Messaggero 2011-16 Ott-Dic

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Trimestrale di formazione e spiritualitĂ francescana

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n°

Ottobre Dicembre 2011


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Ottobre Dicembre 2011

Intervista a don Sandro Vitalini

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Alcune riflessioni

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La Chiesa fa politica!

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MESSAGGERO Rivista fondata nel 1911 ed edita dai Frati Cappuccini della Svizzera Italiana - Lugano

Comitato Editoriale fra Callisto Caldelari (dir. responsabile) fra Edy Rossi-Pedruzzi fra Michele Ravetta Maurizio Agustoni Gino Driussi Alberto Lepori E-Mail redazione@messaggero.ch

Maurizio Agustoni

La Madonna del Sasso nella pittura di Filippo Franzoni

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Francescanesimo secolare

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Uno studio di Chiara Frugoni

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Hanno collaborato a questo numero Franchino Casoni Edgardo Cattori Mario Corti fra Agostino Del-Pietro Fernando Lepori Federica Mauri don Sandro Vitalini

Redazione e Amministrazione

Fernando Lepori

Da 50 anni a fianco dei poveri

Convento dei Cappuccini Salita dei Frati 4 CH - 6900 Lugano Tel +41 (91) 922.60.32 Fax +41 (91) 922.60.37

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La segreteria é normalmente aperta martedì e mercoledì dalle 13.30 alle 16.30. Negli altri giorni la segreteria telefonica registra le vostre chiamate.

Federica Mauri

Cristiani nel mondo Alberto Lepori

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Messaggio ecumenico

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Internet www.messaggero.ch E-Mail segreteria@messaggero.ch

Abbonamenti 2012 ordinario CHF 30.sostenitore da CHF 50.CCP 65-901-8 IBAN CH4109000000650009018

Gino Driussi

Il “Vate” e San Francesco

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Fotolito, stampa e spedizione

Mario Corti

L’ospedale: quando la malattia diventa occasione d’incontro fra Michele Ravetta

RPrint - Locarno

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Non si accettano abbonamenti con destinazione fuori dalla Svizzera

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Lettera della redazione

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Eccoci all’ultimo numero del 2011 e alla chiusura del tema di fondo che ci ha accompagnato per tutto l’anno: i comandamenti. Da più parti abbiamo ricevuto dei complimenti per come è stato svolto questo tema attraverso le risposte, teologicamente sicure, ma esposte in modo facile da don Sandro Vitalini e gli articoli di approfondimento, apparsi anonimi, redatti da P. Callisto Caldelari. Chi volesse approfondire ulteriormente le singole “Dieci parole” troverà delle indicazioni sull’ultima pagina di copertina.

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La redazione della nostra rivista, in una sua recente riunione, ha stabilito il nuovo tema che, con tutta probabilità, si svilupperà nell’arco di più anni: il Concilio Vaticano II, nel quarantesimo della sua celebrazione (a sinistra immagine di una sessione plenaria). I numeri del prossimo anno parleranno prevalentemente della preparazione del Concilio, della storia di queste assisi e dei personaggi che lungo i secoli sono stati un po’ i fari dei singoli concilii. Per quanto riguarda la parte storico-francescana, il nostro collaboratore dott. Corti ci tratteggerà la figura di Santa Chiara d’Assisi negli 800 anni della sua dedicazione a Dio per mano del concittadino San Francesco. Abbiamo anche deciso di evidenziare maggiormente le riflessioni sui temi d’attualità che apriranno dunque ogni prossimo numero, grazie alla penna di Maurizio Agustoni. Infine, alcune rubriche tradizionali si alterneranno, in modo da comparire due volte nel corso dell’anno, mentre manterremo regolari i contributi di Gino Driussi sull’ecumenismo e di Alberto Lepori sulla vita della Chiesa.

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Come sempre una calda raccomandazione ai nostri lettori di onorare l’abbonamento e di trovare nuovi abbonati. A coloro che hanno ricevuto un numero della rivista in omaggio, diciamo di cuore che saremmo lieti di annoverarli nella famiglia del Messaggero.

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Intervista a don Sandro Vitalini

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Il “desiderare” è peccato? Dobbiamo distinguere. Noi possiamo avere un forte istinto di vendetta quando veniamo offesi, calunniati, e nel nostro intimo ci balenano pensieri terribili (“lo ammazzo”). Ma queste reazioni istintive non sono una colpa, ma un segno della fragilità della nostra natura umana. Così ci possono essere desideri disordinati nell’ordine sessuale o nella sfera patrimoniale, ma dobbiamo convincerci che queste pulsioni, anche veementi, non sono volontarie e pertanto non interessano l’ordine morale. Ci aiutano a vivere in grande umiltà, tutti ben consapevoli della nostra estrema fragilità. Confidiamo solo e sempre in Colui che ha detto: “Senza di me voi non potete far nulla” (Giovanni 15,5). Diversa è la situazione nella quale si acconsente esplicitamente a un desiderio malvagio, cercando di tradurlo in atto. Così cerco un veleno da metter nel bicchiere di chi vorrei sopprimere, scrivo una lettera per adescare una persona, mi procuro degli attrezzi per svaligiare una cassaforte. Anche se questi progetti non riusciranno ad essere attuati, il peccato c’è, perché ha fruttificato in realtà concrete che si sono volute.

Di solito però i “desideri” sono velleità inoffensive e dobbiamo non badar loro. Purtroppo chi è scrupoloso vede peccati dovunque e soffre per nulla. Se ci vediamo assaliti dallo scrupolo, cerchiamo di farci aiutare. E’ un pessimo malanno, che ci annienta. Diceva bene san Filippo Neri: “Scrupoli e malinconia, fuori da casa mia”.

P

Perché due comandamenti sul desiderio? Se leggo Esodo 20,17 (e anche Deuteronomio 5,21) constato l’unità del comandamento, che proibisce ogni forma di desiderio malsano. Assistiamo ad un “ammucchiata” che ci sconcerta: “moglie, casa, campo, schiavo, schiava, bue, asino” ci sembrano realtà ben diverse tra loro. Si noti come questa legislazione si riferisca alla Palestina, quando gli Ebrei avrebbero avuto delle case (mentre nel deserto abitavano sotto tende provvisorie e non avevano possedimenti personali). L’autore sacro cerca di rendere presente la spiritualità del deserto nella quale ogni membro della comunità beneficia dello stesso cibo e della stessa condizione di vita. Il desiderio smodato di possesso porta allo squilibrio sociale. Davanti al Padre tutti gli uomini per principio hanno gli stessi diritti e sottostanno agli stessi doveri. L’ideale di questa eguaglianza (come la si coltiva nei monasteri) è perseguita anche da Paolo, che chiede ai cristiani di applicare il principio dei “vasi comunicanti”: chi ha di più dona a chi ha di meno perché si componga l’equilibrio tra i membri dell’unica famiglia di Dio: “Colui che raccolse molto non abbondò e colui che raccolse poco non ebbe di meno” (2 Corinti 8,15). Il Deuteronomio è perentorio: “Non ci sarà alcun bisognoso in mezzo a voi” (15,7). L’uomo che desidera arricchirsi, impoverendo il fratello (Isaia 5,8), appare un ladro perché ha sottratto al fratello ciò che Dio Padre gli aveva attribuito come inalienabile eredità (Giosuè 13-14-15-16-17).


Anche se siamo lontani da questo ideale, dobbiamo riconoscerci di fatto fratelli di ogni singolo uomo, impegnati a restituirgli il suo patrimonio, e cioè combattendo ogni forma di ingiustizia, di squilibrio, di sperequazione. Il nostro servizio per il povero non è un pio consiglio, ma uno stretto dovere, che ci impegna anche politicamente (Matteo 25,31-46).

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Non si parla di “desiderare un uomo”! La mentalità antica immaginava che un marito potesse concupire una sposa non sua (2 Samuele 11), ma non viceversa, per lo stato di inferiorità nel quale viveva la donna, proprietà prima del padre e poi del marito. La donna appare senza volontà propria: è un “oggetto concupibile come lo schiavo o la schiava altrui”. Questi passaggi ci rivelano l’inadeguatezza del pensiero vetero-testamentario, che non beneficia ancora della luce apportata al mondo dal Verbo incarnato.

N

Nei Vangeli si parla di peccati di desiderio? “Avete inteso che fu detto: non commetterete adulterio”. Ma io vi dico: chiunque guarda una donna per possederla ha già commesso adulterio con lei nel proprio cuore” (Matteo 5,27-28).

Gesù eleva la dignità dell’uomo e della donna ad un’altezza divina. I due sono chiamati a costituire “una sola carne” e cioè una sola persona, un solo essere vivente (Matteo 19,4). Il Figlio di Dio chiede alla coppia di riverberare quella unità nella pluralità che è propria delle divine persone. Come noi non desideriamo il braccio di un altro, perché vogliamo la nostra integrità, così in questa unità ontologica si esclude un desiderio che appare come una mutilazione. Bisogna però riconoscere che Gesù ammette il divorzio “per la durezza del vostro cuore” (Matteo 19,8). Questa è ancora attuale là dove i cuori non si sono lasciati inondare dallo Spirito Santo (Romani 5,5). Noi di solito oggi ammettiamo con estrema larghezza tutti al Sacramento del Matrimonio, ma poi ci mostriamo durissimi là dove si chiede una dichiarazione di nullità (che la Chiesa orientale chiama “morte” del primo vincolo). Sarebbe più evangelico sondare in antecedenza le disposizioni spirituali dei contraenti ed in seguito rivestirsi delle viscere di misericordia di Gesù, che “fece la comunione” e cioè donò sé stesso, rivelatore supremo, a una spregiatissima donna, per di più scomunicata (Samaritana), che aveva convissuto con sei uomini (Giovanni 4,1-42). Ci rendiamo almeno conto che noi, in compagnia di scribi e farisei, abbiamo svuotato il Vangelo del suo contenuto?

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Alcune riflessioni Non desiderare la donna e l’uomo d’altri

Q

Quanti sono i comandamenti di Dio? Il mio lettore certamente risponderebbe: “Dieci! L’ho imparato dal catechismo scolastico e mi fu ripetuto più volte in chiesa; lei non può permettersi di mettere in dubbio questo numero”. Vorrei - prima di tutto - ricordare che i comandamenti sono elencati due volte nella Bibbia: la prima volta nel libro dell’Esodo (20, 2-17), la seconda in quello del Deuteronomio (5, 6-21). Se prendiamo la redazione dell’Esodo non sembra che i comandamenti siano dieci, perché l’ultimo comandamento ne raggruppa due. Infatti vi leggiamo: “Non desiderare la casa del tuo prossimo, non desiderare la moglie del tuo prossimo, né il suo schiavo, né la sua schiava, né il suo bue, né il suo asino, né cosa alcuna che appartenga al tuo prossimo”. Mentre la redazione offertaci dal Deuteronomio distingue chiaramente: “Non desiderare la moglie del tuo prossimo” - questo sarebbe il nono comandamento - mentre il decimo recita: “Non desiderare alcuna delle cose che sono del tuo prossimo”. Per la verità, l’Esodo non sembra molto rispettoso della donna. Infatti proibisce di desiderare i beni che costituiscono il patrimonio del “prossimo”: la casa, la moglie, gli schiavi, il bue, l’asino; insomma le proprietà di un ricco marito di quei tempi. Bisogna riconoscere che in tale compagnia la donna non vi figura molto onorata. Inoltre, che i comandamenti siano nove o dieci, poco importa. Il numero dieci, certamente più tondo del nove, potrebbe avere una funzione didattica: ricordare meglio. Comunque il nono comandamento che proibisce di desiderare la donna d’altri, nella sua formulazione, può sembrare molto severo. Infatti, chi non sente un segreto desiderio se vede passare una bellissima ragazza con comportamento sbarazzino? Oggi questi desideri si moltiplicano con alcune bellissime ragazze, non solo libere, ma alle volte libertine: pensiamo a quelle che ti vengono propinate in tutti i mezzi di comunicazione, specie dalla televisione. Perciò il nono comandamento è di grande attualità per tutte quelle persone, uomini e donne, che vogliono essere fedeli ai propri sentimenti ed alle proprie promesse. Per scendere al pratico, citando Larrañaga, possiamo affermare: “Pensiamo ad un uomo sposato che cominci un rapporto ambiguo di una certa affettuosità con

una donna diversa dalla propria moglie; o una donna sposata che inizi un rapporto affettivo con un uomo diverso dal proprio marito; o ancora ad un ragazzo od una ragazza che comincino ad uscire, rispettivamente, con una donna o con un uomo sposato. Le persone coinvolte in tali situazioni devono sapere, se sono leali con la propria coscienza, che rischiano di compromettere un matrimonio e ciò implica una grave responsabilità. Se ambedue sono persone sposate rischiano di compromettere due matrimoni e ciò è doppiamente grave. Per contrarre una tale responsabilità non occorre che arrivino ad unirsi in maniera adultera; la semplice condiscendenza consapevole al desiderio di possedersi reciprocamente è già un male, perché corrisponde ad un atteggiamento contrario al senso del matrimonio che è senso di fedeltà e di amore”. Verso queste persone, Gesù non è stato tenero: “Chiunque guarda una donna per desiderarla ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore” (Matteo 5, 28). Sono parole forti ma pienamente valide per chi crede nella morale cristiana considerata anche alla luce della cultura moderna. Semmai c’è solo da inserire la responsabilità correlativa della donna. E ciò è assai facile senza alcun bisogno di complicate disquisizioni: “Qualunque donna sposata che guarda un uomo per desiderio, ha già commesso con lui adulterio nel suo cuore”; e altrettanto si dica di una ragazza che guarda con desiderio possessivo un uomo sposato. D’altronde se il nono comandamento, e queste parole di Cristo, fossero considerati come antidoto alle molte crisi matrimoniali sarebbero già - per questa loro funzione – di un’alta rilevanza sociale e religiosa. Infatti assistiamo ad un crescente aumento di separazioni e di divorzi: siamo quasi arrivati al 40% delle coppie sposate che, dopo non molti anni di matrimonio, definitivamente si lasciano. C’è da chiedersi perché? Personalmente ritengo che molte persone non hanno saputo o potuto sviluppare a sufficienza la propria capacità affettiva, con tutte le esigenze che implica - in questo campo - una vera maturazione umana. In parecchie coppie si manifesta un grave squilibrio nella sfera sentimentale, fra ciò che si vorrebbe vivere e ciò che di fatto si riesce a vivere. Le coppie del tempo passato che spesso si costituivano non per scelta personale,


Messaggio tematico ma per decisione dei genitori, e non con criteri affettivi, ma di convenienza, paradossalmente restavano più unite e non pensavano così facilmente alla divisione. Non voglio dire che quelle coppie erano felici, dico semplicemente che erano più salde, forse perché non erano sensibilizzate culturalmente a queste esigenze affettive, non erano consapevoli e quindi non ne soffrivano tanto la mancanza. Oggi invece, mentre si proclama la priorità dell’amore nella vita matrimoniale, si deve constatare che questo amore e questa vita entrano facilmente in crisi per la carenza, in molti, della reale capacità personale ad un amore autentico che impegna sempre profondamente le persone. Il moralista Larrañaga - sopracitato - fa anche quest’osservazione: “Molte coppie, avendo vissuto un fidanzamento che non di rado si protrae per molti anni, cominciano ad interrogarsi sul loro matrimonio poco tempo dopo averlo celebrato. La convivenza porta ad esaurire presto un amore che era troppo facile o mette in evidenza, addirittura, la constatazione sconcertante che l’amore vero non c’era affatto; che al posto del vero amore e sotto l’apparenza di molti gesti e parole di grande affettuosità, in fondo non c’era che istinto e desiderio possessivo camuffati d’amore sullo sfondo generale di tanta immaturità psichica, sessuale ed affettiva e la mancanza di criteri morali e religiosi. Ci si stupirà allora se l’uno o l’altra cedono facilmente alla tentazione di guardare con desiderio qualunque nuova occasione si presenti”. Giudizi come questi non vanno generalizzati a tutti i conviventi. Ci sono delle coppie che convivono con

una seria progettualità matrimoniale e continuano a costruire giorno per giorno il loro amore, giungendo a chiedere il sacramento del matrimonio solo quando sono sicuri che questo loro amore ha una garanzia di stabilità. Ma ci sono veramente delle coppie che dopo aver convissuto per parecchi anni, una volta sposati entrano in crisi perché non si sono preparati a vivere un rapporto definitivo. Evidentemente il nono comandamento non denuncia soltanto la situazione - piuttosto triste - d’instabilità affettiva nel matrimonio, ma offre anche indicazioni precise perché già in gioventù l’uomo ricerchi questa maturità affettiva. Ricordiamo la sesta beatitudine che proclama: Beati i puri di cuore perché vedranno Dio. Ma chi sono i puri di cuore? Sono coloro che hanno accordato la propria intelligenza e la propria volontà sulle esigenze della santità di Dio; sono coloro che credono fermamente nei valori spirituali e morali. Come dice l’apostolo Paolo: credendo ubbidiscono a Dio, ubbidendo vivono onestamente, vivendo onestamente purificano il loro cuore e purificando il loro cuore comprendono quanto credono. Infatti è troppo difficile saper resistere alle tentazioni odierne senza saldi principi che, per i credenti si ancorano ad una fede profonda, per i non credenti ad una vita eticamente severa.

Non tutti i desideri sono proibiti

P

Premettiamo subito che il “non desiderare” prescritto da questo decimo comandamento non è una condanna indifferenziata di ogni desiderio. Un desiderio moderato dei beni fisici e materiali, anzi dei successi umani propri ed altrui non trasgredisce il precetto divino: se un desiderio è moderato, rafforza in noi la crescita umana e spirituale. Ciò che il comandamento proibisce è la cupidigia, cioè il desiderio smodato di possesso che porta all’incontinenza, cioè alla ricerca del piacere senza limiti che suscita brame di proprietà, di guadagno, di godimento, di successo, di avidità, di carriera e di potere smoderato; sentimenti e bramosie che ci rendono insensibili

agli altri, indisponibili a qualsiasi dono e che favoriscono l’avarizia. Questi vizi, per quanto si consumano nell’interiorità della persona, sconvolgono l’equilibrio e ostacolano la sua maturità morale e sono origine e fonte di molte azioni e comportamenti deteriori. Inoltre distolgono e turbano il retto rapporto coi beni di questo mondo e lentamente minano i rapporti sociali. Fra gli altri, vi è un vizio che vale la pena ricordare in questo contesto: l’invidia. Uno dei così detti sette vizi capitali che tolgono alla persona la sua libertà morale verso sè e verso il prossimo, l’invidia è un sentimento spiacevole di tristezza, suscitato dai beni e dalle qua-

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lità altrui che invece si desiderano per sè, ed è accompagnata da ostilità, rancore e risentimento per chi è dotato di tali beni. L’invidioso perde la gioia di compiacersi col proprio prossimo che è sempre considerato un rivale, e la bramosia dell’avere - che sta in fondo all’invidia - diventa orgoglio, per cui non si tollera che altri abbiano dei beni, delle qualità e delle doti che noi non abbiamo e conseguano risultati o successi superiori o pari ai nostri. Il “Catechismo della Chiesa Cattolica” si sofferma parecchio, commentando questo comandamento, sul vizio dell’invidia e dice che può condurre ai peggiori misfatti perché vuole il male del prossimo, lo desidera, quasi lo crea e - citando S. Giovanni Crisostomo - ricorda: “Dall’invidia nascono l’odio, la maldicenza, la calunnia, la gioia causata dalla sventura altrui ed il dispiacere causato dalla sua fortuna”. Ma il cuore dell’uomo non può vivere senza desideri; se la morale cristiana ci proibisce di desiderare smodatamente i beni materiali e spirituali del prossimo, che desideri ci permette? Che desideri ci indica come leciti? Ancora una volta la risposta viene dal “Catechismo” sopracitato che parla chiaramente dei desideri dello Spirito che si contrappongono - come dice S. Paolo - ai desideri della carne: “Camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddisfare i desideri della carne; la carne infatti ha desideri contrari allo Spirito, e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; queste cose si oppongono a vicenda” (Galati 5, 16-17). Il primo desiderio dello Spirito è la povertà del cuore: “Dov’è il tuo tesoro sarà anche il tuo cuore” (Matteo 6,21). Noi diciamo - convenzionalmente - che il cuore è il centro sorgivo dell’amore. Da questo dipende la qualità dell’amore che il cuore esprime: e qui la parola cuore sta per il soggetto - o oggetto - che viene privilegiato dall’amore. Ogni uomo risponde comunque all’interrogativo fondamentale: “Tu chi, o che cosa, ami? In chi, o in che cosa, poni la tua fiducia fondamentale? Qual è il bene-valore che fa da polo d’attrazione e di consistenza della tua vita?” Assumere le ricchezze, i piaceri, il potere come veri valori assoluti, oggetto della fiducia fondamentale, credo che sia illusorio. Cristo ci dice che il valore più alto è realizzare in noi la volontà di Dio, e noi possiamo aggiungere che il bene-valore fondamentale della vita non sta nell’avere, ma nell’essere. E ricordando ancora il Vangelo sappiamo che i tesori della terra sono consumati dalla tignola e dalla ruggine

e spesso scassati e rubati dai ladri. Ma i desideri dello Spirito, i tesori del cielo, non possono essere consumati, né dalla tignola, né dalla ruggine, e non possono essere scassati o rubati dai ladri. Non si tratta, per la verità, di svalutare la terra coi suoi beni, ma di relativizzarli, prenderli per quello che sono, come mezzi per adempiere la giustizia e la carità, e non come fini che attirano e schiavizzano il cuore. Questo significa la “povertà del cuore”, prima espressione e realizzazione di quella povertà evangelica che Cristo dichiara “beata”. Sempre il Vangelo, nell’atto che beatifica i poveri nello Spirito, ha parole dure verso i ricchi di beni e di potere: “Guai a voi ricchi perché avete già la vostra consolazione! Guai a voi che siete sazi perché avrete fame! Guai a voi che ridete e godete per i beni che siete riusciti a possedere perché domani piangerete!”. Infine va ricordato quella realistica parabola di Gesù, in cui si parla di un uomo che aveva ammassato molti beni e che si autocompiaceva dicendo: “Amico mio, ora puoi star tranquillo, puoi mangiare e bere senza più nessuna preoccupazione”. Ma quella notte stessa una voce lo svegliò: “Preparati perché dovrai rendere ragione della tua vita”. Non voglio terminare il commento ai dieci comandamenti con questa visione funerea. Preferisco ricordare che, se la spiritualità cristiana, fondandosi appunto su questo decimo comandamento, ci esorta ad essere corretti e discreti nel desiderio delle cose che sono necessarie per la vita, ci spinge altresì a desiderare qualcosa d’altro, di molto più grande, d’immenso ed eterno: la visione stessa di Dio. E ricordiamo che questa visione non è cosa solo futura, ma inizia già nel presente; se siamo liberi da desideri smodati di cose futili e troppo materiali, cominceremo a vedere Dio nelle cose semplici, nel fiore del campo, nel cielo stellato, negli occhi di un bambino, nel sorriso di una persona anziana, nelle parole di riconoscenza che ci provengono da chi ha ricevuto del bene, nelle gioie intime del nostro cuore che ha saputo manifestare il proprio affetto, che è stato capace di perdonare. Poi, da questa visione “terrena” di Dio, saliremo per prepararci così a quella visione faccia a faccia di Colui che è stato il grande desiderio del nostro piccolo cuore. fra Callisto


La Chiesa fa politica!

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Negli scorsi mesi il popolo svizzero è stato chiamato alle urne per eleggere i suoi rappresentanti all’Assemblea federale. Tra qualche mese sarà la volta, in Ticino, delle elezioni comunali. Senza addentrarmi in analisi e valutazioni di merito (non è questa la sede), mi sembra giusto spendere qualche parola sull’impegno del cristiano in politica. Quest’anno la Conferenza dei Vescovi svizzeri ha incaricato l’abate di Einsiedeln Martin Werlen (nella foto) di redigere il messaggio dei Vescovi per la Festa federale del 1. agosto. Titolo dell’intervento: “La Chiesa fa politica!”. Che la Chiesa faccia politica, come scrive l’abate Werlen, è ovvio. In primo luogo “gran parte degli svizzeri sono battezzati”, “si impegnano politicamente, quando vanno alle urne” e “molti battezzati assumono posti di responsabilità nello Stato”. Inoltre “non di rado le associazioni e gli organismi ecclesiali pronunciano una parola politica, e lo fanno anche certe commissioni della conferenza dei vescovi e la conferenza stessa”. Secondo l’abate Werlen, la Chiesa, anche se non fa politica di partito, prende partito. Prende partito affinché sia rispettata la dignità di tutti, affinché vi sia solidarietà nel bisogno, per contrastare chi si arricchisce egoisticamente a spese degli altri. Prende partito per la famiglia, l’educazione, la formazione e un comportamento responsabile verso il Creato. Benché la Chiesa non pretenda di avere sempre la soluzione, dispone di unapr ospettivauni versale che le con-

sente di cogliere l’uomo, i suoi talenti e le sue debolezze nella sua integralità. La Chiesa, proprio perché i battezzati sono presenti in (quasi) tutte le forze politiche, può chiedere ai fedeli di incontrarsi in spirito di fratellanza per trovare la soluzione migliore per il bene comune. Il messaggio dell’abate Werlen si inserisce in una consolidata tradizione. Già nel XIX secolo il Beato Cardinale John Henry Newman, teologo e filosofo inglese, scriveva che “strettamente parlando, la Chiesa cristiana, come società visibile, è necessariamente una potenza politica o un partito. Può essere un partito trionfante o perseguitato, ma deve sempre avere le caratteristiche di un partito che ha priorità nell’esistere rispetto alle istituzioni civili che lo circondano e che è dotato, per il suo latente carattere divino, di enorme forza ed influenza fino alla fine dei tempi”. E ancora: “la Chiesa è stata strutturata al fine specifico di occuparsi o (come direbbero i non credenti) di immischiarsi del mondo. I membri di essa non fanno altro che il proprio dovere quando si associano tra di loro, e quando tale coesione interna viene usata per combattere all’esterno lo spirito del male, nelle corti dei re o tra le varie moltitudini”. Nel panorama radicalmente secolarizzato di oggigiorno l’impegno politico della Chiesa – intesa anche come gerarchia – è più necessario che mai, perché la cosiddetta “società civile” non sempre ha la forza per difendere con sufficiente autorevolezza le ragioni del pensiero cristiano. Questo stesso impegno politico va poi richiesto a ogni singolo battezzato, nella vita quotidiana e nelle istituzioni. Non solo perché è un modo efficace per tutelare i valori cristiani, ma perché l’essenza della democrazia è che ogni sensibilità della società sia adeguatamente rappresentata. Un Parlamento nel quale non echeggino i principi fondamentali della Chiesa (intesa come popolo di Dio) è un Parlamento monco, mutilato delle radici più profonde della nostra società. Per noi cristiani è importante adoperarci affinché questa voce continui ad echeggiare, è una nostra responsabilità, che dobbiamo assumerci con l’impegno personale e con il voto. Maurizio Agustoni

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La Madonna del Sasso nella pittura di Filippo Franzoni

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La veduta del Santuario della Madonna del Sasso è fra i motivi sui quali Filippo Franzoni torna con una certa insistenza nel suo primo decennio di attività. Negli esempi più antichi il Santuario è visto dal basso. Fra questi la Processione esposta nell’atrio del Municipio di Locarno dopo il suo recupero a Milano, dov’era andata dispersa1. All’indomani dell’acquisto della tela – della quale è giunto fino a noi anche il bozzetto2 – Virgilio Gilardoni inventariandola fra le vedute del Santuario si limita a datarla approssimativamente 1880-1887 o 1884 circa3. Piero Bianconi non vi presterà maggiore attenzione, se non per confrontarla col bozzetto o per rilevare come la donna in primo piano a destra ricordi la maniera del Gola4, il pittore di tante variazioni sul motivo delle lavandaie ai Navigli (ma è un motivo che si incontra frequentemente nella pittura del tempo e sul quale Franzoni torna ripetutamente, fin dagli esordi). Curiosamente i due studiosi non si interrogano sul soggetto del quadro, non foss’altro per chiedersi quale occasione ne abbia offerto al pittore lo spunto. Né altri si porranno la questione, accontentandosi di riferire la processione raffiguratavi ai pellegrinaggi al Santuario, frequenti negli ultimi due decenni dell’Ottocento. Orbene, la processione rievocatavi dal pittore è identificabile con certezza per almeno un particolare, la statua della Madonna venerata al “Sasso” che si riconosce, portata a spalla, all’altezza dell’ottava stazione della Via Crucis. Nel corso dell’Ottocento (e fino al 1914) il sacro simulacro di Maria lasciò il Santuario un’unica volta, nell’agosto del 1880, in occasione dei festeggiamenti voluti per commemorare il quarto centenario dell’apparizione della Vergine al frate Bartolomeo d’Ivrea cui è fatta risalire la fondazione del Sacro Monte locarnese5, festeggiamenti avviati nel primo pomeriggio del 14 del mese con il trasporto della statua dal Santuario in collegiata (è il momento fissato nel dipinto) e che culmineranno il giorno successivo in Piazza Grande con la cerimonia dell’incoronazione della “sacra effigie”6 (con gran concorso di fedeli giunti da ogni parte del paese e da fuori Cantone, testimonia, fra altri, Samuel Butler, presente in quei giorni a Locarno7). Non vi è pertanto alcuna ragione di ritardare alla metà o oltre la metà degli anni Ottanta una cronologia che converrà semmai mantenere prossima all’inizio del decennio, nel mezzo degli anni di apprendistato del giovane artista all’Accademia di Brera, dove si era iscritto nel 1876 per restarvi fino al 1884.


Messaggio dal Santuario Nel quadro, tuttavia, la processione giunta all’altezza della quarta stazione si arresta bruscamente. Il chierico che apre il corteo fa un cenno all’indirizzo della popolana in primo piano. È lei infatti a imporsi all’attenzione del riguardante. Proprio perché la sua figura ricorda il tipo della lavandaia, la sua presenza nel contesto di una processione solenne – esibita sull’asse (o quasi) del dipinto con un rilievo che ne sottolinea anche compositivamente la centralità – è inquietante o quantomeno insolita (come interpretare altrimenti il gesto allarmato del chierico?). Il portamento fiero della donna appare infatti spavaldo, quasi di sfida nel confronto con l’atteggiamento devoto delle due donne, forse due monache, alle sue spalle, un accostamento scopertamente provocatorio, come voluta sembra anche la contrapposizione fra l’umile, cencioso aspetto della bimba che l’accompagna e la grazia vaporosa dell’altra, biancovestita, che precede la processione spargendo petali di rosa. Quanto basta insomma per sconsigliare di interpretare il quadro come un generico omaggio a una qualche manifestazione di religiosità popolare e sospettare semmai che nella rievocazione franzoniana dell’evento sia sottesa una qualche intenzione polemica. Non sarà inutile allora ricordare che nel clima arroventato delle battaglie politiche del paese nell’ultimo quarto dell’Ottocento la commemorazione del centenario dell’apparizione di Maria al frate d’Ivrea fu al centro, per settimane, di furibonde, aspre polemiche sulla stampa. La ricorrenza non fu esente infatti da strumentalizzazioni politiche8. Filippo Franzoni – converrà ancora ricordare – era di idee liberali e di sentimenti schiettamente anticlericali9, idee e sentimenti che per l’appunto traspaiono con sottile ironia nel “capriccio” con la lavandaia inscenato in primo piano nella Processione.

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L’altro dipinto di Filippo Franzoni con la veduta del Santuario che merita particolare attenzione è il tondo della collezione della Fondazione omonima. L’inversione della veduta è emblematica. Se nella veduta dal basso l’idea dominante è quella di sacro monte e lo sperone di roccia sul quale si erge il Santuario è più il luogo allegorico della Via Crucis che un vero e proprio paesaggio, in quella dall’alto l’arca giallo-dorata della chiesa si carica, al centro del vasto luminoso paesaggio circostante, di una valenza simbolica diversa rispetto a quella che aveva nella Processione.

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Nella tavola della Fondazione – nella quale il tondo entro cui è inscritta la veduta ne evidenzia l’idea compositiva, giocata sapientemente sugli assi e gli scorci prospettici di chiesa e convento – la luce che investe il Santuario nell’ora tardo-pomeridiana (il primo piano è già lambito dall’ombra) rilevandone con nitidezza cristallina la geometria e si stempera nei toni delicatissimi dello sfondo fa lievitare l’immagine in una sfericità quasi mandalica. Gli interventi architettonici che a partire dal 1890 modificheranno l’aspetto primitivo del Santuario locarnese non mancarono di suscitare severi giudizi e vivaci proteste, fra le quali anche quella di Angelo Nessi, per il quale la sopraelevazione della facciata in forme neo-gotiche, di dubbio gusto, è «vera profanazione dell’arte». Della stessa opinione sarà stato, a non averne dubbio, anche il pittore. Tuttavia già da qualche tempo il Santuario non è più tra i motivi ricorrenti della sua pittura, se non nell’ambito di illustrazioni pensate

per calendari, cartoline, e guide turistiche (cui pone mano non da ultimo per sopperire a ristrettezze finanziarie famigliari). Con l’intensificazione dello sviluppo turistico della regione nella seconda metà degli anni ottanta, da un lato, la promozione della Madonna del Sasso a Santuario diocesano all’indomani dell’istituzione della nuova diocesi di Lugano nel 1888 dall’altro, e l’afflusso di visitatori nonché la proliferazione di pellegrinaggi che ne sono seguiti, la sua immagine di romitaggio sullo sfondo di un paesaggio ancora intatto non poteva che risultarne diminuita, in qualche modo profanata, agli occhi dell’artista non meno che del cugino scrittore. Edgardo Cattori

Olio su tela, cm 187 x 128. La tela è stata acquistata dalla Città di Locarno nel febbraio 1972. 2 Olio su tavoletta, cm 26 x 20; collezione privata. 3 Virgilio Gilardoni, I monumenti d’arte e di storia del Canton Ticino. vol. I, Il locarnese e il suo circolo, Basilea 1972, p. 424 e ill. 525. 4 Piero Bianconi, Filippo Franzoni (1857-1911), Galleria Matasci Tenero 1981, p. 14 e Filippo Franzoni, Bellinzona 1984, p. 8. 5 Quella dell’agosto del 1880 è la terza «discesa» della statua venerata nel Santuario «in plena processione» dopo quelle del 15 maggio 1617 e del 9 settembre 1792. Vedi il Compendio storico descrittivo dell’insigne Santuario della Madonna del Sasso sopra Locarno compilato per cura del Sac. Lucini Salvatore, Locarno 1895, pp. 39-40. 6 Per il programma, l’organizzazione e lo svolgimento del «triduo» dei festeggiamenti si vedano le cronache nella stampa cattolica del tempo e in particolare «Il Credente Cattolico», 10, 12, 17 e 19 agosto 1880 e «La Libertà», 7, 16, 18 e 21 agosto 1880.

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Samuel Butler, Alpi e santuari del Canton Ticino. Pagine scelte volte in italiano e corredate di note da Piero Bianconi, Locarno 1984, pp. 117-122 (la prima edizione inglese è del 1881). 8 Cfr. Francesco Braghetta e Giorgio Cheda, La Madonna del Sasso nel quadro politico ticinese fra il 1880 e il 1890, in Aa.Vv., La Madonna del Sasso fra storia e leggenda, a c. di Giovanni Pozzi, Locarno 1980, pp. 67-84. 9 Sull’argomento rinvio al mio testo «Non si offende di questa mia libertà?», nel catalogo della mostra Filippo Franzoni. Aspetti inediti o poco noti, Locarno, Pinacoteca comunale di Casa Rusca, 10 settembre 2011-29 gennaio 2012, pp. 51-73. Ad ogni buon conto la Processione non era destinata alla fruizione locale ed è anzi verosimile che sia stata pensata per una delle esposizioni annuali organizzate a Brera o forse anche per l’Esposizione Nazionale di Belle Arti ospitata nel capoluogo lombardo nel 1881. Peraltro il dipinto poteva ben rientrare nella categoria della pittura di “genere”, categoria la cui incidenza alle esposizioni milanesi attorno ai primi anni ottanta era di circa il 40-50% degli invii.


Messaggio dal Santuario Verso la Pasqua con Maria La vasta campagna di lavori di restauro del nostro Sacro Monte volge al termine. La riapertura al pubblico della chiesa principale è prevista per domenica 25 marzo 2012. In vista di questo evento monsignor Pier Giacomo Grampa, vescovo di Lugano, si è fatto promotore di una iniziativa che coinvolgerà tutta la diocesi. Durante la santa Messa Crismale, celebrata di Giovedì dell’ultima Settimana Santa nella chiesa di san Nicolao a Lugano, il presule ne ha parlato in questi termini: “… in occasione della riapertura ufficiale del Santuario della Madonna del Sasso, prevista per domenica 25 marzo prossimo, si è pensato di proporre una presenza settimanale della effigie della Madonna del Sasso nei Vicariati. All’iniziativa è stato dato come titolo: ‘Verso la Pasqua con Maria’. E’ previsto che la Madonna arrivi di domenica sera nella chiesa centrale del vicariato e che: lunedì giornata per il clero, i religiosi e le religiose con la partecipazione del Vescovo; martedì giornata degli anziani e dei malati; mercoledì giornata dei bambini e dei ragazzi; giovedì dedicato ai coniugi e ai fidanzati; venerdì giornata penitenziale con la celebrazione della Via Crucis; sabato riservato ai giovani; domenica giornata conclusiva con l’Eucaristia celebrata dal Vescovo e dopo la lode vespertina la venerata effigie partirà per la tappa successiva. Si colga questa opportunità per rendere viva la catechesi, festose le celebrazioni, intensa la preghiera e rafforzare i vincoli di una pastorale d’assieme, per la quale dobbiamo sempre più impegnarci”.

Settimane vicariali di preparazione alla riapertura del Santuario della Madonna del Sasso febbraio - marzo 2012 CALENDARIO settimana

vicariato

chiesa

5 - 12 febbraio

Mendrisiotto

Mendrisio - arcipretale

12 - 19 febbraio

Malcantone e Vedeggio

Agno - prepositurale

19 - 26 febbraio

Monastero di Claro

26 febbraio - 4 marzo

Tre Valli

Biasca - San Carlo

4 - 11 marzo

Bellinzonese

Bellinzona - Collegiata

11 - 18 marzo

Luganese

Lugano - Sacro Cuore

18 - 24 marzo

Locarnese

Locarno - S. Antonio

sabato 24 marzo

partendo dalla Collegiata di Sant’Antonio, la statua verrà portata in Santuario con una solenne fiaccolata

domenica 25 marzo

Eucaristia in Santuario con la dedicazione del nuovo altare

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Francescanesimo secolare Bruno Lepori è andato avanti... “È giunto il momento di sciogliere le vele”

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Bruno dalla sua barca ha visto la riva e si è preparato così bene a raggiungerla. Comunque amava la vita e diceva: “Ogni giorno che il Signore mi concede di aprire gli occhi sono contento di poterlo ancora lodare”. Certo avrebbe volentieri continuato a recitare il breviario in comunione con i suoi francescani e l’intera Chiesa. Avrebbe volentieri continuato a recitare i salmi in casa sua, piccola Chiesa domestica al modo del Concilio. Come fece il vescovo San Martino di Tours si diceva disposto a continuare la sua strada con noi. Dentro di lui ardeva qualche cosa di sempre più forte: la sua fede, intesa come fiducia nonostante tutto.

“Ho combattuto la buona battaglia” “Ho conservato la fede”

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Man mano che aumentava la sua fragilità gli ardeva qualche cosa dentro che lo spingeva ad andare avanti. Un cristiano paolino, ma soprattutto francescano. Nel Vangelo Bruno ci propone probabilmente il passo più bello dell’intero Nuovo Testamento. L’immagine dei due discepoli in cammino verso Emmaus sembra non avere tempo. Anche Bruno ha percorso il sentiero della vita. Anche lui come quei due si è portato dentro qualche amarezza, che pian piano ha lasciato il posto alla serenità sempre più limpida. Anzi di sentieri ne ha percorsi parecchi. Non soltanto quelli delle nostre montagne per funghi con gli amici dell’Alpen Club. Teniamo conto anche dei chilometri macinati con l’autolettiga e come samaritano a soccorrere i malcapitati. Le strade di paese lo hanno visto anche attivo quale giudice di pace, al servizio della “giustizia popolare”, come ha avuto modo di scrivere Mario Fransioli in un bel volumetto di qualche anno fa. Era pronto a prendere decisioni, anche qualora non fossero ben accolte o capite, a costo di rendersi antipatico. Per questo compito, come per tutti gli altri assunti si era preparato a dovere. Anche nella professione di assicuratore la preparazione era stata indispensabile. Per diversi anni è stato attivo nella nostra parrocchia quale cassiere e presidente del Consiglio Parrocchiale. Prepararsi bene per un compito da svolgere, era uno dei suoi principi. E lo ha fatto anche quando si è messo a disposizione

della comunità cristiana per la scuola di religione alle elementari: gli succedetti e trovai un ottimo operato. In anni maturi ha studiato la teologia con profitto. Non nascose il suo desiderio del diaconato permanente, che di fatto esercitò accanto a fra Angelo. Che il Signore gli conceda in cielo il segno della stola del servizio. E da lassù che Bruno chieda al Signore che le nostre comunità possano maturare almeno una vocazione al diaconato permanente. Soffermiamoci sul suo cammino francescano che lo ha portato ad aderire poi all’Ordine Francescano Secolare. In questo ambito ha ricoperto cariche importanti: responsabile della fraternità di Faido, Ministro Regionale della Svizzera Italiana per parecchi anni, membro del Consiglio Nazionale Italiano. Assisi diventò una sorta di sua patria spirituale. Conosceva a menadito quella bella cittadina medioevale. Oggi lascia la fraternità degli uomini, ma raggiunge quella del cielo. Gli auguriamo di incontrare tutte le persone che gli furono care. I suoi morti, i suoi fratelli francescani. Ma anche i santi. Francesco e Chiara, e naturalmente S. Leopoldo cappuccino in cui riponeva una così grande fiducia. E quando incontrerà San Paolo, il suo amico Saulo, lo saluti da parte mia. (dall’omelia di fra Edy)


Messaggio dall’O.F.S. L’OFS pellegrino in Umbria

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Dal 5 al 9 settembre scorso un gruppo di terziari della Svizzera italiana ha percorso un tratto d’Umbria, alla scoperta delle mistiche francescane e incontrando le Sorelle del II° Ordine, in particolare le Clarisse, in occasione degli 800 anni dalla nascita dell’Ordine. Vorrei anzitutto spendere una parola di elogio per il Centro TAU di Capodacqua e per la cara Paola che ci hanno ospitati. Veramente vale la pena di consigliare un soggiorno presso di loro, sia per l’ottima struttura sia per l’accoglienza che sanno proporre. Il percorso è iniziato a Cortona, poi Foligno, Città di Castello, Camerino, Assisi e Poggibonsi, accompagnati dai nostri Assistenti fra Ugo, don Gianfranco e don Tomasz. A Cortona, nel santuario a lei dedicato, giacciono le spoglie di Santa Margherita da Cortona (Laviano 1247 – Cortona 1297). Siamo accolti da fra Francesco Maria che ci presenta suor Aloisia dell’Ordine delle Suore Francescane Missionarie di Gesù Bambino, la quale ci illustra la vita e le opere di Santa Margherita. Di umili origini, dall’età di diciassette anni visse come concubina con un nobile di Montepulciano, aggredito e assassinato da un gruppo di briganti. Scacciata col figlio dai famigliari dell’amante, si convertì e si avvicinò ai francescani di Cortona, in particolare ai frati Giovanni da Castiglione e Giunta Bevegnati, suoi direttori spirituali e poi biografi; affidò la cura del figlio ai frati minori di Arezzo e nel 1277 divenne terziaria e oblata francescana, dedicandosi esclusivamente alla preghiera ed alle opere di carità. La sua spiritualità pone attenzione particolare alla Passione di Cristo, in linea con quanto vissero Francesco d’Assisi, Angela da Foligno e più tardi Suor Camilla Battista da Varano. Onorata come beata sin dalla morte, Innocenzo X ne approvò il culto il 17 marzo 1653, ma fu canonizzata soltanto il 16 maggio 1728 da Benedetto XIII. Suor Aloisia ci dà pure una spiegazione architettonica e pittorica del Santuario, adiacente al quale c’è la Casa Francescana d’Accoglienza di S. Margherita che ospita chiunque desideri sostare per conoscere la spiritualità francescana, come pure la vita e il messaggio di S. Margherita. A Foligno nella chiesa di San Francesco dove si conserva il simulacro della Beata Angela da Foligno (Foligno 1248 – 1309), fra Ugo tiene una spiegazione sulla vita e le opere della Beata Angela. Purtroppo qui non ci è stato possibile incontrare i Frati Minori Con-

ventuali. Coinvolgente è però l’incontro nel Monastero di S. Caterina del Monte Sinai con le Clarisse, la Madre Badessa suor Annamaria e suor Agnese. La fondazione del monastero risale all’agosto del 1225 per opera di santa Chiara, come attesta una breve e preziosa cronaca conservata nell’archivio della biblioteca Jacobilli: ”Il 27 Agosto 1225 certo Angeluccio di Foligno vendette 4 staia di terra alle Consorelle Chiara di Assisi e due delle sue prime compagne.” Nella chiesa del Monastero si vive l’adorazione perpetua. Ogni ora del giorno le Sorelle si succedono in preghiera davanti al Santissimo Sacramento. A Città di Castello nel monastero delle Clarisse cappuccine di Santa Veronica Giuliani (Mercatello 1660 - Città di Castello 1727) incontriamo la Madre Badessa suor Caterina e suor Maria Grazia. Il monastero accoglie una fraternità di Sorelle che professano la Regola di Santa Chiara d’Assisi, secondo lo spirito della Riforma intrapresa dalla venerabile Lorenza Longo alla metà del 1500. Celebrata la Santa Messa nella chiesa del monastero, dove si conservano le reliquie della Santa, seguiamo suor Maria Grazia per la visita accompagnata al museo con le spiegazioni sulla vita di Santa Veronica e del suo celebre “Diario” scritto per obbedienza al vescovo e al confessore. Questa straordinaria mistica riempì 21’000 pagine raccolte in 44 volumi, pubblicati dal 1895 al 1928 con versioni in francese e spagnolo, nelle quali ella racconta la propria esperienza contemplativa. Veronica Giuliani è considerata fra le più importanti contemplative e penitenti che il mondo occidentale abbia avuto. Tutta la sua vita interiore è in continuità con la spiritualità francescana rappresentata oltre che da San Francesco d’Assisi anche da clarisse come Camilla da Varano. Alquanto suggestivo il trasferimento nelle Marche, attraverso l’altopiano e il valico di Colfiorito per giungere a Camerino, nel Monastero delle Clarisse, e conoscere Santa Camilla Battista (Camerino 1458 - 1524). Ci accoglie la simpaticissima suor Laura Cristiana che narra l’esperienza mistica della Santa. Molte notizie della sua vita le ha descritte lei stessa in una lunga lettera autobiografica (conosciuta come Vita spirituale) diretta al francescano Domenico da Leonessa che indirettamente le aveva fatto iniziare il suo cammino interiore quando, predicando a Camerino il venerdì santo del 1466 o 1468 e descrivendo la Passione di Gesù, colpì la fantasia della bambina che poco tempo dopo fece voto di piangere almeno una lacrima ogni venerdì sulla

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Passione di Cristo. Il 14 novembre 1481 poté entrare nel monastero delle Sorelle Povere di santa Chiara a Urbino, assumendo il nome di suor Battista. Seguirono anni di grande misticismo e la durissima prova del quasi totale sterminio della sua famiglia nel 1502, per mano di Cesare Borgia, chiamato “duca Valentino”, che nell’intento di unificare l’intero territorio pontificio sotto il governo del papa Alessandro VI, suo padre, attaccava con la forza quelle Signorie locali, che non si sottomettevano volontariamente. Fra Ugo ci spiegherà in seguito l’importanza che Camerino ebbe per Matteo da Bascio (Pennabilli 1495 circa – Venezia 1552) che, presso la duchessa Caterina Cibo di Camerino, poté trovare protettiva accoglienza. Francescano del ramo degli Osservanti, Matteo da Bascio venne ordinato sacerdote nel 1525. Desideroso di ritornare al primitivo rigore francescano, nel 1525 lasciò il suo convento di Montefalcone ed ottenne da papa Clemente VII il privilegio personale di vestire un lungo saio di tessuto ruvido (come quello di Francesco d’Assisi, ma con un cappuccio più lungo ed appuntito), di osservare rigidamente la regola in assoluta povertà, di fare vita eremitica e predicare liberamente. Questo esempio ebbe subito numerosi imitatori tra quanti desideravano restaurare lo spirito originale del francescanesimo e diede luogo all’istituzione dell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini, approvato dal pontefice il 3 luglio del 1528. Purtroppo, per un malinteso, ad Assisi nella Basilica di Santa Chiara non ci è stato possibile incontrare le sorelle Clarisse. La vita e l’operato di Santa Chiara, come pure una riflessione sulle “Povere Dame di San Damiano” ci era comunque già stata proposta in precedenza da fra Ugo, il quale, nell’omelia della Santa Messa celebrata in Basilica nella Cappella di Santa Agnese, ha spiegato il valore della celebrazione del 25° Anniversario dello Spirito di Assisi. Per noi terziari francescani, l’anniversario dello storico incontro tenutosi ad Assisi il 27 ottobre 1986, per volontà del beato Giovanni Paolo II, è un invito di San Francesco a cam-

minare con i fratelli cristiani delle diverse confessioni, i rappresentanti delle tradizioni religiose del mondo e, idealmente, con tutti gli uomini di buona volontà. Accolti dal caro fra Ivano nella chiesa del Convento dei Frati Minori di Poggibonsi, terminiamo qui il nostro pellegrinaggio rendendo visita e omaggio a Lucchese e Bonadonna da Poggibonsi, considerati la prima coppia di terziari francescani. Lucchese nacque a Gaggiano nel Senese intorno al 1181 e, avendo sposato la nobile e ricca Bonadonna, coi soldi della moglie si dette con successo prima al commercio, poi all’attività di cambiavalute e infine alla speculazione, forse all’usura. Accusato un giorno sulla pubblica via da una delle vittime dei suoi traffici, Lucchese ebbe però un profondo ripensamento, trasformato in conversione nel 1212 da una predica del Poverello di Assisi a San Gimignano. Prima di nascosto, poi sempre più apertamente, Lucchese prese a restituire i denari indebitamente guadagnati, a dar soccorso a poveri e pellegrini e ad aiutare con le proprie mani i frati lasciati da Francesco nell’eremo di S. Maria a Camaldo. Bonadonna, inizialmente preoccupata che il marito fosse uscito di senno, accantonò ogni perplessità quando vide la madia di casa, svuotata dalle elemosine, riempirsi miracolosamente da capo di pane fresco allorché nuovi mendicanti bussavano alla porta. Al ritorno di Francesco in Val d’Elsa, nel 1221, Lucchese e Bonadonna chiesero di sciogliere il loro matrimonio per unirsi l’uno ai frati del Prim’Ordine, l’altra alle suore di Chiara degli Scifi. Francesco di tutta risposta donò loro il saio, esortandoli però a restare laici e coniugati: fu questa la nascita del Terz’Ordine francescano. Vuole la tradizione che i pii sposi passarono il resto dei loro giorni in preghiera e povertà, col solo scopo di servire Cristo nella persona dei diseredati. Insieme vissero e insieme morirono, serenamente, a poche ore l’uno dall’altra, il 28 aprile 1250. Ancor oggi Poggibonsi li celebra come patroni cittadini nell’anniversario della nascita al Cielo. Franchino Casoni


Uno studio di Chiara Frugoni

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L’Associazione “Biblioteca Salita dei Frati”, nella scelta delle tematiche da proporre nella sua attività culturale pubblica, ha sempre privilegiato San Francesco e il movimento francescano, ai quali sono stati dedicati, nel corso degli ultimi anni, diversi incontri, grazie soprattutto alle lezioni di Chiara Frugoni, la protagonista più assidua delle nostre iniziative. La Frugoni, una notissima studiosa di arte e civiltà francescana e una delle maggiori medieviste italiane, ha studiato a lungo la figura di Francesco sulla base di documenti scritti e di testimonianze iconografiche, considerate fonti di pari dignità (è questo un tratto peculiare del suo metodo storiografico). Lo scorso 14 settembre Chiara Frugoni ha illustrato i temi e i risultati del suo ultimo studio francescano: Le storie di San Francesco. Guida agli affreschi della Basilica superiore di Assisi (Torino, Einaudi, 2010). Si tratta di una vera e propria ‘guida’ nell’accezione più positiva del vocabolo - alle 28 scene che illustrano la vita di Francesco nelle due pareti e nella controfacciata della Basilica superiore di Assisi. Tutti siamo abituati a considerare questi dipinti come eccezionali documenti iconografici che rappresentano e celebrano la vita e i miracoli di San Francesco. È certamente vero, perché i frati hanno voluto glorificare il loro fondatore nella chiesa madre dell’Ordine. Tuttavia non bisogna dimenticare che Francesco morì nel 1226 e che gli affreschi giotteschi furono eseguiti tra il 1288 e il 1292, durante il pontificato di Niccolò IV, il primo papa francescano, cioè parecchi decenni più tardi, quando i frati erano molto cambiati rispetto ai primi compagni di Francesco e, soprattutto, quando la biografia del Santo scritta dal generale dell’Ordine, Bonaventura da Bagnoregio, la Legenda maior, era stata dichiarata da tempo (nel 1263) unica versione ufficiale della vita dell’Assisiate. Si aggiunga che nel 1266 il Capitolo generale decise di distruggere tutte le biografie precedenti: la misura, estremamente grave, colpì fra l’altro anche le agiografie di Tommaso da Celano. Le biografie distrutte furono ritrovate, a volte in un unico esemplare manoscritto, solo nei secoli XVIII e XIX, sicché per parecchi secoli il solo Francesco conosciuto era il santo della biografia di Bonaventura. La ragione profonda di questa normalizzazione sta nella volontà di pacificare l’Ordine dopo i dissensi sorti sul modo di interpretare la Regola di France-

sco, in particolare sulla povertà e sul rapporto con la cultura. Come scrive la Frugoni, con la biografia di Bonaventura il «Francesco consegnato alla devozione dei fedeli […] diventa un santo inimitabile perché la sua carne è stata divinizzata dalle stimmate imim presse da Cristo» (p. 6). Ancora: «L’identificazione di Francesco con Cristo nella carne e non solo nello spirito voleva riportare la pace nell’Ordine, con un Francesco talmente santo da essere un altro Cristo e perciò inimitabile e improponibile come esempio di vita per i frati» (p. 7). E: «La biografia di Bonaventura si proponeva però anche di accrescere la devozione dei fedeli e dei frati, che proprio a causa dell’inimitabilità della santità di Francesco avrebbero continuato a venerare sempre più il miracolato e prestigioso Assisiate» (p. 7). Nel suo saggio Chiara Frugoni dimostra, con un’analisi puntuale e convincente, che le immagini e le didascalie delle 28 scene dedicate a Francesco nella Basilica superiore di Assisi si basano sulla Legenda maior di Bonaventura e ne rappresentano fedelmente le scelte, in positivo e in negativo. È significativo che nell’iconografia di Assisi non siano rappresentati temi ed episodi della vita di Francesco attestati nelle biografie precedenti ma omessi volutamente da Bonaventura (non c’è il bacio al lebbroso; non le prediche ai fedeli ma solo la predica agli uccelli; Chiara compare solo dopo la morte di Francesco, in occasione della pubblica ostensione delle stimmate). Tutto questo significa che gli affreschi, eseguiti da vari pittori sotto la guida di un Maestro ideatore (Giotto), ebbero un committente, certo un membro dell’Ordine francescano, che voleva fosse rappresentato il Francesco “ufficiale” di Bonaventura. E in uno studio condotto sulla base di ricerche successive alla pubblicazione de Le storie da San Francesco, la Frugoni giunge alla conclusione che il committente degli affreschi assisiati fu il pontefice Niccolò IV: il ciclo di Assisi si può allora definire il “manifesto” dei francescani al tempo di Niccolò IV. Fernando Lepori

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Da 50 anni a fianco dei poveri

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Sacrificio Quaresimale festeggia quest’an-

no i 50 anni di vita. Mezzo secolo di impegno a favore delle popolazioni svantaggiate del Sud e di azioni di politica di sviluppo e di sensibilizzazione

qui al Nord. Chi non conosce la “famosa” busta viola, che contiene le offerte raccolte in Quaresima? Essa è diventata negli anni un simbolo, la concretizzazione del nostro motto “CONDIVIDIAMO”; dentro a questa busta c’è però un mondo intero da scoprire, fatto di solidarietà con il prossimo e tanta, tanta storia. Non tutti forse conoscono nel dettaglio come la nostra opera sia nata. Come ad esempio il fatto che fra i co-fondatori vi sia anche un frate cappuccino lucernese, fra Walbert Bühlmann. O che senza l’entusiasmo e il sostegno delle associazioni giovanili cattoliche l’organizzazione di cooperazione internazionale dei cattolici svizzeri non avrebbe mai visto la luce. L’anno del giubileo è un’occasione, non solo per ricordare le origini e dire grazie a tutti coloro che anno dopo anno rinnovano il loro sostegno, ma anche per tracciare un bilancio di 50 anni di impegno. In principio fu l’Anno Missionario L’Anno Missionario che si tenne nel 1960 ha creato le basi per la fondazione di Sacrificio Quaresimale. Fu infatti soltanto quando si realizzò il successo che tale iniziativa aveva riscontrato – furono raccolti ben 17,5 milioni di franchi, la colletta di maggior successo in Svizzera – che i responsabili si chiesero se non fosse il caso di dare un seguito a questo slancio senza precedenti.

Meinrad Hengartner, presidente della comunità di lavoro dei movimenti giovanili (l’Arbeitskreis der Jugenverbände) e fra i promotori dell’Anno Missionario, in accordo con l’abate Otto Wüst, allora segretario generale della Federazione cattolica svizzera e successivamente vescovo di Basilea, elaborò le basi di un’azione durante la Quaresima. Il 17 e il 18 giugno dell’anno successivo, i rappresentanti dell’Ar-

beitskreis der Jugenverbände si riunirono a Einsiedeln, dove Meinrad Hengartner propose di lanciare una campagna di sensibilizzazione e di raccolta fondi annuale. Tale proposta fu accolta positivamente da religiosi e laici e furono così create le basi per la nascita, nel 1961, di Sacrificio Quaresimale. La prima azione di solidarietà, intitolata “Wir teilen” (condividiamo), fu un successo e raccolse 4,2 milioni di franchi. I “motori” dell’iniziativa furono gli stessi che idearono l’Anno Missionario. Meinrad Hengartner dirigeva il piccolo team e divenne il primo direttore di Sacrificio Quaresimale; Otto Wüst fungeva da tramite fra la Conferenza dei vescovi svizzeri e il gruppo di preparazione; Walter Heim fu incaricato di creare un logo – la croce che divide il pane – per far conoscere Sacrificio Quaresimale e il suo principio guida al grande pubblico; e Walbert Bühlmann si occupava invece della formazione teologica e pastorale in relazione alla campagna annuale. A sostegno dei più poveri Il Vangelo - in particolare la visione di «una vita in abbondanza per tutti» (Giovanni 10,10), la dottrina sociale della Chiesa e l’opzione preferenziale per i


poveri sono stati fin dall’inizio e ancora oggi restano alla base del lavoro di Sacrificio Quaresimale. Da 50 anni, al fianco delle nostre organizzazioni partner al Sud, ci impegniamo per cambiamenti duraturi delle strutture a beneficio delle persone svantaggiate. La lotta contro la fame, il rispetto dei diritti umani e la sensibilizzazione in Svizzera sono gli assi portanti del nostro lavoro. Grazie alla generosità dei privati, alle offerte raccolte dalle parrocchie durante la Quaresima, e al sostegno degli enti pubblici, finanziamo 400 progetti pastorali e di cooperazione allo sviluppo in 16 paesi di Africa, America latina ed Asia. Non avendo personale proprio nei paesi in cui operiamo, affidiamo ai nostri coordinatori al Sud il compito di scegliere le organizzazioni locali (religiose e laiche) con cui collaborare. Assieme ai nostri partner sosteniamo fra l’altro la riscoperta degli antichi saperi locali, l’introduzione di tecniche di coltivazione adatte al clima, spieghiamo come creare e gestire un gruppo di risparmio comune, ci impegniamo per condizioni di lavoro rispettose dei diritti dei lavoratori e delle lavoratrici e per regole di mercato eque, sosteniamo la formazione di animatori pastorali, appoggiamo le rivendicazioni e la difesa dei diritti umani, affinché le popolazioni al Sud del mondo, grazie al loro lavoro e a ciò che coltivano non debbano più patire la fame e possano avere condizioni di vita migliori. C’è ancora molto da fare! In 50 anni molto è stato fatto: centinaia di migliaia di famiglie si sono liberate con le proprie forze dalla schiavitù dei debiti, dalla fame e dalla miseria. Le organizzazioni di cooperazione internazionale non han-

no certo vocazione d’eternità. All’alba del XXI secolo però, il rispetto dei diritti umani, la pace e la giustizia, e una vita vera e completa per tutti appaiono traguardi ancora lontani da raggiungere. Come ha ricordato il nostro coordinatore in Senegal, Souleymane Bassoum, giunto in Ticino nel 2010 ospite della Campagna ecumenica, anche le poche gocce d’acqua che porta nel becco un colibrì aiutano a spegnere un incendio. Impegnandoci, tutti assieme, giorno per giorno possiamo rendere il mondo migliore e contribuire a creare già qui sulla terra quel Regno di Dio che attendiamo con gioia. Federica Mauri

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Cristiani nel mondo Cattolici francesi e politica Il quotidiano “La Croix” ha pubblicato i risultati di un sondaggio sulle scelte politiche dei cattolici, confrontate con quelle dell’insieme dei cittadini francesi. Le cinque priorità (impiego, sicurezza, potere d’acquisto, politica sociale, riduzione del debito) sono le stesse di tutti i francesi: i cattolici si differenziano perché mettono al sesto posto la libertà di scegliere la scuola, una conseguenza logica delle battaglie condotte fin dall’Ottocento per la scuola cattolica che oggi ancora svolge un ruolo importante nel sistema educativo in Francia. I cattolici si distinguono anche per una maggiore attenzione ad altri temi, come quelli della famiglia, dell’Europa, della morte e dell’eutanasia, dell’aiuto allo sviluppo, della bioetica. Per quanto riguarda le scelte partitiche, il sondaggio ha registrato una maggioranza del voto a destra (il 58%, con un 9% al Fronte Nazionale), un 10% per il Movimento democratico centrista e un 29% per la sinistra, del quale un 9% vicino agli ecologisti. I Vescovi francesi, in preparazione della elezione presidenziale del 2012, hanno pubblicato un messaggio dal titolo “Elezioni: un voto per quale società?”, invitando i cattolici a prendervi parte nel modo più serio possibile e indicando gli elementi su cui basare il giudizio su partiti e candidati. La Chiesa cattolica in Germania In occasione del viaggio di papa Benedetto XVI in Germania, l’Ufficio centrale di statistica della Chiesa ha pubblicato una serie di interessanti dati. Si calcola che i cattolici siano 24 milioni, su un totale della popolazione di più di 81 milioni (circa il 30%); circa un terzo sono i protestanti e l’ultimo terzo è rappresentato da cristiani ortodossi, musulmani, ebrei e senza religione. La Chiesa tedesca conta 113 vescovi e 17’274 preti (dei quali 4’280 sono membri di ordini o congregazioni), con una media di un prete ogni 1’428 cattolici ( la media mondiale è di un prete ogni 2’849 battezzati). Il personale religioso comprende anche 1’439 religiosi non preti, 27’212 religiose, 1’657 membri di istituti secolari, 878 missionari laici, circa 10’000 catechiste, mentre i seminaristi sono 1’150. In Germania è imponente la presenza cattolica nell’insegnamento: 8’591 scuole materne e primarie per un totale di 615’600 allievi, 817 collegi e licei con circa 374’000 allievi, 31 università o istituti di studi superiori con circa 24’500 studenti. Altrettanto imponente l’impegno cattolico nel sociale, con 444 ospedali, 1’368 dispensari, 2’804

case di cura o di riposo, 1’172 orfanatrofi o case di accoglienza, 2’176 centri familiari per la protezione della vita, 2’204 centri per l’educazione speciale o la rieducazione, 468 altre istituzioni. Ma la Chiesa cattolica tedesca ha subito in questi ultimi anni un massiccio abbandono di aderenti: nel 2010, secondo i dati forniti dalle diocesi, 181’193 persone hanno domandato di essere cancellati dai registri parrocchiali, con un aumento del 47% rispetto al 2009: questo aumento è attribuito alle recenti notizie degli abusi sessuali commessi da preti; i prossimi anni diranno se è un fenomeno eccezionale, oppure se si è in presenza ad una tendenza di fondo, magari influenzata dalla crisi economica che induce a chiedere di essere liberati dal pagamento dell’imposta ecclesiastica. I vescovi svizzeri si scusano Secondo uno studio, promosso da “Sacrificio Quaresimale” su “La Chiesa cattolica in Svizzera e il suo comportamento rispetto all’apartheid in Africa del Sud (1970–1990), si tratta di un capitolo oscuro della nostra storia. Senza l’aiuto della economia svizzera (banche e industrie) che non applicarono le sanzioni decise dalle Nazioni Unite, il regime dell’apartheid sarebbe cessato prima del 1994. Una responsabilità viene attribuita anche ai Vescovi svizzeri che, sotto la pressione di ambienti politici ed economici, non accolsero i pressanti inviti di gruppi cristiani e non hanno chiaramente e tempestivamente condannato le violazioni dei diritti umani. Mons. Martin Werlen, responsabile del dipartimento “Chiesa e mondo” della Conferenza episcopale svizzera, ha chiesto scusa alla popolazione sudafricana “per aver mancato di interesse di fronte alla situazione, mancato di coraggio e mancato di amore”. Aumentano i cattolici in Scandinavia La Chiesa cattolica aumenta i suoi effettivi in tutti i paesi scandinavi e ciò per l’immigrazione specialmente di rifugiati (facilmente accolti), ma anche per le conversioni e nuovi battesimi. Secondo stime prudenti, nelle sette diocesi di Danimarca, Svezia, Finlandia, Norvegia e Islanda, i cattolici sarebbe in totale 430’000; la maggior parte delle diocesi avverte la mancanza di luoghi di culto e di incontro, ma soprattutto la scarsità di preti per assistere specialmente i cattolici lituani o di lingua spagnola e quelli di rito orientale. Si assiste inoltre ad una ripresa della pratica dei pellegrinaggi in luoghi tradizionali, già frequentati prima della riforma luterana


Una Chiesa di laici La Chiesa della costa atlantica del Nicaragua, che comprende due regioni autonome, è una Chiesa di laici, disponendo solo di 32 preti (in maggioranza stranieri) per una regione di 60’000 chilometri quadrati (una volta e mezza la Svizzera) e con circa 900’000 abitanti. Secondo il vescovo cappuccino mons. Pablo Schmitz, vicario apostolico di Bluefield, “senza tutti i laici molto impegnati in un migliaio di comunità dei villaggi, in queste regioni isolate, la Chiesa non potrebbe sopravvivere (...). Qui i laici sono i protagonisti della Chiesa, i delegati della

del XVI secolo, mentre vengono fondati nuovi conventi e monasteri che, secondo i vescovi, sono luoghi importanti anche per la collaborazione ecumenica. Come utilizzare le chiese vuote L’Università di Zurigo e la Scuola politecnica federale sono interessate a utilizzare le chiese riformate per svolgere i corsi, facendo fronte così alla scarsità di aule provocata dall’aumento costante degli studenti. Secondo una stima del Consiglio esecutivo della Chiesa riformata del cantone, due terzi delle chiese della città di Zurigo sono superflue e causano spese eccessive alle comunità locali sempre più ridotte; invece di 47 chiese, ne basterebbero 20. Di qui la proposta, avanzata da alcuni, di usare gli edifici a turno: il venerdì per i musulmani, il sabato per ebrei e avventisti, la domenica per i cristiani; proposta che ha sollevato proteste e scandalo. Più accettabile potrebbe essere l’uso degli edifici liberi per l’insegnamento, con il consenso delle parrocchie proprietarie, ma sarebbe necessario qualche lavoro di adattamento, come la modifica dei banchi e l’installazione di nuovi servizi sanitari.

Parola sono le colonne vertebrali delle comunità”. La Chiesa ha visto crescere gli effettivi a seguito della guerra civile che ha spostato mezzo milione di ispanofoni, in gran parte cattolici, in una regione fino allora abitata specialmente da indigeni o creoli anglofoni, e dove è presente una Chiesa protestante storica, fondata dai Fratelli moravi tedeschi giunti a metà del XIX secolo. I rapporti tra le due Chiese sono buoni e la loro collaborazione ha permesso di realizzare la traduzione del Secondo Testamento nella lingua degli indiani Miskitos.

Una Chiesa svizzera in Egitto La Chiesa protestante di Alessandria in Egitto, fondata nel 1856 da immigrati europei sotto la protezione del Consolato di Prussia, ha una particolare relazione con la Svizzera avendo avuto, a partire dal 1896, una serie di pastori svizzeri e godendo tuttora dell’aiuto finanziario del servizio missionario delle Chiese protestanti della Romandia. Non essendo più disponibile un pastore svizzero, attualmente la Chiesa è affidata al pastore Daniel Konan, originario della Costa d’avorio, e membro della Chiesa metodista; anche i fedeli sono in parte cambiati, agli europei di lingua francese si sono aggiunti specialmente migranti e studenti dei paesi africani sub-sahariani. L’edificio è posto nei pressi dell’università francofona internazionale Senghor ed è frequentata anche dagli studenti, mentre negli anni ’90 vi funzionò una scuola per aiutare rifugiati sudanesi; possiede una ricca collezione di Bibbie in tedesco e in francese ed anche un grande organo oggi muto: i parrocchiani ora lodano il Signore al suono dei tam-tam. Alberto Lepori

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Un codice di condotta per la testimonianza cristiana

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Lo scorso 28 giugno presso il Centro ecumenico di Ginevra è stato presentato un testo significativo per il cammino dell’ecumenismo. Si intitola “Testimonianza cristiana in un mondo multi-religioso” ed è il risultato di cinque anni di consultazioni tra il Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso, il Consiglio ecumenico delle Chiese e l’Alleanza evangelica mondiale. E’ la prima volta che questi organismi, che complessivamente rappresentano il 90% dei cristiani nel mondo, cioè circa 2 miliardi di fedeli, hanno redatto e pubblicato congiuntamente un documento. Il testo – un vademecum di cinque pagine - indica le linee guida per il comportamento che le Chiese cristiane devono tenere nel professare e testimoniare la loro fede in un contesto dove convivono altre religioni. “La missione appartiene all’essenza stessa della Chiesa”, afferma il documento, “Proclamare la Parola di Dio e testimoniarla al mondo è essenziale per ogni cristiano. Allo stesso tempo, è necessario farlo in modo conforme ai principi evangelici, con pieno rispetto e amore per tutti gli esseri umani”. Principi e raccomandazioni La dichiarazione delinea 12 principi e 6 raccomandazioni. Tra i primi, il rifiuto di ogni forma di violenza, anche psicologica o sociale, e di ogni abuso di potere nella testimonianza; la libertà di professare pubblicamente, praticare, predicare o cambiare la propria religione; il rispetto per le altre religioni e per la libertà di

coscienza; l’impegno a coltivare relazioni di rispetto e fiducia con le persone di altre religioni. Tra i passi più significativi si può leggere: “Lo sfruttamento di situazioni di povertà e di bisogno non ha spazio nell’azione cristiana. I cristiani dovrebbero denunciare e trattenersi dall’offrire ogni forma di attrattiva, inclusi incentivi finanziari e premi, nei loro atti di servizio”. Un altro principio riguarda il ministero di guarigione: “Come parte integrale della loro testimonianza al Vangelo, i cristiani praticano i ministeri della guarigione. Sono chiamati ad esercitare il discernimento nello svolgimento del loro ministero, rispettando pienamente la dignità umana e assicurando che la vulnerabilità della gente e il loro bisogno di guarigione non siano sfruttati”. Le raccomandazioni - sotto i titoli “studiare”, “costruire”, “incoraggiare”, “cooperare”, “esortare” e “pregare” - puntano a garantire a livello locale un percorso, possibilmente ecumenico, di recezione dei principi concordati, a permettere ai cristiani di fare azione comune sui governi per il rispetto della libertà religiosa e inoltre a favorire un’opera di pressione congiunta, insieme alle altre comunità religiose, per la giustizia e una comune solidarietà con quanti si trovano in situazioni di conflitto. L’“incoraggiare” è espresso con un invito ai cristiani a “rafforzare la loro identità religiosa e la loro fede approfondendo al contempo la loro conoscenza e comprensione delle varie religioni, e a farlo anche tenendo conto delle prospettive degli aderenti a questi credo”. “I cristiani – afferma ancora il testo dovrebbero evitare di travisare il credo e le pratiche di persone di religioni diverse”.


Messaggio ecumenico La Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani 2012

Le dichiarazioni A Ginevra, il cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso (a sinistra nella foto), ha parlato del dovere dei leaders cristiani di “proporre una visione più ampia del dialogo”, ricordando che la Chiesa cattolica non rifiuta nulla di quanto è vero e santo in ogni religione e che l’amore di Dio non è riservato solo ai cristiani, ma abbraccia ogni persona. “Nonostante le nostre divisioni – ha proseguito il porporato – abbiamo il dovere di proclamare la fede senza nessun compromesso. E’ difficile farlo oggi in una società che vive senza Dio e talora contro Dio, ma lo Spirito Santo ci sostiene con la sua forza”. Il cardinale ha quindi sottolineato che “il messaggio cristiano deve essere proclamato, ma mai imposto”. Da parte sua, il segretario generale del Consiglio ecumenico delle Chiese, pastore Olav Fykse Tveit (al centro nella foto), ha così espresso il suo pensiero: “Quando lavoriamo insieme come Chiese e come cristiani, diamo una testimonianza qualitativamente diversa, più incisiva, più forte. Insieme dobbiamo portare al mondo la pace e la speranza di Dio. Questo documento ora sarà diffuso in tutte le Chiese della terra, con la speranza e la preghiera che esse vedano in queste raccomandazioni un’ispirazione per progettare i loro codici di comportamento in funzione del loro specifico contesto”. Anche il segretario generale dell’Alleanza evangelica mondiale, Geoff Tunnicliffe (a destra nella foto), si è rallegrato per questo testo, perché si occupa dell’unità dei cristiani, dei diritti umani, dell’evangelizzazione del mondo e della libertà religiosa, cioè delle quattro principali aree cui l’Alleanza evangelica ha dedicato la sua attenzione fin dai suoi inizi, nel 1846. ”Non c’è un’autentica missione cristiana senza etica – ha proseguito Tunnicliffe – e non ci può essere etica cristiana senza un’affermazione della dignità umana. Il documento è un codice di etica per tutti i cristiani, specialmente per quelli che vivono e servono in un contesto multi religioso”. Gino Driussi

Torna come ogni anno, dal 18 al 25 gennaio, la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, indetta congiuntamente dal Pontificio Consiglio per l’unione dei cristiani e dalla Commissione “Fede e Costituzione” del Consiglio ecumenico delle Chiese. Il tema della Settimana 2012, proposto dalle Chiese della Polonia, è “Tutti saremo trasformati dalla vittoria di Gesù Cristo, nostro Signore” È tratto dalla Prima Lettera di Paolo ai Corinzi (1Cor 15,5158), in cui si promette la trasformazione della vita umana con tutti i suoi trionfi e le sconfitte, grazie alla vittoria conseguita da Cristo con la sua resurrezione. Il significato di «vittoria» e «sconfitta» è dunque al centro delle riflessioni delle Chiese polacche. Nel 2012 la Polonia – insieme con l’Ucraina – ospiterà dall’8 giugno al 1. luglio i campionati europei di calcio e i curatori del sussidio pastorale (disponibile anche in italiano) hanno preso spunto proprio da questo evento mondano e umano per sottolineare che «la rivalità è una caratteristica permanente, non solo nello sport ma anche in campo politico, commerciale, culturale e, perfino, nella vita della Chiesa». Nell’introduzione del sussidio si ricorda come «la Polonia, a partire dai suoi fedeli, abbia conosciuto periodi di gioia e momenti di avversità. Una storia segnata da sconfitte, vittorie, invasioni, divisioni, oppressioni da parte di forze straniere e ostili. Il combattimento per venire a capo di ogni forma di asservimento fa dunque parte del desiderio di libertà e costituisce un tratto particolare della storia polacca». Anche se in questa terra è predominante il cattolicesimo, abbracciato dal 95% della popolazione, esistono diverse altre Chiese cristiane, tra cui la Chiesa ortodossa di Polonia, la Chiesa luterana, la Chiesa evangelica riformata, la Chiesa battista, la Chiesa metodista e due Chiese di origine cattolica ma staccatesi da Roma: la Chiesa veterocattolica dei mariaviti e la Chiesa cattolica polacca. La Settimana di preghiera mobilita innumerevoli comunità e parrocchie di tutto il mondo: i cristiani provenienti dalle varie confessioni si ritrovano a pregare insieme nel corso di speciali celebrazioni ecumeniche. Anche in Ticino avranno luogo diversi culti, tra cui anche quello cantonale, organizzato dalla Comunità di lavoro delle Chiese cristiane.

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Il “Vate” e San Francesco

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Ottobre 2009: ho visitato per la prima volta nella mia vita il Vittoriale degli Italiani a Gardone Riviera, l’ultima dimora di Gabriele D’Annunzio e si può dire ultima e completa sua creazione artistica, che egli donò allo Stato italiano nel 1923. “Ho donato il Vittoriale pieno di sante reliquie e di oggetti preziosi…”, scriverà al momento della donazione. Ed in mezzo alla babele di cose, oggetti, reliquie, ricordi, iscrizioni, citazioni in cui dialogano antico e moderno, vero e falso, oriente ed occidente in un continuo gioco di rimandi culturali, di rievocazioni e di allusioni - “Tutto ciò che è superfluo mi è indispensabile” - soleva ripetere il poeta, sono stato particolarmente colpito dalla miriade e dovizia di riferimenti francescani presenti nella villa di Cargnacco. Già nella facciata della Prioria, il santuario e ultima residenza del poeta, spicca un bassorilievo in bronzo con i versi del Cantico delle Creature di San Francesco:

“Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra Madre terra..”.

Nel vestibolo di ingresso alla casa oltre a un trittico della Vergine con San Francesco e Sant’Antonio è presente nella lunetta della porta San Francesco e Santa Chiara del pittore di Salò Angelo Landi. Nel corridoio della Via Crucis spicca il motto francescano “pax et bonum” ma l’apice dell’intereresse dannunziano per la spiritualità francescana si raggiunge nella cosiddetta stanza del lebbroso, in cui sopra il letto del poeta impone un dipinto di Guido Cadorin “San Francesco che abbraccia D’Annunzio lebbroso”, che sublima il rapporto fiducioso del poeta col Santo: egli si riconosce lebbroso, cioè peccatore, ma è accolto dall’abbraccio misericordioso e salvifico del Santo di Assisi. In un’altra sala sopra il caminetto è incisa la frase tratta dal Cantico delle Creature:

“Laudato si’, mi’ Signore, per frate Focu, per lo quale ennallumini la nocte ed ello è bello et iocundo et robustoso et forte.” Ma tutti questi rimandi, tutto il costante parallelo che D’Annunzio si ostinò a creare fra sé ed il Santo di Assisi, fino a diventare una specie di idea fissa, non servono a provare nel poeta l’esistenza di una vera fede. L’ammirazione devota e profonda di D’Annunzio per il Santo è dovuta al fatto che, come lui, anche Francesco fu soldato e poeta. Ma oltre che per il Santo, Gabriele D’Annunzio mostrò ammirazione anche per l’opera sociale di lui, tanto che volle essere considerato terziario francescano. Infatti come notò Gino Capponi nel primo volume della Storia di Firenze

“Nella Regola di San Francesco era stata la consacrazione e in qualche modo il primo inizio della democrazia italiana…” in quanto favorì la progressiva ascensione morale del popolo minuto, affrancandolo dagli eccessi della sudditanza feudale: la Regola fu una visione di pace che arrecava all’Europa dilaniata dalle guerre una tregua di Dio.

Gabriele D’Annunzio


Messaggio amico Ma nella sua forma mentis, nella sua fervida immaginazione che ondeggiava sempre fra tragico e ludico, D’Annunzio vedeva analogie sintomatiche, direi quasi in esplicita correlazione con Francesco. Scrive infatti Tommaso da Celano che:

“Francesco soleva cantare in francese e in provenzale; che amava i vestiti eleganti e sfarzosi e ne faceva confezionare apposta di colorati in modo strano per attirare maggiormente gli sguardi della gente; che si appassionava ai tornei, alle cacce, alle giostre ed ai banchetti. Che amava vivande squisite e cibi rari, che nella piana fra Assisi e Perugia combatté da eroe, che era nemico di viltà’ e che per primo alla presa della rocca di Nardi diede la scalata alle mura.” Come non poteva in tutto ciò D’Annunzio vedere delle analogie personali e quasi presaghe col Santo? Non ha forse egli cantato in francese, non si è vestito con raffinatezza da autentico dandy, non ha provocato continuamente la curiosità e l’attenzione del pubblico, non ha amato sempre i cibi rari e squisiti, non ha marciato per primo alla presa del Veliki, non ha compiuto raid aerei e marittimi straordinari, non è stato sempre prode in guerra e nemico di ogni viltà? Ma quanto narrato da Tommaso da Celano non è la vita di San Francesco d’Assisi. E’ quella presentata, quella del figlio di Pietro Bernardone, ricco mercante, è quella che Francesco rinnega deponendo le vesti dinanzi al padre, quella che egli aborre e vuole dimenticare per celebrare le nozze con Madonna Povertà. Così questa sgangherata imitazione porta D’Annunzio a chiamare “Porziuncola” la villetta della Duse a Settignano, dove egli si recava ogni giorno a trovarla, in un inammissibile parallelo con gli spirituali incontri di Chiara e Francesco, intenti a ragionare delle cose di Dio. Così egli dichiarava con compiacimento ai suoi commensali durante pranzi e cene di portare il cordiglio francescano sotto il frac (il che non era affatto vero); così indossava delle vesti da camera che ricordavano il saio francescano (in particolare nei convegni amorosi…). Ma il massimo di questo transfert lo raggiunse come visto al Vittoriale, quando si fece ritrarre dal pittore Cadorin nudo, in veste di leb-

broso, col monocolo all’occhio, fra le braccia paterne e accoglienti del Santo prediletto. Come giudicare e valutare tutto ciò? La verità fu che l’anima del poeta non fu mai sostanzialmente religiosa, le sue emozioni furono sempre e anche con compiacimento profane. Egli sempre si compiacque di mischiare indifferentemente sacro e profano, in un piacere morboso di contrasti irriverenti e audaci. Mancò assolutamente in lui un vero sentimento cristiano: in tutte le sue sacrileghe mescolanze vi era invece l’ardore del collezionista e l’insaziabile curiosità dell’artista. Così i periodi di misticismo, di rinunce, di macerazione, d’imitazione cristiana, di spregio delle cose terrene e di desiderio del chiostro, non esistettero che nella sua fervidissima fantasia, in modo tale che nella sua dimora anche i motti più austeramente ascetici e le più importanti e significative opere religiose figurano frammiste ad immagini ultrapagane e ad oggetti o iscrizioni di ambiguo significato. Mancò cioè sempre nel poeta quella deferenza innata che i più provano dinnanzi alle immagini e ai simboli della Divinità e della Santità. In fondo D’Annunzio fu indifferente ad ogni problema o questione religiosa: i bagliori che qua e là lampeggiano nella sua vita e nella sua opera non furono cioè generati da una convinzione religiosa, sia pure imperfetta o transitoria, ma furono d’origine ed esperienza e valenza esclusivamente artistica. Dobbiamo perciò concludere che “l’inconoscibile” non risvegliò mai in lui, così intellettualmente curioso, alcuna curiosità. Anche se alcune sue pagine come nel “San Sebastiano” raggiungono vertiginose altezze di religiosità, esse furono di essenza unicamente cerebrale e frutto di ispirata creazione artistica; non furono mai cioè il frutto di un rapimento mistico e di una fede profonda come toccò Dante Alighieri nel Paradiso. E nonostante tutte le sue incongruenze e contraddizioni, nei giardini del Vittoriale, proprio di fronte all’Arengo che ricorda le battaglie e le vittorie della prima Guerra Mondiale, con le pietre macchiate del sangue dei combattenti per la libertà, D’Annunzio collocò significativamente una statua in bronzo di San Francesco, opera dello scultore romano Giacinto Brunetti; qui cielo e terra si congiungono: il Santo con le braccia aperte e lo sguardo al cielo sembra voler abbracciare tutto l’universo, in un empito ed un augurio perenne di pace e di fratellanza umana. Mario Corti

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L’ospedale: quando la malattia diventa occasione d’incontro

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Dopo aver concluso gli studi in teologia, ho avuto la possibilità di iniziare il curricolo di lavoro sociale alla Pontificia Università Salesiana a Roma e di concluderlo alla Scuola Universitaria Professionale della Svizzera Italiana (SUPSI) di Lugano, con il diploma di assistente sociale. Dal 2004 svolgo questa professione negli ospedali S. Giovanni di Bellinzona e di Faido, seppure l’ambito formativo primario è stato quello del disagio causato dalla droga, con una tesi sulla fenomenologia della menzogna nel colloquio di presa in carico del tossicodipendente. Che cos`è un ospedale? E’ un luogo di cura dove le molteplici figure professionali interagiscono per la presa a carico generale del paziente: medico, infermiera, assistente di cura, cappellano, assistente sociale che si prodigano, secondo la loro specifica competenza a creare benessere e, quando è possibile, ripristinare lo stato di salute o almeno stabilizzarlo. L’assistente sociale è il “termometro” che misura lo stato della temperatura sociale del paziente, facendo da tramite con il mondo relazionale che gravita attorno al malato (familiari) e l’ambito ospedaliero. Noi abbiamo il mandato di organizzare sia il rientro al domicilio della persona a fine cura, così pure il trasferimento in casa per anziani o, nella peggiore delle ipotesi, l’accompagnamento alla morte, passando dall’organizzazione dei mezzi ausiliari al domicilio, l’assistenza domiciliare, la segnalazione di disagio psico-fisico alla Commissione Tutoria, Hospice, Lega contro il cancro, ecc. La malattia vissuta sia dall’anziano quanto dal

bambino, transitoria o cronica che sia, ferisce in modo differente l’animo ed il corpo del paziente: ad esempio, una bronchite o un’infezione è destinata a guarire senza lasciare tracce del suo passaggio; un tumore, anche se asportato, incide una ferita più profonda perché porta con sé lo spettro del suo ritorno. Inoltre le cure oncologiche non sono mai innocue: alterano lo stato della cute, la perdita dei capelli, una “bellezza individuale” che viene meno. Non dobbiamo dimenticare che il termine greco pharmakon (farmaco) significa “medicamento, prodotto per la cura” ma designa anche il veleno. Talvolta il farmaco che viene somministrato per una cura localizzata può nuocere ad un’altra parte del corpo. Ad esempio la somministrazione di morfina genera normalmente la stipsi, quindi bisogna sorvegliare che il paziente non diventi stitico, altrimenti subentreranno gravi complicazioni interne ma anche psicologiche, come l’alterazione della percezione della realtà nella forma di allucinazioni anche terrificanti per chi le vede. Un altro approccio è l’incontro con il bambino malato e ricoverato in ambito oncologico: esso suscita - com’è giusto che sia - forti emozioni e conflitti umani. La distanza professionale è necessaria, per non assorbire il dolore dell’altro, ma il senso di comune appartenenza alla specie umana deve almeno sviluppare il duplice “sentire” di empatia (vedere il mondo con gli occhi dell’altro, secondo la definizione di santa Edith Stein) e di compassione (cum-patire con l’altro). Mentre l’adulto ha maggiori strumenti per la comprensione e la “difesa” contro la malattia, anche se incurabile, poiché ha un suo vissuto, un’esperienza che deriva anche dal confronto con altre persone malate conosciute o decedute, il bambino è sprovvisto di ricordi e di esperienze. Nella psicologia evolutiva, il concetto di non ritorno causato dalla morte lo si realizza attorno ai 6 anni di età, quindi il piccolo ammalato non capisce che se muore non torna indietro. L’uomo non è un super eroe dei cartoni animati che anche se muore non è così grave perché subito ritorna alla vita: l’eroe non muore mai, è immortale. Ebbene noi non viviamo in un cartone animato: se moriamo, moriamo davvero.


Messaggio amico

Proprio quest’anno mi sono confrontato con la morte di un bambino di cinque anni, figlio di una mia amica, la quale non poteva che dire a suo figlio che gli sarebbero spuntate le ali e sarebbe volato da Gesù. Parole strazianti e una realtà difficile anche per un professionista del campo sanitario. Un’amica poco più che sessantenne, affetta da una patologia oncologica molto aggressiva e devastante, prende congedo dal marito e dal figlio, raccomandando loro di continuare a volersi bene e chiedendo perdono per tutte le sue mancanze di madre e di moglie; poi con un fazzoletto si asciuga le lacrime per poi asciugare quelle del figlio, a testimonianza della sua dimensione materna, anche sul letto di morte. Questi sono solo un paio di esempi che mi hanno toccato in profondità in questi mesi estivi. Ogni giorno che trascorro in ospedale, sono testimone della vita e della morte delle persone. Eppure sono convinto che non siano solo le prescrizioni mediche a guarire il malato, neppure i soli farmaci bastano. Ci vuole la dimensione umana del contatto, del sorriso, dell’ascolto, del silenzio. Talvolta i medici non toccano più i pazienti, li visitano con gli occhi, non con le mani. Allora questa “mancanza” viene supplita dagli infermieri che invece toccano il paziente, lo lavano, lo pettinano, lo fanno sentire ancora vivo, poiché il corpo non toccato è già cadavere.

A settembre inizierò il secondo ciclo di studi universitari per l’accompagnamento ai malati oncologici: spero così di acquistare maggiori strumenti umano-professionali per meglio ascoltare il corpo del malato, il quale non smette mai di comunicare. Tempo fa una paziente con un tumore alla bocca e che non poteva esprimersi a parole, con i suoi occhi mi parlava tanto quanto in un dialogo orale. Il corpo parla, sempre! Se il medico ed i parenti si accordano per l’istituzionalizzazione in una casa per anziani del loro caro, tocca all’assistente sociale farsi carico non solo dell’aspetto burocratico della ricerca del posto letto ma anche della dimensione morale del paziente. Il suo non ritorno a casa lo proietta in una duplice dimensione, una nuova realtà si concretizza nella propria vita: “sto invecchiando, non vado più a casa mia”, ed in seconda battuta l’approssimarsi della morte: “la casa per anziani è la mia ultima dimora, poi ci sarà il cimitero”. Sono le fasi della vita, molto spesso autentici bocconi amari. Un tempo l’ospedale era un luogo di passaggio: ci si andava solo se proprio non se ne poteva fare a meno.

Si nasceva e si moriva a casa. Oggi si nasce in ospedale e spesso ci si muore, magari lasciando il corpo nella camera mortuaria fino al funerale. E’ cambiata la percezione del corpo vivo e del corpo morto. Eppure ogni paziente che transita dai nostri ospedali, lascia una traccia nel solco della vita di coloro che ci lavorano. fra Michele Ravetta assistenteso ciale dell’Ente Ospedaliero Cantonale

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Convento dei Cappuccini Salita dei Frati 4 CH - 6900 Lugano

Abbiamo letto... abbiamo visto... Ferrero B.,

I dieci comandamenti raccontati ai bambini

GAB 6900 Lugano

Torino (Elledici), 2009. Dieci paroline disse Dio all’uomo perché l’uomo fosse veramente un uomo. Ma l’uomo le dimenticò. Così, molti anni dopo, Dio ripeté le dieci paroline ad un amico fidato, Mosè, che le riportò su lastre di pietra e poi sulla Bibbia. Questo libro ti presenta le “dieci parole” di Dio, chiamate anche Decalogo o Dieci Comandamenti.

Ecco un bel DVD che parla dei Comandamenti. Si tratta di dieci storie dense di vita e di humor che evidenziano le esigenze morali e interiori delle “dieci parole” che Dio ha consegnato all’uomo. Protagonisti sono cinque bambini, il caprone Yobel e fra Jacopone, un frate fuori dal comune che sa condurre, con intelligenza e arguzia, i ragazzi a scoprire nei fatti di tutti i giorni il senso più profondo del Decalogo, che si riassume nell’unico comandamento dell’amore.


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