Messaggero 2009-05 Gen-Mar

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Rivista trimestrale - anno 99

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Gennaio Marzo 2009

Messaggi quaresimali e pasquali Intervista a don Sandro Vitalini Messaggio dalla Madonna del Sasso Le pagine dell’Ordine Francescano Secolare


Sommario

Nessuna tutela del clima senza giustizia Nord-Sud

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MESSAGGERO Rivista di cultura ed informazione religiosa fondata nel 1911 ed edita dai Frati Cappuccini della Svizzera Italiana - Lugano

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Comitato di Redazione fra Callisto Caldelari (dir. responsabile) fra Ugo Orelli fra Edy Rossi-Pedruzzi fra Michele Ravetta Claudio Cerfoglia (segretariato) E-Mail redazione@messaggero.ch

a cura di Alliance Sud

Patì sotto Ponzio Pilato... fra Callisto Caldelari

La dimensione cosmica dei sacramenti

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don Sandro Vitalini

I sacramenti spiegati ai bambini

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Porta d’ingresso all’edificio sacramentale

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La “discrezione” di Francesco

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fra Riccardo Quadri

Le pagine dell’OFS

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fra Michele Ravetta e Gabriella Modonesi

Dieci minuti per te

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fra Andrea Schnöller

Messaggio dalla Madonna del Sasso

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fra Agostino Del-Pietro

Messaggi dai conventi... ...e dalle loro adiacenze

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Appunti di vita ecclesiale

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Alberto Lepori

Appunti di vita ecumenica

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Gino Driussi

Abbiamo letto... abbiamo visto…

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Hanno collaborato a questo numero fra Agostino Del-Pietro Gino Driussi Marco Driussi Franca Humair Alberto Lepori Fernando Lepori Gabriella Modonesi fra Riccardo Quadri fra Andrea Schnöller don Sandro Vitalini Redazione e Amministrazione Convento dei Cappuccini Salita dei Frati 4 CH - 6900 Lugano Tel +41 (91) 922.60.32 Fax +41 (91) 922.60.37 Internet www.messaggero.ch E-Mail segreteria@messaggero.ch Abbonamenti 2009 Per la Svizzera: ordinario CHF 30.sostenitore da CHF 50.CCP 65-901-8 Per l’Italia: ordinario € 20,00 sostenitore da € 40,00 Conto Corrente Postale 88948575 intestato Cerfoglia Claudio - Varese causale “abbonamento Messaggero” E-Mail amministrazione@messaggero.ch

Note importanti Compilando la polizza per l’abbonamento non mancate di riportare l’esatto nominativo al quale la rivista è stata spedita. Ci aiuterete ad abbinare con certezza il pagamento al destinatario. Per semplicità organizzativa la polizza di versamento é stata inserita in tutte le copie di questo numero.

Copertina Vetrata in controfacciata realizzata da fra Roberto nella chiesa parrocchiale di Gravesano Fotolito, stampa e spedizione RPrint - Locarno


Lettera della Redazione

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l presente numero contiene delle novità. Innanzi tutto il tema che dovrebbe occuparci per due anni: “I sacramenti”, svolto nel presente fascicolo con un’intervista al teologo don Sandro Vitalini e con una presentazione sommaria dei sacramenti anche ai bambini. Quest’ultima è una rubrica che vorremmo continuare in ogni numero, per ogni sacramento, così da permettere ai genitori di osservare gli impegni assunti quando hanno chiesto il sacramento del matrimonio ed il battesimo per i loro figli. Come abbiamo fatto già lo scorso anno, oltre al “tema”, dedichiamo diverse pagine al mistero cristiano e alla festa religiosa più vicina. Per questo numero si tratta di sviluppare il tema quaresimale che tratta della protezione del clima, tema sviluppato attraverso un corposo articolo dal titolo: “Nessuna tutela del clima senza giustizia Nord-Sud”. Parleremo anche dei vari fatti ricordati nella Settimana Santa. Seguono le diverse rubriche che fanno del nostro Messaggero un foglio di spiritualità e notizie francescane con aperture ecclesiali ed ecumeniche. Dopo il primo anno la nuova redazione ha deciso: “continuiamo”. Ringraziando la Regione dei Cappuccini della Svizzera italiana che copre il deficit finanziario, in quanto l’introito dei circa 1000 abbonamenti non permette di estinguerlo. Quale sia questo disavanzo, lo trovate a pagina 27. La situazione come vedete non è rosea, ecco perché ci permettiamo di insistere: sottoscrivete al più presto l’abbonamento, scegliendo possibilmente la formula del sostegno (fr. 50), e aiutateci a trovare altri abbonati. Credeteci, il lavoro c’è ed è portato avanti da una redazione di volontari, con collaboratori fissi e occasionali, ed un segretario a tempo parziale. Questa redazione crede e spera molto che i lettori formino una vera famiglia attorno a questa rivista che viaggia verso i suoi 100 anni. A tutti buona lettura. La redazione

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Messaggio tematico

Nessuna tutela del clima senza giustizia Nord-Sud nche se il tema annunciato nella “Lettera della redazione” è quello dei sacramenti in generale non è possibile, avvicinandosi le feste pasquali, non offrire degli spunti di riflessione su quello che la Chiesa celebra in queste ricorrenze. Dovremmo parlare della Quaresima, della Settimana Santa, specialmente dei suoi ultimi tre giorni, e della Pasqua. Purtroppo lo spazio a nostra disposizione non permette di svolgere tutti i temi. Svilupperemo il primo e il secondo; al terzo dedicheremo la “Pagina meditativa”.

A

Quale giusto atteggiamento e quale giusta politica adottare per affrontare l’annunciato disastro climatico? Come osservato da Jean-Pierre Dupuy, filosofo ed autore di “Pour un catastrophisme éclairé”, il problema del clima è piuttosto di ordine psicologico e spirituale: non riusciamo a “credere” realmente a ciò che “sappiamo” razionalmente. Abbiamo tutte le informazioni sui grandi rischi ai quali l’umanità e il pianeta sono esposti a causa del riscaldamento globale, ma non riusciamo a realizzare che possa realmente succedere. Sappiamo che se il livello di concentrazione di CO2 nell’atmosfera non dovesse stabilizzarsi nei prossimi 1020 anni, la catastrofe sarà inevitabile, ma non riusciamo a prendere i necessari provvedimenti urgenti e drastici, pur avendone i mezzi finanziari e tecnologici. I negoziati in corso su un nuovo accordo volto a completare il protocollo di Kyoto che scadrà nel 2012, illustrano perfettamente questo tragico divario: la Conferenza delle Nazioni Unite programmata per fine novembre a Copenhagen dovrebbe dare il via ad un nuovo regolamento climatico sostanziale ed equo. Si tratta di una data cruciale che secondo i termini

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utilizzati da Raja Devasish Roy, ministra dell’ambiente nel Bangladesh, determinerà se la comunità internazionale “prenderà in pugno il proprio destino”. Purtroppo la situazione si presenta male. Nel dicembre scorso, la conferenza preparatoria di Poznan (Polonia) è stata un fiasco. L’atmosfera era appesantita dalla crisi finanziaria e gli Stati Uniti non volevano prendere decisioni importanti in attesa dell’insediamento di Obama. L’Unione europea, inquinata da divisioni interne sulla futura politica energetica, ha perso leadership e credibilità. Certamente, è riuscita salvare in extremis il suo pacchetto energia – clima, ma svuotandolo dal suo contenuto a causa delle importanti concessioni offerte ai baroni dell’acciaio e del cemento. Altre nazioni industrializzate come il Giappone, il Canada e l’Australia si sono opposti a qualsiasi cambiamento. Piuttosto che ridursi, con l’emergere di una visione condivisa, il fossato tra Nord e Sud si è quindi approfondito. Il nostro pianeta non sa che farsene di questa politica dei piccoli passi e a corto termine, i governi dovrebbero avere una visione a lungo termine e schiacciare l’acceleratore. La terra si sta riscaldando ineluttabilmente, con i problemi e le sofferenze che ne derivano: siccità, inondazioni, rarefazione delle risorse, diminuzione dei raccolti… Come ricordato dal segretario generale dell’ONU Ban Ki-Moon, il cambiamento climatico costituisce la “principale minaccia per lo sviluppo umano”, ed è molto più grave dell’attuale crisi finanziaria. Si tratta di un fenomeno profondamente ingiusto perché colpisce maggiormente i paesi che meno hanno contribuito alle emissioni di CO2 e che non hanno i mezzi per premunirsene. Si tratta delle popolazioni già svantaggiate

dell’Africa, dell’Asia e dell’America Latina. Secondo le stime dell’ONU, entro il 2010 i rifugiati del clima saranno 50 milioni. Le Maldive, minacciate di essere sommerse dal mare, cercano nuove terre per accogliere i loro abitanti. Al termine del summit di Poznan, il ministro dell’ambiente delle Maldive ha dichiarato in nome dei paesi insulari: “Stiamo annegando e le assunzioni di responsabilità sono quasi inesistenti!” Il Consiglio mondiale del clima continua a ricordarlo: un aumento medio della temperatura terrestre superiore a 2°C (rispetto all’epoca preindustriale) condurrebbe a catastrofi incontrollabili. Per evitarlo, le emissioni mondiali di gas a effetto serra devono raggiungere il loro massimo entro il 2015 ed in seguito diminuire. È dunque ora che bisogna agire, perchè l’aumento ha già raggiunto lo 0,8°C. Più si attenderà, minori saranno le possibilità di agire. Tra dieci anni non si potrà più realizzare ciò che può essere fatto adesso. Bisogna temere il peggio se entro novembre non si giunge ad un sostanziale accordo politico globale. Lo scopo è di associare agli sforzi comuni di riduzione del gas a effetto serra, i paesi che non si sono ancora impegnati: gli Stati Uniti, ma anche le potenze emergenti come la Cina, l’India e il Brasile. Questi paesi sono diventati dei grossi produttori di CO2 – la Cina ha perfino guadagnato il primo posto nel 2007 davanti agli Stati Uniti. Ma questi ultimi accetteranno obbiettivi vincolanti solo a due condizioni: i paesi ricchi devono finalmente mantenere i loro impegni di riduzione e di solidarietà, contrariamente a quanto hanno fatto finora, e offrire un mercato equo che rispetti il loro diritto allo sviluppo senza ipotecare la loro crescita economica e la loro lotta contro la povertà.


e l’80 % dell’inquinamento atmosferico proviene dal loro sviluppo fondato sull’energia fossile, iniziato all’epoca della rivoluzione industriale nel XIX secolo. Secondo le previsioni dell’Agenzia internazionale dell’energia, nel 2030 le emissioni di un cinese rappresenteranno soltanto un quarto

© Roberto Rizzato

Un tale accordo si basa su tre aspetti fondamentali: In primo luogo la concessione di diritti d’emissione uguali per tutti gli abitanti del pianeta. Un principio inderogabile per assicurare una giustizia climatica sul piano mondiale,in virtù del principio “chi inquina paga”.

È logico che i paesi industrializzati debbano ridurre maggiormente e più rapidamente i loro gas a effetto serra rispetto ai paesi in via di sviluppo. Non solo ne hanno le capacità finanziarie e tecnologiche, ma ne sono i primi responsabili: le loro emissioni per abitante sono dieci volte superiori

di quelle di un americano. È il motivo per cui i paesi industrializzati devono ridurre le loro emissioni di CO2 dal 25 al 40 % entro il 2020 (e non solo di almeno il 20 % come raccomanda l’UE e la Svizzera), in seguito le emissioni dovranno diminuire del 90 % entro il 2050. Lo sforzo mag-

giore deve essere fatto localmente e non attraverso progetti di riduzione all’estero, come proposto dall’UE e la Svizzera con il concetto di “neutralità climatica”. Questo presuppone in particolare la sostituzione di buona parte delle energie fossili con energie rinnovabili. In secondo luogo, i paesi dl Sud devono ottenere la garanzia di poter accedere in modo rapido e conveniente alle moderne tecnologie pro-clima. Nell’ambito della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sul clima del 1994, i paesi del Nord si erano impegnati ad effettuare questo tipo di trasferimento, ma finora non è stato fatto quasi nulla. Perché? Le loro possibilità sono limitate perchè questo tipo di tecnologia appartiene in prevalenza alle aziende private. Un modo un po’ facile di sdoganarsi, ma che sottolinea uno dei maggiori ostacoli al trasferimento di tecnologie: i diritti di proprietà intellettuali dei quali la Svizzera è uno dei maggiori difensori. Ecco perché i paesi del Sud rivendicano una revisione del sistema dei brevetti per assicurare un equilibrio più equo tra la remunerazione degli innovatori ed il bene pubblico globale. Infine, occorre garantire il finanziamento degli sforzi di adattamento dei paesi del Sud agli effetti del riscaldamento globale: sistemi di allerta, approvvigionamento d’acqua, dighe di protezione, ecc. La Banca Mondiale stima tra 10 e 40 miliardi di dollari i costi annui di tali adeguamenti. L’ONG Oxfam parla addirittura di 50 miliardi. In base al piano d’azione adottato alla Conferenza di Bali nel 2007, la maggior parte delle risorse finanziarie prevedibili e durevoli dovrebbero provenire dal Nord. È giusto che questi fondi si aggiungano a quelli dell’aiuto allo sviluppo. Sarebbe infatti indecente mettere in concorrenza protezione del clima e

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Messaggio tematico

lotta contro la povertà. Inoltre, non si tratta più di un dono proveniente dai paesi sviluppati, ma del rimborso del debito ecologico contratto con la prosperità attuale raggiunta ai danni del pianeta e sfruttando il bene comune costituito dall’atmosfera. In questo senso, la Svizzera ha presentato un’idea molto interessante di tassa globale sul CO2 con il principio di “chi inquina paga”. È stato pertanto creato un fondo per questi adattamenti, alimentato principalmente dai prelievi sul mercato dei certificati di emissioni di gas ad effetto serra. Benché i paesi del Sud abbiano ottenuto un ruolo di rilievo nella gestione di questo fondo e l’accesso diretto – senza dover passare per un intermediario come la Banca Mondiale (controllata dai donatori), le somme previste sono per ora insignificanti: 300-500 milioni di dollari entro il 2012. Una bazzecola rispetto ai 2600 miliardi utilizzati per salvare il sistema finanziario. Questo dimostra che a mancare non è il denaro, ma piuttosto la volontà politica. Quando i governi giudicheranno necessario, troveranno i mezzi. Ed in modo massiccio. Se un paese ha i mezzi per spendere a corto termine parecchi miliardi per rimpolpare le sue banche, dovrebbe anche darsi i mezzi per salvaguardare il clima a lungo termine, senza il quale la sua economia non avrà nessun futuro.

Tanto più che in base al rapporto Stern, l’1 % del PIL mondiale sarebbe sufficiente per coprire i costi di adattamento, mentre l’inazione richiederebbe un prelievo del 20 %. Questi tre aspetti sono condizioni indispensabili per giungere ad un consenso tra il Nord e il Sud. Sarà molto difficile da realizzare, ma non è troppo tardi. L’entrata in scena dell’amministrazione Obama, che ha promesso di ridurre le emissioni degli Stati Uniti dell’80 % entro il 2050, può dare un nuovo impulso ai negoziati. Diversi paesi in via di sviluppo come il Sudafrica, il Messico e la Corea del Sud si sono detti disposti ad impegnarsi. Non ci sarà dunque un accordo postKyoto sostanziale senza giustizia tra paesi ricchi e paesi poveri. Ma ciò basterà per salvare il clima? Sarà impossibile senza un messa in discussione del sistema economico occidentale. Fondato sul credo illusorio e devastante della crescita quantitativa illimitata, questo sistema è inoltre profondamente ingiusto perché non si estende al resto del pianeta ed alle generazioni future. Nolens volens, il problema del clima non potrà essere risolto solo attraverso i poteri miracolosi della tecnologia e del mercato, ma presuppone l’invenzione di un modello alternativo di produzione e di consumo. La trasformazione personale e collettiva verso un’altra rela-

zione alla natura, in altre parole, un cambiamento di paradigma. La pensa nello stesso modo il Nobel per la pace 2007 Rajendra Pachauri, presidente del Gruppo di esperti intergovernativo sull’evoluzione del clima (GIEC). Si appella a meno carne, meno shopping, meno macchine e meno trasporti in aereo: “dobbiamo anche modificare il nostro stile di vita ed i nostri comportamenti. I paesi del Sud, in particolare, non hanno altra scelta a parte quella di trovare uno sviluppo alternativo a quello occidentale. Il mio sogno sarebbe di vedere l’emergere di un vasto movimento di consumatori cittadini guidati dalla gioventù che rifiutano qualsiasi prodotto o attività avide di carbonio. È l’unico modo per costringere le multinazionali ed i governi a cambiare radicalmente traiettoria. Sì, ognuno dovrebbe fare il proprio bilancio di carbonio!”. L’attuale crisi finanziaria che dimostra la mancanza di prospettive e le assurdità del nostro sistema economico è un’occasione unica per una tale messa in discussione. Michel Egger, Alliance Sud Comunità di lavoro Swissaid. Sacrificio Quaresimale. Pane per tutti. Helvetas. Caritas. Aces Traduzione Estelle Rechsteiner www.alliancesud.ch

E la Svizzera? La Svizzera ha i mezzi per assumere un ruolo di pioniere nella questione climatica, indipendentemente dai tentennamenti dell’Unione europea e dalla crisi finanziaria. Ne sono convinte le grandi organizzazioni di sviluppo che attendono dalla Svizzera un impegno totale per un accordo post-Kyoto efficace, solidale ed equo, che garantisca ai paesi in via di sviluppo il diritto di crescere in modo duraturo. A tale scopo, Sacrificio Quaresimale e Pane per tutti hanno lanciato un invio di cartoline indirizzate al Consiglio federale; questa azione è al centro della nuova campagna ecumenica, “Un clima sano per garantire il pane quotidiano”. Alliance Sud segue da vicino e in modo molto critico la preparazione del Summit decisivo sulla protezione del clima previsto per la fine di novembre a Copenhagen, come pure la revisione in corso della legge federale sul CO2 che determinerà la futura politica climatica della Svizzera ed il suo impegno per la riduzione dei gas ad effetto serra.

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Patì sotto Ponzio Pilato... Premessa Ci sono due modi di affrontare questi articoli del Credo: o vedere evangelista per evangelista cosa dicono in merito della passione e morte di Gesù, e quindi affrontare la passione secondo Matteo, Marco, Luca e Giovanni; o vederli globalmente con uno sguardo generale che comprende e sintetizzi i racconti di tutti e quattro. Per questo articolo è quasi d’obbligo scegliere la seconda strada, pur sapendo che si perdono le particolarità che ogni evangelista sottolinea in merito alla persona del Cristo sofferente. Per non trascurare questi particolari molto importanti quale “Premessa” vediamo come ogni evangelista presenta Gesù nel momento culminante della sua vita.

Per Matteo: Gesù è sottomesso alla volontà del Padre, gli rinnova la sua obbedienza con amore filiale. Conosce lo scopo del suo sacrificio. È consapevole anche della morte e ha la chiara percezione di quanto lo attende. Tutto ciò non gli impedisce di sperimentare la scelta di solidarietà con l’umanità peccatrice. Per Marco: Gesù è il biblico “Servo sofferente”, il giusto perseguitato. Va alla morte in una solitudine estrema: conserva un silenzio misterioso, rotto da un grido straziante sulla croce per l’abbandono del Padre. A questo grido fa eco la confessione del centurione romano che proclama Quest’uomo era veramente Figlio di Dio (Mc. 15, 39). Per Luca: Gesù è l’innocente mansueto che si conforma al volere del Padre, prototipo del giusto perseguitato iniquamente, ma nello stesso tempo non chiuso nel suo dolore, ma misericordiosamente proteso verso le persone che gli stanno attorno e in dialogo con esse. Per Luca, nella passione, vi è anche lo scontro decisivo tra Gesù e Satana. Per Giovanni: Gesù emerge per la sua superiorità e autorevolezza. Non è il “Servo sofferente” dei sinottici che espia i peccati del mondo, ma è il dominatore degli eventi che non viene sopraffatto da un destino finale, grazie alla sua scienza sovrumana e alla sua volontarietà con cui prevede ciò che gli sta per capitare. È l’IO SONO divino, è il Re della verità che attira tutti al suo trono. Fatta questa premesse, dato che il materiale da commentare è amplissimo, tentiamo di rispondere ad alcune domande:

Perché Gesù è stato crocefisso? Quanti e quali processi ha avuto? E come si è comportato il giudice romano, Ponzio Pilato? Il viaggio verso il Calvario e la morte di Gesù

Perché Gesù è stato tradito e crocefisso? Fondamentalmente perché ha disatteso le speranza messianiche che all’inizio erano riposte su di lui. Infatti al tempo di Gesù, in Palestina, l’attesa del Messia era viva. I “capi del popolo” chiesero a Giovanni Battista se era lui il Messia, o colui che doveva preparane la venuta (Elia, o “il profeta”) ed il Battista ha negato. Gesù viene battezzato e, secondo alcuni esegeti, prende coscienza in quell’occasione di essere il Messia. Poi si ritira nel deserto e dopo quel periodo, ritorna da Giovanni. Quando questi viene incarcerato ritorna in Galilea seguito da alcuni discepoli del Precursore che lo ritengono il Messia (Gv. 1, 37-51). In Galilea suscita entusiasmo, tanto che dopo la moltiplicazione dei pani vogliono farlo re. Ma i capi, sempre vigilanti anche se abitano lontano (Gerusalemme) mandano degli osservatori (spie) e subito s’accorgono che non era lui il tipo di Messia che si aspettavano. Al termine della sua vita fa un viaggio trionfale a Gerusalemme; trionfale per il popolo che lo acclama, ma non per i capi coi quali ha delle dispute molto frequenti. Per loro lui è un laico non istruito che pretende di disputare coi sacerdoti, coi dotti (scribi) e i super-religiosi (farisei). Le accuse che Gesù lancia contro di loro sono molto forti. I gesti che compie non sono di meno: fa pulizia nel tempio, dice metaforicamente di distruggerlo e lo prendono sul serio facendolo diventare un capo d’accusa. Per inciso notiamo che Gesù con il tempio aveva un rapporto difficile; alla donna samaritana dice in parole povere che è inutile perché “d’ora in avanti gli uomini adoreranno Dio in spirito e verità”, inoltre non si legge nei vangeli che lui abbia pregato e molto meno sacrificato nel tempio. Tutto questo ci fa dire che i “capi del popolo” nei suoi riguardi subirono una grande delusione, non era il Messia politico sperato, era un Messia spirituale del quale non sapevano cosa fare. Ma soprattutto era un personaggio che non apparteneva al loro ceto: per i sacerdoti sadducei (materialisti), era un laico poco pio; per gli scribi e farisei, più spirituali, soprattutto più dotti, era un ignorante nella loro interpretazione delle scritture; comunque non aveva fatto le loro scuole. Inoltre tutti i capi – religiosi e laici – visto l’entusiasmo della folla che lo acclama “Figlio di Davide”, “Re d’Israele” hanno paura di una sommossa popolare che sarebbe finita nel sangue per reazione di romani. Vedi la profezia di Caifa: “È meglio che muoia uno solo e non perisca la nazione intera”, (Gv. 11, 49-50). Evidentemente queste motivazioni di basso egoismo non possono giustificare legalmente una condanna a morte, perciò le autorità ebraiche costruiscono un processo religioso.

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Messaggio tematico

Quanti processi subì Gesù e come si comportò il suo giudice Ponzio Pilato? Forse non tutti sanno – o ricordano - che Gesù subì due processi: quello giudaico e quello romano.

Processo giudaico Con un interrogatorio preliminare da parte dell’ex sommo sacerdote Anna. Fu tenuto dal Sinedrio la mattina presto di quel giorno che noi chiamiamo il “Venerdì santo” secondo un rituale ebraico: si cercarono due testimoni concordi, ma non se ne trovano. Allora il sommo sacerdote Caifa fece una richiesta diretta, una domanda che poteva implicare la pena di morte. Per il Dio vivente, ti scongiuro di dirci se tu sei il Messia, il Cristo, il Figlio di Dio. La risposta di Gesù, Tu l’ hai detto. Ma io ti dico che d’ora in poi vedrete il Figlio dell’uomo seduto accanto a Dio onnipotente, egli verrà sulle nubi del cielo (Mt. 26, 63-64). Scatta automaticamente la sentenza: Ha bestemmiato e in quanto bestemmiatore è reo di morte (lapidazione). Ma questa pena non può essere eseguita per limitazione romana.

frase che forse riassume meglio la morte di Gesù è quella che troviamo registrata in Giovanni (19, 30): Tutto è compiuto. Che cosa è compiuto? La vita, la missione, il sacrificio! Non solo, il verbo greco, qui tradotto con la parola “compiuto” ha un senso ancora più profondo, sta ad indicare il compimento di un’azione sacra, un sacrificio o un rito d’iniziazione. Ecco perché si parla di “sacrificio della croce”, non soltanto in senso umano quale momento di tragica sofferenza, ma anche in senso teologico quale offerta immolata a Dio. Tutti e quattro gli evangelisti parlano di emissione dello spirito, ed è difficile comprendere come la “Bibbia in lingua corrente”, traduca questa frase ricca di significati con un “banale” morì. Quel emise lo Spirito ha un significato molto più pregnante; in quel “momento” Gesù lascia in eredità il suo Spirito ai presenti che rappresentavano la Chiesa. Infatti è con la morte in croce che inizia l’offerta dello Spirito più volte promessa; poi ci saranno altri momenti di effusione, dopo la Pasqua quando dà agli apostoli il potere di perdonare i peccati (Gv. 20, 22), mentre Luca colloca la grande effusione dello Spirito dieci giorni dopo l’ascensione, per la festa ebraica della Pentecoste (Atti 2, 1-12). Ma qui siamo già in altri articoli del Credo.

Processo romano I giudei ritenevano una una pura formalità presentare il reo al procuratore Ponzio Pilato per la ratifica della sentenza. Non per nulla gli dicono: Se non fosse un malfattore non te lo porteremmo qui (Gv. 18, 30). Pilato non ci sta, è custode del diritto romano. Fa di tutto per liberarlo, anche un tentativo antigiuridico, quello di mandare Gesù da Erode. Alla fine cede quando i giudei minacciano di denunciarlo all’imperatore.

Il viaggio verso il Calvario e la morte di Gesù in croce Le scene registrate nei vangeli (non nell’esercizio della “Via crucis”) durante il viaggio al Calvario, hanno alta probabilità di essere storico-biografiche. Infatti sembra esistessero a Gerusalemme delle donne che commiseravano i condannati e i romani certamente avevano la possibilità di prendere un aiuto per la croce. Forse sul Calvario vi è più teologia: comunque sono momenti intensi. Il perdono al buon ladrone e a tutti i responsabili della sua crocifissione: Perché non sanno quello che fanno, quindi anche a Giuda, a Pietro che lo ha negato, ai sinetristi, a Pilato. Il dono della Madre. Sulla sepoltura diversi esegeti sono critici, ritengono che sia stata la solita sepoltura riservata dai romani a un condannato alla croce, quindi in una fossa comune. Ma la

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Resta da vedere l’affermazione che Gesù sia morto per i nostri peccati: non la si trova direttamente nei vangeli, ma indirettamente si: Il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la vita in riscatto di molti (Mc. 18,45 e Mt. 20,28). Inoltre abbiamo le parole pronunciate nell’Ultima cena dove si parla del pane-corpo dato per voi, del vino-sangue versato per voi; fonte principale di questo concetto è la riflessione teologica di San Paolo (1 Cor. 15, 3).Uno scritto ancora più tardivo (1 Pietro 1, 2820) parla del sangue di Cristo che ci ha liberato dalla nostra vuota condotta ereditaria. Ma non possiamo sottacere con Romano Penna (Gesù di Nazaret, pg. 72) che, più delle parole, esprimono questa finalità le azioni di Gesù. Egli ha vissuto con la coscienza di dover soggiacere al destino dei profeti (Lc. 13,34) annoverandosi fra vittime della città santa: Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi coloro che sono stati inviati a te. Va comunque rifiutata la tesi di una morte per placare l’ora funesta di un Dio (Padre) offeso dai peccati dell’uomo! Questo tipo di Dio sarebbe esattamente il contrario di quello presentato ed insegnato da Gesù in tutta la sua vita pubblica, che “fa sorgere il suo sole sui buoni e sui cattivi”, che accoglie il figlio (peccatore) scappato da casa e non gli rinfaccia nemmeno la sua colpa, ma lo reintegra nel suo amore totale. Quando i teologi s’impegnano sono capaci di inventare molte teorie anche parecchio distanti dai vangeli.


Alla vittima pasquale, s’innalzi oggi il sacrificio di lode. L’Agnello ha redento il suo gregge. L’Innocente ha riconciliato noi, peccatori, col Padre. Morte e vita si sono affrontate in prodigioso duello. Il Signore della vita era morto, ma ora, vivo trionfa. “Raccontaci Maria: che hai visto sulla via?”. “La tomba del Cristo vivente, la gloria del Cristo risorgente, e gli angeli, suoi testimoni, il sudario e le sue vesti. Cristo, mia speranza, è risorto: precede i suoi in Galilea”. Si, ne siamo certi. Cristo è davvero risorto. Tu, Re vittorioso, abbi pietà di noi. Alleluia.


Messaggio tematico

La dimensione cosmica dei sacramenti olendo parlare di sacramenti ci è sembrato opportuno dedicare al tema di fondo un articolo, cioé trattare il sacramento in generale, spiegando cosa indica questa parola “sacramento” nella dottrina cattolica. Ci siamo rivolti ad una persona che di questa materia ne ha fatto oggetto d’insegnamento a livello universitario, il nostro Don Sandro Vitalini sempre disponibilissima a dare una mano a chi chiede aiuto e consiglio. Lo ringraziamento nella speranza di averlo altre volte ospite di questa nostra rivista.

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Che cosa è un sacramento? Come possiamo spiegare questo nome ad un cattolico moderno? Per spiegare il significato del Sacramento dobbiamo ricordare due verità fondamentali: a) il Verbo (Logos) unigenito del Padre crea l’Universo, che ha consistenza in Lui (Giovanni 1, 3; Colossesi 1, 15-20; Ebrei 1, 1-3). b) Il Verbo eterno ha assunto la nostra carne e ha posto la sua tenda in mezzo a noi (Giovanni 1, 14). Se sappiamo trarre le logiche conseguenze da queste verità rivelate, ci rendiamo conto che non esiste più uno spazio profano (fuori del tempio), perché l’universo è il tempio della presenza creatrice e divinizzatrice del Verbo: “È giunto il momento, ed è questo, nel quale i veri adoratori adoreranno il Padre in Spirito e Verità; perché il Padre cerca tali adoratori” (Giovanni 4, 23). In quest’ottica, in opposizione alla tradizione religiosa universale, i cristiani non hanno (non dovrebbero avere!) templi immaginati come abitazioni della divinità; le nostre cattedrali monumentali non sono ispirate alla logica evangelica, che adora il Cri-

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sto Pantocrator (da non tradurre erroneamente con “omnipotens”, ma, per stare alla lettera, con “omnitenens”) presente nella creazione ed in particolare nell’uomo, soprattutto se affamato, ignudo, profugo, carcerato (Matteo 25, 31-46). Se il cristianesimo fosse stato fedele, come nei primi secoli, al Vangelo, ci avrebbe lasciato come vestigia non delle cattedrali, ma degli ospedali, nei quali il Cristo era accolto e curato. La liturgia fiorisce dalla diaconia. Per l’assemblea liturgica abbiamo bisogno di un luogo decoroso, nel quale si possa “mangiare la Pasqua” (Luca 22,11), fermo restando che essa è vera nella misura in cui si prolunga nel servizio del prossimo nel bisogno: “Chi non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede” (1 Giovanni 4, 20). Il mondo sacramentale è di fatto il mondo in cui viviamo e le benedizioni che pronunciamo sull’acqua, sul fuoco, sui cibi, sulle macchine ci ricordano che dobbiamo sempre ringraziare (1 Tessalonicesi 5, 18; Efesini 5, 20), perché l’amore trinitario creatore vuole sempre più divinizzarci. Mi auguro che noi abbiamo a vedere come Sacramento ogni uomo e ogni altra creatura, scoprendo in ciascuno la divina presenza vivificatrice. Lo sguardo di fede posato su ogni creatura la divinizza e trasforma anche noi, accelerando il ritorno del Signore (2 Pietro 3, 12), e rendendo già presente, anche se solo embrionalmente, quei nuovi cieli e quella nuova terra, nei quali appunto non c’è tempio, perché il Padre e l’Agnello sono Tempio e Luce della Città Santa; dal Trono del Padre e dell’Agnello sgorga il fiume dello Spirito, che rallegra e ravviva la nuova creazione (Apocalisse 21, 22 – 22, 1-20). I cristiani sono chiamati a incarnare questa luce nuova ed eterna che vivifica l’universo (Matteo 6, 16).

Perché i sacramenti sono sette? Chi lo ha stabilito? Sono sempre stati così? La premessa fatta ci aiuta a capire come il numero dei Sacramenti non sia definibile: il numero sette esprime la pienezza dell’opera di Dio. Ma i Padri ne contavano anche solo due, il Battesimo e l’Eucaristia, il che non dovrebbe stupirci se i protestanti arrivano a tre (Battesimo, Eucaristia, Ordine), mentre nel medioevo si arrivava anche a ventiquattro (dove si annoveravano anche il Sacramento dei Canonici e la Benedizione delle Badesse). Questa varietà di numerazione celebra l’universalità dell’attività sacramentale, che non è mai puntuale, limitata ad un momento, ma si estende a tutta la vita. Ciò è ricordato dalla dottrina del “carattere o quasi carattere” che connota ogni azione sacramentale, destinata a perdurare. Il “carattere” è Cristo stesso, come ci ricorda il prologo agli Ebrei, che definisce con termini coniati all’uopo la personalità divino-umana della Parola incarnata. Il Figlio è l’“impronta” della sostanza del Padre (1,3), la “scultura” visibile del Dio invisibile. Il cristiano che aderisce alla trinità diviene anche lui scultura, manifestazione visibile del Dio invisibile. Convertendosi alla Parola che è il Cristo, egli si lascia immergere (battezzare) nella vita trinitaria (Matteo 28, 19-20) che lo associa con le sorelle e i fratelli a una vita di famiglia (Atti 2, 42-46). Si pensi alla gioia degli orfani e delle vedove, di tutti i miserabili, che con il Battesimo entrano a far parte di una famiglia che li provvedeva del pane quotidiano (Atti 4, 32-35). Questa vita miracolosa era possibile grazie al dono dello Spirito (Atti 8, 15-17) che li rendeva, a loro volta, annunciatori della Parola che salva. Si noti come la Parola e il concreto servizio del prossimo connotino la cele-


brazione di ogni gesto sacramentale. È evidente che i cristiani, che si riunivano per pregare, per ascoltare la Parola e per consumare assieme il pasto fraterno, non potessero non rendere grazie ogni giorno al Padre che nel Signore Crocifisso e Risorto li aveva resi per sempre una sola famiglia (Atti 2, 46). La vicinanza ai malati, in funzione della loro guarigione, si esprimeva con una Santa Unzione (Giacomo 5, 14-15), mentre i fratelli confessavano le loro colpe a vicenda per essere perdonati (ivi, v. 16). Si noti come nel Nuovo Testamento il Perdono precede la Confessione delle colpe e anzi spesso non la preveda nemmeno (Luca 7, 36-50; Giovanni 4, 1-42; 8, 1-11). Le comunità dei battezzati sono strutturate (Atti 20,28), dove i pastori sono quei servi che danno anche la vita per le pecore di Gesù (Giovanni 10, 15). Le piccole comunità cristiane si diffondono in un baleno in tutto il bacino mediterraneo grazie alla loro vita di famiglia e alle coppie che testimoniano un modo di amare unico, gioioso, definitivo, dove lo sposo è pronto anche ad immolarsi, come Cristo, per la sua sposa (Efesini 5, 21-33). Il carattere “rivoluzionario” dei Sacramenti è certo alla base della rivoluzione portata dalla Chiesa nel mondo greco-romano, rivoluzione che poi si è infiacchita, quando la Chiesa ha assunto delle prerogative di dominio temporale, che Gesù aveva nettamente rifiutato (Matteo 4, 1-8).

I sacramenti sono tutti uguali o ci sono sacramenti più importanti e altri meno? Il Sacramento, il segno divino per il mondo, è Cristo Gesù, che si incarna nell’uomo. Quanto più (soprattutto nell’Eucaristia) ci facciamo in Lui pane spezzato per il mondo, tanto più rendiamo credibile e attuale la sua redenzione.

Si noti però come il Verbo solleciti da sempre l’uomo a vivere fraternamente a gloria dell’unico Creatore. Nella teologia cristiana si è sempre parlato dei “Sacramenti precristiani” che collegavano gli ebrei come tutti gli altri popoli a Dio, come pure tutti i non cristiani di oggi. La volontà salvifica universale (1 Timoteo 2,4) interessa gli uomini di ogni tempo, così che ogni uomo che opera il bene lascia già agire in sé lo Spirito, anche se non lo sa (Atti 10, 34-36). Tutti i segni del bene, le opere di verità e di giustizia (Giovanni 3, 21) compiute dagli uomini di qualsiasi tempo e luogo, sono dei segni di divinizzazione. Anche nell’evangelizzazione dei singoli come dei popoli il cristianesimo è chiamato non solo ad annunciare il risorto, ma anche a scoprirlo presente e attivo in ogni cultura e religione. Il cristianesimo non è prodotto d’esportazione, ma progetto di vita che deve svilupparsi, anche in modalità molto diverse, secondo il genio e la cultura di ogni popolo, così che ogni popolo lo senta “suo” e scopra l’essenza della rivelazione, iscritta in ogni uomo, che è il comandamento di amare il prossimo come se stesso (Romani 13, 5). Il Sacramento, il segno divino per il mondo, è Cristo Gesù, che si incarna nell’uomo. Quanto più (soprattutto nell’Eucaristia) ci facciamo in Lui pane spezzato per il mondo, tanto più rendiamo credibile e attuale la sua redenzione. Si noti però come il Verbo solleciti da sempre l’uomo a vivere fraternamente a gloria dell’unico Creatore. Nella teologia cristiana si è sempre parlato dei “Sacramenti precristiani” che collegavano gli ebrei come tutti gli altri popoli a Dio, come pure tutti i non cristiani di oggi. La volontà salvifica universale (1 Timoteo 2,4) interessa gli uomini di ogni tempo, così che ogni uomo che opera il bene lascia già

agire in sé lo Spirito, anche se non lo sa (Atti 10, 34-36). Tutti i segni del bene, le opere di verità e di giustizia (Giovanni 3, 21) compiute dagli uomini di qualsiasi tempo e luogo, sono dei segni di divinizzazione. Anche nell’evangelizzazione dei singoli come dei popoli il cristianesimo è chiamato non solo ad annunciare il risorto, ma anche a scoprirlo presente e attivo in ogni cultura e religione. Il cristianesimo non è prodotto d’esportazione, ma progetto di vita che deve svilupparsi, anche in modalità molto diverse, secondo il genio e la cultura di ogni popolo, così che ogni popolo lo senta “suo” e scopra l’essenza della rivelazione, iscritta in ogni uomo, che è il comandamento di amare il prossimo come se stesso (Romani 13, 5).

Non le sembra che la Chiesa abbia privilegiato troppo la preparazione ai sacramenti a scapito dell’istruzione religiosa in genere? Come ci ricorda il prologo agli Ebrei, il Figlio ci parla in modo definitivo ed esaustivo in questi tempi che sono gli ultimi. La sua Parola, testimoniata dal nuovo testamento, è sferzante e vivificante. Ogni celebrazione è imbevuta dalla Parola. È impensabile che si celebri l’Eucaristia (o un altro Sacramento o sacramentale) senza l’animazione della Parola. Quando la Chiesa, nell’età costantiniana, ha perso la propria libertà, ha perso anche lo slancio dell’annuncio e si sono avute delle “cerimonie” , dei “riti” non più vivificati dalla Parola. Così si sono concepiti i Sacramenti come gesti magici (e si è immaginato che un prete potesse consacrare una panetteria o un pagano essere reso cristiano a forza col Battesimo). Ora che siamo usciti dalla greve tutela costantiniana, dobbiamo tornare a respirare la sacra mentalità ecclesiale e

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Messaggio tematico

I sacramenti spiegati ai bambini cosmica, che è tutta imbevuta di Parola di Dio. La vera “forma” del Sacramento è questa Parola che ci converte e ci divinizza, la sua vera “materia” siamo noi, Popolo di Dio, che accetta di essere profetico, sacerdotale e regale (1 Pietro 2, 4-10). Se assimiliamo la Parola del Nuovo Testamento, la cui profondità – gustata da Maria e dagli Apostoli – mai sarà da noi sufficientemente sondata, potremo sperare che l’ordine che Cristo ci dà di essere una cosa sola (Giovanni 17,21) sia da tutti noi battezzati attuato. La nostra testimonianza di amore sororale e fraterno dovrebbe tornare ad essere quella delle comunità paoline, così che il “benefico contagio” della Parola di Dio tocchi tutti i popoli, portandoli a quella fraternità e a quell’amore per i quali sono stati creati: “Un solo Spirito, un solo Signore, un solo Padre di tutti, al di sopra di tutti, che agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti” (Efesini 4, 4-6). don Sandro Vitalini

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bbiamo scritto nella lettera iniziale che vogliamo arricchire la nostra rivista di indicazioni per aiutare i genitori nel loro compito – promesso nel matrimonio e nel battesimo dei figli – di essere i primi educatori cristiani. Purtroppo in parrocchia e nelle lezioni di educazione religiosa a scuola arrivano dei bambini completamente a digiuno di nozioni religiose. I genitori, fino a quel momento spesso non hanno fatto nulla, al massimo li hanno abituati a dire qualche preghierina la sera (invece di dirla insieme) e hanno loro raccontato la storia di Gesù Bambino che porta i doni, quando non l’hanno sostituita con quella di Babbo Natale. Il nostro desiderio è quello di venire incontro alla famiglia presentando un ipotetico dialogo fra genitori e figli sul tema dei sacramenti. Bambino: “Mamma, la catechista ci ha parlato dei sacramenti, ma io ho capito poco, non so bene cosa è un sacramento. Me lo puoi spiegare tu?” Mamma o papà: “Il sacramento è un segno”. Bambino: “Che cos’è un segno?” Mamma o papà: “Ci sono molti segni, per esempio: sulla strada che percorri ogni mattina quando vai a scuola trovi dei cartelli stradali che indicano la direzione o la velocità o la fermata del bus; il semaforo, che indica con i suoi colori che cosa devi fare; oppure puoi incontrare delle persone che indossano una divisa che ti indica la loro professione (poliziotto, postino, frate, suora) o la loro provenienza. Ci sono segnali come una stretta di mano, un sorriso, una carezza che indicano un saluto, un’amicizia, un bel momento. Anche la chiesa ha i suoi segni, la croce, una lampada sempre accesa, l’altare e tanti altri segni che puoi vedere entrando in chiesa. Tra tutti i segni ci sono dei segni speciali che sono i sacramenti.

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I sacramenti sono dei gesti che si fanno in chiesa per dire davanti a tutti che voglio la grazia per vivere come Gesù ci ha insegnato, amandoci e perdonandoci. Bambino: “Che cos’è la grazia?” Mamma o papà: “È un aiuto gratuito che Dio ci dà, ecco perché si chiama grazia. È un aiuto che Dio dà se glielo chiediamo e se vogliamo vivere secondo le sue regole d’Amore”. Bambino: “Io ho già ricevuto un sacramento?” Mamma o papà: “Si, il battesimo che è un gesto che abbiamo scelto di fare per te, chiedendo a Gesù la grazia di aiutarti a crescere come Lui vuole, affinché tu sia veramente felice e tu possa anche rendere felici gli altri”. Bambino: “Ci sono altri sacramenti?” Mamma o papà: “Sì, in tutto sono sette”. 1. Il battesimo, come spiegato prima 2. La cresima: Dio ci regala la forza necessaria per vivere da cristiano, questa forza è lo Spirito Santo. 3 L’ eucarestia o comunione: ripetiamo un gesto che Gesù fece nell’ultima cena prima di morire restando così uniti a lui. 4. La riconciliazione o confessione: quando una persona riconosce di avere sbagliato e di essersi allontanata da Dio, il Signore lo invita a ritornare e lui è pronto a perdonarlo. 5. Il matrimonio: quando un uomo e una donna si uniscono davanti a Dio e promettono di amarsi. 6. L’ordine sacro: quando una persona vuole dedicare totalmente la sua vita a Gesù e al servizio dei fratelli. 7. L’unzione degli infermi: Gesù è un conforto per le persone malate, dona loro sollievo. Bambino: “Mi piacerebbe conoscere anche questi altri segni”. Mamma o papà: “Lo faremo prossimamente”.


Porta d’ingresso all’edificio sacramentale libri non si apprezzano per il numero delle pagine, ma per il contenuto. Col titolo “I sacramenti della vita” (Ed. Borla), Leonardo Boff oltre venticinque anni fa propose un libretto di cento pagine, di facile e profondo contenuto che, con questo numero, iniziamo a leggere insieme.

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1. Quando le cose cominciano a parlare ... Questo libro può essere capito soltanto da quegli spiriti che, pur nel mondo tecnico-scientifico moderno, vivono di un altro spirito che permette loro di vedere al di là di un qualunque paesaggio e di spaziare sempre al di là di un qualunque orizzonte. Questo spirito vive oggi nelle profondità della nostra esperienza culturale. È come un fiume sotterraneo che alimenta le sorgenti e queste i fiumi in superficie. Non lo vediamo. Ma è il più importante. Perché ominizza le cose e umanizza i rapporti con loro. Questo spirito scopre il significato segreto scolpito in esse. L’uomo non è soltanto manipolatore del suo mondo. È anche qualcuno capace di leggere il messaggio che il mondo porta in sé. Questo messaggio è scritto in tutte le cose che formano il mondo. I semeiologi antichi e moderni videro molto bene che le cose, oltre a essere cose, costituiscono un sistema di segni. Sono sillabe di un grande alfabeto. E l’alfabeto è al servizio di un messaggio scolpito nelle cose, messaggio che può essere descritto e decifrato da chi ha gli occhi aperti. L’uomo è un essere in grado di leggere il messaggio del mondo. Non è mai un analfabeta. È sempre colui che, nella molteplicità dei linguaggi, può leggere e interpretare. Vivere è leggere e interpretare. Nell’effimero può leggere il Permanente; nel temporale, l’Eterno; nel mondo, Dio. Allora l’effimero si trasfigura in segnale della presenza del Permanente; il temporale in simbolo della realtà dell’Eterno; il mondo in grande sacra- mento di Dio. Quando le cose cominciano a parlare e l‘uomo a sentire la loro voce, allora appare l’edificio sacramentale. Sul suo frontespizio è scritto: tutto quanto è reale non è altro che un segno. Segno di che? Di un’altra realtà, Realtà fondamento di tutte le cose, di Dio.

2. L’uomo moderno è anche sacramentale Non crediamo che l’uomo moderno abbia perduto il senso del simbolico e del sacramentale. Egli pure è uomo, come altri di altre epoche culturali, e perciò è anche generatore di simboli espressivi della sua interiorità e capace di decifrare il significato simbolico del mondo. Può darsi che sia diventato cieco e sordo a un certo genere di simboli e riti

sacramentali che si sono sclerotizzati o sono diventati anacronistici. La colpa è allora dei riti e non dell’uomo moderno. Non possiamo nascondere il fatto che nell’universo sacramentale cristiano sia avvenuto un processo di mummificazione rituale. I riti attuali dicono poco di per sé. Devono essere spiegati. Un segno che deve essere spiegato non è un segno. Ciò che deve essere spiegato non è il segno, ma il Mistero contenuto nel segno. A causa di questa mummificazione rituale, l’uomo moderno secolarizzato sospetta dell’universo sacramentale cristiano. Può sentirsi tentato di rompere ogni rapporto con il simbolico religioso. Nel farlo, non tronca soltanto con una ricchezza importante della religione; chiude anche le finestre della sua stessa anima, perché il simbolico e il sacramentale sono dimensioni profonde della realtà umana.

3. Il sacramento: un gioco tra l’uomo, il mondo e Dio I fenomenologi e gli antropologi hanno descritto minuziosamente il gioco dell’uomo con il mondo. Ci sono tre stadi successivi. Al primo stadio l’uomo prova un senso di diffidenza. Egli prova ammirazione per le cose, persino timore. Le esamina da tutte le parti. Va sostituendo sorprese con certezze. Il secondo stadio rappresenta il termine di quel processo che è l’addomesticamento. L’uomo riesce a interpretare e quindi a dominare quello che era motivo di diffidenza. La scienza si trova a questo stadio: inquadra i fenomeni all’interno di un sistema coerente allo scopo di addomesticarli. Infine, l’uomo si abitua agli oggetti. Fanno parte del paesaggio umano. Nel frattempo, questo gioco ha modificato l’uomo e gli oggetti. Essi non sono più semplici oggetti. Diventano segni e simboli dell’incontro, dello sforzo, della conquista, dell’interiorità umana. Gli oggetti addomesticati cominciano a parlare e a raccontare la storia del gioco con l’uomo. Si trasformano in sacramenti. Il mondo umano, anche se materiale e tecnico, non è mai soltanto materiale e tecnico; è simbolico e carico di significato. Chi è perfettamente a conoscenza di questo sono coloro che conducono le masse attraverso i mezzi di comunicazione sociale. Ciò che guida gli uomini non sono tanto le ideologie, ma i simboli e i miti sollecitati partendo dall’inconscio collettivo. La pubblicità commerciale in TV presenta la sigaretta XY. Chi fuma questa marca fa parte degli “dei”: uomini belli, ricchi, nelle loro abitazioni meravigliose, con le loro donne affascinanti, pienamente appagati nell’amore, in una soluzione completa di tutti i conflitti. Tutta questa finzione è rituale e simbolica. Sono i sacramenti profani e profanatori che devono evocare la partecipazione ad una realtà onirica e perfetta e dare la sen-

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Messaggio tematico

sazione di trascendere ormai questo mondo conflittuale e difficile. L’uomo possiede questo di straordinario: può fare di un oggetto un simbolo e di un’azione un rito. Facciamo un esempio: prendere “chimarrão da cuia”1. Quando qualcuno viene a trovarci, nel sud del Brasile, gli offriamo subito una “cuia” di “chimarrão” caldo. Ci sediamo comodamente al fresco. Prendiamo dalla stessa “cuia” e succhiamo dalla stessa “bomba”2. Si prende non perché si ha sete o per il gusto amarognolo, o perché “fa miracoli e libera da qualunque indigestione”. L’azione ha un altro significato. È un’azione rituale per festeggiare l’incontro e assaporare l’amicizia. Il centro dell’attenzione non è nel “chimarrão”, ma nella persona. Il “chimarrão” svolge una funzione sacramentale. Paolo in 1 Cor 11, 20-22 ha visto bene: alcuni vengono alla cena eucaristica soltanto per placare la fame e saziare la sete. Costoro perdono il significato del sacramento. Celebriamo la cena eucaristica non per placare la fame, ma per festeggiare e partecipare alla Cena del Signore. L’azione del mangiare per placare la fame e quella di celebrare l’ultima Cena è la stessa. Ma nell’uno e nell’altro caso il significato è differente. L’azione quotidiana del mangiare è portatrice di un’espressione differente e simbolica. Questa azione costituisce il sacramento. Il sacramento ha, pertanto, un profondo radicamento antropologico. Spezzarlo sarebbe spezzare la stessa radice di vita e rovinare il gioco dell’uomo con il mondo. Il cristianesimo intende se stesso, non soprattutto come un sistema architettonico di verità salvifiche, ma come partecipazione della Vita divina nel mondo. Il mondo, le cose e gli uomini sono pervasi dalla Linfa generosa di Dio. Le cose sono portatrici di salvezza e di un Mistero. Per questo sono sacramentali. La riluttanza del cristiano verso il materialismo marxista viene, in gran parte, da questo diverso modo di considerare la materia. Essa non è soltanto oggetto di manipolazione e di possesso dell’uomo, è portatrice di Dio e luogo d’incontro della salvezza. La materia è sacramentale. Questa sacramentalità universale raggiunse la sua massima densità in Gesù Cristo, Sacramento Primordiale di Dio. Con la sua ascensione e scomparsa agli occhi umani, la densità sacramentale di Cristo passò alla Chiesa che è il Sacramento di Cristo continuato nel tempo. Il sacramento

universale della Chiesa si concretizza nelle varie situazioni della vita e fonda la struttura sacramentale, centrata particolarmente nei sette sacramenti, Bisogna, tuttavia, osservare: i sette sacramenti non assorbono tutta la ricchezza sacramentale della Chiesa. Tutto ciò che essa fa possiede una densità sacramentale, perché essa è, fondamentalmente, sacramento. La grazia, ugualmente, non è legata ai sette segni maggiori della fede. Essa ci viene con altri segni sacramentali: può essere la parola di un amico, un articolo di stampa, un messaggio perduto nello spazio, uno sguardo supplice, un gesto di riconciliazione, una sfida che ci viene dalla povertà e dall’oppressione. Tutto può essere un veicolo sacramentale della grazia divina. Poter individuare e accogliere così la salvezza, sotto segni così concreti, è opera e impresa di una fede matura. Il cristiano di oggi dovrebbe essere educato a vedere il sacramento oltre gli stretti limiti dei sette sacramenti. Una volta adulto, dovrebbe saper discernere riti che diano un significato e che celebrino l’irruzione della grazia nella sua vita e nella sua comunità. L’impegno del nostro saggio è portare a questo.

4. La narrativa: il linguaggio del sacramento Se il sacramento profano o sacro deriva dal gioco dell’uomo con il mondo e con Dio, allora la struttura del suo linguaggio non è argomentativi, ma narrativa. Non argomenta né vuole persuadere. Vuole celebrare e narrare la storia dell’incontro dell’uomo con gli oggetti, le situazioni, e gli altri uomini dai quali è stato provocato a trascendere e che gli hanno evocato una Realtà superiore, resa presente attraverso a loro, convocandolo all’incontro sacramentale con Dio. La teologia è stata per secoli argomentativa. Voleva parlare all’intelligenza degli uomini e convincerli della verità religiosa. I risultati sono stati mediocri. Convinceva, generalmente, soltanto quelli già convinti. Si era cullata nell’illusione che Dio, il suo segno salvifico, il futuro promesso all’uomo, il mistero dell’Uomo-Dio Gesù Cristo, potessero essere accettati intellettualmente senza prima essere stati accolti nella vita e aver trasformato il cuore. Si era dimenticata, almeno a livello di teologia manualistica e di discorso apologetico, del fatto che la verità religiosa non è mai una formula astratta e il termine di un ragio-

1 È un mate senza zucchero servito nell’apposita zucchetta (cuia). Le foglie dell’erva-mate, albero della famiglia dei lecci, sono fatte seccare e pestate e quindi se ne fa un infuso che viene servito in una specie di zucca da fiaschi prodotta dalla pianta della cuieira della famiglia delle Bigoniacee (crescentia cujete) il cui frutto è simile ad una zucca da fiaschi. 2 Cannuccia di metallo o di legno con cui si succhia il mate. Nella estremità inferiore ha una specie di reticella che impedisce l’entrata della polvere dell’erba nella bocca.

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namento logico. In primo luogo e fondamentalmente essa è un’esperienza vitale; un incontro con il Senso definitivo. Solamente dopo, nello sforzo di una connessione culturale, è tradotta in una formula ed è reso esplicito il momento razionale in essa contenuto. Il sacramento, come vedremo durante le nostre riflessioni, si traduce essenzialmente in termini di incontro. All’origine del sacramento c’è sempre una storia che comincia: “C’era una volta una brocca ... un pezzo di pane ... un mozzicone di sigaretta ... un Uomo-Dio chiamato Gesù ... una cena che Egli celebrò ... un gesto di perdono che Egli fece”. Perciò, come insegnano i semeiologi sul discorso teologico, il linguaggio della religione e del sacramento non è mai soltanto descrittivo. È principalmente evocativo. Narra un fatto, racconta un miracolo, descrive una manifestazione rivelatrice di Dio, per evocare nell’uomo la realtà divina, il procedimento di Dio, la promessa della salvezza. È questo che interessa sin dal principio. Esempio: sono davanti a una montagna. Posso descrivere la montagna, la sua storia millenaria, la sua composizione fisicochimica. Sono uno scienziato. Ma al di là di questa dimensione vera, ce n’è un’altra. La montagna evoca la grandezza, la maestà, l’imponenza, la stabilità, l’eternità. Essa evoca Dio che fu chiamato di Pietra. La pietra è a servizio della stabilità, dell’imponenza, della maestà e della grandezza. Essa si fa sacramento di questi valori. Li evoca. Il linguaggio religioso si pone soprattutto in questo orizzonte di evocazione. Il sacramento è, essenzialmente, evocazione di un passato e di un futuro, vissuti nel presente. Il linguaggio religioso e sacramentale è auto-implicativo. Perché non è soltanto descrittivo, ma innanzi tutto evocativo, esso coinvolge sempre la persona con le cose. Non lascia nessuno neutrale. Lo tocca fin dentro; instaura un incontro che modifica l’uomo e il suo mondo. Nel suo libro Memorie dalla casa dei morti, Dostoiewski racconta la sua liberazione. Nell’abbandonare la Casa dei Morti osserva i ferri che gli imprigionavano le gambe. Sono spezzati a martellate sull’incudine. Osserva i pezzi sul pavimento, pezzi che gli danno il gusto della libertà. Prima di uscire, va a vedere e a salutare le palizzate, le locande sudice. Tutto gli era divenuto familiare e fraterno. Lì egli lasciò parte della sua vita. Ormai facevano già parte della sua vita. Si sentiva coinvolto in tutto ciò, perché le cose ormai non erano più cose. Erano sacramenti, che evocavano la sofferenza, le lunghe veglie, l’ansia di libertà. Il linguaggio religioso e sacramentale è, infine, preformativo, cioè, porta a una modificazione della prassi umana. Induce alla conversione. Fa ricorso a un’apertura e a una conseguente accoglienza nella vita. Il nostro saggio cerca di articolare il linguaggio

narrativo nella sua dimensione evocatrice, auto-implicante e preformatrice applicata all’universo sacramentale. Il nostro sforzo è orientato al superamento della ricchezza religiosa insita nell’universo simbolico e sacramentale che popola la nostra vita quotidiana. I sacramenti non sono proprietà privata della sacra gerarchia. Essi sono parte integrante della vita umana. La fede vede la grazia presente nei gesti più rudimentali della vita.

Per questo li ritualizza e li porta a livello di sacramento. Il nostro intento con questo saggio, è di svegliare la dimensione sacramentale addormentata o profanata nella nostra vita. Una volta svegli, possiamo celebrare la presenza misteriosa e concreta della grazia che abita nel nostro mondo. Dio era sempre là, anche prima che ci svegliassimo. Adesso che ci svegliamo possiamo vedere come il mondo è sacramento di Dio. Chi ha capito i sacramenti della vita è molto vicino, anzi, è già dentro la Vita dei sacramenti.

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Messaggio Conosceredel Francesco Vescovo

La ‘discrezione’ di Francesco ono consapevole che il termine italiano ‘discrezione’ potrebbe condurci molto lontano dal significato che esso rivestiva per Francesco o i suoi agiografi. Infatti noi siamo abituati a indicare con questa parola uno spiccato senso dei limiti nostri o altrui, o la capacità di mantenere un segreto. Il che è già significativo. Ma già il noto dizionario Devoto-Oli della lingua italiana, come primo significato di ‘discrezione’, dice testualmente: “Facoltà che permette di uniformare i propri atti o le proprie parole a criteri soddisfacenti sul piano della ragionevolezza e dell’utilità”. Questa definizione, a mio avviso, rende molto bene lo spessore del termine latino ‘discretio’, applicato dall’agiografo al comportamento di Francesco verso un fratello in difficoltà, come possiamo constatare in questo significativo racconto della “Leggenda perugina”, collocato addirittura dall’agiografo all’inizio del suo dettato.

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“Nei primordi dell’Ordine, quando Francesco cominciò ad avere dei fratelli, dimorava con essi presso Rivotorto. Una volta, sulla mezzanotte, mentre tutti riposavano sui loro giacigli, un frate gridò all’improvviso: «Muoio! Muoio!». Tutti gli altri si svegliarono stupefatti ed atterriti. Francesco si alzò e disse: « Levatevi, fratelli, ed accendete un lume ». Accesa la lucerna, il Santo interrogò: « Chi ha gridato: Muoio? ». Quello rispose: «Sono io». Riprese Francesco: « Che hai, fratello? Di cosa muori? ». E lui: « Muoio di fame ». Francesco, da uomo pieno di bontà e gentilezza, fece subito preparare la mensa. E affinché quel fratello non si vergognasse a mangiare da solo, si posero tutti a mangiare insieme con lui. Sia quel frate sia gli altri si erano convertiti al Signore da poco tempo, e affliggevano oltremisura il corpo. Dopo la refezione, Francesco parlò: « Cari fratelli, raccomando che ognuno tenga conto della propria condizione fisica. Se uno di voi riesce a sostenersi con meno cibo di un altro, non voglio che chi abbisogna di nutrimento più abbondante si sforzi di imitare l’altro su questo punto; ma, adeguandosi alla propria complessione, dia quanto è necessario al suo corpo. Come ci dobbiamo trattenere dal soverchio mangiare, nocivo al corpo e all’anima, così, e anche di più, dalla eccessiva astinenza, poiché il Signore preferisce la misericordia al sacrificio ». Disse ancora: « Carissimi fratelli, ispirato dall’affetto io ho compiuto un gesto, quello cioè di mangiare assieme al fratello, affinché non si vergognasse di cibarsi da solo. Ebbene, vi sono stato sospinto da una grande necessità e dalla carità. Sappiate però che, d’ora innanzi, non voglio ripetere questo gesto; non sarebbe conforme alla vita religiosa né dignitoso. Voglio pertanto e ordino che ciascuno,

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nei limiti della nostra povertà, accordi al suo corpo quanto gli è necessario ». Questo episodio, con le riflessioni che l’accompagnano, è riportato pure da un altro noto scritto francescano, cioè lo “Specchio di perfezione” 27-28 (FF1712-1713). In questo testo, come nella “Leggenda perugina” (FF 1546), ricorre quella frase tipica “Nos vero, qui cum ipso fuimus” (“Noi che abbiamo vissuto con lui”), la quale costituisce una specie di sigillo-attestazione della veridicità di ciò che si dice e dell’attendibilità di chi lo racconta.

La ‘discrezione’ di Francesco per i fratelli Francesco, definito dall’agiografo “uomo pieno di bontà e gentilezza”, di fronte al caso del fratello che, in piena notte, sveglia tutti con il suo grido “Muoio! Muoio!” (di fame), invita tutti i frati presenti a preparare la mensa, così che il fratello bisognoso non si debba vergognare a mangiare da solo. Poi esorta tutti i frati lì presenti, ma anche in generale, a tener conto della propria costituzione fisica e a non imitare pedissequamente e senza discrezione i compagni più robusti o più resistenti alle privazioni corporali. Francesco, da buon psicologo (non per sé, ma per gli altri), aveva capito che occorreva evitare i due estremi, cioè sia l’eccessivo mangiare sia l’eccessiva astinenza, perché osserva – citando un passo dell’evangelista Matteo (12,7) – il “Signore preferisce la misericordia al sacrificio”. Ed ecco la conclusione pratica di Francesco: “ Voglio pertanto e ordino che ciascuno, nei limiti della nostra povertà, accordi al suo corpo quanto gli è necessario”. Questo episodio non dovette rimanere isolato, perché poco più avanti la nostra “Leggenda perugina” attesta in maniera esplicita: “Noi che siamo vissuti con lui, siamo in grado di testimoniare a suo riguardo che, dal tempo che cominciò ad avere dei fratelli e poi per tutta la durata della sua vita, usò discrezione verso di loro bastandogli che nei cibi e in ogni altra cosa non uscissero dai limiti della povertà e dell’equilibrio, cosa tradizionale tra i frati dei primordi” (FF 1546).

La poca ‘discrezione’ di Francesco per sé stesso Forse la paura del convertito Francesco di non essere un modello credibile per i suoi fratelli, gli suggerisce la decisione di non voler ripetere il gesto caritatevole verso il fratello affamato, perché “non sarebbe conforme alla vita religiosa né dignitoso”. È difficile capire che cosa intendesse dire Francesco (o l’agiografo) con questa affermazione perentoria. Infatti, sia la “Leggenda perugina” come anche lo “Specchio di perfezione” riferiscono che i primi


frati e quanti vennero dopo di loro, per molto tempo erano soliti strapazzare il proprio corpo non solo con una esagerata astinenza nel mangiare e nel bere, ma anche rinunciando a dormire, non riparandosi dal freddo, lavorando con le loro mani. Portavano direttamente sulla pelle, sotto i panni, cerchi di ferro e corazze, chi poteva procurarsene, o anche i più ruvidi cilizi che riuscivano ad avere” (FF 1546; 1713). Ma Francesco, stando all’agiografo, questa volta interviene e, durante un Capitolo, proibisce ai frati di “portare sulla

carne null’altro che la tonaca”. E questo anche per evitare malattie ed infezioni. Cosa concludere? Con l’aiuto del Signore (implorato nella preghiera) e con la sua esperienza con i fratelli, forse anche Francesco riuscirà a capire che la penitenza è e deve essere solo un mezzo, non un fine. Non per niente, prima di morire, chiederà perdono a “fratello corpo” per averlo trattato troppo male. fra Riccardo Quadri

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Messaggio dall’Ordine Francescano Secolare

Sorelle e Fratelli dell’OFS a’di, un autore arabo dei primi tempi dell’egira, racconta che dopo una giornata di caccia arrostirono della selvaggina per offrirla ad Anuswiran, detto il Giusto. Mancando il sale, un domestico andò a prenderne nel villaggio vicino. Anuswiran gli disse: “Paga il prezzo del sale affinché non diventi un’abitudine il costume di prendere le cose senza pagare e il villaggio ne resti rovinato.”. Gli risposero:”Da questa piccola quantità che male ne può venire?”. Riprese:”L’ingiustizia nel mondo ebbe un piccolo principio. Chiunque venne dopo aggiunse qualcosa, finché siamo arrivati all’estremo dei nostri tempi.”. Quanto tempo è trascorso! Venti, pioggie, guerre e pace hanno attraversato il cammino di ogni popolo e ancora oggi, martellati dai media, sentiamo il ripetere vano di questo discorso. San Francesco, di cui, con umiltà e gioia, dovremmo essere testimoni ci ha lasciato questo messaggio e ci sprona a renderlo vivo e lo traduce concretamente, in termini di povertà evangelica. Ce lo ha ricordato il papa Benedetto XVI nella sua omelia del 1° gennaio, giornata della pace. “Il francescanesimo, nella storia della Chiesa e della civiltà cristiana, costituisce una diffusa corrente di povertà evangelica che tanto bene ha fatto e continua a fare alla Chiesa

S

ed alla famiglia umana.” Alla vigilia di questa Pasqua 2009, a cui ci prepariamo per ricordare la morte in croce di nostro Signore, nella contemplazione della gloria della Sua resurrezione, voglia il Signore farci riflettere, ancora una volta, sull’inestimabile tesoro della ‘povertà evangelica’ che ci è stato dato in eredità. Come Maria ai piedi della croce, mentre piange il suo figlio e il suo Dio, in un mistero incomprensibile, attendiamo con gioia l’annuncio della Sua resurrezione. La carità, l’amore che vengono dal cuore, in particolar modo per noi donne, si esprimono attraverso le mani. Le persone possono parlare all’infinito ma finché non usano le mani le loro parole rimangono parole vuote. Le mani raccontano la fatica di essere donne, come partecipazione concreta alla vita, seguendo il più umile dei cammini verso la salvezza. Mi ritorna alla mente una frase di Giovanni XXIII, la sera del suo commiato al popolo di Dio che affollava piazza San Pietro: “Ritornate alle vostre case e portate ai vostri bambini, a chi è affamato di solitudine, di incomprensione, di desiderio di essere amato, una carezza...”. È il mio augurio per questo nuovo tempo di vita, a tutti/e voi, nelle fraternità vicine e lontane. Che le nostre mani sappiano accarezzare con benevolenza ed amore chiunque ci accosti! Gabriella Modonesi

Carissimi, l’esperienza della fede cristiana ci farà rivivere gli avvenimenti che hanno coinvolto la persona di Gesù. Certo, ciò che ricordiamo con la fede è storicamente avvenuto oltre 2000 anni fa, ma la memoria del cuore non stenta a recuperarne tutto il significato e la sua importanza: “dalle sue piaghe, siamo stati guariti”, dice il profeta Isaia.Liturgicamente, la Pasqua è la festa più importante dell’anno cristiano. Il triduo pasquale ne rafforza la bellezza ed il mistero. La mattina del giovedì santo il Vescovo celebra in Cattedrale la Messa Crismale; attorniato dal presbiterio, benedice i nuovi oli santi per l’amministrazione dei sacramenti: l’olio dei catecumeni, il sacro crisma e l’olio per gli ammalati. Giunta la sera ogni sacerdote, celebrando la Messa “in Cœna Domini”, ricorda l’istituzione dell’Eucaristia e del sacramento del sacerdozio. Venerdì santo è il giorno della morte del Signore. Nel mondo intero non viene celebrata nessuna Messa ma la liturgia assume le tonalità forti della Via Crucis, memoria del cammino di Cristo verso il compimento della sua missione: amare

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l’uomo fino alla fine. Sabato santo la Chiesa si accosta al sepolcro per contemplare il Figlio di Dio morto per noi, nell’attesa gioiosa della Veglia Pasquale durante la quale, con il canto del gloria e dell’alleluia, si annuncia la risurrezione del Signore. La pagina di Turoldo che ho scelto come cappello introduttivo al mio augurio pasquale all’OFS, sottintende il dolore della città santa per le guerre che si susseguono dalla sua fondazione ad oggi. Al posto dei messaggi di speranza annunciati dai profeti e da Cristo stesso, il grido di dolore dell’uomo continua a salire dalle pietre insanguinate della capitale delle fede monoteista. Sarà Pasqua solo se avremo un pensiero di affetto anche per il popolo martoriato di Israele, di Gaza e di tutti i popoli in conflitto. Dio ispiri ai potenti sentimenti di pace e di reciproca convivenza. A tutti, e di cuore, BUONA PASQUA! fra Michele Ravetta Assistente regionale OFS


Fraternità di Bellinzona in festa Ogni anno la Fraternità di Bellinzona, per la ricorrenza di Santa Elisabetta, patrona dell’OFS, celebra una Messa in suo onore durante la quale si rinnova la professione emessa a suo tempo, si ricordano i defunti e, se vi sono candidati, c’è il rito della vestizione o professione. Importanza particolare quest’anno: la Santa Messa concludeva i festeggiamenti per l’ottavo centenario della nascita di Santa Elisabetta (ancora vivo in noi il ricordo del passaggio della reliquia) e veniva celebrato il rito di professione di Annamaria. In piu’ la gioia e l’onore della presenza della cara ministra regionale Gabriella che ha voluto condividere questi momenti forti testimoniando il suo attaccamento alle fraternità a lei affidate. Il rito della professione è uno dei momenti significativi nella vita di ogni francescano secolare. Cosi’ è stato per Annamaria, persona discreta e umile, che da qualche anno si è avvicinata alla Fraternità ed è stata accolta ufficialmente tra noi nel 2007. La sua preparazione nel tempo di noviziato è stata seria ed approfondita e la sua richiesta di essere ammessa a professare la Regola dell’Ordine Francescano Secolare è stata accolta favorevolmente dalla ministra a nome della Fraternità con una preghiera che è bene ricordare: “La Fraternità accoglie la tua richiesta e si associa alla tua preghiera, affinché lo Spirito Santo porti a compimento l’opera da lui incominciata.” L’adesione personale al “voler abbracciare la forma evangelica che si ispira agli

esempi e agli insegnamenti di Francesco d’Assisi esposta nella Regola dell’Ordine Francescano Secolare”, al “voler essere fedele a questa vocazione e avere lo spirito di servizio proprio dei francescani secolari” e il “volersi

legare piu’ strettamente alla Chiesa e collaborare al suo perenne rinnovamento e alla sua missione tra gli uomini”, espressa da Annamaria con il suo “Voglio”, ha coinvolto tutti noi e ha fatto sentire veramente presente e operante lo Spirito di Dio, cosi’ come nel momento del rinnovo comunitario della Professione pronunciato insieme poco dopo. È seguita una piccola festa dove ci siamo intrattenuti fraternamente con Gabriella. La gioia era grande, perché una nuova adesione è sempre motivo di speranza e di incitamento e ringraziamo di cuore il Signore. Franca

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Dieci minuti per te

Il silenzio è la rivelazione «Non è indesiderabile per la mente divenire silenziosa, libera da pensieri ed immota; perché proprio quando la mente entra in questo grande silenzio di pura presenza, si verifica, il più spesso, la completa discesa di una grande pace proveniente dall’Alto e, in questa sconfinata tranquillità, la realizzazione del Sé silenzioso al di sopra della mente, diffuso ovunque nella sua immensità». Sono parole di Aurobindo Ghose, filosofo e maestro spirituale indiano. Alcuni accostano la figura di Aurobindo a quella di Teilhard de Chardin, per l’ampiezza delle sue visioni sull’uomo e sul mondo. Nato a Calcutta nel 1872, ricevette un’educazione classica in Inghilterra. Tornato in India nel 1893, studiò le grandi tradizioni sanscrita e bengali, e militò in favore dell’indipendenza del Bengala. Nel 1910 si stabilì definitivamente a Pondichéry, dove morì nel 1950. Il testo appena citato è tratto dal libro Guida allo yoga; un’opera postuma, non scritta da lui, ma che raccoglie in forma tematica estratti delle sue lettere, indirizzate a vari discepoli o gruppi di discepoli, che egli seguiva da vicino e con scrupolosa attenzione nel loro cammino spirituale. Il testo proposto, offre una splendida sintesi della meditazione. Può essere accostata a un altro testo, anche più famoso: L’infinito di Leopardi. Nè L’infinito, Leopardi è certamente cosciente di descrivere una sua esperienza personale intensa. Si tratta di un’esperienza vissuta in uno stato di profonda meditazione, anche se lui non lo dice esplicitamente. Aurobindo, invece, ha chiara intenzione di descrivere l’esperienza meditativa: quale è lo stato meditativo, quali sono le condizioni per giungere a esso, quali le sue conseguenze. I due testi, comunque, procedono su una identica lunghezza d’onda e propongono, fin dalle loro prime battutte, un identico messaggio. Esso parte dalla gioia. Parla anzitutto della soddisfazione e del piacere che uno trova nel raccogliersi. È un piacere che cresce a mano a mano che si avanza nel cammino. Sempre caro mi fu quest’ermo colle e questa siepe, che da tanta parte dell’ultimo orizzonte il guardo esclude. Non è indesiderabile – cioè è altamente piacevole – per la mente diventare totalmente silenziosa, libera da pensieri e immota. Leopardi racconta di sé, di una sua esperienza di silenzio realmente vissuta. Era per lui estremamente piacevole salire quell’ermo colle, entrare in quella specie di romitaggio, e se-

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dersi silenzioso davanti a quella siepe, anche se toglieva alla vista tanta parte dell’ultimo orizzonte. Anche Aurobindo parla di sé, di una sua ricerca costante e profonda, e dice che non è indesiderabile, cioè è altamente piacevole per l’uomo raccogliersi nell’immobilità del silenzio, liberare la mente dai consueti pensieri, contemplare e riposarsi alla presenza di qualcuno o di qualcosa nel segno della gratuità e nella disponibilità al qui e ora. Ma se per Aurobindo l’esperienza del silenzio e del raccoglimento è sempre desiderabile e piacevole, per Leopardi – fatta eccezione per L’infinito – le cose sembrano stare diversamente. Forse, nella stragrande maggioranza dei casi, è così anche per noi. L’esperienza del silenzio, infatti, viene facilmente vissuta come esperienza di tensione, irrequietezza, tedio, paura. È solo in virtù di un’educazione regolare e perseverante al silenzio, che esso, alla fine, diventa desiderabile e piacevole, anzi, una vera e propria necessità che, come il riposo della notte, ci rigenera nel corpo e nello spirito. Questo spiega perché, in genere, occorre lavorare a lungo prima che la pratica della meditazione diventi una pratica regolare e spontanea, come il nutrirsi e il respirare. In altre poesie, Leopardi sottolinea, invece dell’aspetto estatico, proprio la problematicità del silenzio, le difficoltà e gli aspetti sofferti legati al silenzio e all’immobilità. Naturalmente, leggendo Leopardi occorre sempre tenere presente che egli non è solo un poeta, ma un poeta filosofo. Le sue poesie, che svelano una straordinaria profondità d’intuizione, d’umanità e di sentimento, sono sempre anche l’espressione di una precisa scelta di campo. Per motivi personali e filosofici-letterari, Leopardi ha scelto di essere un cantore pessimista della vita, teso a mettere in luce gli aspetti oscuri dell’esistenza. Non è un poeta da raccomandare a chi soffre di stati depressivi o di accentuate tendenze alla tristezza. Ad esempio, di una bellezza unica, ma anche drammatica, sono i versi del famosissimo Canto notturno di un pastore errante dell’Asia, dove Leopardi esprime, immedesimandosi col pastore, una profonda invidia per il gregge che, sazio di cibo, si distende all’ombra e, dimentico di tutto, del passato e del futuro, gode il momento presente e si riposa. O greggia mia che posi, oh te beata, che la miseria tua, credo, non sai! Quanta invidia ti porto! Non sol perché d’affanno quasi libera vai, ch’ogni stento, ogni danno, ogni estremo timor subito scordi; ma più perché giammai tedio non provi. Quando tu siedi all’ombra, sovra l’erbe, tu se’ queta e contenta,


e gran parte dell’anno senza noia consumi in quello stato. Ed io pur seggo sovra l’erbe, all’ombra, e un fastidio m’ingombra la mente, ed uno spron quasi mi punge sì che, sedendo, più che mai son lunge da trovar pace e loco. …. Dimmi: perché giacendo a bell’agio, ozïoso, s’appaga ogni animale; me, s’io giaccio in riposo, il tedio assale? In evidente contrasto con questi versi, ne’ L’infinito Leopardi sa fermarsi e gode. È fermo, immobile, davanti a una semplice siepe che, oltre tutto, gli impedisce di vedere gran parte dell’ultimo orizzonte. Ma si sente avvolto da felicità e gode. Le parole chiave per comprendere questo stato sono: [...Ma sedendo e mirando...] Cioè, stando semplicemente e interamente con quella siepe, senza altri pensieri e desideri, le cose succedono. Per descrivere questo succedersi, l’espressione usata è: io nel pensier mi fingo. Ma, in realtà, la visione non nasce perché lui la vuole o faccia qualcosa per averla. Succede. Emerge come d’incanto da sovrumani silenzi e da profondissima quiete. E può emergere, perché lui si è seduto e si limita a osservare. È esattamente ciò che ripetono in continuazione tutti coloro che si sono consegnati, disarmati, al silenzio e alla contemplazione. Lao Tsé: «il silenzio è la grande rivelazione». I padri della chiesa: «Dio ha creato gli angeli in silenzio. Dio parla ai silenziosi, mentre quelli che si agitano fanno ridere gli angeli». Evagrio Pontico: «Quando preghi, taci». Se leggete gli autori spirituali, vi rendete conto che contemplare è un riposarsi. Riposarsi, sì, con mente sveglia, ma pervasa da serenità e abbandono. Un riposarsi alla presenza di qualcuno o di qualcosa. I padri del deserto parlano di preghiera, e considerano questa forma di preghiera la preghiera per eccellenza. È la preghiera stessa di Dio che, il settimo giorno, si riposa e contempla la sua creazione. La sua preghiera è stupore e meraviglia: Vide che era molto bella! Al ma sedendo e mirando di Leopardi, Aurobindo fa eco con il suo: perché proprio quando la mente entra in questo grande silenzio di pura presenza, si avvera il più spesso…

Che cosa si avvera? – Lo possiamo descrivere con molti termini e parole: visione, intuizione, esperienza, apertura della coscienza, comunione profonda, comprensione, illuminazione, rivelazione, profezia, saggezza… In realtà, però, è solo entrando in quest’esperienza che si comprende il senso genuino di tutti questi termini e dei loro sinonimi. Ma ecco l’esperienza di Leopardi: ma sedendo e mirando… … interinati spazi al di là di quella, e sovrumani silenzi, e profondissima quiete io nel pensier mi fingo; ove per poco il cor non si spaura. E come il vento odo stormir tra queste piante, io quello infinito silenzio a questa voce vo comparando: e mi sovvien l’eterno, e le morte stagioni e la presente e viva, e il suon di lei. Così tra questa immensità s’annega il pensier mio: e il naufragar m’è dolce in questo mare. Ed ecco, descritta con altri termini ma identica, l’esperienza di Aurobindo: perché proprio quando la mente entra in questo grande silenzio di pura presenza, si avvera, il più spesso… …la completa discesa di una grande pace proveniente dall’Alto e, in questa sconfinata tranquillità, la realizzazione del Sé silenzioso, al di sopra della mente, diffuso ovunque nella sua immensità. Voglio concludere con due testi dei padre della chiesa, che riprendo da L’amore folle di Dio del grande teologo greco Evdokimov. Mi auguro che siano per tutti un aiuto a vivere, insieme alla ricerca interiore, intensi giorni pasquali. Un grande silenzio avvolgeva la terra il venerdì di Passione. Dopo aver annunciato la morte di Dio, sembra che il monto entri nel silenzio del grande sabato. Quando l’uomo rientra in se stesso e trova il vero silenzio, vive l’esperienza quasi di un’attesa che gli viene dal Padre,presente nel segreto. È una parola che non s’impone; è parola che testimonia di una prossimità vivente: Ecco, sto alla tua porta e busso. fra Andrea Schnöller

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Messaggio dal santuario

Lavori in corso! Nei prossimi due anni si svolgeranno impegnativi lavori di restauro e di miglioria nel complesso della Madonna del Sasso. Dopo una serie di opere atte ad assicurare la roccia sulla quale sorge la chiesa dell’Assunta (chiesa principale), un primo importante intervento edile sulla chiesa dell’Annunciata, il restauro dell’altare della Pietà e la revisione dell’organo della basilica minore, effettuati negli scorsi tre anni, è ora iniziata una seconda fase di interventi edili e di restauro che toccheranno praticamente tutti gli ambiti del Sacro Monte.

La tabella di marcia Nel corso del mese di febbraio è già iniziato il completamento dei lavori di restauro della chiesa dell’Annunciata. Dopo le opere di consolidamento statico della struttura, avvenute durante la prima tappa dell’intervento, è ora in atto il restauro dell’apparato decorativo pittorico dell’interno della chiesa. L’arredo liturgico del presbiterio verrà ripristinato mediante il ricollocamento dell’altare policromo con la statua dell’Immacolata. La conclusione di questi lavori è prevista per la metà del mese di ottobre. Durante l’estate verranno pure completati i lavori di restauro delle cappelle di san Giuseppe e della Visitazione situate presso la chiesa dell’Annunciata. Alla fine del mese di marzo sono iniziate le operazioni di sgombero degli arredi mobili della chiesa dell’Assunta. Per agevolare il più possibile questa fase dei lavori che comprende un risanamento generale della struttura, il rifacimento dei vari impianti tecnici, il restauro completo degli apparati decorativi e il recupero dell’area celebrativa della chiesa dell’ottocento, con lo spostamento dell’altare monumentale nella sua posizione originaria centrale, dall’inizio del mese di maggio la chiesa verrà chiusa al pubblico. La conclusione di questo intervento, molto oneroso sia per le maestranze sia per i frequentatori del santuario, è prevista per il mese di marzo del 2011.


Ad autunno inoltrato inizieranno i lavori di adattamento/consolidamento strutturale e di restauro dell’apparato decorativo delle cappelle situate nell’area conventuale (cappella della Pietà, del Compianto, dell’Ultima Cena, dello Spirito Santo e della Pietà rinascimentale). A metà aprile 2010 è in programma l’avvio dello stesso tipo di intervento anche sulla cappella della Resurrezione e sulle cappelle ed edicole collocate lungo la via della valle (edicola di fra Bartolomeo, portico della Croce, cappella della Natività, edicola della Crocifissione) nonché sulla fontana di san Francesco. Durante questa fase del progetto verranno pure eseguiti degli interventi atti a migliorare le vie di accesso al Santuario. Verso la fine del mese di agosto del 2010 è prevista l’apertura del cantiere per la realizzazione di un ascensore esterno che collegherà il piazzale di arrivo della via della valle con il sagrato della chiesa dell’Assunta. La nuova struttura dovrebbe essere fruibile ad inizio inverno. Nei mesi invernali 2010/11 si darà il via ad un intervento per il consolidamento statico del locale della biblioteca conventuale e la realizzazione di un nuovo acceso al museo “Casa del Padre”. Gli ultimi lavori in programma riguardano il consolidamento strutturale delle cappelle della Via Crucis, il restauro delle formelle in ghisa che le decorano, la riparazione della via stessa, nonché alcuni interventi puntuali nell’ambito del convento. All’inizio del mese di ottobre del 2011 il vasto, complesso e approfondito intervento di restauro dovrebbe essere concluso.

Nonostante i lavori Il Santuario della Madonna del Sasso è un luogo di fede e di cultura molto caro sia ai ticinesi sia ai pellegrini e ai turisti che, in modo particolare nel corso della bella stagione, vi giungono provenienti un po’ da ogni dove. Nei prossimi anni, trasformandosi in un grande cantiere, il nostro Sacro Monte rischia di perdere parte dell’attrattiva che normalmente riesce a suscitare sui fedeli e i turisti. Soprattutto la chiusura durante due anni della chiesa dell’Assunta rappresenterà per tutti un grande sacrificio. Nonostante gli inevitabili inconvenienti che la realizzazione del progetto porterà con sé, gli addetti ai lavori e i frati cappuccini si impegneranno per offrire degli spazi e dei servizi sostitutivi sia per il culto sia per le visite. Per la celebrazione delle ss. Messe e per i momenti di preghiera sia individuali sia collettivi è infatti previsto l’approntamento di un apposito locale negli spazi attualmente adibiti a negozio. Offrendo una settantina di

posti a sedere e una quindicina in piedi, questa “cappella” provvisoria potrà accogliere agevolmente i frequentatori delle ss. Messe feriali e buona parte di quelli delle celebrazioni domenicali. Il locale avrà il grande pregio di custodire nel corso dei restauri la statua della Madonna del Sasso. Durante la bella stagione, nelle domeniche di forte affluenza, si potrà sempre ricorrere al chiostro del convento per la celebrazione delle ss. Messe più frequentate. Le informazioni generali sulle origini del complesso, lo sviluppo del Sacro Monte e le vicissitudini storiche che lo hanno coinvolto potranno essere date ai visitatori come finora stando all’aperto, mentre per la presentazione della chiesa dell’Assunta e dei capolavori in essa contenuti è previsto l’approntamento di apposito materiale fotografico da mostrare all’interno della “cappella”.

Per contribuire all’opera Il vasto e accurato intervento di restauro è reso possibile grazie ad un credito di oltre otto milioni di franchi approvato a larga maggioranza dal Gran Consiglio ticinese nella sua riunione del 2 giugno 2008. Nonostante l’ampiezza del progetto, per ora alcuni oggetti non hanno potuto essere presi in considerazione per un intervento di manutenzione straordinaria o di restauro. Anche per questo motivo è stata creata un’Associazione allo scopo di raccogliere fondi per il sostegno dei progetti e i lavori di restauro del complesso monumentale della Madonna del Sasso. Pure a lavori conclusi resterà l’oneroso compito di conservare in modo accurato e appropriato i molti beni restaurati. L’Associazione potrà contribuire in modo proficuo ad adempiere anche questa incombenza. Tutte le persone fisiche e giuridiche che condividono gli scopi dell’Associazione possono farne parte. Ci auguriamo che i prossimi due anni, nonostante alcune necessarie rinunce a motivo degli impegnativi lavori in programma, possano segnare una tappa significativa nella storia del Sacro Monte locarnese. Che la Beata Vergine del Sasso benedica, custodisca e protegga tutti coloro che hanno contribuito e contribuiranno sia manualmente, sia intellettualmente, sia economicamente alla realizzazione di quest’opera. fra Agostino Del-Pietro

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Messaggi dai conventi

Nuovo programma 2009 al Convento del Bigorio ome a voler confermare la sua secolare storia di spiritualità e di accoglienza, il Convento dei frati cappuccini del Bigorio propone ogni anno un ricco programma di appuntamenti e corsi indirizzato a coloro che sono interessati ad approfondire la conoscenza di sé stessi e della spiritualità francescana. Per il 2009, oltre ai consueti incontri con il “deserto”, la meditazione cristiana ed i corsi prematrimoniali, il convento amplia il programma introducendo alcune novità. La ricerca dei valori fondamentali della vita attraverso le meditazione, l’introspezione personale e la preghiera,

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sono il filo conduttore delle giornate di “deserto”, con due appuntamenti, in marzo, dal 27 al 29, e in novembre, dal 20 al 22. È l’occasione per offrire a sé stessi la possibilità di “ritagliarsi” alcuni momenti di riflessione e di silenzio in un ambiente tipicamente conventuale, ricavandone forza ed armonia interiore. Quale nuova proposta in preparazione alla Pasqua, dalla sera del Venerdì Santo al pomeriggio del sabato 11 aprile, il convento offre l’opportunità di una riflessione sulle famose sette parole che Cristo pronunciò dalla croce, nelle ore culminanti della Sua esistenza terrena: pur nella loro estrema essenzialità, infatti, queste parole contengono verità sublimi. L’esperienza consiste in sette unità meditative da novanta minuti l’una, per ciascuna delle quali verrà formulata una traccia che servirà per l’elaborazione meditativa personale. Un’altra nuova opportunità è quella di conoscere S. Francesco nella sua relazione con l’Eucarestia, giornata di studio in calendario per il 7 giugno. Come ormai da diversi anni proseguono i fine settimana dedicati alla meditazione e alla riscoperta del silenzio, inteso quale cammino che porta, attraverso una maggior consapevolezza personale, ad essere più aperti e disponibili verso gli altri. Questi incontri sono in programma per il 7 e 8 marzo, per il 10 e 11 ottobre e per il 5 e 6 dicembre. Anche quest’anno sono in calendario le giornate di preparazione al matrimonio, una particolarità presente nel programma del convento fin dall’inizio della nuova attività del Bigorio. Per quest’anno sono previste nei fine settimana del 25 e 26


aprile e del 13 e 14 giugno (per l’iscrizione a questi corsi prematrimoniali telefonare allo 091 820 08 80). Un’altra novità nel programma è costituita da due appuntamenti, il 14 marzo e il 14 novembre, nei quali si parlerà del valore salvifico dei simboli nell’arte cristiana dal periodo paleocristiano ai giorni nostri. Altra nuova proposta è quella di poter studiare l’influenza che il pensiero spirituale e teologico ebbero sulla musica medievale. In questo incontro, previsto per il 7 di novembre, verrà messa in evidenza la forza del pensiero

patristico e come questo ha avuto effetto sulla musica dell’età di mezzo. Per conoscere meglio l’attività del Bigorio, per le iscrizioni e per poter ricevere a casa il nuovo programma, basta telefonare al convento in orari d’ufficio al n° 091 943 12 22 o scrivere una e-mail all’indirizzo: bigorio@cappuccini.ch. fra Roberto Pasotti

Corsi Organizzati dalla Casa Programma per il 2009 Mese

Data

Argomento

Animatore

Gennaio

dal 10 all’11

Meditazione Cristiana

Fra Andrea

Gennaio

dal 24 al 25

Fine settimana per coppie

P. Callisto

Febbraio

7

Medioevo tra spiritualità e musica 1

G. Conti

Marzo

dal 7 all’8

Meditazione Cristiana

Fra Andrea

Marzo

14

Introduzione ai simboli nell’arte cristiana: dal paleocristiano ai giorni nostri

Don C. Premoli

Marzo

dal 27 al 29

Deserto

Fra Roberto

Aprile

dal 10 al 11

Le Ultime Parole di Cristo sulla Croce

Prof. Vaccani

Aprile

dal 25 al 26

Fine settimana per coppie

P. Callisto

Giugno

7

Ritiro Spirituale

Fra Riccardo

Giugno

dal 13 al 14

Fine settimana per coppie

P. Callisto

Ottobre

dal 10 al 11

Meditazione Cristiana

Fra Andrea

Novembre

7

Medioevo tra spiritualità e musica 2

G. Conti

Novembre

14

Introduzione ai simboli nell’arte cristiana: dal paleocristiano ai giorni nostri

Don C. Premoli

Novembre

dal 20 al 22

Deserto

Fra Roberto

Dicembre

dal 5 al 6

Meditazione Cristiana

Fra Andrea

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Messaggi dalle adiacenze

La lettura e l’interpretazione della Bibbia nell’Età moderna e contemporanea on l’ultimo incontro biblico organizzato alla Biblioteca Salita dei Frati nel 2008, il 21 ottobre, ci si è proposti di rispondere a questa domanda: come è stata letta la Bibbia nell’Età moderna e contemporanea? Nella parte introduttiva ho ricordato brevemente l’opera di Lorenzo Valla, che per primo ha applicato i principi della filologia testuale alla lettura della Bibbia. È seguita una sostanziosa lezione di Ernesto Borghi che, sulla base di un capitolo del suo recente saggio Il Tesoro della Parola. Cenni storici e metodologici per leggere la Bibbia nella cultura di tutti (Roma, Borla, 2008), ha ricostruito nelle grandi linee la storia dell’esegesi biblica dal Concilio di Trento ai nostri giorni.

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L’Umanesimo: Lorenzo Valla e le Adnotationes in Novum Testamentum Nel 1449 Lorenzo Valla concluse una delle sue opere più innovative, le Adnotationes in Novum Testamentum, rielaborando lo scritto che prima aveva intitolato Collatio Novi Testamenti. In che cosa consiste quest’opera del grande umanista italiano, con la quale si può dire venga inaugurata la moderna filologia neotestamentaria ? Il Valla prende in esame la versione latina della Bibbia di San Gerolamo (la cosiddetta Vulgata, che circa un secolo dopo il Concilio di Trento avrebbe definito “autentica” e che sarebbe diventata poi il testo ufficiale della Chiesa cattolica latina) e, limitatamente al Nuovo Testamento, la sottopone ad una puntuale revisione, confrontandola con l’originale greco e operando una vera e propria collazione (cioè confronto, termine tecnico della filologia testuale) con diversi manoscritti sia greci sia latini. Ne risultano numerose correzioni: vengono emendati gli errori e le interpolazioni, inevitabili in ogni tradizione manoscritta, e viene corretta la traduzione di Gerolamo dove il Valla non la ritiene soddisfacente. Si trattava di applicare i principi della filologia umanistica non solo ai classici greci e latini, ma anche alla Bibbia: di estendere insomma i criteri della nuova ermeneutica anche (persino) al libro per eccellenza. L’operazione per il Valla è pienamente giustificata, per il fatto che lettere umane e lettere divine si servono entrambe della lingua, e devono perciò essere indagate con gli stessi metodi. Il principio umanistico di procurare edizioni testualmente attendibili viene applicato per la prima volta anche al libro scritto sotto ispirazione divina. Ma l’opera del Valla (rimasta inedita per tutto il Quattrocento, e poi scoperta da Erasmo, che la pubblicò a Basilea nel 1505) apparve subito eversiva e spregiudicata: l’autore fu accusato di empietà e più tardi le Adnotationes vennero condannate dal Concilio Tridentino. Nell’opera di Lorenzo Valla possiamo vedere l’inizio di un nuovo modo di leggere la Scrittura e riconoscere in lui il pre-

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cursore della moderna filologia biblica: spetta al filologo il compito (per così dire preliminare e teologicamente neutrale) di restituire un testo (la Bibbia, come ogni altra opera del passato) in una redazione il più possibile fedele all’originale.

Dal Concilio di Trento ai nostri giorni Dopo l’Umanesimo e la Riforma, come è stata letta, secondo quali criteri metodologici e con quali preoccupazioni esegetiche, la Bibbia dal Concilio di Trento ai nostri giorni ? A questa domanda ha cercato di rispondere Ernesto Borghi, tracciando - sulla base di una ricca e puntuale documentazione - la storia del progressivo riconoscimento (in un’evoluzione quanto mai lenta e travagliata) del metodo storico-critico nello studio della Bibbia. Non potendo dar conto in questa sede di tutti i riferimenti e le riflessioni proposte da Borghi nel capitolo del saggio citato (al quale rimando per una conoscenza approfondita) e nella relazione, mi limito qui a pochi dati fondamentali. Dopo che il Concilio di Trento (1564) aveva sancito la condanna del libero esame sostenuto dai riformati, tra fine Seicento e inizio Settecento si manifestano singole personalità che, interpreti della filologia umanistico-rinascimentale riconducibile a Erasmo e a Melantone, avviano un lento processo di lettura critica della Bibbia. Il secolo XIX è caratterizzato da grande vivacità nello studio scientifico dei testi biblici; mentre il Concilio Vaticano I (1870) ribadisce la concezione tradizionale dell’inerranza totale della Bibbia, l’enciclica Providentissimus Deus di Leone XIII (1893) contiene due importanti affermazioni: gli scrittori sacri, quando parlano di cose della natura, lo fanno secondo il modo comune di parlare dei loro tempi; si dovrà tener conto, oltre che della Vulgata, anche di altre versioni latine della Bibbia e risalire, quando sia opportuno, alla lingua originale, cioè l’ebraico e il greco. Ma è solo negli anni Trenta del secolo scorso che la metodologia storico-critica comincia a svilupparsi ufficialmente in ambito cattolico, non senza contrasti. Dopo le dichiarazioni tutto sommato prudenti della costituzione Dei verbum del Vaticano II, quello che si può definire un pieno “sdoganamento” dello studio critico e filologico della Scrittura si ha con il documento della Pontificia Commissione Biblica L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa (1993), in cui si legge che “il metodo storico-critico è il metodo indispensabile per lo studio scientifico del senso dei testi antichi” e che “la giusta comprensione [della Scrittura] non solo ammette come legittima, ma richiede l’utilizzazione di questo metodo”. Si può quindi concludere che la lettura filologica della Bibbia non è in contrasto con il dogma dell’ispirazione divina. Fernando Lepori


Seminario biblico di grande interesse l Gesù della storia e quello della fede in che rapporto stanno? È possibile che la ricerca critica moderna possa collidere con le convinzioni di chi crede? Queste sono solo alcune delle domande che sono sorte sabato 17 gennaio allo “Spazio Aperto” di Bellinzona dove si è tenuta una mattinata intitolata Dalle parole di Gesù alla redazione dei vangeli: punti fermi e ipotesi di lavoro per la cultura di tutti. Un incontro che ha permesso di approfondire sotto gli aspetti antropologici e storici la figura del Nazareno su cui da 2000 anni si discute e che da circa altri 200 anni è oggetto della ricerca critica moderna. Una mattinata, come è stato ricordato da Ernesto Borghi, presidente dell’Associazione biblica della Svizzera italiana, (gruppo che ha organizzato la giornata), durante la quale si è voluto trattare non tanto il Cristo professato dai credenti oppure i vangeli canonici che compongono le sacre scritture dei cristiani, bensì più in generale si è deciso di parlare di Gesù dal punto di vista storico e umano. E a dare stimoli a chi sabato si è svegliato di buon mattino per seguire i lavori, sono stati chiamati alcuni importanti studiosi italiani: Mauro Pesce, professore di storia del cristianesimo all’Università degli Studi di Bologna (conosciuto soprattutto dopo la sua pubblicazione, scritta insieme al giornalista italiano Corrado Augias Inchiesta su Gesù), Adriana Destro, docente di antropologia culturale all’Università di Bologna e Rinaldo Fabris presidente dell’Associazione biblica italiana (Abi). Al di là delle dottrine professate dai credenti, che cosa si può dire su Gesù di Nazaret? Di “carne al fuoco” ce n’è stata molta ma alcuni spunti hanno stimolato il pubblico presente. Ad esempio per Rinaldo Fabris, che oltre a essere presidente dell’Abi è anche sacerdote e professore di esegesi di Nuovo Testamento presso lo Studio Teologico di Udine, si possono distinguere tre figure di Gesù: la prima è quella dell’uomo che è vissuto circa 2000 anni fa e che ha parlato e operato in Galilea, la seconda è quella sviluppata dagli storici e la terza è presentata dagli evangelisti. Tre prospettive che, ha affermato Fabris, hanno un certo legame tra di loro ma che non possono

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essere completamente sovrapposte. Più precisamente, ha sottolineato ancora il presidente dell’Abi, il Gesù che è vissuto in Palestina non si identifica con quello degli storici, ma il rapporto tra i due è ciò che “sta all’origine di quell’esperienza religiosa conosciuta alla fine del primo secolo come “cristianesimo” in cui riconosce e si proclama che Gesù è il Cristo e il Signore”. Sul contesto e il periodo in cui Gesù è vissuto e ha operato hanno posto l’attenzione Adriana Destro e Mauro Pesce. I due studiosi (che l’anno scorso hanno pubblicato il libro L’uomo Gesù. Giorni, luoghi, incontri di una vita) hanno evidenziato il “terreno” culturale in cui sono state proferite le parole dell’uomo che ha vissuto in Galilea. Detto altrimenti, i discorsi che vengono fatti non sono qualcosa di isolato, ma sono carichi dell’esperienza umana della persona che li proferisce e di coloro che l’ascoltano. Quindi si potrebbe ipotizzare che dietro alle parabole si celino tematiche della società dell’epoca. Pesce ha affermato, ad esempio, che dietro la parabola del figliol prodigo (vangelo di Luca 15, 11-32) si potrebbe pensare che vi siano elementi che riguardano il rapporto tra città e campagna o che la parabola dei vignaioli omicidi (vangelo di Marco 12, 1-12) possa spiegare i problemi che avevano i signori delle campagne. Che cosa trarre quindi dalle riflessioni di tre studiosi che provengono da ambiti disciplinari differenti? Come accennato, i fatti e i detti di Gesù suscitano interesse sotto diversi punti di vista. E oggi, più che nel recente passato, la vita del Nazareno suscita curiosità. Lo stesso Ernesto Borghi ha infatti ricordato “da alcuni anni si è avvertito un ritorno di interesse per tematiche come queste. Soprattutto dopo la pubblicazione del romanzo di Dan Brown, Il Codice da Vinci. Il merito del libro, al di là dell’aspetto commerciale, è di aver ravvivato il dibattito di Gesù”. E di materiale su cui riflettere, storici, teologi e persone comuni ne hanno a sufficienza per documentarsi... Marco Driussi da La Regione 19 gennaio 2009

Il bilancio 2008 del Messaggero COSTI Allestimento e stampa Spedizione rivista Stampati Costi gestione CCP Certificazione tiratura Telefono e internet Segretariato Collaborazioni Varie Totale Costi

CHF CHF CHF CHF CHF CHF CHF CHF CHF CHF

32'670 5’053 999 1’546 774 879 20’000 1’280 724 63’925

R I C AV I Abbonamenti Offerte Totale Ricavi

CHF CHF CHF

38’640 15’825 54’465

Perdita di gestione

CHF

9’460


Messaggi dal mondo della chiesa

Appunti di vita ecclesiale Ecumenismo svizzero Col 2009, mons. Vitus Honder, vescovo di Coira, assume per due anni la presidenza della Comunità di lavoro delle Chiese cristiane in Svizzera (CLCC), subentrando al pastore protestante Ruedi Heinzer. La CLCC, fondata il 21 giugno 1971, è la sola piattaforma ecumenica a livello nazionale. Membri della CLCC sono il Consiglio evangelico svizzero (SEK), la Chiesa cattolico-romana in Svizzera, la Chiesa cristiano-cattolica in Svizzera, la Chiesa evangelico-metodista in Svizzera, l’Associazione delle comunità battiste svizzere, l’Esercito della salvezza, l’Associazione delle Chiese evangelico-luterane, la Diocesi ortodossa in Svizzera del patriarcato ecumenico di Costantinopoli come pure la rappresentanza della Chiesa serbo ortodossa in Svizzera e la Chiesa anglicana in Svizzera. Il CLCC è membro associato al Consiglio ecumenico delle Chiese a Ginevra e lavora con le Comunità di lavoro delle Chiese cristiane in Europa. Tutti i membri della CLCC hanno firmato il 25 marzo 2005 a S. Ursanne la Carta ecumenica. Un opuscolo , edito in francese e tedesco, descrive il CLCC e le Chiese che ne fanno parte e dà una prospettiva dei settori ove lavora, come le questioni inerenti il riconoscimento reciproco del battesimo, le direttive per le celebrazioni ecumeniche a livello nazionale e i rapporti tra le Chiese e la Confederazione elvetica. Nell’introduzione all’opuscolo, il pastore Ruedi Heinzer osserva come : “Sebbene le Chiese mantengano ognuna le proprie differenziate tradizioni, i cristiani possono tuttavia collaborare. Essi sono sostenuti e incoraggiati dal fatto che pure i rispettivi responsabili ecclesiastici si incontrano pubblicamente e con una certa frequenza”. In Svizzera esiste pure un Consiglio svizzero delle religioni che si occupa specialmente delle relazioni tra le diverse comunità religiose e la Confederazione. Fin qui comprendeva le tre Chiese nazionali e le comunità religiose ebraiche e islamiche; recentemente è stato completato con la comunità ortodossa, che sarà rappresentata dal vescovo Makarios, a nome della Metropolia svizzera del patriarcato di Costantinopoli. Il pastore Markus Sahli è stato nominato segretario, con un impegno al 30 %.

Cento anni di stampa parrocchiale La “Unione dei bollettini parrocchiali”, promossa nel 1908 dal canonico Luigi Cergneux (1867 – 1931) dell’Abbazia di Saint-Maurice, e sostenuta dalla Congregazione delle Suore di S.Agostino, pubblica attualmente 100.000 esemplari mensili, diffusi in più di 400 parrocchie della Svizzera. Senza essere un organo ufficiale della Chiesa, “Paroisses

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vivante” (titolo della edizione romanda), costituisce uno strumento ecclesiale che svolge un ruolo catechetico e di collegamento tra i parrocchiani. Un numero speciale, diffuso in occasione della domenica dedicata ai media, ha ricordato le principali tappe della pubblicazione: dopo il Vaticano II, il bollettino ha dedicato una parte importante ad informare sulle decisioni del concilio, mantenendo tuttavia la funzione di mezzo di comunicazione a livello parrocchiale, grazie al sostegno di redazioni locali. Altro strumento importante dell’informazione religiosa in Svizzera è l’Associazione cattolica svizzera per la stampa (ACSP) che raggruppa 120 membri collettivi e 1200 membri individuali: fondata all’inizio del 20.mo secolo, negli anni del massimo sviluppo, quando numerosi erano i giornali cattolici, contava più di 8000 membri. Attualmente l’ACSP realizza le pagine “ Christ und Welt” (Cristo e il mondo), pagine tematiche sulla religione, la Chiesa e questioni etiche, che vengono riprese regolarmente dal quotidiano “Neue Luzerner Zeitung” e da altre pubblicazioni della Svizzera tedesca. L’ACSP ha avuto un bilancio nel 2007 di circa fr. 227.000, sostiene anche l’agenzia internazionale cattolica bilingue Apic – Kipa di Friburgo e Zurigo, che pubblica servizi informativi giornalieri e settimanali (anche cartacei) di carattere religioso, e collabora strettamente con la Conferenza dei Vescovi svizzeri, in particolare per l’organizzazione della annuale “Domenica dei media”.

Come si finanzia la chiesa svizzera Due sono le principali organizzazioni che finanziano le attività pastorali cattoliche a livello nazionale: la Colletta nazionale in tempo di quaresima, detta in italiano “Sacrificio Quaresimale”, e la Commissione centrale cattolica romana (sigla tedesca RKZ). La Commissione centrale (composta dai rappresentati delle organizzazioni cantonali dei cattolici o dalle diocesi che forniscono i mezzi finanziari) ha messo a disposizione per il 2009 l’importo di fr. 6,25 milioni, cui si sono aggiunti fr. 2,7 milioni da parte di Sacrificio Quaresimale (che è una fondazione della Conferenza dei vescovi svizzeri). Il totale del cofinanziamento delle attività pastorali di interesse nazionale raggiungerà nel 2009 l’importo di 8,75 milioni di franchi. I dieci sussidi più importanti si riferiscono al Segretariato dei vescovi svizzeri (fr.966.000), all’Agenzia stampa APIC di Friburgo (fr.750.000), al Servizio dei media di Zurigo (fr.660.000), al Centro cattolico Radio e Televisione di Losanna (fr.600.000), all ‘Istituto di sociologia pastorale di San Gallo (fr.500.000), alla Commissione vescovile per i migranti di Lucerna (fr.450.000), alla Com-


missione nazionale Giustizia e Pax, Berna (fr.360.000), all’Istituto romando per la formazione ai ministeri, Friburgo (fr.300.000), alle direzioni nazionali delle organizzazioni giovanili Blauring e Jungwacht, Lucerna (fr.270.000), alla formazione teologica terza via, Lucerna (fr.260.000). I restanti 2,5 milioni di franchi sono attribuiti a 47 diverse istituzioni; il 37% è attribuito a istituzioni operanti a livello nazionale, mentre la ripartizione per regioni linguistiche vede il 57% alla Svizzera tedesca, il 38% alla Svizzera romanda e il 5% alla Svizzera italiana. È noto che solo in parte il Sacrificio Quaresimale partecipa al finanziamento di attività in Svizzera; infatti nel 2007 ha raccolto un totale tra offerte e contributi di fr. 22.147.636: conformemente agli statuti e agli accordi con la Conferenza dei vescovi svizzeri, furono investiti in totale fr. 17.491.523, divisi in tre settori, i primi due all’estero: fr. 8.204.551 per 205 progetti di sviluppo e fr. 3.102.500 per 113 progetti pastorali nei diversi continenti, cui vanno aggiunti 6 contributi a sostegno di attività missionarie e 35 per organizzazioni che si occupano di politica di sviluppo. Nel 2007 la parte invece destinata alle attività nazionali della Chiesa in Svizzera, in compartecipazione con la RKZ, ha riguardato 36 progetti, per un totale di fr. 2.598.250. La solidarietà tra i cattolici svizzeri a sostegno delle necessità della Chiesa a livello nazionale sembra funzionare (si può sempre migliorare): a fare problema al diritto canonico è che sono i laici, e persino le donne, ad amministrare le finanze.In un convegno, svoltosi alla facoltà di teologia di

Lugano lo scorso novembre, è stato rilevato come sia insoddisfacente in parecchie diocesi il finanziamento delle attività diocesane, mancando spesso una effettiva solidarietà tra le diverse Chiese cantonali che appartengono alla diocesi (come per quella di Basilea), sia la solidarietà delle parrocchie verso le spese diocesane (come nel Ticino, ove il contributo annuo è meno di fr.2 per cattolico), sia tra le comunità parrocchiali della stessa diocesi (mancanza di una compensazione interparrocchiale, assente anche in Ticino). Ma queste situazioni difficilmente potranno trovare una soluzione “nazionale”, mentre, con un po’ di buona volontà (e di rispetto delle rispettive competenze di clero e laicato) potrebbero trovare soluzioni, se non ottime, almeno accettabili. Gli esempi positivi non mancano, basta saperli cercare e adattare alle singole situazioni.

ACAT per il Venerdì Santo Cristo è ancora flagellato, coronato di spine e crocefisso ogni giorno nelle persone che vengono torturate in 60 paesi e condannate a morte da oltre 20 stati. L’Azione dei Cristiani per l’abolizione della tortura e contro la pena di morte (ACAT) ogni anno invita a pregare in occasione del Venerdì Santo per le vittime della tortura e per i condannati a morte, unendo alle sofferenze di Cristo quelle ancora oggi provocate nel mondo. Alberto Lepori

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Messaggio ecumenico

Ministero petrino: quali Titolo prospettive ecumeniche? Dopo l’enciclica “Ut unum sint” si sono aperti nuovi spiragli circa una possibile accettazione del papato – il piu’ grande ostacolo sulla strada dell’unità – da parte delle altre Chiese cristiane. Ulteriori speranze scaturiscono dal documento di Ravenna firmato da cattolici e ortodossi. I dogmi del Concilio Vaticano I - tenutosi sotto il pontificato di Pio IX dal 1869 al 1870 – sull’infallibilità e sul potere di giurisdizione del romano pontefice (costituzione Pastor aeternus del 18 luglio 1870) hanno certamente reso piu’ difficile – anzi diciamo pure impossibile – l’accettazione di un papato con tali prerogative da parte delle altre Chiese cristiane, sia quelle ortodosse sia quelle nate dalla Riforma. E se n’è reso conto la stesso Paolo VI, che in un discorso ai membri dell’allora Segretariato per l’unità dei cristiani tenuto il 28 aprile 1967, disse testualmente: “Il Papa, lo sappiamo bene, è senza dubbio l’ostacolo piu’ grave sulla strada dell’ecumenismo. Che cosa diremo? Dobbiamo una volta di piu’ appellarci ai titoli che giustificano la nostra missione? Dovremo, ancora una volta, tentare di presentarla nei suoi termini esatti, come realmente vuole essere:

principio indispensabile di verità, di carità, di unità? Missione pastorale di direzione, di servizio e di fraternità, che non contesta la libertà e l’onore a nessuna persona che abbia una posizione legittima nella Chiesa di Dio, ma che piuttosto protegge i diritti di tutti e non reclama nessun’altra obbedienza che quella che viene richiesta ai figli di una stessa famiglia? Non ci è facile fare la nostra apologia. Siete voi che, con parole improntate alla sincerità e alla mansuetudine, saprete farlo quando se ne presenteranno l’occasione e la possibilità. Quanto a noi, in tutta serenità, preferiamo ora tacere e pregare”. Un discorso nel quale colpiscono umiltà, impotenza e desiderio di superare l’ostacolo per far si che tutti i cristiani possano riconoscere il primato di Pietro.

La “Ut unum sint” Sulla stessa scia, ben 28 anni dopo, si è mosso Giovanni Paolo II, il cui appello contenuto nella enciclica “Ut unum sint” del 25 maggio 1995 resterà una pietra miliare nella questione che ci occupa. In quel documento,al paragrafo 95, il Papa cosi’ si rivolgeva ai pastori, ai responsabili ecclesiali e ai teologi della Chiesa cattolica e delle diverse altre Chiese:“Ciò che riguarda

l’unità di tutte le comunità cristiane rientra ovviamente nell’ambito delle preoccupazioni del primato. Quale Vescovo di Roma so bene, e lo ho riaffermato nella presente Lettera enciclica, che la comunione piena e visibile di tutte le comunità, nelle quali in virtù della fedeltà di Dio abita il suo Spirito, è il desiderio ardente di Cristo. Sono convinto di avere a questo riguardo una responsabilità particolare, soprattutto nel constatare l’aspirazione ecumenica della maggior parte delle Comunità cristiane e ascoltando la domanda che mi è rivolta di trovare una forma di esercizio del primato che, pur non rinunciando in nessun modo all’essenziale della sua missione, si apra ad una situazione nuova. Per un millennio i cristiani erano uniti “dalla fraterna comunione della fede e della vita sacramentale, intervenendo per comune consenso la sede romana, qualora fossero sorti fra loro dissensi circa la fede o la disciplina”.In tal modo il primato esercitava la sua funzione di unità. Rivolgendomi al Patriarca ecumenico, Sua Santità Dimitrios I, ho detto di essere consapevole che “per delle ragioni molto diverse, e contro la volontà degli uni e degli altri, ciò che doveva essere un servizio ha potuto manifestarsi sotto


una luce abbastanza diversa. Ma [...] è per il desiderio di obbedire veramente alla volontà di Cristo che io mi riconosco chiamato, come Vescovo di Roma, a esercitare tale ministero [...]. Lo Spirito Santo ci doni la sua luce, ed illumini tutti i pastori e i teologi delle nostre Chiese, affinché possiamo cercare, evidente- mente insieme, le forme nelle quali questo ministero possa realizzare un servizio di amore riconosciuto dagli uni e dagli altri”. All’appello pontificio in ordine ad una rivisitazione della forma di esercizio del primato petrino giunsero soltanto alcune risposte, tra le quali quella del Sinodo delle Chiese valdesi e metodiste italiane, quella della Camera dei vescovi della Chiesa d’Inghilterra, quella della Chiesa luterana di Svezia e quella della Chiesa presbiteriana degli Stati Uniti. A dire il vero, vi fu anche una risposta, che definiremmo un po’ “stramba” e “fantasiosa”, della Comunità di lavoro delle Chiese cristiane in Svizzera. Nessun riscontro, invece, da parte ortodossa, in quanto una risposta unica e ufficiale sarebbe stata possibile solo attraverso un sinodo pan-ortodosso, difficile da convocare.

Il documento di Ravenna Sono ormai passati 14 anni dalla “Ut unum sint” e al momento non si intravedono cenni di qualsiasi modifica, nemmeno marginale, al modo in cui Benedetto XVI sta esercitando il suo ministero papale. Uno spiraglio di grande interesse si sta comunque aprendo sul fronte del dialogo teologico ufficiale tra cattolici e ortodossi . Nell’ultima riunione della Commissione mista internazionale, tenutasi dall’8 al 15 ottobre 2007 a Ravenna sul tema “Conseguenze ecclesiologiche e canoniche della natura sacramentale della Chiesa: comunione ecclesiale, conciliarità e autorità”, è

stato approvato e pubblicato un documento nel quale si legge tra l’altro: «Durante il primo millennio, la comunione universale delle Chiese, nel normale svolgersi degli eventi, fu mantenuta attraverso le relazioni fraterne tra i vescovi. Tali relazioni dei vescovi tra di loro, tra i vescovi ed i loro rispettivi protoi, e anche tra gli stessi protoi nell’ordine (taxis) canonico testimoniato dalla Chiesa antica, hanno nutrito e consolidato la comunione ecclesiale (…) Entrambe le parti concordano sul fatto che tale taxis canonica era riconosciuta da tutti all’epoca della Chiesa indivisa. Inoltre, concordano sul fatto che Roma, in quanto Chiesa che «presiede nella carità», secondo l’espressione di Sant’Ignazio d’Antiochia (Lettera ai Romani, Prologo), occupava il primo posto nella taxis, e che il vescovo di Roma è pertanto il protos tra i patriarchi. Tuttavia essi non sono d’accordo sull’interpretazione delle testimonianze storiche di quest’epoca per ciò che riguarda le prerogative del vescovo di Roma in quanto protos, questione compresa in modi diversi già nel primo millennio». Il documento di Ravenna offre dunque nuove prospettive per affrontare il problema cruciale che divide da secoli Oriente e Occidente cristiano, cioè quello del primato del romano pontefice. Peccato che il testo non sia stato firmato dalla piu’ importante delle Chiese ortodosse, quella russa, che aveva abbandonato i lavori a causa della presenza della Chiesa estone, che fa capo al Patriarcato di Costantinopoli e che non è riconosciuta da Mosca. Ad ogni modo, il Patriarcato di Mosca ha preannunciato una sua presa di posizione su questo documento, che non è ancora stata comunicata al momento in cui scriviamo. Sul fronte protestante, uno dei teologi che si interessano maggiormente alla questione del ministero petrino è

senza dubbio Paolo Ricca. In un libro scritto assieme a Bruno Corsani nel lontano 1978 – ma che rimane di grandissima attualità – intitolato “Pietro e il papato nel dibattito ecumenico odierno”, Ricca indica quali dovrebbero essere, a suo avviso, le caratteristiche salienti di “un nuovo modo di essere” del papato e ne individua quattro, che qui riassumiamo. 1. Il primo e fondamentale atto di rinnovamento del papato dovrebbe essere che il Papa ridiventi realmente vescovo di Roma, per cui la cura della diocesi di Roma dovrebbe costituire la parte essenziale del suo ministero. 2. Una seconda caratteristica dovrebbe essere la rinuncia al potere, non solo a livello politico (potere temporale) ma anche e soprattutto a livello spirituale (tesi, questa, cara ad Hans Küng). 3. La disponibilità a prendere sul serio la collegialità episcopale, ad esempio dotando il Sinodo dei vescovi di un potere deliberante, mentre ancora attualmente è un organo soltanto consultivo. 4. Come già accennato al secondo punto, per Ricca dovrebbe esserci un ribaltamento del ruolo politico del Papa. Il teologo valdese – ed altri con lui – denuncia con la sua consueta franchezza la figura di un Papa-re o capo di Stato come un ibrido ecclesiologico “insostenibile ed evangelicamente inammissibile” e ritiene che l’attività diplomatica della Santa Sede risulti anch’essa in aperta contraddizione con la missione profetica propria della Chiesa. Come si vede, rimane ancora molta strada da fare sulla via di un riconoscimento ecumenico del ministero petrino. L’auspicio è che – anche da parte cattolica – si rimuovano quegli ostacoli che ne sono da impedimento. Gino Driussi

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Abbiamo letto... abbiamo visto... Penna Romano Gesù di Nazaret. La sua storia, la nostra fede Ed. S. Paolo, 2008

Volete leggere qualche cosa di interessante, breve, abbastanza facile, che riporta le più aggiornate teorie su Gesù? Ecco un libro che fa per voi. Lo si legge di un fiato e si può restare senza fiato. Pur non dando delle risposte definitive (e chi le potrebbe dare), offre ad un lettore non totalmente sprovveduto, ma già un pò dentro a queste problematiche, delle pagine avvincenti. È suddiviso in sei capitoletti: 1) Preliminari (sulle fonti, il materiale più utile, l'approccio più adatto). 2) La vita di Gesù nel suo quadro storico-culturale. 3) Gesù manifesta la propria identità nei suoi comportamenti. 4) Gesù manifesta la propria identità con le sue parole. 5) Le definizioni di Gesù. 6) Gesù di fronte alla morte. Vi è anche una conclusione che parla "Da Gesù alla Chiesa". Libro di piccola mole, ma è uno dei quei tesori evangelici dove si custodiscono cose vecchie e cose nuove. Non per nulla la pubblicazione è riassunta in queste righe: "L'annuncio cristiano è legato alla persone di Gesù, alla sua vita, al suo insegnamento, alle sue opere e soprattutto alla sua resurrezione: storia, fede, sono strettamente intrecciate.Il presente volume offre una indispensabile riflessione critica, senza paure e senza pregiudizi, sulla testimonianza dei Vangeli al Gesù della storia, al centro di molte indagini". Fosse solo per la prefazione del cardinale Carlo Maria Martini, questo libro "deve" essere letto, ma simile prefazione non è che il prezioso coperchio che, aperto, svela il tesoro.

Ciravegna Gianni Parabole di Gesù Ed. Paoline, 1993

Per mantenere fede alla promessa fatta di interessarci maggiormente della catechesi familiare vi segnaliamo un altro libro sulle parabole, ma per bambini. Si tratta di una proposta per raccontare ai più piccoli, attraverso la musica e il teatro, le parabole evangeliche più conosciute, dieci canzoncine complete di basi musicali, una drammatizzazione con struttura modulare, i testi tratti dal Nuovo Testamento, gli spunti per il dialogo e per le attività espressive. Uno spartito guida molto valido per catechisti scolastici e parrocchiali le cui canzoni sono incise su compact disc.

Nell'ultimo numero avevamo annunciato l'uscita del secondo volume su Gesù Cristo di P. Callisto, quello sulle parabole. La tipografia l'aveva promesso per Natale: proprio quattro giorni prima hanno comunicato che non potevano consegnarlo per un disguido con la legatoria. Nel frattempo, proprio partendo dal nostro annuncio, parecchie persone l'avevano comandato alla segreteria della Comunità del Sacro Cuore di Bellinzona per farne un dono natalizio. Avremmo potuto averlo per i primi di gennaio, ma l'autore ha preferito rimandare l'uscita per Pasqua, per farlo diventare un "dono pasquale". Chi volesse prenotarlo lo faccia presso la segreteria della Comunità (tel. 091 82 00 880).


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