Messaggero 2013-24 Ott-Dic

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Trimestrale di formazione e spiritualitĂ francescana

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Ottobre n° Dicembre 2013


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Ottobre n° Dicembre 2013

Dossier Concilio Vaticano II

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Appuntamenti 2014 al Bigorio

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Gesù tra storia e dogmi

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30 anni della parrocchia del Sacro Cuore

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Giustizia sociale: una sfida sempre aperta

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Alberto Lepori

Messaggio ecumenico

Rivista fondata nel 1911 ed edita dai Frati Cappuccini della Svizzera Italiana - Lugano ISSN 2235-3291

Comitato Editoriale

Maurizio Agustoni

Cristiani nel mondo

MESSAGGERO

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Gino Driussi

fra Callisto Caldelari (dir. responsabile) fra Edy Rossi-Pedruzzi Maurizio Agustoni Gino Driussi Alberto Lepori

Hanno collaborato a questo numero Mario Corti Fernando Lepori Palma Pedrazzi Andrea Schnöller don Sandro Vitalini

Redazione e Amministrazione

Una comunità ed un saluto

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Convento dei Cappuccini Salita dei Frati 4 CH - 6900 Lugano Tel +41 (91) 922.60.32

Il canto d’amore mistico per Francesco di Alda Merini

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Internet www.messaggero.ch E-Mail segreteria@messaggero.ch

Mario Corti

Abbonamenti 2014 ordinario CHF 30.sostenitore da CHF 50.CCP 65-901-8 IBAN CH4109000000650009018

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Natale: viverlo malgrado tutto

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Tra qualche giorno sarà Natale. Per poter festeggiare serenamente il Natale, devo vincere tre tentazioni. La prima è quella di considerare questa festa come una festa snaturata; infatti, dalla nascita di Gesù nella povertà, siamo passati al Natale del consumismo, della ricchezza e dello spreco. E dentro il discorso consumistico, la condanna allo spreco è così ovvia da risultare stucchevolmente comune a tutti i moralisti... e a qualche giornalista! In questi giorni la senti da parecchi pulpiti, la leggi su parecchie pie riviste e ti viene voglia di non festeggiare il Natale, proprio per non metterti anche tu nella fila degli spreconi. La seconda tentazione è quella di considerare questa festa come inopportuna. Quando alla televisione e sui giornali vedi con insistenza le facce di bambini sfigurate dalla guerra o altre situazioni di violenza e di disagio, non ti scappa forse la voglia di festeggiare il Natale? Perché è inopportuno godere quando altri soffrono, essere felici quando altri piangono! La terza tentazione è quella di considerare il Natale come una festa ormai desueta; in fondo si ricorda un avvenimento capitato duemila anni fa. Da quel giorno, bambini famosi ne sono nati tanti; perché non festeggiamo anche loro? Sono tentazioni che vanno di moda, soprattutto per noi, che non siamo più giovanissimi. Infatti, alla freschezza del Natale dei bambini, si contrappone il Natale così triste di parecchi adulti, molti dei quali, per non guardare dentro se stessi e interrogarsi sull’origine di questa loro tristezza, danno la colpa alla festa snaturata, alla festa inopportuna, alla festa desueta e vorrebbero quasi ritirarsi dal festeggiare il Natale per rimanere soli con la propria tristezza. Eppure sono tentazioni da vincere! Ed allora cerchiamo di suggerire qualche pensiero per vincere le tre tentazioni sopra ricordate. Alla festa ormai snaturata dobbiamo ridare il suo senso naturale, che è quello della generosità e non quello del consumismo. Per chi ha fede, il Natale è il giorno in cui Dio Padre è stato tanto generoso da donare all’uomo la cosa più grande e più bella che aveva, il proprio Suo Figlio. Per chi non ha fede, il Natale è quella giornata in cui si ricorda quel miracolo meraviglioso della natura (che avviene in ogni istante), quando nel corpo di una donna, con la collaborazione di un uomo, nasce una vita. Dio ci ha dato il Figlio. L’uomo e la donna generano un figlio! Questo è il grande dono di sempre, la vita che continua. Perché essere riconoscenti a Dio e alla natura vuol dire riconoscere la generosità

dei doni che noi riceviamo, soprattutto il più grande, il più prezioso, la vita. E questa vita va vissuta attraverso continui atti di generosità e non consumata attraverso continui atti di spreco della vita stessa e dei mezzi che la sostengono. La seconda tentazione, quella di credere che il Natale è una festa inopportuna perché c’è tanta gente che soffre, va vinta facendo del Natale il giorno in cui è opportuno compatire. Sembra brutta questa parola nel nostro linguaggio comune; ma per capirla la possiamo dividere in due: com-patire, cioè soffrire con gli altri. Se molti soffrono anche per Natale, bisogna far sì che qualcuno soffra di meno! Come è possibile com-patire con i bambini vittime della guerra? Di ogni sorta di violenza? Prima di tutto dobbiamo sentire i problemi sulla nostra pelle; più sono gravi, più dobbiamo sentirli e compatirli in modo forte. Per esempio, il problema di tanti bambini che muoiono e soffrono, di tutti i bambini che per una disgrazia cadono in un situazione di morte, li sentiamo? Li soffriamo? Compatire vuol dire saper assumere le proprie responsabilità di fronte a fatti che sembrano non riguardarci, ma dentro ai quali ci siamo anche noi. Ed allora, se non posso far niente o relativamente poco per i bambini vittime della guerra, posso però interessarmi a tutte le persone che mi circondano, che sono vicine a casa mia, che sono sole il giorno di Natale e portare loro un augurio, una visita, un regalo. Ad una condizione però, che questa compassione, questa sofferenza con loro non duri soltanto il periodo delle 24 ore natalizie, ma si prolunghi per tutto il tempo del loro bisogno. La terza tentazione, quella di ritenere il Natale una festa desueta perché ricorda un fatto capitato duemila anni fa, la possiamo vincere ridando al Natale il senso profondo della fede. Fede nella vita, fede in quel Bambino che è venuto ad unire la terra e il cielo, fede nel messaggio che lui ha portato, nell’azione che lui ha compiuto, nella continuazione della sua opera che vede ancora impegnati tanti uomini che si chiamano cristiani e tanti altri che non lo sono di nome, ma di fatto. E se la fede venisse a mancare - sia fede etica come fede religiosa - ci accorgeremmo che il Natale si spegne, l’albero su cui erano accese tante candeline di speranza diventa buio, i suoi rami, le sue foglie cadono. E quest’albero siamo noi! E il primo segno del nostro rinsecchimento è la tentazione di non festeggiare il Natale, una tentazione che vi auguro di vincere. Perciò di cuore vi dico: “Fate festa per Natale! Siate contenti, siate generosi, date un senso a questa giornata”.

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L’uomo e la Chiesa nel mondo contemporaneo

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Dopo aver ripensato a fondo il mistero della Chiesa che ascolta la Parola di Dio e celebra i divini misteri, il Concilio rivolse il suo pensiero alla presenza e all’azione della Chiesa nel mondo contempora­neo. La costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo con­ temporaneo, Gaudium et Spes (la sua storia inizia dopo la prima sessione conciliare, passa attraverso il famoso “schema XIII” e viene infine approvata il 7 dicembre 1965, con 2309 voti fa­vorevoli e 75 contrari) costituisce un unicum all’interno dei documenti conciliari e una novità nel corso di duemila an­ni di storia dei Concili. La novità appare fin dal titolo “co­ stituzione pastorale”: questo significa la traduzione e l’attuazione della fede nella vita vissuta concreta, dove l’atteggiamento pastorale presuppone un fondamento dottrinale, annunciando così la novità del contenuto. Essa non espone sol­tanto principi generali di fede, ma si esprime anche sui “se­gni dei tempi”, discorre in atteggiamento dialogante su te­mi di fondamentale importanza quali la famiglia e il lavo­ro, la cultura e la scienza, la politica e l’economia. Infine af­fronta il tema della pace nel superamento di ogni guerra. Nuovo è anche il modo in cui il documento li affronta: un atteggiamento di dialogo, in cui la Chiesa comprende sé stessa come realtà che vive nel mondo ed è solidale con es­so, basti citare, a questo proposito, il famoso incipit del te­sto: “Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di coloro che sof­frono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le an­gosce dei discepoli di Cristo” (n. 1) Così il Concilio si ri­volge “a tutti gli uomini indistintamente, desiderando esporre loro come esso intende la presenza e l’azione della Chiesa nel mondo contemporaneo” (n. 2), al fine di “offrire all’umanità la cooperazione sincera della Chiesa, per stabi­lire quella fraternità universale che corrisponde a tale voca­zione” (n. 3). Il problema centrale è il seguente: come può la Chiesa, con il suo messaggio di fede, prendere posizione davanti alle concrete questioni del mondo, davanti agli interrogativi più profondi dell’uomo e della società? Anziché enunciare dei principi, il Concilio sceglie un’altra strada per rispon­dere: riprendendo il centro della fede, cioè Cristo, pro­pone la sua convinzione: “La Chiesa crede che Cristo, per tutti morto e risorto, dà sempre all’uomo, mediante il suo Spirito, luce e forza per rispondere alla suprema sua vocazione, né è dato in terra un altro nome agli uomini in cui possano salvarsi. Crede ugualmente di trovare nel suo Si­gnore e Maestro la chiave, il centro e il fine di tutta

la storia umana per illustrare il mistero dell’uomo e per cooperare nella ricerca di una soluzione ai principali problemi del no­stro tempo” (n. 10). Questa missione ella compie mossa dal­lo Spirito Santo e interpretando i segni dei tempi: “Il popo­lo di Dio, mosso dalla fede, per cui crede di essere condot­to dallo Spirito del Signore che riempie l’universo, cerca di discernere negli avvenimenti, nelle richieste e nelle aspira­zioni, cui prende parte insieme con gli altri uomini del no­stro tempo, quali siano i veri segni della presenza o del di­segno di Dio. La fede infatti tutto rischiara di una luce nuo­va, e svela le intenzioni di Dio sulla vocazione integrale del­l’uomo, e perciò guida l’intelligenza verso soluzioni piena­mente umane” (n. 11). [Da Umberto Casale, Il Concilio Vaticano II. Eventi, documenti, attualità, Lindau, Torino 2012]

La costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo LA CHIESA SI APRE AL MONDO Il testo si presenta come una carta di relazione della fede con la vita, di relazione della Chiesa con il mondo, di relazione del cristiano con i suoi fratelli non cristiani o non credenti, superando una posizione da troppo tempo sulla difensiva. COME SI È ARRIVATI Nel suo “Messaggio al Mondo” del 20 ottobre 1962, Giovanni XXIII si era impegnato affinché il Concilio affrontasse la questione della relazione della Chiesa con il mondo. Questo testo è stato scritto in un contesto particolare: la guerra fredda, i cambiamenti delle strutture economiche e familiari, la fame, la povertà. Non esisteva d’altra parte nessuno schema preparatorio. Il Vaticano II si era quindi occupato della vita interna della Chiesa prima di affrontare le questioni sollevate dalla modernità.


Gaudium et Spes La presenza di vescovi venuti da paesi detti del “terzo mondo” e qualcun altro venuto dai paesi comunisti pesò sul dibattito. Due documenti ebbero una reale influenza sulla stesura del testo in questione: la “Pacem in terris” (1963), ultima enciclica di Giovanni XXIII, che si esprimeva circa la dottrina sulla pace e l’armamento nucleare, i principi sulla comunità politica, la presa di posizione in favore dei diritti dell’uomo; e l’ “Ecclesiam Suam” (1964), enciclica inaugurale di Paolo VI, che condurrà i Padri conciliari ad esprimere un atteggiamento nuovo nei confronti dei non credenti. Dopo tre anni di lavoro e nonostante numerose riserve, la Costituzione pastorale Gaudium et Spes venne promulgata il 7 dicembre 1965, ultimo giorno del Concilio. In conformità ai desideri di Giovanni XXIII, essa segnò una vera svolta. Con essa la Chiesa esce dalla sua paura, accoglie il mondo, ne condivide le inquietudini, le speranze e propone un tipo di riflessione etica condivisibile da tutti gli uomini e in modo particolare dai cristiani. COSA DICE LA COSTITUZIONE La Costituzione comprende due parti. La prima, più teologica e dottrinale, intitolata “La Chiesa e la vocazione umana”, tratta dei fondamenti del pensiero sociale della Chiesa nell’ottica della persona umana. Si articola in quattro capitoli. I primi due hanno per titolo: “La dignità della persona umana” e “La comunità umana”. Il terzo capitolo elabora, nel contesto degli umanesimi moderni, una teologia del senso della “attività umana nell’universo” e dell’attività quotidiana degli uomini, che non è senza legame con la Redenzione del Cristo e la costruzione del Regno di Dio. L’ultimo capitolo considera la Chiesa, non solo portatrice di questo messaggio, ma anche “sacramento” della salvezza e dell’unità dell’umanità riconciliata, che offre il suo aiuto per cercare con gli altri le soluzioni alle domande, qualche volta angoscianti, degli uomini, ma che riconosce anche quello che riceve dal mondo. Alla luce di questa visione antropologica illuminata dalla rivelazione, la seconda parte più morale e pastorale, affronta “alcuni problemi più urgenti” e più concreti: il matrimonio e la famiglia, la cultura, la vita economicosociale, la vita politica, la pace e le relazioni internazionali. Si tratta di aiutare gli uomini a proiettare su questi problemi “la luce dei principi che ci vengono da Cristo”. Al Concilio furono ad una certo punto nominate uditrici anche delle donne che contribuirono alla discussione nelle commissioni. In particolare diedero apporti

proprio alla GS, per esempio circa la non discriminazione dei due sessi, affermazione che è presente in tutti i capitoli del documento, sia dove vengono affermati i diritti della donna nelle scelte dello stato di vita e nel collaborare alla pari dell’uomo alla vita sociale e culturale, sia circa il riconoscimento di un laicato adulto e responsabile, all’interno del quale le donne possano svolgere uguali compiti e funzioni. Paolo VI sottolineava la più grande innovazione, inedita nella storia di tutti concili: la volontà dei vescovi di parlare contemporaneamente ai cristiani e a tutti gli uomini e le donne, appartenenti a tutti i popoli della terra. La Chiesa è entrata in dialogo con il mondo con una vera compassione, cercando di discernere in maniera storica e teologica i segni dei tempi che il Vangelo, meditato nella tradizione ecclesiale, indica come i luoghi dell’etica. Poi, convinta che la luce divina illumini ognuno nella sua coscienza e che la luce del Vangelo sulle realtà debba poter essere intuita da ogni uomo, essa dice in maniera accessibile e argomentata ciò che essa ha da dire. Prima di giungere al testo finale sono state necessarie numerose redazioni. La principale difficoltà aveva riguardato la prospettiva teologica dei “segni dei tempi”, cioè quell’insieme di fenomeni che, per loro natura, caratterizzano la nostra epoca e che, letti alla luce della Parola, lasciano trasparire l’azione di Dio. Da essi derivano compiti urgenti, che nessuna coscienza retta può rifiutare, come la promozione della giustizia e della pace. Fu inoltre necessario introdurre una nota esplicativa al documento per evitare un’interpretazione restrittiva dell’aggettivo “pastorale”. Due questioni furono particolarmente dibattute: la contraccezione artificiale, per la quale si convenne, come risulta da una specifica nota, fin da 1964, che la decisione sarebbe stata riservata al Papa, aiutato da una commissione di teologi e di esperti (l’enciclica Humanae Vitae di Paolo VI sarà promulgata nel 1968), e la condanna dell’uso delle armi nucleari. C’era chi voleva condannare la guerra in sé, quindi ogni guerra, come contraria al Vangelo, e chi voleva arginare tali affermazioni in quanto troppo nette. Anche se il mondo è cambiato questo testo rimane d’attualità e può essere applicato ai nuovi problemi che l’umanità si trova ad affrontare. [Adriana Valeri, Madri del Concilio. Ventitre donne al Vaticano II, Carrocci 2012]

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Chiesa nel mondo: temi principali La costituzione tratta, nella seconda parte, alcuni problemi oggi particolar­ mente urgenti; “questioni che oggi destano la sollecitudine di tutti” e su di esse il Concilio vuole che “risplendano i principi e la luce che provengono da Cristo, così i cristiani avranno una guida e tutti gli uomini potranno essere illu­minati nella ricerca delle soluzioni di problemi tanto numerosi e complessi” (GS 46). Si può dire che è lo stesso processo storico (quello della mondializzazione) che obbliga la Chiesa a prendere posizione sull’insieme delle questioni che le vengono poste in funzione di una identità cristiana da “ridefinire”, affinché la Chiesa stessa e i singoli cristiani possano trovare il modo che conviene all’annuncio del Vangelo. Le questioni affrontate sono: a) Matrimonio, sessualità e famiglia (nn. 4752): “Il bene della persona e della società umana e cristiana è stretta­mente connesso con una felice situazione della comunità coniugale e familiare” (n. 47); sono sviluppati temi quali l’amore coniugale e la fecondità del matrimonio, la vocazione alla santità degli sposi, la famiglia come “Chiesa domestica”, l’impegno di tutti per il bene del matrimonio e della famiglia (nn. 47-32). b) Promozione del progresso e della cultura (nn. 53-62): precisato il concetto di cultura “tutti quei mezzi con i quali l’uomo affina ed esplica le molteplici sue doti di anima e di corpo, procura di ridurre in suo potere il cosmo con la conoscenza e il lavoro, rende più umana la vita familiare e sociale, mediante il progresso del costume e delle istituzioni” (n.53) e della pluralità delle culture, il Concilio illustra i rapporti fede/ cultura: la fede cristiana offre importanti aiuti per lo sviluppo della cultura e per l’acquisizione di un posto importante nella vocazione integrale dell’uomo; sono altresì molteplici i rapporti con il Vangelo di Cristo: “Dio, rivelandosi al suo popolo fino alla pienezza del Figlio incarnato, ha parlato secondo il tipo di cultura delle diverse epo­che” (n. 58) In essi va ricercata l’armonizzazione dei diversi aspetti della cultura: se la cultura mira alla perfezione della persona umana, al bene di tutta la comunità, allora “è ne­cessario coltivare lo spirito in modo che si sviluppino le fa­coltà dell’ammirazione, dell’intuizione, della

contemplazio­ne, e si diventi capaci di formarsi un giudizio personale, di coltivare il senso religioso, morale e sociale” (n. 59). Questa armonizzazione fra cultura umana e il messaggio cristiano non sempre si realizza senza difficoltà, ma l’opera di inculturazione della fede (della fede cristiana che s’incarna nelle varie culture) continua: “I fedeli vivano in strettissima unione con gli uomini del loro tempo, si sforzino di penetrare perfettamente il loro modo di pensare e di sentire, di cui la cultura è espressione”. c) Le questioni della vita economico-sociale (nn. 63-72): va ri­pensato il significato e il fine della vita economico-sociale, perché se essa, da un lato, contribuisce a promuovere la di­gnità della persona e della società, dall’altro si trasforma spesso in causa di aggravamento delle disparità sociali (fra gruppi all’interno di un paese, fra nazioni opulente e na­zioni poverissime). Tenendo conto di queste caratteristiche, il Concilio dà alcune indicazioni per un corretto sviluppo economico-sociale per tutti: lo sviluppo economico va sem­pre pensato al servizio dell’uomo e sotto il controllo uma­no, per far scomparire le ingenti disparità occorre seguire la giustizia e l’equità sociale, ricreare sempre condizioni di la­voro umane e la partecipazione dei lavoratori nell’impresa (all’indirizzo e al profitto); i beni della terra e la loro desti­nazione sono per tutti gli uomini (valore relativo della pro­prietà privata), infine gli investitori e la finanza si guardino dal danneggiare con la speculazione selvaggia - il bene della propria nazione e della stessa comunità internaziona­le (quanto sia attuale una simile indicazione è lampante: l’attuale crisi mondiale, creata principalmente da banche fi­ nanziarie di ben note lobbies, s’abbatte soprattutto sui paesi più poveri e su quelli finanziariamente deboli). d) La vita della comunità politica (natura e fine della co­munità politica, rapporti fede e politica, società civile e co­munità ecclesiale: nn. 73-76): dopo aver registrato che vari movimenti e mutamenti sociali sono sorti alla ricerca di un ordine politico-giuridico nel quale siano meglio tutelati nel­la vita pubblica i diritti della persona (libertà di religione e di pensiero, libertà di riunirsi e di esprimere le proprie opi­nioni ...), il Concilio enuncia la natura e il fine della comu­nità politica: “Esiste proprio in funzione di quel bene co­mune nel quale essa trova pieno significato e piena giustificazione e dal quale ricava il suo ordinamento giuridico, ori­ginario e proprio” (n. 74). Ricordato il ruolo e i limiti dell’autorità pubblica e


Gaudium et Spes l’esigenza della collaborazione di tutti i cittadini alla vita pubblica, viene precisato il rapporto fe­de/politica, Chiesa e politica: come la fede cristiana si di­stingue, ma non si separa, dalla politica, così la Chiesa “in nessun modo si confonde con la comunità politica e non è legata ad alcun sistema politico” La Chiesa e la comunità politica sono indipendenti e autonome, esse svolgeranno il loro servizio “a vantaggio di tutti, in maniera tanto più ef­ficace quanto meglio coltiveranno una sana collaborazione tra di loro, secondo modalità adatte alle circostanze di luo­go e di tempo” (n. 76). Così la Chiesa, predicando la verità evangelica e illuminando tutti i settori della attività umana con la sua dottrina e con la testimonianza dei cristiani, illu­mina e sostiene la società civile, la libertà politica e la corresponsabilità di tutti. e) La promozione della pace e della comunità dei popoli (nn.77-90): sono qui sviluppate riflessioni sia sui mezzi generali per superare ogni guerra e ogni tipo di conflitto (innanzitutto perche questi non sono mai stati e non sono la soluzione dei problemi a cui si vorrebbe, appunto, dare una soluzione), sia sulla natura profonda della pace. Per quanto concerne i primi: il Concilio esorta a por fine, o almeno una moratoria, alla corsa agli armamenti, a studiare più a fon­do le cause delle discordie per affrontarle con mezzi non­violenti, a ricercare sempre la cooperazione fra le nazioni con la creazione di istituzioni internazionali in grado di fa­vorire questa collaborazione in campo sociale, demografi­co, economico, politico; infine confermando il rifiuto e la condanna di ogni guerra, soprattutto della cosiddetta “guerra totale” che ha un unico esito: “La reciproca, pres­soché totale, distruzione delle parti contendenti” (n. 80) Sulla nozione di “pace” il Concilio ricorda che “la pace non è la semplice assenza della guerra, né può ridursi al solo rendere stabile l’equilibrio delle forze in campo, né è effet­to di una dispotica dominazione, ma essa viene con tutta esattezza definita “opera della giustizia”.

Una Chiesa nel mondo Non era mai accaduto prima che in un Concilio la Chie­sa affrontasse così apertamente i problemi temporali attra­verso una teologia del mondo, alla luce del principio dell’in­carnazione del Verbo di Dio, e si impegnasse a discernere i “se­gni dei tempi” di una storia redenta. In Cristo Dio ha accolto questa storia e pertanto la Chiesa - che non è del mondo, ma di Dio - vive nel e per il mondo, al fine “di risvegliare in tutti gli uomini della terra una viva speranza, dono dello Spirito Santo, affinché finalmente vengano assunti nella pa­ce e felicità somma, nella patria che risplende della gloria del Signore” (n. 93) Anche se il mondo d’oggi è assai cambiato rispetto a quello degli anni ’60 del secolo scorso e il nostro documen­to appare bisognoso di ulteriori approfondimenti e di ag­giornamenti (come lo stesso stile conciliare richiede), resta vero che la Gaudium et Spes ha indicato la via maestra dei rapporti Chiesa/Mondo: ogni divaricazione tra accoglienza e giudizio (che compor-

terebbe confusione fra Chiesa e mondo, ovvero separazione Chiesa e mondo) non ha futuro. In fondo, la costituzione pastorale, gli altri documenti e lo stesso evento conciliare hanno invitato tutti gli uomini a costruire un ordine nuovo del mondo, perché tutti e tutto possano camminare spediti verso la pienezza della vita eterna e della vera gioia. [da Umberto Casale, Il Concilio Vaticano II. Eventi, documenti, attualità, Lindau, Torino 2012]

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Una riflessione del vescovo Tonino Bello Penso che fra tutti i documenti della Chiesa, sin da quando si è cominciato a designarli con le prime parole latine, non ce ne sia uno che abbia la sua “ouverture” così perfetta come quella della Gaudium et Spes. Si direbbe che vi abbiano posto mano i poeti più che i teologi, e che la prima stesura sia stata scritta non sulle carte severe degli esperti di scienze divine, ma sulle agili righe di un pentagramma musicale.

“Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore.” Con queste parole la Chiesa planava nei cieli della sua disincantata grandezza e sceglieva di collocare definitivamente il suo domicilio nel cuore della terra. Con quel preludio solenne, diga squarciata dei pensieri di Dio, la Chiesa sembra dire al mondo così: d’ora in poi, le tue gioie saranno le mie; spartirò con te il pane

amaro delle identiche tristezze, mi lascerò coinvolgere dalle tue stesse speranze, e le tue angosce stringeranno pure a me la gola con l’identico groppo di paura. Noi tuoi figli ti diciamo grazie, Chiesa, perché ci aiuti a ricollocare le nostre tende nell’accampamento degli uomini. Perché non ci isoli nei recinti dell’aristocrazia spirituale. Perché nel piano urbanistico della città terrena non pretendi per i discepoli di Cristo suoli privilegiati per la loro edilizia. Grazie, perché, riscoprendo la legge dell’incarnazione che condusse il Maestro ad abitare in mezzo a noi, ti sei decisa a vivere con gli uomini una condiscendenza a tutto campo. Perché rinunci ai fili spinati della riserva di caccia. Perché alla categoria del sacro, che seleziona spazi e tempi da dedicare al Signore, preferisci la categoria della santità, che permea di presenza divina anche le fibre più profane dell’universo. Ma grazie soprattutto per quella notizia inaspettata, stupenda, che ci dai col fremito dei lieti annunci: quando affermi, cioè, che le gioie degli uomini sono anche le gioie del cristiano, e che tra le une e le altre, caduto il sospetto della contrapposizione, corre il filo doppio della simpatia. È incredibile. Eravamo abituati a condividere solo i dolori del mondo. Una lunga dottrina ascetica ci aveva allenati a farci carico esclusivamente delle sofferenze dell’umanità. Eravamo esperti nell’arte della compassione. Nelle nostre dinamiche spirituali aveva esercitato sempre un fascino irresistibile il cireneo della croce. Ma i maestri di vita interiore non ci avevano mai fatto balenare l’idea che ci fossero anche i cirenei della gioia. Ed ecco lo sconvolgente messaggio: le gioie, genuinamente umane, che fanno battere il cuore dell’uomo, per quanto limitate e forse anche banali, non sembrano snobbate da Dio, né fanno parte di un repertorio scadente che abbia poco da spartire con la gioia pasquale del Regno. La felicità


Gaudium et Spes per la nascita di un amore, per un incontro che ti cambia la vita, per una serata da trascorrere con gli amici, per una notizia sospirata da tempo, per l’arrivo di una creatura che riempie la casa di luce, per il ritorno del padre lontano, per una promozione che non ti aspettavi, per la conclusione a lieto fine di una vicenda che ti ha fatto a lungo penare ... questa felicità fa corpo con quella che sperimenteremo nel Regno. È contigua col brivido dell’eternità che proveremo nel cielo, l’estasi che ti coglie davanti alle montagne innevate, alle trasparenze di un lago, alle spume del mare, al mistero delle foreste, ai colori dei prati, ai profumi dei fiori, alle luci del firmamento, ai silenzi notturni, all’incanto dei meriggi, al respiro delle cose, alle modulazioni delle canzoni, al fascino dell’arte. È parente stretta con le sovrumane gioie dello spirito l’umanissima gioia che ti rapisce davanti al sorriso di un bambino, al lampeggiamento degli occhi di una donna, agli stupori di un’anima pulita, alla letizia di un abbraccio vero, al piacere di un applauso meritato, all’intuizione di cose grandi nascoste dietro i veli dell’effimero, alla fragilità tenerissima di cui si riveste la bellezza, al sì che finalmente ti dice la persona dei tuoi sogni. “Non vi è nulla di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore.”

Ma che cosa è questa rivelazione improvvisa che annuncia coincidenze arcane tra le gioie degli uomini e le gioie dei discepoli di Gesù? Colpo di scena o colpo di genio? Forse è solo colpo di grazia! Antonio Bello è stato vescovo di Molfetta Ruvo Giovinazzo e Ter­lizzi dal 4 settembre 1982 fino alla morte avvenuta il 20 aprile 1993. Nato ad Alessano (Lecce) il 18 mar­zo 1935, ordinato prete l’8 dicem­bre 1957, fu educatore in semina­rio, direttore dell’Ufficio pastorale diocesano di Ugento e parroco a Tricase, sempre nel Leccese. Per alcuni anni ha condiviso la sua abitazione con famiglie di sfrattati: ha preso posizione a favore dei marocchini che abitavano nella città di Ruvo e li ha ospitati in alcuni appartamenti del vescovado. Nella stessa città è sorta una comu­nità di accoglienza, la Casa per tossicodipendenti, realizzata con il contributo di tutta la diocesi. Dal novembre 1985 fino alla morte, monsignor Bello è stato Presiden­te nazionale di Pax Christi, movi­mento internazionale che si pro­pone di educare alla pace e di cer­care le strade concrete perché dal mondo sia bandita la violenza.

Schema della Costituzione Proemio: Intima unione della Chiesa con l’intera famiglia umana Esposizione introduttiva: La condizione dell’uomo nel mondo contemporaneo PARTE PRIMA: La Chiesa e la vocazione dell’uomo CAPITOLO I La dignità della persona umana CAPITOLO II La comunità degli uomini CAPITOLO III L’attività umana nell’universo CAPITOLO IV La missione della Chiesa nel mondo contemporaneo PARTE SECONDA: Alcuni problemi più urgenti CAPITOLO I Dignità del matrimonio e della famiglia e sua valorizzazione CAPITOLO II La promozione del progresso della cultura • Sezione I: La situazione della cultura nel mondo moderno

• Sezione II: Alcuni principi riguardanti la retta promozione della cultura • Sezione III: Alcuni doveri più urgenti per i cristiani circa la cultura CAPITOLO III Vita economico-sociale • Sezione I Sviluppo economico • Sezione II Alcuni principi relativi all’insieme della vita economico-sociale CAPITOLO IV La vita della comunità politica CAPITOLO V La promozione della pace e la comunità dei popoli • Sezione I Necessità di evitare la guerra • Sezione II La costruzione della comunità internazionale Conclusione

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Domande a don Sandro Vitalini 1. Perché l’uomo comune quando sente parlare di Chiesa pensa immediatamente alla gerarchia? Nel linguaggio classico da secoli per “Chiesa” si è intesa la “gerarchia”, l’autorità. Come in un regno esiste una piramide (re, ministri, sudditi) così si è immaginato che anche per la Chiesa ci sarebbe stata analoga struttura: c’è chi comanda e c’è chi obbedisce. Anche se il Cristo ha cercato di far capire in tutti i modi (si pensi alla lavanda dei piedi in Giovanni 13) che lui e i dodici erano i servi di tutti, pronti a dare anche la vita per il gregge, con l’età costantiniana questo non lo si è più capito e la “gerarchia” della Chiesa ha imitato quella politica, creando una monarchia assoluta con alla testa il re-papa. Bonifacio VIII ha messo in capo al papa tre corone (triregno) per affermare il suo potere assoluto, che trascendeva tutti gli altri. Solo Paolo VI ha definitivamente abbandonato la tiara. La Chiesa è famiglia e chi la serve (vescovi, presbiteri, diaconi) è chiamato a dare la vita per i fratelli. Il termine “gerarchia” va abolito e sostituito con quello di “gerodulia”, di servizio sacro. Con Papa Francesco abbiamo oggi un recupero di questo valore, anche se andrà approfondito ancora di molto. Non dimentichiamo la parola di Gesù: “Voi siete tutti fratelli” (Matteo 23, 8). I paludamenti regali, le gemme e gli ori fanno a pugni con l’insegnamento incarnato di colui che per trono ha una croce. 2. Nella prima parte della Gaudium et Spes si parla della vocazione dell’uomo d’oggi: quali sono secondo lei gli interventi che la Chiesa dovrebbe fare per salvaguardare maggiormente la dignità umana? Un segno che indica che la Chiesa risponde alla sua vocazione è la sua persecuzione. Siamo chiamati a denunciare tutte le forme di corruzione, di asservimento, di schiavitù che opprimono l’uomo. Il Vangelo (si pensi a Luca 4) è annuncio di liberazione nel senso più globale della parola. Ispirandosi al Vangelo, la Chiesa mira a fare di ogni popolo una sola famiglia. Cadono le frontiere, le differenziazioni sociali, ci si riconosce di fatto fratelli. Il modello della Confederazione svizzera può servire per ispirare la costituzione di un’unica confederazione di stati. Gli eserciti scompaiono, sostituiti da una polizia internazionale, cresce l’equità sociale, spariscono i paradisi fiscali. Il pensiero evangelico, se lo vogliamo connotare politicamente, si pone all’estrema sinistra, mentre ancor oggi il cristiano è

visto piuttosto come uomo di destra, come un conservatore, quando il Signore è il primo e il più radicale dei rivoluzionari. Il lievito cristiano deve far fermentare tutta la massa umana e portarla non solo alla condivisione ideale, indicata dalla mitica manna (uguaglianza assoluta davanti a Dio), ma anche a quella applicata dalla comunità primitiva dove tutti i cristiani si consideravano di fatto fratelli e mettevano tutto in comune (Atti 2, 44). Anche se l’ideale ci sembra lontanissimo, dobbiamo almeno muoverci in questa linea. La Chiesa del Concilio, di Papa Francesco, deve tornare ad essere sale e lievito per tutta l’umanità. 3. Nella seconda parte del documento si parla del matrimonio e della famiglia, ma dopo il Concilio assistiamo ad un aumento dei divorzi: cosa dovrebbe fare la Chiesa per arginare questa piaga? L’ideale propugnato per la famiglia dal Nuovo Testamento e del Vaticano II è oggi ripudiato? Non credo. Noi, minoranza cristiana in una società pagana, riviviamo il clima delle comunità primitive. La famiglia cristiana si è proposta ad un mondo largamente corrotto e non pochi uomini di buona volontà si sono fatti battezzare. È essenziale che anche un modesto numero di coppie viva l’ideale evangelico nella sua affascinante bellezza. Non opponiamo a comportamen-


ti di vita sregolati ingiurie e maledizioni, ma modelli concreti di vita coniugale armoniosa. Nella linea della prassi antica, ancora valida in Oriente, riconosciamo anche che là dove il primo matrimonio è morto, si può ammetterne un secondo, anche se in una contesto dimesso. Il Vangelo si è diffuso nel mondo grazie alle famiglie di battezzati. A un mondo sfasciato si opponeva una famiglia unita e serena. È importante che la coppia cristiana avverta la sua vocazione missionaria. Il Concilio ha messo in evidenza la necessità primordiale di approfondire tra i coniugi il mutuo amore. Una visione positiva della sessualità può aiutare a far capire che l’amore è sempre fecondo anche là dove non ci fosse prole. Un coniuge genera letteralmente l’altro. Nell’ambito parrocchiale o zonale sarebbe auspicabile che le coppie si riunissero per studiare e risolvere insieme i vari problemi; per aiutare le coppie a preparare e a vivere insieme l’eucaristia domenicale, bisogna prevedere dei luoghi di accoglienza per i bambini più piccoli. La famiglia è la carta che va giocata con coraggio e lungimiranza per evangelizzare progressivamente il tessuto sociale. Meno con le parole che con i fatti. Sono gli esempi a trascinare. 4. Condivide l’idea che la Chiesa non debba fare politica? Se per politica si intende l’apporto di soluzioni tecniche a problematiche civili, bisogna riconoscere che

la Chiesa non dispone di mezzi adatti per suggerire soluzioni concrete. Se per politica si intende il corretto funzionamento della cosa pubblica, il Vangelo ha una parola decisiva da proporre, soprattutto in vista di incrementare la giustizia sociale e la fraternità universale. La Chiesa, se è fedele al Vangelo, va ben al di là dei programmi di un partito e propone un ideale, certo non immediatamente attuabile, ma che stimola tutti a camminare in una direzione precisa. La forza di uno stato, dice il prologo della Costituzione svizzera, si commisura sull’impegno fattivo di tutti a favore dei più deboli. Il Vangelo invita l’autorità civile a un’apertura sempre più marcata nei confronti dei poveri, degli oppressi, dei profughi. Non si tratta solo di accogliere, ma anche di creare situazioni tali che blocchino l’emorragia dei profughi con la creazione di possibilità di lavoro in loco. La nostra Confederazione opera già in tal senso. Gli investimenti per una difesa nazionale armata si rivelano di solito inutili sprechi. Ma se sono sostituiti da investimenti per un servizio civile allargato al modo intero e per una difesa internazionale che promuova l’equità tra gli scambi tra nazioni si apre per il mondo una nuova speranza, una nuova frontiera. Dopo tante inutili stragi sarebbe ora e tempo di bandire ogni tipo di guerra, sostituendola con una lotta decisa contro la fame, la miseria, l’ingiustizia sociale. Così si vive l’amore del Cristo.

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Appuntamenti 2014 al Bigorio

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Programma 2014 Cari Amici, Anche quest’anno vi presentiamo il nuovo programma per il 2014. Le proposte che vi offriamo, attraverso questi corsi di formazione o giornate di ritiro, potranno servirvi per arricchire la vostra vita di nuove esperienze. LA RISCOPERTA DEL SILENZIO

igorio

Le giornate di deserto sono una breve parentesi di silenzio e di contemplazione. Si tratta di offrire a sé stessi l’opportunità di fermarsi e di scoprire, attraverso il silenzio, la lettura, la riflessione e la preghiera, i valori essenziali della vita.

Animatore: Date: Orari: Tariffa:

fra Roberto Pasotti, cappuccino 1-2 marzo 22-23 novembre da sabato alle 11.30 a domenica alle 17.00 Fr. 150.-

C’È UNA SPERANZA PER L’ECUMENISMO? La divisione tra i cristiani è uno scandalo. Non si deve dire che “l’unità si farà quando il Padre vorrà”, ma che l’unità è già possibile oggi se tutti i cristiani, con umiltà e costrizione, riconoscono il loro peccato e lo vogliono riparare. Animatore: don Sandro Vitalini Date: 29 marzo 29 novembre Orari: dalle 9.00 alle 17.00 Tariffa: Fr. 60.-, pranzo compreso La meditazione cristiana

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Gli incontri di meditazione cristiana, più che proporti discorsi sulla meditazione, ti mettono in condizione di poter meditare, offrendoti degli strumenti adeguati per realizzare un vero raccoglimento interiore e vivere sempre di più le tue giornate nella semplicità e nell’armonia di uno stile di vita meditativo. Animatore: fra Andrea Schnöller, cappuccino Date: 8-9 febbraio 5-6 aprile 25-26 ottobre 13-14 dicembre Orari: Corso base per principianti sabato dalle 9.30 alle 16.30 Tariffa: Fr. 55.- per partecipante, pranzo compreso Orari: Corso per avanzati da sabato alle 17.00 a domenica alle 17.00 Tariffa: Fr. 130.- per partecipante Orari: Tutto il fine settimana (corso principianti + corso avanzati) (possibilità riservata solo a chi ha già partecipato in precedenza) da sabato alle 9.30 a domenica alle 17.00 Tariffa: Fr. 185.-

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Nella situazione attuale, dato che sta cedendo un cristianesimo di tradizione a favore di uno di convinzione, è indispensabile rivedere da adulti il messaggio cristiano per liberarlo da tutti gli infantilismi che l’educazione dei primi anni ha inevitabilmente appiccicato.


Messaggio dai Conventi La scelta di sposarsi nella Chiesa, e di battezzare e perciò promettere di educare cristianamente i figli, domanda questa revisione. Animatore: fra Callisto Calderari, cappuccino Date: 25-26 gennaio 3-4 maggio 27-28 settembre Orari: da sabato alle ore 9.00 a domenica pomeriggio Tariffa: Fr. 150.- Per le iscrizioni, rivolgersi direttamente all’animatore del corso, fra Callisto (tel. 091 820 08 80). LA LITURGIA, RITUALITÀ O VITA? Attraverso i documenti che la Chiesa nella sua tradizione ci ha tramandato, si mettono in luce i principi teorici liturgici, per comprendere quanto la Liturgia non sia semplice ritualità ripetitiva, bensì faccia parte del tessuto quotidiano del battezzato, della Chiesa e del mondo, portando trasformazione e vitalità. Animatore: don Nicola Zanini Date: 26 aprile Orari: dalle ore 9.00 alle ore 17.00 ca. Tariffa: Fr. 60.-, pranzo compreso

Date da ricordare Mostra di vetrate di fra Roberto Nella chiesa e nel coro del convento, mostra con alcune vetrate di fra Roberto. La mostra, che sarà inaugurata venerdì 6 dicembre 2013 alle ore 18.00 con una presentazione del Prof. Giuseppe Curonici resterà aperta fino a domenica 12 gennaio 2014 secondo i seguenti orari: giovedì e sabato, dalle ore 17.00 alle 19.00; domenica, dalle ore 15.00 alle 17.00. Possibili le visite su appuntamento (tel. 091 943 12 22). Ascensione. Festa del Convento Giovedì 29 maggio. Processione da Tesserete e S. Messa ore 10.30. Pranzo in comune. Banco del dolce e mercatino. Per mercoledì 28, vigilia dell’Ascensione, è convocata l’Assemblea generale dell’Associazione “Amici del Bigorio”. L’Assemblea si svolgerà all’interno del capannone con inizio alle ore 17.00. Dopo l’assemblea, nel coro del convento, ci sarà l’apertura della mostra della tessitrice Antonietta Airoldi.

LAUDATO SIE, MI’ SIGNORE, ANCHE PER SORELLA SOFFERENZA? Rileggiamo l’esperienza della sofferenza psico-fisica di Francesco d’Assisi, nell’ottica della visione della cristianità dall’antichità fino ai giorni nostri. Animatore: fra Michele Ravetta, cappuccino Date: 20 settembre Orari: dalle 9.00 alle 14.00 Tariffa: Fr. 60.-, pranzo compreso SPAZI LITURGICI: DAL RITO ALLA VITA Dopo aver fondato il discorso liturgico sui principi fondamentali della liturgia (primo incontro), si passa alla pratica. Partendo dalla disposizione degli spazi liturgici dentro una chiesa, si cerca di comprendere il significato teologico e di fede dei simboli liturgici, approfondendo il credo della Chiesa. Si comprenderà come anche lo spazio liturgico è in grado di veicolare, nella “pratica liturgica”, i misteri della fede, nutrendo la vita. Animatore: don Nicola Zanini Date: 18 ottobre Tariffa: Fr. 60.-, pranzo compreso

S. Francesco Domenica 5 ottobre, ore 16.30, concerto d’organo. Alle ore 17.30. S. Messa solenne e commemorazione del Santo. Sul sagrato, momento conviviale. Natale Messa della notte di Natale alle ore 22.00 del 24 dicembre. Dopo la Messa, momento conviviale sul sagrato della chiesa. Interessante e da vedere il Presepio allestito in chiesa. Cavalcata dei Re Magi Lunedì 5 gennaio 2015, vigilia dell’Epifania ore 15.00. Festa per i bambini. Chi volesse sostenere in maniera più evidente l’attività del convento, può diventare membro dell’Associazione Amici del Bigorio, inviando un’offerta minima di Fr. 50 sul conto postale 65-433-5 intestato a: Associazione Amici del Bigorio, 6950 Capriasca IBAN CH83 0076 4613 0850 C000C.

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Gesù tra storia e dogmi Un saggio di Piero Stefani

Lo scorso 19 settembre è stato presentato alla Biblioteca Salita dei Frati un fortunato saggio di Piero Stefani, noto biblista e studioso di ebraismo (e da pochi mesi nuovo presidente di “Biblia, associazione laica di cultura biblica”): il volumetto reca come titolo Gesù. Un nome che ci accompagna da duemila anni ed è stato pubblicato nel 2012 dalla casa editrice il Mulino di Bologna. La presentazione è consistita in un’ampia relazione di Renzo Petraglio, cui sono seguiti, sulla base delle sollecitazioni del folto pubblico intervenuto all’incontro, illuminanti interventi dello stesso autore.

L’

L’opera di Stefani si sviluppa secondo un’impostazione molto chiara. Precedono due capitoli per così dire introduttivi, intitolati Cosa sappiamo di Gesù? e Le fonti antiche. Nel primo capitolo si ricorda che, poiché Gesù non scrisse nulla di sé, per sapere qualcosa di lui e della sua vita è fondamentale riferirsi alle prime comunità che credettero in lui e che ci lasciarono testimonianze scritte della loro fede. Solo più tardi furono elaborati principi dottrinali su Gesù, soprattutto col dettato del Concilio di Calcedonia (451) secondo cui il Nazareno è «vero Dio e vero uomo». Ma il successivo ritorno ai testi originari, cioè ai Vangeli, mise in rilievo le modalità anche sensibilmente diverse con cui i testi evangelici e le professioni di fede parlano di Gesù. Cominciò allora la ricerca del “Gesù storico”, che è un tema sviluppato - e in un certo senso ridimensionato - in un successivo capitolo del saggio di Stefani. Si ripropone insomma la domanda rivolta da Gesù ai suoi discepoli: «Ma voi, chi dite che io sia?» (Mc 8,29; Mt 16,15; Lc 9, 18). La risposta può essere data, secondo Stefani, tenendo conto di tre diversi approcci fondamentali: ecclesiale, storico e letterario. La prima via per accostarsi a Gesù muove dai modi con cui egli è presentato nella liturgia, nella dogmatica e nella catechesi: ne risulta una concezione sostanzialmente non difforme, secondo Stefani, dalle fonti neotestamentarie, fondata sulla convinzione della natura divina di Gesù di Nazaret. La seconda via è quella della ricostruzione storica della figura di Gesù, svolta dopo un’adeguata valutazione filologica dell’attendibilità dei documenti. Il terzo genere di approccio è fondato su una lettura più sincronica che diacronica dei testi neotestamentari e si basa, in particolare, su quello che si può definire il «genere letterario vangelo», caratterizzato da un fondamentale «realismo letterario» (non necessariamente storico in senso stretto). I vangeli insomma, scritti dopo l’epistolario paolino il cui tema centrale è il «buon annuncio» di Gesù Cristo morto e risorto e dal quale non risulta propriamente una ‘biografia’ di Gesù, intendono anche riferire quanto fu detto e compiuto da lui nelle sinagoghe, nelle case e lungo le strade della Galilea e della Giudea. Nel secondo capitolo vengono passate in rassegna e brevemente caratterizzate le fonti antiche scritte (senza tuttavia dimenticare che la trasmissione orale era ritenuta più autorevole dei testi scritti): si tratta dell’epistolario paolino, dei vangeli canonici, degli Atti degli apostoli, degli altri scritti neotestamentari, dei vangeli apocrifi, di un famoso passo delle Antichità giudaiche


di Giuseppe Flavio, il più importante storico ebreo dell’antichità, e di alcune testimonianze di antichi scrittori latini e greci (in particolare Plinio, Tacito e Svetonio). Dopo questa prima parte, che ha anche una funzione metodologica, si leggono i tre capitoli centrali, nei quali viene ricostruita la vita di Gesù, sempre rigorosamente ancorata a fonti neotestamentarie. I tre capitoli si intitolano Dalla nascita al battesimo, La vita pubblica, Passione, morte e resurrezione. Segue il capitolo Il Gesù storico, nel quale viene posto il problema - sorto con l’Umanesimo e poi sviluppatosi con l’Illuminismo - della ricerca storico-critica applicata alla conoscenza di Gesù. Bastino queste due citazioni: «Il Gesù storico è raggiungibile attraverso i metodi propri della storiografia. La metodologia storica, se applicata con rigore, non è totalizzante e si muove negli ambiti di pertinenza dei criteri di verificabilità (o di falsificazione) da essa adottati» (p. 113); «La ricerca storica si sviluppa solo in presenza di condizioni culturali in cui è concesso scorporare l’indagine su Gesù dall’atto di aver fede in lui. In altre parole, lo storico procede con gli stessi metodi a prescindere dal fatto di essere credente, scettico, agnostico o ateo» (p. 114). Resta vero, come ha precisato in modo particolarmente incisivo Stefani nel corso della discussione, che non arriveremo mai ad avere una piena conoscenza storica della vita di Gesù: la ricerca storica è sì necessaria, ma non è l’unico fondamento della nostra conoscenza del Nazareno. Con queste poche e riassuntive osservazioni s’è cercato di indicare i temi più importanti del saggio di Piero Stefani, segnalando i problemi che egli pone e le soluzioni che egli prospetta in ordine alla domanda posta quasi ad epigrafe del saggio: «Cosa sappiamo di Gesù?». Fernando Lepori

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30 anni della parrocchia del Sacro Cuore

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Il 23 novembre 1983 il vescovo Ernesto Togni, durante una solenne concelebrazione, erigeva a parrocchia la chiesa del Sacro Cuore di Bellinzona affidando ai Frati Cappuccini, che già ufficiavano quel tempio, la pastorazione del quartiere nord della capitale. La decisione di staccare quel quartiere dall’unica parrocchia della Collegiata ha una sua storia singolare. Oltre un anno prima, un gruppo di fedeli di quella zona aveva deciso di esprimere al vescovo il desiderio affinché la chiesa del Sacro Cuore diventasse la loro parrocchia e aspettavano la sua visita pastorale per manifestare questa volontà. Ma il vescovo Togni li ha preceduti e, in occasione della sua visita pastorale, durante la predica aveva detto che era sua intenzione erigere la nuova parrocchia perché il quartiere, dal 1939 data di consacrazione della chiesa, si era molto popolato. Per situazioni come queste i Frati Cappuccini della Svizzera Italiana, in un Capitolo hanno discusso se accettare l’invito del vescovo di assumersi la cura parrocchiale, ed avendo espresso a maggioranza il loro assenso, presentarono all’Ordinario Diocesano, secondo il Diritto Canonico, tre nomi di frati disposti ad assumere l’ufficio di parroco. Monsignor Togni fece osservare al Superiore dei Frati ticinesi che fra i tre nomi non vi era quello che lui avrebbe preferito, P. Callisto, che non aveva dato la sua disponibilità perché da guardiano alla Madonna del Sasso stava ritornando a Lugano

per continuare a tempo pieno la direzione del consultorio di Comunità Familiare. Il vescovo si incaricò di chiedere a detto Padre se era disposto ad iniziare un lavoro pastorale a Bellinzona, ricevendo come risposta che non gli sembrava opportuno che una persona che in quel quartiere era cresciuta ne diventasse il primo parroco; ma Monsignor Togni ritenne che proprio perché P. Callisto conosceva già le persone e l’ambiente, avrebbe avuto il compito più facile. Nacque così la nuova parrocchia, che essendo libera da tradizioni, poté essere impostata in modo nuovo e, con l’approvazione dei vari vescovi che in questi trent’anni si sono succeduti, ha sperimentato delle forme diverse di pastorazione chiedendo soprattutto ai laici una fattiva e responsabile collaborazione. Si formò subito un Consiglio Pastorale che continua ancor oggi a condividere con i frati tutte le decisioni. Si impostò una catechesi continuata che interessa tutte le famiglie che l’accettano per i loro figli, dalla II elementare alla III superiore e apprendisti. A poco a poco si portò l’amministrazione del sacramento dell’Eucarestia in quarta elementare mentre l’anno precedente la catechesi è tutta centrata sul Battesimo con la riconferma dello stesso. Il sacramento della Cresima viene amministrato dopo i 16 anni con una preparazione dilazionata nel tempo e non concentrata in un solo anno. Per gli adulti si organizzano diversi corsi sulla Bibbia, sulla figura di Gesù e sul Credo. I sacramenti del Battesimo e del Matrimonio sono preceduti da corsi di formazione, in cui sono attivi, quali animatori, giovani che sono cresciuti e si sono formati nella stessa parrocchia. È attivo un Gruppo Missioni che generosamente aiuta i nostri missionari. Oggi la parrocchia conta più di centocinquanta collaboratori laici che ogni anno, nel mese di novembre, ricevono il “mandato” (incarico ufficiale per l’anno pastorale in corso) e sono al servizio di un quartiere che, soprattutto in questi ultimi mesi, si è fatto ancor più popoloso. Ringraziamo il Signore per il cammino fatto, coscienti che siamo ancora lontani dal creare una Comunità parrocchiale secondo il Cuore di Gesù. fra Callisto Caldelari


Benvenuto don Valerio

La redazione, i collaboratori e i lettori tutti del Messaggero salutano il nuovo vescovo di Lugano mons. Valerio Lazzeri e gli augurano anni di armoniose ‘sinfonie’! 17

Spazio Aperto – Dialoghi – Comunità Sacro Cuore organizzano a Bellinzona sabato 14 dicembre 2013 un seminario Concilio Vaticano II Avvenuto e che Verrà con il seguente programma: ore 9.30 ore 10.45 ore 11.45 ore 12.30 ore 14.30

Saluti e prolusione di Luigi Sandri che presenta il suo libro sul Concilio Lavoro di gruppo Relazione dei gruppi Pranzo Intervento di Enrico Morresi su “Il Ticino e il Concilio Vaticano II”. Preparazione – svolgimento – frutti ore 15.30 Discussione generale ore 16.30 Chiusura L’iscrizione, indispensabile, è da effettuarsi entro il 9 dicembre telefonando o scrivendo una mail al segretariato della Comunità Sacro Cuore (091 820 08 80 – bellinzona@cappuccini.ch). Il costo del seminario ammonta a fr. 40 (pranzo incluso, bibite escluse); solo partecipazione al seminario fr. 15. I pagamenti sono da effettuare in loco.


Incontro col Papa

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È ancora forte l’eco di questi giorni trascorsi nella inconfondibile, dal sapore immutabile, terra d’Umbria di S. Francesco e S. Chiara. Tutti abbiamo vissuto questo evento con intensità e partecipazione. Desideriamo qui, con poche e semplici parole, manifestare lo stato d’animo pieno di gioia e gratitudine per i giorni vissuti nei diversi posti visitati. Ciò ha lasciato nel nostro cuore una grande pace e una consapevolezza: sentiamo di essere titolari di una responsabilità nuova, di essere soggetti di un nuovo impegno portato avanti con rinnovato ardore: abbiamo in mano una perla preziosa che non può essere nascosta, ma va mostrata in tutto il suo valore. Nuovo atteggiamento, nuova mentalità, nuova consapevolezza davanti a tutta la Chiesa. Un carisma che ha molto da dire agli uomini e donne di oggi! Sentiamo anche di dover esercitare una nuova responsabilità affinché l’OFS viva sempre più e meglio nel solco dell’insegnamento di San Francesco, affinché tutte le diverse realtà formino una grande famiglia. Un po’ di cronistoria, dopo il dovuto prologo entrante. 30 settembre: arrivo a La Verna. S. Messa nella chiesetta della Vergine degli Angeli, sotto la grande Basilica, visita alla Cappella delle Stigmate. 1 ottobre: visita alla Basilica di S. Francesco, immensa ricchezza artistica ma soprattutto “sepolcro” del corpo di S. Francesco. Pomeriggio salita all’Eremo delle Carceri: silenzio, asprezzabellezza del bosco, povertà assoluta. S. Messa nel bosco: suggestivo contorno del creato, tanto caro a S.Francesco. 2 ottobre: questo giorno è iniziato presto con la partecipazione alle Lodi mattutine e S. Messa in S. Damiano, con i frati e novizi. Qui c’è S. Chiara e le sue Sorelle, povere Dame oranti e penitenti. Qui c’è la “chiamata” del Crocifisso a Francesco, la sua conversione alla vita di uomo di chiesa nel mondo. Poi la partenza per la visita agli eremi nella Valle Reatina (Fontecolombo, Greccio, Poggio Bustone). Meta più ambita Greccio. Qui si deve diventare “bambini evangelici” per capire il mistero di Dio fatto uomo. Gli altri posti visitati nella Valle Reatina si assomigliano per povertà e solitudine. Solo Dio può riempire questi luoghi !

3 ottobre: S. Maria degli Angeli – Porziuncola. Assistiamo ai Primi Vesperi Solenni del “Transito” del serafico Padre Francesco. La Basilica è strapiena di fedeli; risuona per primo il “Cantico delle Creature”, i Salmi del Vespro, la lettura del “Transito”, il Magnificat. È un giorno intriso di luce e ombre: ci raggiunge il rumore della piazza; ombre dentro di te e nel mistero della funzione religiosa per il ricordo bicentenario dello spegnersi di una vita che cosi ha vissuto. 4 ottobre: Festa di S. Francesco. Giornata di attesa di Papa Francesco ad Assisi. L’emozione è al massimo. È vedere questo Papa! La nostra attesa è ripagata dalla logistica dell’Oasi Sacro Cuore, ove alloggiamo, che si trova sulla strada ascendente per Assisi e S. Damiano. Il passaggio del Papa. Ed eccolo Papa Francesco tra una folla esaltante che lo saluta. “Benvenuto Papa Francesco fra noi!”. Sei a casa tua qui ove tutto parla dei tuoi “progetti” per una “Chiesa chiamata a ritornare all’essenziale”. Nel pomeriggio ritorno in Ticino. Un grande grazie agli organizzatori, specialmente a fra Ugo Orelli e fra Boris Muther per la loro splendida assistenza spirituale e storica. A tutti i partecipanti che hanno creato, nello scorrere dei giorni, una convivenza fraterna e calorosa. Palma Pedrazzi


Giustizia sociale: una sfida sempre aperta

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Una delle questioni che, in questi tempi, dovrebbe occupare maggiormente le coscienze e gli intelletti umani è quello della giustizia sociale, così come lo intende il Catechismo della Chiesa cattolica, ovvero la realizzazione “delle condizioni che permettono alle associazioni e agli individui di ottenere ciò a cui hanno diritto” (n. 1943). Se è vero che i doni e le grazie, anche nel progetto divino, sono stati distribuiti in modo diseguale (“affinché voi foste costretti a usare carità l’uno con l’altro”, scrive Santa Caterina da Siena nel suo “Il dialogo della Divina Provvidenza”), è altrettanto vero – ammoniva già nel 1965 la Gaudium et Spes – che “le disuguaglianze economiche e sociali eccessive tra membri e tra popoli dell’unica famiglia umana, suscitano scandalo e sono contrarie alla giustizia sociale, all’equità, alla dignità della persona umana, nonché alla pace sociale e internazionale”. Due eventi accaduti quasi contemporaneamente nelle ultime settimane, seppure in luoghi assai lontani del nostro pianeta, illustrano a mio avviso in modo esemplare l’ampiezza delle divaricazioni che si sono prodotte nella famiglia umana. Il 13 novembre 2013 a New York, nelle ovattate stanze della casa d’aste Christie’s, il trittico “Three Studies of Lucian Freud” dell’irlandese Francis Bacon (1909-1992) è stato venduto per la cifra record di 142,4 milioni di dollari, il prezzo più alto mai pagato per un dipinto. Negli stessi giorni nel Bangladesh (ottavo Stato al mondo per popolazione) la polizia sparava contro i lavoratori tessili che scioperavano per ottenere un aumento di salario rispetto agli attuali 38 dollari al

mese, per un lavoro oltretutto svolto in deprecabilissime condizioni di sicurezza (il 24 aprile una fabbrica di tessili è crollata provocando 1’129 morti). Ora, per quanto mirabile sia l’opera artistica di Bacon, il fatto che il valore di un dipinto corrisponda al lavoro annuo di 312’800 operai bengalesi (pari all’intera popolazione del Canton Ticino) non può lasciare indifferenti. Anche a latitudini a noi più famigliari troviamo esempi altrettanto significativi di assurdità nella diseguaglianza. Nell’ottobre scorso abbiamo assistito alle migliaia di persone accalcate forsennatamente dinnanzi a un noto negozio di Grancia per accaparrarsi prodotti elettronici a prezzi miserabili e, quasi negli stessi giorni, alle centinaia di disperati morti davanti alle coste di Lampedusa, irrealizzata premessa di un futuro migliore. Insomma, ancora oggi pare nulla sia mutato rispetto ai tempi (era l’anno 1967) in cui Paolo VI scrisse queste gravi parole, “i popoli della fame interpellano […] in maniera drammatica i popoli dell’opulenza” (Populorum progressio, n. 3). E v’è legittimamente da chiedersi come l’Occidente, atterrito dalla crisi (economica, culturale, sociale) e dilaniato da profonde diseguaglianze sociali, possa raccogliere le forze per uno slancio di solidarietà verso le aree più povere del nostro pianeta. Eppure, mai come nella nostra epoca, la giustizia sociale potrebbe essere diffusa più ampiamente ed efficacemente. In effetti i “popoli dell’opulenza”, o gran parte di essi, sono retti oramai da decenni da consolidate democrazie, e la democrazia – storicamente – appare lo strumento più valido per assicurare anche ai più miseri il soddisfacimento dei bisogni primari. In questo senso, al riequilibrio delle diseguaglianze interne (da raggiungere, preferibilmente, attraverso l’accordo tra le parti sociali), occorre inderogabilmente associare un più coraggioso e altruistico sforzo per ristabilire tra le diverse regioni del mondo “almeno una relativa uguaglianza di possibilità” (Populorum progressio, n. 61). Questo risultato potrà essere ottenuto solo attraverso una perseverante e paziente opera di sensibilizzazione – innanzitutto da parte di noi cristiani – delle coscienze dei nostri concittadini e delle nostre concittadine. Solo suscitando nei nostri cuori l’anelito a una giustizia sociale globale sarà possibile assistere a votazioni popolari conformi a questo spirito (in materia di cooperazione internazionale, di sostegno allo sviluppo estero, di accoglienza, ecc.) e sarà quindi possibile addivenire a un mondo realmente migliore, in cui ciascuna persona e ciascun popolo possano davvero ottenere ciò a cui hanno diritto. Maurizio Agustoni

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Cristiani nel mondo SACRIFICIO QUARESIMALE Due aspetti hanno contraddistinto il 2012: la messa in atto della nuova stra­tegia “Rafforzarsi reciprocamente” e la Campagna ecumenica “Più uguaglianza significa meno fame”. Grazie a nuovi con­tratti con la Direzione dello Sviluppo e della Cooperazione in futuro Sacrificio Quaresimale potrà disporre di un credito superiore da parte della DSC, che equi­vale circa al 25% del budget totale. È stato maggiormente foca­lizzato il compito centrale “Superamento della povertà e impegno per la giustizia globale” e inoltre è stato lanciato il progetto “Nuova Impostazione dell’impegno nel Settore interno” che prevede di ridurre i mezzi messi a disposizione, per compiti da affidare nel limite del possibile, alla Conferenza centrale cat­tolica romana della Svizzera (CCCR). Dal punto di vista della raccolta fondi si è registrata un’evoluzione positiva. Il to­tale delle entrate da offerte e contributi è stato di fr. 20’979’223, superiore all’anno precedente (+811’791). Partico­larmente rallegrante lo sviluppo delle offerte di privati, dei contributi di enti pubblici e dei lasciti. Prosegue inoltre lo spostamento dall’offerta generica verso un’offerta per uno scopo specifico: un segnale questo che indica che i sostenitori voglio­no destinare le loro offerte in modo mi­rato, legandole a un progetto o ad un te­ma preciso. Il resoconto annuale può essere scaricato dal sito www.sacrificioquaresimale.ch oppure richiesto al Segretariato della Svizzera italiana, Casella Postale 6350, 6501 Lugano. LIBERTÀ RELIGIOSA OSTACOLATA. Sempre più persone nel mondo sono ostacolate nell’esercizio della propria religione. Gli autori del Rapporto ecumenico sulla libertà di religione dei cristia­ni (presentato a Berlino dalla Chiesa evangelica in Germania e dalla Conferenza dei vescovi cattolici) hanno indagato sulla situazione in molti Paesi e consultato studi effettuati in partico­lare dall’Istituto di ricerca americano Pew Research Centre. Risultato: in 64 paesi, mi­sure governative o manifestazioni di ostilità pongono limiti considerevoli alla libertà di religione. In 157 paesi, la libertà di religione è limitata o addirittura vietata dalla legge. Il rapporto indica che i più colpiti sono i cristiani e i musulmani, il che si spiega con il fatto che essi costituiscono una proporzione importante della popolazione mondiale: una persona su due nel mondo dichiara di appartenere al cristianesimo o all’islam. I cristiani sono confrontati a limitazioni in 130 paesi,

i musulmani in 117, gli ebrei in 75, gli indù in 27 e i buddisti in 16. È in Medio Oriente, dove l’Iran svolge un ruolo notevole, che le comunità di fede so­no più colpite, ma anche in Nord Africa e nei paesi asiatici a regime autoritario come la Cina o la Birmania. Nei Paesi dell’Africa subsahariana viene constatato un aumento delle violazioni dei diritti umani, fra le quali le restrizioni alla pratica religio­sa. Nel cercare di distinguere i motivi della persecuzione di comunità di fede, gli autori giungono alla conclusione che, nell’insieme, le restrizioni non colpiscono in modo speci­fico una comunità di fede; così i cristiani, i quali costituiscono l’oggetto di studio principale del rapporto, sono perseguitati nei paesi in cui le libertà e i diritti umani sono generalmente poco rispettati, e spesso diver­se comunità religiose sono colpite allo stes­so modo. Il rischio di persecuzione è particolarmente grande laddove le comunità religiose rappresentano una minoranza: circa il 10% dei 2.2 miliardi di cristiani del mondo vivono in paesi in cui il cristianesimo non è la religione della mag­gioranza. PER LA LIBERTÀ RELIGIOSA 750 esperti, avvocati, studiosi ed altri sostenitori della libertà religiosa han­no partecipato al terzo Congresso pana­fricano sulla libertà religiosa, dal tema: “La tolleranza religiosa e la convivenza pacifica per uno sviluppo sostenibile dell’Africa”, svoltosi dal 7 al 10 agosto nella capitale Yaounde. Circa 5’000 per­sone erano presenti, il sabato, alla festa organizzata per l’occasione che include­va una manifestazione nelle strade della città per far conoscere il congresso e il suo obiettivo. I due precedenti congressi africani sulla libertà religiosa si erano svolti in Kenya e Ghana ed il prossimo Congresso pana­fricano sulla libertà religiosa si terrà nel 2018. CANTATE AL SIGNORE 35 teologi provenienti da 20 paesi si sono riuniti per acquistare una nuova comprensione dei Salmi, adattata al 21.mo secolo. “Cantare i canti del Signore: interpretazioni contemporanee dei Salmi da una prospettiva luterana” è stato il tema della sessione tenuta a Eisenach, in Germania, dal 21 al 27 marzo, organizzata congiuntamente dalla Fed­erazione Luterana Mondiale (FLM), dal Dipartimento di Teologia e di Testimoni­anza pubblica (DTPW) e dall’Università di Jena. I teologi partecipanti inseg­nano in varie Università e appartengono alla Chiesa luterana ed altre Chiese. La conferenza è la seconda di una serie che esplora


Messaggio ???

21 LITURGIE IN LINGUA MAYA I discendenti dei Maya del Chiapas (Messico), appartenenti alla diocesi di San Cristobal de Las Casas, fondata nel 1539 (!), non avranno più bisogno di traduttore per partecipare alla celebrazione della messa e dei sacramenti. Il papa Francesco ha infatti autorizzato l’utilizzo nei testi liturgici nelle lingue tzotzil e tzeltal, parlate da circa 650’000 indigeni. L’uso almeno in parte delle lingue indigene nella liturgia era già stata promosso, cinquant’anni fa, dal famoso vescovo Samuel Ruiz Garcia, ma solo ora è stata approvata una traduzione completa. La diocesi conta circa 2 milioni di abitanti, dei quali poco meno di due terzi si dichiarano indigeni, appartenenti a cinque etnie diverse.

i modi odierni di leggere la Bibbia nella comunione luterana ed è in preparaz­ione al 500.mo anniversario della Riforma del 2017. Nel 2011 la conferenza inaugurale sull’ermeneutica si era concentrata sulle letture del Vangelo di Giovanni da un punto di vista luterano. I partecipanti hanno anche compiuto una visita al castello di Wartburg dove Lutero tradusse il Nuovo Testamento, durante il suo esilio a Eisenach nel 1521. CRISTIANI CONTRO LE ARMI NUCLEARI Mentre al confine tra le due Coree si registravano preoccupanti movimenti di truppe militari, la Campagna in­ternazionale per l’abolizione delle armi nucleari ha organizzato a Oslo (Norvegia) un incontro sulle

conseguenze delle armi nucleari e sul loro disastroso impatto sulla sa­lute e sull’ambiente. Vi hanno par­ tecipato oltre 500 rappresentanti della società civile e delle comunità di fede, insieme a 132 esponenti go­ vernativi. Il segretario del Consiglio ecumenico delle Chiese, pastore Olav Tveit, ha richiamato con forza la responsabilità dei governi perché esaminino l’impatto delle armi nu­cleari sulla salute umana, sulla bio­sfera e i mezzi di sussistenza. Per un bando delle armi nucleari si sono pronunciati il presidente del Comitato internazionale della Croce Rossa, Peter Maurer, e il ve­scovo giapponese Laurence Yutaka Minabe, nato da genitori sopravvis­suti alla bomba di Hiroshima. Alberto Lepori


Uniamoci in un pellegrinaggio di giustizia e di pace La X Assemblea del Consiglio ecumenico delle Chiese a Busan Con il motto “Dio della vita, guidaci alla giustizia e alla pace”, si è tenuta dal 30 ottobre all’8 novembre a Busan, metropoli della Corea del Sud, la X Assemblea del Consiglio ecumenico delle Chiese (CEC).

Circa 3.000 persone, tra delegati, osservatori, ospiti e giornalisti, hanno partecipato o assistito ai lavori – che si tengono ogni 7-8 anni - di quello che è il maggiore organismo ecumenico mondiale. Fondato nel 1948 ad Amsterdam, il CEC, che ha la sua sede a Ginevra, raggruppa 345 Chiese presenti in 110 paesi del mondo e rappresenta circa 500 milioni di cristiani. Il CEC comprende la maggior parte delle Chiese ortodosse, numerose Chiese protestanti storiche (anglicane, battiste, luterane, metodiste, riformate) e diverse Chiese indipendenti: una “comunione di Chiese” riunite per promuovere il dialogo e la riconciliazione fra le diverse tradizioni cristiane. A Busan, oltre alle questioni interne al CEC e a quelle teologiche, sono state adottate diverse risoluzioni relative alla situazione mondiale nelle sue espressioni più drammatiche, come i conflitti e le guerre (in particolare nel Medio Oriente), la povertà, i migranti, le persecuzioni dei cristiani, i fanatismi, la politicizzazione della religione e i diritti umani. Nel messaggio finale dell’Assemblea, intitolato “Uniamoci per i prossimi anni in un pellegrinaggio di giustizia e di pace”, le Chiese che hanno partecipato all’Assemblea di Busan affermano di volersi impegnare

insieme nelle sfide che le attendono e invitano tutti gli uomini di buona volontà a trasformare in azioni i doni ricevuti da Dio. “Che le Chiese – questa è la conclusione – siano comunità di guarigione e di misericordia e che possano seminare la Buona Novella affinché la giustizia cresca e l’intensa pace di Dio possa diffondersi nel mondo”. Nuovo slancio Nella conferenza stampa tenuta alla fine dei lavori, il segretario generale del CEC, il pastore luterano norvegese Olav Fykse Tveit, ha affermato che l’Assemblea ha dato un considerevole slancio al movimento ecumenico e, tenendosi a Busan, ha permesso alle Chiese di esprimere la loro solidarietà con il popolo coreano, del Nord come del Sud, rafforzando gli sforzi del CEC in vista della pace e della riunificazione della penisola. Tveit ha ricordato che, secondo il mandato del CEC presentato all’Assemblea, “la solidarietà cristiana fa sì che non dobbiamo accontentarci di sostenerci gli uni gli altri, ma che tendiamo anche la mano a tutti coloro che hanno bisogno del nostro appoggio e ci esprimiamo ad alta voce di fronte ai poteri per ricercare la pace e la giustizia”. L’Assemblea di Busan ha pure proceduto al rinnovo delle cariche. Alla presidenza del CEC è stata eletta all’unanimità per la prima volta una donna e un’africana: si tratta di Agnes Abuom, di Nairobi, una laica appartenente alla Chiesa anglicana del Kenya. E tra i 150 membri del Comitato centrale figura anche uno svizzero: il pastore Martin Hirzel, responsabile dell’ecumenismo nella Federazione delle Chiese evangeliche. A Busan, a destare preoccupazione è stata la situazione finanziaria del CEC, definita “critica”: le entrate sono diminuite del 31% dal 2006 e i fondi sono scesi nel 2013 al minimo storico. Tra il 2006 e il 2013, gli introiti sono diminuiti – come si legge nel rapporto finanziario presentato all’Assemblea – da 44,6 a 30,9 milioni di franchi. Si pensi che nel 1999 la cifra era ancora di 61 milioni! La situazione si spiega con un calo dei contributi versati dalle Chiese membro: 25 Chiese pagano la quota minima di 1000 franchi all’anno, mentre 74 versano un importo inferiore e al fenomeno si aggiungono gli effetti di cambio. Per correre ai ripari, l’Assemblea ha proposto un nuovo programma di pagamento delle quote, volto da una parte a sollecitare le Chiese che non pagano, dall’altra a chiedere maggiori contributi alle altre. Parallelamente sarà applicato un programma di risparmio.


Messaggio ecumenico Chiesa cattolica e CEC Come è noto, la Chiesa cattolica romana non fa parte del CEC, ma vi collabora attivamente e in vari modi tramite diversi organismi, in particolare la Commissione “Fede e Costituzione” (con 12 teologi su 120, che ne sono membri a pieno titolo) e la Commissione “Missione ed evangelizzazione”. Inoltre, esiste dal 1965 un gruppo misto di lavoro tra la Chiesa di Roma e il CEC, che costituisce la principale struttura di coordinamento tra di essi. A Busan, la Chiesa cattolica ha inviato una delegazione ufficiale di 25 osservatori, di cui 7 coreani: rappresentavano la Curia romana, le Conferenze episcopali, istituti di vita consacrata e movimenti laicali. Alla seduta inaugurale ha preso parte anche il cardinale svizzero Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, che ha letto un messaggio di Papa Francesco molto applaudito. Dopo aver raccomandato di prestare attenzione ai bisogni

più urgenti del nostro tempo, il Pontefice ha ribadito “volentieri” l’impegno della Chiesa cattolica a continuare la collaborazione con il CEC, chiedendo “a tutti coloro che seguono Cristo di intensificare la preghiera e la cooperazione a servizio del Vangelo”, di sostenere le famiglie, “cellula fondamentale della società”, e di fare in modo che venga garantito l’esercizio della liberà religiosa. “In fedeltà al Vangelo – ha spiegato il Papa – siamo chiamati a raggiungere tutti coloro che si trovano nelle periferie esistenziali della società ed a portare particolare solidarietà ai fratelli e alle sorelle più vulnerabili: i poveri, i disabili, i nascituri e i malati, i migranti e i rifugiati, gli anziani e i giovani senza lavoro”. Papa Francesco ha anche assicurato la sua preghiera affinché l’Assemblea “contribuisca a dare un impulso vitale e una nuova visione a tutti coloro che sono impegnati nella sacra causa dell’unità dei cristiani”. Gino Driussi

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Dal Canada la preghiera per l’unità dei cristiani 2014 Torna come ogni anno, dal 18 al 25 gennaio, la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, indetta congiuntamente dal Pontificio Consiglio per l’unione dei cristiani e dalla Commissione “Fede e Costituzione” del Consiglio ecumenico delle Chiese. Il tema della Settimana 2014 è “È forse diviso il Cristo?” (1 Cor 1, 1-17). Ogni anno il sussidio che accompagna le celebrazioni di questa iniziativa viene da un gruppo ecumenico di un paese diverso. Per il 2014 il compito è stato affidato a un gruppo interconfessionale del Canada. In un Paese, contrassegnato dalle diversità linguistiche, culturali e anche climatiche, esiste anche una grande varietà di espressioni della fede cristiana. Ebbene, questo vivere nella diversità, ma anche nella fedeltà al desiderio di Gesù che tutti siano uno, ha portato i cristiani canadesi a riflettere sulla domanda che Paolo pone ai Corinzi: “È forse diviso il Cristo?”. E la loro risposta è “nella fede, rispondiamo di no, sebbene le nostre comunità ecclesiali siano ancora scandalosamente divise. La prima epistola ai Corinzi ci mostra anche come valorizzare ed accogliere sin d’ora i doni degli altri, nonostante le nostre divisioni, e questo ci incoraggia a lavorare per l’unità”. Insieme, le comunità ecclesiali canadesi invitano a non dimenticare la storia e la tradizione degli autoctoni. L’attenzione fraterna nei loro confronti non è affatto scontata in un Paese con un passato insanguinato da lotte e massacri e con un presente ancora parzialmente segnato da razzismo e pregiudizi. “Quanti portarono la fede cristiana in Canada – sottolineano i cristiani canadesi – si mostrarono spesso sprezzanti verso i talenti e le intuizioni delle popolazioni indigene e non riuscirono a comprendere quali benedizioni Dio stava dando anche a loro attraverso gli autoctoni”. La liturgia ecumenica proposta dal ricco sussidio pubblicato (anche in italiano) congiuntamente dalla Chiesa cattolica e dal Consiglio ecumenico delle Chiese è tutta percorsa dalla gratitudine per le grandi cose che Dio opera nei cuori afferrati dalla grazia e questo sentimento di riconoscenza si pone in sintonia con la spiritualità degli aborigeni. La Settimana di preghiera mobilita innumerevoli comunità e parrocchie di tutto il mondo: i cristiani provenienti dalle varie confessioni si ritrovano a pregare insieme nel corso di speciali celebrazioni ecumeniche o si invitano reciprocamente alle loro liturgie. Anche in Ticino avranno luogo diversi culti, tra cui anche quello cantonale, organizzato come di consueto dalla Comunità di lavoro delle Chiese cristiane.


Una comunità ed un saluto

I

Intendo offrirvi in questo e nei prossimi numeri del Messaggero alcune riflessioni sulla Prima Lettera di Paolo ai cristiani di Corinto. Inizierò con una breve ambientazione dello scritto e una succinta presentazione della comunità cristiana di Corinto, per soffermarmi poi sulle parole di saluto con le quali Paolo si rivolge a essa, augurandole grazia e pace da parte di Dio Padre e di Gesù, il Cristo, nostro Signore. Questa Prima Lettera di Paolo ai Corinzi è uno scritto che risale a poco più di una ventina d’anni dalla morte di Gesù, ossia al 55-56 dell’era cristiana. Paolo era giunto a Corinto nel corso del suo secondo viaggio missionario, dopo aver attraversato la Siria, la Cilicia, la Frigia, la Misia, la Macedonia. Giunto in Grecia, annunciò il vangelo a Tessalonica, Berea e Atene. Soggiornò a Corinto tra gli anni 50-51, dando origine a una comunità stabile di discepoli, che egli saluta quale «chiesa di Dio che si trova a Corinto». È del tutto evidente che questa comunità raccoglieva un minuscolo gruppo di persone. Si trattava, quindi, di una presenza numericamente del tutto insignificante in una città cosmopolita come Corinto, «capitale della provincia romana dell’Accaia e grande centro commerciale, famosa per il tempio di Afrodite e per la proverbiale corruzione».1 In seguito, proseguendo nel suo viaggio missionario, Paolo giunse ad Efeso. Da qui scrisse la lettera che noi conosciamo oggi come Prima Lettera di Paolo ai Corinzi. In realtà non fu né la prima né l’ultima indirizzata da Paolo a quella comunità, ma figura come tale perché, di tutte le lettere scritte ai cristiani di Corinto a noi sono giunte soltanto due, ossia quelle che appunto figurano oggi nella Bibbia come la Prima, e la Seconda Lettera i Corinzi. Da queste lettere, come dagli altri scritti di Paolo, abbiamo informazioni di prima mano su quello che era il suo Vangelo, la buona notizia di Gesù che egli annunciava nelle sinagoghe ai fratelli Ebrei della diaspora, ma poi soprattutto ai «pagani», ossia a coloro che egli incontrava fuori dalle sinagoghe e che appartenevano a religioni e culture diverse da quella giudaica. Abbiamo anche delle informazioni precise sulla vita delle prime comunità cristiane e sul loro modo di organizzarsi all’interno di una società che nel suo insieme rimaneva essenzialmente non cristiana. In virtù dell’impulso dato da Paolo all’annuncio del vangelo nel mondo, oggi si sente spesso dire che, in realtà, fu Paolo e non Gesù il vero fondatore del Cristianesimo. Alcuni sono anche convinti che Paolo ab-

bia imposto ai cristiani una sua visione e interpretazione di Gesù, diversa da quella originaria. Egli ci avrebbe così allontanato, almeno in parte, dal Gesù storico, imponendoci un Gesù diverso da quello dei Vangeli. Mi sembra tuttavia che si tratti di affermazioni che tengono poco conto fatto che la predicazione e le lettere di Paolo precedono di almeno 30/40 anni gli scritti evangelici di Marco, Matteo, Luca e Giovanni. Sono quest’ultimi, infatti, che attingono le loro informazioni su Gesù e sul suo messaggio dalla predicazione e che avveniva nelle prime comunità, e non viceversa. All’interno di questa predicazione Paolo svolse un ruolo di primaria importanza. È vero che egli fu spesso contestato, incontrò resistenze, ostacoli e opposizioni. Ma è anche vero che la sua predicazione fu riconosciuta autentica dagli stessi capi della chiesa madre di Gerusalemme, nella quale erano attivi Pietro, Giacomo – il fratello del Signore – e, per un certo periodo di tempo almeno, Giovanni e altri diretti discepoli di Gesù.2 I destinatari della lettera sono, come già si è detto, una «minoranza cristiana dispersa in una grande città greca di mare, ricca di commercio, incrocio di popolazioni diverse. Un clima diffuso di immoralità, idee e ideali pagani, un certo lusso… esercitano una loro influenza sopra questa comunità formata di credenti per lo più poveri e di poco peso sociale. Possiedono molti doni spirituali, ma il senso della misteriosa presenza di Dio si rivela scarso in loro. Sono molto divisi. Tollerano situazioni scandalose e in certi casi non sanno come comportarsi: mostrano esagerate tendenze ascetiche, ora disinvoltura ora scrupoli nell’uso delle carni già sacrificate agli idoli. Sopravalutano o sottovalutano i doni dello Spirito. Paolo rimprovera loro anche di celebrare la cena del Signore senza vero amore fraterno, nutrendo sentimenti legati a false concezioni della libertà».3 In quanto apostolo del Signore, Paolo interviene in modo determinato e a volte anche molto energico; ma sempre con l’intento di «aiutarli ad applicare l’insegnamento cristiano ai diversi problemi concreti di vita». Critica «severamente l’esistenza di gruppi tanto eterogenei tra loro e riafferma il ruolo unico e fondamentale di Gesù, il Cristo, e quello diverso e secondario dei predicatori del vangelo, suo compreso. Ciò che maggiormente denuncia è la sopravalutazione della sapienza religiosa in genere, a scapito della sapienza della croce di Cristo».4 La croce di Cristo è per Paolo l’espressione tangibile dell’amore leale di Dio. Essa costituisce il principio ispiratore di tutta la fede e della vita cristiana. Qui sta il perno attorno al quale si struttura tutto l’in-


Dieci minuti per te segnamento di Paolo. I consigli pratici che egli impartisce alla comunità su richiesta della medesima o di suoi gruppi particolari, possono anche non essere condivisi totalmente; ma la testimonianza di Gesù che ha reso presente nella storia l’amore leale di Dio, quell’amore che non viene mai meno, deve essere e rimanere il punto fermo attorno al quale ruota tutto il sentire, il pensare e il vivere cristiani, sia individuale che collettivo. «Si capisce che Paolo si preoccupa di mettere ordine tra questi credenti da lui condotti alla fede e di favorirne la maturità».5 Il saluto La lettera inizia con le consuete parole di saluto, rivolte alla chiesa di Dio che è a Corinto. Al suo saluto personale, Paolo unisce quello di Sòstene, che era capo della sinagoga di Corinto, ma che, per avere aderito all’annuncio di Paolo, fu destituito da quell’incarico. Al momento della liberazione di Paolo da parte del governatore romano della provincia dell’Accaia Gallione, poi, fu barbaramente aggredito e picchiato davanti al tribunale da un gruppo di facinorosi giudei (At 18,11-17). 1 Cor 1,1-3: Paolo, che Dio ha chiamato a essere apostolo di Gesù, il Cristo, e il fratello Sòstene, scrivono alla chiesa di Dio che si trova a Corinto. Salutiamo voi che, uniti a Gesù, il Cristo, siete diventati il popolo di Dio insieme con tutti quelli che, ovunque si trovino, invocano il nome di Gesù, il Cristo, nostro Signore. Dio, nostro Padre, e Gesù, il Cristo, nostro Signore, diano a voi grazia e pace. Ciò che immediatamente colpisce in questo saluto è il fatto che la grazia e la pace sono augurate nel nome di Dio, nostro Padre, e di Gesù, il Cristo, nostro Signore. A noi, assuefatti alla formula che si usa abitualmente all’inizio della Messa, – ossia: «La grazia del Signore nostro Gesù Cristo, l’amore di Dio Padre e la comunione dello Spirito Santo sia con tutti voi» – balza subito agli occhi il fatto che, nel saluto di Paolo, non si accenna per niente allo Spirito Santo. La cosa stupisce ancora di più quando si prende atto che questo avviene in tutte le altre lettere di Paolo, ma anche di altri apostoli e annunciatori del vangelo.6 Lo Spirito Santo certamente c’è; anzi, viene continuamente menzionato in tutti questi scritti. E tuttavia, la sua la sua presenza e la sua azione si colgono non guardando a Dio, ma all’uomo e alla storia: sono i frutti che l’agire di Dio e di Gesù suscitano nell’individuo

e nella comunità – la pace e la grazia – a testimoniare l’esistenza dello Spirito e la sua azione in noi, nell’universo e nella storia. La domanda non è: Chi è Dio e come Dio vive se stesso? La domanda è piuttosto: Chi è questa forza misteriosa che agisce in noi, crea cose sempre nuove e perfeziona quelle esistenti? È a partire da questa esperienza che si perviene all’incontro con lo Spirito e alla fede in lui. Nell’esperienza cristiana, poi, quest’incontro con lo Spirito che dà la vita è messo in stretta relazione con Gesù, il Crocifisso. Di conseguenza, il cristiano è colui che cammina nella storia tenendo fisso lo sguardo su Gesù «apostolo e sommo sacerdote» o, come altri traducono, «autore e perfezionatore della fede alla quale abbiamo aderito» (Eb 3,1; 12,2). È contemplando Gesù, il Crocifisso, che incontriamo la Gloria di Dio, il suo amore leale, e impariamo a sentire, pensare e agire da figli di Dio nella storia, mossi dalla sapienza che viene dall’alto. La contemplazione del Crocifisso, infatti, ci ripropone sempre di nuovo il comandamento più grande: «Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi» (Gv 15,12). È da questa pienezza che, contemplata e accolta, che noi tutti riceviamo «grazia su grazia. Perché la Legge fu data per mezzo di Mosé. La grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù, il Cristo. Dio nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato» (Gv 1,16-18). Tutto questo potrebbe essere letto in contrapposizione con quella che è la visione trinitaria di Dio – il dogma della Santissima Trinità – che, nel tradizione cristiana esprime anzitutto la modalità con cui Dio vive se stesso, quale Padre, Figlio e Spirito Santo. In realtà non è così, ma lo vedremo meglio proseguendo nella lettura di Paolo. Andrea Schnöller

1. La Bibbia, Cei.Uelci. 2. cf At 9,26-28; 13,1-3; 15,1-35; Gal 1,18; 2,1-10 3. La Bibbia interconfessionale, Ldc-Abu. 4. La Bibbia interconfessionale, Ldc-Abu. 5. La Bibbia interconfessionale, Ldc-Abu. 6. Cf Rm 1,7; 2 Cor 1,2; Gal 1,4; Ef 1,2; Fil 1,2; Col 1,2 «Dio nostro Padre dia a voi grazia e pace»; 1 Tes 1,1; 2 Ts 1,2; 1 Tm 1,2; 2 Tm 1,2; Tt 1,4; Fm 1,3; 1 Pt 1,4; 2 Pt 1,2; 2 Gv 1,3; Gd 1,1-2;

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Il canto d’amore mistico Titolo Titolo per Francesco di Alda Merini

A

Alda Merini, la grande poetessa milanese scomparsa nel 2009 e la cui vita è stata drammaticamente segnata dalla follia e da numerosi lunghissimi ricoveri in strutture manicomiali, ci ha lasciato quale testimonianza della sua grande fede numerose opere di ispirazione religiosa (ricordiamo fra le altre Corpo d’Amore, Magnificat, Poema della Croce e Cantico dei Vangeli). Fra queste opere spicca “Francesco, canto di una creatura”, un canto di amore mistico in cui poesia e professione di fede si intrecciano in versi di altissima suggestione e grande forza espressiva, che Alda Merini ha voluto dedicare a questo “folle di Dio”, a questo ”affamato di Dio” che lascia tutto per porsi alla sequela di Cristo. ”Io, Francesco di Dio, mentecatto di Dio, io servitore di Dio, …io elemosiniere di Dio”. Possiamo leggere queste poesie di Alda Merini come una nuova moderna straordinaria “legenda”, dopo la Maior di Bonaventura da Bagnoregio, la Legenda perusina e le Vite di Tommaso da Celano, come una nuova rivisitazione prospettica da cui traspare tutto l’amore e tutta l’ammirazione della poetessa per il Santo di Assisi. La Merini ci introduce infatti coi suoi versi, pagina dopo pagina, nella vita dell’Assisiate, a cominciare dalla sua proverbiale “laetitia”: “Ma Dio mi ha messo in mano una cetra e ho cominciato a cantare le meraviglie dell’universo …Dio mi ha reso Apostolo di sogni”. E in un altro passo: “Io sono ormai il liuto di Dio e canterò le sue canzoni d’amore”. Ed è l’incontro col lebbroso che cambia drammaticamente la vita di Francesco: “Io mi sono chinato sopra di te, ho lavato le tue piaghe, e ho scoperto la musica, la musica del dolore… Non ho mai creduto che tu, nascosto nell’immondizia, potessi darmi fremiti d’amore”. È la grazia divina che irrompe impetuosa nel “deserto di semplicità”, come una

folgorazione sulla via di Damasco: ”Così come Paolo di Tarso, sono stato disarcionato, sono stato buttato per terra, e miracolosamente mi sono rialzato nudo”, così che sulle labbra del Santo questa folgorazione si esprime con versi che bene raccontano il suo totale abbandono a Dio. “Sono diventato vertice della carità perché Dio un giorno immeritatamente si è chinato su di me e mi ha baciato le mani”. E quando Francesco abbandona le sue ricche vesti e si spoglia davanti al padre Bernardone, trova una nuova sposa, la Povertà, il cui “manto di sacco, pur pieno di rattoppi, era una veste angelica”. Egli diventa povero per essere signore della grande poesia che è l’universo. E il saio rozzo di cui si veste, i sandali che indossa sono il viatico e il mezzo per arrivare a Cristo, per diventare “contadino di fede”. “A me hai dato la felicità del silenzio, a me hai dato i sandali per poter salire fino al Golgota”. E il saio che indossa è diventato un pavimento di rose. “Non ho mai sentito l’asperità di questo tessuto, ma odorava di fresco, odorava di mattino, odorava di resurrezione”. Così egli “povera chiosa di Dio che sta al margine dei suoi grandi abbandoni”, libero dalle ricchezze e dall’orgoglio mondano. “Così mi sono sbarazzato di tutti i drappi, di tutte le feste, dei banchetti, delle urla, delle ciance, delle violenze. Io mi sono


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trovato solo davanti a un nido di uccelli, poveri, soli, intirizziti dal freddo, erano gli angeli del mio povero eloquio”, toccato dalla grazia di Dio diviene capace di gustare “le meraviglie di Dio”, gli uccelli del cielo. “Non avevo altro modo di volare fino a Dio se non attraverso gli uccelli”, e Fratello Sole e Sorella Luna, e l’acqua umile e casta e gli animali e i fiori in cui “ogni petalo è un comandamento di Dio”. Ed egli proprio come un fiore può sbocciare e divenire specchio del Creatore. “Io, Signore, ero un blocco di bestemmie e di dissipazione, poi la tua luce mi ha scoperto e sono esploso in tutta la mia bellezza”. Così il Santo, con accanto la dolce, decisa e rassicurante figura di Chiara “noi siamo due torce d’amore per Dio”, può incamminarsi verso la sua personale e perfetta “imitazione di Cristo”. “Io sono diventato il ponte buttato fra la tua nascita e la tua risurrezione. Camminate sopra di me, calpestate Francesco per arrivare fino al Calvario”. Imitazione che avrà il suo culmine nel “crudo sasso intra Tevere ed Arno” della Verna col dono delle stimmate, che lo renderanno un “alter Christus”. “Un giorno, Signore, tu mi hai dato di più: mi hai dato il dolore dei tuoi chiodi, hai sconfitto e trafitto le mie carni, mi hai fatto morire con te sulla Croce”. Così che Francesco, che aveva anche tenute salde le “fondamenta di Dio”

di una Chiesa barcollante (ricordiamo il sogno-incubo del Papa Innocenzo III con la Basilica del Laterano vacillante e puntellata solo dalle fragili spalle di Francesco), ormai gravemente malato e quasi cieco “Dio, come sono diventato cieco dopo tanti sguardi d’amore: non vedo più nulla, oppure vedo troppo, oppure sono così accecato dal sole che non posso non stendere un tappeto per questa valanga rutilante di fede”, si avvia all’incontro supremo col suo Signore. “Non mi resta, Signore, che il grazioso profumo della morte. Dico morte, dico grazioso perché finalmente ti rivedrò vivo, nella tua resurrezione Gesù”. Si avanza ormai la “morte angelica sorella dai mille volti”. E come nella tradizione giudaica si immagina che Mosè entrasse nella morte quando Dio con un bacio sulle labbra gli suggeva l’anima, Alda Merini immagina qualcosa di simile anche per il Santo di Assisi: la morte, infatti, “prende questo figlio diletto” di Dio e “lo depone sulle labbra del Creatore”. Si chiude così il canto di amore mistico che la poetessa ha voluto intonare per Francesco, “primo artigiano di Dio” nel costruire il presepe di Greccio e che ha irradiato il mondo col suo amore, la sua felicità e la sapiente follia della croce. “Sono un uomo felice perché ho visto da vicino il volto del mio Signore …Sono il tuo sospiro d’amore”. E un grande estimatore e ammiratore nonché amico personale della poetessa milanese, il Cardinale Gianfranco Ravasi, ha scritto: “La fede è sorella della poesia, perché entrambe tendono all’Altro e all’Oltre. Alda Merini è certa di questa verità e il suo libro, che è poesia e professione di fede, ne è una vigorosa e cosciente testimonianza”. Mario Corti

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Convento dei Cappuccini Salita dei Frati 4 CH - 6900 Lugano

Abbiamo letto... abbiamo visto... Da Montini a Martini

Il Vaticano II a Milano. Le figure, Morcelliana, Brescia 2012, pp.648

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Affrontare il Vaticano II e la sua ricezione in ambito milanese, con riferimenti che si allargano al Nord Italia, è coerente alla stessa visione di Chiesa maturata al Concilio. Dopo la fitta letteratura postconciliare, partita dalla ricostruzione del contesto generale in cui ha potuto nascere e svilupparsi l’assise ecumenica, sono seguiti gli studi sui diari e sulle corrispondenze dei vari partecipanti: vescovi, periti, uditori. Ora si apre una nuova stagione di ricerca e approfondimento che contestualizza l’evento nella vita e nella specificità delle diverse Chiese locali, in cui hanno potuto orientarsi le figure operanti al Concilio e successivamente esercitare gli influssi sulla vita di preghiera, sull’azione pastorale, sulle capacità di abitare il contesto sociale e culturale. Il presente volume esplora l’azione dei diversi protagonisti chiamati ad attuare il Concilio: in primo luogo la figura del vescovo, figu­ra messa in primo piano dal Concilio; quella dei diversi ministe­ri e dei religiosi, senza dimenticare il ruolo dei laici. Attraverso l’azione diversificata di queste figure si svela in modo sintetico quel volto della Chiesa popolo di Dio che costituisce la novità del magistero conciliare, e anche una delle sfide più forti nel cammi­no della sua ricezione. Daniela Saresella

Dal Concilio alla contestazione, Riviste cattoliche negli anni del cambiamento (1958-1968) Morcelliana, Brescia, 2005, pp.489 “Gli anni Sessanta saranno ricordati dagli storici come gli anni cui il sistema secolare della civiltà occidentale è entrato in crisi, una crisi esplosa al suo interno a partire da una percezione generale della sua disumanità”. Queste le parole di Ernesto Balducci, uno dei prota­gonisti di quell’acceso dibattito che caratterizzò gli anni qui indaga­ti, quelli che porteranno nel mondo cattolico le grandi trasformazio­ni degli anni Settanta. I perio­dici rappresentarono un momento di vera comunicazione e furono luogo di approfondimento di temi e problemi che animarono i con­trasti del mondo intellettuale del secondo dopoguerra italiano. La ricerca qui condotta, attraverso archivi e fonti inedite, si sofferma su tre periodi: quello preconciliare (19581962) in cui la Chie­sa, ancora legata agli schemi del papato pacelliano, manifesta alcuni fermenti che troveranno il loro sviluppo negli anni successivi; quelli del Concilio (1962-1965), con il dibattito sul ruolo della Chiesa e del “popolo di Dio”; quelli postconciliari (1965-1968), con la ricezione dei documenti del Vaticano II e la nascita di nuove esperienze di fede.


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