Messaggero 2013-21 Gen-Mar

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Trimestrale di formazione e spiritualitĂ francescana

Buon cammino Papa Francesco

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Gennaio n° Marzo 2013


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Gennaio n° Marzo 2013

La fede celebrata con la liturgia

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Dossier Concilio Vaticano II

Senza terra manca il pane

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MESSAGGERO

Campagna di Sacrificio Quaresimale

Domande a don Sandro Vitalini

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Cristiani nel mondo

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Rivista fondata nel 1911 ed edita dai Frati Cappuccini della Svizzera Italiana - Lugano ISSN 2235-3291

Comitato Editoriale fra Callisto Caldelari (dir. responsabile) fra Edy Rossi-Pedruzzi fra Michele Ravetta Maurizio Agustoni Gino Driussi Alberto Lepori

Alberto Lepori

Messaggio dal Santuario

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Messaggio dai Conventi

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Messaggio ecumenico

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Hanno collaborato a questo numero don Carlo Cattaneo Mario Corti fra Agostino Del-Pietro Federica Mauri fra Roberto Pasotti fra Andrea Schnöller don Sandro Vitalini

Gino Driussi

La pace interiore

Redazione e Amministrazione

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Convento dei Cappuccini Salita dei Frati 4 CH - 6900 Lugano Tel +41 (91) 922.60.32

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Internet www.messaggero.ch E-Mail segreteria@messaggero.ch

fra Andrea Schnöller

Francesco d’Assisi e le origini del rinascimento in Italia

Abbonamenti 2013

Mario Corti

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Editoriale

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Siamo giunti alla festa più solenne dell’anno, la risurrezione di Nostro Signore Gesù Cristo. Anche se molti cristiani, affascinati dalle luci, dalle melodie, dai presepi, ritengono che la festa più importante sia il Natale, dobbiamo persuaderci che la nostra fede si basa sulla risurrezione del Signore che avvenne il giorno dopo la Pasqua ebraica, così che i primi cristiani mantennero quel nome pieno di significato. Pasqua vuol dire passaggio e, se per gli ebrei ricordava il passaggio dalla schiavitù alla libertà e per Gesù ha significato il passaggio dalla morte alla vita, per noi dovrebbe significare il passaggio dal peccato alla grazia o da un cristianesimo troppo stanco a un cristianesimo vivo, perché – come scrive San Paolo – “Se uno è in Cristo è una creatura nuova, le cose di prima sono passate, ne sono nate di nuove”. Riscoprire il valore della Pasqua, vuol dire riscoprire il nostro cristianesimo che ci rende uomini vivi, che sanno testimoniare il Signore. Perciò, Gesù, essendo risorto, è vivo in mezzo a noi, come lui stesso promise: “Quando due o più di voi si riuniscono nel mio nome, io sono in mezzo a loro”.

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Per molti invece la Pasqua si riduce al passaggio in macchina per le prime ferie lunghe dell’anno, altri si accontentano dei simboli pasquali senza nemmeno conoscerne il significato e l’origine. Proviamo a vederne alcuni. Il coniglio per esempio: per Pasqua il leprotto (più che il domestico coniglio) esce dal letargo e dalla tana del suo invernale sepolcro, ecco perché è assunto al simbolo pasquale; la colomba, sia quella che uscì dall’arca di Noè per annunciare che la natura riprendeva vita, sia lo Spirito Santo. Ma il simbolo più importante, che liturgicamente accompagna la veglia pasquale, è il cero, segno di Cristo luce viva. Vale la pena rileggere alcuni passaggi dell’inno medioevale, chiamato preconio pasquale, entro il quale vi è tutto il significato dell’avvenimento che celebriamo e una lode al cero che quella notte accendiamo:

“Esulti il coro degli angeli, esulti l’assemblea celeste: un inno di gloria saluti il trionfo del Signore risorto. Gioisca la terra inondata da così grande splendore, la luce del Re eterno ha vinto le tenebre del mondo. Ti preghiamo, Signore, che questo cero offerto in onore del tuo nome, per illuminare l`oscurità di questa notte, risplenda di luce che mai si spegne. Salga a te come profumo soave, si confonda con le stelle del cielo. Lo trovi acceso la stella del mattino, quella stella che non conosce tramonto. Cristo, tuo Figlio, risuscitato dai morti, fa risplendere sugli uomini la sua luce serena”.

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Questa luce illumini tutti noi, ma in modo tutto speciale il nuovo vescovo di Roma Francesco. A lui, come il santo d’Assisi, promettiamo obbedienza e riverenza ma soprattutto quella preghiera e quella benedizione che ci ha chiesto per lui quale primo atto del suo pontificato, prima ancora che lui benedicesse noi. Richiesta che già ci dice come non consideri i laici cattolici come pecore da pascolare, ma come forza orante su cui appoggiarsi per camminare insieme nel diffondere e difendere il Regno di Dio.

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La fede celebrata con la liturgia

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CRONACA DEL VATICANO II La seduta di apertura del Concilio, 1’11 ottobre 1962 inizia con l’entrata dei Padri conciliari processionalmente con il Papa in San Pietro. Il rito d’inau­gurazione comprende alcuni passaggi significativi: il canto del Veni Creator Spiritus, la celebrazio­ne dell’Eucaristia, l’intronizzazione del libro dei Vangeli sul cosiddetto «altare del Concilio», la professione di fede e il canto del Vangelo. L’inaugurazione diviene soprattutto l’ora di Giovanni XXIII, grazie in particolare al suo discorso d’apertura, esempio della sua profonda fiducia nella guida dello Spirito Santo per tutto l’imprevedibile percorso del Concilio. Con questo discorso il Papa non soltanto inaugura il Concilio ma esprime, argomenta e indica chiaramente quali sono le sue attese e quali i compiti affidati al Concilio stesso. Dal punto di vista dello svolgimento temporale, quat­ tro sono stati i periodi dei lavori conciliari: nel primo periodo (11 ottobre - 8 dicembre 1962), dopo la formazione delle commissioni conciliari, vengono discussi gli schemi predisposti: liturgia, mezzi di comunicazione, Chiese orien­tali, Chiesa e Rivelazione (su quest’ultima si realizza un pri­mo scontro, risolto dal Papa che ritira lo schema e incarica una commissione di elaborarne un altro). Nulla viene rite­nuto maturo per il dibattito e la pubblicazione, si rinvia il tutto per una nuova formulazione. Mancando ancora un preciso ordine delle discussioni, alcuni vescovi (il card. L.J. Suenens, arcivescovo di Bruxelles e il card. G.B. Montini, arcivescovo di Milano) propongono che il Concilio si con­centri sul tema della Chiesa, lavorando intorno a due poli: la vita interna della Chiesa (ad intra) e la vita della Chiesa nei suoi rapporti con l’esterno (ad extra). In tal modo si comprende che il Concilio non avrebbe po­tuto concludersi con questa fase (come taluni avevano ipo­tizzato) e dunque si annuncia per il settembre 1963 la ripresa dei lavori. Ma il 3 giugno muore Giovanni XXIII e il Concilio, secondo quanto stabilisce il diritto canonico, viene sospe­so. Il 21 giugno, dopo appena sei votazioni, viene eletto l’ar­civescovo di Milano Giovanni B. Montini (1898-1978) che as­sume il nome di Paolo VI. Il giorno seguente il nuovo papa annuncia, mediante un messaggio radiofonico, che il Conci­ lio continuerà e riprenderà i suoi lavori il 29 settembre. Giovanni XXIII aveva dato all’assemblea conciliare l’ispirazione, non un programma di lavoro. Così il secondo periodo (29 settembre - 4 dicembre 1963) inizia

con un discorso programmatico del nuovo papa, con quattro punti fondamentali: una più chiara coscienza della Chiesa circa sé stessa, il suo rinnovamento, la reintegrazione dell’unità fra i cristiani e il dialogo con gli uomini contemporanei. In­tanto vengono nominati quattro «moderatori», un organi­smo di saldatura tra il Papa e l’assemblea (sono i cardinali G. Agagianian, L.J. Suenens, J. Dopfner, G. Lercaro). In que­sto periodo lo schema sulla Chiesa, già radicalmente rielaborato, viene discusso e accettato come base per lo svilup­ po. Seguono le discussioni sul ministero episco­pale, sull’ecumenismo (con passi sugli ebrei e sulla libertà religiosa: vivaci dibattiti porteranno a trattare questi temi in testi ampiamente riveduti). Finalmente verso la fine del periodo, vengono promulgati, nella seduta conclusiva del 4 dicembre, la costituzione sulla liturgia (Sacrosanctum con­cilium) e il decreto sui mezzi della comunicazione sociale (Inter mirifica). Il terzo periodo (14 settembre - 21 novembre 1964) porta alla promulgazione della costituzione sulla Chiesa (Lumen Gentium) e dei decreti sulle Chiese orientali (Orientalium Ecclesiarum) e sull’Ecumenismo (Unitatis Redintegratio), tutti nella seduta conclusiva del 21 novembre. Questa fase cono­sce anche il momento della grande crisi, il cosiddetto «gio­vedì nero» del 19 novembre, quando il testo sull’ecumeni­smo (da votare il giorno dopo) non viene distribuito e la votazione per il decreto sulla libertà religiosa viene improvvi­samente rinviata. Paolo VI interviene essenzialmente al fi­ne di scongiurare che la minoranza venga sconfessata dalla maggioranza e di rendere così possibile che alle votazioni finali vi sia una maggioranza la più ampia possibile. Infine, nel quarto e ultimo periodo (14 settembre - 8 dicembre 1965), in tre solenni sessioni sono promulgati gli al­tri testi: nella prima, il 28 ottobre, sono approvati i decreti sul ministero pastorale dei vescovi (Christus Dominus), sul­la formazione sacerdotale (Optatam Totius), sul rinnova­mento della vita religiosa (Perfectae Caritatis), le dichiarazioni sull’educazione cristiana (Gravissimum Educationis) e sul rapporto della Chiesa con le religioni non cristiane (Nostra Aetate). Nella seconda sessione del 28 novembre vengono approvate l’importante costituzione sulla divina rivelazione (Dei verbum) e il decreto sull’a­postolato dei laici (Apostolicam Actuositatem). Nella terza e ultima sessione del 7 dicembre è la volta della costituzione sulla Chiesa nel mondo contemporaneo (Gaudium ­et Spes, la più dibattuta costituzione del Concilio), i decreti sul mini-


stero e la vita dei presbiteri (Presbyterorum Ordinis), sull’attività missionaria della Chiesa (Ad Gentes) e infine la dichiarazione sulla libertà religiosa (Dignitatis Humanae). L’8 dicembre, in una mattinata fredda ma con un sole splendente, Paolo VI, sul sagrato della basilica di San Pietro, dopo aver consegnato sette messaggi (destinati ai governanti, agli uomini di pensiero e di scienza, agli artisti, alle donne, ai lavoratori, ai poveri, ai malati e ai giovani) chiude solennemente il Concilio Vaticano II. Nel discorso di chiusura della IV sessione (7 dicembre 1965) il Papa aveva offerto una sintesi del lavoro compiuto, sottolineando il valore religioso del Concilio. Alla fine il corpus testuale del Concilio Vaticano II risul­ta composto da 16 documenti: quattro costituzioni (testi teo­logicamente più importanti, contenuti dogmatici, pastorali, disciplinari), nove decreti (affrontano e configurano in ma­niera nuova un ambito della vita della Chiesa) e tre dichia­razioni (testi su questioni che non riguardano soltanto la Chiesa, ma anche il rapporto della stessa con l’esterno).

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PAPA RONCALLI E IL CONCILIO Siamo ormai arrivati al cinquantesimo anniversario dell’apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II (11 ottobre 1962), voluto da Papa Giovanni XXIII fin dagli inizi del suo pontificato. Il cardinale Angelo Giuseppe Roncalli (1881-1963) infatti, Patriarca di Venezia, era divenuto Papa il 28 ottobre 1958 e già il 25 gennaio 1959, nella Basilica di San Paolo fuori le mura, aveva annunciato la sua intenzione «certo tremando un poco di commozione, ma insieme con umile risolutezza di proposito». Da quell’annuncio, che sorprese non poco il mondo intero e gran parte degli uomini di Chiesa - nonostante si fossero abbozzati progetti conciliari già durante i pontificati di Pio XI e Pio XII - erano trascorsi oltre tre anni di dibattiti e consultazioni, di lavori delle commissioni preparatorie, sulla base di una idea di Concilio non tanto da prese di posizione dottrinali, quanto da nuovi orientamenti pastorali. La parola chiave usata da Papa Giovanni fu quella di “aggiornamento”, ripresa tale e quale anche dalla stampa internazionale, per esprimere il bisogno di un rinnovamento diffuso sul piano pastorale, culturale, liturgico, di conoscenza dei testi biblici, di rapporto tra Chiesa e mondo, ecc. Dopo il primo annuncio del gennaio 1959 vi era stata, nel Natale 1961, la bolla di indizione (Humanae Salu-

tis) e poi il radiomessaggio dell’11 settembre (Ecclesia Christi lumen gentium), con cui Papa Giovanni indicava il significato del Concilio nella promozione di un nuovo incontro con Cristo di tutti uomini, attraverso la riconsiderazione della Chiesa ab intra, «nella sua vita struttura interiore», e nella sua «vitalità ad extra (…) di fronte alle esigenze e bisogni dei popoli», specie dei paesi sottosviluppati, per i quali intendeva presentarsi come «la Chiesa di tutti, e particolarmente la Chiesa dei poveri». Si invitava ogni uomo e, ancor più, ogni cristiano a «considerare il superfluo con la misura delle necessità altrui», ponendosi a servizio l’uno dell’altro, con l’impegno di costruire la pace. Tale indirizzo pastorale veniva ribadito nell’annuncio, “pieno di gioia”, del discorso inaugurale del Concilio dell’11 ottobre 1962 (Gaudet Mater Ecclesia) davanti ad oltre duemila vescovi di tutte le lingue e culture, con i loro consulenti (fra cui il giovane Joseph Ratzinger, al seguito del card. Joseph Frings di Colonia). In quel discorso Papa Giovanni indicava la via d’un magistero «a carattere prevalentemente pastorale», capace di «venire incontro ai bisogni di oggi, mostrando più ampiamente la validità della dottrina, piuttosto che rinnovando condanne», in dissenso con i «profeti di sventura», che oggi «non vedono altro che prevaricazione e rovina», incapaci come sono di leggere i «segni dei tempi». Quest’ultima espressione, colta dal Vangelo di Matteo (16, 3-4), è intesa da Roncalli con valore positivo come indicazione della presenza e dell’azione di Dio nella storia. Tali “segni” sarebbero poi stati esemplificati, nella enciclica Pacem in terris dell’11 aprile 1963, nell’ascesa socio-economica, culturale e politica dei lavoratori, nell’ingresso, sempre più consapevole e deciso della donna nella vita pubblica e nel riscatto storico dei popoli detti «in via di sviluppo». Sempre in questa enciclica, al n. 84, Papa Giovanni invitava a distinguere tra «false dottrine filosofiche sulla natura, l’origine e il destino dell’universo e dell’uomo e movimenti storici a finalità economiche, sociali, culturali e politiche, anche se questi movimenti sono stati originati da quelle dottrine e da esse hanno tratto e traggono tuttora ispirazione». Nel discorso inaugurale del Concilio, già con la partecipazione di “osservatori” appartenenti alle Chiese ortodosse e protestanti e la presenza di un gran numero di cronisti (ben presto oltre 1500), il Papa aveva invitato i fedeli a dedicarsi, «intrepidamente» ad «opportuni aggiornamenti» della vita della Chiesa, «per un balzo in avanti verso una penetrazione dottrinale e una formazione delle coscienze, in corrispondenza

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più perfetta di fedeltà all’autentica dottrina studiata ed esposta secondo le forme del pensiero moderno». Ritornava anche il motivo della pace per superare «asprezza di umani rapporti e persistenti pericoli di guerre sanguinose», ammonendo ad apprendere dalla propria esperienza che «la potenza delle armi, il predominio politico non giovano affatto per una felice soluzione dei problemi». Sembrava di sentire l’eco della parola d’un teologo proprio allora «riabilitato» come perito conciliare, Karl Rahner, il quale, piuttosto che al rischio di deviazioni dottrinali, era sensibile al «pericolo che la Parola di Dio passasse in proposizioni di eterna monotonia da un libro di dogmatica all’altro, senza incontrare vitalmente l’uomo concreto, penetrare nel suo spirito, nel suo cuore, tramutarsi in sangue delle sue vene».

Per una messa più viva

In più parti, da lungo tempo, ci si accontentava di una religiosità popolare, che si nutriva di pratiche e di usanze religiose tradizionali, non vivificate dal contatto con la liturgia e la parola di Dio, non inserite in un contesto di istruzione religiosa approfondita. Alla stessa liturgia i laici assistevano passivamente, oggetto non soggetto dei riti santi, spettatori non attori: il celebrante man mano si distanziò dalla comunità, seguendo l’altare spostato sempre più verso lo sfondo dell’abside: il popolo non parlò più e non poteva seguire le letture fatte da un lettore che gli voltava le spalle; il cuore della messa, il canone, fu letto dal celebrante sotto voce mentre, individualisticamente, ciascuno diceva qualche preghiera per conto proprio senza guardare gli altri. In chiesa si pregava un po’ come si mangia alla trattoria, dove uno è a un tavolo, uno ad un altro; uno è alla minestra, l’altro alla frutta. Ben altra cosa mangiare in famiglia, tutti insieme, i genitori coi loro figlioli, i figlioli sotto lo sguardo della loro mamma. La liturgia rinnovata porta al senso della famiglia, al pregare comunitario.

«La crisi della messa è, probabilmente, il simbolo più espressivo della crisi che si sta vivendo attualmente nel cristianesimo. È sempre più evidente che l’adempimento fedele del rito dell’Eucaristia, così come è rimasto per secoli, non sia sufficiente per alimentare il contatto vitale con Cristo di cui oggi necessita la Chiesa. L’allontanamento silenzioso di tanti cristiani che abbandonano la messa domenicale, l’assenza generalizzata dei giovani, incapaci di capire e di gustare la celebrazione, le lamentele e le richieste di coloro che continuano ad essere presenti con fedeltà esemplare, stanno dimostrando a tutti che la Chiesa ha bisogno, nel centro stesso delle sue comunità, di una esperienza sacramentale più viva e più sentita, Tuttavia, nessuno sembra sentirsi responsabile di ciò che sta succedendo. Siamo vittime dell’inerzia, della vigliaccheria o della pigrizia. Un giorno, forse non molto lontano, una Chiesa più fragile e povera, ma con maggiore capacità di rinnovamento, intraprenderà la trasformazione del rito dell’Eucaristia e la gerarchia si assumerà la responsabilità apostolica di prendere decisioni su questioni che oggi non osiamo neppure sollevare. Nel frattempo non possiamo rimanere passivi. Affinché un giorno si produca un rinnovamento liturgico della Cena del Signore, è necessario creare un nuovo clima all’interno delle comunità cristiane. Dobbiamo sentire in modo molto più vivo la necessità di ricordare Gesù e fare della sua memoria l’inizio di una nuova e profonda trasformazione della nostra esperienza religiosa. L’Ultima Cena è il gesto privilegiato nel quale Gesù, in prossimità della sua morte, riepiloga ciò che è stata la sua vita e quello che sarà la sua crocifissione. In questa Cena concentra e rivela in modo eccezionale il contenuto salvifico di tutta la sua esistenza: il suo amore verso il Padre e la sua pietà verso gli esseri umani, portati fino all’estremo. Per questo motivo è così importante una celebrazione viva dell’Eucaristia, nella quale rendiamo viva la presenza di Gesù attraverso di noi. Riprodurre quello che Lui visse alla fine della sua vita, piena e profondamente fedele al progetto del Padre, è l’esperienza privilegiata di cui abbiamo bisogno per alimentare la nostra volontà di seguire Gesù e il nostro lavoro che ha come fine quello di aprire nuovi cammini verso il suo Regno. Dobbiamo ascoltare con maggiore profondità il comandamento di Gesù: «Fate questo in memoria di me». In mezzo alle difficoltà, agli ostacoli e alle resistenze occorre lottare contro l’oblio. Abbiamo bisogno di fare memoria di Gesù con più verità e autenticità. Occorre ravvivare e rinnovare la celebrazione dell’Eucaristia».

Papa Giovanni Paolo I (Albino Luciani)

José Antonio Pagoda, teologo e biblista spagnolo

Testo di EMILIO BUTTURINI, professore ordinario di Storia della pedagogia all’Università di Venezia, pubblicato in “Rivista Lassaliana” 79 (2012), Roma, 4, 447-459.

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CONTINUARE IL CONCILIO In famiglia dopo il concilio


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LA COSTITUZIONE SULLA LITURGIA Far crescere la vita dei cristiani

Perché il Concilio ha cominciato dalla liturgia? Dietro la scelta di trattare il tema liturgico stava in primo luogo l’urgenza pratica, segnalata da molti vescovi: il 20% delle proposte inviate alla Commissione preparatoria riguardava la liturgia, auspicando una semplificazione ed un adattamento dei riti (soprattutto relativamente alla lingua e al canto), in vista di una maggiore partecipazione dei fedeli. In secondo luogo, si trattava di una materia che poteva contare su uno schema maturo, che recepiva il meglio della riflessione del movimento liturgico. Più in profondità, era viva la coscienza dell’importanza strategica di una riforma della liturgia per una riforma della Chiesa che partisse dalla centralità del mistero di Cristo e dal primato di Dio. Si scelse fin dall’inizio di non soffermarsi solo sui principi, ma di scendere sulle determinazioni pratiche: dopo le discussioni sui maggiori punti controversi (la lingua, il canto e la musica), si giunse alla votazione del documento finale, approvato dalla quasi totalità dei vescovi (solo quattro i voti sfavorevoli) e promulgato solennemente il 4 dicembre 1963. Proemio (1) Il sacro Concilio, proponendosi di far crescere ogni giorno più la vita cristiana tra i fedeli, di meglio adat� tare alle esigenze del nostro tempo quelle istituzioni che sono soggette a mutamenti, di favorire ciò che può contribuire all’unione di tutti i credenti in Cristo e di rinvigorire ciò che giova a chiamare tutti nel seno della chiesa, ritiene suo dovere interessarsi in modo speciale anche della riforma e dell’incremento della liturgia. Il testo si apre con un capitolo fondamentale sulla natura della liturgia e sui principi generali della riforma liturgica; i seguenti sei capitoli non fanno che applicare tali principi ai singoli sacramenti, all’ufficio divino e all’anno liturgico, alla musica sacra e alle altre arti coinvolte nel rito. Chi non ha mai letto la Costituzione sulla Liturgia e ha in mente la riforma liturgica si aspetterebbe dalla lettura del documento una forte sottolineatura della dimensione storica e comunitaria della liturgia, alla ricerca di una celebrazione più accessibile, più vicina alla vita, più umana. Tutto questo non è assente, ma dall’attenta lettura dei primi paragrafi del testo emer-

ge la forte insistenza portata sulla dimensione verticale della liturgia. Al numero 2, essa è definita come “atto” nel quale si realizza la nostra redenzione e si manifesta il mistero di Cristo e la genuina natura della Chiesa, la quale è insieme umana e divina, impegnata nel mondo e ardente nella contemplazione, di modo che quanto in essa è umano sia ordinato al divino, il visibile all’invisibile, l’azione alla contemplazione, la realtà presente alla città futura. In questo deciso orientamento escatologico, verso l’alto e verso l’oltre, l’urgenza pratica di riavvicinare la liturgia al popolo di Dio e il popolo alla liturgia è radicata sulla consapevolezza logica del primato della presenza di Cristo e della sua azione nella celebrazione della Chiesa. La liturgia è infatti il Mistero pasquale di Cristo che si dona a noi e che ci coinvolge nel suo atto di culto al Padre: mistero verticale di santificazione e glorificazione, essa ha per protagonista Cristo nella sua Chiesa, senza false contrapposizioni tra una liturgia che mette al centro Dio e liturgia che mette al centro l’uomo. Il modo concreto con cui si realizza questo mistero di coinvolgimento e di orientazione è quello del rito, che ricorre alla varietà dei segni sensibili, chiamati a manifestare e realizzare l’incontro con Dio. Per questo motivo, benché non esaurisca l’azione della Chiesa, la liturgia costituisce il culmine e la fonte del suo agire: essa non è tutto, ma il centro, perché mette al centro il Signore Gesù, la sua parola e la sua carità, oltre ogni contrapposizione tra sacramento, parola e carità vissuta. La liturgia è il culmine e la fonte della vita della chiesa (10) Nondimeno la liturgia è il culmine verso cui tende l’������������������������������������������������������ azione della chiesa e, insieme, la fonte da cui proma� na tutta la sua virtù. Infatti le fatiche apostoliche sono ordinate a che tutti, diventati figli di Dio mediante la fede e il battesimo, si uniscano in assemblea, lodino Dio nella chiesa, partecipino il sacrificio e mangino la cena del Signore. A sua volta, la liturgia spinge i fedeli, nutriti dei sacramenti, a vivere «in perfetta unione», domanda che «esprimano nella vita quanto hanno ri� cevuto con la fede». La rinnovazione poi dell’alleanza del Signore con gli uomini nell’eucarestia conduce e accende i fedeli nella pressante carità di Cristo. Dalla liturgia dunque, particolarmente dall’eucarestia, de� riva in noi, come da sorgente, la grazia, e si ottiene con la massima efficacia, quella santificazione degli uomini e glorificazione di Dio in Cristo, verso la qua� le convergono, come a loro fine, tutte le altre attività della chiesa.

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Nel delineare i principi della riforma, la Costituzione fissa l’obiettivo da raggiungere: la partecipazione attiva, consapevole, personale, pia al mistero celebrato. Quanto al metodo per raggiungere l’obiettivo, non si tratta anzitutto di “riformare” la liturgia, modificandone la forma, ma di “formare” alla liturgia, attraverso un’opera di educazione alla sua forma singolare. Prima della riforma, l’attenzione è dunque portata sulla formazione e la Costituzione mostra di sapere benissimo che non basta cambiare la forma della liturgia per renderla più accessibile; occorre un serio lavoro di formazione ai significati e più radicalmente di “iniziazione” agli stessi atti liturgici, per una partecipazione al mistero attraverso la celebrazione. Promuovere formazione e partecipazione attiva (14) La madre chiesa desidera ardentemente che tutti i fe� deli vengano guidati a quella piena e attiva partecipa� zione delle celebrazioni liturgiche, che è richiesta dalla natura stessa della liturgia e alla quale il popolo cri� stiano «stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa, popolo di acquisto» (1Pt. 2, 9; cf. 2, 4-5), ha diritto e dovere in forza del battesimo. A tale piena e attiva partecipazione di tutto il popo� lo va dedicata una specialissima cura nella riforma e nell’incremento della liturgia: essa infatti è la prima

e per di più necessaria sorgente dalla quale i fedeli possano attingere uno spirito veramente cristiano; e perciò i pastori d’anime, in tutta la loro attività pasto� rale, devono cercarla assiduamente attraverso un’ade� guata formazione. Ma poiché non si può sperare la realizzazione di ciò, se gli stessi pastori d’anime non sono penetrati per primi dello spirito e della forza della liturgia, e non ne diventano maestri, è perciò assoluta� mente necessario dare il primo posto alla formazione liturgica del clero. Formazione liturgica (19) I pastori d’anime curino con zelo e pazienza la forma� zione liturgica, come pure la partecipazione attiva dei fedeli, interna ed esterna, secondo la loro età, condi� zione, genere di vita e grado di cultura religiosa (...) e guidino il loro gregge in questo campo, non solo con la parola, ma anche con l’esempio. (da IL FUTURO DEL CONCILIO. I documenti del Vaticano II: un tesoro da riscoprire, a cura di Luca Rolandi, Effata Editrice, Torino, 2012)

SACROSANCTUM CONCILIUM Schema della costituzione sulla liturgia Proemio Capitolo I - I principi generali per la riforma e l’incremento della sacra liturgia 1. Natura della sacra liturgia e sua importanza nella vita della Chiesa 2. Necessità di promuovere la formazione liturgica e la partecipazione attiva 3. Riforma della sacra liturgia a) Norme generali b) Norme derivanti dalla natura gerarchica e comunitaria della liturgia c) Norme derivanti dalla natura didattica e pastorale della liturgia d) Norme per un adattamento all’indole e alle tradizioni dei vari popoli 4. Incremento della vita liturgica nella diocesi e nella parrocchia 5. Incremento dell’azione pastorale liturgica Capitolo II - Il mistero eucaristico Capitolo III - Gli altri sacramenti e sacramentali Capitolo IV - L’ufficio divino Capitolo V - L’anno liturgico Capitolo VI - La musica sacra Capitolo VII - L’arte sacra e la sacra suppellettile Appendice - Dichiarazione del Concilio ecumenico Vaticano II circa la riforma del calendario


Senza terra manca il pane

Vedere per poi agire “Senza terra manca il pane” è il titolo della Campagna ecumenica 2013 di Sacrificio Quaresimale e Pane per tutti, in collaborazione con Essere solidali. Vuole rendere attenti tutti sul fatto che la pratica dell’accaparramento delle terre tende a esacerbare la fame nel mondo e a promuovere l’agricoltura industriale, con conseguenze a livello sociale e ambientale terribili. A vedere dunque, grazie ad una lente d’ingrandimento (un simbolo questo che comparirà regolarmente anche nelle campagne future), le ingiustizie che si nascondono dietro a questo fenomeno e ad agire. Il nostro agire, come organizzazioni di cooperazione allo sviluppo, consiste nell’aiutare le famiglie contadine a garantirsi l’accesso alla terra, all’acqua, alle tecnologie e alle sementi. Lo facciamo attraverso i nostri progetti nei paesi del Sud in cui operiamo. Agiamo anche impegnandoci a cambiare le

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«Guai a voi che aggiungete casa a casa e unite campo a campo, finché non vi sia più spazio» esclama Isaia. E Michea si lamenta: «�������������������������������� Sono avidi di campi e li usurpano». Queste affermazioni dei profeti biblici ci vengono in mente quando vediamo che, da qualche tempo, investitori stranieri acquistano in gran quantità grosse superfici coltivabili nei paesi poveri del Sud del mondo. Per descrivere questo fenomeno è stata coniata un’espressione: l’accaparramento delle terre, in inglese land grabbing. A ben guardare non si tratta di qualcosa di nuovo: basti pensare al noto racconto della vigna di Naboth, di cui Achab (re del nord Israele nel nono secolo a.C.) si appropria assassinando un innocente. L’accaparramento delle terre moderno, però, non costituisce per forza una manifesta violazione della legge. Non è neanche sempre associato all’uso della violenza fisica, contrariamente a quanto avvenne all’epoca delle conquiste coloniali. È generalmente effettuato in modo legale, sulla base di contratti, spesso con il benestare dei governi locali, che non sempre dispongono di un reale margine di manovra nei negoziati o che pensano vada a beneficio di tutti. Investitori privati, governi stranieri e imprese internazionali si appropriano così di milioni di ettari di terra fertile nei paesi del Sud, il tutto per produrre cibo o materie prime per la produzione di agrocarburanti da esportare. Il problema che ne deriva resta però lo stesso: le famiglie di agricoltori locali perdono le loro terre e, di conseguenza anche i mezzi per garantirsi la loro sussistenza e l’approvvigionamento di cibo della loro regione.

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strutture ingiuste, poiché la politica commerciale ed economica Svizzera non può ostacolare gli sforzi per ridurre la povertà nel mondo. Ma ognuno di noi può agire: ad esempio sostenendo i nostri progetti, oppure adottando uno stile di vita più sostenibile. Il calendario della Quaresima e il sito internet offrono diversi spunti e proposte, che dimostrano come un altro modello di sviluppo sia possibile. Federica Mauri Cinquanta volte la Svizzera L’organizzazione non governativa GRAIN, monito� ra l’accaparramento delle terre da tempo. A livel� lo mondiale ha già identificato 416 casi di land grabbing, di cui 228 nella sola Africa. Secondo i calcoli della Coalizione Internazionale Terra (ILC) fra il 2000 e il 2010 sono stati negoziati o conclusi contratti su terreni per un totale di 203 milioni di ettari, ovvero più di cinquanta volte la superficie totale della Svizzera. Terra che verrà a mancare alle popolazioni locali che non potranno più coltivare per la propria sussistenza.


Domande a don Sandro Vitalini

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Quale rapporto esiste tra fede e liturgia? La fede è l’appoggio di tutta la nostra vita sulla Parola di Dio, fatta carne nel Signore Gesù. Questo appoggio fondamentale è possibile anche a chi non crede esplicitamente in Dio. L’uomo che riconosce di doversi assoggettare alla giustizia, alla verità, all’amore del prossimo, si appoggia su Dio anche se non lo sa. “Dio non fa preferenza di persone, ma accoglie chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque nazione appartenga (Atti 10, 34-35). Ogni uomo è chiamato a scegliere tra l’adesione alla luce che lo sollecita al bene e il suo rifiuto. Colui che aderisce esplicitamente all’annuncio gioioso del Cristo si riconosce un “chiamato” e fa parte della “Chiesa”, la sua adesione alla Chiesa si esprime nei sacramenti del Battesimo, della Cresima e dell’Eucarestia. Noi entriamo nel dinamismo di una vita che non ha nulla di magico, ma tende, con le azioni liturgiche, ad assimilarci al Cristo, ad incorporarci sempre più nella vita trinitaria. La Liturgia celebrata esprime la fede vissuta. Ogni sacramento è in funzione della crescita nell’oblatività trinitaria. Il Battesimo e la Cresima ci deputano a vivere per i fratelli e le sorelle; l’Eucaristia ci rende conformi a Cristo che si dona per tutti; la Riconciliazione rinnova il nostro rapporto di dedizione agli altri incrinato dal peccato; il Matrimonio ci destina al servizio di una persona, del coniuge, e poi dei figli, realizzando meglio l’immagine trinitaria nell’uomo; l’Ordine deputa i ministri al servizio della Chiesa e anche l’Unzione affina il malato ad essere come il Cristo vincitore del male nel servizio del prossimo. La vita umana è un “essere per”, è un dono totale agli altri. Qui sta la sintesi e il culmine di tutta la rivelazione (Romani 13,9). Il rapporto tra fede esplicita e liturgia è dunque strettissimo e ci permette di intravvedere lo splendore della Liturgia celeste dove la perfetta fraternità nello Spirito del Risorto toccherà il suo apice, in un istante eterno di amore e di gioia.

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Perché dopo il Vaticano II è cambiata la Liturgia della Messa? Rispondo con una domanda: perché si restaura una casa? La risposta è ovvia. Nei secoli le modifiche alla Liturgia furono molte, più o meno riuscite, e i riti furono in passato moltissimi. Il Vaticano II ha cercato di rifarsi alla semplicità dei gesti di Gesù, rendendo presente l’ultima cena: “Fate questo in memoria di me” (1 Corinti 11,25); il pane spezzato e il vino versato rendono già vivo il dono totale di Gesù sul Calvario.

Questo unico sacrificio è reso presente dagli apostoli nella Chiesa primitiva; attorniati dalla loro piccola comunità, ogni giorno, celebravano la “frazione del pane” e prendevano anche assieme il pasto (Atti 2, 46). I poveri, le vedove, gli orfani avevano il pane quotidiano assicurato e insieme con gli apostoli rendevano grazie al Padre comunicando al Pane della Vita, Gesù risorto. Per secoli la celebrazione eucaristica ha seguito uno schema semplice! Si faceva memoria di qualche aspetto della vita di Gesù e poi l’apostolo (o il suo successore) evocava l’Ultima Cena offrendo il Pane della Vita e il Sangue dell’Alleanza a tutti gli astanti. Non esistevano ancora messali e lezionari. Questi sono stati introdotti quando le comunità sono diventate più numerose e i successori degli apostoli coi presbiteri, loro collaboratori, hanno sentito il bisogno di seguire una linea comune nella celebrazione della Santa Cena. Il Vaticano II non ha inventato nulla, ma ha cercato di ricuperare i tesori della tradizione più antica. E’ importante capire che la Cena del Signore, memoriale della sua Pasqua, non è un ricordo del passato, ma l’attualizzazione dell’unico sacrificio di Colui che effonde il suo sangue per trasfonderlo in tutti. L’Eucaristia non è una cerimonia, un rito, uno spettacolo al quale assistere, ma il banchetto sacrificale al quale partecipiamo la domenica o anche quotidianamente, per attingere la forza di “spezzarci” nella vita concreta per il nostro prossimo. Il canto, la processione, le preci, la stretta di mano, i doni preparati insieme, devono rendere la


nostra Messa più viva, più attuale, più personalizzata, più coinvolgente. Dovremmo poter uscire di Chiesa con un cuore più ardente, generoso, combattivo.

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Quali sono i principali cambiamenti, oltre che l’uso della lingua viva e il celebrante rivolto al popolo, introdotti nella nuova liturgia? Si noti come la lingua viva era un’esigenza da secoli. La celebrazione in una lingua incomprensibile ha portato a una totale passività e perfino a considerare la Messa come un rito magico. La formula “Hocuspocus” viene citata in tedesco come segreto arcano (contrazione delle parole della consacrazione). Nel medioevo l’incomprensione della celebrazione aveva portato all’associazione di più o meno sacre rappresentazioni e all’abbandono della Comunione eucaristica, parte integrante della celebrazione. La tradizione plurisecolare dell’altare rivolto al popolo (cf. Basiliche romane) era stata sciaguratamente abbandonata quando il popolo non capiva più ciò che il presidente diceva, mentre la Mensa, cacciata in fondo all’abside, era divenuta tomba, reliquiario, sormontata da strutture architettoniche sempre più complesse. La mensa lontana accolse il tabernacolo e il tempietto per l’ostensione dell’Eucaristia. Dalla Comunione si passava all’adorazione del Sacramento con una spettacolarità crescente. Ma il Vaticano II ha avuto la precisa volontà di ricuperare il tesoro della Sacra Scrittura, prima praticamente ri-

dotta a pochi brani che si ripetevano sempre. Oggi è offerto ai fedeli, nel ciclo feriale e in quello festivo, l’essenziale del messaggio biblico. E’ logico che questo porta il celebrante a meditarlo e a commentarlo agli astanti. Una breve omelia quotidiana s’impone. Così il Concilio ha previsto la partecipazione attiva di tutti nei dialoghi, nei canti, nei gesti; essa si esprime nella comunione dell’assemblea, come nei primi secoli, e si prolunga nei gesti di diaconia e anche in semplici incontri conviviali. Si è resa possibile la celebrazione di Messe per gruppi, di Messe domestiche (mai alla domenica) e si è dato rilievo al calendario liturgico che ruota attorno alla Pasqua e ai Misteri della vita del Signore, che vanno attuati in noi. Il rischio che anche la celebrazione rinnovata cada in una fastidiosa routine esiste: niente canti, niente omelia, niente preci, niente dialogo. E’ certo che il celebrante è oggi più impegnato che un tempo. L’Eucarestia è una realtà dinamica, sempre nuova, irripetibile. Si ricupera anche il senso del perdono che sgorga dall’Eucarestia. Le colpe quotidiane delle quali siamo pentiti ci vengono perdonate e sempre possiamo accedere alla Comunione. In talune occasioni anche i fedeli comunicano al calice. Il segreto del rinnovamento sta nella vitalità che vi iniettiamo: nessuna routine, nessuna ripetizione, ma viva celebrazione di un mistero che ci coinvolge per l’eternità.

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I

I vescovi svizzeri chiedono una liturgia rinnovata, semplificata, che parli la lingua della gente e con la partecipazione attiva di tutti. Quali sono le prospettive per la liturgia nelle nostre parrocchie? La Liturgia è viva, non può essere inamidata in un ritualismo meccanico. Spesso il Messale prevede interventi “liberi” del celebrante. Così l’invito a chieder perdono per il proprio peccato dovrebbe variare a seconda delle situazioni. Purtroppo la forma stereotipa domina! Così le orazioni possono essere adattate alle varie circostanze. Le letture cicliche possono far spazio ad altre in particolari situazioni. Anche le preci dei fedeli andrebbero preparate di volta in volta. I doni offertoriali dovrebbero assumere una connotazione speciale (offriamo giocattoli per l’orfanotrofio, ad es.). Dato che la Messa rende presente il Cristo, è auspicabile che Lui sia circondato da chi più è simile a Lui: malati cronici, disabili, anziani, bambini. Tutti avranno notato che la Messa che più commuove è quella della Prima Eucaristia, preparata dai neo-comunicandi. Ma ogni celebrazione dovrebbe assumere un certo colore se animata ad esempio dagli scout, dall’Azione Cattolica, dai barellieri di Lourdes, dal Gruppo Missionario, ecc. Naturalmente le Messe per gruppi sono più familiari e spontanee e ammettono molta creatività. Va combattuto lo spirito privatistico che esclude addirittura il segno di pace. C’è chi pensa: “Sono disturbato, io voglio sentire la ‘mia’ Messa in pace!” La Santa Cena, come un banchetto tra gli uomini, suppone dialogo, scambi, iniziative nuove. Anche testimonianze di singoli fedeli sono da incoraggiare. L’omelia partecipata è certo ottima per Messe ristrette a gruppi particolari. Tutti sanno che la distribuzione del Pane, dei fiori, dell’incenso, suscita larga partecipazione. E’ curioso che in talune comunità ci sia più gente la domenica delle Palme (per portare a casa l’ulivo) che a Pasqua. In talune parrocchie il dono pasquale della piccola colomba benedetta

suscita grande concorso di popolo. E’ importante che ci si renda conto che la Messa è sempre viva, festosa, nuova, il nome stesso di Messa viene dalla fiera, dal mercato, dalla festa che seguiva la celebrazione immediatamente sul sacrato. La “dimissio” è diventata così attesa e agognata che ha finito per dare il nome (in tedesco) alla fiera che era la conclusione festosa della celebrazione. Sarà anche opportuno studiare i modi per prolungare la Messa con un aperitivo o un pranzo. Dopo una Prima comunione, una Cresima, un Matrimonio, una Prima Messa, sarebbe opportuno che tutta la comunità si senta invitata a spezzare insieme il pane dell’amicizia. La corazza dell’intimismo e del privato è però dura da essere anche solo incrinata. don Sandro Vitalini

L

La chiesa di Saint-Pierre-le-Vieux, nel centro di Strasburgo, è diventata un tempio protestante con la Riforma luterana nel 1520. Nel 1683, due anni dopo aver conquistato Strasburgo, Luigi XIV ordinò la restituzione del coro della chiesa ai cattolici, e fece erigere un muro per limitare il culto protestante alla navata, fissando uno spazio destinato alla religione del re, e non permettere alle due religioni di mescolarsi! La separazione durò per più di tre secoli, nonostante le guerre, i bombardamenti e gli sviluppi successivi. Di recente la parrocchia protestante ha intrapreso una ristrutturazione dei propri locali, ricavando nella navata uno spazio flessibile e, grazie

Chiesa cattolica


Cristiani nel mondo Una foresta per Martini L’11 ottobre 2012, a cinquant’anni dall’apertura del Concilio Vaticano II, su iniziativa di Giuseppe Laras, rabbino capo emerito della Comunità ebraica di Milano, e d’accordo con la Fondazione Culturale S. Fedele e con il Keren Kayemeth Le-Israel (Fondo Nazionale Ebraico) è stata presentata a Milano ed aperta una pubblica sottoscrizione per creare in Israele, terra tanto amata dal card. Carlo Maria Martini, una foresta alla sua memoria. L’offerta di alberi in memoria del cardinale è aperta sia a singoli che a centri culturali, aziende, parrocchie, diocesi, giornali, comunità ebraiche, comuni, scuole. Il Fondo Nazionale Ebraico, per ogni donazione ricevuta, consegnerà un certificato attestante il numero di alberi donati. La foresta in

Aperta una porta all’ecumenismo all’attuale clima ecumenico, anche la comunità cattolica potrà beneficiare di queste aree funzionali. Ma per venire a bere un caffè con i loro vicini i cattolici dovevano uscire dall’edificio, senonché, durante i lavori di ristrutturazione, è stata scoperta una porta precedentemente murata, per cui si è decisa di comune accordo la “riunificazione” della chiesa. Ottenuti i necessari permessi, essendo l’edificio un monumento storico, la porta riaperta è stata varcata per la prima volta nell’ottobre 2012 dal sindaco di Strasburgo, passando dalla chiesa cattolica al tempio evangelico, simbolicamente celebrando dopo 300 anni una conciliazione “edilizia” tra cattolici e riformati.

memoria di Martini sorgerà nei pressi di Tiberiade, in Galilea, località amata da Martini ed altamente simbolica sia per gli ebrei che per i cristiani. Erano presenti mons. Bottoni, per anni stretto collaboratore del card. Martini, Roberto Jarach, vice-presidente dell’Unione delle Comunità ebraiche Italiane, e padre Lino Dan, superiore dei Gesuiti di S. Fedele. La presentazione del progetto si è svolta nel giorno dell’anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II, che iniziò una nuova stagione del dialogo tra cristiani ed ebrei, per il quale il cardinale milanese si è particolarmente impegnato.

Ortodossi in Svizzera Il censimento dell’anno 2000 aveva contato poco più di 130.000 ortodossi in Svizzera, una cifra che includeva non solo gli ortodossi di tradizione bizantina ma anche i membri delle chiese precalcedonesi. Nel 2010, secondo l’inchiesta realizzata nel quadro del Programma nazionale di ricerca 58 del Fondo nazionale, la Svizzera contava almeno 154.000 ortodossi. Quando si parla di parrocchie ortodosse, si intende in realtà un ventaglio di situazioni diverse: alcune di esse possiedono una propria chiesa, costruita o acquistata; altre utilizzano luoghi di culto affittati o prestati da altre denominazioni cristiane. Alcune parrocchie hanno il proprio prete, impiegato a tempo pieno, ma in certi casi il sacerdote deve svolgere, per sopravvivere, accanto al ministero nella parrocchia anche un lavoro secolare. La situazione non è dunque paragonabile a ciò che conosciamo in ambito cattolico e riformato. In Ticino vive una cospicua minoranza di fede cristiana ortodossa: si calcolano oltre settemila persone. La maggior parte di esse sono di origine serba, ma ci sono anche rumeni, greci, russi e persone provenienti da altri Paesi. I cristiani ortodossi che vivono in Ticino, perlomeno quelli che sono praticanti, fanno capo a diverse parrocchie. Tra queste c’è anche la Comunità ortodossa della Svizzera italiana, fondata nel 1995, della quale è prete Mihai Mesesan, da un anno affiancato da un altro sacerdote, Gabriel Popescu. La Comunità celebra regolarmente le liturgie nella chiesetta cattolica della “Madonnetta”, a Molino Nuovo, mentre per le grandi solennità ottiene ospitalità nella basilica del Sacro Cuore, sempre nel rione Molino Nuovo di Lugano. Alberto Lepori

Tempio evangelico

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Maria madre e sorella

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Un anno fa, in prossimità della riapertura al pubblico della chiesa della Madonna del Sasso al termine dei lavori di restauro, fervevano in vari ambiti i prepara� tivi in vista della Peregrinatio Mariae che avrebbe do� vuto preparare i fedeli della nostra diocesi all’evento. Il 13 dicembre 2011, giorno di santa Lucia, Ritter Edi� zioni finiva di stampare un agile e prezioso volume di don Sandro Vitalini intitolato Maria, madre e sorella. Le meditazioni dell’autore avrebbero potuto servire ad ispirare opportunamente i vari momenti di riflessione sulla figura e il ruolo della B.V. Maria, previsti durante le tappe vicariali del pellegrinaggio dell’effigie vene� rata al Sasso. Indizio chiaro della connessione tra la pubblicazione del libro e l’evento che ha segnato la vita del nostro Santuario la primavera scorsa restano l’immagine e la preghiera riprodotte sulla copertina del volume. Per gentile concessione dell’autore pubblichia� mo la prefazione al libro, firmata da Max Thurian, sperando che possa servire a ravvivare il desiderio di leggere o rileggere le riflessioni di don Vitalini.

Queste meditazioni mariane di don Sandro Vitalini possono servire sia come punto di partenza per la preghiera individuale sia come modello per la predicazione; esse illuminano ogni riflessione cristiana sulla Madre del Signore per tre motivi: sono radicate nella parola di Dio, sono riferite alla vita del credente ed infine propongono un’ottica ecumenica, che vale per ogni cristiano aperto alla Tradizione di tutta la Chiesa. Mi sembra che si potrebbe sintetizzare questa mariologia ecumenica nei punti che qui suggerisco e che vogliono costituire il riassunto succinto del messaggio ricco e profondo di questo libro di don Sandro. La Vergine Maria, la beata Madre di Dio - come la chiama la Liturgia - fa parte integrante della fede nel Cristo, vero Dio e vero uomo. Il Figlio eterno ha voluto nascere da una madre pienamente umana, per essere un uomo come ciascuno di noi; ha voluto nascere attraverso un parto verginale miracoloso, per rivelarci che è pienamente Dio, dall’inizio della sua esistenza terrena. Il Figlio eterno, “ge� nerato, non creato, della stessa sostanza del Padre”, non può avere nella sua incarnazione che Dio stesso come padre, non può nascere che da una vergine. Ogni cristiano crede questo a proposito della Vergine Maria, ed è su questo fondamento essenziale che si sviluppa in lui un’attenzione particolare alla presenza della Madre del Signore sia nella Chiesa come nella sua vita personale. Maria è innanzi tutto la Vergine dell’Annunciazione. Si può immaginarla, come sulle miniature o sulle icone, curva sul libro della Parola di Dio, mentre recita i Salmi, nell’attesa ardente del Messia. Ella è un incitamento alla preghiera e all’attesa contemplativa del Cristo. Ella è il segno che tutto ciò che conta nell’uomo viene dalla pura grazia di Dio. Non soltanto il Signore ci ricolma del suo santo Spirito, ma prepara inoltre in noi il terreno per accogliere la sua grazia e poter così rispondere alla sua chiamata. Maria ci attesta che la grazia sovrabbonda là dove il potere e il sapere dell’uomo si riconoscono vinti. Maria è stata predestinata a diventare la Madre di Dio e l’Arcangelo la saluta con un nome nuovo “Piena di gra� zia” (Kekaritomene) per mettere in evidenza che tutto in lei viene da Dio sin dall’inizio. Nella sua splendida enci� clica “Redemptoris Mater”, Papa Giovanni Paolo II insiste su questa predestinazione di Maria, che è un altro modo per parlare dell’Immacolata concezione. Maria è anche la Vergine della Visitazione e del “Magni� ficat”. Piena di grazia, ella rende grazie a Dio nella gioia. Tutta la vita cristiana si riassume in quest’accoglienza della grazia e in questa azione di grazie di Maria: “Fiat” e “Ma� gnificat”. La Madre di Dio fa risuonare l’invito a rallegrarsi nell’accogliere lo Spirito ed a ringraziare il Padre che lo ef-


Messaggio dal Santuario fonde sulla Chiesa con tale fedeltà. E questo rendimento di grazie del “Magnificat” sottolinea che Maria, come il Cristo, è dalla parte dei “poveri” che rifiutano sia l’orgoglio come l’oppressione. L’azione di grazie cristiana benedice Dio che ricolma i suoi diletti quando questi riconoscono la loro debolezza. Maria è pure la Donna di Cana. Ella ci ricorda che, quando l’uomo vuole intervenire troppo presto nell’opera di Dio, il Cristo lo avverte che è solo alla sua ora, l’ora della Croce, che si compie davvero la volontà del Padre e che è per mezzo della sofferenza che egli realizza il massimo grado di fedeltà. Maria ci invita ad ascoltare la Parola di Dio, a fare tutto ciò che il Cristo ci dirà di fare, se noi vogliamo veder realizzarsi nella nostra vita delle meraviglie paragonabili al cambiamento dell’acqua in vino. Maria appare qui come la Madre che intercede per noi quando ci troviamo nel bisogno o quando la gioia in noi si eclissa. Maria è la Madre ai piedi della croce, unita al dolore del suo Figlio e diviene così la Figura della Chiesa-Madre. Come al discepolo prediletto, il Crocefisso ce la dona quale madre. E quando, morendo, il Cristo “trasmette lo Spirito” (Giovanni 19, 30), noi riceviamo con Maria il fuoco di questa prima pentecoste. Dal fianco squarciato ci sono donati l’acqua e il sangue: il Battesimo per mezzo del quale la Chiesa ci ha fatto nascere, l’Eucaristia della santa presenza per mezzo della quale nutre i credenti. L’antico cantico medievale proclamava: “Stabat Mater… O Madre, sorgente di tenerezza, fammi sentire la forza della tua sofferenza, perché pianga con te… Fa’ che il mio cuore arda d’amore per Gesù, il Cristo, mio Dio, affinché io sia di conforto per lui”. Così l’amore della Chiesa, madre dei fedeli, è strettamente legato per il discepolo attento al ruolo della Vergine Maria nella storia della salvezza. Si può dire che non c’è giusta concezione della Chiesa se non là dove c’è un posto per Maria nella fede e nella pietà. Si perde il senso della ChiesaMadre là dove si perde il senso della vocazione materna di Maria. Uniti al discepolo prediletto, noi riceviamo da Gesù crocefisso Maria e la Chiesa come madre: e noi la prenderemo con noi, come lui ha fatto, e cioè faremo sì che Maria e la Chiesa siano presenti alla nostra fede e alla nostra preghiera come madre del Corpo di Cristo del quale noi siamo le membra. L’ultimo libro della Bibbia, l’Apocalisse, ci presenta la Donna, simbolo d’Israele e della Chiesa, come trasportata dal suo Signore per sfuggire alla calamità e alla morte. È permesso di vedere in filigrana, in questa contemplazione della Donna celeste, il volto della Madre del Signore. La memoria della Vergine Maria, come quella di tutti i santi, si fonda sulla certezza che, dopo la fine della loro vita

terrena, coloro che hanno creduto nel Cristo Salvatore, l’hanno amato e servito, continuano a vivere alla sua presenza. Questa certezza della vita eterna, che comincia nella fede e si prolunga nella contemplazione di Dio dopo la morte e nell’attesa del Regno, è una grande consolazione che aiuta a vivere le lotte di questo mondo. Credere alla preghiera attuale di Maria, per la Chiesa e per tutti gli uomini, è una proclamazione della vita davanti a Dio di colei che è stata la Madre del Salvatore e che è nostra Madre e la figura della Chiesa-Madre. “Ella ci precede tutti alla testa del lungo corteo dei testimoni della fede nell’unico Signore…” (Redemptoris Mater). Ella penetra nel Regno del suo Figlio e, se oggi noi possiamo parlare di lei, non è solo perché in un lontano giorno del passato ella è stata oggetto di una rivelazione straordinaria, ma anche perché noi la crediamo vivente, vivente nella Chiesa, vivente nella contemplazione del suo Creatore e del suo Salvatore, nella comunione dello Spirito santo, che fa dire a tutta la comunità dei redenti: “Vieni, Signore Gesù, vieni presto!”.

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Preghiera alla Madonna del Sasso Madre della speranza, germogliata sulla Roccia, Tu visiti i nostri cuori e noi veniamo a Te, pellegrini nel tempo e nella storia, per affidarti il nostro cammino seminato di dubbi e speranze, sofferenze e progetti, delusioni e attese. Madre di bontà, forza e tenerezza, come noi pellegrina da Nazaret al Calvario, accogli la nostra preghiera e il nostro silenzio, sostieni il nostro passo, dona luce al nostro cuore, fino all’alba della risurrezione nell’Amore infinito del Padre. Amen


Corsi al Convento del Bigorio per il 2013


Messaggio dai Conventi Le proposte che il convento offre per il 2013 si articolano nei seguenti appuntamenti:

 Nei fine settimana del 23 e 24 marzo e del 16

e 17 novembre avranno luogo le giornate dedicate alla riscoperta del silenzio animate da fra Roberto. Queste giornate di “deserto“ sono una breve parentesi di silenzio e contemplazione che danno l’opportunità di fermarsi e scoprire, attraverso il silenzio, la lettura, la riflessione e la preghiera, i valori essenziali della vita.

 Le giornate di meditazione cristiana animate da

animatore di questi appuntamenti, inviterà a scoprire il viaggio interiore del cuore. Il viaggiare è scritto nel cuore dell’uomo e nella Bibbia il viaggio si fa adesione alla volontà di Dio. Partendo dai viaggi di Abramo, di Mosé e del popolo dell’Alleanza, dai viaggi di Maria, del Cristo e del discepolo, si leggerà il senso del pellegrinaggio cristiano a Roma, in Terra Santa e a Santiago di Compostela.

fra Andrea Schnöller (2 e 3 marzo, 26 e 27 ottobre e 23 e 24 novembre) più che proporre discorsi sulla meditazione, mettono in condizione di poter meditare, offrendo strumenti adeguati per realizzare un vero raccoglimento interiore e vivere sempre di più le giornate nella semplicità e nell’armonia di uno stile di vita meditativo.

 Il Convento del Bigorio rinnova l’invito a tutte

 La figura di S. Chiara d’Assisi è al centro della

di approfondimento religioso, il Convento del Bigorio organizza nel corso dell’anno diversi appuntamenti culturali, quali esposizioni, mostre, manifestazioni e concerti. Quest’anno, ad esempio, nel mese di aprile, venerdì 19 alle ore 20.00, si terrà nella chiesa del convento un concerto di musica barocca per mandolino e basso continuo eseguita dal duo Galfetti-Pianca. Nell’ambito del concerto, verrà presentato un dipinto dell’epoca con il commento degli storici dell’arte Edoardo Agustoni e Ivano Proserpi.

giornata di approfondimento proposta da fra Michele Ravetta per sabato 28 settembre. Si tratta di una rilettura storica, agiografica e letteraria di Chiara d’Assisi, la pianticella di S. Francesco, che nell’Umbria del XIII secolo ha voluto dar vita ad un nuovo impulso spirituale della Chiesa con la fondazione dell’Ordine delle Povere Dame, dette Clarisse.

 Nei giorni precedenti la Pasqua, il 29 e 30 di

marzo, si rinnoverà l’incontro con il prof. Mauro Vaccani, questa volta dedicato alle “parole del Risorto”. Nel libro degli Atti degli Apostoli si legge che il Risorto, rivolgendosi ai suoi discepoli, “…parlava loro delle cose del Regno di Dio”. Mediante sette unità meditative, ci si concentrerà su queste parole e si cercherà di capire meglio la realtà spirituale che ci viene insegnata dal Risorto.

 P. Callisto sarà l’animatore dei corsi prematrimoniali del 27 e 28 aprile e del 19 e 20 ottobre. Saranno giornate volte ad approfondire il messaggio cristiano per chi ha scelto di sposarsi in Chiesa. Per le iscrizioni a questi corsi con P. Callisto bisogna rivolgersi al Convento di Bellinzona al numero telefonico 091 820 08 80.

 Sabato 20 aprile e sabato 7 dicembre ci saranno due giornate dedicate ad una forma particolare di viaggio, il pellegrinaggio. Don Nicola Zanini,

le persone sensibili a questi argomenti a chiedere il programma dettagliato dei corsi del 2013, telefonando alla segreteria in orari d’ufficio al n° 091 943 12 22, o inviando un’e-mail all’indirizzo bigorio@cappuccini.ch

 Oltre al programma dei corsi e delle giornate

 Nel corso dell’anno, inoltre, saranno orga-

nizzati vari altri eventi culturali, tra i quali una mostra di vetrate di fra Roberto. Invitiamo tutti gli interessati a tenersi aggiornati su questi appuntamenti attraverso la stampa e attraverso le comunicazioni pubblicate sul sito del convento.

 Mercoledì 8 maggio, vigilia della festa dell’A-

scensione, tradizionale festa del Convento, ci sarà l’Assemblea generale dell’Associazione Amici del Bigorio. Questa sarà l’occasione per ringraziare tutte le persone che, attraverso l’adesione all’Associazione, hanno contribuito e contribuiranno a sostenere la sua attività di centro culturale e spirituale. Per informazioni sull’Associazione Amici del Bigorio e su come aderirvi si rimanda al sito internet del convento www.bigorio.ch oppure al numero di telefono 091 943 12 22.

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Benedetto XVI e l’ecumenismo: un bilancio in chiaroscuro

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Giovedì 28 febbraio 2013 alle ore 20, Benedetto XVI ha lasciato il suo ministero petrino ed è tornato ad essere Joseph Ratzinger. La clamorosa, storica decisione era stata annunciata dal Pontefice il mattino di lunedì 11 febbraio ed aveva destato sgomento e sorpresa, perché per molti secoli nessun Papa aveva rinunciato alla sua carica. E’ dunque il momento di fare un bilancio dell’ecumenismo durante i 7 anni e 10 mesi di pontificato di Benedetto XVI.

Nel suo primo messaggio ai cardinali elettori, al termine della concelebrazione eucaristica nella cappella Sistina il 20 aprile 2005, cioè all’indomani della sua elezione, Benedetto XVI aveva pronunciato parole molto forti, che avevano alimentato grandi speranze: “Con piena consapevolezza, all’inizio del suo ministero nella Chiesa di Roma che Pietro ha irrorato col suo sangue, l’attuale suo Successore si assume come impegno primario quello di lavorare senza risparmio di energie alla ricostituzione della piena e visibile unità di tutti i seguaci di Cristo. Questa è la sua ambizione, questo il suo impellente dovere. Egli è cosciente che per questo non bastano le manifestazioni di buoni sentimenti. Occorrono gesti concreti che entrino negli animi e smuovano le coscienze, sollecitando ciascuno a quella conversione interiore che è il presupposto di ogni progresso sulla via dell’ecumenismo. Il dialogo teologico è necessario, l’approfondimento delle motivazioni storiche di scelte avvenute nel passato è pure indispensabile. Ma ciò che urge maggiormente è quella “purificazione della memoria”, tante volte evocata da Giovanni Paolo II, che sola può disporre gli animi ad accogliere la piena verità di Cristo. (…) L’attuale Successore di Pietro (…) è disposto a fare

quanto è in suo potere per promuovere la fondamentale causa dell’ecumenismo. Sulla scia dei suoi Predecessori, egli è pienamente determinato a coltivare ogni iniziativa che possa apparire opportuna per promuovere i contatti e l’intesa con i rappresentanti delle diverse Chiese e Comunità ecclesiali”. Un grande impegno Effettivamente, l’impegno ecumenico di Benedetto XVI non è mancato. Durante tutto il suo pontificato, ha moltiplicato gli incontri con i maggiori esponenti delle altre Chiese cristiane, in particolare con il Patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo e con l’allora Arcivescovo di Canterbury Rowan Williams (nella foto), che è anche andato a trovare e con i quali ha condiviso importanti momenti a Roma, invitandoli ad esempio ai Sinodi dei vescovi o, lo scorso ottobre, alla solenne apertura dell’anno della fede. Inoltre ha incontrato – o in Vaticano o durante i suoi viaggi apostolici – numerosi esponenti delle antiche Chiese orientali e del protestantesimo, come pure il segretario generale del Consiglio ecumenico delle Chiese, il pastore luterano norvegese Olav Fykse Tveit. Innumerevoli anche gli scritti, le omelie e i messaggi dedicati a questo tema da Benedetto XVI, in particolare in occasione di grandi raduni, di riunioni di commissioni teologiche, di anniversari, della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani o di celebrazioni ecumeniche alle quali ha partecipato spesso e volentieri. Tra i fatti positivi, da registrare sicuramente il miglioramento dei rapporti tra il Vaticano e la più grande delle Chiese ortodosse, quella russa, anche se non c’è stato l’atteso e da molti auspicato incontro tra Benedetto XVI ed il Patriarca di Mosca Kirill. Nessun passo avanti Pertanto, è stato innegabile l’anelito di Papa Ratzinger verso l’unità dei cristiani, e il clima da lui creato è stato sicuramente di rispetto, di grande fratellanza e di amicizia, ma purtroppo, durante il suo pontificato, non si sono fatti passi avanti concreti e tutto è rimasto a livello di buone intenzioni, anche se sono proseguiti i dialoghi bilaterali o multilaterali con le altre Chiese e qualche collaborazione c’è stata. La Chiesa di Roma non sembra inoltre aver assimilato nè dato alcun peso a documenti scaturiti da incontri e raduni ecumenici ai quali aveva tuttavia partecipato a pieno titolo. C’è allora da chiedersi che cosa intendesse Benedetto XVI per ecumenismo, se non il ritorno all’ovile di quelli che una volta


Messaggio ecumenico venivano chiamati i “fratelli separati” e non una “unità nella diversità riconciliata”, come invece la vedono altre Chiese. Certo, il suo modo di esercitare il papato, molto centralizzato, la conferma dell’impossibilità dell’ospitalità eucaristica, l’insistenza con la quale le Chiese della Riforma non venivano chiamate “Chiese” ma “comunità ecclesiali”, la concessione dell’indulgenza ad ogni piè sospinto, solo per fare alcuni esempi, non hanno faciilitato il cammino ecumenico, anzi hanno provocato delusione in chi è seriamente impegnato nell’ecumenismo, sia nella Chiesa cattolica sia nelle altre Chiese cristiane. Un altro segnale interpretato negativamente in ambito ecumenico è stata certamente la creazione di ordinariati

per quei gruppi di anglicani che hanno lasciato la loro Chiesa per entrare in piena comunione con la Chiesa cattolica, pur mantenendo parte dei loro riti e delle loro tradizioni (attualmente ce ne sono tre: per l’Inghilterra e il Galles, per gli Stati Uniti e per l’Australia). Certo, così facendo il Papa ha voluto rispondere a una loro richiesta, ma non è la direzione auspicata per raggiungere la meta dell’unità dei cristiani. Dunque, in sostanza, si può considerare in chiaroscuro il bilancio dell’impegno ecumenico della Chiesa cattolica sotto il pontificato di Benedetto XVI. Gino Driussi

Dialogo tra cattolici e protestanti in Svizzera in crisi Anche se sono passati diversi mesi, vale la pena di ritornare sull’importante messaggio rivolto dal presidente della Federazione delle Chiese evangeliche in Svizzera, pastore Gottfried Locher (nella foto), ai delegati delle Chiese riformate cantonali, il 5 novembre 2012 a Berna, nella sala del parlamento cantonale, durante la sessione autunnale dell’assemblea della FCES. Il titolo del messaggio, dedicato alla crisi dell’ecumenismo tra cattolici e protestanti in Svizzera, era “Un ecumenismo realistico ed immediato – per un cambio di prospettiva protestante”. “Insieme, noi abbiamo la forza necessaria per diventare Chiesa, la Chiesa protestante svizzera. Questo è l’ecumenismo possibile oggi”. Senza rinnegare le specificità delle singole realtà cantonali, ma senza fare di queste un ostacolo sulla via del dialogo e della collaborazione, per Locher le Chiese evangeliche svizzere dovrebbero rafforzare i reciproci legami e puntare all’unità. Nel suo discorso, il presidente ha detto ai delegati che i protestanti devono “cambiare prospettiva” e ha denunciato la profonda crisi che caratterizza attualmente il dialogo ecumenico ufficiale tra protestanti e cattolici, dialogo che sta attraversando, ha detto, “la fase più difficile della sua storia”. Nella sua analisi, Locher ha usato toni chiari ed espliciti: “Le due grandi Chiese del nostro Paese sono in disaccordo: non si riconoscono reciprocamente come Chiese e non hanno un obiettivo comune riguardo all’unità da raggiungere. E questo mette in crisi l’ecumenismo”. Di fronte ai 70 delegati delle 26 Chiese riformate cantonali, Locher ha ribadito che i protestanti non devono accettare di essere considerati semplice “comunità ecclesiale” e non “Chiesa” e che un ecumenismo inteso come “ritorno” non è compatibile con un dialogo ecumenico serio e rispettoso.

Nuova prospettiva Abbracciando il modello di unità promosso dalla Comunione delle Chiese protestanti in Europa – che trae origine dalla “Concordia di Leuenberg”, carta programmatica del protestantesimo europeo, del 1973 - Locher ha esortato i delegati delle Chiese cantonali a “concentrare le forze laddove oggi l’unione tra le Chiese ha una reale possibilità di essere attuata”. In una parola, ha detto il presidente, “concentriamoci sull’ecumenismo protestante”. Le Chiese sorte dalla Riforma del 16.o secolo, ha ricordato, condividono una medesima concezione della Chiesa, del ministero e della cena del Signore. E le differenze che caratterizzano le varie Chiese non sono fattori di separazione, bensì costituiscono uno stimolo reciproco. “La Federazione delle Chiese evangeliche è essa stessa espressione dell’ecumenismo. Il suo futuro dipende dalla volontà di unità delle Chiese che la compongono”, ha sottolineato Locher. Proseguendo, il presidente della FCES ha esortato a rafforzare, in Europa, la Comunione delle Chiese protestanti (del cui consiglio direttivo è vice-presidente). E nel mondo intero le Chiese protestanti svizzere trovano la loro casa nella Comunione mondiale di Chiese riformate. Nel contempo, però, per Locher il dialogo ecumenico tra cattolici e riformati non deve essere abbandonato, perché “abbiamo bisogno gli uni degli altri”, ma affrontato con una prospettiva diversa. Senza dimenticare, o fingere di non vedere, ciò che non va.

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La pace interiore

«C

«Ci sono certi giorni in cui soffro per la fame. Fame di tutto: delle cose, del prossimo, di riconoscimento, di affetto… Allora mi trascino nella mia giornata, tendo la mano e afferro avidamente tutto ciò che mi riesce di prendere lungo il mio passaggio. Alla sera, sono sempre deluso. Non mi resta niente della mia messe rinsecchita. Perché io sono fatto per dare, sono fatto per ricevere quel che gli altri mi danno. Non sono fatto per afferrare, per prendere e possedere». Sono parole di Michel Quoist, che già ho già riportato nella nostra precedente riflessione sulla pace interiore. Illustravano le considerazioni di Corrado Pensa, il quale metteva in luce il fatto che le abituali strategie che noi mettiamo in atto per giungere alla pace del cuore sono quelle dell’evitamento e del successo, che le grandi tradizioni spirituali, concordemente, ritengono fallimentari in rapporto al raggiungimento di tale traguardo. Ciò nonostante, noi continuiamo a metterle costantemente in atto, «convinti che, se riusciamo a schivare quella responsabilità, quella persona, quel compito, siamo in pace»; se riusciamo a procurarci «quella cosa o ad affermarci in quell’altra, avremo pace». Quali potrebbero essere, allora – si chiede Corrado Pensa, i presupposti base per una giusta ricerca della pace? A questa domanda, egli risponde anzitutto con un ulteriore interrogativo. Ossia: fino a che punto sappiamo che desideriamo e cerchiamo la pace? Fino a che punto sappiamo che, dietro i nostri desideri, le nostre paure e le nostre avversioni c’è, in definitiva, il desiderio della pace? La pace è un dono prezioso per noi. E’ così prezioso, che spesso – sia sul piano individuale che collettivo – litighiamo tra di noi e ci dichiariamo guerra gli uni agli altri per avere pace. Se non ci rendiamo conto di quanto la pace sia desiderata e, quindi, preziosa per noi; e se non diventiamo chiaramente coscienti del modo sbagliato con cui cerchiamo la pace, ossia litigando, non caviamo un ragno dal buco. Queste due cose vanno viste in trasparenza. Allora – dice –diventiamo facilmente coscienti di un ulteriore fattore che condiziona la nostra ricerca della pace; ossia, della nostra fondamentale resistenza a vivere nel momento presente, ad accostarci con pace e senza fughe a quelle che sono le nostre reali situazioni di vita, che si offrono a noi sempre e soltanto nel sacralità del momento presente. E’ come dire: nella nostra ricerca della pace gioca abitualmente – oltre alla strategia dell’evitamento e del successo – un tacito ma radicato pregiudizio: il pregiudizio che il presente non ha alcun valore. L’unico

valore che attribuiamo al presente è quello di connetterci col passato e con il futuro che, per la mente condizionata, contano infinitamente di più del presente. L’esemplificazione che Corrado Pensa offre al riguardo, mi sembra a sua volta illu­minante e, quindi, di grandissimo aiuto. «Se io ho paura di incontrare Tizio, che è invadente e antipatico, io provo un sentimento certo comprensibile». Ossia, è una reazione del tutto naturale e spontanea. Tuttavia, questo sentimento di disagio e di paura che prova al pensiero di incontrare Tizio «sarebbe di certo meno acuto se io vivessi di più nel presente. Infatti, se io sono dominato dalla paura di questo incontro, è segno che io valuto molto il passato, impartendo grande realtà ai ricordi; e valuto altrettanto il futuro, infondendo vitalità a varie aspettative; mentre svaluto ovviamente il presente, il quale passa inosservato. Se invece io valutassi e rispettassi il presente, allora accosterei Tizio con mente nuova, fresca, un istante dopo l’altro, sveglio e attento a ciò che accade ora. E sicché a ognuno di noi è dato di osservare questo, tutte le volte che ci rendiamo presenti nel presente, quale che che sia la difficoltà della situazione, la pace aumenta. Come è stato detto: di minuto in minuto si può sopportare molto. Se pensiamo al passato e all’avvenire perdiamo il coraggio e ci disperiamo». Queste ultime parole sono di santa Teresa di Lisieux. Sia le parole di Teresa, sia le considerazioni di Corrado Pensa sono l’espressione di un’esperienza reale. Ossia, il contatto consapevole e aperto con il presente, qualunque esso sia, genera pace. Di questo possiamo diventare perfettamente coscienti sia nel nostro contesto abituale di vita, sia nel contesto più protetto della pratica formale della meditazione. Anche nella meditazione – non diversamente da quanto succede nella nostra vita quotidiana – ci sono momenti in cui tutto procede come se portato sulle ali del vento; e ci sono altri momenti, invece, in cui dominano la tensione, il senso d’inutilità, la noia, la resistenza, la pesantezza e il tedio. Ebbene, quando questo succede, il fatto che ci lascia sorpresi è che, per superare questi ostacoli e difficoltà, è sufficiente ritornare con consapevolezza al momento presente, a ciò che stiamo realmente vivendo. Invece d’inseguire passivamente le nostre fantasie, pensieri, elucubrazioni mentali ed emotive a tinte fortemente conflittuali e distruttive, le accogliamo, diamo loro il diritto di esserci, le osserviamo per quelle che sono, con equanimità e interesse, stando interamente nel qui e ora di quella che è la nostra attuale e reale situazione. Appena lo facciamo, soprag-


Dieci minuti per te

giungono immediati l’equilibrio, la serenità e la pace, qualunque sia la particolare natura del momento presente. Fossero anche pensieri ed emozioni a carattere fortemente conflittuale, noi cominciamo a osservarli con perfetta equanimità e pace interiore. Si attua una specie di disincanto, che ci regala un forte senso di sicurezza, equilibrio e pace. Il motivo risiede nel fatto che siamo in contatto con la vita, così come in quel momento si presenta a noi, e l’ascoltiamo per capire, crescere, comprendere e imparare. Invece di fomentare la divisione, ci apriamo con amicizia al momento presente che, per quanto turbato e difficile, ha comunque qualcosa d’importante da comunicarci, che richiede di essere accolto, compreso e capito. Ecco perché il silenzio – che è essenzialmente serena presenza nel presente ­– è – secondo la nota espressione di Lao Tzé – «la grande rivelazione». Questa capacità di abbracciare le nostre situazioni per quelle che sono, è tutt’altro che rassegnazione o fonte di confusione: il frutto che raccogliamo è nuova comprensione e saggezza. E’ un’esperienza che tutti possiamo vivere, fin da adesso: accettando il nostro presente e dimorando, fosse anche solo per alcuni istanti, serenamente in esso, ci rendiamo subito conto dei nuovi orizzonti di comprensione e di saggezza che si aprono davanti a noi. E’ il senso delle splendide parole che Eloi Leclerc pone sulle labbra di Francesco in un momento particolarmente difficile e tormentato della sua vita: «Il Signore mi rivelò che allora l’uomo perviene alla sua vera identità e realizza la verità di se stesso, non quando insegue grandi ideali, fossero anche nobili e santi, ma quando accoglie la realtà, tutta la realtà, niente escluso,così come è, con perfetta pace interiore». Identica, anche se espressa con altre parole, è la testimonianza di Carol Wilson, una nota insegnante americana di meditazione: «Ho passato parecchi anni della mia pratica di meditazione in attesa del momento in cui, una volta per tutte, sarei approdata al risveglio. Pensavo che questo evento avrebbe avuto luogo mentre ero immersa in uno stato di meditazione pro-

fonda, dopodiché il resto della mia vita sarebbe stato tutto una crociera. Ora, se noi consideriamo la pratica meditativa in questo modo, ossia la concepiamo come un insieme di attività culminanti in un’esperienza specifica e idealizzata – l’illuminazione – dopo la quale la vita scorre lineare e chiara, noi rischiamo di farci sfuggire l’essenza della pratica. Ed è poi facile che ci sentiamo scoraggiati e confusi se vediamo che la chiarezza e il potere dell’esperienza meditativa non si trasferiscono automatica­mente nella nostra vita attiva reale. Per me fu un enorme sollievo sbarazzarmi di questa aspettativa non realistica. Allorché ci rendiamo conto che la pratica meditativa più profonda è la coltivazione di un atteggiamento e non la ricerca di un’esperienza speciale, allora tutta la nostra vita si apre e ogni attività può diventare un veicolo di risveglio. La vita è fatta di momenti. La pratica di consapevolezza è sem­plicemente la coltivazione dell’abilità di incontrare qualunque cosa emerge di momento in momento con totale presenza e a cuore aperto». «Dunque – così conclude Corrado Pensa la prima parte della sua riflessione sulla pace interiore – la capacità di fruire di pace interiore sembra direttamente proporzionale alla capacità di essere presenti nel presente. E questa capacità, a sua volta, è quasi sempre determinata dalla quantità e dalla qualità della pratica spirituale del cercatore interiore. Solo in virtù di un certo lavoro interiore è possibile cominciare a cogliere il fatto che il presente – che comunque include in sé il passato e, insieme, è il luogo in cui si gestisce il nostro futuro – è l’unica realtà che, come tale, è immensamente e ovviamente più importante di ciò che è stato, che potrebbe essere e che sarà. Non a caso in più di una tradizione spirituale si parla della sacralità del presente1». Andrea Schnöller 1. Con riferimento all’insieme di questa riflessione e per alcune citazioni, come quella di Quoist, Santa Teresa di Lisieux e Carol Wilson, confronta: Pensa C., Sulla pace interiore, in La tranquilla passione, Ubaldini, Roma 1994, p. 61-71

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Francesco d’Assisi Titolo Titolo e le origini del Rinascimento in Italia

I

In una recente visita al Vittoriale degli Italiani a Gardone Riviera mi sono imbattuto nella figura di Henry Thode, storico dell’arte tedesco, professore alla Università di Heidelberg, che dedicò grande parte dei suoi studi, di grande rigore filologico, in modo particolare al Rinascimento italiano. Thode, nipote di Franz Liszt e figliastro di Wagner, acquistò la villa di Cargnacco nel 1910 e elesse Gardone a “paese dell’anima”; nella villa che poi nel 1921 verrà acquistata da Gabriele D’Annunzio che ne farà la sua ultima e definitiva dimora, Thode accumulò un immenso patrimonio costituito da numerosi cimeli fra cui il pianoforte del nonno, i manoscritti di Wagner e la sua immensa biblioteca (una raccolta libraria tutta catalogata con teutonica precisione costituita da 6’281 pezzi). Purtroppo Thode che amava profondamente il ”Benaco marino” e che si definiva “l’eremita del Garda” dovette abbandonare la villa e la relativa proprietà per rientrare in Germania nel 1915 in quanto, dopo l’entrata in guerra dell’Italia, venne dichiarato dal governo italiano “persona non gradita”. E pensare che egli, figura di riferimento nella critica d’arte, ha costituito colla sua ricerca un punto di origine di tutte le successive letture del Rinascimento italiano, in particolare grazie alla sua opera in due volumi ”Franz von Assisi un die Anfange der Renaissance in Italien”. Questa opera, pubblicata nel 1885, ebbe grande risonanza e esercitò sul finire dell’Ottocento ed inizio Novecento una grande influenza sugli studi successivi.

Nella sua introduzione Thode espresse chiaramente quella che era l’idea fondamentale di tutta l’opera: alla base e all’origine del Rinascimento sta la concezione umana e religiosa di Francesco d’Assisi. Il Santo è l’Apostolo di una religione più semplice e popolare che ha dato all’uomo il sentimento della sua individualità

ed è il punto di partenza di una vita artistica che riconcilia l’Umanità con la natura che Francesco santifica come manifestazione della Divinità della cui invisibile presenza essa è animata. E la possente personalità di Francesco ha dato impulso al tentativo di compiere un progetto che esprimesse il carattere proprio e le condizioni preliminari di un nuovo movimento artistico, il Rinascimento appunto, che significa Rinascita e Riviviscenza. Il nome di un solo uomo spicca nel titolo del libro di Thode: ma in un solo grande individuo si esprime tutto lo sforzo collettivo di un folto gruppo di persone che in quell’unico uomo hanno preso coscienza di sè e in lui hanno trovato l’incarnazione dei loro desideri e delle loro azioni. E la forza vitale di quest’arte, stimolata a mostrarsi dalla predicazione di Francesco, consiste in un profondo sentimento individuale della natura, indipendente da tutte le influenze esterne. E la libera armonia dei rapporti spaziali e la prospettiva ne rappresentano la caratteristica peculiare. Così Thode, dopo aver parlato nella prima parte della vita del Santo, passa in rassegna i più antichi ritratti di Lui (per esempio quello del Sacro Speco di Subiaco) e le varie raffigurazioni della leggenda francescana, notando come il soggetto aiuti l’artista a liberarsi dai ceppi della tradizione bizantina, lo ponga di fronte alla realtà e consenta alla fantasia creatrice libe-


Messaggio Messaggio amico ???

ro campo di esplicarsi. Segue la minuziosa descrizione della Basilica di Assisi e delle sculture e degli affreschi che contiene, in particolare quelli di Cimabue e di Giotto. E l’intimo nucleo da cui il libro prende le mosse consiste nel valorizzare la profonda connessione fra la spiritualità di Francesco e l’arte di Giotto, tra la forza sovvertitrice della religiosità francescana e il potenziale di innovazione estetica del movimento giottesco. Le modalità di rappresentazione della vita del Santo, la tipologia degli edifici di culto francescano, i rapporti tra predicazione, poesia e rappresentazione figurativa, la grande allegoria della povertà, della castità e dell’obbedienza disegnano l’itinerario geografico e ideale di una rivoluzione spirituale e artistica destinata a segnare l’intera storia dell’Occidente. Con Giotto inizia questa “rinascita” ed egli viene esaltato per aver fatto rinascere l’arte: e il periodo fra l’età classica greco-romana e la nuova epoca di rinascita era soltanto un triste lasso di tempo, “l’età di mezzo” o Medioevo; e poiché i Goti avevano causato la caduta dell’impero romano, l’arte di quel periodo intermedio fu detta gotica, ossia barbarica; cosicché le nuove conquiste di Giotto apparvero come un’innovazione formidabile, una rinascita di tutto quanto era grande e nobile nell’arte. Nel Trecento si riteneva infatti che arte, scienza e cultura fiorite nel periodo classico fossero state distrutte dai barbari del

Nord e che ora bisognava fare rivivere il glorioso passato aprendo un’era nuova, di “rinascita”. Nel secondo volume dell’opera Thode mette in rapporto lo sviluppo dell’Ordine francescano con il sorgere delle costruzioni gotiche italiane, che egli distingue in due gruppi principali: le chiese gotiche a volta dell’Italia settentrionale e quelle a copertura in legno a una navata dell’Umbria e della Toscana: da queste egli fa derivare la chiesa fiorentina del Rinascimento. Per Thode l’architettura della Toscana e dell’Umbria mostra già nel XIII e XIV secolo i principi essenziali dell’arte del Rinascimento: la forza gotica della costruzione non è altro, in questa architettura, che una veste esteriore. Nell’ultima parte della sua opera Thode mette in evidenza l’influenza esercitata dalla mistica francescana sulla filosofia e sulla poesia italiana e nota come gli stessi antichi soggetti biblici dell’arte figurativa e le allegorie ricevano una nuova rappresentazione e interpretazione dagli artisti animati dalla nuova spiritualità francescana. Solo un genio come Giotto, sull’onda della novit������������� à������������ del francescanesimo, avrebbe potuto spezzare l’incanto del conservatorismo bizantino nella sua raggelante solennità e ieraticità: egli scoprendo per primo l’illusione della profondit����������������������������������������������� à���������������������������������������������� pot������������������������������������������ é darci l’�������������������������������� illusione che la storia si svolgesse sotto i nostri occhi come nella realtà, in modo mirabile negli affreschi della Cappella Scrovegni a Padova e nella basilica di Assisi. E l’intuizione di Thode, il “tema francescano” come origine del Rinascimento apparve all’epoca della pubblicazione della sua opera geniale, nuova e innovativa e merita ancora oggi di essere ricordata e valorizzata. Mario Corti

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Convento dei Cappuccini Salita dei Frati 4 CH - 6900 Lugano

Abbiamo letto... abbiamo visto... Storia del Concilio Vaticano II

diretta da Giuseppe Alberigo, cinque volumi Bologna, Peeters-Il Mulino, 1995

GAB 6900 Lugano

La «Storia del Concilio Vaticano II», promossa dall’Istituto per le scienze religiose di Bologna e coordinata da Giuseppe Alberigo, costituisce la sintesi di un pro­getto internazionale che si avvale di una ricchissima base documentaria inedi­ta e dell’apporto di autori di diversi ambienti, lingue e ambiti culturali. Pubblicata contemporaneamente in sei lingue, l’opera intende ricostruire la dialettica che ha animato e caratterizzato l’assemblea nelle varie fasi.

Il futuro del Concilio. I documenti del Vaticano II: un tesoro da riscoprire Torino, Effata Editrice, 2012 Il primo atto di onestà verso il Concilio è proprio quello di riprendere in mano i docu­menti e il gran merito di questo libro è riproporli e aver chiamato a raccolta diverse competenze per restituirne il significato e il valore. La riconciliazione della Chiesa con l’età moderna è stata la riconciliazione con l’uomo, non solo con gli uomini e le donne di “questo tempo”, ma di tutti i tempi.

Chi ha paura del Vaticano II? Roma, Carocci editore, 2009 Oltre cinquant’anni ci separano dall’annuncio del Vaticano II (25 gennaio 1959) e le sorti di quell’evento epocale sono state oggetto a più riprese di un aspro dibattito. Viene da chiedersi se sia il Vaticano lo stile con cui la Chiesa vuole ancora porsi innanzi alla modernità. Un gruppo di studiosi di fama internazionale, italiani e stranieri, s’interroga senza reticenze sul tema scottante del Concilio Vaticano II, sul suo futuro nel seno stesso della Chiesa e della comunità dei credenti. Un libro denso di riflessioni e provocazioni.


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