Rivista trimestrale - anno XCVIII
ottobre/dicembre 2008
La solidarietà Messaggi natalizi Messaggio dalla Madonna del Sasso Le pagine dell’ordine francescano secolare
Sommario
Solidarietà natalizia
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a cura della redazione
La solidarietà
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fra Callisto Caldelari
I tre tempi del Natale
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Il presepe
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Quale il vero Natale di Francesco?
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MESSAGGERO Rivista di cultura ed informazione religiosa fondata nel 1911 ed edita dai Frati Cappuccini della Svizzera Italiana - Lugano Comitato di Redazione fra Callisto Caldelari (dir. responsabile) fra Ugo Orelli fra Edy Rossi-Pedruzzi fra Michele Ravetta Claudio Cerfoglia (segretariato) E-Mail redazione@messaggero.ch
fra Riccardo Quadri
Il mito di Francesco attraverso i secoli
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Mario Corti
Che valore hanno i racconti storici nella Bibbia?
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Le pagine dell’OFS
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fra Michele Ravetta e Gabriella Modonesi
Messaggio dalla Madonna del Sasso
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fra Agostino Del-Pietro
Messaggi dai conventi… ...e dalle loro adiacenze
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Dieci minuti per te
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Hanno collaborato a questo numero Veronica Carmine Mario Corti fra Agostino Del-Pietro Gino Driussi Alberto Lepori Gabriella Modonesi Maria Pola fra Riccardo Quadri fra Andrea Schnöller Redazione e Amministrazione Convento dei Cappuccini Salita dei Frati 4 CH - 6900 Lugano Tel +41 (91) 922.60.32 Fax +41 (91) 922.60.37 Internet www.messaggero.ch E-Mail segreteria@messaggero.ch
fra Andrea Schnöller
Appunti di vita ecclesiale
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Alberto Lepori
Cristiani divisi alla mensa del Signore
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Gino Driussi
Abbiamo letto... abbiamo visto…
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Note dall’amministrazione Questo numero è l’ultimo inviato a chi non ha versato l’abbonamento per il 2008. Per favore regolarizzate al più presto la vostra posizione. Compilando la polizza per l’abbonamento alla rivista non mancate di riportare l’esatto nominativo al quale è stata spedita. Ci aiuterete ad abbinare con certezza il pagamento al destinatario.
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Solidarietà natalizia
I
n questo quarto numero del Messaggero rinnovato, il tema di fondo sulla solidarietà cede quasi tutto lo spazio ad un altro tema obbligato: il Natale. Due temi che si completano a vicenda perché se c’è un’occasione per essere solidali, non a parole ma coi fatti, è proprio il Natale.
Obbligato da chi? Dall’anno liturgico, ma anche dal sentimento popolare che fa del Natale la festa più sentita dell’anno. La liturgia non pone il Natale ai vertici delle sue celebrazioni; parecchie altre feste sono liturgicamente più importanti del Natale: certamente la Pasqua, ma anche la Pentecoste. Comunque l’attesa della nascita di Gesù – sebbene storicamente non collocabile in un giorno, mese e anno precisi – ha un suo ciclo di quattro settimane nel rito romano (sei nel rito ambrosiano), chiamato Avvento. Il sentimento popolare pur partendo da questo fatto, incerto per data ma certo per storicità, ha caricato il Natale di tanti altri significati, alcuni belli ed opportuni, altri meno belli e quindi inopportuni. Il Natale è la festa delle famiglie, la festa degli auguri, dei doni e quindi dei commerci. Malgrado tutto ciò la Redazione augura, a tutti i suoi affezionati lettori, sinceramente e francescanamente, un “Buon Natale” e lo fa con le parole per noi familiari di “Pace e bene”, quella pace che è stata augurata dagli angeli alla nascita del sommo Bene. Questo numero è anche l’occasione di un bilancio sulla rinascita del Messaggero. La nostra attività redazionale che si presenta più impegnativa del previsto, dopo quattro puntate sta avviandosi verso dei traguardi che possono farci sperare nella continuità. Non che il corpo dei redattori non “voglia continuare”, ma il pericolo è che non “possa” continuare per ragioni finanziarie. Ci rincrescerebbe smettere per motivi finanziari, anche perché con il prossimo anno, durante il quale l’uscita sarà garantita dai frati cappuccini della Regione Svizzera Italiana, imposteremo i quattro numeri sui sacramenti con un’attenzione speciale per le famiglie, cioè come spiegarli ai bambini. Qualche lettore si è spaventato leggendo sull’ultimo numero che “rimane il problema degli abbonamenti”. Abbiamo leggermente migliorato, da 825 dopo il secondo numero siamo arrivati a 1.000 dopo il terzo, riuscendo così ad avere le copie sufficienti per l’agevolazione postale. Siamo ben lontani dall’autosufficienza che verrebbe assicurata qualora arrivassimo a 1.500 abbonati. Rimane quindi valida l’offerta formulata a ottobre: “Coloro che pagheranno l’abbonamento sostenitore per il 2009, potranno indicare un indirizzo al quale inviare, direttamente e gratuitamente, la rivista per un anno”. Coraggio quindi, aiutateci a sopravvivere, non perché riteniamo di essere indispensabili, ma perché ci riteniamo utili per una migliore formazione cristiana. La redazione
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Messaggio tematico
La solidarietà
I
l titolo di questo mio articolo contiene la parola “solidarietà” che indica un legame esistente fra persone o enti di carattere economico o affettivo. La solidarietà, intesa in questo senso, è per natura sua attiva, in quanto unisce chi vive, agisce, ama, lavora per un unico interesse. Ma oltre che attiva deve essere anche reciproca; nel nostro caso questa reciprocità si realizza quando esiste una solidarietà fra individui e società e una solidarietà fra società e individui. Prima di toccare questo rapporto vorrei toccare due altri ambiti della solidarietà, con se stesso e col prossimo.
Solidarietà col prossimo Qui intendo la parola “prossimo” nel senso etimologico: colui o coloro che sono più vicini: i familiari, figli e parenti stretti. Evidentemente la solidarietà che si ha col prossimo (nella gioia e nel dolore) dipende dai rapporti che si hanno con questo prossimo, cioè dal fatto che si sia riusciti a farlo diventare prossimo, cioè esterno, anche se vicino, altro, e non nel fatto che questo prossimo è rimasto dentro il nostro io egoistico, ma staccato, mai totalmente partorito.
Solidarietà con se stesso Cosa significa? Si tratta di essere in armonia con tutte le parti del nostro essere. E’ questa una solidarietà in continua evoluzione, composita, e non semplice come potrebbe apparire a prima vista. Ma in che cosa consiste questa solidarietà con se stessi? Nell’accettare per esempio i continui cambiamenti fisici, giungendo ad apprezzarli, a valorizzarli e nell'accettare i nostri acciacchi e le malattie, portatori di dolori, ma anche di maggior capacità comprensiva, di maggior sensibilità verso gli altri. Evidentemente non si tratta di essere solidali solo con la parte fisica di se stessi. Vi è soprattutto la solidarietà con la parte psichica e spirituale: essere solidali con la propria mente, anche se questa, alle volte, ci fa qualche scherzo di memoria, perché questa mente è arricchita da anni di esperienza; essere solidali con il proprio spirito, valorizzando le virtù che in anni di vita abbiamo coltivato ed affinato. Evidentemente questa solidarietà con se stessi si modifica con l'età; permettetemi un paragone fra il giovane e l’anziano rispetto a questa solidarietà con se stessi: vedo il giovane come un dizionario, un’enciclopedia: quando ha bisogno di un dato cerca una parola la quale, al massimo, lo rimanda ad altre di riferimento; vedo l’anziano come un computer, che “clicca” un dato ed ha una composizione già fatta, un materiale già elaborato, frutto di tante esperienze e ricerche fatte nella vita. Gesù ha un bell’esempio in merito, quando - rifacendosi a tanti antiquari che allora come oggi esistevano in Gerusalemme - disse: “L’uomo saggio cava dal buon tesoro del suo cuore buono, cose belle”.
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Col prossimo bisogna essere solidali nella gioia, senza ma... senza se... primi e più sinceri nelle congratulazioni, presenti alle sue feste con partecipazione personale e non solo con doni rappresentativi. Solidali nel dolore, nella disgrazia, con una partecipazione attiva che faccia capire la nostra presenza, ma senza essere ingombranti, fastidiosi, mendicando compassione per quella parte di dolore che la disgrazia altrui procura anche a noi. La solidarietà col prossimo più prossimo richiede spesso grande equilibrio, forza d’animo per essere e stare equidistanti da tutte le persone in causa, specialmente quando si tratta di divisioni e separazioni. Penso alla capacità degli sposi di agire con saggezza e prudenza in momenti di separazione e divorzio per non coinvolgere i figli ma soprattutto a quelle persone che, con azione intelligente, hanno sventato queste separazioni, o le hanno rese meno traumatiche specialmente per i membri più giovani della famiglia. Ancora Gesù ha una parola forte in merito - parola che quando si celebra un sacramento del matrimonio - il sacerdote deve ripetere a tutti: “Ed ora nessuno può separare ciò che Dio ha unito”. Mi riferisco esplicitamente alla splendida azione svolta da genitori prudenti e intelligenti durante l'adolescenza dei propri figli, capaci di permettere loro di staccarsi senza perdersi. È nell'ambito familiare che la solidarietà trova il primo luogo dove manifestarsi: ci sono persone che si fanno in quattro fuori di casa, mentre in famiglia non sono capaci di mantenere rapporti corretti, di dare una mano anche in momenti di necessità. A mio modesto avviso questa è una falsa solidarietà, cerca approvazione all'esterno, senza rispettare i propri doveri all'interno della cerchia domestica.
Solidarietà con la società Qui il discorso si fa politica, intendendo il termine nel senso più ampio, cioè etico. Vorrei toccare solo due punti: Il punto della solidarietà con chi ha bisogno e non riceve sufficiente aiuto dalle istituzioni ufficiali. Perciò si rivolge alle società dove si esercita il volontariato. Società preziose, se i volontari che ivi lavorano sono coscienti che non basta la buona volontà, ma è necessaria una profonda conoscenza del territorio, dei suoi abitanti, dei suoi bisogni. Il punto della collaborazione fra queste società volontaristiche. Anche nel nostro paese si sprecano troppo energie per la mancanza di coordinamento fra diverse associazioni. A mio modesto avviso questo compito di coordinare dovrebbe essere proprio della Stato, soprattutto quando sussidia il lavoro dei volontari. Il punto dell'esperienza, pensando soprattutto alla solidarietà che può essere insegnata dagli anziani. Bisogna sfruttare questi capitali di storia e fare degli anziani dei formatori dei giovani umili e discreti, maestri di politica e non solo dei galoppini in tempo di votazioni e di “laudatores temporis acti”.
spensabile essere convinti che è più quello che si riceve di quello che si dà. Non sono mai stato nel Terzo Mondo, ma ho lavorato nel sociale in casa nostra. Qualche cosa ho cercato di dare, ma è certamente più quello che ho ricevuto in esperienza, in crescita e maturità sociale e politica, di quello che ho dato. Il tasto della sensibilizzazione sociale. Da una azione intelligente di solidarietà, nasce un arricchimento, ma questo non deve rimanere personale, ma diventare sociale. La società ha diritto di usufruire della ricchezza, non solo economica, dei suoi componenti. Ecco quindi il valore di un libro come quello che ora viene presentato. È una lezione di politica sociale aperta a tutti. Perciò l’augurio che sia letto dal più grande numero possibile di persone. Il tema della solidarietà ha un'attualità tutta particolare nelle feste natalizia - che ci ricordano come Dio è stato solidale con noi, da inviarci il grande Dono del suo Figlio - e come noi dobbiamo essere solidali con Dio aiutando questo Figlio presente nei nostri fratelli bisognosi: "Qualsiasi cosa avete fatto al più povero dei miei fratelli, l'avete fatta a me". fra Callisto Caldelari
Solidarietà con il terzo mondo Finora ho fatto un discorso che invita a guardare dentro casa nostra. Ora apriamo le finestre e abbracciamo col nostro sguardo l’ampio panorama del Terzo Mondo. Anche qui troviamo tre tasti da pigiare che uniti a quelli precedenti ci permettono di comporre la bella melodia della solidarietà. Il tasto della giustizia. Non saremo mai solidali con una società diversa dalla nostra se ci accostiamo ad essa con sentimenti di carità e non di giustizia. Quello che noi abbiamo, che non sia necessario, è rubato a chi non ha il necessario. Questo non è un discorso moralistico, è un discorso etico e politico. Il tasto della riconoscenza. Quando si lavora nel sociale, sia in casa, come all’estero, è indi-
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Messaggio del Vescovo Messaggi natalizi
I tre tempi del Natale
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on può uscire un Messaggero sotto le feste senza un pensiero sul Natale. Ma parlare del Natale vuol dire parlare di un periodo, non di un giorno: abbiamo il pre-Natale, il Natale vero e proprio ed il post-Natale. Il pre-Natale noi lo chiamiamo Avvento ed il nome stesso già indica la funzione di questo tempo: l’attesa del Messia che viene. Il Natale è la festa che tutti conosciamo, una festa più lunga delle altre perché non inizia a mezzanotte ma già alcune ore prima, infatti si parla della sera di Natale intendendo le ore della vigilia. Il post-Natale è quel periodo ricco di giorni festivi che va dal 25 dicembre al 6 gennaio festa dell’Epifania. Lo stato d’animo con il quale viviamo questi tre tempi lo possiamo paragonare a quello di un bambino che attende un postino che già sa portatore di un pacco dono… importante… prezioso. Prima che arrivi lo attende, spia dalla finestra, pregusta la gioia di ricevere quel pacco dalle sue stesse mani. Quando è arrivato lo accoglie sorridente, la sua attesa è appagata. Poi, mentre lui se ne va, apre il pacco, ammira il regalo e si sviluppano in lui sentimenti di riconoscenza verso che gli ha inviato quel dono… e perché no, indirettamente anche verso il postino che lo ha portato. Ebbene proviamo ad applicare questi sentimenti al dono immenso che ogni Natale ci porta, il dono della venuta del Signore. L’umanità l’ha atteso per molti secoli. con espressioni che tradivano lo spasimo di un’aspettativa che diventava sempre più difficile da sopportare. I profeti hanno manifestato il loro desiderio di veder spuntare il giorno in cui il Grande Dono dal cielo giungesse agli uomini: “Vieni a noi Re delle genti desiderio dei viventi”. “O di Jesse, regal fiore, vieni Dio Salvatore”. “Vieni Dio Emmanuele, e dimora in Israele”. Anche oggi è importante coltivare il “senso dell’attesa”. In ogni famiglia il tempo dell’Avvento dovrebbe essere contrassegnato da fatti concreti che annunciano un’aspettativa, quale la costruzione lenta e graduale del presepio cristiano, un calendario dell’Avvento cristiano con le sue porticine che ogni sera gradualmente si aprono, la preparazione di un pacco dono da inviare per Natale a chi è meno fortunato.
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Coltivare il senso dell’attesa vuol dire controbilanciare lo spasimo del consumismo ridando al Natale il suo genuino significato anche attraverso una preparazione morale e spirituale. Poi, ecco il giorno del Natale, con la cena della vigilia, la Messa di mezzanotte, il pranzo più ricco e più buono del solito, il pomeriggio un po’ stanco, magari trascorso visitando i parenti o i presepi delle varie chiese. Natale è comunque il giorno più bello dell’anno per chi lo sa apprezzare, per chi lo ha saputo preparare. Ma deve essere il giorno del “Dono”… cioè il giorno in cui sappiamo che si realizza la presenza spirituale di Cristo che rinasce nei nostri cuori con proposte di pace e di bontà. Ma anche il giorno dei doni che noi scambiamo con altri. Fossero solo il dono degli auguri, ma fatti con sincerità ed affetto: più spesso il dono di un oggetto, di un segno, che per piccolo che sia vuol sempre indicare il nostro affetto, la nostra presenza. E, dopo il giorno di Natale fino all’Epifania, ci sono altre feste, altri giorni importanti. L’Ultimo dell’anno con la funzione del grazie prima del cenone, il Capodanno che dovrebbe essere il giorno dei propositi, l’Epifania (parola che significa “Bella manifestazione”, da contrapporsi a Befana, parola che significa “brutta manifestazione”. Tutti giorni di festa vera che non si dovrebbero esaurire nel mangiare e bere. Vi è anche il dopo-Natale, periodo nel quale si è spesso distratti dalle vacanze sulla neve, dai bambini che sono a casa da scuola e la cui presenza crea qualche problema in più. Ebbene il dopo-Natale dovrebbe essere il tempo del “grazie”, della riconoscenza, del ricambio d’auguri e di doni. Purtroppo il senso del grazie non sempre è sviluppato in questa società, più disposta a ricevere che ad offrire; eppure se un bambino riceve qualcosa e non ringrazia, noi siamo pronti a fargli l’osservazione: “Che cosa si dice?”…. E magari noi stessi siamo misconoscenti, per non dire ingrati… verso chi ci fa o ci ha fatto del bene soprattutto verso Colui che è il datore di ogni dono!... Quel Bimbo di Betlemme che si è fatto dono natalizio per noi. Perché questa misconoscenza?... Forse perché noi riteniamo che tutto quello che abbiamo è frutto delle nostre capacità o del nostro lavoro e quello che riceviamo è dovere degli altri a nostro riguardo. Se fosse così saremmo delle povere persone chiuse dentro una visione molto individualista della nostra vita.
Dal "Natale» di Alessandro Manzoni
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Oggi egli è nato: ad Efrata, Vaticinato ostello, Ascese un’alma Vergine, La gloria d’Israello, Grave di tal portato: Da cui promise è nato, Donde era atteso uscì. La mira Madre in poveri. Panni il Figliol compose, E nell’umil presepio Soavemente il pose; E l’adorò: beata! Innanzi al Dio prostrata Che il puro sen le aprì.
L’Angel del cielo, agli uomini Nunzio di tanta sorte, Non de’ portenti volgesi Alle vegliate porte; Ma tra i pastor devoti; Al duro mondo ignoti, Subito in luce appar. E intorno a lui per l’ampia Notte calati a stuolo, Mille celesti strinsero Il fiammeggiante volo; E accesi in dolce zelo, Come si canta in cielo, A Dio gloria cantar. L’allegro inno seguirono, Tornando al firmamento: Tra le varcate nuvole Allontanossi, e lento Il suon sacrato ascese, Fin che più nulla intese La compagnia fedel.
Senza indugiar, cercarono L’albergo poveretto Que’ fortunati, e videro, Siccome a lor fu detto, Videro in panni avvolto, In un presepe accolto, Vagire il Re del Ciel. Dormi, o Fanciul; non piangere; Dormi, o Fanciul celeste: Sovra il tuo capo stridere Non osin le tempeste, Use sull’empia terra, Come cavalli in guerra, Correr davanti a Te. Dormi, o Celeste: i popoli Chi nato sia non sanno; Ma il dì verrà che nobile Retaggio tuo saranno; Che in quell’umil riposo, Che nella polve ascoso, Conosceranno il Re
”
Messaggi natalizi
Il presepe In tutte le chiese francescane, da secoli, per Natale si allestiscono dei grandi e bei presepi. Anche quest’anno nella chiesa del Sacro Cuore di Bellinzona sarà aperta una mostra di presepi. Riportiamo un’intervista in merito rilasciata da P. Callisto alla signora Carla Rezzonico per il sito internet di “Ticino Turismo”.
Secondo lei il presepe è ancora importante? Ritengo che oggi sia necessario insistere sull’importanza del presepio fatto soprattutto in casa, dai bambini. Quindi può cambiare secondo la loro età, secondo i loro interessi. All’inizio sarà un presepio tradizionale, ma poi ho visto dei ragazzini fare delle cose artistiche molto belle. Per i più piccoli è importante che siano i genitori, mentre costruiscono con loro il presepe, a spiegare il significato delle statue, chi è Maria, chi è Giuseppe, chi sono i pastori, magari anche perché vi è il bue e l’asino, riferendosi a una profezia che diceva come il Messia sarebbe nato tra due animali, simbolo di povertà. Costruendo il presepio si impara il vangelo.
Lei ha creato, nella sua chiesa al Sacro Cuore a Bellinzona, una mostra di presepi che si ripete ogni anno. Perché? Come è stata accolta la sua iniziativa? La mostra dei presepi che da quattro anni viene allestita nella Chiesa del Sacro Cuore è nata per caso. Da sempre si faceva un presepio molto grande, il posto variava, qualche volta nel coro, qualche volta in un arcata in Chiesa a seconda di chi lo voleva costruire. Poi hanno iniziato alcune famiglie a chiedere se potevano portare dei presepi che
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avevano conservato, costruiti artigianalmente qualche anno prima. Abbiamo detto di sì, ed è stata una gara nell’offrirci questi manufatti, artisticamente belli. Infine ci sono stati alcuni parrocchiani che si sono offerti di costruire loro dei presepi in chiesa. I presepi quattro anni fa erano una ventina, quest’anno saranno più di trenta. L’iniziativa è stata accolta molto bene, vengono tantissime persone da tutto il Ticino a vedere questi presepi, noi forniamo loro una spiegazione, normalmente vi è un sottofondo musicale per offrire un’atmosfera di tranquillità e di pace, di riflessione e di meditazione. Non la chiamiamo “mostra dei presepi” ma “percorso nei presepi”, proprio perché é un invito a camminare lungo le pareti della chiesa dove questi manufatti sono collocati e, a riflettere, ed anche a pregare.
Quali sono le anticipazioni che può fare sull’esposizione di quest’anno? Quest’anno abbiamo avuto alcune richieste di imprestare dei nostri presepi ad altri, e un’offerta di esporre alcuni diaporama, presepi di piccola fattura, ma di alto valore artistico nella nostra chiesa. E’ iniziato così uno scambio. Qualcosa si era già fatto negli anni precedenti, ma non in una misura così grande. E credo che questi scambi siano interessanti perché chi fa un bel presepio gli rincresce disfarlo subito dopo l’Epifania, lo vorrebbe conservare, e conservandolo lo vorrebbe esporre l’anno dopo, ma non nella propria casa o nella propria parrocchia dove è già stato visitato, ma altrove. Noi questi scambi li favoriamo.
Qualche tempo fa lei ha lanciato un appello ai “presepisti” perché collaborino e si uniscano in un gruppo. Cosa ci può dire a proposito? L’anno scorso ho lanciato un appello ai costruttori di presepi di tutto il cantone affinché si uniscano in gruppo. Qualche cosa si è fatto, alcune persone hanno aderito a questo gruppo spontaneo. Si sono uniti, è stato organizzato al Centro Spazio Aperto di Bellinzona un corso simile a quello che da alcuni anni viene organizzato a Balerna dai signori Negri. E’ stato ben frequentato, e chi vi ha partecipato ha dimostrato interesse. Sono sicuro che migliorerà la creazione dei presepi con queste nozioni tecniche sull’uso del materiale, sulla prospettiva, sui colori. Vorrei aggiungere un’ultima nota: non vorrei che il presepio diventasse una bandiera cattolica da sventolare contro i musulmani, o persone di altre religioni. Andrebbe contro la sua stessa struttura che è di semplicità e umiltà.
MESSAGGI del racconto del Natale da trasmettere ai bambini Con questo numero vogliamo iniziare una pagina (almeno) per i genitori con l’intento di aiutarli nell’istruzione ed educazione religiosa dei loro figli. Iniziamo evidentemente col Natale.
“Non c’era posto per loro nell’albergo” L’egoismo di chi non accoglie, non aiuta, pensa solo per se.
“Maria lo depose in una mangiatoia” Per tre volte nel brano del Vangelo di Luca si nomina la mangiatoia, segno di grande povertà.
“C’erano dei pastori” I pastori che “vigilavano” sono il simbolo delle persone attente, sensibili, alla voce di Dio, come dovrebbero essere tutti i cristiani.
“Non temete: è nato per voi un Salvatore” Ecco il grande annuncio. Noi tutti abbiamo bisogno di un Salvatore che ci “salvi” dal male spirituale (peccato) e fisico (malattia).
“Gloria a Dio nell’alto dei cieli e Pace agli uomini che egli ama” La bella preghiera natalizia, Rendere gloria a Dio, ringraziarlo perché ha tanto amato gli uomini da donare a loro il suo Figlio.
Andarono “festinanter” = subito con gioia Come i pastori, quando Dio ci chiama, dobbiamo andare con gioia ad aiutare chi oggi rappresenta Gesù, i poveri.
“Trovarono Maria, Giuseppe e il Bambino deposto in una mangiatoia” La Sacra Famiglia, il padre, la madre, il Figlio dovrebbe essere il modello di tutte le famiglie: viver nell’amore e nella pace.
“Raccontarono a tutti ciò che avevano visto” Raccontare non solo i regali ricevuti, ma anche la gioia provata per le cose belle e buone fatte per Natale.
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Messaggio Messaggi del Vescovo natalizi
Quale il vero Natale Titolo di Francesco?
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orse stato Francesco d’Assisi l’inventore del presepio? Chi non conosce la famosa notte di Greccio? Già nel numero di novembre/dicembre 2003 di Messaggero si è scritto di questo tema, e lì si è pure recensito il saggio di Roberto Beretta, “San Francesco e la leggenda del Presepio” (Edizione Medusa, Milano 2003). L’autore intende sfatare numerose leggende nate attorno al presepio natalizio di Greccio sostenendo, tra l’altro, che non è stato il povero di Assisi ad inventarlo e nemmeno che i francescani possano rivendicarne l’esclusività. Inoltre, se il fatto è realmente avvenuto, l’unica interpretazione che se ne potrebbe dare è quella di un gesto polemico da parte di Francesco e una calda esortazione a “ripetere Cristo su questa terra”, ad essere veramente, come suoi seguaci, poveri non solo dentro ma anche fuori. Ma rileggiamo prima il racconto che ne fa Bonaventura, sulla scia di Tommaso da Celano. «(Francesco) tre anni prima della sua morte, decise di celebrare vicino al paese di Greccio, il ricordo della natività del bambino Gesù, con la maggior solennità possibile, per rinfocolare la devozione. Ma, perché ciò non venisse ascritto a desiderio di novità, chiese ed ottenne prima il permesso del sommo Pontefice. Fece preparare una stalla, vi fece portare del fieno e fece condurre sul luogo un bove ed un asino. Si adunano i frati, accorre la popolazione; il bosco risuona di voci e quella venerabile notte diventa splendente di innumerevoli luci, solenne e sonora di laudi armoniose. L’uomo di Dio stava davanti alla mangiatoia, ricolmo di pietà, cosparso di lacrime, traboccante di gioia. Il santo sacrificio viene celebrato sopra la mangiatoia e Francesco, levita di Cristo, canta il santo Vangelo. Predica al popolo e parla della nascita del re povero e, nel nominarlo, lo chiama, per tenerezza d’amore, il “bimbo di Bethlehem”. Un cavaliere, virtuoso e sincero, che aveva lasciato la milizia secolaresca e si era legato di grande familiarità all’uomo di Dio, il signor Giovanni di Greccio, affermò di aver veduto, dentro la mangiatoia, un bellissimo fanciullino addormentato, che il beato Francesco, stringendolo con ambedue le braccia, sembrava destare dal sonno. Questa visione del devoto cavaliere è resa credibile dalla santità del testimone, ma viene comprovata anche dalla verità che essa indica e confermata dai miracoli da cui fu accompagnata. Infatti l’esempio di Francesco, riproposto al mondo, ha ottenuto l’effetto di ridestare la fede di Cristo nei cuori intorpiditi; e il fieno della mangiatoia, conservato dalla gente, aveva il potere di risanare le bestie ammalate e di scacciare varie altre malattie. Così Dio glorifica in tutto il suo servo e mostra l’efficacia della santa orazione con l’eloquenza probante dei miracoli». (FF1186)
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E’ noto che, tra gli evangelisti, solo Matteo e Luca parlano della nascita di Gesù. Gli esegeti ascrivono il loro racconto al cosiddetto genere midrashico o devozionalistico, cioè ad un commento cristiano del Primo Testamento. Così, come farà il cosiddetto celebre “Leggendario dei santi”, si collegano dati antichi a nomi recenti o viceversa. Il Vangelo di Marco, che è il più antico dei quattro, non ne parla e nemmeno Paolo nelle sue numerose Lettere, anche se in Galati 4,4: «(Gesù) nato da donna, nato sotto la Legge», gli offre il ‘presepio’ più spoglio che si possa immaginare. Molto meno teologico, ma poetico, il racconto di Matteo e di Luca è servito di guida e di esempio agli agiografi francescani. L’accenno al fieno della mangiatoia, conservato con devozione dalla gente per la cura delle bestie malate, ma anche ad uso di donne partorienti in difficoltà o di altri ammalati, può essere ricondotto a quella che viene chiamata religiosità popolare o del popolo. Ma il Natale di Greccio è proprio il Natale di Francesco? Per rispondere a questo interrogativo, leggiamo ora il racconto di un altro Natale di Greccio, riferito sia dalla “Leggenda” sia dallo “Specchio di perfezione”, e che Tommaso da Celano - per non smentirsi - colloca invece a Pasqua. «In altro tempo, venne un ministro dei frati da Francesco, che soggiornava a Greccio, per celebrare il Natale del Signore insieme con lui. I frati dell’eremo, in occasione della festa e per riguardo all’ospite, prepararono la mensa con cura, coprendo le tavole con belle tovaglie bianche, che avevano acquistato, e guarnendola di bicchieri di vetro. Quando Francesco scese dalla celletta per desinare, vedendo la mensa alzata da terra e allestita con tale ricercatezza, uscì senza farsi notare, prese il cappello e il bastone di un mendicante venuto là quel giorno e, dopo aver chiamato sottovoce uno dei compagni, andò fuori dalla porta del romitorio. I frati non si accorsero di nulla. Si misero a tavola tranquillamente, poiché era volontà del Santo che, se non veniva subito all’ora della refezione, i frati cominciassero a mangiare senza di lui. Intanto il suo compagno chiuse la porta, e rimase dentro, accanto all’uscio. Francesco bussò, e quello subito gli aprì. Entrò con il cappello sul dorso e il bastone in mano, come un pellegrino. Affacciatosi all’entrata della stanza dove i frati desinavano, egli disse al modo dei mendicanti: “Per amore del Signore Dio, fate l’elemosina a questo povero pellegrino malato!”. Il ministro e gli altri frati lo riconobbero immediatamente. E il ministro gli rispose: “Fratello, siamo poveri anche noi, ed essendo numerosi, le elemosine che stiamo
consumando ci sono necessarie. Ma per amore del Signore che hai invocato, entra, e divideremo con te le elemosine che Dio ci ha mandato”. Francesco si fece avanti e si accostò alla tavola. Il ministro gli diede la scodella, da cui stava prendendo cibo, con del pane. Il Santo prese l’una e l’altro, sedette a terra vicino al fuoco, di fronte ai fratelli che stavano a mensa in alto. Disse allora sospirando: “Quando vidi questa tavola preparata con tanto lusso e ricercatezza, ho pensato che non era Mensa dei poveri frati, i quali vanno ogni giorno a questuare di porta in porta. A gente come noi si conviene seguire in ogni cosa l’esempio di umiltà e povertà del Figlio di Dio più che agli altri religiosi: poiché a questo siamo stati chiamati e a questo ci siamo impegnati davanti a Dio e davanti agli uomini. Adesso, mi sembra, io sto e mensa come si addice a un frate”. Quelli ne arrossirono, comprendendo che Francesco diceva la verità. Alcuni presero a lacrimare forte, nel vedere Francesco seduto per terra e ripensando a come li aveva corretti con tanta santità e ragione». (FF1579) Si sa che la “Leggenda perugina”, detta anche “Leggenda antica perugina”, in opposizione alla “Leggenda maggiore o nuova” di Bonaventura, riporta gli “Scritti di Leone, Rufino e Angelo”, compagni di Francesco. Il testo che abbiamo riprodotto ha un carattere chiaramente polemico. Siamo a Greccio e i frati,per celebrare il Natale con il ministro venuto a vedere Francesco, pensano che sia giusto e doveroso preparare una mensa degna della ricorrenza e dell’ospite, visto che di solito essi mangiano poveramente e per terra. Francesco, per manifestare il suo disappunto, si traveste da pellegrino malato, ed
entra a chiedere l’elemosina. Per lui la ricca mensa preparata non è degna di una mensa di poveri, come dovrebbero essere i frati per voto. Per Francesco i frati devono seguire “in ogni cosa l’esempio di umiltà e povertà del Figlio di Dio”. Questa è la loro vera vocazione, che li distingue dagli altri religiosi. Per questo (sembra dire Francesco), la vera festa di Natale per i frati è la loro vita povera.
Cosa concludere? Forse, anzi quasi sicuramente, i due episodi qui riproposti sono stati inventati. Tuttavia, e 1 Seguo la traduzione di Abele Calufetti e Feliciano Olgiati, neltenendo conto di tutta l’esperienza di vita di Francesco l’edizione delle Fonti Francescane, edite dal Movimento Francee il scano, suo amore alla povertà, forse il secondo mi sembra Assisi 1977. quello che maggiormente rifletta l’idea che Francesco Questo passaggio delladi ‘Vita secondà èestato traduzionedi si2era fatta del Gesù Nazareth deltolto suodalla messaggio effettuata da Saverio Colombarini, nell’edizione delle “Fonti franpace e di povertà. cescane”, edite dal Movimento Francescano ad Assisi nel 1977. fra Riccardo Quadri
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Messaggio amico
Il mito di Francesco attraverso i secoli
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ome nacque, crebbe e si diffuse nel mondo il mito di San Francesco d’Assisi? Dove per mito si intende, in base alle definizioni accorpate e integrate prese da vari vocabolari, un’elaborazione fantastica di una persona reale, con una carica emotiva e simbolica capace di polarizzare le aspirazioni di una comunità o di un’epoca storica? A questa domanda occorre rispondere che il francescanesimo, col suo messaggio di fraterna carità cristiana, trovò subito un enorme consenso e una larga eco, segno di un bisogno diffuso e di un’attesa profonda (nel 1250, dopo poco più di vent’anni dalla morte del Santo, si potevano contare in Europa ben 1’100 conventi francescani). A questo incredibile risultato contribuirono le testimonianze dei suoi frati e fraticelli che amavano Francesco in modo sviscerato, lo consideravano un “fuoriserie”, un unicum inimitabile, un profeta e un rivoluzionario religioso. In tal modo la figura di Francesco, le vicende e i fatti della sua vita entrarono subito a far parte delle leggende cristiane, dando inizio a un filone di celebrazione agiografica della vita e delle opere del Santo (Leggenda prima e Leggenda seconda del 1228-1229 e del 1244-1247 di Tommaso da Celano, e Leggenda Maior redatta nel 1266 da Bonaventura di Bagnoregio). Non appena cioè il santo di Assisi ha chiuso gli occhi (nel 1226) la sua figura si stacca dalla realta’ della sua vita e del suo tempo e assume dimensioni gigantesche e, appunto, mitiche. La stessa bolla di canonizzazione di Papa Gregorio IX (nel 1228 ad appena due anni dalla morte di Francesco) lo paragona ad un “sole” e lo dice inviato nel mondo in hora undecima, cioè poco prima che col ritorno di Cristo la storia umana si chiuda. Francesco visto non solo come perfetto realizzatore del Vangelo, ma come novus evangelista, che apporta ancora di più del Vangelo rivelato, colla pienezza del suo vissuto in Cristo. Al mito contribuirono sicuramente le stimmate ricevute sulla Verna, un fenomeno fino a quei tempi senza precedenti nella storia cristiana, una novità assoluta, una manifestazione (“epifania”) straordinaria e prodigiosa, “l’ultimo sigillo” che lo farà venerare come l’ “alter Christus”, copia conforme del Figlio di Dio, il che spinse alcuni discepoli particolarmente zelanti come Ubertino da Casale e il Clareno a scovare tutti i paralleli, tutti i tratti di somiglianza e di identità fra Cristo e Francesco, fino a scovarne addirittura alcune migliaia e fino al punto di arrivare vicino all’eresia, come il credere e il far credere che Francesco fosse anche lui già risorto e apparso ai suoi seguaci. Il più umile degli uomini, convinto di essere solo spazzatura e indegnità, veniva così assunto al ruolo di super-san-
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tità, visto come l’Angelo del Sesto Sigillo dell’ Apocalisse che viene dall’oriente (Francesco = sole) e che porta su di sè il segno del Dio vivente (la quintuplice piaga delle stimmate). Si lanciò così in pochi decenni un mito che avrebbe potuto condurre ad effetti paradossali, come ad esmpio la nascita di una nuova confessione cristiana, tutto all’ opposto di quanto Francesco stesso aveva sempre vissuto e predicato, vivendo con gioia serafica nello spirito e con tragicità nella propria carne. Al mito contribuì sicuramente Dante Alighieri con l’elogio di san Francesco nel Canto XI del Paradiso : “… la cui mirabil vita meglio in gloria del ciel si canterebbe“; Dante riprende l’immagine di Francesco sole dell’ umanità “nacque al mondo un sole“ e di un altro Cristo “nel crudo sasso intra Tevero e Arno da Cristo prese l’ultimo sigillo, che le sue membra due anni portarno“. E la vita straordinaria di Francesco non poteva non ispirare i più grandi artisti dell’epoca:le arti figurative del ‘200-‘300 celebrarono Francesco come il campione di una fede semplice e serena, di rustica bonta’, di amorevole tenerezza: così maestro Conxulos nel sacro speco di Subiaco dove San Benedetto visse eremita (unico ritratto a grandezza naturale del Santo), così Cimabue e Giotto nella basilica di Assisi, Bonaventura Berlinghieri a Pescia e Lucca, cosi’ Margaritone d’Arezzo, Pietro Lorenzetti, Simone Martini e Donatello per non citare che i più famosi artisti di quel periodo che dalle vicende del Santo trassero ispirazione diffondendone il mito al colto e all’ inclito. A questo mito del Francesco semplice e pio la gerarchia ecclesiastica nei secoli successivi oppose e diffuse un contro mito: quello di Francesco santo fra i Santi, docile e sempre ubbidiente all’autorità papale e vescovile, povero, lindo nella figura, ispiratore di buoni sentimenti: nei dipinti del Quattrocento, Rinascimento e dell’età barocca vediamo così Francesco colla sua tonaca linda e pulita, colle stimmate in bella evidenza, colla testa e il volto nobilmente atteggiati starsene in riga e inquadrato cogli altri Santi, nel segno della prudenza e della temperanza, senza estremismi rivoluzionari e eccessi di zelo, senza isterismi ma anche senza la follia d’amore verso Dio che lo animava. Questa immagine di san Francesco pio e non problematico giungerà sino all’ epoca barocca, che per suo conto ne accentuerà l’ aspetto mistico rappresentando spesso il Santo in contemplazione estatica, gli occhi strabuzzati al cielo e poi attraverso l’epoca rococò (che a sua volta ne valorizzerà l’ aspetto bucolico, di armonia con l’ambiente e di squisita soavità) fino al Romanticismo che esaltò il “genio religioso” di Francesco, il suo essere a pieno titolo uomo del Medioevo colle
sue coloriture e la sua variegata umanità, la sua grandezza di poeta spontaneo, popolare, senza regole e la sua italicità (poi sfruttata poi politicamente in epoca fascista quando Francesco fu proclamato patrono d’Italia). Ma fu soprattutto il decadentismo europeo che nella sua ansia di annullamento mistico della personalità, fra smarrimenti dei sensi e morbose voluttà, fra perversioni e slanci mistici, nella sua languida temperie sensuale temperata da velleità di ascetismo, vestì il saio francescano e si compiacque di ispirazioni e squisiti riferimenti assisiati. Così la gioia di Francesco nell’amare e abbracciare tutte le creature fu intesa in senso panteistico; il rapporto castissimo fra Francesco e Chiara formava una variante ghiotta, perché purissima e immateriale, agli abusati e triti rapporti carnali fra amanti accecati dalla lussuria; e la lingua povera, arcaica, medioevale di Francesco regalò un’ampia tastiera di sperimentazioni linguistiche a chi in questo campo era maestro insuperabile, cioé D’Annunzio. Come non ricordare infatti i suoi sensualissimi amanti del “Fuoco” sospesi fra fiori e laudi del Cantico di Frate Sole? D’Annunzio che nella “Sera fiesolana” rifece il verso a Francesco, copiando letteralmente dal Cantico delle Creature, con esiti profani ma letterariamente pregevoli: “Laudata sii pel tuo viso di perla/o sera… Laudata sii per le tue vesti aulenti/o sera… Laudata sii per la tua pura morte/o sera…”. Cosi’ Rainer Maria Rilke nel suo “Libro d’ore” esaltò la vita monastica, la povertà e la spiritualità francescana. Così Hermann Hesse nel suo “Franz von Assisi” si compiace della dolcezza di Francesco, assorbendone quel tanto di spiritualità non troppo impegnativa che lo stesso Autore avrebbe più tardi assimilato nel mondo indù e cinese e trasmesso nel suo capolavoro
“Siddartha”. Cioè la decadenza europea ha dato di Francesco un’immagine falsificata e alterata, anche se di elevato livello culturale, di quanto fu, visse e disse l’Assisiate nell’Umbria del XII secolo. E oggi al nostro tempo il mito di Francesco non deve e non può certo nutrirsi solo del Kitsch retorico-sentimentale, mercantile e consumistico, di tanti oggetti e souvenirs (piattini, statuine, targhette, vasetti, portachiavi per auto ecc.) con le immagini del Santo in bella vista, magari decorate da frasette tratte dai Fioretti in bell’italiano medioevale, anche esso falso e strumentale. Delle mercanzie e fasullaggini certo non blasfeme o cattive, ma totalmente prive di spessore religioso e pregne di senso speculativo. Occorre rifiutare l’immagine sempre emergente e sempre pericolosamente in agguato di un Francesco tutto idillio serafico e uccellini cinguettanti e lupi ammansiti, ma vedere la sua grandezza nella sua umiltà, nella sua lotta disperata per salvare l’ideale comunitario, nei suoi sgomenti e abbandoni, nella sua santità nuova e gioiosa, esempio vivo di attuazione pratica delmessaggio evangelico. Quando una figura storica è così ricca, carismatica, intensa e non catalogabile come l’ Assisiate, ognuno di noi non può che ritagliarsene una immagine e una visione personale e sentita, magari illudendosi di averne afferrato l’essenza, di averne svelato le più intime motivazioni, di averne carpito il profondo mistero. E’ un’illusione e come tale va considerata ma che però non potrà che contribuire in ognuno di noi ad attualizzare e perpetuare il mito straordinario del poverello di Assisi. Mario Corti
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Messaggio biblico
Che valore hanno i racconti storici nella Bibbia?
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opo quello che abbiamo detto nello scorso numero, che il concetto biblico di storia è diverso dallo stesso nostro concetto, questa domanda è importante. Se per storia biblica s'intende trasmissione di messaggi fondati su fatti realmente capitati, ma non necessariamente registrati come li registrerebbe uno storico moderno, c'è veramente da chiedersi: che valore hanno questi fatti? Rassicuriamo i critici dicendo che, innanzitutto, questi racconti riportano sovente dei fatti colti sul vivo e a volte li abbelliscono facendoli diventare delle epopee. È un fatto storico che un gruppo di schiavi ebrei è riuscito a fuggire dall’Egitto, mentre è un epopea l’Esodo che la Bibbia ci presenta, raccontando di questo grande popolo che sotto la guida di Mosè riesce a sbaragliare gli eserciti, i carri dei faraoni e a passare con piede asciutto il Mar Rosso. Questi testi narrativi vanno dunque considerati come racconti edificanti, imbastiti per proporre un insegnamento, oppure per offrirci un modo da comportarci. Allora l’aneddoto è solo un modo d’espressione o un termine di confronto per saper trarne una lezione. Così, per esempio, il libro di Giona che Collodi ha ripreso nel suo Pinocchio; infatti Giona è il profeta che rimase nel ventre del pesce come Geppetto. Forse anche lo stesso fatto del Natale di Gesù vuole ribadire in modo forte che quel bimbo nazzareno è il vero Messia, quindi nato a Betlemme, patria di Giuseppe, discendente del re Davide, da dove le profezie lo volevano originario, che non raccontarci per filo e per segno come questa nascita è avvenuta. Abbiamo accennato solo ad alcuni esempi, ma bastano per indicare che - come abbiamo già scritto - ogni genere letterario ha la sua verità. Un romanzo è vero anche se non racconta una storia vissuta, un ritratto può essere meno esatto negli aspetti esterni di una fotografia, ma forse coglie più profondamente quella verità interiore che la fotografia tante volte non è capace di esprimere. Così la storia biblica - dice l’edizione della Civiltà Cattolica - è vera anche quando si serve di espressioni letterarie che non intendono affermare il senso materiale della parola, ma sono come veicolo di una comunicazione più profonda. Ci vuole intelligenza e fede per leggere la Bibbia, ci vuole soprattutto la sincerità e l’umiltà per attendere che, attraverso questa lettura, qualcuno ci parli, e questo “Qualcuno” noi lo chiamiamo Dio. Ecco perché, lo ripeto ancora un’ultima volta, noi diciamo che la Bibbia è “Parola di Dio”.
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Non si può vivere senza messaggi! Da bambini siete stati lontani da casa per qualche tempo?... In collegio, in colonia, o solo qualche settimana dai nonni?... Penso proprio di si, ed allora ricordate la gioia quando arrivava per voi una lettera, un pacco, o anche solo una telefonata!... Io per esempio ricordo l'attesa dei pacchi natalizi che dovevano essere condivisi con tutti i compagni di seminario, dato che nemmeno per quelle feste allora si ritornava in famiglia. Se per un bambino curioso e goloso era importante quello che questi “mezzi di comunicazione” contenevano o dicevano, era anche importante il fatto che qualcuno si ricordava di lui e che gli mandava un suo messaggio. E le prime lettere dell'amico o dell'amica!... Le lettere di fuoco (simbolo dell'amore in questo caso) dell'innamorato o dell'innamorata!... Le lettere della mamma che il soldato riceve al fronte (per stare sul classico)!... del papà per un figlio o una figlia in convento (per ricordare un’esperienza)!... Ed anche le lettere che io ricevo dai lettori del Messaggero. Quanti messaggi!... No, non si può vivere senza messaggi, pena l'aridità del cuore!... E la Bibbia, per chi crede, è il “Messaggio di Dio”! E per chi non crede può essere un messaggio storico, filosofico, culturale, umano!...
La Bibbia e le sue divisioni Ora riprendiamo - per l'ultima volta - il filo del discorso introduttivo, poi inizieremo per davvero il commento al primo libro della Bibbia, la Genesi. Anche il lettore meno addentro in cose religiose, sa che per noi cristiani la Bibbia si divide in due grandi parti, Antico e Nuovo Testamento. Per gli ebrei invece, tutta la Bibbia è costituita soltanto dall'Antico Testamento. La parola testamento ha bisogno di qualche spiegazione; in questo contesto non sta certo ad indicare quello scritto che riporta le ultime volontà di un defunto, piuttosto ci ricorda il termine latino “testamentum” che, a sua volta, traduce una parola ebraica che significa “alleanza”. Ma come possiamo tentare di suddividere queste due grandi parti? Una prima divisione la troviamo nel Vangelo stesso, quando Gesù dice: “non sono venuto ad abolire la legge ed i profeti”. Dentro questa espressione quali libri dell'Antico Te-
stamento Gesù assegnava alla legge e quali raggruppava sotto il numero di profeti?... La legge, ai tempi di Gesù, era formata dai cinque libri chiamati Pentateuco: Genesi, Esodo, Levitico, Numeri e Deuteronomio. I profeti invece comprendevano gli scritti dal libro di Giosuè al profeta Malachia; più tardi, per gli ebrei, fu aggiunta un terzo raggruppamento detto gli Scritti che comprendeva il libro dei Salmi e delle Cronache. Noi oggi l'Antico Testamento lo dividiamo in un modo più razionale: abbiamo il Pentateuco (i cinque libri citati), i libri storici, i libri sapienziali o poetici, i libri profetici; sarebbe troppo impegnativo per un articolo giornalistico numerare tutti i libri dell'Antico Testamento che vengono raggruppati in queste quattro categorie. Il Nuovo Testamento, che - come abbiamo detto - è riconosciuto “Parola di Dio” soltanto dai cristiani, com-
prende i quattro Vangeli, gli Atti degli Apostoli, le diverse Lettere di Paolo, la Lettera di Giacomo, di Pietro, Giovanni e di Giuda, e l'ultimo libro di tutta la Bibbia, l'Apocalisse. Quasi tutti i libri dell'Antico Testamento erano scritti in ebraico tranne alcuni brani in aramaico, lingua che appartiene alla stessa famiglia dell'ebraico, lingua usata da Gesù stesso. Già da parecchi secoli però molti ebrei vivevano all'estero; quelli di loro che si erano stabiliti ad Alessandria d'Egitto sentirono il bisogno di tradurre i libri sacri nella loro lingua abituale, il greco; nacque così la Bibbia greca detta dei “settanta”, che si diffuse in molti paesi del Mediterraneo. Questa Bibbia greca fu usata anche dalle prime generazioni cristiane, perché il cristianesimo si sviluppò principalmente in ambienti di quell'area, ma tra i primi cristiani era nota anche la forma ebraica del testo.
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Messaggio dall’Ordine Francescano Secolare
Sorelle e Fratelli dell’OFS
"L'angelo diceva: «E' il Salvatore…» quando ci ha presi nella sua luce. E abbiamo veduto, oh poveretto! uno che di Signore non aveva niente. Abbiamo visto, che teneva il piccolo, la Vergine, quella scritta nei profeti: teneva la testa un pò inclinata e aveva una gioia tutta da dentro. Nessun bisogno di angeli per aria ad annunciare la buona novella: il fuoco in lei che brucia profondo dice ben di più che i loro concerti." Didier Rimaund
Carissimi, l’esperienza che hanno vissuto i pastori a Betlemme in una notte che avrebbe dovuto essere uguale a tutte le altre, fatta di veglia e custodia al gregge, si è dimostrata la Notte per eccellenza. Dio ha scelto di entare nel mondo dalla porta di servizio, portando il messaggio alle persone più semplici di quel tempo: i pastori. Sono loro, lontani dagli studi delle Scritture e dalla pratica del Tempio, ad essere i testimoni della nascita del Figlio di Dio annunciato dai profeti e atteso da tutte le generazioni. Non servono neppure gli inviati celesti per aumentare una gioia che si fa spazio nel cuore della povera gente che va a rendere visita ad un’altra famiglia povera come loro. Un Dio che nasce povero, è già perdente da principio. Eppure era necessario che il Messia nascesse nella povertà di una notte per illuminare di ricchezza ogni giornata dell’uomo! E’ lui, con la sua beatissima Madre e un uomo della famiglia regale di Davide ma povero in canna anche lui come padre, a portare a tutti quella pace che gli angeli, nella loro breve apparizione, hanno annunciato al mondo. Anche quest’anno è Natale: il Signore viene a trovarci nelle nostre giornate, anche in quelle che definiamo vuote. Passa nelle nostre case, stringe in un abbraccio gli anziani, i più ammalati, le persone sole. E’ il Signore della povera gente, quella che capisce più degli altri il valore di un sorriso, di un bacio, di una carezza. A tutti voi, con il cuore pieno di riconoscenza per l’impegno francescano che offrite giornalmente, auguro di cuore un felice Natale e tanta pace nell’anno 2009 che percorreremo insieme. Vostro, Fr. Michele, assistente regionale OFS
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roprio in questi giorni un articolo di giornale riportava una frase di una scrittrice inglese (E. Taylor): “la gente non religiosa dà molta importanza al suo Natale…” e si riferiva alle luminarie arbitrarie che già da novembre anticipano sul calendario i riti. Meno fede e più lampadine elettriche per rischiarare il buio senza speranza. E ripensavo al nostro essere francescani nel mondo di oggi, mentre ci accingiamo a festeggiare la venuta al mondo di Nostro Signore Gesù Cristo. Ricordo quasi con commozione i Natali della mia infanzia quando si preparava il presepio fatto di statuine di cartapesta o di gesso, dove con pochi mezzi e tanta fantasia si immaginava il ruscello con l’acqua di carta stagnola, e quasi si sentiva con gli occhi del cuore il gorgogliare dell’acqua. Lodato tu sia mio Signore per sorella acqua… San Francesco e il presepio. Greccio ricordata da tutto il mondo come il luogo dove per la prima volta fu ricreata la scena della Natività di Cristo. Le Fonti ne danno una vivida immagine e il piccolo affresco nella grotta del Santuario dove Francesco l’ambientò è un capolavoro di tenerezza. Greccio come Assisi è gemellato con Betlemme. Greccio dove Francesco soleva dire “non esiste una grande città dove si siano convertite al Signore tante persone quante ne ha Greccio, un paese così pic-
colo” (Leggenda perugina). Con il venire al mondo come noi, Dio si è calato nell’umano e ha impregnato di sé le realtà umane: la vita, la famiglia, il lavoro. Basta poco per testimoniare ed accogliere come Francesco la presenza di Dio fatto bambino. Un sorriso, una solidarietà, una comprensione verso i fratelli perché la nostra testimonianza di fraternità ci porti ad essere novità in un momento così arduo da vivere. “Dobbiamo diventare il cambiamento che vogliamo vedere”. Parole di Francesco? No, del Mahatma Gandhi che in un altro continente, in un altro momento della storia ha ripercorso la strada della povertà del Bambino che presto festeggeremo. La vita delle nostre fraternità continua: la visita alle Fraternità montane di Valposchiavo lo testimonia, l’inizio dell’anno sociale a Stabio con il nuovo assistente fra Piero Bolchi, la giornata interfrancescana a Locarno, i progetti della Fraternità di Lugano per offrire accoglienza. Che la luce del Natale scenda con pienezza nei nostri cuori, nel nostro attraversamento del presente per osare il futuro… Che Dio ci benedica tutti e mantenga nella letizia e nell’amore le nostre Fraternità. E’ il mio augurio sincero per tutti voi. Gabriella Modonesi
Cronache dalle Fraternità S. Carlo: inizio dell'anno sociale dell'OFS della val Poschiavo Domenica 12 ottobre 2008 alle 14.00, presso la chiesa parrocchiale di san Carlo in val Poschiavo, ha avuto inizio l'anno sociale dell'OFS per tutti i fratelli e le sorelle della valle. E' stato veramente un momento di gioia francescana. Oltre alla presenza dei fratelli e delle sorelle dell'OFS, sono stati invitati tutti i parroci delle varie comunità parrocchiali. Dal Ticino erano presenti la ministra regionale Gabriella Modonesi, Antonietta De Carli, consigliera regionale, Franchino Casoni segretario del consiglio regionale nonché Anna Maria Agnelli. L'incontro è iniziato con l'adorazione del Ss. Sacramento, la recita del S. Rosario e la benedizione eucaristica. Sull'esempio di S. Francesco, è stata elevata a Gesù, realmente presente nella santissima Eucaristia, una fervorosa e sentita adorazione ed una accorata supplica alla beatissima Vergine Maria del Rosario, per tutta la santa Chiesa e per la conversione dell'umanità a Dio e l'eterna salvezza delle anime. Al termine del momento di preghiera tutti si sono ritrovati nella sala parrocchiale di san Carlo per un incontro in fraternità squisitamente francescana. Le terziarie di s. Carlo si sono prodigate per preparare una buona merenda con torte e dolci da loro preparati. Dopo la sacra funzione anche questo è stato un momento veramente bello, che ha dato la possibilità a tutti di poter dialogare, incontrarsi, scambiarsi idee nonché aumentare la reciproca conoscenza. A rallegrare l'incontro, il signor Scaramuzzi, membro dell'OFS, si è prestato in una eccellente esibizione canora. La ministra regionale ha concluso il felice incontro con la sua parola di esortazione a rimanere sempre nell'unità, a vivere secondo lo spirito di S. Francesco, nella fede e nell'umiltà. Tutti si sono poi congedati in serena letizia con l'augurio di potersi ritrovare insieme l'anno prossimo. Don Pietro Zanolari augura a tutti Pace e Bene! Maria Pola
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Messaggio dal santuario
La biblioteca della Madonna del Sasso Nel corso dell’inverno e della primavera 2006 la signora Veronica Carmine ha avuto modo di studiare a fondo la biblioteca del Santuario della Madonna del Sasso. La Zentralbibliothek di Zurigo l’aveva infatti incaricata di redigere un apposito articolo da inserire nel Repertorio dei fondi antichi a stampa della Svizzera. Abbiamo chiesto alla ricercatrice di riassumere per i lettori di Messaggero i risultati del suo studio. Per chi fosse interessato a leggere la descrizione dettagliata può consultare il Repertorio dei fondi antichi a stampa della Svizzera. La biblioteca è amministrata dalla Regione dei Cappuccini della Svizzera italiana, l’accesso è consentito solo su appuntamento telefonando allo 091/743 62 65 o annunciandosi all’indirizzo e-mail: madonnadelsasso@cappuccini.ch [segue dal numero precedente]
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i illustrano ora le caratteristiche tematiche del fondo antico librario. Che si tratti di una biblioteca ottocentesca è già stato riferito ed è presto riconfermato anche dall’alta frequenza della lingua italiana sul totale di tutti i volumi conservati (oltre il 60%). Infatti, se il Cinquecento e parte del Seicento, sono ancora secoli in cui prevale l’uso della lingua “alta” (il latino), nella seconda parte del Seicento e per tutto Settecento convive latino ed italiano, fino a giungere alla fine del Settecento e per tutto l’Ottocento con l’evidente preminenza della lingua italiana che si diffonde per tutti gli ambiti del sapere. L’italiano è il veicolo necessario per raggiungere in modo comprensibile il popolo, sostituisce l’uso del latino che, essendo una lingua di pochi, determina una gerarchia di sapere. La seconda lingua presente per importanza è il latino, applicato soprattutto nei secoli antecedenti l’Ottocento e in particolare nelle opere di “puro studio” quali diritto, teologia dogmatica, morale, filosofia, ecc. Con un certo distacco numerico restano il tedesco con circa trecento volumi, il francese con circa duecento volumi, le opere plurilingui, per lo più dizionari (circa centocinquanta, in particolare italiano-latino), il romancio con solo tre opere pubblicate nell’Ottocento. Le aree tematiche rilevanti sono la religione (ca. 4’200 volumi), letteratura e miscellanea (ca. 1’100 volumi), diritto (ca. 730 volumi), storia (ca. 370 volumi), filosofia
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(ca. 230 volumi), descrizioni e viaggi (ca. 170 volumi), medicina (ca. 130 volumi). Più della metà delle discipline trattano temi provenienti dall’ambito della Religione, esse concernono la teologia (morale, dogmatica, pastorale), l’ascetica, le agio-biografie, l’oratoria sacra e la religione praticata, con risalto alla devozione mariana che si ricongiunge alla storia e all’esistenza del Santuario stesso. Oratoria, predicazione, eloquenza e religione praticata occupano poco più della metà dei libri di religione, seguono al secondo posto le teologie dogmatica, morale e pastorale, dalle quali risaltano circa 400 volumi inerenti alle Sacre scritture e all’esegetica. Attorno ai 340 volumi si annoverano panegirici e opere agiografiche, quest’ultime sono testi di esemplare importanza per la maturazione di riflessioni sulle proprie scelte morali e spirituali da perseguire individualmente e da ricordare nelle prediche rivolte al popolo: sono numerose le vite di santi raccolte in particolare nell’Ottocento quali quelle di S. Carlo Borromeo, S. Giovanni della Croce, S. Luigi Gonzaga, S. Caterina da Siena, S. M. Alfonso de’ Liguori, e altri. Comune in tutti i conventi dei frati cappuccini vi è la presenza dai Franciscalia, che in questa biblioteca sono circa duecento titoli (opere, riviste e fascicoli); si tratta di scritti strettamente legati all’ordine: regolamenti, storie di santi (in particolare S. Francesco e S. Antonio da Padova), biografie di frati, atti dell’ordine, missionari, storia del Terz’ordine, esercizi spirituali per cappuccini, riviste dell’ordine, e altro. Si menzionano per curiosità la Bibliosofia e memorie letterarie di scrittori francescani conventuali (Modena 1693) di Padre Giovanni Franchini, la Guida per la visita divota al Santuario del Sasso. Con breve cronologia (Como 1880), e, per la pratica missionaria nelle terre extraeuropee, la monografia in 4 volumi di Pierre Parisot Memorie storiche sopra le missioni delle indie orientali del p. Norberto (Norimberga 1794). Le sezioni della Letteratura e della Miscellanea sono rappresentate da grammatiche, opere di letteratura italiana e latina, produzione letteraria morale, antologie, trattatistica e più genericamente coprono i campi dell’erudizione. I nomi ricorrenti per l’Ottocento sono Foscolo, Alfieri, Silvio Pellico, Manzoni, per i secoli antecedenti Petrarca, Tasso; per i classici latini e greci ricorrono nomi legati alla retorica quali Cicerone e Seneca, e altri per riferimento ai loro prestigi letterari quali Omero, Ovidio, Virgilio. Si cita un testo morale dell’Ottocento, Il sepolcro di san Francesco d’Assisi (Roma 1843), cantica di Francesco Lombardi. Il Diritto è rappresentato dal diritto canonico ed ecclesiastico, poi da quello civile, penale e criminale; tra gli scaffali vi sono anche delle pubblicazioni ottocentesche concernenti la realtà politica ticinese (costituzione della
Repubblica del Cantone Ticino, processi e verbali del Gran Consiglio). La sezione della Storia, con circa 370 volumi, è caratterizzata anzitutto dalla storia ecclesiastica. Il Settecento è un periodo interessante per questo ambito, poiché si presenta con varie tematiche: storia delle eresie, delle chiese protestanti, degli ordini monastici, storie universali della Chiesa, del Cantone Ticino e di città italiane. La Filosofia è una sezione composta di circa 150 titoli i cui contenuti spaziano dalla filosofia morale allo scotismo e alla scolastica. Per l’Ottocento si trovano manuali antologici. La sezione Descrizione e viaggi è quasi per la totalità ottocentesca e riflette i diversi interessi personali di alcuni frati del Santuario. Sono collocati sotto questa dicitura discipline di diverso genere, dalla descrizione di luoghi da visitare e di viaggi, agli scritti sulle scienze naturali e ai trattati-manuali (apicoltura, floricoltura, orticoltura). Per quest’ultimo genere in biblioteca si trova una descrizione sulle regole di conduzione delle attività in campagna (campi, caccia, produzioni artigianali) scritta da Estienne Charles (1504-1564), dal
titolo L’agricoltura et casa di villa (Torino 1590). Nella piccola sezione di Medicina si conta un centinaio di titoli che si è formato anch’esso dalla volontà individuale di alcuni frati di approfondire degli argomenti che, in questo caso potrebbero venire utili per guarire da certi malanni fisici: a parte alcuni titoli molto specifici di anatomia o chirurgia, probabilmente giunti in convento per donazioni (opere del Cinque-Settecento), ricordiamo che sono presenti anche testi di farmaceutica, di veterinaria e istruzioni indirizzate ai parroci nella pratica della medicina. Documenti utili in assenza del dottore. Nei nostri tempi moderni la biblioteca è passata da “consultazione” a “conservazione”. I libri antichi non sono più trasferibili in altri luoghi o conventi. Restano al Santuario e, silenziosi, sono pronti ad aprire il mondo della conoscenza per chi intenda percorrere le loro pagine. Veronica Carmine
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Messaggi dai conventi
Un libro per conoscere Bigorio
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l desiderio di fra Roberto, per lunghi anni custodito nel suo cuore, si concretizza con la realizzazione del libro “SANTA MARIA DEL BIGORIO” Una storia di spiritualità e di accoglienza. Un volume di pregio, da lui fortemente voluto per riesumare, raccontare e valorizzare il Bigorio. Conosciamo il grande impegno richiesto per realizzare questa pubblicazione. In primis la disponibilità finanziaria ed editoriale. Quindi il lungo percorso di verifiche esperite con meticolosità, attingendo al prezioso archivio. Ci si è chinati su innumerevoli documenti, alcuni dei quali hanno rivelato nuove visioni storiche sin qui poco conosciute. Scorrendo le pagine, ci piace cogliere la motivazione forte che coinvolge i primi anni di vita di questo luogo di preghiera e solitudine nel rispetto della Regola cappuccina, fino alle grandi aperture che negli ultimi quarant’anni hanno dato al luogo un forte carisma attrattivo nel quale si coniugano le diverse necessità spirituali dell‘uomo. Otto i capitoli che compongono il volume, introdotti da una breve ma significativa prefazione di fra Roberto, seguita dal contributo di fra Riccardo Quadri, il quale, partendo dai probabili inizi della fondazione, conduce il lettore e lo studioso attraverso un contesto storico ricco di notizie particolari. Quadri inizia menzionando gli “Statuti e Ordinamenti della Capriasca” del gennaio 1355, nei quali si legge della presenza della prima chiesetta di Albigorio, visitata annualmente dalla popolazione del luogo che processionalmente vi si recava. Menziona, con dovizia di date e particolari i vari secoli di vita dei cappuccini. Esistenza precaria, di stenti, trascorsa in celle fabbricate
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con vimini e creta. Compaiono nelle sue pagine notizie e considerazioni commoventi. Quindi le date della costruzione della chiesa dedicata a S. Maria Assunta. Notevoli i documenti cartacei che attestano la fondazione del Convento, tra i quali la “Copia autentica della scrittura mandata a Roma nel 1650”. E sulle pagine di fra Riccardo troviamo pure le tre piantine architettoniche disegnate da Giuseppe Caresana di Cureglia nel 1760. Preziosità d’archivio, straordinarie per chiarezza di disegno, integrate da altrettante indicazioni del come eseguire i lavori. Una sintesi storica, quella del “Primo Bigorio”, che permette di conoscere in modo nuovo i difficili secoli di vita vissuta dai cappuccini.
Le pagine di Padre Giovanni Pozzi Un secondo, importante contributo al volume è costituito dalla ripresa integrale dello studio di Padre Pozzi, noto filologo, pubblicato nel 1977 con il titolo “Santa Maria del Bigorio”. L’autore aveva ripercorso l’intera esistenza del Convento nel concetto materiale e spirituale. Per la capacità di presentare in maniera semplice la storia, gli eventi, i beni religiosi e artistici, il suo studio aveva apportato un notevole arricchimento di conoscenze e di interessi. Esaurita la pubblicazione, la si è voluta integrare nel nuovo volume. Parecchie le verifiche accostate ai primordiali testi, con numerose illustrazioni, a beneficio di una più significativa conoscenza del Convento. Pagine che partendo dalla descrizione dell’ ambiente, si soffermano sull’edificio, descrivendone i diversi ambienti come il coro, la biblioteca, le celle, il refettorio, la cappella. L’autore si
sofferma in modo particolare sul materiale documentario che sta nell’ archivio e in biblioteca. Ricchezza straordinaria catalogata con estrema precisione. Le pagine propongono altresì la storia, gli avvenimenti, i rapporti con la popolazione e le leggende. Notevoli le considerazioni sulla nuova attività in ambito sociale e culturale.
Santa Marla del Bigorlo “Una storia secolare di spiritualità e di accoglienza” pagine 176 formato A4 rilegatura in tela Fontana edizioni, Pregassona
Un fra Galdino ticinese Nella storia del Convento non poteva mancare la “Memoria per il cercatore de padri capucini di Bigorio 1845”. Il titolo citato è ripreso dalla copertina di un fascicolo tascabile ritrovato nella biblioteca e posseduto dai frati del Convento ad uso del
‘’fraa cercott‘, il quale quotidianamente, seguendo le stagioni, passava di casa in casa, di famiglia in famiglia, per la questua. Sono pagine di un interesse tutto particolare, cariche di un vissuto umano che descrivono un’attività che solo la fede e la povertà potevano sostenere. Una carità spicciola, spontanea, a sottolineare la
simpatia e il rispetto della popolazione rurale verso i frati. fra Riccardo presenta un capitolo - il più umano - straordinario. I dati sono tutti ricavati dalle pagine del fascicolo sopra menzionato. Nei capitoli seguenti viene presentata la “Via Crucis”, realizzata nel 1797, ristrutturata a più riprese con interventi legati al soggetto pittorico delle cappelle. Quindi le belle pagine che descrivono e illustrano “Le opere d’arte” conservate nel Convento. E’ una presentazione che annovera forzatamente le più significative, giunte al Bigorio attraverso i 473 anni di storia. Un patrimonio notevole d’arte, che aveva e ha lo scopo evidente di offrire un supporto visivo alla meditazione. Nelle pagine finali viene menzionato e illustrato il devastante incendio del 1987 che danneggiò in misura notevole buona parte del Convento. Evento che evidenziò l’attaccamento a questa istituzione. Il volume termina con una profonda considerazione sul “Bigorio oggi” nella nuova prospettiva religiosa che privilegia le giornate e gli incontri di formazione su tematiche riguardanti la ricerca dei valori fondamentali della vita. Il libro si presenta in veste tipografica notevole. Le pagine sono supportate da ottanta illustrazioni per lo più a colori. Il fotografo Ely Riva, con un lavoro impegnativo e di alta qualità professionale, è riuscito a catturare nelle sue immagini l’atmosfera e il senso profondo della storia del Bigorio. Il volume è stampato dall’editore Fontana di Lugano. Aldo Morosoli
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Messaggi dai conventi
Faido: nuovo lezionario Titolo ambrosiano
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uest’anno Messaggero ha ospitato vari contributi in occasione dei 400 anni dalla fondazione del nostro convento. Questa volta potrete leggere di una particolarità del Convento di Faido, per altro non unica, ma condivisa con il convento di Bigorio. Questi due luoghi francescani si trovano in terra ambrosiana. I religiosi officiano abitualmente secondo la liturgia romana, con delle particolarità di calendario legate alle specificità dei singoli carismi (calendario Serafico per i Francescani). Sono comunque tenuti a tenere conto del territorio dove si trovano a vivere ed a operare pastoralmente.1 Se questi però si trovano a svolgere un ministero pastorale-parrocchiale allora subentra il criterio territoriale. Per questo a Faido i Cappuccini si sono trovati confrontati con le novità provenienti da Milano. Novità che si pensava sarebbero arrivate con più calma, invece a Milano hanno messo il piede sull’acceleratore. Una premessa è doverosa. Forse non tutti sanno che nella Chiesa cattolica ci sono più riti differenti, ossia modi diversi di celebrare il culto, la liturgia, l’ufficio divino, la preghiera pubblica. Vi è l’antica liturgia bizantina, che nasconde parte dei riti dietro l’iconostasi (parete ornata da icone che divide la zona dell’altare da quella dove si trovano i fedeli (un po’ come le balaustre o le cancellate nelle nostre chiese fino al Concilio). Di questi riti colpisce la forza del mistero con l’abbondanza degli incensi e le melodie. In India (Kerala) si celebra ancora in rito Siro Malabar con i suoi dialoghi tra celebranti, cantori e assemblea dei fedeli. Ma vi è anche un altro rito, meno folcloristico, che è quello ambrosiano, proprio della Diocesi di Milano. Viene usato in qualche parrocchia comasca, e per motivi storici, in un bel
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numero di parrocchie della Diocesi di Lugano: Tesserete e Capriasca, Brissago, TreValli (Blenio, Riviera e Leventina). Non è un caso se a Biasca il Prevosto è anche Canonico onorario del Duomo di Milano (con diritto alla Mitria!) Responsabile di questo rito “Capo Rito”, è l’Arcivescovo di Milano, attualmente Sua Eminenza il Cardinale Dionigi Cardinal Tettamanzi. Egli ha voluto un profondo cambiamento. Una riforma messa in atto tra ritorno alle origini e riscoperta del Concilio Vaticano II. Va ricordato che il Concilio aveva profondamente cambiato la liturgia romana che interessa la stragrande maggioranza del mondo cattolico latino. La liturgia ambrosiana aveva rischiato di essere soppressa, prospettiva ventilata ma per fortuna mai attuata. Per il rito milanese si era provveduto soltanto alla preparazione di un lezionario “ad experimentum” per i tempi forti (Avvento e Quaresima), mentre per il resto dell’anno venivano usati i libri liturgici romani. Per il momento è stata mutata l’offerta delle letture e la struttura dell’anno liturgico. Concretamente sono stati rifatti i libri detti “lezionari”. Nei prossimi anni sarà la volta del Messale, dei breviari (liturgia delle Ore) e dei rituali per i Sacramenti. Con la prima domenica di Avvento si comincia! Il Cardinale di Milano ha deciso di omaggiare anche le parrocchie ambrosiane ticinesi con il dono del primo volume che raccoglie le letture del tempo di Avvento. Per questo sembra importante informare anche le nostre comunità, passando un po’ di quelle informazioni che gli stessi parroci hanno imparato dagli esperti. A questo scopo lunedì 20 ottobre i preti “ambrosiani” della nostra diocesi, quelli che si occupano delle parrocchie che hanno mantenuto questo rito, si sono trovati al convento di Faido
per una giornata di approfondimento generale. Ci ha aiutati un esperto professore, Monsignor Claudio Magnoli2, segretario della “Congregazione Ambrosiana” (organo della Diocesi di Milano che si occupa dei lavori di rinnovamento nell’offerta di letture bibliche). Il relatore ha spiegato l’intenzione del Cardinale di ridonare forza alla specificità del rito milanese e alla sua antichissima tradizione, puntando sulla sua continuità e sviluppo, nel totale rispetto dell’apporto innovativo e dello spirito del Concilio. Dietro le varie scelte dobbiamo sempre intravvedere una profonda riflessione teologica. Il calendario dell’anno liturgico è suddiviso in più parti: Mistero dell’incarnazione del Signore (Avvento, Natale fino alla Quaresima), Mistero della Pasqua del Signore (Quaresima, Pasqua fino a Pentecoste), Mistero della Pentecoste (dalla Pentecoste all’Avvento). Questa suddivisione era già presente fino ai cambiamenti conciliari degli anni 60-70. Dopo di che per la maggior parte delle settimane dell’anno dette “del tempo per annum”, un periodo senza uno specifico tema di fondo (da Pentecoste all’Avvento e qualche settimana dopo Natale) le letture erano le stesse usate per la liturgia romana usata in tutto il mondo cattolico-romano. D’ora innanzi ogni domenica avrà un titolo che la definisce. Verranno usati parecchi libri, citiamo solo quelli utilizzati per le Messe domenicali e festive. Riguardo alle scelte delle letture vi sono pure dei cambiamenti, come ricorda Monsignor Vescovo nella sua lettera pastorale: “Viene abbandonata la lettura semi-continua di un Vangelo, prevista oggi per ognuno dei tre anni dei cicli festivi, a favore di una lettura catechetico -mistagogica, ossia in ragione del mistero cristiano celebrato.”3
1. Il libro del mistero dell’incarnazione del Signore a) L’anno liturgico inizia con il Tempo di Avvento, bella l’espressione popolare di “Quaresima di S. Martino” poiché va dalla domenica dopo la festa di S. Martino (11 novembre) fino alla vigilia di Natale, sull’arco di sei settimane (quattro per la liturgia romana). Ci si prepara a rivivere il mistero della nascita di Cristo, la sesta domenica di Avvento ne è l’apice ed è chiamata “Domenica dell’incarnazione”. b) Il tempo di Natale dal 25 dicembre all’Epifania è fatto per contemplare il Dio fatto uomo. c) Il tempo dopo l’Epifania varia ogni anno a seconda della data della Pasqua. Qui si contemplano le varie manifestazioni che ci dicono che Gesù è il liberatore, e soprattutto ci rivelano la sua divinità (nozze di Cana, moltiplicazione dei pani, tempesta sedata, cammino sulle acque, miracoli di guarigione e di liberazione dal demonio).
2. Il libro del mistero della Pasqua del Signore Raccoglie le letture della Quaresima fino alla Settimana Santa che gli ambrosiani chiamano “Settimana autentica”, del Triduo Pasquale (Giovedì Santo, Venerdì santo, Sabato Santo e Domenica di Risurrezione). Apice di tutte le celebrazioni è la Veglia pasquale: la funzione più importante dell’anno, è bene ricordarlo! In Quaresima in sottofondo il tema della penitenza e della preparazione al Battesimo. Tra la Pasqua e la Pentecoste vi sono 50 giorni che costituiscono il Tempo Pasquale caratterizzato dalla gioia esuberante per il Risorto espressa nel canto incessante dell’Alleluia.
3. Il libro del mistero della Pentecoste È il periodo più lungo. Due feste fanno da pietre miliari. La festa della decollazione di S. Giovanni Battista (29 agosto) a cui seguono le domeniche un tempo dette “post decollationem”. E la festa della Dedicazione del Duomo di Milano (3° domenica di ottobre) a cui fanno seguito le domeniche “post dedicationem”. Si permetta un’osservazione da povero curato di campagna. Le domeniche che seguono le varie feste appaiono come un lasso di tempo propizio per assimilare e “digerire” spiritualmente il Mistero Cristiano che si squaderna lungo l’anno liturgico. Dietro ogni rinnovamento comunque va intravista l’antica preoccupazione di santificare il tempo presente, per continuare ad essere cristiani qui ed oggi. E il futuro cosa ci riserverà? Tra quattro o cinque anni dovrebbe apparire anche il nuovo Messale, e poi i rituali per la celebrazione dei vari Sacramenti. Non si può nascondere che tutto questo appaia come qualche cosa di riservato agli addetti ai lavori. E dopo le prime domeniche si ha l’impressione che l’assemblea non sia stata stravolta dalla novità. Forse qual-
cuno è stato colpito dal tono apocalittico e dalla lunghezza delle letture della prima domenica di Avvento che ha inaugurato la nuova era ambrosiana. Speriamo comunque che si avverino i desideri del Cardinale: Sogno comunità di fedeli che, convinte e gioiose, pongano al centro della loro vita la celebrazione dell’Eucarestia e siano animate da un più intenso desiderio di partecipare alla mensa della Parola e del Pane. A tutti auguro la duplice benedizione: “Beati coloro che ascoltano la parola di Dio”; “Beati gli invitati alla cena del Signore ”.4 P. Edy Rossi-Pedruzzi OFMCap Prevosto di Faido
1 Costituzioni dei Frati Minori Cappuccini, edizione italiano-latino, n. 47 §.4. Roma, 2002. 2 Magnoli Claudio, Piccola guida al nuovo Lezionario Ambrosiano, Ancora, Milano 2008. 3 Grampa Monsignor Piergiacomo, “Andava di villaggio in villaggio”, lettera pastorale, Lugano, Settembre 2008. 4 Tettamanzi Dionigi Cardinale Arcivescovo di Milano, Beati coloro che ascoltano la parola di Dio, lettera a tutti i fedeli ambrosiani sul nuovo lezionario, Milano, 19 ottobre 2008, Solennità della Dedicazione della Cattedrale.
Messaggi dai conventi
Bellinzona: i 25 anni della Comunità del Sacro Cuore
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a Comunità del Sacro Cuore di Bellinzona, quest’anno ha celebrato due date significative: in maggio-giugno i 50 anni di Sacerdozio del suo parroco Padre Callisto Caldelari, in novembre i 25 anni della sua erezione a Parrocchia.
Già nel 1939 sempre a novembre (il giorno 23 festa di San Clemente I) il vescovo mons. Angelo Jelmini consacrava la bella Chiesa – opera dell’allora giovane architetto Rino Tami – in quel quartiere nord di Bellinzona. Fino al 1983 rimase la “Chiesa dei frati”, come affettuosamente la chiamava la gente, ma senza erogare servizi parrocchiali, anche perché quel quartiere che si faceva sempre più popoloso dipendeva dalla parrocchia centrale della Collegiata. In occasione della visita pastorale del 1982 il vescovo mons. Ernesto Togni, assecondando anche la richiesta della popolazione, annunciò che intendeva erigere quella Chiesa a parrocchia, chiedendo ai frati cappuccini di assumerne gli impegni. I frati – come le loro regole prescrivono – fecero un capitolo e decisero di assecondare il desiderio del vescovo e il bisogno del quartiere. Fu nominato primo parroco P. Callisto che in quell’ambiente era cresciuto e, in quella chiesa, aveva fatto il chierichetto. Nel novembre del 1983, mons. Togni, circondato dai sacerdoti della città, eresse formalmente la parrocchia chiamandola “Comunità del Sacro Cuore”. Subito si diede inizio ad una pastorale viva facilitata anche dal fatto che mancavano tradizioni e nessuno poteva dire, “qui si è sempre fatto così”. Il parroco è stato coadiuvato da diversi confratelli, ricordiamo i defunti, P. Donato e P. Silvio, e tutt’ora aiutato da P. Ugo e da fra Martino nonché da Don Tomasz per le parrocchie di Carasso e Gorduno e da un centinaio di laici che a titolo volontario prestano i loro servizi. Nei tre giorni dal 21 al 23 novembre si sono tenuti alcune manifestazioni delle quali parla puntualmente l’articolo apparso sul “Giornale del Popolo” del 24 novembre 2008.
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Dal Giornale del Popolo La festa di Compleanno di una grande famiglia. Con questo spirito la comunità del Sacro Cuore di Bellinzona ha trascorso tra concerti, assemblea, cena fraterna, Santa Messa e un teatro francescano, le celebrazioni del quarto di secolo. Certo, 25 anni fa, quando per volontà dell’allora vescovo di Lugano monsignor Ernesto Togni, si volle creare una comunità ecclesiale che raccogliesse la gente del quartiere Nord di Bellinzona la zona non era demograficamente sviluppata come oggi anche se già si intuiva per il futuro la necessità di realizzare un centro di fede viva, capace di servire un’area in pieno sviluppo. Una comunità dove si respira “il clima del cristianesimo delle origini” e “lo spirito francescano”. Ne ha parlato Padre Callisto, da sempre alla guida del Sacro Cuore, ieri mattina, durante una bella celebrazione nella quale oltre a festeggiare l’evento giubilare, sono stati conferiti i mandati annuali ai laici collaboratori parrocchiali ed è stata presentata l’icona realizzata per i 25 anni (e i 50 di sacerdozio di padre Callisto). Ed il frate ha ricordato come “il nucleo della vita reli-
giosa della prima comunità cristiana era nelle case”, questo dato degli Atti degli Apostoli è un po’ come la nota caratteristica della comunità del Sacro Cuore; l’esperienza di un cristianesimo dove la comunità è la casa in cui ritrovarsi. Su questo modello si è costruito tutto il resto: i battesimi comunitari, le Eucarestie sempre molto animate, l’accoglienza nel coro del convento dei defunti della zona, quale segno dell’affetto e della riconoscenza di tutti. “La gente deve sentire di appartenere ad una comunità che è scuola di formazione”, ha sottolineato ancora P. Callisto. E allora la catechesi dei ragazzi, che dalle elementari è continua, con un accompagnamento garantito fino al termine della Scuola Media Superiore. Tanti poi i servizi pratici svolti: dall’attenzione materiale dei primi anni verso gli ospiti della vicina Casa Anziani ad oggi, con le diverse esperienze di solidarietà portate avanti da fra Martino Dotta. E poi la dimensione della fede come “caso serio”, in una chiesa dove “ogni volta che entro, trovo sempre qualcuno in preghiera”, ha testimoniato ancora padre Callisto. Quanto ai festeggiamenti, la gente non si è fatta desiderare: chiesa zeppa per il concerto di venerdì sera delle giovani voci del Conservatorio della Svizzera italiana, partecipazione motivata all’assemblea comunitaria di sabato conclusasi con una cena fraterna, fedeli di tutte le età alla Santa Messa di domenica. La conclusione, con una nota francescana, ieri sera, grazie alla rappresentazione del “Cantico di Fratello Sole” (testi di padre Giovanni Pozzi e interventi musicali della Cantoria di Giubiasco e del Quartetto d’archi Larius).
Foto gentilmente concesse dal Giornale del Popolo
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Lo smarrimento di Arjuna Dieci minuti per te
Il distacco affettuoso
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ella riflessione precedente, commentando il secondo canto della Bhagavad Gita e con riferimento alla crisi di Arjuna, ho già evocato, sia pure di passaggio, il tema del giusto distacco o, come spesso lo chiama Corrado Pensa, del distacco affettuoso. Il tema del giusto distacco è un tema delicato e complesso. In effetti, si presta ad essere frainteso e, di fatto, viene spesso capito male, tanto da ingenerare sospetto e una certa presa di distanza. E tuttavia, il tema del giusto o affettuoso distacco attraversa, come un filo d’oro, tutta la letteratura spirituale, di ogni epoca e latitudine, e viene considerato da tutti come il presupposto imprescindibile al raggiungimento dell’equilibrio e della pace interiore. E’ a partire poi da questa raggiunta pace del cuore, che si perviene alla «visione profonda» e, con essa, alla comprensione e alla saggezza. Tutti i cammini spirituali concordano su questo punto. I padri del deserto e i monaci del vicino Oriente cristiano cercano l’esichia. I monaci della tradizione occidentale la quies. Il mondo buddhisa cerca samatha. Il fine dello yoga è samaddhi. Tutti questi termini, sia pure nel rispetto delle sfumature tipiche di ogni tradizione, ci indirizzano verso uno stesso, identico traguardo: quella pace del cuore «che Dio dà senza lesinare a coloro che lo amano».1 Secondo il Buddha, tutto è dukka, sofferenza, insoddisfazione. Quale è la causa di dukka? – il desiderio. Che cosa produce il desiderio? – attaccamento e dipendenza, oppure paura e avversione. E’ possibile andare oltre il desiderio, l’attaccamento e l’avversione? – certo! Quale è la via? – il giusto distacco, che conduce all’equilibrio e all’equanimità, alla pace interiore. Ma che cos’è il giusto distacco e come lo si esercita? Con riferimento a queste
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domande, occorre subito dire che il linguaggio degli antichi è, in genere, molto determinato, robusto, forte e, spesso, marziale. Mi viene subito in mente la bellissima pagina di JeanYves Leloup nel suo splendido libro L’esicasmo, editrice Gribaudi. Giunto al Monte Athos, Leloup, allora giovane filosofo francese, diventa discepolo dell’anziano monaco Serafino. Per certi aspetti, padre Serafino si rivela uomo dal temperamento burbero e deciso. Era molto determinato e, a volte, anche sgarbato. Ma era anche un uomo intelligente e attento e, quando occorreva, sapeva essere delicato, tenero, affabile e comprensivo. Dopo avergli insegnato a meditare come una montagna gli propone di meditare come un papavero, allineando la spina dorsale, per essere come il fiore che s’innalza diritto sul suo stelo, si volge dal più profondo del proprio essere verso la luce. Il giovane filosofo, che aveva letto la Filocalia,2 obietta che, nella Filocalia, si suggeriva al monaco di disporsi, nella preghiera e nella meditazione, con la schiena leggermente curva, qualche volta perfino con dolore. «Gli occhi dello starets lo guardarono con malizia: Questo – disse – valeva per i robustissimi uomini di una volta. Erano pieni di energia e occorreva riportarli un poco all’umiltà della loro condizione umana. Curvarsi un po’ nel tempo della meditazione non gli faceva mica male… Ma tu, essendo mingherlino, avendo bisogno di energia, alzati diritto verso la luce, ma sii senza orgoglio».3 E’ un dato di fatto che, oggi, anche quando si parla di «giusto distacco», il linguaggio è molto diverso da quello degli antichi. La felice espressione usata da Corrado Pensa è un esempio: affettuoso distacco. E’ indice evidente di una nuova sensibilità. L’espressione usata da Corrado Pensa è splendida, perché, per quanto paradossale, coglie nel segno. Infatti,
«distacco» indica una presa di distanza: è disidentificazione, comporta un certo congelamento. E tuttavia è «affettuoso», ossia c’è vicinanza, c’è calore. In sostanza: una presenza calda, sollecita, attenta, ma che, nel contempo, lascia liberi noi e lascia liberi gli altri. Un distacco nobile e rispettoso, che non è freddezza; e un affetto sollecito, tenero e attento, ma che è l’esatto contrario dell’appiccicamento. E’ ciò di cui gli esseri umani hanno bisogno per crescere e sentirsi amati e rispettati. Per tutto questo dobbiamo dire, credo, un grande grazie a Freud. Egli ha messo in evidenza l’estrema complessità dei processi interiori e le conseguenze spesso così traumaticamente condizionanti dei nostri atteggiamenti autoritari, drastici e repressivi, ma anche di un’affettuosità ad oltranza, che genera insicurezza e dipendenza e, non di rado, diventa esca per accalappiare il consenso degli altri e ricatto. L’insegnamento di Freud ha inciso in modo determinante sul linguaggio e sulle modalità di gestire i rapporti umani e, di conseguenza, sulla spiritualità, anche quando non lo vogliamo ammettere o non lo sappiamo. E’ di grande aiuto tenere presente tutto questo nel contesto di qualsiasi discorso e ricerca interiore e spirituale. Anche se ogni regola ha le sue eccezioni, è un dato di fatto che si arriva più lontano con la delicatezza, l’attenzione e la comprensione nei confronti di sé e degli altri, che non con i toni aspri e le imposizioni autoritarie e dure. E’ un’acquisizione oggi largamente condivisa, di cui la spiritualità è debitrice alla psicologia che, oltre tutto, getta una nuova luce su molte intuizioni e affermazioni del passato e ne conferma la validità. Ma che cosa è, allora, il giusto o affettuoso distacco? La prima immagine che mi passa per la mente è quella della spaziosità. Il giusto distacco ci permette di respirare. Nel
contempo, il giusto distacco evoca atteggiamenti interiori di profonda serenità, fiducia e libertà. E’ fiducia in sé e negli altri, libertà nel rapporto che abbiamo con noi, ma anche con gli altri e con tutte le cose. E’ il presupposto per agire «secondo coscienza», in libertà e consapevolezza, senza far violenza a nessuno, né a noi né agli altri, in un maturato atteggiamento di rispetto di sé, degli altri e di ogni cosa. Se dukka, l’insoddisfazione e la sofferenza, nasce dal desiderio, allora giusto distacco significa anzitutto distacco in rapporto a tutto ciò che, essendo desiderabile e buono, nutre il senso possessivo dell’«io» e del «mio», ma anche quell’illusione che non permette di vedere che tutto ciò che si muove sotto il sole è impermanente. Questo non significa che dobbiamo svalutare o disprezzare le cose o che non possiamo godere di esse, coltivare e perseguire ciò che ci gratifica. Significa godere nella non-dipendenza, con un atteggiamento adulto, nella gratitudine e nella libertà, ma anche nella chiara consapevolezza che nulla è permanente. Significa cercare, ma senza consegnarsi all’avidità. L’idea dell’impermanenza di tutte le cose ritorna con insistenza negli scritti spirituali. Anche i versi della Bhagavad Gita, che riporto a conclusione di questa riflessione, mettono in risalto questo aspetto. Ma, proprio perché si fonda sulla chiara visione dell’impermanenza di tutte le cose, il giusto distacco è anche affettuoso di stanziamento nei confronti delle cose che non ci piacciono e che, in assenza di un tale atteggiamento, ingenerano avversione, resistenza, smarrimento e conflittualità. In altre parole, giusto distacco in rapporto a tutto, perché niente e nessuno diventi stampella per noi, e noi, di conseguenza, succubi e dipendenti degli altri, delle circostanze e delle cose; ma giusto distacco perché neppure noi diventiamo semplice stampella per gli altri.
Nella grande maggioranza dei cammini spirituali, il giusto distacco viene anche messo in stretta relazione con Dio, con la fede-fiducia in Dio e l’incondizionata dedizione a lui e alla sua volontà. Questo appare del tutto coerente, dal momento che Dio è la verità che ci fa liberi e la sua volontà rappresenta il nostro bene supremo. In questo senso Gesù dice, in Luca 14,26: «Se qualcuno viene con me ma non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo». In effetti, sono infinite le realtà della vita che sono desiderabili e buone, in sé e per sé, e che vanno custodite, curate, apprezzate e amate. Anzi, il vangelo c’insegna ad amare tutto e tutti. Ma il centro, alla fine, rimane lui, l’Altissimo, che, come si legge in Atti 17,25: «dà a tutti la vita e il respiro e ogni cosa». Soprattutto, è l’unica realtà che non nasce e non muore e, quindi, assolutamente attendibile e fedele. Di questo avremo modo di parlare in un successivo appuntamento, perché viene ribadito con forza anche dalla Bhagavad Gita. In parte affiora già nei versi che riporto qui di seguito e che propongo alla vostra serena meditazione. 2.9
Quando Arjuna, il grande guerriero ebbe così sfogato il suo cuore, disse: «Non combatterò!», e poi sprofondò nel silenzio. 2.10 Krishna sorrise e parlò ad Argina. Tra i due eserciti la voce di Dio pronunciò queste parole: 2.11 «Le tue lacrime sono per chi non può esser pianto; e le tue parole non sono sapienti. Il saggio non si addolora per coloro che vivono, né per coloro che muoiono, perché la vita e la morte sono entrambe passeggere.
2.12 Tutti noi, infatti, siamo da sempre, io, tu e i re degli uomini. E saremo per sempre, tutti noi, per l’eternità. 2.13 Come lo spirito del nostro corpo mortale passa attraverso l’infanzia, la giovinezza e la vecchiaia, così lo Spirito, dopo la morte, passa ad un nuovo corpo: su questo il saggio non ha dubbi. 2.14 Dal mondo dei sensi, Arjuna, vengono il caldo e il freddo, il piacere e il dolore. Essi vengono e vanno: sono passeggeri. Sollevati al di sopra di essi, o forte anima. 2.15 Colui che non si fa scalfire da queste cose e la cui anima è una sola, al di là del piacere e del dolore, costui è degno della vita eterna. 2.16 Non c’è mai un momento in cui l’irreale è, e non c’è mai un momento in cui il reale non è. Questa verità hanno compreso coloro che riescono a vedere il vero. 2.17 Pur essendo intrecciato alla sua creazione, lo Spirito non è soggetto a distruzione. Nessuno può porre fine allo Spirito, che è eterno. 2.18 Pur essendo al di là del tempo, lo Spirito dimora in questi corpi; anche se i corpi hanno una fine nel tempo, esso tuttavia resta immutabile e immortale. Quindi, grande guer- riero, porta coraggiosamente avanti la tua battaglia. fra Andrea Schnöller
1 Leloup J-Y., L’esicasmo, Gribaudi, Torino 1992, p. 18. 2 Un ampia e selezionata raccolta di scritti spirituali più significativi dei padri del deserto. 3 Leloup J-Y., L’esicasmo, Gribaudi, Torino 1992, p. 13
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Messaggi dal mondo della chiesa
Appunti di vita ecclesiale La prima Santa svizzera Lo scorso 12 ottobre a Roma, papa Benedetto XVI ha proclamato santa Maria Bernarda Bütler, fondatrice delle Missionarie francescane di Maria ausiliatrice, il secondo santo svizzero dopo Nicolao della Flüe, riconosciuto nel 1947 da papa Pio XII. Maria Bernarda è nata a Auw (Argovia) il 28 maggio 1848, quarta di una famiglia con otto figli, e fu chiamata Verena; divenne Maria Bernarda quando a 19 anni entra tra le capuccine di Maria Hilf di Altstätten (San Gallo), dove pronuncia la sua professione perpetua a 23 anni. Diventa superiora del convento dal 1880 al 1887 contribuendo al suo sviluppo. A causa della proibizione esistente allora di fondare nuovi conventi in Svizzera, suor Maria Bernarda accoglie l’ invito di un vescovo sudamericano, e si reca nel 1888 in Ecuador con sei sue consorelle, e nel 1889 fonda tre conventi, con la nuova congregazione delle Missionarie francescane di Maria ausiliatrice, iniziando una pastorale dedicata specialmente ai poveri, ai malati e alle persone anziane. A seguito di una rivoluzione scoppiata nel 1895, le religiose di madre Maria Bernarda sono costrette a rifugiarsi nella città di Cartagena (nord della Colombia) dove si dedicano ad un ospedale per donne e quindi fondano scuole per i più poveri. L’azione caritativa di madre Maria Bernarda e delle sue consorelle di sviluppa progressivamente e nuove attività sono promosse in America latina. La fondatrice muore a Cartagena, il 19 maggio 1924. La congregazione conta attualmente 720 religiose, in Colombia, Venezuela, Ecuador, Perù, Bolivia e Cuba; 83 suore sono in Svizzera e in Austria, dipendenti dal convento di Frastanz nel Vorarlberg (Austria). Le Missionarie francescane sono attive nell’insegnamento e nell’educazione, e si occupano specialmente della formazione delle ragazze e delle donne e di curare persone anziane e handicappati.
Una casa delle religioni a Berna A Berna è in via di realizzazione una “Casa delle religioni”, in quanto è stato finalmente trovato il finanziatore per un investimento dell’ordine di 50-55 milioni di franchi. Il progetto prevede un grande centro nel quale sono integrati spazi commerciali, appartamenti, uffici e un albergo, che occupano il 90% circa dell’intero volume che offre spazio, nel sottosuolo, alla Casa delle religioni. Il budget annuale della Casa delle religioni sarà di circa 470’000 franchi. La cifra comprende le spese amministrative, lo stipendio del cu-
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stode e la copertura delle spese per le manifestazioni organizzate dall’associazione “Haus der Religionen”. La città di Berna ha previsto di versare, annualmente, un contributo di 200’000 franchi. Ulteriore sostegno proviene dalla Chiesa evangelica riformata e dalla Chiesa cattolica romana, dall’associazione delle parrocchie riformate della città di Berna, da singole parrocchie e dalla Comunità di Herrnhut. I lavori di costruzione della Casa delle religioni potrebbero cominciare nell’estate del 2009 e due anni dopo, nel 2011, la Casa delle religioni sull’Europaplatz di Berna potrebbe essere realtà. Alcune comunità religiose hanno già espresso la loro intenzione circa l’utilizzo degli spazi nella nuova Casa. L’associazione indù Murugen ha chiesto di poter allestire un locale di culto. Anche la comunità buddista Vihara, composta soprattutto da immigrati provenienti dallo Sri Lanka, dalla Thailandia e dal Vietnam, intende utilizzare spazi in cui celebrare i propri culti. La stessa intenzione è stata annunciata dagli aleviti, una comunità religiosa sorta da uno scisma all’interno dell’islam sciita, e dalla Comunità di lavoro delle Chiese cristiane nel Canton Berna (il locale di culto cristiano potrà essere utilizzato dalla comunità dei cristiani ortodossi etiopi e dalla comunità di Herrnhut). Invece la Judische Gemeinde Bern ha fatto sapere di non voler allestire un locale di culto, in quanto la comunità ebraica non sarebbe in grado di finanziare un secondo luogo di culto oltre la sinagoga situata nella Kapellenstrasse. La Comunità ebraica di Berna continuerà tuttavia a sostenere il programma di dialogo e di incontro dell’associazione “Haus der Religionen”, e lo stesso faranno anche i baha’i e la Umma, associazione che riunisce undici diverse comunità islamiche presenti nel cantone Berna. Secondo Farhad Afshar, un portavoce musulmano, nella città di Berna le comunità musulmane hanno già un numero sufficiente di locali di questo tipo, mentre non è possibile integrare nella Casa delle religioni una vera e propria moschea, perché la costruzione di una moschea prevede il rispetto di una serie di prescrizioni architettoniche, come avere un tetto a cupola e un minareto, spazi di preghiera e servizi sanitari separati per uomini e donne, e non può trovarsi sotto il livello del terreno: inoltre non c’è nessuna moschea al mondo che abbia il tetto in comune con luoghi di culto di altre religioni. Tuttavia non è affatto da escludere che nella Casa delle religioni ci sia la possibilità di allestire un luogo di preghiera musulmano: non tutti i musulmani ritengono infatti che ci siano ostacoli insormontabili a un simile progetto. (notizia ripresa da Voce evangelica, ottobre 2008)
Solidarietà coi bambini di Betlemme All’entrata di Betlemme esiste il Caritas Baby Hospital, fondato nel 1952 da padre Ernest Schnydrig, per venire in soccorso dei civili vittime della prima guerra israeloaraba. Oggi l’istituto (ben noto ai pellegrini ticinesi che si sono recati in Terra Santa) è l’unico ospedale pediatrico specializzato nei territori amministrati dai palestinesi, territori in cui vivono circa mezzo milione di bambini di età inferiore ai 4 anni. All’inizio finanziato da collette promosse per Natale tra cattolici svizzeri e tedeschi, nel 1963 è stata costituita una associazione denominata “Soccorso ai fanciulli di Betlemme”, sostenuta dalla Caritas Svizzera, che con quella tedesca ancora oggi contribuisce ai finanziamenti, così come alcune diocesi tedesche e istituzioni religiose e laiche. Attualmente sono in corso lavori di ampliamento, per far fronte alle necessità sempre crescenti: l’elemento principale sarà costituito da una nuova clinica per cure ambulatoriali che prevede sette sale di consultazione, con tre sale di attesa che permetteranno di tenere separati i bambini colpiti da malattie contagiose; sono inoltre previsti locali per medici, assistenti sociali e consigliere in puericultura. Sarà pure ingrandita la scuola per le madri, con dodici camere plurime di 3-4 letti. Al termine dei lavori, previsti della durata di due anni e dell’importo di 4,5 milioni di franchi, il Caritas Baby Hospital conta di poter curare fino a 50.000 bambini, sia cristiani sia musulmani. La sede operativa per la Svizzera è a Lucerna (Aiuto Bambini Betlemme, Winkelriedstrasse 36, offerte al ccp 60-20004 – 7), mentre responsabile per la Svizzera italiana è Mimi Bonetti Lepori (CONSONO, Via Fusoni 4, 6900 Lugano).
Nuovo vescovo nel 2009 per i vecchi-cattolici I “cattolici-cristiani” (detti comunemente “vecchi cattolici”) contano in Svizzera circa 14.000 aderenti, di cui la metà vive, per ragioni storiche, nei cantoni di Argovia e di Soletta, mentre alcune parrocchie si trovano nei cantoni di Zurigo, Berna, Lucerna, Basilea Città, Sciaffusa, San Gallo, Neuchâtel e Ginevra: in parecchi cantoni, queste comunità hanno lo statuto di diritto pubblico e quindi sono considerate la “terza Chiesa nazionale” svizzera. I cattolici-cristiani costituiscono una diocesi, retta da un vescovo (attualmente mons. Fritz-René Müller) che ha la sua sede a Berna, dove esiste anche la Facoltà di teologia, mentre l’organo direttivo è il Sinodo nazionale, composto di 70 preti e laici eletti dalle parrocchie; lo scorso maggio si è riunito a Magden presso Rheinfelden. Il vescovo Müller, sposato e padre di due figli ormai adulti, è di origine argoviese ed è stato parroco a Basilea; ordinato nel 2002, dovrà lasciare la carica nel 2009, quando raggiungerà i settant’anni, età limite fissata dalla Costituzione ecclesiastica: sarà allora eletto e quindi consacrato il successore. Le difficoltà che incontra la Chiesa dei cattolici-cristiani svizzeri sono quelle delle altre Chiese nazionali svizzere: la secolarizzazioni, gli abbandoni, l’invecchiamento dei fedeli, con conseguenze negative anche sulle finanze disponibili (provenienti da imposte ecclesiastiche e donazioni) che impongono fusioni di parrocchie e riduzione dell’attività pastorale. Tuttavia la comunità cattolico-cristiana che ha avuto spese nel 2007 per circa 1,1 milioni di franchi, ha chiuso i conti con una eccedenza attiva di fr. 21.000. Alberto Lepori
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Messaggio ecumenico
Cristiani divisi alla mensa del Signore Uno degli aspetti più dolorosi della divisione tra le Chiese è l’impossibilità per i cristiani delle varie denominazioni di partecipare tutti insieme alla Cena del Signore. Un nodo, quello detto comunemente dell’ospitalità eucaristica, tuttora irrisolto che paralizza il dialogo ecumenico perché non sembra dare alcun segno di progresso.
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ppure, c’è chi sostiene la piena legittimità dell’ospitalità eucaristica tra cristiani di diversa appartenenza ecclesiale, tutti invitati all’unica mensa di Cristo, “cosi’ come avveniva nel cristianesimo delle origini”. Lo fa, ad esempio, Ermanno Genre, pastore valdese, docente di teologia pratica alla Facoltà valdese di teologia di Roma e professore invitato in diversi altri istituti, in un interessante libro pubblicato nel 2007 dalla Claudiana: “Gesù ti invita a cena – l’eucaristia è ecumenica”. Per Genre – e questa è un’opinione ampiamente condivisa in seno alle Chiese della Riforma – il pane e il vino che le Chiese cristiane di ogni parte del mondo distribuiscono ai fedeli non sono “possesso” di nessuna di esse, bensi’ dono di Dio alla sua Chiesa e all’intera umanità: accogliere l’invito a condividerli è atto piu’ forte di ogni divieto ecclesiastico. Da qui la prassi, nelle Chiese della Riforma (e anche nella Chiesa anglicana), di invitare a ricevere la comunione anche fedeli di altre denominazioni che fossero presenti al culto. Il volume si apre con una citazione del cattolico padre Ernesto Balducci (1922-1992): “Oggi la Chiesa
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sa che il suo compito è di essere una Chiesa conviviale dove nessuno sia il superiore di nessuno, dove la qualifica di fraternità abbia la meglio su ogni altra distinzione: la Chiesa dovrà essere, nel mondo di tutti, una pacifica galassia di innumerevoli fraternità”. Nella prima parte del suo lavoro, Genre evidenzia la dimensione di “banchetto” della Cena delle origini, cioè la sua collocazione nell’ambito di un pasto comunitario, mettendo in luce le relazioni costitutive delle tradizioni del pasto della cultura greco-romana nell’epoca in cui nasce il cristianesimo con le analoghe tradizioni che ritroviamo in alcuni testi dei Vangeli. Nella seconda parte, l’autore si sofferma sulle testimonianze neotestamentarie sull’ultima Cena di Gesù, sulle tradizioni dell’ultima Cena dei sinottici e di Giovanni, sulla tradizione dei pasti della comunità cristiana delle origini secondo gli Atti degli Apostoli e sulla svolta avvenuta nel cristianesimo del III e IV secolo, nel momento in cui la celebrazione dell’Eucaristia si separa definitivamente dal pasto comunitario (agape) e si afferma la messa. Seguono le posizioni sulla liturgia eucaristica dei riformatori Zwingli, Bucero e Calvino (Genre non entra invece nel merito dei testi liturgici di Lutero, ritenendoli noti). Nella terza parte del suo lavoro, l’autore situa il suo discorso nell’attualità ecumenica, individuando alcuni temi e problemi che oggi caratterizzano il dialogo ecumenico, che appare come “paralizzato” sul tema della Cena del Signore. La tesi sostenuta nel libro è che soltanto riscoprendo il “primato della prassi”, dunque la pratica dell’ospitalità eucaristica cosi’come avveniva nel cristianesimo delle origini, sarà possibile “sbloccare” la situazione attuale.
Federazione evangelica: l’invito è aperto Da parte nostra, vorremmo soffermarci su due importanti testi ricordati nel libro. Il primo è un documento dei tre istituti ecumenici di Bensheim, Tubinga e Strasburgo, pubblicato nel 2003, che sostiene la piena liceità dell’ospitalità eucaristica. Vi si legge tra l’altro: “Non essendovi più sufficienti ragioni teologiche per il rifiuto dell’ospitalità eucaristica, noi sosteniamo la sua possibilità come scelta normale nella vita delle persone che vivono in profonda comunione ecumenica… Non si può negare quest’ospitalità eucaristica a quei cristiani e a quelle cristiane che, a causa della loro abituale frequentazione ecumenica, si sentono spiritualmente spinti a sedersi insieme ai credenti di altre Chiese alla tavola del Signore. Qui occorre pensare, in particolare, alle coppie e alle famiglie miste, nonché ai membri di circoli e gruppi di lavoro ecumenici, ma anche a situazioni specifiche, come i matrimoni, i battesimi, le cresime e confermazioni o i funerali, ai quali i cristiani partecipano nella chiesa di un’altra confessione. In realtà, i cristiani impegnati in campo ecumenico considerano ovvio e naturale l’invito a spezzare insieme il pane, quando partecipano in certe occasioni a celebrazioni liturgiche di un’altra Chiesa”. Il secondo documento si intitola “Das Abendmahl in evangelischer Perspektive – la Cène selon la vision protestante” ed è stato pubblicato nel 2004 dalla Federazione delle Chiese evangeliche della Svizzera. In merito all’ospitalità eucaristica, vi si legge quanto segue: “La concezione protestante dà libero accesso alla Cena a tutti coloro che confessano la fede in Gesù Cristo, indipendentemente dalla loro appartenenza confessionale. L’invito alla Cena è dunque aperto e si rivolge pure ai fedeli della Chiesa cattolico-romana, che sono i benvenuti alla Cena in una chiesa protestante se si
sentono liberi di rispondere all’invito. Il Consiglio della Federazione si rallegra per la pratica dell’ospitalità ecumenica e auspica che si mantenga e che i fedeli ne facciano uso là dove essa è offerta”. Per tornare al libro di Genre, l’autore spiega ampiamente la sua tesi, secondo cui l’ospitalità eucaristica è possibile e necessaria, nonostante le diversità, e non di poco conto, che esistono tuttora fra le diverse Chiese cristiane. Per lui, “nessuna Chiesa particolare puo’ attribuirsi l’autorità (il potere!) di escludere i cristiani di altre Chiese. Il comune battesimo (“porta dei sacramenti” lo hanno definito i Padri della Chiesa!) autorizza ogni cristiano, nella libertà della sua coscienza, ad avvicinarsi all’Eucaristia celebrata in una chiesa cristiana diversa dalla sua”. Da notare anche che nella Charta Oecumenica firmata nel 2001 a Strasburgo dal Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa e dalla Conferenza delle Chiese europee, figura nel primo capitolo l’impegno “ad operare, nella forza dello Spirito Santo, per l’unità visibile della Chiesa di Gesù Cristo nell’unica fede, che trova la sua espressione nel reciproco riconoscimento del battesimo e nella condivisione eucaristica, nonché nella testimonianza e nel servizio comune”.
Le posizioni cattolica e ortodossa Come è noto, le Chiese cattolica e ortodossa hanno, sull’ospitalità eucaristica, una posizione completamente diversa rispetto alle Chiese protestanti, in quanto ritengono che finchè non vi sarà piena comunione ecclesiale non potrà esserci comunione eucaristica, salvo casi particolari. Nel Catechismo della Chiesa cattolica si legge che le divisioni della Chiesa impediscono la comune partecipazione alla mensa del Signore. A proposito di quelle che chiama “le Comunità ecclesiali sorte dalla Riforma, separate dalla Chiesa cattolica”, scrive che “specialmente per la mancanza del sacramento dell’ordine, non hanno conservata la genuina ed integra sostanza del ministero eucaristico. E’ per questo motivo che alla Chiesa cattolica non è possibile l’intercomunione eucaristica con queste Comunità”. Sono molti i documenti nei quali sia Giovanni Paolo II sia Benedetto XVI hanno ribadito a chiare lettere questa posizione, creando non poca sofferenza e sconforto tra tutti coloro, cattolici e non, che hanno a cuore la causa dell’unità dei cristiani. Ad
esempio, al n. 56 dell’ esortazione apostolica post-sinodale “Sacramentum Caritatis” del 2007, Papa Ratzinger scrive: “Il rispetto che dobbiamo al sacramento del Corpo e del Sangue di Cristo ci impedisce di farne un semplice « mezzo » da usarsi indiscriminatamente per raggiungere questa stessa unità. L’Eucaristia, infatti, non manifesta solo la nostra personale comunione con Gesù Cristo, ma implica anche la piena communio con la Chiesa. Questo è, pertanto, il motivo per cui con dolore, ma non senza speranza, chiediamo ai cristiani non cattolici di comprendere e rispettare la nostra convinzione che si rifà alla Bibbia e alla Tradizione. Noi riteniamo che la comunione eucaristica e la comunione ecclesiale si appartengano così intimamente da rendere generalmente impossibile accedere all’una senza godere dell’altra, da parte di cristiani non cattolici. Ancora più priva di senso sarebbe una vera e propria concelebrazione con ministri di Chiese o Comunità ecclesiali non in piena comunione con la Chiesa cattolica. Resta tuttavia vero che, in vista dell’eterna salvezza, vi è la possibilità dell’ammissione di singoli cristiani non cattolici all’Eucaristia, al sacramento della Penitenza e all’Unzione degli infermi. Ciò suppone però il verificarsi di determinate ed eccezionali situazioni connotate da precise condizioni”. Ogni documento – in particolare quelli sottoscritti tra cattolici e ortodossi, ma non solo – esprime comunque l’ardente desiderio che un giorno tutti i credenti in Cristo possano celebrare insieme l’unica eucarestia del Signore. Gino Driussi
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Abbiamo letto... abbiamo visto... P. Callisto Caldelari GESÙ: Parte seconda. “Signore, perché parli in parabole?” Con postfazione di Ernesto Borghi Bellinzona (Ed. Istituto bibliografico ticinese), 2009, fr. 28 Si può chiederlo alla segreteria della Comunità del Sacro Cuore (tel 091 82 00 880) nelle ore d'ufficio Questo libro, come dice un sottotitolo, è un “Tentativo di risposta alla domanda che i discepoli rivolsero a Gesù, per aiutare i dubbiosi, i non credenti, chi non conosce o dice di non comprendere le parabole, questi meravigliosi racconti”. Ecco perché mi sono accinto a scriverlo seguendo e completando il primo dal titolo: “Ti presento Gesù Cristo. Biografia e pagine evangeliche per chi crede con difficoltà, per chi dubita, ma vuole indagare, per chi non crede, ma vuole conoscere”, Mi permetto di paragonare questo secondo lavoro ad un albero con diverse radici che circondano un fittone piantato nel terreno della mia vita, che è il già citato lavoro precedente, opera apprezzata, stando alle reazioni avute proprio da coloro ai quali l’ho dedicato, i dubbiosi e i non credenti. Ed è merito loro se è nato questo secondo studio; alcuni infatti mi hanno chiesto dei corsi d’approfondimento su Gesù che ho tenuto nel nostro convento di Bigorio. Quale tema ho scelto le parabole, lette non solo come “Parola di Dio”, ma soprattutto come annuncio del “Regno di Dio” o “dei cieli”. Perciò ho ripreso in mano quei suoi i racconti, leggendoli con maggior attenzione, meditandoli, consultando commenti di noti biblisti. Ho preparato schede, dispense, sunti. Indispensabile presentare il tutto in modo facile, con qualche mezzo didattico. Nei corsi che tengo sulla vita di Gesù mi faccio aiutare da un regista discusso, Pier Paolo Pasolini, proiettando il suo stupendo film, Il Vangelo secondo Matteo. Ma già alla prima proiezione m’accorsi che nessuna delle venti parabole che il primo evangelista ci offre era stata realizzata in quel film. Come mai?… Non so darmi una risposta convincente. Forse questi racconti di Gesù sono troppo coinvolgenti per uno scrittore che sembra più affascinato dalla personalità del Cristo che dal suo messaggio. Per i corsi sulle parabole, ho trovato un altro sussidio filmico; stavo per consegnare alla stampa questo lavoro, quando ho visto – con un po’ di ritardo – il film di Ermanno Olmi, Centochiodi (seconda proposta su questa pagina). La decisione fu immediata: questo sarà quello che accompagnerà i corsi e questo è anche il mio consiglio: chi leggesse queste mie modeste pagine, dopo veda lo stupendo film di Olmi, una moderna parabola con un Gesù ambientato sulle rive del fiume Po. In queste pagine mantengo parecchi schemi didattici, augurandomi che possano aiutare, specie per delle lezioni, come mi ha confessato alcuni catechisti che hanno usato il Ti presento Gesù nelle scuole medie e medie superiori. Ho mantenuto le illustrazioni di Dorè, tanto apprezzate e, fra le tavole, ho inserito alcuni ipotetici dialoghi composti per delle sacre rappresentazioni preparate per i miei giovani; hanno un duplice scopo, contestualizzare e attualizzare. Soprattutto ho consultato molti testi, specie d’autori italiani recenti, alcuni li conosco personalmente perciò ho potuto scambiare idee ed interpretazioni. Qualche lettore potrebbe chiedermi: ma anche questo commento sulle parabole è dedicato ai dubbiosi e ai non credenti? Crede lei che simili persone possono essere interessate? La mia risposta è un sì convinto. Ecco perchè un libro come questo potrebbe essere un utile regalo per figli, nipoti, parenti, amici, non praticanti, dubbiosi o non credenti.
Centochiodi di Ermanno Olmi. Film della S. Paolo Da un libro che parla di parabole ad un film che è una parabola. Un giovane, ma già affermato professore all'università di Biologia, si trova al centro di una difficile indagine. Nella biblioteca dell'ateneo si sono trovati dei libri antichi e preziosi inchiodati in modo brutale sul pavimento: la polizia cerca il vandalo. Lui, dopo il misfatto, abbandona tutto e approda sulle rive del fiume Po dove scopre un vecchio rudere e se ne appropria. Intorno a questa nuova dimora si intrecciano storie di amicizia, di vita quotidiana e di amore tra il professore e gli abitanti dei posto. Alcune parabole evangeliche sono filmate e attualizzate.