Rivista trimestrale - anno C
11 Luglio Settembre 2010
I sacramenti: Ordine sacro Dieci minuti per te Messaggio dalla Madonna del Sasso Le pagine dell’Ordine Francescano Secolare
Intervista a don Sandro Vitalini
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Il Sacerdozio
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Questioni aperte
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Gesù è un laico!
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Il cavaliere e il dono della Verna
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Mario Corti
Le pagine dell’OFS
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La porta del Sacro Monte
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Appunti di vita ecclesiale
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Alberto Lepori
100 anni di ecumenismo celebrati ad Edimburgo
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Gino Driussi
Elogio del silenzio
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fra Andrea Schnöller
Messaggio biblico
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La riscoperta del silenzio
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Incontri biblici sulle parabole di Gesù
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Fernando Lepori
Intervista a Leonardo Boff
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Note importanti Compilando la polizza per l’abbonamento non mancate di riportare l’esatto nominativo al quale la rivista è stata spedita. Indicate anche per favore l’indirizzo di spedizione.
MESSAGGERO Rivista di cultura ed informazione religiosa fondata nel 1911 ed edita dai Frati Cappuccini della Svizzera Italiana - Lugano Comitato di Redazione fra Callisto Caldelari (dir. responsabile) fra Ugo Orelli fra Edy Rossi-Pedruzzi fra Michele Ravetta Claudio Cerfoglia (segretariato) E-Mail redazione@messaggero.ch Hanno collaborato a questo numero Mario Corti fra Agostino Del-Pietro Gino Driussi Alberto Lepori Fernando Lepori Palma Pedrazzi fra Andrea Schnöller don Sandro Vitalini Redazione e Amministrazione Convento dei Cappuccini Salita dei Frati 4 CH - 6900 Lugano Tel +41 (91) 922.60.32 Fax +41 (91) 922.60.37 Internet www.messaggero.ch E-Mail segreteria@messaggero.ch Abbonamenti 2010 Per la Svizzera: ordinario CHF 30.sostenitore da CHF 50.CCP 65-901-8 Per l’Italia: ordinario € 20,00 sostenitore da € 40,00 Conto Corrente Postale 88948575 intestato Cerfoglia Claudio - Varese causale “abbonamento Messaggero” E-Mail amministrazione@messaggero.ch Copertina “Estasi di S. Francesco” dipinto ad olio su tela attribuito a Francesco Solimena (Napoli, 1657-1747) Fotolito, stampa e spedizione RPrint - Locarno
Lettera della Redazione
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ontinuano, come ci siamo proposti, le spiegazioni dei sacramenti. Siamo al penultimo: l’Ordine Sacro che, sempre grazie al teologo don Sandro Vitalini, ci viene presentato nella sua ricca complessità. In una rivista destinata ai laici non poteva mancare un accenno a quel sacerdozio che viene conferito a tutti i cristiani nel Battesimo e al posto – ancora troppo ristretto – che i laici occupano nella Chiesa cattolica. Un accenno particolare alle donne perché, se i sacramenti sono sette per gli uomini, non risultino sei per le donne con la conseguente nefasta restrizione di quella cinghia di trasmissione della fede cristiana che normalmente passa da madre in figlio. Questo numero esce prima della festa di San Francesco e annuncia l’importante giornata che si terrà al centro Spazio Aperto di Bellinzona il 2 ottobre alla quale sono invitati tutti coloro che si ispirano e amano la spiritualità del Poverello d’Assisi, quindi tutti i nostri lettori. Al termine di questa giornata alle ore 15.30 nella chiesa del Sacro Cuore a Ballinzona, verrà celebrata la Sacra Rappresentazione sul Cantico delle Creature che poi verrà ripetuta nella chiesa dei cappuccini di Lugano domenica 3 ottobre alle ore 17.00. A San Francesco è pure dedicato un articolo di Mario Corti, diventato nostro collaboratore per la parte francescana di questi fogli, che ringraziamo di cuore per i suoi articoli veramente interessanti. Prende il posto di fra Riccardo Quadri che, dopo anni di collaborazione, lascia il posto ai giovani: a lui la nostra gratitudine per tutto quello che ci ha dato con grande competenza e francescana semplicità. Seguono le usuali rubriche sulla vita della Chiesa e delle chiese (ecumenismo) nel nostro paese; un grazie anche ai collaboratori laici Alberto Lepori e Gino Driussi che hanno fatto della nostra rivista un campo dove spargere i semi delle loro ricerche. Siamo sicuri che questi semi germoglieranno in coloro che li accoglieranno e porteranno frutti di cultura cristiana dei quali tutti abbiamo un immenso bisogno, perché uno dei peccati più gravi del cattolico d’oggi è l’ignoranza. Terminiamo con il profilo di un grande teologo dello spirito francescano, anche se non più membro giuridico del nostro Ordine, uno dei padri della “Teologia della liberazione”, che tratta del problema ecologico, Leonardo Boff. Ringraziamo la rivista sorella “Vita evangelica” che ci permette di riprendere alcuni dei suoi interessanti articoli. Nel prossimo numero di dicembre offriremo il programma per il prossimo anno che la redazione ha già preparato. Già fin d’ora facciamo appello ai nostri lettori per la campagna abbonamenti 2011. La nostra rivista non sarebbe un bel regalo natalizio per la famiglia di un figlio o nipote, per un amico in ricerca religiosa? Pensateci e aiutateci. la redazione
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Messaggio tematico
Intervista a don Sandro Vitalini In cosa consiste questo sacramento istituito da Gesù. Come e quando è stato istituito? Gesù ha chiamato alcuni tra i suoi molti discepoli, con una scelta personale precisa, maturata dalla preghiera prolungata, “affinché stessero con lui” e “affinché li inviasse a predicare” (Marco 3,14). I dodici condurranno per quasi tre anni una vita familiare con Gesù. Questo contatto così intimo permetterà loro di scoprire la sua realtà di persona divina. Andranno a predicare non una teoria, ma quella persona che è il verbo creatore. Si legga il prologo della prima lettera di San Giovanni: gli apostoli predicano quella Parola che hanno visto, ascoltato, toccato. L’annuncio sgorga da un’esperienza. Si legga anche Atti 6,4: gli apo-
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stoli rinunciano al servizio delle mense, che pure è essenziale per compaginare la famiglia dei discepoli di Gesù, per dedicarsi completamente alla Parola e alla preghiera. Essi capiscono che la loro parola sarà spada penetrante, bisturi che risana (Ebrei 4, 12), se rimarranno in stretta comunione con il Signore glorioso. Come Gesù anche durante il suo ministero pubblico dedica un tempo incommensurabile alla preghiera silenziosa immerso nello Spirito del Padre (Luca 6, 12), così gli apostoli restano in contatto con lui per continuare a proclamare il Risorto, che parla nei loro cuori. Questo vale anche per i loro successori e collaboratori: “Timoteo, annuncia la Parola!” (2 Timoteo 4,2). Si legga il cap. 20 degli Atti degli Apostoli: è il testamento di Paolo affidato ai presbiteri di Efeso: “Vegliate su voi stessi e su tutto il gregge, in mezzo al quale lo Spirito Santo vi ha costituiti come custodi per essere pastori della chiesa di Dio” (v. 28). In greco appaiono i termini di “episcopoi” e “presbyteroi”. “Episcopos” è il sorvegliante, il Pastore che si prende cura del gregge; “Presbyteros” è il responsabile “più anziano” della comunità, che serve con la sua saggezza, la sua prudenza, la sua ospitalità. La comunità primitiva conosce una struttura di servizio: non è né monarchica, né democratica, né gerarchica: è “gerodulica” e cioè i suoi pastori non sono capi, re o presidenti, ma servitori di tutti. Le loro mani non sono unte di olio, ma dell’acqua sporca con la quale lavano i piedi dei membri della famiglia di Dio. Si legga al proposito Giovanni 13. La missione dei dodici e dei loro collaboratori e successori si connota per questo spirito di totale servizio alla famiglia di Dio. Gli episcopi e i presbiteri sono i primi a versare il sangue per il loro gregge, come Gesù (Giovanni 10). Il primato di servizio della Chiesa di Roma si afferma perché tutti i suoi vescovi muoiono martiri e la loro comunità vive la diaconia, come aiuto concreto a tutte le Chiese, in modo capillare. Il Vescovo con i suoi preti sono i servi della famiglia di Dio, come i genitori sono i servi dei loro figli. Più si percepisce questa realtà e più si avverte che il vertice della missione presbiterale si raggiunge quando ci si lascia “mangiare” per il prossimo. La Chiesa dei primi tre secoli si è diffusa in modo folgorante proprio perché servita dal sangue dei suoi Pastori morti martiri per essa e per il mondo.
Tutti i cristiani sono dei “sacerdoti”. Come si distingue il sacerdozio dei battezzati da quello dei consacrati con l’Ordine Sacro? Tutti i cristiani sono immersi nella vita trinitaria e diventano nel Cristo sacerdoti, re e profeti. Sono associati alla sua continua offerta celeste al Padre (Ebrei 9, 24), lottano con lui per radicare sulla terra il Regno dell’amore e proclamano la Parola che converte, perdona e salva. Il termine di “sacerdote” (iereus) è usato dal Nuovo Testamento solo per il Cristo e il suo popolo. I servitori della famiglia di Dio sono gli episcopi e i presbiteri. Mai si usa per loro il termine di “sacerdoti”, che risulterebbe equivoco e apparirebbe imparentato con la casta sacerdotale dell’Antico Testamento, che l’unico e Sommo Sacerdote, il Cristo, ha abolito. Il Cristo unisce nella sua persona il cielo e la terra. Non c’è più nulla di profano e tutto viene santificato dalla sua opera divinizzatrice. Egli è l’unico mediatore (1 Timoteo 2,5) con il quale i sacrificatori dell’AT (che si pensava propiziassero la divinità) scompaiono definitivamente. Quando però nel IV secolo la Chiesa assume le prerogative, i privilegi, le ricchezze della religione pagana, rientrano anche le terminologie di quest’ultima e appaiono i “sacerdotes” e i “pontifices”. Così l’unico sacrificio del Cristo, ripresentato nel memoriale dell’ultima cena, viene “rinnovato”, quasi quello del Calvario fosse lacunoso. Questa terminologia zoppicante indica un pensiero distorto. I “sacerdotes” monopolizzano la liturgia, che non viene più vissuta dal popolo. Gli stessi edifici adibiti alla liturgia, da aule capienti incentrate sull’altare-mensa, si allungano in diverse navate e si allargano in cappelle votive, mentre l’altare-tomba è confinato in fondo all’abside. I fedeli non capiscono il linguaggio liturgico e il Concilio Laterano IV li obbliga a fare la comunione almeno una volta all’anno (!!!). La liturgia è monopolio del “clero”, degli “eletti”, mentre il popolo si limita a compiere delle offerte o accendere ceri votivi. La fine della Messa è attesa con sollievo e si esce sul sagrato a far festa, a vivere il mercato, la fiera (in tedesco: die Messe). Se si tornasse al linguaggio del Nuovo Testamento tutto sarebbe chiaro: i Vescovi con il loro Collegio di presbiteri sono al servizio dei battezzati, tutti sacerdoti del Dio vivente. Meglio si percepirebbe sia la natura del servizio episcopale e presbiterale sia anche la natura del sacerdozio universale: tutti celebriamo la vita. Se in Chiesa accogliamo il Cristo nella Parola e nel Pane, fuori Chiesa realizziamo la liturgia nel servizio diaconale, politico, morale del prossimo. Rendiamo tutti insieme a Dio un culto in spirito e verità (Giovanni 4, 23).
L’Ordine Sacro è riservato agli uomini, così che vi è il detto: “I sacramenti sono sette per i maschi e sei per le femmine”. Come mai? Tutti i Sacramenti sono per tutti. La riconciliazione di un penitente fa del bene a tutta la Chiesa e a tutta l’umanità. Così l’unzione ricevuta con fede e da un malato è una grazia per ogni uomo. Cerchiamo di pensare alla “grazia originale” che costituisce un vincolo di solidarietà positiva tra ogni creatura. Se poi si legge con attenzione il Nuovo Testamento, si ricava l’impressione che la donna assuma una dignità superiore a quella dell’uomo. Gesù sembra ispirarsi al poema della Genesi: il primo “tentativo” di creare un essere a immagine di Dio parte da un impasto di argilla (Adamo) che resta imperfetto. Il secondo “tentativo”, che parte dalla costola di Adamo, ha miglior successo ed Eva, la vivente, genera, come Dio. Le consonanti di Eva e di IHWH ricordano questa stretta parentela. Anche se il mondo ebraico, greco e poi romano ha considerato la donna in uno stato d’inferiorità rispetto al maschio, Gesù, quasi volesse fare un’ironia divina, la pone su di un piano di eccellenza. Sua madre Maria è la nuova arca dell’alleanza, la prerealizzazione del Vangelo delle Beatitudini. Il “Magnificat” costituisce la mariologia più perfetta che si possa sognare. Maria sintetizza in sé primo e secondo Testamento. Così Gesù si fa accompagnare nei suoi viaggi apostolici da molte donne facoltose (si legga Luca 8, 1 ss) e nomina sue avvocate per accogliere il suo testamento di morente e per attestare la sua risurrezione proprio ql gruppo di donne che si erano mostrate più coraggiose degli apostoli in fuga. Le diaconesse (Romani 16, 1) e l’ordine delle vedove (1 Timoteo 5, 3 ss) sono un indizio che la dignità speciale attribuita dal Figlio di Dio alla donna ha toccato la Chiesa primitiva. In seguito la sua “clericalizzazione” ce l’ha fatta scordare. Ora che ci troviamo nell’età postcostantiniana e la “gerarchia” incomincia ad apparire maggiormente come “ierodulia”, può darsi che si riscoprano le straordinarie intuizioni del Verbo incarnato anche circa la vocazione della donna chiamata a generare l’umanità nel tempo, come il Padre genera il Figlio nell’eternità.
Oggi c’è scarsità di vocazioni; non le sembra che la promozione dei laici nella Chiesa sia uno dei fattori per il quale ci sono meno vocazioni? L’espressione “scarsità di vocazioni” è inesatta. Dovremmo parlare di scarsità di risposte alla chiamata. Non si dimentichi che ogni donna e ogni uomo di ogni tempo è un chiamato. Realizza il suo sì nella misura in cui si dona al prossimo, così come le divine persone sono dono eterno
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Messaggio tematico
l’una per l’altra. I cristiani realizzano la loro chiamata se incarnano nelle opere il Vangelo e lo rendono affascinante per tutti. Siamo tutti missionari. La chiamata specifica al presbiterato matura in un contesto di fede. Il candidato avverte la bellezza e l’urgenza di radunare gli uomini nell’unica famiglia compaginata dall’amore trinitario. Si noti come la Chiesa ortodossa conosca un numero di vocazioni superiore a quello che può essere accolto nei seminari. Le chiamate dunque non mancano, ma vanno favorite. Così l’accesso al presbiterato di persone uxorate sembra in conformità alla rivelazione del Nuovo Testamento: “Bisogna che il Vescovo sia irreprensibile, marito di una sola donna, sobrio, prudente, dignitoso, ospitale, capace d’insegnare, non dedito al vino, non violento, ma benevolo, non litigioso, non attaccato al denaro. Sappia guidare bene la propria famiglia ed abbia figli sottomessi e rispettosi, perché, se uno non sa guidare la propria famiglia, come potrà guidare la Chiesa di Dio?” (1 Timoteo 3, 2-5). Bisogna oggettivamente riconoscere che il carisma della verginità è piuttosto raro, mentre il popolo di Dio abbisogna di molti pastori. Se una parrocchia, anche di modeste
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proporzioni, è abbandonata dal Parroco, essa perde la sua forza compaginatrice. Penso invece con ammirazione alle piccole comunità servite da un Pope in Grecia o in Russia. Per più di tre secoli l’islam ha schiacciato il cristianesimo in Grecia. Per più di settant’anni il comunismo ha cercato di annientarlo in Russia. Ma il cristianesimo è rimasto vivo! Sono fatti che devono invitare a riflessione, come pure quello che ci indica più apparente che reale il celibato presbiterale in molte parti del mondo. A volte si conserva l’ossequio apparente di una norma che condiziona lo stato di vita. Se si permettesse a chi si sposa di continuare a esercitare un ministero retribuito nell’ambito della Chiesa, si consentirebbe l’emersione alla luce del giorno di molte situazioni dolorosamente equivoche nascoste. Non si dica pertanto che mancano vocazioni, ma piuttosto che non sappiamo portare all’attuazione quelle numerose che certo esistono, e che preferiamo lasciare languire e morire delle comunità piuttosto che diversificare una prassi che sotto tranquille apparenze nasconde drammi infiniti. Questa nostra prassi non è conforme né alla verità né alla misericordia di Gesù, luce del mondo (Giovanni 8, 12).
Il Sacerdozio
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hi sono i sacerdoti? Quanti sono nella Chiesa cattolica i sacerdozi? Risposte facili, dirà il mio lettore: i sacerdoti sono i preti; il sacerdozio è uno, quello conferito dall’Ordine sacro. Risposta sbagliata! Sacerdoti sono tutti i battezzati, i sacerdozi sono due, quello comune, proprio di ogni battezzato, e quello dei preti (sacerdozio ministeriale) che è al servizio del primo. Così si esprime la presentazione del 15mo libretto della collana “Terebinto” che ha per titolo “Uomini liberi di buone parole” di Andrea Grillo che qui riportiamo. L’anno sacerdotale che sta volgendo al termine è stato vissuto in modo diverso. Questa diversità contiene in sé anche rischi e stonature. E il rischio più grande, insito fatalmente nella celebrazione di anni speciali, di programmi pastorali, di giornate dedicate ad un problema particolare, è quello di ridurre questi eventi a qualcosa da celebrare e da sottolineare occasionalmente senza che questo porti ad una stabile e seria conversione del vivere ecclesiale. Nel caso dell’anno sacerdotale il rischio, non sempre evitato, è stato quello di separare il prete dalla comunità per difendere le sue prerogative, per sottolineare le esigenze del suo ministero, per lamentarsi delle sue inadempienze e per piangere sul clamoroso calo di vocazioni al presbiterato. Tutti questi sono problemi veri e seri, ma parziali e praticamente non risolvibili se si separa il presbitero dal popolo sacerdotale. Questo numero del Terebinto vorrebbe essere un atto di riconoscenza e di affetto verso i presbiteri, ma – nello stesso tempo – l’umile proposta di porre il tema del prete all’interno (non sopra o di fianco) del Mistero sacerdotale che raccoglie e qualifica l’intera Chiesa.
Non è – oggi – primariamente necessario affermare l’identità del prete, quanto piuttosto l’identità della Chiesa di Gesù nel mondo. Il servizio del prete nasce dalla Chiesa ed è a favore della Chiesa e questo servizio non lo autorizza ad essere visto – tout court – come `la Chiesa’ e rappresentante – in toto – di essa. Questo equivoco non è teorico ma pratico ed è tradito da un linguaggio e da uno stile di vita ecclesiale che non solo stentano a cambiare ma che, in questi ultimi anni, si sono ancora più solidificati dando vita a forme ecclesiali connotate da uno stile ‘clericale’ dove il servizio del prete (e del vescovo) si è trasformato in protagonismo e dove ‘quelli di fuori’ identificano sempre più la Chiesa con il clero. Ogni donna e uomo che vive il proprio battesimo amando Gesù con tutto il cuore è donna e uomo di Chiesa. I cristiani, per primi, non hanno quotidiana coscienza di questo, non sanno cosa – concretamente – significa e, non sempre ma spesso, i preti non promuovono con gesti e parole una visione ‘sacerdotale’ della Chiesa così come emerge dalla Liturgia e dai documenti del Concilio Vaticano II. La prima cosa da fare per meglio comprendere il significato del sacerdozio cristiano è quella di riferirsi al sacerdozio di Gesù che, con il suo Sacrificio in Croce, ha inaugurato il sacerdozio cristiano. Per questo approfondimento prendiamo spunto da una riflessione che Padre A. Vanhoye ha tenuto nel 1987 a Verona durante il Congresso della Federazione degli Universitari Cattolici (F.U.C.I.). Gesù ha introdotto alcune innovazioni fondamentali nella situazione religiosa degli uomini; possiamo formu lare quattro tesi: La relazione tra sacerdozio di Cristo e condizione dei ‘laici’ non è
di contrasto ma di fondamentale unione e accordo. Nel sacerdozio cristiano il sacerdozio comune, posseduto dai laici, è più impor tante del sacerdozio ministeriale. Il sacerdozio comune non consiste in gesti rituali separati dalla normale esistenza. La trasformazione, operata dal Sacerdozio di Cristo, va nel senso della solidarietà universale perché il nuovo sacerdozio rivela l’amore del Padre che è misericordioso verso tutti gli uomini. Questa novità straordinaria operata da Gesù risulta ancora più evidente se viene confrontata con il sacerdozio antico. Nel sacerdozio dell’Antico testamento, infatti, esisteva un evidente contrasto tra sacerdoti e semplici israeliti; esso era organizzato in un sistema di separazioni rituali; non sulla comunione, ma sulla separazione. Dal Vangelo è evidente che Gesù non era sacerdote secondo la legge di Mosè; egli, infatti, nella sua attività profetica e didattica, prese posizione contro il concetto antico di santificazione per mezzo della separazione e vi sostituì il nuovo concetto di santificazione per mezzo della solidarietà e della comunione. Con la morte di Gesù in Croce la distanza tra Gesù e il sacerdozio levitico diventa una rottura irrimediabile. Il sacerdozio di Gesù è aperto a tutti e non esclusivo di una casta. Grazie a Gesù non ci sono barriere tra Dio ed il popolo che può accostarsi a Lui direttamente senza paura; tutti i credenti hanno questo diritto che anticamente era riservato solo al sommo sacerdote; anzi è superiore: mentre il sommo sacerdote levitico aveva la possibilità di entrare nel santuario una
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Messaggio tematico
sola volta all’anno, ora i cristiani godono in ogni momento di questo privilegio sacerdotale. La mentalità dell’Antico Testamento era segnata dalla contrapposizione tra sacro e profano, dalla separazione tra sacerdozio e popolo, dalla separatezza tra culto e vita. Non è facile rinunziare alla mentalità dell’Antico Testamento; la difficoltà viene rafforzata dal fatto che, nella Chiesa, ci sono due forme diverse di partecipazione al sacerdozio di Cristo: una forma chiamata sacerdozio ministeriale che corrisponde ai ministeri conferiti per mezzo di un’ordinazione sacramentale (Episcopato, Presbiterato e Diaconato); un’altra forma, chiamata ‘sacerdozio comune’, che appartiene a tutti i battezzati. Prima del Concilio non si insisteva molto nella Chiesa cattolica sul sacerdozio comune: era praticamente ignorato. I documenti del Concilio l’hanno messo in onore. Tuttavia questo insegnamento non è stato pienamente assimilato. Persiste l’idea che il sacerdozio comune non abbia grande importanza, che sia un sacerdozio in senso metaforico, una specie di premio di consolazione accordato ai laici, mentre il sacerdozio importante sarebbe solo quello ministeriale. Questo modo di vedere non corrisponde alla rivelazione di Cristo, ma costituisce un residuo della mentalità precristiana. Il sacerdozio comune è donato a tutta la Chiesa, popolo sacerdotale, che esercita questo sacerdozio come nota essenziale del suo essere. A servizio del sacerdozio comune e finalizzato alla sua crescita, c’è il sacerdozio ordinato, cioè il sacramento che abilita (‘ordina’) stabilmente Vescovi, Presbiteri e Diaconi al servizio dei fratelli. Contemplando il sacrificio di Cristo, che non ebbe luogo nel tempio di Gerusalemme e nemmeno nella Città
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Santa, ma in un luogo profano (‘fuori dalla città’), i cristiani debbono attuare una conversione mentale e capire che, nel sacerdozio cristiano, il sacerdozio più importante non è quello ministeriale, ma quello comune, posseduto da tutti; si può dire, senza esagerare, che lo scopo del Sacrificio di Cristo è stato l’istituire il sacerdozio comune. Il sacerdozio ministeriale, invece, è un mezzo, ugualmente voluto e stabilito da Cristo, ad esclusivo servizio del sacerdozio comune. Così, con chiarezza, si esprimeva nel ventesimo anniversario della chiusura del Concilio Vaticano II (1985) la Commissione Teologica Internazionale, presieduta dall’allora Card. Ratzinger: ‘All’interno dell’unico nuovo popolo di Dio, sacerdozio comune e sacerdozio ministeriale dei vescovi e dei presbiteri sono inscindibili. Il sacerdozio comune raggiunge la pienezza del proprio valore ecclesiale grazie al sacerdozio ministeriale, mentre quest’ultimo esiste unicamente in vista dell’esercizio del sacerdozio co-
mune’ e la Commissione conclude con una citazione di sant’Agostino: ‘Per voi io sono vescovo, con voi sono cristiano’ (Sermo 340,1) (Commissione Teologica internazionale: ‘Temi scelti di ecclesiologia’, 8 ottobre 1985 n. 7.3) I Vescovi, i Presbiteri (preti) e i diaconi sono servitori del popolo cristiano che è interamente fatto da sacerdoti che offrono la propria vita a Dio, nel sacrifico quotidiano della carità verso i fratelli nella fede, nel servizio verso il mondo e nell’accoglienza dello Spirito santo. Il sacerdozio ordinato è un dono fatto ad alcuni battezzati perché – come ministri di Cristo a favore della sua Sposa – garantiscano, con l’autorità che deriva dall’ordinazione, che tutto il popolo sacerdotale sia ordinato nel suo cammino nella storia, viva per intero la libertà dei figli di Dio e accolga con gioia la santificazione operata dello Spirito attraverso la carità, l’ascolto della Parola e la celebrazione dei sacramenti.
Questioni aperte
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inutile nascondere che parlando del sacerdozio si toccano delle questioni “aperte” perché non pienamente risolte. Infatti nell’articolo precedente abbiamo accennato al sacerdozio comune che caratterizza tutti i battezzati, uomini e donne, ma queste ultime, in merito al sacerdozio ministeriale, sono discriminate, così da far dire che i sacramenti sono sette per i maschi, sei per le donne. Ma non vogliamo tralasciare di parlare anche dei laici, di coloro che non sono “ufficialmente” riconosciuti come sacerdoti non ministeriali e che la gerarchia non sa ancora valorizzare nel governo della Chiesa. Inoltre oggi, presso il popolo di Dio, sono sempre di più coloro che si domandano se il celibato del clero, esistente nella Chiesa latina, si giustifica ancora. Ecco perché parlando di “questione aperte” vorrei trattare di questi tre punti: 1. La posizione dei laici nella Chiesa Cattolica 2. L’ordinazione delle donne al sacerdozio ministeriale 3. Il celibato dei preti
La posizione dei laici nella chiesa cattolica La parola “laico” deriva dal greco “laikos” ed etimologicamente significa: appartenente al popolo. Già dal sec. III in poi designa i membri della Chiesa non ordinati mediante la preghiera e l’imposizione delle mani. Questo
concetto rimase in vigore fino al Concilio Vaticano II che cercò di dargli un significato positivo sottolineando la partecipazione di tutti i cristiani – anche dei cosiddetti laici – al “Popolo di Dio”. Nell’ambito degli ordini religiosi la parola “laico” era destinata a coloro che – pur essendo religiosi – non accedevano al sacerdozio. Nel Medioevo la distanza tra sacerdoti e laici si fece sempre più ampia generando la posizione di Lutero che rifiutò la divisione della Chiesa in due classi di cristiani. Negando l’esistenza del sacramento dell’Ordine vide nel Battesimo la vera ordinazione sacerdotale comune a tutti i membri della Chiesa fondandosi su affermazioni bibliche. Per reazione il Concilio di Trento parlò in maniera dogmaticamente vincolante delle differenze fondate sull’ordinazione. Una rivalutazione dei laici iniziò dopo la scomparsa del potere temporale dei papi (1870) quando fu a loro attribuito il dovere di essere aiutanti della gerarchia nell’ambito temporale: difesa dei diritti della Chiesa, sviluppo della “cultura cristiana” nella società. A partire dal 1890 a questo doveva servire l’Azione dei cattolici (Leone XIII) più tardi chiamata Azione Cattolica quale “collaborazione e partecipazione dei laici all’apostolato gerarchico della Chiesa” (Pio XI). Alla fine degli anni cinquanta, per merito soprattutto del teologo Yves Congar (morto nel 1995) fu riconosciuto ai laici un proprio apostolato e una loro teologia che cercò di definirli come coloro che compiono nel mondo l’”opera di Dio”. Questa concezione dei laici come collaboratori di Dio creatore, salvatore e santificatore, con un particolare “carattere secolare” (vedi Lumen gentium 31) fu fatta propria dal Concilio Vaticano II. Inoltre detto Concilio attribuì ai laici, sulla base del Battesimo e della Confermazione, un proprio mandato anche nella Chiesa, una partecipazione al ministero di Gesù Cristo, nonché il diritto di fondare associazioni proprie. Con diverse indicazioni lo stesso Concilio gettò le basi perché i laici, mediante l’appartenenza a “consigli ecclesiali”, vivessero anche ufficialmente la corresponsabilità nella Chiesa, anche se – purtroppo – solo con voce consultiva. Oggi molti laici, grazie alla loro competenza teologica, hanno dato impulso alla teologia scientifica, all’esegesi biblica, ad una pastorale più vicina al popolo. Per quanto nei rapporti tra clero e laici parecchi problemi rimangano ancora insoluti, la posizione dei laici nella Chiesa, in un periodo di meno cento anni ha subito un cambiamento decisivo; essi non si sentono più soggetti assistiti dalla gerarchia, ma possono vivere con maggior consapevolezza la loro dignità di essere Chiesa, ma parecchia strada deve ancora compiersi soprattutto verso la corresponsabilità.
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Messaggio tematico
L’ordinazione delle donne al sacerdozio ministeriale Per alcuni potrebbe sembrare una questione di lana caprina, per altri l’esclusione delle donne da questa forma di sacerdozio risulta una grave ingiustizia. Costoro si appoggiano all’uguaglianza e parità di diritto dell’uomo e della donna nella società, e sul fatto che altre Chiese cristiane ammettono le donne a questo tipo di servizio. Indagini scientifiche hanno dimostrato che non esistono motivi teologici fondamentali per questa esclusione. Nella Chiesa primitiva non si è mai dato il caso di ordinazioni sacerdotali femminili, probabilmente perché Gesù non ha conferito il sacerdozio che a degli uomini, agli apostoli. Comunque le donne erano ammesse a dei servizi stabili, organizzati (diaconesse, ordine vedovile) sia in oriente come in occidente. Nel Medioevo la posizione della donna fu teorizzata come sottomissione all’uomo. San Tommaso d’Aquino la giustifica dicendo che le donne non avrebbero sufficientemente intelletto per avere delle posizioni di governo. È ben vero che la Chiesa ha riconosciuto dei doni speciali a donne eccezionali, e le ha dichiarate “dottori” quindi Maestre, ma questo non può servire come alibi. Dopo che le motivazioni teologiche furono smontate ad una ad una ci si appellò alla tradizione, ma il diritto canonico rinnovato, nel 1983, escluse categoricamente le donne dal sacramento dell’Ordine e da tutti i servizi ad esso collegati. Pur tuttavia indica una grande quantità di servizi che possono essere esplicitati da donne nella catechesi e nell’amministrazione ecclesiastica. Oggi, se non avessimo le donne in questi ruoli staremmo peggio di quello che siamo. Non sembra però giusto invocare il sacerdozio femminile solo perché scarseggiano le vocazioni maschili; le donne hanno il diritto di accedere a questo Ordine sacro o non ce l’ hanno, e non devono essere promosse perché si ha bisogno di loro per l’amministrazione di quasi tutti i sacramenti in quanto mancano gli uomini. Simile promozione sarebbe una nuova mancanza di rispetto verso la donna. Oggi bisogna riflettere se questa esclusione non contribuisca all’abbandono anche da parte del sesso femminile dalla Chiesa, con la conseguente mancanza in famiglia - di mamme che s’impegnino a educare cristianamente i figli. Va inoltre preso sul serio l’aspetto ecumenico. Per il resto lasciamo fare allo Spirito che ha tempi molto più lunghi delle nostre frette.
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Il celibato dei preti Altra questione aperta, addirittura spalancata, nell’attuale triste crisi dovuta alle accuse di pedofilia che colpiscono troppi sacerdoti. Tutti sanno almeno due cose: che il celibato dei preti è una legge della Chiesa latina e non è un precetto evangelico. Inoltre che il celibato non ha origine apostolica; diversi apostoli – se non tutti – erano sposati. Fu più tardi, con l’introduzione del monachesimo che entrò il celibato anche nelle vita sacerdotale, reso obbligatorio da leggi ecclesiastiche che, perché tali, potrebbero essere riviste. Ultimamente anche eminenti cardinali hanno messo in dubbio la validità dell’obbligo del celibato e parecchi teologi e moralisti chiedono che lo sposarsi o meno venga lasciato alla decisione di ogni singoli chierico. È chiaro che il celibato permette una maggiore disponibilità al servizio e annuncia profeticamente il “Regno dei cieli” nella sua fase ultraterreste. Ma è altrettanto chiaro che, per abolirlo, alle alte gerarchie i tempi non sembrano ancora maturi, tanto che si stanno muovendo dei passi verso una disciplina meno rigida, come l’accettazione al sacerdozio dei uomini già sposati. È di questi tempi il permesso di esercitare l’Ordine sacro a sacerdoti anglicani che si sono convertiti al cattolicesimo: cosa non da tutti ben vista, perché sembra premiare delle conversioni avvenute anche per motivi polemici, come la non accettazione di donne vescovo. Si discute se, permettendo ai preti di sposarsi, diminuirebbero i casi di pedofilia; c’è chi lo sostiene dicendo che almeno i preti avrebbero una vita sessuale incanalata entro il matrimonio. C’è chi lo nega, dato che la maggior parte di casi di questi delitti avvengono in famiglia. Così è incerto se la possibilità di sposarsi porterebbe ad un aumento delle vocazioni sacerdotali: la mancanza di sacerdoti proviene soprattutto da una secolarizzazione in atto nella nostra società occidentale. Forse prima che si arrivi a concedere il sacerdozio alla donne, nella Chiesa Cattolica latina si arriverà ad ammettere all’Ordine sacro chierici che prima hanno contratto il matrimonio, come nella stessa Chiesa Cattolica orientale. In questa Chiesa, comunque, si chiede il celibato ai vescovi che vengono eletti fra i monaci. Da noi, se ci fossero preti sposati, si distinguerebbero meglio i religiosi, che hanno professato una regola, per i quali la scelta della vita comunitaria resta parte fondamentale della loro professione.
Gesù è un laico!
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n un numero dedicato all’Ordine Sacro è giusto insistere sui laici per vari motivi. Innanzitutto perché anche questi fedeli partecipano di quel sacerdozio conferito a tutti i cristiani mediante il Battesimo e riconfermato nella Cresima con l’imposizione delle mani, il dono dello Spirito Santo e l’unzione con il crisma. Inoltre i “laici” sono una categoria di persone che il Concilio Vaticano II ha cercato di rivalutare, ma che avrebbe bisogno ancora di maggiore considerazione e spazio nella Chiesa; purtroppo la storia del laicato cristiano – specie cattolico – non splende di sufficiente considerazione da parte della gerarchia. Vediamola nelle linee essenziali. Nei primi due secoli del cristianesimo non esisteva nemmeno il termine “laico” e la distinzione tra i responsabili delle comunità (vescovi – presbiteri – diaconi) e gli altri membri era minima, perché la gerarchia esercitava i suoi ruoli come servizio senza onori particolari e tutti si sentivano parte del “Popolo di Dio”. Nel secolo III appare il nome “laico” per indicare coloro che non sono stati consacrati al servizio sacerdotale ministeriale nei tre gradi sopra indicati. Nacquero le distinzioni, gli onori (presi anche da etichette imperiali), le vesti
particolari (paramenti) che permangono tuttora, anche se decisamente di gusto sorpassato. Una differenza “intima”, spirituale, viene tematizzata nel medioevo: sacerdoti e monaci sono i “religiosi” che si sono obbligati a una forma di vita non secolare; ai “secolari”, detti addirittura “carnali”, è propria la vita civile, ma debbono sostenere i “religiosi”. Nelle richieste di riforma della Chiesa questo fu detto ripetutamente: Martin Lutero (†1546) rifiutava la divisione della Chiesa in due classi di cristiani. Il pensiero di Lutero, in merito, è stato citato dal nostro vescovo nella recente lettera pastorale Come il Padre ha mandato me così io ho mandato voi (p. 59). Il riformatore negava l’esistenza del sacramento dell’ordine, designava il battesimo come ordinazione sacerdotale e richiamava alla memoria le asserzioni bibliche sul sacerdozio comune di tutti i membri della Chiesa. Lo seguirono le Chiese nate dalla Riforma. Il concilio di Trento parlò in maniera dogmaticamente vincolante delle differenze che sarebbero fondate grazie all’ordinazione e la piena potestà religiosa. Nell’ambito della Chiesa cattolica si rimase così alle due “classi”, con la determinazione negativa dei laici. Negli ordini maschili, i non ordinati quali sacerdoti, nonostante l’obbligo della vita “religiosa comunitaria” e se-
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Messaggio tematico
condo i consigli evangelici, sono stati chiamati i “fratelli laici”. Dopo la perdita del potere temporale del papato nel 1870, ai laici secolari fu attribuito il compito di essere aiutanti della gerarchia nell’ambito temporale: difesa dei diritti e della libertà della Chiesa, ricomposizione della “cultura cristiana” nel mondo. A partire dal 1890 a questo doveva servire l’Azione dei cattolici (Leone XIII †1903), chiamata più tardi Azione Cattolica, quale “collaborazione e partecipazione dei laici all’apostolato gerarchico della Chiesa” (Pio XI †1939), ma sotto la guida della gerarchia. Nella prima metà del XX secolo, nacque la “teologia dei laici”, con un livello scientifico inferiore a quello della teologia insegnata nelle università cattoliche e nei seminari. Alla fine degli anni Cinquanta fu riconosciuto ai laici un proprio “apostolato dei laici”. Una “teologia dei laici”, promossa soprattutto da Y. Congar (†1995) cercò di descriverli come coloro che compiono nel mondo l’ “opera di Dio” in modo non clericale. Questa concezione dei laici come “collaboratori di Dio creatore, salvatore e santificatore”, con un particolare “carattere secolare” fu fatta propria dal Concilio Vaticano II. Con diverse indicazioni il Concilio gettò le basi perché i laici, mediante l’appartenenza a “consigli” ecclesiali, vivessero anche ufficialmente la corresponsabilità nella Chiesa. Grazie alla loro competenza teologica, i laici hanno caratterizzato in modo deciso il profilo della teologia scientifica, cosicché oggi si può fare a meno del concetto di “teologia dei laici”. Riguardo ad
un’approfondita spiritualità temporale, i teologi laici non dipendono più dalla direzione del clero. Per quanto nel rapporto fra laici e clero tanti problemi siano ancora insoluti, nel periodo di nemmeno cento anni la posizione dei laici nella Chiesa ha subito un cambiamento decisivo. Essi non sono più gli oggetti assistiti dalla gerarchia, ma possono vivere nella consapevolezza: “[Anche] noi siamo Chiesa”. Ma un argomento non usato perché non teologico – caso mai di esegesi popolare –, ma che personalmente ritengo efficace, è che Gesù non era di “stirpe sacerdotale”, era un vero laico di origine (non apparteneva alle tribù di Levi, bensì a quella di Davide), ma era soprattutto laico nelle sue parole e comportamenti. Nelle parole: leggiamo i suoi discorsi, soprattutto le sue parabole. Non sono certo infarcite di termini teologici, o peggio ancora clericali. Il suo è il parlare del popolo di Galilea: agricoltori, artigiani, pescatori. Le sue immagini sono prese dalla vita familiare (il figlio che scappa di casa, il banchetto di nozze, la ricerca di un soldo smarrito), o dai mestieri del tempo e del luogo (il pastore, i servi fedeli e infedeli, il costruttore della propria casa), ecc. Gesù era laico nelle azioni; prediligeva i bambini, non emarginava anzi aiutava gli ammalati, accoglieva prostitute e pubblicani. Si recò a predicare e a fare del bene fra i pagani; tutte cose che un sacerdote ebreo non avrebbe mai fatto perché, per lui, erano trasgressione e peccato. Verso il ceto sacerdotale il laico Gesù non fu tenero, vedi parabola del buon samaritano con quella triste figura di un sacerdote che cambia strada e di un levita che tira diritto per non soccorrere un loro correligionario ridotto in fin di vita. Si scagliò contro i mercanti che infestavano la loro casa. Gesù era un laico, anche se poi fu equiparato al sommo sacerdote (Lettere agli Ebrei), ma non credo che quel paragone, se gli fosse stato comunicato in vita, gli avrebbe fatto piacere!
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Il cavaliere e il dono della Verna hi è stato a San Leo, magnifico borgo nell’entroterra riminese nella regione chiamata Montefeltro, sarà rimasto affascinato dalle sue due splendide chiese, la Pieve o Basilica preromanica del IX secolo e il Duomo edificato nel 1173 in stile romanico-lombardo, che si affacciano sulla piazza centrale del paese. Straordinaria è poi la celebre inespugnabile Fortezza, a strapiombo sulla roccia,in cui venne rinchiuso fra gli altri il celebre Giuseppe Balsamo Conte di Cagliostro, mago, alchimista, guaritore, truffatore, millantatore e massone, che vi morì disperato per un colpo apoplettico dopo oltre quattro anni di carcere duro, rinchiuso nella cella detta il pozzetto, dalle cui feritoie poteva per esemplare castigo vedere solo le due chiese del paese. “C’è un solo Papa, un solo Dio e una sola Fortezza di San Leo”, recita ancora oggi un famoso proverbio romagnolo. Godendo di una posizione naturale che la proteggeva dagli attacchi e di bastioni di straordinaria imponenza, San Leo divenne una rocca inespugnabile, tanto che venne citata da Dante nel IV Canto del Purgatorio: “… Convien ch’om voli”, cioè per entrarvi l’uomo avrebbe dovuto volare. Pochi sanno però che è proprio a San Leo che iniziò ed ebbe origine lo straordinario rapporto di San Francesco con la Verna, rapporto che sarebbe culminato alcuni anni dopo con la sublimazione delle stimmate, l’ultimo sigillo che lo avrebbe trasformato veramente in un “alter Christus”. La Verna, il Mons Angelorum, il Monte degli Angeli, che sarebbe poi diventata una montagna sacra, allo stesso modo del Sinai, del Tabor e dello stesso Calvario, un tramite fra la terra e il cielo. “Nel crudo sasso intra Tevere ed Arno - da Cristo prese l’ultimo sigillo - che le sue membra due anni portarno”, così Dante nel Canto XI del Paradiso; Francesco fu il primo in tutta la storia del cristianesimo in cui questo fenomeno si sia prodotto: in lui infatti è fondamentale il legame stretto fra le stimmate e la cristomimesi, la sequela Christi. Ma torniamo a San Leo: l’8 maggio del 1213, festa dell’apparizione dell’Arcangelo Michele sul Monte Gargano, vi si celebrava un addobbamento, cioè la vestizione solenne di un giovane che prendeva per la prima volta le armi e le insegne di cavaliere: egli diventava cioè un novello cavaliere. Tale cerimonia comprendeva un bagno e una veglia d’ armi la notte della vigilia, la vestizione solenne di indumenti di color bianco e rosso, la consegna del cinturone e degli speroni dorati, poi una corsa al bersaglio “la quintana”, nel corso della quale il novello cavaliere doveva dimostrare tutta la sua perizia e il suo coraggio. Concludeva il tutto un grande banchetto in cui il novello cavaliere doveva dar prova dell’altra grande virtù cavalleresca, la “largitate”, espressa da una sontuosa mensa imbandita anche per parecchi giorni di seguito e a cui accorreva tutta la folla dei dintorni, compresi poveri, girovaghi e giullari. Il “giovin signore” in questa occasione doveva offrire doni generosi agli ospiti e ricche elemosine ai
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poveri. Francesco è in viaggio con frate Leone nella marca di Ancona e viene a sapere di questa grande festa, in cui diventava cavaliere un rampollo della famiglia dei Conti di Montefeltro,uno dei Casati più ricchi e più illustri di tutta l’Italia, per cui decide di recarsi anch’egli a San Leo; nei Fioretti si dice “per trarne alcuno frutto spirituale”, ma probabilmente perché quelle feste gli piacevano, ricordando i suoi trascorsi giovanili e i suoi sogni di cavalleria. Appena giunto nella piazza dove si celebrava la festa, salta su un muricciolo e si mette ad attirare l’attenzione degli astanti facendo il giullare, cosa che gli riusciva molto bene, e comincia a predicare. Ma che cosa predica Francesco in presenza di tanti uomini mondani e di corte, forse peccatori incalliti? Incredibile ma vero sceglie una canzone d’amore: “Tanto è quel bene ch’io aspetto che ogni pena m’è diletto”. Come tanto è il piacere che l’amante si aspetta dall’amata per cui può sopportare ogni pena, così egli a dame e cavalieri che lo ascoltano predica che tanto è il bene che si attende dall’amore divino che qualunque pena gli sembra lieve, anzi gli si converte in piacere. Tra i convenuti ad ascoltarlo c’era quel giorno un nobile signore del Casentino, Orlando di Chiusi. La predica di Francesco sull’amore umano e l’amore divino tocca tutti i presenti, ma in particolare Orlando, che avvicina il Santo di Assisi e gli manifesta il desiderio di parlare con lui “della salute dell’anima mia”. E qui Francesco si supera in tatto, umana disponibilità e discrezione: certo egli è pronto a parlare con lui, ma ora Orlando vada, si diverta, partecipi alla festa e al banchetto, ci sono gli amici che lo aspettano. Poi quando tutto sarà finito torni e insieme parleranno delle cose dello spirito. E così avvenne: un documento dei figli di Orlando, datato 1247 e giunto fino a noi, quindi finalmente un documento storico sicuro, ci informa che il loro padre “a voce diede, donò e concesse liberamente e senza riserve a frate Francesco, ai suoi compagni e ai suoi frati sia presenti sia futuri, nell’anno del Signore 1213 l’8 di maggio, il monte della Verna”. Un dono bellissimo, in circostanze straordinarie, un’intera montagna con i suoi grandi boschi. E di lì a un decennio Francesco, devotissimo agli Angeli, ascenderà la Verna per una Quaresima in onore di San Michele e la chiamerà Mons Angelorum perché vi sentiva vivo e presente il dolce fremito d’ali dei Messaggeri celesti. Quel povero giullare di Dio che era Francesco aveva steso la mano per ricevere una piccola elemosina e il cavaliere Orlando, toccato nel profondo del cuore, aveva donato e risposto generosamente. Certo non avrebbe mai potuto immaginare di quali straordinarie vicende sarebbe stata testimone la sua montagna, luogo di teofanie e della straordinaria tensione mistica di Francesco giunta fino al punto di rivivere e di portare nella propria carne la Passione di Cristo. Mario Corti
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Messaggio dall’Ordine Francescano Secolare
Sorelle e Fratelli dell’OFS Nunc Dimittis “Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace secondo la tua parola…”. Il Nunc dimittis è un cantico contenuto nel secondo capitolo del Vangelo di Luca con il quale Simeone chiede congedo a Dio perché ha potuto vedere il Cristo; per questo è conosciuto anche come cantico di Simeone. Si tratta di una splendida preghiera che esprime gratitudine per ciò che si è potuto vivere, credere, vedere e sperare. Faccio miei questi sentimenti di Simeone per congedarmi dall’assistenza regionale dell’Ordine Francescano Secolare della Svizzera italiana, dopo 6 anni di servizio a questa realtà che mi ha visto impegnato a favore dei francescani laici. Non mi dilungo sulle motivazioni che mi hanno portato a questa decisione ma desidero esprimere gratitudine a tutte le persone che hanno dimostrato partecipazione alle iniziative del Consiglio Regionale e delle tematiche formative che ho trattato a Spazio Aperto in questi anni. Auguro al nuovo assistente regionale p.Callisto, anche se ad-tempus, di avere passione per l’OFS, promuovendolo e, se necessario, difendendolo da una mentalità riduttiva di chi vorrebbe “declassare” l’Ordine a semplice “movimento di amici di s. Francesco”. Se la Chiesa ha costituito l’OFS con la struttura propria di un Ordine, un motivo dovrà pur sussistere. Grazie di cuore al Consiglio Regionale, con un pensiero di particolare affetto alla ministra Gabriella, alla quale manifesto attraverso questo biglietto di saluto, la massima stima e comprensione per la promozione dei progetti in cantiere a favore dei più piccoli. Per voi, sorelle e fratelli dell’OFS cantonale, chiedo a Dio un’abbondante effusione di Spirito Santo, per poter sempre discernere alla luce di Dio quale siano le scelte più appropriate nella dimensione della condivisione e della povertà tanto cara a san Francesco. fr. Michele Ravetta
Cambio di guida spirituale nell’Ordine Francescano Secolare della Svizzera Italiana Fra Michele Ravetta ha inoltrato le dimissioni da assistente spirituale dell’Ordine Secolare Francescano. Le motivazioni principali erano date da alcune difficoltà sorte con una fraternità locale. Fra Michele ha lavorato nell’ambito del francescanesimo laico, sia quale assistente, sia quale accompagnatore – con Suor Carla Pia – all’annuale pellegrinaggio ad Assisi, attività quest’ultima che intende continuare. A lui un grazie per tutto quello che ha fatto e la comprensione per il distacco che ritiene doloroso ma necessario per poter svolgere con serenità il servizio nell’ambito della sua professione socio-sanitaria nella quale è molto apprezzato. La Ministra Regionale, Gabriella Modonesi, in data 12 maggio 2010 sollecitava i Frati Cappuccini Ticinesi al fine di provvedere alla nomina di un nuovo assistente regionale. Data la vicinanza (settembre 2010) delle nuove nomine dei Superiori dei Cappuccini della Svizzera Italiana, l’attuale Consiglio Regionale ha dato l’incarico “ad interim” (per un anno) a fra Callisto Caldelari che, al Capitolo fraterno del 15/16 aprile u.s., ha presentato una mozione sulla “Collaborazione fra religiosi e laici francescani” che trascriviamo anche se, detta mozione, che è già stata approvata dal Capitolo all’unanimità, non si rivolge solo ai terziari ma a tutti quei laici che vogliano vivere una spiritualità francescana. Con questo scritto il nuovo assistente si presenta promettendo impegno affinché il Terzo Ordine Francescano sia, nella Svizzera Italiana, messaggio di “Pace e bene”.
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GIORNATA DE LLE FAMIGLIE FRANCESCANE DELLA SVIZZERA ITALIANA Sabato 2 ottobre 2010, organizzato dalla Commissione Interfrancescana, avrà luogo a Bellinzona, presso il centro “Spazio Aperto”, l’annuale incontro dei francescani della Svizzera Italiana. Il tema scelto per questo incontro sarà: “Passato, presente e futuro del francescanesimo nella Svizzera Italiana”.
Per chi volesse, nella Chiesa del Sacro Cuore c’è la possibilità di partecipare alla Santa Messa delle ore 9.00 e, dopo il dibattito pomeridiano, sempre nella Chiesa del Sacro Cuore, c’è la possibilità di assistere alla rappresentazione sacra sul “Cantico delle creature”, proposta dalla Comunità del Sacro Cuore di Bellinzona. L’incontro è aperto a tutti, anche ai non francescani!
Il programma della giornata è il seguente: Ore 10.00 Introduzione al tema della giornata. Relazione su passato e presente del Francescanesimo nella Svizzera Italiana da parte dei rappresentanti delle Famiglie Suore Clarisse Francescane: Frati Cappuccini Fraternità Francescana di Betania Suore di Menzingen Suore di Ingenbohl Ordine Francescano Secolare Moderatore: Silvano Toppi Ore 12.00
Pranzo presso il centro “Spazio Aperto”
Ore 13.30
Dibattito sul futuro del Francescanesimo nella Svizzera Italiana Moderatore: Silvano Toppi
Collaborazione fra religiosi cappuccini e laici francescani È indispensabile una collaborazione tra frati cappuccini e laici che s’ispirano al francescanesimo. Questa deve fondarsi, non solo sulla necessità (dato che il numero dei frati va assottigliandosi), ma su qualche cosa di più importante, il nostro essere cristiani e francescani: - il nostro essere cristiani, dato che Gesù era un laico e si circondò di collaboratori laici (apostoli) fu perseguitato dal clero del tempo; - di essere figli di Francesco che, fin che ha potuto, rimase laico, cedette poi alla pressioni, prima del vescovo d’Assisi, poi della Curia romana. Ma per sé rifiutò sempre il sacerdozio. E se non lui, subito dopo di lui si formò la famiglia francescana laica, quella dell’Ordine Francescano Secolare. Non nascondo le difficoltà che noi cappuccini possiamo avere a lavorare con i laici, data la nostra formazione clericale. Ma anche le difficoltà che possono avere loro, data la non perfetta comprensione del nostro stato, ma soprattutto per un loro senso errato di dipendenza. Ritengo che tutto possa essere superato con la buona volontà reciproca e con approfondimento della conoscenza e delle relazioni. Da parte dei frati, chiedendo questa collaborazione, è importante offrire qualcosa di prezioso, gli stessi capisaldi della nostra spiritualità, per trovare un terreno d’intesa comune sul quale costruire detta collaborazione in modo di avere una unità d’intenti, pur nella diversità delle modalità d’intervento. Questi capisaldi sono i nostri stessi valori costitutivi: l. Lo spirito di povertà, che per dei laici - non legati a questo voto - vorrà dire: uso del denaro come mezzo e non come fine, conseguente distacco dalla ricchezza e particolare attenzione ai poveri, condivisione dei principi di giustizia sociale. Nonché impegno nel volontariato, se a loro non risulta indispensabile un guadagno per vivere. 2. Fraternità, cioè sincera amicizia e fiducia, per una effettiva corresponsabilità. Apertura verso tutti i credenti e non. Fuga da ogni razzismo civile e religioso (ecumenismo). 3. Ilarità, la “serafica letizia” di San Francesco che vuol dire speranza cristiana e utopia umana, belle maniere, approccio positivo ad ogni persona e situazione. Ma perché un lavoro in comune funzioni bene ritengo indispensabile, da parte di tutti: - Rispetto assoluto per le diverse istituzioni che si ispirano al carisma francescano - Grande attenzione verso le diverse mentalità dei componenti di queste istituzioni - Capacità di ascolto e di dialogo reciproco - Per i frati, volontà di rendere i laici corresponsabili nella gestione dei nostri luoghi - Condivisione nelle decisioni e non semplice consultazione Quello che viene detto per i laici, ha valore ancora più profondo per la collaborazione con le religiose francescana di qualsiasi congregazione siano.
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Messaggio dall’Ordine Francescano Secolare
Semplicemente Fratelli “A nome dell’Ordine Francescano Secolare d’Italia, ho il piacere di invitarla all’evento ‘Semplicemente Fratelli’ che vivremo a Padova dal 28 al 30 maggio 2010, per costruire insieme un rinnovato bene comune, testimoniando che “essere fratelli è possibile” anche nella dimensione sociale e politica.”
fumo nuovo ... La società ha bisogno di noi, della nostra vita, ovunque siamo, a fare la nostra parte. Il dono ricevuto dev’essere dato. Pronti anche a “sporcarci le mani”.
il Ministro Nazionale, Giuseppe Failla
Prof. Giuseppe de Rita, sociologo del Censis: Società che vive di massa, emozioni, sentimenti, che possono diventare paura. Educare ai sentimenti! L’entità non è nel soggetto, ma nelle relazioni. Questa realtà che viviamo crea una società sempre più egoista e sentimentale. Se non c’è relazione la fraternità non esiste.
questo invito ha risposto anche l’OFS della Svizzera Italiana: 12 persone guidate dalla nostra ministra regionale Gabriella Modonesi. Da notare che a Padova erano presenti 1600 francescani. Il programma delle giornate è uno di quelli tosti tosti, anche per i personaggi coinvolti: l’Arcivescovo, il Vescovo, i Presidenti della Regione e della Provincia, il Priore della Comunità di Bose, il Sindaco di Padova e altri relatori di spicco fra i nostri francescani secolari italiani e del Consiglio Nazionale. Da non dimenticare i due cantautori, Angelo Branduardi e Amedeo Minghi, che ci hanno regalato una serata di musica e fraternità entusiasmante con un concerto in Piazza del Santo, interpretando profondi canti come il “Cantico delle Creature”. La parte spirituale preparata con il “Libretto liturgico” per tutti i partecipanti ci ha dato momenti solenni e meditativi indimenticabili, assolutamente voluti e rispecchianti i motivi e gli scopi di questo incontro.
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Questa la cronaca, succinta, per darvi l’impronta dell’incontro, tutt’altro che di passaggio. “Fratelli semplicemente”: un invito che può sembrare semplice, facile, ovvio, per qualunque cristiano. Allora perchè ricordarlo, proporlo, imporlo? Perchè è diventato un “evento francescano”; per vivere un momento di straordinaria intensità, una grande ribalta pubblica, con lo scopo di riuscire ad indicare alla nostra società nuovi percorsi di fraternità. Fratelli: risposte evangeliche che uniscono per
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dire una parola nuova alla società. Noi lo crediamo veramente possibile. L’apporto è nelle mani di tutti noi. (Riccardo Farina, Cons. nazionale) Progetto: “Una nuova coscienza “civica” per una società più umana. Una solidarietà che si fa storia. Perché ci sentiamo interpellati dalle sollecitudini e dalle urgenze sociali e politiche contro l’apatia e il disinteresse rispetto al mondo che ci circonda. Cos’è: evento francescano 2010, celebrazione collettiva di una nuova solidarietà, di un nuovo umanesimo e di un nuovo modo di relazionarsi reciprocamente. Missione: proposte concrete da presentare alla società, attraverso un percorso che inizia da noi, dalla revisione delle nostre scelte e del nostro vivere in fraternità. La vita stessa di fraternità dovrà puntare a livelli di segnali di cambiamenti, di strutturazione di nuove modalità. Non possiamo pensare che tutto cambia per caso o “per i segni dei tempi”: dobbiamo saper dare al tempo una direzione chiara, quella dove la Chiesa ci conduce e ci incita alla presenza attiva e fattiva”. Ma i veri protagonisti dell’incontro sono stati i relatori che si sono successivamente presentati con temi diversi, alti, attuali, introspettivi. Difficile qui presentarli nella loro interezza, ma tentiamo una sintesi. Diamo alcuni titoli significativi, rimasti impressi nei presenti. Giuseppe Failla, Ministro Nazionale OFS Italiano: Consegne del messaggio OFS all’uomo: ventata di nuovo francescanesimo che traspira di pro-
Fratel Enzo Bianchi, Priore della Comunità di Bose: Messaggio cristiano evangelico sulla fraternità. Tema che non è molto ricercato e meditato in questi ultimi decenni. Ma è così centrale nell’interno del francescanesimo, ma anche nell’umano, per la vita personale sociale. Fonti di ricerca: la Sacra Scrittura è oggi di grande aiuto. La fraternità nell’Antico Testamento: espressione autentica fra Dio e gli uomini. Adamo dove sei? Il popolo dell’Alleanza con Dio. Fratelli con tutti ma in categorie. Qual’è il popolo di Dio? Gesù eredita il popolo d’Israele e vive la fraternità tra le sue donne e uomini e parla loro di fratello e sorella .. .. Risponde alla domanda: chi è il mio prossimo? Riempie di amore gli altri, tutti.” Un grande grazie a Gabriella e Franchino per l’ottima organizzazione logistica e “culinaria” e al nostro Lorenzo, perfetta guida stradale e autista, attento a non farci sobbalzare ad ogni “buca” del lungo viaggio, affinchè anche il nostro fisico potesse arrivare in condizione da sopportare i giorni che, vi assicuro, non sono stati di semplice turismo ed esigevano un perfetto stato di salute mentale e fisico. Palma Pedrazzi
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Mese di novembre. Mese dei santi e dei morti. I primi, nostri fratelli maggiori nella fede, oggi nostri intercessori presso Dio. I morti sono i santi di casa nostra. A tutti loro i fiori della nostra riconoscenza e del nostro affetto
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Messaggio dal santuario
La porta del Sacro Monte
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ggi la maggior parte dei fedeli e dei visitatori giungono al santuario della Madonna del Sasso attraverso la scala che scende dalla strada cantonale. In passato non era così. Fino a quando non vennero costruite la strada carrozzabile e la funicolare che congiungono Locarno ad Orselina, al santuario si giungeva normalmente a piedi, attraverso il sentiero. Sin dagli albori della storia del Sacro Monte di Orselina, ai piedi della roccia sulla quale sorge ora la chiesa sommitale, si trova una chiesa dedicata a santa Maria Annunziata. Il percorso pedagogico del Sacro Monte, che illustra con le sue varie cappelle le tappe salienti della vita del Cristo, si apre così con la rappresentazione del primo mistero della storia della salvezza: l’annuncio angelico dell’incarnazione del Verbo. La chiesa dell’Annunziata venne fatta costruire da frate Bartolomeo d’Ivrea verso la fine del millequattrocento e fu consacrata nel 1502. In essa furono conservate anche le spoglie mortali del frate fondatore del santuario. Nei pressi della chiesa sorsero ben presto un’osteria e una bottega di ricordi devoti, per venire incontro alle necessità e ai desideri dei pellegrini. Lungo i secoli sia l’edificio della chiesa sia il suo arredo interno hanno subito diverse modifiche. L’intervento edile più incisivo fu senz’altro quello operato probabilmente nel 1814, allorché il volume dell’edificio venne praticamente dimezzato. La prima metà della navata venne infatti abbattuta e la facciata ricostruita, per formare un piazzale sufficiente-
mente ampio per le partenze delle processioni. Nel Cinquecento l’interno della chiesa doveva presentarsi riccamente affrescato, soprattutto dopo una campagna di pitture avvenuta nel 1522. Nel corso dei secoli successivi la chiesa ha conosciuto periodi di maggior e di minor considerazione. A metà dell’ottocento è diventata, come il resto del Sacro Monte, proprietà del canton Ticino. Verso la fine dello stesso secolo venne affidata alla cura della Congregazione delle Figlie di Maria, che provvidero a darle anche un nuovo assetto interno. Campagne di restauro vennero eseguite da parte dello Stato negli anni 1939, 1947 e 1954. Ma la situazione di degrado è proseguita fino ai primi anni del terzo millennio. Nel volume dedicato al circolo di Locarno de I monumenti d’arte e di storia del canton Ticino, stampato nel 1972, si può leggere a proposito dello stato della chiesa dell’Annunziata: “è ridotta di nuovo a spelonca; il tetto dell’absidiola sta crollando, l’umidità vela i dipinti di salnitro”. Nella prima fase della recente campagna di restauri del Sacro Monte di Orselina sono già stati realizzati importanti lavori di riparazione e di consolidamento della chiesa. Da più di un anno, nell’ambito della seconda tappa dei restauri, è invece in corso una campagna di recupero dell’arredo pittorico interno della chiesa. Per saperne di più sull’andamento e sullo stato attuale dei lavori abbiamo rivolto alcune domande al signor Bolli Peter, restauratore responsabile dell’intervento in corso.
Signor Bolli, come si presentava l’interno della chiesa dell’Annunziata al momento dell’inizio dei recenti lavori di restauro? Abbiamo cominciato i lavori circa un anno fa e la prima impressione, anche se il pavimento era nuovo, fu di abbandono, sulle pareti si leggeva l’incuria del tempo passato, mancava l’aria perché la chiesa era a lungo rimasta chiusa: in effetti dava una sensazione di tristezza.
Quali erano gli obiettivi fissati fin dall’inizio del recente intervento di restauro? Questa chiesa era molto sobria perché la maggior parte degli affreschi erano stati coperti. Nel coro troneggiava la Madonna, ora attribuita a Bartolomeo da Ponte Tresa e nella cupola gli Apostoli erano pasticciati da ridipinture e resti di intonaco. Nella navata l’unico vero affresco ben visibile era quello del Cristo fra i dottori e sull’arco di trionfo si intravedevano i due profeti: Davide e Zaccaria. Durante i primi sondaggi eseguiti due o tre anni fa, sono stati scoperti dei frammenti di affreschi anche sulla parete sud del coro e soprattutto sulle pareti della navata. In questo senso gli ob-
che penso valga la pena di menzionare, perchè si è trattato di una prima in Ticino, è stato l’impiego del laser per la pulitura di certi pigmenti, tipo la malachite e l’azzurrite. Questo sistema all’avanguardia, e ancora in sperimentazione, ha permesso un recupero quasi totale della pellicola pittorica.
Sarà possibile dare un nome agli artisti che hanno eseguito gli affreschi ora rimessi in luce? Durante tutto l’intervento di restauro non abbiamo scoperto firme o date. Di conseguenza sarà molto difficile attribuire questi affreschi alla mano di un determinato artista. Essi sono stati realizzati prevalentemente tra la fine del Cinquecento e l’inizio Seicento.
Questo intervento di restauro porta degli elementi nuovi alla storia del Sacro Monte della Madonna del Sasso? biettivi dell’intervento di restauro furono già dall’inizio la completa scialbatura (asportazione di tutti gli strati sovrapposti all’originale) di tutte le pareti, cosa assai rara attualmente in Ticino.
Sono state fatte delle scoperte interessanti durante l’intervento? Effettivamente le sorprese sono state tante. Nulla si sapeva di due affreschi venuti alla luce nelle nicchie degli altari laterali in navata, rappresentanti uno il supplizio di sant’Erasmo e l’altro la Madonna con santa Caterina d’Alessandria. Ancor più sorprendente è l’affresco della parete nord della navata con una rappresentazione molto scenografica delle nozze di Cana. L’episodio è raffigurato all’interno di differenti piani di architetture monumentali atte ad esasperare la prospettiva, una particolarità tipica della fine del Cinquecento, inizio Seicento. Sulla parete destra della navata entrando, abbiamo scoperto la continuazione dell’affresco già visibile prima dell’intervento, Cristo fra i dottori, con anche qui una rappresentazione di architettura molto imponente e una figura di vescovo. Purtroppo interventi posteriori (apertura di una porta), hanno compromesso la lettura completa dell’affresco.
Sono stati impiegati particolari mezzi tecnici? Per questo intervento di scialbo, di messa in luce degli affreschi, abbiamo usato differenti mezzi tecnici, perché le difficoltà erano effettivamente notevoli. Un mezzo tecnico
Sicuramente l’intervento porta degli elementi nuovi, come appunto i temi di dette rappresentazioni, abbastanza rare in Ticino e rimaste nascoste per parecchio tempo. È una vera riscoperta e un preludio alle ricchezze della chiesa matrice, l’Assunta: un’autentica porta d’ingresso al Sacro Monte!
Quando pensa che la chiesa dell’Annunziata potrà di nuovo essere aperta al pubblico? La fine del nostro intervento è prevista per metà o fine agosto. Ci saranno poi ancora altri lavori come il riposizionamento della lapide di fra Bartolomeo d’Ivrea, la ricollocazione dell’altare maggiore, la pulitura finale del pavimento. La data esatta dell’apertura al pubblico verrà decisa dalla Direzione lavori in accordo con l’ufficio dei Beni culturali.
Può immaginarsi l’impressione che la chiesa restaurata potrà suscitare in coloro che la visiteranno dopo che sarà di nuovo aperta al pubblico? Chi conosceva la chiesa prima del restauro rimarrà, spero, positivamente impressionato da tutti questi ritrovamenti, e per chi non la conosceva sarà la scoperta di un elemento importante pieno di rappresentazioni particolari ed interessanti. Intervista raccolta da frate Agostino
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Messaggi dal mondo della chiesa
Appunti di vita ecclesiale Finanze della Chiesa svizzera La RKZ (Conferenza centrale cattolica romana della Svizzera), cioè l’organismo che provvede al finanziamento della Chiesa in Svizzera, disporrà nel 2011 di un totale di 8,5 milioni di franchi, dei quali 6,5 milioni sono destinati al cofinanziamento di compiti pastorali a livello nazionale o di regioni linguistiche. Mentre il numero degli aderenti alle Chiese cantonali o alle diocesi non é sensibilmente diminuito (malgrado le aumentate critiche alla Chiesa), sono invece diminuite le entrate, sia come imposte ecclesiastiche sia come contributi volontari: diverse diocesi sono in difficoltà finanziarle, tra cui Sion e Lugano. E’ inoltre in atto un cambiamento nella composizione della Chiesa cattolica: in diverse regioni aumentano i cattolici dell’immigrazione, mentre diminuiscono almeno percentualmente i cattolici d’origine svizzera. Ciò richiede dl riesaminare l’organizzazione e il finanziamento delle “Missioni degli immigrati”, seguiti pastoralmente dalla Commissione episcopale “Migratio”: un avvicinamento di queste “missioni” con le organizzazioni ecclesiastiche cantonali o diocesane diventa sempre più auspicabile e persino necessario. La RKZ ha pure deciso dl aumentare il finanziamento destinato al settore comunicazione, portandolo, in unione al “Sacrificio quaresimale”, ad un totale di fr. 2,4 milioni, mentre 200.000 franchi sono stati destinati alla Commissione dei media dell’episcopato, e un sussidio speciale è stato attribuito all’Agenzia Aplc-Klpa, per sviluppare un sito internet in lingua francese (cath.ch), accanto a quello già esistente in tedesco (kath.ch), con informazioni e documenti. I partecipanti all’assemblea della RKZ, tenutasi ad Altdorf, hanno poi ascoltato una conferenza sulla storia delle istituzioni ecclesiastiche nei Cantoni centrali, che ha ricordato l’origine “dal basso” di chiese e fondazioni e, grazie alla partecipazione e all’attaccamento popolare, ha impedito la diffusione della Riforma. Un risultato e un sistema che merita di essere mantenuto, di fronte alle nuove difficoltà che incontra la Chiesa cattolica, evitando pericolose innovazioni che vorrebbero modificare una situazione radicata nella storia, per sostituirlo col “diritto canonico”, che oltretutto rispecchia una visione premoderna della vita sociale.
L’universita’ di Basilea ha 550 anni L’Università di Basilea è la più antica scuola superiore svizzera. Nata nel 1460, festeggia quest’anno il 550esimo anniversario della fondazione, legata al concilio svoltosi a Basilea dal 1431 al 1449. Partecipando al concilio in qualità di suo segretario, Enea Silvio Piccolomini, futuro papa Pio II, ebbe l’occasione di conoscere la città e di apprez-
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zare il carattere amabile della popolazione e delle autorità. In segno di riconoscenza, divenuto papa, promulgò una bolla nella quale autorizzava la fondazione dell’università. L’università di Basilea, frutto di un Concilio e fondata da un Papa, è cresciuta intorno alla facoltà di teologia, anche se oggi la facoltà di teologia è la più piccola dell’università, e anche la più piccola delle tre facoltà teologiche evangeliche della Svizzera tedesca, accanto a Zurigo e Berna. Con il passaggio di Basilea alla riforma protestante, nel 1529, la facoltà di teologia è diventata luogo di formazione dei futuri pastori riformati e tale è rimasta fino a oggi; ha oggi circa 140 studenti, dei quali circa 40 conseguiranno semplicemente la laurea in teologia, mentre un centinaio intende laurearsi e intraprendere poi la strada di pastore evangelico. Tra i suoi docenti, ha avuto il celebre teologo Karl Barth, che aveva dovuto lasciare la cattedra occupata nella Germania nazista. Secondo il professor Grozinger, “il diritto all’esistenza delle facoltà teologiche è messo alle volte in discussione: alcuni le considerano dei relitti del passato”. Invece “nella nostra società si sta sviluppando un rinnovato interesse per la religione, e questo fa capire che un’università che studia in modo scientifico tutti gli aspetti del nostro mondo, non può fare a meno di una facoltà di teologia. Le religioni sono tornate ad occupare un posto di rilievo nel dibattito pubblico contemporaneo, più di quanto non avessero venti o trenta anni fa”. Qualche anno fa si discuteva anche della creazione di una cattedra di teologia islamica presso l’Università di Basilea, un progetto poi dimenticato: tuttavia la facoltà sta riflettendo sul modo di integrare lo studio della teologia islamica, accanto a quello già esistente della teologia ebraica.
Mennoniti svizzeri La Chiesa mennonita (o anabattista) è derivata dalla Riforma nel 16.mo secolo e si caratterizza per il rifiuto del battesimo ai bambini (lo fanno da adulti) e per la netta separazione dallo Stato e il rifiuto di portare armi. Si tratta della più antica “Chiesa libera” della Svizzera. Perseguitati a Berna ancora nel 1710 (un gruppo di 56 anabattisti fu costretto all’esilio), si sono rifugiati specialmente sulle montagne del Giura: oggi la Chiesa conta in Svizzera circa 2500 membri, formanti la Conferenza mennonita svizzera, comprendente 14 comunità nel Giura, nell’Emmental, e alle periferie di Berna e di Basilea. A livello mondiale gli anabattisti sono circa 1,5 milioni, in 75 paesi dei 5 continenti. Nel 1693 un gruppo, condotto da Jacob Amman, si separò dalla comunità, per vivere secondo le antiche tradizioni, formando la comunità amish. Recentemente sono state stabilite relazioni tra i mennoniti svizzeri e la Chiesa riformata.
Due premi alla carità Il Premio Caritas per l’umanità, di franchi 10.000, è stato conferito l’11 giugno a Lucerna alla suora Vincenzina Dallai e al padre Gérard Comméville per sostenere la scuola “La Santa Famiglia”, diretta dai due premiati , dove 1300 ragazzi di una bidonville a Gonaives (Haiti) sono scolarizzati. Il 19 successivo, sempre a Lucerna, la comunità dei cappuccini in Kenia ha ricevuto il premio della fondazione Luigi e Giovanna Junt di 25.000 franchi, per il loro impegno a favore della pace. Durante i sanguinosi disordini seguiti all’elezione presidenziale del 2007, i religiosi hanno istituito il progetto Damietta, allo scopo di contribuire alla riconciliazione, attuando l’esempio del fondatore san Francesco, apostolo della pace tra cristiani e musulmani.
Basilea sceglie un nuovo vescovo L’attuale vescovo di Basilea, mons. Kurt Koch, è stato nominato da Benedetto XVI a presidente del Consiglio pontificio per l’unità dei cristiani e diventerà il quarto cardinale svizzero vivente (con il ticinese mons. Gilberto Agustoni, il ginevrino Cottier, il vallesano Schwery). La nomina papale è stata apprezzata in Svizzera sia da cattolici sia da riformati, e sarà senz’altro utile in Vaticano per migliorare i rapporti con la Chiesa svizzera (della quale mons. Koch ha presieduto la Conferenza episcopale), e per il movimento ecumenico, del quale è conoscitore e fautore. La nomina del nuovo vescovo di Basilea spetta al Capitolo della cattedrale, tuttavia con la partecipazione alla scelta della cosiddetta “Conferenza diocesana” composta dei delegati dei 10 Cantoni della diocesi. Secondo il concordato del 26 marzo 1828, il vescovo di Basilea (che risiede a Soletta) , viene scelto dai 18 preti che formano il capitolo; questi preparano una lista di sei candidati che viene trasmessa alla Conferenza diocesana, radunata nel medesimo tempo; essa ha la possibilità di indicare a maggioranza “non convenienti“ al massimo tre dei proposti; tra i nomi rimasti il Capitolo sceglie a maggioranza assoluta delle schede valide il nuovo vescovo. Se l’eletto accetta, tramite il Nunzio di Berna, il nome è trasmesso alla Santa Sede che esamina se il prescelto ha i requisiti richiesti e se l’elezione è stata regolare: il nuovo vescovo deve appartenere al clero diocesano, avere almeno 35 anni ed essere prete da almeno 5, avere un titolo di studio in materia religiosa (sacra scrittura, teologia, diritto canonico, ecc.) o esserne competente, godere di buona fama e di molte qualità utili al compito episcopale. Ciò accertato, il Papa conferma la elezione. Secondo questa procedura, si tratterà della tredicesima elezione a partire dal 1828; tra i vescovi così designati figura
anche mons. Eugenio Lachat (eletto nel 1863 e diventato nel 1885 il primo amministratore apostolico del Ticino) e mons. Hansjorg Vogel (eletto nel 1994 e dimissionato “per paternità” l’anno seguente). La proceduta basilese che prevede un’ampia consultazione di clero e laicato, dovrebbe servire di base per unificare le procedure di scelta dei vescovi in Svizzera (ogni diocesi ne ha una diversa!), ma il tema viene ripreso ad ogni vacanza, e poi rimandato … alla prossima.
Da Ginevra al sud del mondo A Ginevra hanno sede le grandi organizzazioni cristiane non cattoliche: il CEC (Consiglio ecumenico delle Chiese), l’ARM (Alleanza riformata mondiale) e il REC (Consiglio ecumenico riformato). Ora l’ARM e il REC si sono riunite nel CMER (Comunione mondiale delle Chiese riformate) e la maggioranza delle sue Chiese appartengono al sud del mondo, e non apprezzano di mantenere la sede nella ricca Ginevra (troppo cara...) e simbolo di un Occidente ingiusto e anticristiano. Così alcuni propongono come nuova sede Johannesburg (Sud Africa), oppure Accra (Ghana) o ancora Hongkong (Cina), per dimostrare concretamente l’impegno a favore del cristiani e del popoli del Terzo Mondo. Alberto Lepori
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al 2 al 6 giugno si è tenuto a Edimburgo un grande incontro ecumenico per commemorare il centesimo anniversario della Conferenza missionaria mondiale che ebbe luogo nel 1910 nella capitale scozzese, un evento che viene generalmente considerato come il punto di partenza, l’atto di nascita del movimento ecumenico contemporaneo. Vi hanno partecipato, provenienti da 60 Paesi, circa 300 leader di tutte le tradizioni cristiane: anglicani, protestanti, cattolici romani, ortodossi, “evangelicali” e pentecostali. Ad essi, l’ultimo giorno si sono aggiunti 900 visitatori locali ed internazionali per una celebrazione che si è significativamente tenuta nella stessa “Assembly Hall” della Chiesa di Scozia (vedi foto) dove ebbe luogo la storica Conferenza del 1910. A riunirsi a Edimburgo, dal 14 al 23 giugno 1910 per la Conferenza missionaria mondiale furono 1.200 delegati (non delle loro Chiese ma delle rispet-
tive società missionarie), quasi tutti provenienti dalla Gran Bretagna e dagli Stati Uniti. L’incontro fu “ecumenico” nel senso che fu aperto ai diversi rami dell’anglicanesimo e del protestantesimo, ma senza le voci provenienti della Chiesa cattolica e da quella ortodossa (interessante notare, comunque, che vi partecipò anche un ospite ortodosso), e lo scopo fu quello di aiutare i missionari a forgiare uno spirito comune e non concorrenziale, contrario al Vangelo. La Conferenza ebbe un peso determinante nella genesi del movimento ecumenico essenzialmente per due motivi. Il primo è che una delle otto commissioni nelle quali si articolarono i lavori dell’assemblea aveva come tema “la cooperazione e la promozione dell’unità”. Il secondo è che al termine della Conferenza venne deciso di costituire un “comitato di continuazione”, cioè un organismo permanente incaricato di proseguire il lavoro avviato a Edimburgo e quindi anche di promuovere l’unità delle diverse missioni coinvolte e, di riflesso, ©WCC-Geneva
Messaggio ecumenico
100 anni di ecumenismo celebrati ad Edimburgo l’unità delle rispettive Chiese. La cesura di relazioni creata dalle due Guerre mondiali farà sì che le ricadute di Edimburgo troveranno i loro frutti più importanti soltanto nel 1948, con la fondazione, ad Amsterdam, del Consiglio ecumenico delle Chiese (CEC) , di cui oggi fanno parte 349 Chiese protestanti, anglicane, ortodosse e veterocattoliche, che rappresentano oltre 560 milioni di cristiani. La maggior parte delle Chiese ortodosse vi aderì soltanto nel 1961, mentre la Chiesa cattolica romana, all’inizio molto critica e negativa nei confronti del movimento ecumenico (basti ricordare l’enciclica di Pio XI “Mortalium animos” del 1928), cambiò atteggiamento con il Concilio Vaticano II (1962-1965) e, pur non entrando nel CEC, vi collabora attivamente sia tramite il Gruppo misto di lavoro, istituito nel 1965, sia facendo parte a pieno titolo di due importanti commissioni: “Fede e Costituzione” e “Missione ed Evangelizzazione”. Da ricordare anche l’esistenza, dal 1960, del Segretariato, ora Pontificio Consiglio, per la promozione dell’unità dei cristiani.
Testimoniare Cristo oggi L’azione missionaria mondiale non può che viaggiare sui cammini della diversità, una diversità che trova l’unità nell’incontro con Gesù Cristo. E’ quanto è scaturito dalla Conferenza missionaria mondiale, sul tema “Testimoniare Cristo oggi”, che si è tenuta, come detto, in giugno a Edimburgo. I delegati si sono interrogati sul ruolo che può avere una testimonianza comune del Vangelo oggi, in un mondo dove la realtà cristiana appare sempre più frammentata. Con tavole rotonde e incontri di gruppo, hanno cercato di mettere a fuoco le sfide per la missione nel XXI secolo, con una convinzione ben precisa: oggi l’evangelizzazione avviene in
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tutte le direzioni, da e verso ogni luogo geografico del pianeta, e non più soltanto da Nord verso Sud. “Missione e unità vanno di pari passo” - ha affermato durante la celebrazione di apertura Olav Fykse Tveit, segretario generale del Consiglio ecumenico delle Chiese, sottolineando la responsabilità delle Chiese: quella cioè di “offrire riconciliazione all’umanità. Riconciliazione con Dio, tra gli esseri umani, con il creato”. “Le Chiese” – ha detto il pastore norvegese – “devono essere testimoni di speranza in tempi di ingiustizia, di crisi finanziarie, di minacce ambientali e di violenza e tensioni tra uomini di fede”. Tveit ha poi tenuto a sottolineare la centralità della croce: “Testimoniare Cristo è un movimento missionario della croce... Il mondo ha bisogno di discepoli fedeli a Cristo che portino la croce con amore e in solidarietà con il mondo per il quale Gesù è morto”. A prendere la parola subito dopo è stato il direttore internazionale dell’Alleanza
evangelica mondiale, Geoff Tunnicliffe: “L’agnello di Dio è resuscitato ed è l’unico che ci unisce nel tempio e in eterno”, ha detto, enfatizzando l’attuale sfida, quella cioè “di tutte le Chiese a portare tutto il Vangelo a tutti!”, riconoscendo tuttavia con amarezza che “a causa della disunione della Chiesa è più difficile per il mondo credere in Gesù Cristo”. Da parte sua, l’evangelica Dana Robert, dell’Università di Boston, tra le maggiori esperte mondiali della storia della missione, ha osservato come il cristianesimo abbia subito uno dei più grandi cambiamenti nella sua storia ormai bimillenaria: “Ora è una fede multiculturale, con una grande moltitudine di credenti di tutte le tribù, popoli e lingue”. Ed ha aggiunto: “I partecipanti alla Conferenza missionaria mondiale di un secolo fa hanno riflettuto su come evangelizzare il mondo nella loro generazione. Noi che viviamo nel 2010, dobbiamo rendere testimonianza alla nostra generazione”.
Il messaggio finale La Conferenza si è conclusa con la lettura e la diffusione di un “Appello comune” in cui si riafferma “l’urgenza” della missione. Ecco qualche stralcio: “Siamo chiamati a un dialogo autentico, ad un impegno rispettoso e ad una umile testimonianza all’unicità di Cristo ..., siamo chiamati a diventare comunità di compassione e di guarigione, in cui i giovani partecipano attivamente alla missione, in cui donne e uomini condividono equamente potere e responsabilità ..., siamo chiamati a trovare modi pratici di vivere come membri dell’unico corpo …, siamo chiamati a rallegrarci per le espressioni del Vangelo in molte nazioni in tutto il mondo …, siamo chiamati come comunità di fede alla missione da ogni luogo e verso ogni luogo …, siamo chiamati a una cooperazione costante, ad affrontare le questioni controverse e a lavorare per una visione comune”. Gino Driussi
Mons. Koch nuovo presidente del Pontificio Consiglio per l’unione dei cristiani Importante e prestigiosa nomina per la Chiesa cattolica svizzera: lo scorso 1° luglio il Papa ha scelto – elevandolo nel contempo alla dignità di arcivescovo - mons. Kurt Koch (nella foto) quale nuovo presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, al posto del cardinale tedesco Walter Kasper, ritiratosi per raggiunti limiti di età. Il dicastero si occupa anche dei rapporti religiosi con l’ebraismo. Koch, 60 anni (è nato il 15 marzo 1950 ad Emmenbrücke), è stato vescovo di Basilea per 15 anni e presidente della Conferenza dei vescovi svizzeri dal 2007 al 2009 ed è un profondo conoscitore dell’ecumenismo. In una lettera ai suoi diocesani scritta dopo la sua nomina, mons. Koch – futuro cardinale poiché il posto che occupa a Roma è cardinalizio - rileva come l’ecumenismo stia a cuore a Benedetto XVI, non solo quello con gli ortodossi, ma anche quello con i protestanti. Infatti, aggiunge, nell’incontro avuto con lui lo scorso febbraio, il Papa gli ha confidato come sia importante che la presidenza del Pontificio Consiglio per l’unione dei cristiani venga di nuovo affidata a qualcuno che conosca le Chiese e le comunità ecclesiali sorte dalla Riforma non solo tramite i libri, ma per esperienza diretta, ciò che è certamente il caso per mons. Koch. Messaggio di felicitazioni e di auguri per il nuovo incarico sono giunti a mons. Koch in particolare dalla Conferenza dei vescovi svizzeri, dal presidente uscente della Federazione delle Chiese evangeliche della Svizzera pastore Thomas Wipf, dal segretario generale del Consiglio ecumenico delle Chiese Olav Fykse Tveit, dal metropolita Hilarion, presidente del Dipartimento per le relazioni esterne del Patriarcato di Mosca e dall’associazione ebraica American Jewish Committee.
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Dieci minuti per te
Elogio del silenzio ungo il corso dei secoli, il silenzio è stato oggetto di lode da parte di una moltitudine innumerevole di persone, di ogni estrazione sociale. Basta pensare alla dichiarazione di Lao Tsé: «Il silenzio è la grande rivelazione»; o al detto popolare: «Un bel silenzio non fu mai scritto». Quest’ultimo detto sembra suggerire l’idea che nel silenzio si possano vivere esperienze di una tale profondità o altezza, da rendere vano ogni tentativo di tradurle in parole. Doveva trovarsi in uno stato di straordinario silenzio Paolo, quando fu rapito al terzo cielo e «udì parole indicibili, che non è lecito ad alcuno pronunciare» (2 Cor 12,2-4). Anche Gesù sottolinea il ruolo fondamentale del silenzio, soprattutto nella comunicazione che abbiamo con Dio. Dice: «Quando tu preghi, entra nella tua camera, chiudi la porta e prega il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà». Dice anche di non pregare come i pagani, ossia come quelli che non conoscono Dio o, comunque, hanno una conoscenza limitata di lui. Essi «credono di venire ascoltati a forza di parole». Ma voi – aggiunge – «non siate come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno prima ancora che gliele chiediate» (Mt 6,58). Il silenzio nel rapporto con Dio esprime la nostra fiducia in lui e ci apre alla piena accoglienza della sua azione in noi. Sul piano delle nostre relazioni umane, esprime fiducia nei confronti della persona che ci sta davanti oppure fiducia nella vita. Per questo è anche il segno più evidente della nostra maturità interiore e sicurezza.
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Naturalmente esistono diverse forme di silenzio. Ci sono addirittura silenzi al negativo: silenzio di chiusura, di mortificazione, di minaccia, di collera, di rancore, di paura o di timidezza; «un silenzio pesante, che mi opprime in tal modo che la più piccola parola sarebbe per me una liberazione»; oppure «un silenzio in cui ringhia un’ostilità irritata dal non trovare mezzi abbastanza forti per manifestarsi»; un «silenzio che contiene tutte le parole e un altro che non ne contiene nessuna» (Lavelle). Al positivo c’è il silenzio che scaturisce dal retto uso della parola: la parola veritiera, il cui opposto è la parola falsa; la parola unitiva, che è il contrario della parola separativa; la parola gentile, che contrasta la parola aspra; la parola utile, contrapposizione alle parole inutili e oziose (il Buddha). La «retta parola» è la parola che genera il silenzio di riservatezza, il «silenzio che porta il peso di tutti i ricordi senza evocarne nessuno e prende in considerazione tutte le possibilità senza preferirne nessuna»; oppure il «silenzio dell’amicizia piena, felice di aver superato tutte le parole e di averle rese inutili»; o, ancora, il «silenzio dell’ammirazione», della meraviglia e dello stupore» (Lavelle).
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Il digiuno e la sospensione della parola, tuttavia, non esprimono l’aspetto più significativo del silenzio. Come già suggerisce chiaramente il discorso sulla «retta parola», il silenzio è soprattutto un’attitudine interiore. Le sue caratteristiche fondamentali sono l’equilibrio, la calma, la tranquillità e la pace in mezzo al travaglio della vita. Come scrive Aurobindo, «nella mente calma la sostanza dell’essere mentale è immobile, tanto immobile che nulla riesce a turbarla». Anche se sorgono pensieri, immagini e sentimenti «passano senza nulla turbare, senza lasciare traccia»: attraversano la mente «come un volo di uccelli attraversa il cielo in un’aria immota». Gli stessi avvenimenti più violenti non riescono ad intaccarne l’equilibrio e la serenità. «Una mente che abbia acquisito questa calma può cominciare ad agire con intensità e forza, mantenendo la sua fondamentale immobilità», ossia con calma e imparzialità e, insieme, «nella gioia della Verità». Una mente silenziosa è essenzialmente una mente «libera da inquietudini e turbamenti, salda, disponibile e lieta, che si apre alla Forza che cambia la natura». Il silenzio interiore, quindi, non è un bicchiere vuoto. Indica piuttosto quell’attitudine di consapevolezza spaziosa, silente e tranquilla, che sa accogliere ogni cosa, accompagnando ogni evento con quella maturità interiore che ci rende adulti e pieni di bontà e saggezza nel nostro agire. Come scrive Madeleine Delbrel, socialmente impegnata a portare solidarietà ai più emarginati: «Tutti i rumori che ci circondano fanno molto meno strepito di noi stessi. Il vero rumore è l’eco che le cose hanno in noi. Non è il parlare che rompe inevitabilmente il silenzio. A noi, gente della strada, sembra che la solitudine non sia l’assenza del mondo, ma la presenza di Dio. E’ l’incontrare Dio dovunque che fa la nostra solitudine. E’ l’altezza che fa la solitudine delle montagne, non il luogo dove sono collocate le loro basi. Perché il vento tra i pini, la tempesta sulla sabbia, la burrasca sul mare sarebbero silenzio, e non lo sono invece il pulsare delle macchine in una fabbrica, il ronfare dei treni alla stazione, il frastuono delle auto all’incrocio delle strade? Qui e là sono le stesse grandi leggi che operano, il suono della creazione che ci circonda. Perché il canto dell’allodola in un campo di grano, lo stridío degli insetti nelle ore notturne, il ronzío delle api fra il timo nutrirebbero i nostri silenzi, e non, invece, i passi della folla nelle strade, il parlottio delle donne al mercato, le grida degli uomini al lavoro, il riso dei bambini in un giardino, le canzoni che escono dai bar? Tutto è voce di creature che si muovono verso il loro destino, eco della casa di Dio in ordine e in disordine, tutto è segno della vita che procede verso la propria pienezza di vita. Il silenzio non è un’evasione, ma il raccogliersi di noi stessi nel cavo della mano di Dio. Il si-
lenzio non è una serpe che fugge di fronte al più piccolo rumore: è un’aquila dalle forti ali, che vola alto sullo strepito della terra, degli uomini e del vento». Swami Veda Barati, invece, scrive: «In mezzo a tutti i pianti e i sorrisi, lascia che la mente si prenda un tempo e divenga immobile. Osserva anche tu questo momento, e diventa immobile. Questo non significa zittire ogni pensiero, emozione e parola. Rintracciale semplicemente nel silenzio che precede ogni discorso e diventa immobile. Vi è un istante, un felice istante di quiete, dal quale sorge un’onda che di nuovo con la quiete si fonde. Quando osservi l’onda, osserva con essa anche la calma da cui sorge e la sua fine silenziosa. Allora anche tu diventi immobile e silenzioso. Ogni respiro inizia dal silenzio e finisce in una pausa di sospensione. Colma quell’intervallo con il silenzio della meditazione che accoglie, accompagna ed ascolta sia il moto che la sospensione. Allora anche tu diverrai immoto e silenzioso. Prima di esplodere di rabbia, prima di cedere alla passione, trattieni la mente, fissala nella
calma che è dentro di te. Allora perfino in mezzo alla rabbia e alla passione troverai la stabilità che trasforma la tua compulsività in una quiete ben governata, in uno strumento che alimenta una quieta, feconda immobilità. Immergiti dentro di te, nelle profondità del tuo essere, e tutto si farà quiete sovrana e creativa immobilità». I padri della chiesa esaltano il silenzio del venerdì santo, che culmina nel silenzio del «grande sabato». Questi due silenzi sono gravidi del felice evento della risurrezione: «Un grande silenzio avvolge la terra il venerdì di Passione. Dopo aver annunciato la morte di Dio, sembra che il mondo entri nel silenzio del grande sabato, che precede e annuncia la risurrezione». Evdokimov prosegue: «Quando l’uomo rientra in se stesso e ritrova il vero silenzio, vive l’esperienza quasi di un attesa che gli viene dal Padre che è presente nel segreto. E’ una parola che non s’impone; è parola che testimonia di una prossimità vivente: Ecco, sto alla porta e busso» (L’amore folle di Dio, ed. Paoline, pp. 42 e 40). fra Andrea Schnöller
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Messaggio biblico
Adam, lavoratore gioioso ei numeri scorsi abbiamo detto che due sono gli scrittori che hanno composto questi primi capitoli della Genesi. Finora ne abbiamo letto uno, chiamato “sacerdotale”, e il suo stupendo inno alla creazione diviso in sette giorni ci ha affascinato. Ora iniziamo a leggere il secondo scrittore chiamato “jahvista”, perché tutte le volte che nomina Dio lo chiama appunto Jahvè. Questo scrittore è più antico del sacerdotale, evidentemente non lo conosce, perciò inizia il suo racconto dicendo: “Quando Dio, il Signore, fece il cielo e la terra, sulla terra non c’era ancora nemmeno un cespuglio e nei campi non germogliava l’erba. Dio il Signore non aveva ancora mandato la pioggia e non c’era l’uomo per lavorare la terra”. Che cosa vogliono dire queste parole? Dobbiamo entrare nella mentalità dell’orientale il quale parla spesso per figure e non per astrazione. Non c’erano cespugli, non c’erano campi, non germogliava l’erba, non c’era la pioggia, non c’era l’uomo, quindi... c’era il nulla. In altre parole lo scrittore jahvista dice le stesse cose del sacerdotale: “All’inizio non c’era nulla, c’era solo il Signore Iddio”. Ma fa una piccola eccezione: “Vi era solamente vapore che saliva dal suolo e ne inumidiva la superficie”. Come mai questo vapore?... Il commentatore del Talmud dice una cosa intelligente: “Siccome Jahvè stava per creare con la terra l’uomo, aveva bisogno che questa terra fosse umida, come ha bisogno dell’acqua il pastaio che vuole formare il pane. Ecco dunque che la terra viene inumidita da un vapore e solo allora il Signore prese dal suolo un po’ di terra e con quella plasmò l’uomo, gli soffiò nelle narici un alito vitale e l’uomo diventò una creatura vivente”. Bellissima questa descrizione della creazione dell’uomo! In altre parole
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l’uomo è creatura formata dalla terra e del respiro di Dio, perciò si colloca fra il terrestre e il divino, è l’essere a metà strada che congiunge i due elementi, il materiale e lo spirituale. Vi rendete conto chi siamo!... Poi “Dio, il Signore, piantò un giardino in Oriente nella regione di Eden e vi mise l’uomo che Egli aveva plasmato, fece spuntare dal suolo alberi di ogni specie, erano belli a vedersi e i loro frutti squisiti. In mezzo al giardino piantò due alberi, uno per dare la vita e l’altro per infondere la conoscenza di tutto”. Dopo aver creato l’uomo Dio crea l’ambiente, il giardino, e pone l’uomo, che è frutto del campo, della terra, nel suo campo, nel suo terreno. Avete notato che finora nella traduzione che sto leggendo non si è mai usata la parola Adamo, ma sempre l’uomo. La parola “uomo” è la traduzione di Adam e proviene certamente dal vocabolo adamà che vuol dire il terreno del campo. Dunque l’uomo è detto Adam perché è stato preso da adamà. E fa bene la traduzione della Bibbia in lingua corrente a non usare il nome proprio Adamo per sostituirlo semplicemente con la parola “uomo”. Infatti la storia che stiamo per raccontare non è la storia del signore Adamo, ma è la storia di ogni Adamo, quindi di ogni uomo. Dicevamo che Dio colloca l’uomo nel giardino, un giardino bellissimo che richiama le antiche oasi orientali, un giardino dove c’erano alberi belli a vedersi e frutti squisiti. La Bibbia parla poi di quattro fiumi che esistono in questo giardino, due di questi sono fiumi noti, il Tigre e l’Eufrate, gli altri probabilmente sono fiumi simbolici, ma il messaggio che da questi versetti promana è il seguente: un giardino non esiste se non esiste la linfa vitale dell’acqua. Continua il Sacro Testo: “Poi il Signore
Iddio prese l’uomo e lo mise nel giardino per coltivare la terra e custodirla”. E’ simpatico il commento del Talmud; dice chiaramente che Dio prese l’uomo con parole gentili e lo persuase ad entrare nel giardino. Ma perché Dio fece questo invito?... Perché quasi sospinse l’uomo ad entrare in quel bellissimo giardino?... Perché il giardino aveva bisogno dell’uomo; senza di lui, quel giardino che rappresenta il mondo è un deserto. Ma non deve restare deserto; acquisterà la sua vera bellezza per mezzo dell’uomo. Adamo, cioè l’uomo, secondo l’affermazione del testo, legato alla mentalità del proprio tempo, trasforma la terra incolta in un giardino. Ma il catechismo che noi adulti abbiamo studiato nelle prime classi elementari non dice forse che l’uomo è stato creato da Dio per “amarlo e servirlo in questa vita, e poi goderlo eternamente nell’altra?” Sì, il vecchio catechismo, a somiglianza degli antichi miti pagani orientali, afferma che l’uomo è creato solo per Dio e per la religione, la Bibbia invece ci dice che Dio destina l’uomo al mondo, deve dedicarsi ad esso, è messo nel giardino del creato che è il suo posto irrinunciabile. Ora l’attività con cui l’uomo si dedica al mondo è il lavoro, e il lavoro non si porrà come una delle tante occupazioni dell’uomo, ma come l’impegno consegnatogli da Dio perché coltivasse e custodisse la terra! E dato che l’uomo-lavoratore è quasi il continuatore dell’opera creatrice divina, il suo lavoro diventa una forma di governo universale attraverso il quale rende presente la stessa azione di Dio. Per questo motivo il lavoro è santificato dalla sua stessa essenza, ancora prima che l’uomo lo orienti volutamente verso Dio; il lavoro è già un rapporto con Dio, anzi è l’agire di Dio attraverso l’uomo. Forse sarebbe dunque utile correggere quella risposta del vecchio catechismo; l’uomo è creato
per Dio nel senso che deve continuare l’opera di Dio di custodire, migliorare attraverso il suo lavoro il giardino del creato. Vorrei insistere ancora sul valore del lavoro nei primi due capitoli della Bibbia. Nel capitolo primo abbiamo visto come Dio, dopo essersi consultato e aver deciso di fare l’uomo, gli dà subito il compito di dominare sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, sugli animali; e appena creato l’uomo gli affida il più grande e meraviglioso lavoro che possa fare: essere fecondo, diventare numeroso, popolare la terra, per poi aggiungere: questa terra dovete governarla e dominarla. Dicevamo allora che il verbo “dominare” non va inteso nel senso del potere, ma nel senso stesso con cui Dio domina, con la legge della provvidenza e dell’amore. Soltanto dopo che aveva dato all’uomo l’ordine di procreare e di riempire la terra e di servire gli animali, le piante e tutto il creato - sempre nel primo capitolo - lo scrittore sacerdotale dice: “E Dio vide che tutto quello che aveva fatto era molto bello”. Nel secondo capitolo un altro scrittore insiste: “Prese l’uomo e lo mise nel giardino per coltivare la terra e custodirlo”. Sì, proprio quell’uomo che dalla terra era stato tratto, ma vivificato dallo spirito divino, per gli autori biblici è nelle condizioni migliori per coltivare la terra e custodirla. Da questa omelia biblica sul lavoro possiamo dedurre due considerazioni. La prima: il rapporto esistente tra l’uomo e la terra è lo stesso rapporto che deve esistere tra il figlio e la madre; più la terra è vecchia più il figlio deve aver cura di questa madre, non dimenticando però che per essere figlio ha dovuto avere un padre e questo Padre è Iddio che con il soffio del Suo Spirito ha vivificato la terra per ricavarne la Sua immagine e la Sua rassomiglianza: l’uomo, Adam.
Ecco perché noi dobbiamo amare la terra; nessuno può disprezzare sua madre, nessuno può calpestarla, può distruggerla, può cambiargli i connotati, può torturarla, può avvelenarla, può renderla sterile, può strappargli i capelli delle foreste, ma tutti figli - per la propria madre - devono avere un profondo rispetto e un grande amore. E la seconda considerazione: il rapporto fra l’uomo e il lavoro. L’uomo è fatto per lavorare, ma di un lavoro gioioso, costruttivo, che gli dà la possibilità di realizzarsi a pieno come persona. Ecco perché dovremmo combattere tutti quei lavori che non sono realizzatori dell’uomo, ma sono semplicemente pro-cacciatori di denaro. Lo so che è un discorso utopico, ma credo che sia importante ricordarlo, soprattutto in questo momento in cui nel rapporto uomo-lavoro si è introdotto uno spirito maligno, la disoccupazione. Quando vedo dei giovani disoccupati mi rincresce per loro, non tanto perché non guadagnino; lo Stato prov-
vede a questo aspetto negativo della mancanza di denaro, ma soprattutto perché non riescono a realizzarsi in pieno, in quanto l’uomo attraverso il lavoro allena, non soltanto le sue membra, ma soprattutto la sua mente. Ed è per questo che dobbiamo fare tutto il possibile per togliere la piaga della disoccupazione; dobbiamo soprattutto interrogarci se non è il caso che chi lavora troppo (e troppo guadagna) non possa cedere parte del suo lavoro (e del suo guadagno) a chi non ha da lavorare e non può guadagnare. Ma, ripeto, il problema della disoccupazione è prima di tutto un problema psicologico e antropologico, senza minimizzare le conseguenze economiche. Per concludere: l’impegno di chi crede in questo discorso biblico su l’importante rapporto che deve esistere fra l’uomo e il lavoro è quello di far sì che tutti gli uomini possano entrare nel giardino della terra e possano coltivarlo e custodirlo. Rendendo migliore la terra miglioreremo noi stessi!
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Messaggio dal Bigorio
La riscoperta del silenzio Questo convento, nato per una scelta ascetica fatta da uomini alla ricerca di Dio, è un luogo adatto per ridare a noi, uomini dell’oggi, la possibilità di riscoprire e rivivere il valore del silenzio. Viene spontaneo chiederci: ma che cos’è il silenzio? È la porta che si apre per entrare nella piena consapevolezza del nostro essere? È il modo migliore per ascoltare la voce di Dio che ci parla? È la terapia migliore per curare le nostre ansie, le nostre paure, le nostre incertezze? L’invito è di avere coraggio e di decidere di affrontare quest’avventura. Bisogna lasciare le consuetudini e i luoghi nei quali viviamo ogni giorno per poter entrare in un ambiente tutto diverso e trascorrere le ore in una cella ed assaporare, nel silenzio, il dono del silenzio. Il Bigorio è uno dei luoghi privilegiati e adatti per vivere questa esperienza. Noi, come frati cappuccini, che cosa possiamo offrire a chi ci chiede di trascorrere qualche giorno di silenzio in convento?
Offriamo la cosa più semplice che esiste: salire al convento abbandonando le abitudini del vivere quotidiano, entrare in questo luogo privilegiato, occupare gli spazi tipicamente conventuali, usando una celletta per il riposo e la riflessione, trascorrendo nel coro dei momenti di meditazione, consumando i pasti in comune nel refettorio. Tutti questi nuovi spazi, congiunti alla bellezza del paesaggio nel quale è immerso il convento, daranno la possibilità di concretizzare il desiderio per il quale si è varcata la soglia di questo luogo. A mano a mano che trascorreranno le ore, il silenzio di questo luogo ci parlerà e ci condurrà per mano dentro il mistero della presenza di Dio nella nostra vita. Soltanto nel silenzio, il modo di vedere le cose cambia angolazione. Trovo molto significativo questo testo di Isacco di Ninive, vissuto nel VII secolo: “Più di ogni altra cosa ama il silenzio; esso ti reca un frutto che la lingua è incapace di descrivere. Da principio siamo noi stessi a imporci di tacere; ma in seguito, dal nostro stesso silenzio sorge qualcosa che ci trascina al silenzio. Dio ti doni il sentimento di questo “qualcosa” che nasce dal silenzio! Se ti impegnerai in questo esercizio, vedrai quale profusione di luce inonderà la tua anima (…). Dopo un po’ di tempo, mediante l’esercizio di questa regola di condotta, nasce nel cuore una certa dolcezza per cui anche il corpo viene quasi naturalmente trascinato a rimanere in silenzio”. A chi interessasse partecipare a questa esperienza, proponiamo il fine settimana del 20 e 21 di novembre, con due giornate chiamate “la riscoperta del silenzio”.
Per ulteriori informazioni o iscrizioni, telefonare allo 091 943 12 22. fra Roberto
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a oltre un quindicennio l’Associazione “Biblioteca Salita dei Frati” organizza, nell’ambito della propria attività culturale pubblica, di regola una volta l’anno, un breve ciclo di incontri biblici. Questa iniziativa, che ha sempre suscitato l’interesse dei frequentatori della biblioteca, si ispira alla rinnovata attenzione con cui il mondo della cultura, anche quello estraneo a presupposti o appartenenze religiose, si accosta oggi alla ricerca biblica, avvalendosi di tutti gli strumenti della critica storica, della filologia testuale e delle scienze umane. Ogni ciclo di lezioni verte su un testo oppure su un tema del Primo o del Secondo Testamento, che viene presentato, nel corso di tre o quattro distinte serate, da biblisti o studiosi di diverso orientamento. L’impostazione è conforme agli scopi dell’Associazione, che si propone di offrire ad un pubblico laico i mezzi per approfondire e sviluppare le proprie conoscenze sul cristianesimo e sulla religiosità. Gli incontri del prossimo autunno saranno dedicati alle parabole di Gesù che, come è noto, sono storie raccontate nella sua predicazione per illustrare il suo insegnamento: si possono definire un metodo caratteristico della sua alta pedagogia religiosa. Ricorrono nei Vangeli sinottici (almeno quaranta, ma il numero varia secondo gli esegeti per la difficoltà di ascrivere alcuni racconti al genere della parabola) e mancano invece in Giovanni. Esse, da un lato, si basano sul paragone con dati concreti desunti dall’esperienza degli ascoltatori secondo la mentalità orientale, dall’altro sono enigmatiche, così da stimolare la curiosità e da comportare spesso la necessità di una spiegazione. Le parabole sono un genere preesistente alla predicazione di Gesù, che si rifà dunque a una tradizione già presente nell’Antico Testamento, in particolare nei
libri profetici ma anche in quelli storici e poetici, e poi ripresa dal giudaismo rabbinico. E non mancano nemmeno nei Vangeli apocrifi, in particolare in quello di Tommaso. Il ciclo si inizierà con una lezione introduttiva, nella quale verranno illustrate l’origine e le caratteristiche del metodo parabolico di Gesù. Seguiranno tre lezioni in cui verranno analizzate e commentate alcune fra le parabole più note e significative. Questo il programma (inizio sempre alle 20.30): – lunedì 11 ottobre: Rinaldo Fabris, Introduzione al metodo parabolico di Gesù – mercoledì 13 ottobre: Callisto Caldelari, Il Regno di Dio e le sue parabole – martedì 19 ottobre: Daniele Garrone, La parabola del buon Samaritano – martedì 26 ottobre: Fernando Bandini, La parabola del figliuol prodigo Concludiamo questa nota con alcune informazioni sui relatori. Rinaldo Fabris è fra i più importanti biblisti cattolici italiani: docente di Esegesi del Nuovo Testamento nello Studio teologico di Udine e presidente dell’As-
sociazione biblica italiana, ha pubblicato oltre una trentina di studi su testi neotestamentari (dai sinottici alle lettere di Paolo). P. Callisto Caldelari è certamente ben noto a tutti i lettori del “Messaggero”: di lui ci limitiamo a ricordare il volume Signore, perché parli in parabole? (Bellinzona, Istituto bibliografico ticinese, 2008), un ampio saggio di seria ed alta divulgazione, che, dopo una ricca introduzione sulla parabola nella Bibbia, analizza e commenta le parabole dei sinottici mettendo al centro del loro messaggio l’annuncio del Regno di Dio. Daniele Garrone, pastore valdese, è docente di Antico Testamento alla Facoltà valdese di teologia di Roma: di lui si segnalano, fra l’altro, un commento al Cantico dei cantici e l’impegno nel dialogo ebraico-cristiano. Fernando Bandini, infine, è stato docente di Metrica e stilistica italiana all’Università di Padova ed è un poeta famoso per le sue raccolte di poesie in italiano e, soprattutto, in latino: i suoi carmina sono stati premiati più volte al concorso internazionale dell’Accademia reale olandese di Amsterdam e al Certamen Vaticanum. Fernando Lepori
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Messaggi dalle adiacenze
Incontri biblici sulle parabole di Gesù
Messaggio amico
Intervista a Leonardo Boff
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ontinuando la collaborazione con la bella rivista della Conferenza delle Chiese Evangeliche di lingua italiana in Svizzera, presentiamo la figura di uno dei più noti fustigatori dei peccati sociali del nostro tempo: LEONARDO BOFF è nato a Concordia (Brasile), il 14 dicembre 1938. Prima frate francescano, poi teologo ecologico, è autore prolifico, ha scritto oltre 80 libri, molti dei quali tradotti in decine di lingue e pubblicati in tutto il mondo. Durante gli anni 70, Leonardo Boff è stato uno dei “padri” fondatori della teologia sudamericana della liberazione. Ciò lo ha portato ad essere sanzionato una prima volta dalla Congregazione vaticana per la dottrina della fede. A causa della minaccia di nuove sanzioni, Boff ha rinunciato alle sue attività ecclesiastiche e ha proclamato, nel 1992, il suo ritorno allo stato laico. Oltre al dottorato honoris causa conferitogli nel novembre 2009 dall’Università di Neuchâtel, ha ricevuto lo stesso titolo in particolare dalle università di Lund (Svezia), Londra (Gran Bretagna), Torino (Italia) e São Leopoldo (Brasile). Nel dicembre 2001, ha ricevuto il premio Nobel alternativo della pace per i suoi contributi alla lotta per la difesa del clima ed il suo impegno sociale. Attualmente continua la sua riflessione teologica con un particolare accento sulla tematica ecologica. E’ consigliere del Movimento dei lavoratori rurali senza terra (MST) e delle comunità ecclesiastiche di base (CEBs) del Brasile. Svolge un’intensa attività di conferenziere che lo porta a viaggiare in numerosi Paesi. E’ stato più volte ospite del Centro Spazio Aperto di Bellinzona. “Malgrado le fosche previsioni, ho fiducia che la speranza vinca la paura e che la vita sia più forte della morte”, ha affermato il teologo brasiliano Leonardo Boff alla vigilia della Conferenza sul clima di Copenhagen. Nel frattempo la Conferenza è terminata senza avere raggiunto un accordo vincolante che permetta di affrontare globalmente la sfida del riscaldamento della Terra. Nell’intervista che vi presentiamo, le riflessioni di Boff sulla necessità di adottare un nuovo modello di sviluppo e la sua speranza che allo scacco subito dagli attori della politica faccia seguito una mobilitazione della società civile internazionale. Negli anni Ottanta lei è stato tra i primi a suonare l’allarme sulla problematica ecologica planetaria. Come analizza l’attuale situazione ambientale? Numerose indicazioni scientifiche segnalano l’arrivo di una tragedia ecologica ed umanitaria. Nulla di essenziale è cambiato dalla redazione della “Carta della Terra” elaborata nel
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2003 da un gruppo di personalità proveniente dal mondo intero. In quel documento dicevano: “Viviamo un momento critico per la terra in cui l’umanità deve scegliere il proprio futuro. La scelta è la seguente: o si promuove un’alleanza globale per vegliare sugli altri e sulla Terra, o rischiamo la nostra distruzione e la devastazione della biodiversità”.
Come giustifica un’affermazione così tagliente, senza mezzi termini? A causa dell’attuale convergenza di tre crisi strutturali: la crisi causata dalla mancanza di sostenibilità del pianeta Terra, la crisi sociale mondiale e la crisi del riscaldamento climatico.
Può fornirci degli esempi? La metà dell’umanità vive sotto la soglia della povertà. Le cifre sono terrificanti: il 20% dei più ricchi consuma oltre l’82% di tutte le ricchezze della Terra, il 20% dei più poveri deve accontentarsi di un misero 1,6%. Quanto al riscaldamento climatico, la FAO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione) ha previsto che, nei prossimi anni, vi saranno 150-200 milioni di rifugiati climatici. Le previsioni più drammatiche indicano un aumento di 4°C entro il 2035; per la fine del 21° secolo, si
prevede un aumento di 7°C. Se ciò dovesse realmente verificarsi, nessun tipo di vita oggi conosciuto potrebbe sopravvivere. Quanto alla crisi di sostenibilità, l’umanità oggi consuma il 30% in più di quanto è in grado di riprodurre, ossia il 30% in più delle capacità della Terra.
Ma questa tendenza a consumare il pianeta non è nuova... No, ma la novità consiste nella rapidità di questo deterioramento. Secondo studi credibili, nel 1961 avevamo bisogno di metà della Terra per rispondere ai bisogni dell’umanità. Nel 1981 necessitavamo della Terra intera. Nel 1995, abbiamo superato del 10% la capacità di riproduzione, sebbene ciò fosse ancora sopportabile. Nel 2008, siamo al 30%: la Terra ci sta dando segnali inequivocabili che non è più in grado di sopportare questo sfruttamento.
Le prospettive sono ancora più preoccupanti? Se il prodotto intero lordo (PIL) prosegue nella sua crescita del 2-3% all’anno, come previsto, nel 2050 avremo bisogno di due pianeti Terra per rispondere alla domanda di consumo: ciò è impossibile poiché disponiamo di un solo pianeta.
Ciò ci obbliga a pensare ad un altro paradigma di civiltà? Effettivamente sì. Non possiamo più produrre come abbiamo fatto finora. L’attuale modello di produzione capitalista si basa sul falso presupposto che la Terra è un grande contenitore dal quale possiamo attingere risorse in modo infinito per ricavare benefici con il minimo investimento nel tempo più breve possibile. Oggi è chiaro che la Terra è un piccolo pianeta, vecchio e limitato, che non è in grado di sopportare uno sfruttamento illimitato. Dobbiamo orientarci verso un’altra forma di produzione e adottare altri tipi di consumo.
Ritornando alla situazione attuale, che cosa pensa del cambiamento climatico? Noi dobbiamo fare tutto quanto è possibile per stabilizzare il clima evitando il riscaldamento della Terra di 2 o 3 gradi supplementari, affinché la vita possa continuare. Bisogna comprendere che questo riscaldamento implicherebbe una devastazione della biodiversità e la morte di milioni di persone, i cui territori non saranno più abitabili, in particolare
in Africa e nel Sud-Est asiatico. All’interno di questo scenario, io sono preoccupato per l’irresponsabilità di numerosi governi, in particolare quelli dei paesi ricchi, che non intendono prendere misure incisive per ridurre le emissioni di gas ad effetto serra e salvare il clima. Una vera ecomiopia!
Tutto ciò deriva da una mancanza di volontà politica di giungere ad alcuni accordi? Si tratta soprattutto di un conflitto di interessi. Le grandi imprese – specialmente quelle petrolifere – non vogliono alcun cambiamento, poiché perderebbero i loro benefici attuali. Bisogna capire l’interdipendenza tra il potere economico e quello politico. Il grande potere è quello economico. La politica ne è una derivazione. In numerosi casi, gli Stati non rappresentano gli interessi popolari ma piuttosto quelli dei grandi attori dell’economia.
Come valuta il risultato della Conferenza di Copenhagen? Secondo me, la frustrazione politica può significare un’enorme sfida per la società civile, affinché essa si mobiliti, eserciti pressione e promuova cambiamenti dal basso. Credo che la ragione, la prudenza e la saggezza verranno dalla società civile. Essa sarà, anche per quanto riguarda il clima, il principale soggetto storico. Nessun cambiamento reale verrà dall’alto, ma solo dal basso. Malgrado il difficile presente, io credo che non si tratti di una tragedia che finirà male, ma di una crisi purificatrice, che ci permetta di compiere un salto in direzione di un futuro migliore.
Attraverso un programma comune per salvare la Terra? Una nuova bio-civiltà dovrebbe poggiarsi su quattro pilastri essenziali: l’utilizzo sostenibile, responsabile e solidale delle risorse e dei servizi limitati della natura. Il controllo democratico dei rapporti sociali, specialmente per quanto riguarda i mercati ed i capitali speculativi; un’etica minima mondiale che deve nascere dallo scambio reciproco multiculturale, basata sulla compassione, la cooperazione e la responsabilità universale; la spiritualità come dimensione antropologica e non come monopolio delle religioni. Deve svilupparsi come espressione di una coscienza che si sente parte di un Tutto maggiore, che percepisce un’energia potente e che rappresenta il senso supremo del Tutto. (Intervista da cura di Sergio Ferrari, Tra. il. Eros Lupi tratto da Voce Evangelica del gennaio 2010)
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Abbiamo letto... abbiamo visto... Convento dei Cappuccini Salita dei Frati 4 CH - 6900 Lugano
GAB 6900 Lugano
Mick E. L. Ordine Sacro. Per capire il sacramento Padova, Messaggero, 2008
Continuiamo la segnalazione di questi agili libretti per approfondire lo studio sui sacramenti. Questo è particolarmente interessante perché le prime pagine parlano dei sacramenti in generale e costituiscono un ripasso di ciò che quest’anno trattiamo come tema principale nella nostra rivista; il libretto presenta in sintesi la visione dei sacramenti nata dal concilio Vaticano II. L’approfondimento sul sacramento dell’Ordine è utile non solo per chi riceve questo segno-sacro che lo consacra al servizio del “Regno di Dio” per tutta la vita in un modo speciale, ma anche per tutti i cristiani che nel loro battesimo sono stati – in modo diverso, ma non meno reale – consacrati sacerdoti, cioè persone sacre. Il testo può servire per la catechesi degli adulti e per i gruppi di riscoperta della fede cristiana, nonché per promuovere fra i giovani e le famiglie una azione vocazionale.
P. Callisto Caldelari Gesù, La vita Padova, Messaggero, 2010
Il libro Ti presento Gesù Cristo per dubbiosi e non credenti, che tanta fortuna ha avuto nel Ticino (3’000 copie vendute solo nel nostro cantone) è stato edito dall’editrice Messaggero di Padova per l’Italia. Si tratta di una bella edizione, con un inserto a colori con foto dei luoghi santi riprese nei vari pellegrinaggi organizzati dalla Comunità del Sacro Cuore di Bellinzona. Il libro riprende la prima edizione “ticinese” migliorata. Gli editori hanno fiducia che anche in Italia l’opera possa avere quella fortuna che ha avuto nel nostro paese, soprattutto per quella gioventù dubbiosa e non credente che è alla ricerca di un modello di vita eccezionale come quello di Gesù di Nazaret e, attraverso la sua storia e i suoi messaggi, può condurre alla fede. Il volume, di 319 pagine per fr. 42, si può comandare direttamente al segretariato della Comunità del Sacro Cuore (tel. 091 82 00 880 - email bellinzona@cappuccini.ch), dove si possono avere gli altri due volumi dello stesso autore (nell’edizione ticinese) uno sulle Parabole, l’altro sugli Atti degli apostoli (fr. 28)