma prevede solo che sia collegato a violenza, minaccia, inganno o abuso di autorità. La realtà dello stupro è più sfumata e la paura di non essere credute e lo stigma, scoraggiano le donne dallo sporgere denuncia: per questo la violenza sessuale è un reato pressoché impunito in tutto il mondo. Amnesty International ha avviato la campagna pubblica “Let’s talk about yes!” che pone la questione del consenso dell’una e dell’altra parte al rapporto sessuale con l’obiettivo, oltre che della modifica dell’articolo di legge specifico, di sollevare un dibattito pubblico e un lavoro culturale su questo tema13. Simonetta Agnello Hornby, che a lungo nel Regno Unito si è occupata, come avvocata, di violenza familiare, nel suo libro sulla   Quaderni di sanità pubblica, www.istat.it/it/files/2017/11/Violenza-e-salute.pdf.   “Convenzione contro la violenza sulle donne e la violenza domestica”, Consiglio d’Europa, Istanbul, 11 maggio 2011. 13   Di Nicola Travaglini, 2020. 11 12

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violenza di genere14, ha reso noti i dati pubblicati nel 2013 dalla Global Foundation for the Elimination of Domestic Violence (Edv), dove si segnalava che a livello mondiale la violenza domestica è la causa principale di morte o lesioni nelle donne tra i 16 e i 44 anni, che nel mondo una donna su tre è stata picchiata o è stata vittima di abusi da parte del partner e che la percentuale di donne che ha sperimentato la violenza fisica arriva fino al 59%. Centoquaranta milioni di bambine sono state sottoposte a pratiche di violenza in famiglia. In Europa fra il 12 e il 15% delle donne ha subito violenza dopo i 16 anni di età. La violenza domestica costituisce il 16% dei crimini violenti. Il 10% di donne in Europa è vittima di stupro o di tentato stupro. In Italia, nella fascia d’età tra i 16 e i 50 anni, le donne muoiono più per violenza domestica e sessuale che per malattie o incidenti stradali. Il rapporto tra uomo e donna pare essere da sempre e ovunque una questione di potere: un potere che, nella storia, nella sua espressione più manifesta, è stato esercitato soprattutto dall’uomo, forse anche, ma non solo, in virtù della sua maggiore forza fisica. Il potere che può essere esercitato dalle donne è sicuramente meno visibile, ma può essere altrettanto violento. L’evidenza grave di cui ci stiamo occupando è tuttavia quella della violenza di genere, cioè quella della violenza dell’uomo sulla donna in quanto donna. E ricordiamo le murder ballad americane, vecchie canzoni popolari che parlano di assassinii di donne da parte di uomini, e ci dicono di un depositato culturale trasversale che attribuisce al fatto stesso di essere donne la possibilità di venire uccise da un uomo. Sono molte le forme di violenza che è possibile esercitare all’interno di un rapporto. Ci pare importante citare quelle elencate da una delle ormai numerose associazioni di uomini “contro la violenza”15, perché è molto significativo che gli uomini abbiano iniziato a guardare a questo problema e a lavorarci, attraverso gruppi di sensibilizzazione e di intervento. Si può considerare violenza ogni forma di abuso di potere e controllo: - violenza fisica, ogni forma di violenza contro il corpo o la proprietà;

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Agnello Hornby, Calloni, 2013.   In www.nuovomaschile.org/risorse-ed-eventi/articoli/cose-la-violenza/.

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tifica la dignità; - violenza sessuale, il coinvolgimento in attività sessuali senza consenso; - violenza economica, ogni forma di controllo sull’autonomia economica; - violenza religiosa, la mancanza di rispetto verso la sfera religiosa

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- violenza psicologica, la mancanza di rispetto che offende e mor-

o spirituale; - stalking, ogni atto che lede la libertà e la sicurezza.

A questo elenco la clinica Mangiagalli di Milano ha aggiunto la violenza psicologica sui figli come violenza assistita. Per quanto riguarda la forma massima di violenza, il femminicidio, “una violenza estrema da parte dell’uomo contro la donna proprio perché donna” come definito da Diana Russell16, secondo i dati diffusi il 20 novembre 2019 dal rapporto “Femminicidio e violenza di genere in Italia”17 della Banca Dati EURES, nel 2018 sono stati 142 i femminicidi (+ 0,7% sull’anno precedente), di cui 78 per mano di partner o ex partner. L’85% dei femminicidi infatti avviene in famiglia. Nel 28% dei casi “noti”, le donne uccise avevano subito precedenti maltrattamenti spesso noti a terze persone. I numeri sembrano dire che i femminicidi sono in costante aumento a fronte di una significativa diminuzione del numero complessivo degli omicidi. Sicuramente non possiamo fare un confronto con i precedenti rapporti numerici tra questi fatti prima della definizione di questo crimine specifico, perché non ci sono dati in merito e qualsiasi uccisione di donne rientrava nel numero complessivo degli omicidi. È un’ipotesi verosimile che potessero, paradossalmente, essere di meno i femminicidi quando il contesto sociale era completamente a favore della mentalità patriarcale e gli uomini non sentivano minacciato il loro potere sulle donne. Secondo questa ipotesi il cambiamento del contesto avrebbe inasprito la contrapposizione maschi-femmine e indebolito ulteriormente l’identità di certi maschi provocando in loro una reazione ancor più violenta.   Russell, scrittrice, attivista e studiosa femminista di fama mondiale, di origine sudafricana, morta negli USA nel 2020. Il termine “femminicidio” venne da lei usato per la prima volta nella campagna per la costruzione di un tribunale internazionale sui crimini contro le donne, nel 1976. 17   ANSA.it, Cronaca, 19 novembre 2019. 16

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Come se quando le mogli davano per scontate le botte del marito, senza ribellarsi o aspirare ad una libertà da lui, non ci fosse bisogno per questi mariti di andare oltre per affermare il proprio potere su di loro. RADICI ANTICHE La violenza sulle donne sembra affondare le sue radici in un contesto storico, culturale e sociale, segnato da rappresentazioni e percezioni del femminile come subalterno, a partire dalle concezioni sulla preistoria. Secondo la “psicobiologia evoluzionista”18, i comportamenti umani sarebbero di origine biologica e sarebbero il risultato di una selezione naturale che viene dalla preistoria. L’ordine gerarchico fra i sessi non si è mai modificato, perché risultava il più efficace a garantire la sopravvivenza e la riproduzione della specie umana19.

Questa teoria sostenuta dai rappresentanti di diverse discipline scientifiche, fa da base ad una ideologia molto diffusa, volta allo “studio sistematico delle basi biologiche di tutti i comportamenti sociali, compresi quelli umani” e si è sviluppata a partire da proiezioni di stereotipi posteriori, derivati anche dalle narrazioni bibliche. La stessa teoria è alla base dell’idea che nella preistoria gli uomini andassero a caccia e le donne stessero vicino alla caverna per allevare i bambini. Questi differenti ruoli avrebbero selezionato evolutivamente strutture cerebrali diverse, quelle che oggi caratterizzerebbero le differenze principali tra i due sessi per cui, ad esempio, gli uomini sembrano essere più competitivi e le donne più cooperative. Anche se le ultime scoperte archeologiche hanno messo fortemente in discussione questa ipotesi di partenza20, queste teorie sono ancor oggi largamente accettate e condivise e “l’uomo di Cro-Magnon21 è sempre rappresentato con la clava in mano,   Una nuova disciplina che combina biologia dell’evoluzione, sociobiologia e psicologia.   Vidal, Benoit-Browaeys, 2020. 20   È molto probabile che i primi ominidi si nutrissero principalmente di animali già morti e la caccia fosse solo in minima parte una fonte di cibo attraverso battute cui, data l’esiguità di tali gruppi, partecipavano indifferentemente uomini e donne. 21   Antica forma di homo sapiens, del Paleolitico Superiore di cui sono stati rinvenuti 18

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mentre trascina la sua donna per i capelli”22. Secondo le teorie della psicobiologia evoluzionista, gli umani si sarebbero evoluti dall’orda primitiva ancora molto vicina ai gruppi animali, verso il matriarcato preistorico fino a sfociare in un patriarcato che caratterizza ancora oggi la nostra società. Questo racconto storico di uno sviluppo lineare dall’orda alla “civiltà” patriarcale, in realtà contraddice le scoperte dell’antropologia in cui le evoluzioni di ogni popolazione, in diverse parti del mondo, sono avvenute secondo sviluppi molto diversi tra loro, secondo costruzioni parentali e sociali del tutto differenti. Con un’unica costante: in tutte le epoche e in tutte le zone del mondo ovunque, nell’interpretazione della differenza tra i sessi, il vantaggio gerarchico è sempre a favore degli uomini. Spesso si è attribuito questo fatto al loro vantaggio fisico sulle donne, più deboli e vulnerabili durante la loro funzione riproduttiva, che spiegherebbe anche la divisione del lavoro tra uomini e donne. Ma, secondo Catherine Vidal e Dorothée Benoit-Browaeys, questa visione naturalistica dettata dal “buon senso”, non può spiegare da sola, lo status dominante degli uomini. (cit.)

In molte società infatti le donne lavorano più degli uomini e pur essendo le maggiori produttrici, non detengono il potere. Anche dove, come in certe tribù africane, la trasmissione della successione è matrilineare e avviene perciò di madre in figlia, c’è sì l’esclusione del padre, ma il potere viene esercitato dagli zii materni. Secondo Harari23 il grande salto che porta Sapiens dal vincolo dell’ereditarietà genetica, e quindi della biologia, al suo ingresso nella storia, è quello compiuto attraverso la capacità di creare miti, leggende, religioni, cioè finzioni che hanno il potere di tenere insieme grandi numeri di persone e farle cooperare tra loro. I costrutti sociali e le istituzioni che ne discendono sono, secondo l’autore, delle realtà fittizie che conferiscono a Sapiens la forza che lo ha portato a diventare la specie che domina il mondo, e la realtà immaginata (miti, religioni, istituzioni), cioè la cultura, è diventata nella specie umana più importante della natura di cui continua, comunque, a fare parte. alcuni resti a Cro-Magnòn in Francia. 22   Vidal, Benoit-Browaeys, 2020. 23   Harari, 2014.

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Pare che il potere maschile si sia instaurato e consolidato sulla base di narrazioni mitiche e simboliche che permettessero agli uomini di controllare il potere generativo delle donne e di appropriarsene. Questo sarebbe avvenuto a partire dalla differenza tra i sessi riguardo alla riproduzione, grazie anche all’evoluzione che ha caratterizzato solo la specie umana e ha svincolato le donne dall’estro sostituito dal mestruo. L’estro è il periodo ovulatorio detto anche epoca dei calori, che nelle femmine degli altri mammiferi è rimasto visibile. Sottratta al controllo del ciclo ovulare, la sessualità femminile si trova teoricamente disponibile ad ogni espressione [...] Permettendo coiti infecondi, la perdita dell’estro lascia spazio alla manifestazione della sessualità non generativa, a quelle espressioni erotiche, finalizzate esclusivamente al piacere [...], ma la civiltà dell’uomo ha riconnesso la sessualità femminile alla generatività24

sia per non permettere alla donna il piacere derivante dalla propria sessualità, sia per ristabilire il controllo sociale sulla fertilità. Questo è avvenuto attraverso la costruzione di norme gerarchiche e sistemi di parentela che hanno legittimato il potere maschile sulla donna, come su una proprietà, sistemi che si sono trasmessi alle generazioni successive. UNA QUESTIONE DI POTERE Siccome nessun potere può reggersi solo sulla violenza è stato necessario che, da sempre, in qualche modo, venisse accettato e addirittura sostenuto e trasmesso dalle donne. Sul perché questo sia accaduto si possono solo fare delle ipotesi. Questa è una questione intrigante che riguarda anche il dibattito intorno al fatto che le donne sono state fuori dai posti di potere non solo perché ne sono state deliberatamente escluse dagli uomini, ma anche perché esse stesse vi si sono tenute lontane. I motivi di questa autoesclusione sono talmente tanti, complessi e storicamente stratificati che è molto difficile individuarne una motivazione univoca. 28

Vegetti Finzi, 1990.

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non è sbagliata la reticenza ad esercitare il potere, poiché esso adombra, togliendolo dalla sua natura, un gesto originario che è quello conseguente alla facoltà di dare o non dare la vita che, qui sulla terra, è propria solo della potenza materna. Di quel gesto il potere vuole riprodurre l’assolutezza, sostituendolo con poteri di altra natura. Ritengo

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Annarosa Buttarelli25 sostiene che:

che si tratti di una espropriazione immaginaria.

Per quanto ci riguarda, crediamo non sia possibile riferire solo agli aspetti socio-culturali le difficoltà femminili nella scelta di professioni importanti e creative, ma che dobbiamo farle risalire a questioni più profonde ed inconsce, come sosteneva Janine Chasseguet Smirgel26. Ella infatti riconduce le inibizioni che condizionano il posto che la donna occupa nella cultura e nella società, al senso di colpa edipico della donna, legato al superamento della madre, raddoppiato da un senso di colpa specificamente femminile nei confronti del padre, che ne impediscono l’accesso a ruoli gerarchicamente elevati, sostituiti spesso difensivamente da ruoli dipendenti di sostegno all’oggetto maschile (segretaria, assistente, ispiratrice), peraltro sempre sostenuti e validati dalla realtà esterna. Per questo auspica che la presenza effettiva di donne con funzioni di potere, non necessariamente collegabili, per le loro caratteristiche, all’idea di madre invasiva, possa contribuire a ridurre lo scarto, peraltro mai completamente eliminabile, tra rappresentazione inconscia e realtà27.

Qualcosa di importante a questo livello oggi si sta muovendo se pensiamo che in Europa, attualmente, le tre cariche più importanti sono in mano a tre donne: Christine Lagarde, Angela Merkel e Ursula von der Leyen. Rispetto al potere dell’uomo sulla donna, tutte le spiegazioni che si fondano su un dato biologico e quindi predeterminato e dato per scontato, sono state contraddette dalle attuali ricerche, sia di tipo antropologico che delle neuroscienze.   Buttarelli, 1995.   Chasseguet Smirgel, 1971. 27   Pozzi, 2013. 25 26

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La certezza è che non c’è religione, in qualsiasi tempo e a qualunque latitudine, che non regolamenti la sessualità e i rapporti tra i sessi in cui la donna non debba sottostare all’uomo, in un rapporto gerarchico che attribuisce il potere al maschio, così come al re o alle classi dominanti su quelle subalterne. TRADIZIONE E MITI La tradizione ebraico-cristiana ha contribuito in maniera determinante al consolidamento di tale idea, attraverso l’immagine di un dio maschio, personificazione della ragione suprema e fonte del massimo potere, che è il creatore del mondo, e quindi anche dell’uomo e della donna, e governa il mondo dall’alto. A proposito di creazione della donna, nella Bibbia cristiana Dio crea Eva da una costola di Adamo, a sottolinearne l’appartenenza, ma nella tradizione ebraica28 Dio avrebbe creato, prima di Eva, un’altra moglie per Abramo, Lilith, impastando polvere e sporcizia. Ma Lilith era una moglie ribelle che si rifiutava di avere rapporti sessuali nella posizione del missionario, voleva stare sopra lei, e rivendicando una origine comune volò via dal paradiso terrestre. A quel punto Dio creò, per Adamo, Eva, più docile e sottomessa, almeno fino a quando non venne tentata dal serpente! Lilith è condannata a generare in continuazione dei figli demoni che poi uccide. Questo mito è alla base di una concezione della natura femminile in cui la donna ha un immenso potere di vita e di morte e, per questo suo potere, a maggior ragione deve essere dominata. La Bibbia è disseminata di figure femminili che, in pace e in guerra, tentano di sfuggire a questo destino di sottomissione in cui la cultura le ha imprigionate. Il popolo eletto nelle molteplici guerre per la conquista della Terra Promessa, ogni volta stermina tutti i popoli conquistati, salvando spesso le donne giovani per farne delle schiave. Ma presso gli ebrei anche le donne cosiddette libere non godevano di una considerazione migliore. La legge mosaica regolamentava in modo rigoroso la sessualità, soprattutto quella delle donne, che in ogni caso potevano subire la violenza impunita dell’uomo. Il Deuteronomio prevedeva per la donna stuprata due possibilità: o

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Ginzberg, 2016.

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che venisse uccisa col suo stupratore, o che fosse acquistata in cambio di denaro al padre di lei e sposata dallo stupratore. In realtà questo potere, che si mantiene per mezzo della cultura, passa abbastanza inalterato attraverso diverse fasi della storia e attraverso le trasformazioni che i miti fondanti, le religioni, subiscono per l’evoluzione del pensiero e delle scienze. Nel 1550 il Concilio di Trento si interrogava ancora sull’esistenza dell’anima nella donna. Comunque sempre all’interno della Chiesa Cattolica, erede della tradizione religiosa ebraica, la donna è stata mantenuta in una condizione di subalternità all’uomo e esclusa dalle gerarchie ecclesiastiche. È dell’estate 2020 la richiesta di alcune donne in Francia di rivestire ruoli ecclesiastici di rilievo, tradizionalmente riservati ai maschi. Più in generale, a livello di costume la Chiesa ha contribuito in modo massiccio a mantenere la tradizione che vuole la donna essenzialmente nel ruolo di moglie e madre.

Nella foto: i “Doveri delle spose” in una sacra predicazione della sacra famiglia che si tenne a Fellicarolo tra fine giugno e primi di luglio del 1895.

Il nostro tempo che orgogliosamente definiamo epoca scientifica, ha fondato sul suo pensiero razionale il valore principale dell’uomo, facendone, grazie a questo, il dominatore della natura: nella Genesi, Dio crea l’uomo per ultimo ma lo mette al di sopra di tutte le altre creature. Il frazionamento della cultura in discipline separate, frutto del razionalismo cartesiano, e la scienza newtoniana poi, ci hanno portato a considerare la natura che ci circonda come un immenso meccanismo, di cui poter capire il funzionamento per poterne limitare i danni per l’uomo e poterne sfruttare tutte le potenzialità in maniera indiscriminata. Lo sfruttamento della natura è andato di pari passo con lo sfruttamento delle donne, che in tutti i tempi sono state identificate con la natura.

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Cristina Barbieri – Aurelia Galletti

Dai tempi più antichi, si vide nella natura – e specificamente nella Terra – una madre generosa e nutrice, ma anche una femmina selvaggia e incontrollabile29.

E la visione patriarcale di entrambe, madre generosa e femmina selvaggia, ha portato ad identificare il primo aspetto con quello di una tranquilla passività e il secondo come qualcosa di pericoloso che deve essere dominato dall’uomo. Per questo, dice Fritjof Capra, L’antica associazione di donna e natura, intreccia in tal modo assieme la storia delle donne e la storia dell’ambiente, ed è la fonte di un’affinità naturale tra femminismo ed ecologia che va manifestandosi sempre più. (cit.)

IL CORPO DELLE DONNE Il fenomeno che più di ogni altro mette in luce la violenza del potere che attraverso la cultura e le istituzioni raccoglie comunque il consenso di donne e uomini, è la guerra, il momento in cui la forza e l’aggressività del potere si mostrano senza maschere. La guerra, in cui lo scontro tra poteri diversi si risolve con l’affermazione del più forte, da sempre ha avuto molto a che vedere anche col possesso delle donne, oggetto di cui appropriarsi per farne schiave, sia in funzione del godimento sessuale, sia, e soprattutto, come costruttrici della vita: dalla guerra di Troia, al ratto delle Sabine fino ai giorni nostri, basti pensare alle migliaia di stupri nella guerra dei Balcani, o a Boko Aram e alla schiavitù sessuale delle donne Yazide. Del resto lo stupro delle donne è sempre stato considerato un messaggio di potere da parte di uomini ad altri uomini, come simbolo del possesso di un territorio, senza alcun riconoscimento delle donne in quanto tali. Durante la seconda guerra mondiale, lo stupro organizzato e sistematico delle donne era pianificato a tavolino, come una tattica di guerra, e solo nel 2008 l’ONU l’ha dichiarato crimine di guerra. È del 2018 il conferimento del premio Nobel per la pace alla ragazza Yazida Nadia Murat, vittima di stupri e altre violenze come schiava sessuale dei soldati dell’ISIS, che ha avuto il coraggio di uscire dall’ombra della vergogna che sempre, soprattutto presso le 32

Capra, 2000.

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popolazioni da cui proviene, circonda la vittima e che la porta al silenzio. Contemporaneamente il premio Nobel è stato conferito anche al dott. Denis Mukwage, ginecologo congolese che cura le donne vittime di stupri e torture sessuali di ogni genere da parte dei guerriglieri africani, tra cui i più famigerati in questo senso sono quelli di Boko Haram. Pare che i più feroci e crudeli su questo versante siano ex bambini-soldato, addestrati ad ogni genere di ferocia, che compiono questi stupri di gruppo in pubblico, per cui chi è obbligato ad assistere poi fugge e si disperde per la vergogna, tanto che Ban Ki-moon, aveva definito ciò che è accaduto in Congo "un genocidio sessuale”. È come se, privati di ogni barriera che li costituisce come umani, perché impediti nel crescere dentro un tessuto sociale e istituzionale che li aiuta a diventare tali, questi “uomini” mettessero in atto le fantasie infantili che M. Klein ha scoperto nell’osservare i bambini: le incursioni violente nel corpo della madre per distruggere tutto quello che c’è di buono da cui si sentono esclusi, soprattutto per distruggere tutti i bambini-fratelli che la madre ha dentro il suo corpo. Allora le giovani donne, quelle più fertili, diventano l’oggetto di questa violenza distruttiva che stupra, che lacera dall’interno, che mostra il disprezzo e l’odio per la capacità delle donne di donare la vita. È la vendetta dell’invidia infantile per l’interno del corpo della madre, da cui soprattutto questi ex bambini soldato sono stati per sempre esclusi non solo fisicamente ma anche simbolicamente: con che mezzi potrebbero avvicinarsi ad una donna con amore? Ma c’è anche chi, come il dott. Mukwage, uomo che ha potuto accedere alla sua umanità, “ripara le donne” stuprate e lacerate. L’uso del verbo “riparare” potrebbe rinviare ad una specie di oggettivazione ulteriore di queste donne. Ma sappiamo dalla psicoanalisi, come proprio l’aspetto “riparativo” degli effetti delle fantasie distruttive del bambino verso il corpo della madre, sia alla base del lavoro e della creatività dell’adulto. C’è quindi anche un riparare pietoso e amorevole che si sviluppa nell’adulto a partire dalla consapevolezza del bambino che senza la madre non c’è salvezza nemmeno per lui. Ci si salva solo assieme. L’attacco violento al corpo femminile e alla sua capacità procreativa, si ripropone continuamente nella cronaca internazionale: l’attacco di Kabul del maggio 2020 “è stato un massacro sistematico delle madri”: la denuncia è di Frederic Bonnot, capo dei programmi

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Cristina Barbieri – Aurelia Galletti

di Medici senza Frontiere in Afghanistan30: “l’attacco alla maternità di Kabul è stato un massacro preordinato di donne incinte e partorienti. Gli aggressori hanno attraversato le stanze sparando alle donne nei loro letti, sistematicamente”. Undici sono state uccise, e fra loro anche tre partorienti, trucidate in sala parto mentre ancora non avevano dato alla luce i loro bambini. Di fronte a questi orrori, le cose di casa nostra, i singoli episodi di violenza spesso perpetrati all’interno della famiglia, sembrano assumere tutt’altra luce, ma se guardiamo meglio è possibile ritrovare una matrice comune. Uomini che “riparano”, donne che denunciano e continuano a testimoniare, altre donne invece che si schierano per tornare a controllare il corpo delle donne con leggi che ne limitano la libertà. I ripetuti attacchi, più o meno mascherati, alla legge 194 sull’interruzione volontaria di gravidanza, ne sono l’emergente. Quanto non si tratta di voler togliere alle donne qualsiasi potere e libertà di decidere sull’interno del proprio corpo? Sembra che nel tempo si ripropongano in modi diversi le stesse dinamiche. La fase di isolamento legata al Covid-19, ha visto le associazioni anti-aborto, come ProVita e Famiglia, lanciare una petizione per vietare negli ospedali durante questo periodo gli aborti, considerati interventi chirurgici non indispensabili, raccogliendo quasi 50.000 firme a loro sostegno! In alcuni ospedali gli interventi di IVG31 sono stati sospesi di fatto32, mettendo così in grave difficoltà le donne che avevano deciso di ricorrervi. In tale occasione Alessandra Kustermann, responsabile della Clinica Mangiagalli di Milano, era intervenuta pubblicamente definendo l’aborto un “servizio essenziale” pena il ricorso agli aborti clandestini “ci ricordiamo quante donne morivano (prima della legge 194)? Io lo considero un femminicidio”33. Nello stesso periodo in Umbria la giunta di centro destra, guidata da una donna, ha abrogato la delibera che permetteva alle donne di praticare l’aborto farmacologico in day hospital, scatenando uno scontro politico con l’opposizione, preoccupata che questo potesse spingere molte donne a rinunciare all’IVG, anche per paura di un   Bonnot, 2020.   IVG (Interruzione Volontaria di Gravidanza). 32   Impugnando il decreto del 9 marzo 2020, in cui si leggeva che “si possono rimodulare o sospendere le attività di ricovero e ambulatoriali differibili e non urgenti”. 33   Rapisardi, 2020. 30 31

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LA VIOLENZA DI GENERE

contagio: un’iniziativa contraria alla richiesta della Società italiana di ginecologia e ostetricia che aveva chiesto di favorire l’aborto farmacologico proprio per tutelare le donne ed evitare di congestionare le strutture sanitarie in tempi di Coronavirus. In questi diversi movimenti, risulta evidente come entrambi i sessi siano alleati nell’attacco al femminile, come rappresentante della capacità procreativa della madre, da cui entrambi cercano di svincolarsi. Come se l’aborto fosse una passeggiata e non lasciasse, proprio anche per tutti i portati simbolici che ad esso si accompagnano, segni sempre pesanti in chi vi ricorre! Come ci ricorda Simone de Beauvoir, nel 1949, parlando dell’interruzione di gravidanza: gli uomini si contraddicono con uno stolido cinismo; ma la donna sperimenta queste contraddizioni nella sua carne ferita […] pur considerandosi vittima di un’ingiustizia, si sente contaminata, umiliata; è lei che incarna sotto forma concreta e immediata, in sé, la colpa dell’uomo34.

Il corpo delle donne è sempre stato un crocevia simbolico in cui diverse pratiche più o meno violente hanno espresso la sottomissione della donna. Non a caso interventi violenti sui corpi femminili anche mascherati da questioni estetiche, hanno da sempre caratterizzato diverse culture: i piedi delle cinesi di classi sociali elevate, le donne giraffa col collo allungato da anelli del nord della Thailandia, la clitoridectomia e l’infibulazione, ancora praticate in vaste aree dell’Africa. Byung-Chul Han, nel suo ultimo testo35 parlando delle derive della violenza nella società attuale, avanza l’ipotesi che siamo sempre più di fronte a quella che egli chiama “una violenza positiva”, che si caratterizza per essere autodiretta. È una violenza che “l’uomo della prestazione” esercita contro se stesso a causa della mancanza di confini in una continua lotta di autosfruttamento. A proposito delle donne, cita Zizek secondo il quale il sistema occidentale, liberale, esercita una pressione fortissima su di loro, costringendole “a sottoporsi a interventi di chirurgia plastica, trattamenti cosmetici e iniezioni di botulino al fine di restare competitive nel campo sessuale”36.

Marzano, 2018.   Han, 2020. 36   Zizek, 2007. 34 35

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La violenza sulle donne o “violenza di genere”, che l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha definito “una pandemia invisibile”, continua a rappresentare una minaccia, tra quelle rilevanti, per la salute pubblica globale. Il fenomeno si è acuito in modo sensibile durante il periodo di lockdown per il Covid-19 che ha costretto alla convivenza e all’isolamento coppie e famiglie. La stesura di questo testo nasce dall’importante lavoro di ricerca fatto dalle autrici sul tema della violenza sulle donne, con riferimento ad un ampio contesto storico, culturale e sociale, secondo il modello psicosocioanalitico, di cui le autrici sono portavoce e a cui sempre più guarda chi opera in campo Psicosociale.

AURELIA GALLETTI è psicologa, psicoterapeuta, psicosocioanalista, past-president di Ariele Psicoterapia, si occupa di individui, coppie e gruppi, e dei processi di formazione e trasformazione istituzionale nell’ambito dei servizi. È docente e supervisora nella scuola COIRAG ed è autrice di numerose pubblicazioni sulla psicosocioanalisi e sulla psicoterapia progettuale, individuale e di gruppo. Per la meridiana è coautrice, con Leonardo Speri, di Con la lente della mente. Alle radici dell’osservazione psicoanalitica (2020).

ISBN 978-88-6153-809-2

Euro 15,00 (I.i.) www.lameridiana.it

LA VIOLENZA DI GENERE

CRISTINA BARBIERI, psicologa psicoterapeuta, psicosocioanalista è vicepresidente di Ariele Psicoterapia e docente della Scuola di Psicoterapia della COIRAG. Già Dirigente Psicologa all’interno del Servizio Sanitario Nazionale, ha svolto attività clinica e di coordinamento nei Servizi per le dipendenze patologiche, per l’età evolutiva, per la famiglia/genitorialità. Attualmente svolge attività libero professionale come psicoterapeuta e formatrice in ambito individuale gruppale e istituzionale. Curatrice e coautrice di pubblicazioni sui temi oggetto di ricerca nell’ambito delle diverse attività esercitate.

C. BARBIERI - A. GALLETTI

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CRISTINA BARBIERI AURELIA GALLETTI

LA VIOLENZA DI GENERE UNA QUESTIONE COMPLESSA

P E R C O R S I PsicoSocioAnalitici

“Percorsi PsicoSocioAnalitici”è il punto di connessione tra teoria e ricerca operativa in ARIELE Psicoterapia e ne intreccia il continuo approfondimento clinico, teorico e tecnico. La PsicoSocioAnalisi orienta teoria e prassi attraverso il paradigma individuo-famigliagruppo-polis declinando i verbi fondamentali del vivere umano: “amare” e “lavorare”. La collana rappresenta l’occasione per tracciare un itinerario e utilizzare l’approccio psicosocioanalitico per analizzare da diversi vertici l’esperienza e la sofferenza psichiche nelle loro molteplici manifestazioni. “Percorsi PsicoSocioAnalitici” è indirizzata a quanti operano nei vasti ambiti della psicologia, della psicoterapia, delle scienze sociali e della formazione e a quanti siano interessati ad un approccio psicoanalitico dinamico e articolato.


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