Legalita e Ambiente

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LEGALITÀ E AMBIENTE


TERRA DEI FUOCHI

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DOSSIER TERRA DEI FUOCHI

TERRA DEI FUOCHI ”Terra dei Fuochi” è un’espressione coniata negli anni 2000 per indicare una vasta area situata nell’Italia meridionale, che si estende in Campania, a cavallo tra la provincia di Napoli e quella di Caserta, a causa dell’interramento di rifiuti tossici e rifiuti speciali, e per l’innesco di numerosi roghi di rifiuti, tutte circostanze con un potenziale impatto sulla salute della popolazione locale. L’espressione appare per la prima volta nel 2003, quando fu usata nel Rapporto Ecomafie 2003 curato da Legambiente. In seguito è stata utilizzata da Roberto Saviano nel libro Gomorra, come titolo dell’undicesimo e ultimo capitolo. Le immagini di rifiuti incendiati, disseminati, o abbandonati in discariche abusive nella Terra dei Fuochi, anche in prossimità di zone abitate, vengono spesso associate con la percezione di un maggior rischio per la salute per le persone che abitano nell’area, con particolare riferimento ai tumori. Non c’è però nessuna certezza sulla correlazione tra questo tipo di fenomeni e i tumori, soprattutto per quanto riguarda quelli infantili, anche se spicca un aumento del numero di casi di neoplasie tiroidee statisticamente significativo. In generale, una correlazione significativa tra esposizioni ambientali e tumori è di difficile (se non impossibile) applicazione, in quanto intervengono in gioco molti altri fattori, come la cattiva alimentazione, il fumo, l’ereditarietà, i controlli ospedalieri, i ricoveri e la diagnosi precoce. In particolare, gli studi compiuti sulle piante che crescono nell’area, effettuati da fonti disparate (incluso il ministero della Salute e organismi internazionali indipendenti), non hanno fatto emergere alcun profilo di rischio riguardo ai livelli di tossine e contaminanti, che sono risultati essere conformi agli standard dettati dalle normative in materia di sicurezza alimentare emanate dall’Unione europea. Nonostante questo, la rappresentazione offerta dai mezzi di comunicazione di massa ha causato un notevole danno di immagine per l’agricoltura della Campania, comprese le aree non ricomprese, con conseguente crollo dei ricavi dell’intero comparto agricolo campano. C’è anche da dire però che l’ISS (Istituto superiore di sanità) ha reso pubblico come l’inquinamento delle falde, seppur assolutamente non a livello diffuso, sia un problema concreto e misurabile, così come lo stato di salute della popolazione locale rispetto a quella italiana. Infine, l’abbandono e l’incenerimento illegale di rifiuti risulta sia dall’opera di privati cittadini che dalle organizzazioni mafiose radicate e non sul territorio, come Camorra e Mafia Capitale.

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STORIA I primi sospetti sull’attività illegale dello smaltimento dei rifiuti tossici furono evidenziati nella prima metà degli anni novanta da un’indagine della Polizia di Stato condotta dall’allora ispettore della Criminalpol Roberto Mancini. La sua informativa del 1996 in cui presentava i risultati delle indagini e i dettagli sui reati e i presunti autori non ebbe però ulteriori sviluppi fino al 2011, quando venne ripresa dal Pubblico Ministero Alessandro Milita che riavviò le indagini. Nel 2011, secondo un rapporto dell’ARPA della Campania, un’area di 3 milioni di metri quadri, compresa tra i Regi Lagni, Lo Uttaro, Masseria del Pozzo-Schiavi (nel Giuglianese) ed il quartiere di Pianura della città di Napoli, risulterebbe molto compromessa per l’elevata e massiccia presenza di rifiuti tossici. Nel 2015, nel comune di Calvi Risorta, il Corpo forestale dello Stato ha scoperto un’area di sversamento clandestino dei rifiuti, ritenuta la più grande discarica sotterranea d’Europa di rifiuti tossici. Si ritiene sia opera della camorra, con un stesso sistema di sigillamento degli strati della discarica, simile a quello utilizzato dal clan dei casalesi.

GEOGRAFIA La definizione di Terra dei fuochi comprende un territorio di 1076 km², nel quale sono situati 57 comuni, nei quali risiedono circa 2 milioni e mezzo di abitanti: 33 comuni sono situati nella provincia di Napoli e 24 comuni sono ubicati nella provincia di Caserta. È compresa quasi l’intera provincia napoletana, mentre del casertano è colpita soprattutto la parte meridionale e sud-occidentale.

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ATTIVITÀ CORRELATE Si caratterizza per lo sversamento illegale di rifiuti, anche tossici. In molti casi, i cumuli di rifiuti, illegalmente riversati nelle campagne, o ai margini delle strade, vengono incendiati dando luogo a roghi i cui fumi diffondono nell’atmosfera e nelle terre circostanti sostanze tossiche, tra cui diossina. INQUINAMENTO DEI PRODOTTI AGROALIMENTARI L’inquinamento da diossina dei terreni può essere molto pericoloso perché in grado di introdurre sostanze tossiche nella catena alimentare degli animali da allevamento, che possono raggiungere anche l’uomo. Il 26 marzo 2008, notizie giornalistiche hanno riferito il riscontro di limitate presenze di diossina nel latte di bufala proveniente da allevamenti del casertano, attribuite all’inquinamento ambientale. A seguito di questi riscontri, che comunque riguardavano in maniera limitata gli allevamenti impiegati per produrre la mozzarella di bufala campana DOP, alcuni paesi, tra cui Corea del Sud e Giappone, bloccarono temporaneamente l’importazione della mozzarella campana. A seguito della notizia, la vendita di prodotti caseari della Campania è diminuita i modo significativo, non solo in Italia, ma anche all’estero. Test scientifici della mozzarella di bufala svolti in Germania, comunque, non hanno rilevato alcuna traccia di diossina né di metalli pesanti[20]. L’eventuale presenza anomala di contaminati, come diossine e metalli pesanti, è facilmente rilevabile prelevando campioni dalle piante che crescono sul terreno: studi compiuti da più autorità, statali e indipendenti (inclusi quelli straordinari compiuti nel 2014 dall’ente certificatore internazionale GlobalGap non hanno riscontrato alcuna anomalia, con valori al di sotto dei limiti comunitari in materia di sostanze pericolose o tossiche, tanto che i produttori agricoli dell’area hanno ottenuto la certificazione GlobalGap, necessaria per intrattenere rapporti commerciali con molti operatori economici della grande distribuzione organizzata.

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Ricerche compiute dall’Università Federico II e, in modo indipendente, dall’Istituto zooprofilattico sperimentale del Mezzogiorno, con sede a Portici, hanno ridimensionato la situazione di rischio, confinando la presenza di aree critiche corrispondenti al solo 3% dell’intera superficie geografica della cosiddetta Terra dei Fuochi. Tali micro-aree locali, inoltre, non sono correlate ad aree rurali, né al fenomeno di mala gestione dei rifiuti, ma coincidono in modo sostanziale con le principali aree urbano-industriali presenti nel territorio. A dicembre 2017, nel corso di una conferenza stampa tenuta nell’ambito dell’evento “Nuova Campania - Le nuove frontiere della Ricerca su Ambiente, Cibo e Salute”, il direttore dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno, dr. Antonio Limone, alla presenza del Presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca e del presidente dell’Istituto Superiore di Sanità prof. Gualtiero Ricciardi, ha evidenziato come, nell’ambito delle serrate, sistematiche e capillari attività di campionamento delle matrici ambientali previste dal progetto “Campania Trasparente”, solo 33 dei 50000 ettari di terreno analizzati sono risultati contaminati. Tali risultati confortanti non sono riusciti, tuttavia, a guadagnare la stessa attenzione mediatica di cui hanno goduto le precedenti campagne di stampa sensazionalistiche di segno opposto, né hanno potuto porre rimedio al danno di immagine ormai compiuto dai mezzi d’informazione, con la conseguenza di un’incrinatura nella fiducia per l’intero comparto agricolo e zootecnico della Campania, che ha determinato un crollo dei prezzi e dei ricavi per gli operatori economici del settore. SMALTIMENTO ILLEGALE DEI RIFIUTI La zona sarebbe interessata anche da un consistente traffico di rifiuti, tra le cui attività rientrerebbe lo sversamento e l’eliminazione di materiali come copertoni o scarti di abbigliamento, provenienti soprattutto dal Nord Italia, o il recupero del rame dai cavi elettrici. I roghi divennero più frequenti quando potevano essere confusi tra i numerosi roghi appiccati ai cumuli di immondizia durante la crisi dei rifiuti in Campania, tra il 2007 e il 2008. I carabinieri accertarono che solo tra il gennaio e il marzo del 2007 furono bruciati 30 000 kg di rifiuti in terreni agricoli, con un ricavo di oltre 118 000 euro. Le indagini di Roberto Mancini e le dichiarazioni del pentito di camorra, Carmine Schiavone, hanno evidenziato come la Campania fosse destinata a diventare una discarica a cielo aperto, soprattutto di materiali tossici tra cui piombo, scorie nucleari e materiale acido, che hanno inquinato le falde acquifere campane e le coste di mare dal basso Lazio fino ad arrivare a Castelvolturno. Nonostante le dichiarazioni del pentito Schiavone, non è esiste alcuna prova che la situazione generalizzata di abbandono abusivo di rifiuti, con relativi roghi, sia dovuta all’azione criminale della camorra e non un Fenomeno di emergente dovuto alla somma di comportamenti di malcostume individuale delle popolazioni e delle comunità locali.

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RIFERIMENTI NELLA CULTURA POPOLARE MUSICA “Melissa” - Dreamaway Tales “Una Terra che tace” - Benedetta Valanzano FILMOGRAFIA Biùtiful cauntri (2007) regia di Esmeralda Calabria, Andrea D’Ambrosio, Peppe Ruggiero Vietato Respirare (2008) regia di Ricky Farina, Pietro Menditto, Diego Fabricio Nella Terra dei Fuochi (2013) regia di Marco La Gala Ogni singolo giorno (2014) regia di Thomas Wild Turolo Bella e perduta (2015) regia di Pietro Marcello Io non mi arrendo (2016) regia di Enzo Monteleone The Land of Fires (2016) regia di Silvia Luzi e Luca Bellino Il segreto di Pulcinella (2016) regia di Mary Griffo Veleno (2017) regia di Diego Olivares

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DOSSIER ILVA DI TARANTO

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STORIA Il governo Vendola è stato il primo a indicare nell’inquinamento le cause di malattie e di morte nel sito di Taranto e ha messo a disposizione dei periti indicati dalla magistratura tutti i dati raccolti dalla ASL di Taranto e dal Registro Tumori Puglia, istituito nel 2008, oltre ai dati dei monitoraggi ambientali condotti da ARPA Puglia. Il Governo Vendola ha messo in campo, sin dal suo primo mandato, una serie di iniziative legislative, sia in ambito ambientale, che sanitario, per garantire la tutela dell’ambiente e della salute dei cittadini di Taranto, coniugandole con il diritto al lavoro. La volontà è sempre stata quella di sconfiggere lo schema del ricatto occupazionale, che in molti casi è divenuto vera e propria ideologia del padrone, per cui o prendi questo lavoro così come è, o resti senza; la volontà è sempre stata quella di affermare un principio fondamentale per una società moderna, ovvero che il diritto alla salute e il diritto al lavoro non fossero alternativi, ma parte di un unico sacrosanto diritto, quello alla vita. Dopo 50 anni di silenzi intorno alla fabbrica e in cui la politica e le istituzioni avevano preferito infilare la testa sotto la sabbia ed evitato di interrogarsi sui danni all’ambiente e le condizioni di salute, il governo Vendola decide di portare i riflettori del dibattito politico su Taranto, la sua vita e i suoi dolori. Con molte difficoltà. Basterà ricordare la dura battaglia politica intrapresa con l’allora Ministro dell’Ambiente, Stefania Prestigiacomo, che aveva più volte tentato di impedire che la Regione Puglia adottasse norme e prescrizioni per l’azienda, che superavano la legislazione nazionale in materia. Dal 2006 quindi, finalmente, abbiamo iniziato a conoscere la realtà, abbiamo potuto acquisire dati sugli inquinanti e sulla loro relazione con la vita e la salute delle persone, abbiamo dato un nome ai veleni: le diossine, i furani, il benzoapirene, il pm10, le polveri sottili; abbiamo scritto che bisogna parlare di tumori, che bisogna capovolgere la logica antica secondo cui la fabbrica era al centro delle necessità e la vita, tutta intorno, doveva adeguarsi.

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Questi gli interventi del governo regionale pugliese: 2006 Parliamo di Diossine: a marzo del 2006, Vendola ufficializza il tema “diossina” nel IV Atto d’Intesa Regione ILVA. Chiede all’azienda di procedere alla misurazione delle diossine emesse, nominando un soggetto di suo gradimento (individuato nel Consiglio Nazionale delle Ricerche). Potenziamento dell’ARPA Puglia: la Regione approva il piano straordinario di potenziamento del suo organo tecnico, l’ARPA Puglia. 2007 Inizia il monitoraggio: a giugno prende avvio la prima campagna di monitoraggio delle emissioni del camino E312 (agglomerato), preceduta da un monitoraggio delle emissioni con il mezzo mobile. In contemporanea viene svolto anche il monitoraggio di microinquinanti organici in aria nel comune di Taranto. La campagna viene effettuata affidando il campionamento alla multinazionale SGS e l’analisi al laboratorio del Consorzio Interuniversitario INCA di Porto Marghera, in quanto le istituzioni regionali non disponevano di strumentazioni per la misurazione, ad esempio, delle diossine. 2008 I° rapporto di prova del laboratorio microinquinanti di Taranto: l’ARPA non è più una scatola vuota: nel 2008 si completa la procedura amministrativa per l’acquisto della costosa strumentazione di monitoraggio delle diossine e degli altri microinquinanti e viene emesso il primo rapporto di prova. Lettera al Presidente del Consiglio: il Presidente Nichi Vendola decide di scrivere al Presidente del Consiglio per sensibilizzare il governo sul tema Taranto e sollecitarne un intervento deciso sulla legislazione nazionale per stabilire norme più stringenti per il contenimento dell’inquinamento di origine industriale. Polveri sottili e benzoapirene: a luglio l’ARPA produce i primi dati del controllo ufficiale di benzoapirene nel PM10 (polveri sottili) a Taranto, la cui raccolta non sarà più interrotta e prosegue oggi routinariamente. Legge Regionale Puglia n. 44/2008: la Regione Puglia approva una innovativa norma che fissa valori limite stringenti per l’emissione di diossina, utilizzando una unità di misura non contemplata dalla legislazione italiana, che tiene conto della tossicità della diossina emessa. L’unità di misura è il TEQ. ILVA reagisce molto duramente minacciando il licenziamento di migliaia di operai e ponendo per la prima volta l’opinione pubblica di fronte al dilemma lavoro-ambiente. 10


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Grazie ad un’efficace mediazione Stato-Regione, la legge regionale è stata riapprovata (LR 8/2009), con lievi modifiche, ed ILVA è stata in grado, con investimenti molto contenuti, di rispettare i nuovi limiti previsti. In conclusione, il camino dell’impianto di agglomerazione, che prima dell’installazione di nuove tecnologie di controllo delle emissioni, aveva emesso annualmente oltre 500 grammi TEQ di diossine, e che nel 2007 aveva una emissione annua superiore a 100 grammi TEQ, a partire dal gennaio 2011 emette meno di 10 grammi TEQ l’anno. La norma, prima e unica in Italia, ha prodotto quindi significativi e misurabili miglioramenti in termini di emissioni complessive di diossina. Deliberazione di Giunta n. 1500 del 2008: con un finanziamento iniziale di 250.000 euro, viene istituito il Registro Tumori Puglia, “anche ed in considerazione della necessità di approfondire il dato di alcune realtà geografiche in cui si concentrano patologie tumorali”, come da testo di delibera di giunta. Attualmente l’intero territorio regionale è coperto dalle attività di registrazione dei tumori, unico caso in Italia: entro la fine dell’anno, saranno disponibili i dati del triennio 2006-2008 per l’area di Taranto. I dati del 2006 sono stati utilizzati nell’ambito della perizia epidemiologica e i dati del biennio 2006-2007 fanno parte del rapporto ISS presentato a Taranto dal Ministro Balduzzi con l’Assessore Attolini il 22 ottobre. Il Registro Tumori Puglia è l’unico in Italia a garantire la copertura dell’intero territorio regionale e ha visto raddoppiare il suo finanziamento per assicurare la dotazione organica a tutte le ASL. Nuvole bianche: Nichi Vendola incontra i bambini delle scuole di Taranto, che gli consegnano disegni e lettere che parlano di ILVA e di Taranto. La Regione Puglia decide di pubblicare tutte le lettere e i disegni e di consegnarne copie al governo, come ulteriore elemento utile al dibattito. Monitoraggio della diossina: con delibera di giunta 1321 del 15 luglio del 2008, viene predisposto un “Intervento straordinario a seguito di contaminazione da diossina in allevamenti della Provincia di Taranto”, realizzato dal Dipartimento Prevenzione della ASL Taranto. Monitoraggio sulla qualità dell’aria: vengono avviati i monitoraggi sulla qualità dell’aria nella città di Taranto e nelle zone limitrofe. 2009 Benzoapirene: a gennaio del 2009, l’ARPA accerta il superamento del Benzoapirene nel PM10, per l’anno 2008 nella stazione di monitoraggio di via Machiavelli. Vivere con la fabbrica: il caso ILVA arriva finalmente all’attenzione del dibattito pubblico, ma sempre più numerosi e rumorosi sono i detrattori della legge regionale anti-diossina, che mettono in discussione il rapporto diretto fra inquinamento e malattia. Il governo Vendola viene accusato di catastrofismo. La Regione Puglia di conseguenza cura la pubblicazione di un libro “Vivere con la fabbrica”, realizzato in collaborazione con le associazioni del territorio, che cita tutti i dati di emissione dell’ILVA e li associa alle malattie più frequenti nel territorio. Monitoraggi: ARPA e ASL intensificano le attività di monitoraggio sulle matrici ambientali e alimentari. Ven11


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gono effettuate 4 diverse campagne di monitoraggio su diossine e polveri sottili. Nel settembre 2009 ARPA Puglia presenta i risultati del monitoraggio delle diossine in un convegno dal titolo “Le diossine a Taranto tra ambiente e salute”. 2010 Divieto di pascolo: i dati che giungono dalle rilevazioni dell’ARPA e della ASL evidenziano diverse criticità negli allevamenti intorno all’area industriale. Il pericolo è che le diossine presenti nelle carni e nei pascoli possano entrare nella catena alimentare dei cittadini di Taranto. Vendola ordina il divieto di pascolo e la distruzione del fegato ovicaprino nelle aziende zootecniche allocate nel raggio di 20 km da ILVA. Stop Benzoapirene: nel giugno del 2010 l’Arpa Puglia produce una relazione sui dati sul superamento dei valori obiettivo di benzoapirene stabiliti dal Decreto Legislativo 152/07. Viene prodotta una relazione che riporta una prima attribuzione alle sorgenti responsabili del superamento e una stima del rischio di tumore del polmone associato. A seguito di questi dati, il Sindaco di Taranto Ippazio Stefano, emette un’ordinanza che impone alla proprietà dell’ILVA, entro il limite di 30 giorni, di rientrare nei valori obiettivo per l’emissione di benzoapirene e di dotarsi, così come previsto dall’AIA, di impianti adeguati, secondo le migliorie tecniche disponibili. L’ordinanza viene impugnata da ILVA dinanzi al TAR. Intervento del governo Berlusconi: in data 13 agosto 2010, si assiste increduli all’intervento del Ministero dell’Ambiente in favore dell’ILVA, attraverso il Decreto Legislativo 155/2010, meglio conosciuto come “Salva ILVA”, che prorogava al 2013 il raggiungimento del valore obiettivo per l’emissione di benzoapirene. Una legge regionale: in seguito all’iniziativa del governo Berlusconi, in favore dell’ILVA, gli uffici regionali iniziano a lavorare ad una legge che impone il rispetto del limite di 1 nanogrammo di benzoapirene per metro cubo di aria, per contenere gli effetti della norma “Salva ILVA”. Piano di risanamento nel Comune di Taranto: su incarico dell’Assessorato Regionale alla Qualità dell’Ambiente, ARPA Puglia realizza a partire da giugno un programma semestrale di monitoraggio giornaliero del benzoapirene in sette siti intorno al complesso siderurgico per documentare l’attribuibilità alla sorgente principale, costituita dalle emissioni diffuse della cokeria. Il monitoraggio diagnostico ha contato circa 1.800 campioni ed è stato completato agli inizi del 2012. Monitoraggio della diossina: l’Assessorato alle Politiche della Salute della Regione Puglia finanzia con 300.000 euro un nuovo studio di monitoraggio per individuare la presenza della diossina negli allevamenti e nella catena alimentare della zona jonica. Monitoraggio della popolazione: il lavoro di studio e monitoraggio non si ferma agli allevamenti. ASL Taranto, ARPA Puglia e l’ Università di Bari (Sez. Medicina del Lavoro) avviano nel 2010 un monitoraggio biologico della popolazione per verificare l’esposizione a metalli pesanti: i risultati sono stati presentati nel 12


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mese di luglio 2012 nel corso del workshop di ARPA Puglia “Valutazione economica degli effetti sanitari dell’inquinamento atmosferico”. 2011 Legge sul benzoapirene: la Puglia emana, unica in Italia, una legge regionale (n. 3 del 28.2.2011) che prevede un intervento immediato da attuare in caso di superamento del limite di emissione di benzoapirene, onde prevenire il pericolo di danni alla salute. Con questa legge, la Regione indica precisi obblighi per le attività industriali ricadenti nell’area di Taranto prescrivendo, tra l’altro, la copertura dei parchi minerari di ILVA e la riduzione della produzione nelle giornate di wind days, per evitare la dispersione delle polveri. Monitoraggio nell’ambiente di lavoro: viene realizzata da ARPA, insieme allo SPESAL di Taranto, una campagna di monitoraggio degli inquinanti nell’ambiente di lavoro delle cokerie di Taranto, a tutela dei lavoratori ILVA. Autorizzazione Integrata Ambientale: ad agosto il Ministero rilascia l’autorizzazione all’ILVA. La Regione Puglia con deliberazione n. 1504, in data 4.7.2011, impone alcune prescrizioni fra le quali: a) il rispetto degli accordi sanciti dal Protocollo di Intesa sulla diossina del 2009 b) la possibilità di riesame dell’AIA nel momento in cui i monitoraggi effettuati evidenziassero il superamento dei limiti stabiliti, nell’emissione di benzoapirene c) l’istituzione di un tavolo tecnico con il compito di valutare gli effetti cumulativi delle aziende presenti nell’area industriale di Taranto e Statte e di proporre alle Autorità Competenti l’adozione dei provvedimenti finalizzati alla mitigazione di tali effetti. Le prescrizioni della Regione vengono accolte dal Ministero. Tavolo Tecnico per lo studio della mortalità: con un finanziamento della Provincia di Taranto, viene istituito un tavolo tecnico per uno studio più approfondito delle cause di mortalità nella città di Taranto. Gli obiettivi sono: analisi descrittiva della distribuzione delle malattie sul territorio comunale e provinciale; georeferenziazione dei casi di malattia sul territorio comunale e provinciale; incrocio dei dati sanitari con i dati ambientali e la costruzione di mappe epidemiologiche; stima del rischio per la salute dei residenti nel sito inquinato di Taranto e confronto delle stime tra i quartieri del comune di Taranto, standardizzazione delle stime in base agli indici di deprivazione socio-economica. Le istituzioni coinvolte sono: ASL Taranto, Osservatorio Epidemiologico Puglia, ARPA Puglia, AReS Puglia, le associazioni ambientaliste. Monitoraggio della diossina: l’Assessorato alle Politiche della Salute della Regione Puglia finanzia con 300.000 euro un ulteriore studio di monitoraggio per individuare la presenza della diossina negli allevamenti e nella catena alimentare della zona jonica.

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2012 Vendola scrive a Clini: nel marzo del 2012 Vendola scrive al Ministro Clini (lettera prot. n° 1066/SP), per chiedere il riesame dell’Autorizzazione Integrata Ambientale, ai sensi dell’art. 6 dell’AIA precedente, perché a seguito del monitoraggio continuo di benzoapirene effettuato dall’ARPA, si erano evidenziati livelli sopra la norma (relazione n° 5520 in data 01.02.2012). Piano di intervento per il risanamento della qualità dell’aria: considerato il numero di superamenti annuali per il PM10 e il superamento del valore obiettivo del Benzoapirene durante l’anno 2011 per l’area in esame, ai sensi all’art.9 del D.Lgs 155/2010, il Tavolo di Lavoro ha deciso di predisporre un piano di azione integrato per riportare i livelli di qualità dell’aria in conformità ai limiti di Legge (ex D.Lgs. 155/10). Nel Piano sono individuate le prime misure di risanamento da applicare all’area industriale di Taranto – Statte e all’area del quartiere Tamburi, per riportare gli inquinanti al di sotto dei limiti prescritti dal D.Lgs. 155/2010. Nel piano vengono imposti alle aziende limiti stringenti di produzione nei wind days (giornate con condizioni climatiche sfavorevoli) e la copertura delle aree adibite a deposito di minerali e materie prime polverulente. Interviene la magistratura: La magistratura chiede il sequestro dell’impianto. In base ai dati messi a disposizione dal governo pugliese ed elaborati in anni di monitoraggi, infatti, gli inquirenti accertano il nesso causale fra inquinamento ambientale e mortalità e propongono il sequestro e lo spegnimento degli impianti siderurgici per interrompere la catena dei reati. Valutazione del Danno Sanitario: a luglio il Consiglio Regionale approva la legge regionale “Norma a tutela della salute, dell’ambiente e del territorio sulle emissioni industriali inquinanti per le aree pugliesi già dichiarate ad elevato rischio ambientale”. La legge introduce lo strumento della valutazione del danno sanitario nell’ambito dei procedimenti di autorizzazione ambientale degli impianti industriali. Si tratta di una rivoluzione copernicana: al centro del sistema non più, come fino ad ora era accaduto ‘la fabbrica fordista’, ma l’uomo e la qualità della sua esistenza. In sostanza, a seguito di tutte le indagini effettuate nel corso degli anni, si stabilisce un rapporto causale certo fra le malattie e gli agenti inquinanti. Nuova AIA: nell’ambito del riesame dell’AIA, richiesta dal Presidente Vendola a marzo, la Regione Puglia è costantemente presente con un proprio rappresentante e introduce alcune prescrizioni per l’azienda: a) dare attuazione al Protocollo Tecnico Operativo che prevede il campionamento in continuo delle diossine b) il riesame dell’AIA deve prevedere il recepimento della Valutazione del Danno Sanitario, che consente di guardare più a fondo nelle problematiche della salute dei cittadini, connesse alle emissioni inquinanti. In particolare, in caso di criticità espressa dalla valutazione, l’Autorità competente dovrà disporre entro trenta giorni, il riesame dell’autorizzazione, per garantire la salvaguardia della salute dei cittadini. c) il riesame dell’AIA deve prevedere l’obbligo per l’azienda di rendere accessibile, in tempo reale e mediante password, i sistemi di monitoraggio in continuo delle emissioni in atmosfera

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d) l’azienda deve inoltre garantire la massima trasparenza sulle proprie prestazioni ambientali, mediante sistemi di informazione di semplice accesso e lettura da parte dei cittadini e) l’adozione di misure supplementari particolari più rigorose, ovvero l’adozione anticipata di valori limite rigorosi di emissione in atmosfera f) l’adeguamento anticipato alle migliori tecnologie disponibili per limitare le emissioni; g) la copertura dei parchi minerari Il Centro Salute Ambiente: con Delibera di Giunta Regionale n. 1980 del 12.10.2012 viene adottato dal Governo il “Piano Straordinario Salute e Ambiente e Istituzione del Centro Salute-Ambiente in Taranto”, finanziato con 8 milioni di euro. L’obiettivo è quello di integrare sinergicamente tutte le risorse umane e strumentali, le competenze, le professionalità locali e nazionali per affrontare le complesse criticità della relazione ambiente/salute a partire dal territorio tarantino: il Centro Salute e Ambiente si occuperà di verificare e monitorare il livello e la composizione delle emissioni inquinanti e le loro ricadute sulla salute umana. Accanto al potenziamento delle attività di monitoraggio e studio, sono previste attività di prevenzione e di cura con una specifica attenzione dedicata alla salute materno-infantile.

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TIMELINE

ILVA: IL DOSSIER 1961 ILVA apre i cancelli a Taranto

Nessun intervento

2005 Vendola eletto Presidente della Regione Puglia

2006 Parliamo di Diossine

Vendola ufficializza il tema "diossina" nell’Atto d'Intesa Regione - ILVA. Chiede di procedere alla misurazione degli inquinanti emessi.

2007 Iniziano i monitoraggi

2008

campagna di monitoraggio delle emissioni del camino E312. In contemporanea viene svolto il monitoraggio di microinquinanti organici nel comune di Taranto.

Lettera al Presidente del Consiglio

il Presidente Nichi Vendola decide di scrivere al Presidente del Consiglio per la salvaguardia di Taranto.

Legge anti-diossina

la Regione approva una innovativa norma che fissa valori limite stringenti per l’emissione di diossina, utilizzando una unità di misura non contemplata dalla legislazione italiana, che tiene conto della tossicità della diossina emessa.

Registro Tumori

stanziati 250.000 euro per istituire il Registro Tumori Puglia, “in considerazione della necessità di approfondire il dato di alcune realtà geografiche in cui si concentrano patologie tumorali”, come da testo di delibera di giunta.

Monitoraggi

proseguono i monitoraggi nell’aria e negli allevamenti.

2009 Benzoapirene

a gennaio del 2009, l’ARPA accerta il superamento del Benzoapirene nel PM10 (una polvere sottile, risultato della produzione).

Monitoraggi

ARPA intensifica il monitoraggio su diossine e benzopirene.

2010 Divieto di pascolo

in base ai dati dei monitoraggi, Vendola ordina il divieto di pascolo nelle aziende allocate nel raggio di 20 km da ILVA.

Stop Benzoapirene

a giugno l’Arpa Puglia produce una relazione sul superamento dei valori limite di benzoapirene. Il Sindaco di Taranto impone all’azienda di rientrare nei valori limite.

Intervento del governo Berlusconi

in data 13 agosto, si assiste increduli all’intervento del Ministero dell’Ambiente in favore dell’ILVA, attraverso il Decreto “Salva ILVA”, che proroga al 2013 il raggiungimento del valore obiettivo per l’emissione di benzoapirene.

Una legge regionale

in risposta al governo, gli uffici regionali iniziano a lavorare ad una legge che imponga il limite di 1 mg di benzoapirene per metro cubo di aria.

La legge regionale anti BaP

la legge regionale anti BaP(benzoapirene) fissa il valore di un nano-grammo per metro cubo di aria.

Piano di risanamento

a seguito del riscontro dei superamento di BaP, la Regione avvia un piano di risanamento per il rione Tamburi di Taranto con un monitoraggio diagnostico del BaP, unico in Italia per intensità (6 mesi continuativi con circa 1.800 campioni).

2012 Nichi Vendola scrive a Clini

a marzo Vendola chiede il riesame dell’Autorizzazione Integrata Ambientale, perché i livelli di benzoapirene continuano ad essere sopra la norma.

2011 Legge sul benzoapirene

La Puglia emana, unica in Italia, una legge regionale che prevede un intervento immediato in caso di superamento del limite di emissione di benzoapirene e indica precisi obblighi per le industrie.

Autorizzazione Integrata Ambientale

la Regione impone che nell’AIA ministeriale ci siano alcune prescrizioni, fra le quali: il riesame dell’AIA nel momento in cui vengano superati i limiti di emissione di benzoapirene; l’istituzione di un tavolo tecnico con il compito di valutare gli effetti cumulativi delle aziende sui cittadini di Taranto.

Tavolo Tecnico per lo studio della mortalità

viene istituito un tavolo tecnico per uno studio più approfondito delle cause di mortalità nella città di Taranto.

Intervento della Magistratura Valutazione del Danno Sanitario

a luglio il Consiglio Regionale approva una legge regionale, che introduce lo strumento della valutazione del danno sanitario nell'ambito dei procedimenti di autorizzazione ambientale degli impianti industriali. Si tratta di una rivoluzione copernicana: al centro del sistema non più la fabbrica fordista, ma l’uomo e la qualità della sua esistenza.

Nuova AIA

nell’ambito del riesame dell’AIA, richiesta dal Presidente Vendola a marzo, la Regione Puglia introduce alcune prescrizioni per l’azienda: a) il campionamento a lungo termine delle diossine; b) l’introduzione della Valutazione del Danno Sanitario nel procedimento di autorizzazione; c) l’obbligo per l’azienda di rendere accessibile, in tempo reale, i sistemi di monitoraggio in continuo delle emissioni in atmosfera; d) l’azienda deve garantire la massima trasparenza sulle proprie prestazioni ambientali, mediante sistemi di informazione di semplice accesso e lettura da parte dei cittadini; e) l’adozione di misure supplementari particolari più rigorose, ovvero l’adozione anticipata di valori limite rigorosi di emissione in atmosfera; f) l’adeguamento anticipato alle migliori tecnologie disponibili per limitare le emissioni; g) la copertura dei parchi minerari.

Il Centro Salute Ambiente

si occuperà di verificare e monitorare il livello e la composizione delle emissioni inquinanti e le loro ricadute sulla salute umana.

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DOSSIER ILVA DI TARANTO

DOSSIER PEACELINK TARANTO SOCIALE (TESTO DI ALESSANDRO MARESCOTTI E GIOVANNI MATICHECCHIA) A Taranto si concentra il 90,3% della diossina nazionale. Sale a livelli record la diossina superando i valori del 2002. Fino ad ora erano noti a Taranto solo i dati del 2002 che già erano allarmanti per aver superato la soglia del 30%. L’attuale percentuale del 90,3% è calcolata rispetto alle emissioni complessive stimate per la grande industria. All’Ilva il primato nazionale per PCDD (policlorodibenzo-pdiossine) e PCDF (policlorodibenzo-p-furani). Sotto accusa l’impianto di agglomerazione.

I NUOVI DATI DISPONIBILI PeaceLink ha infatti svolto una ricerca per acquisire valori più aggiornati. L’indagine è stata svolta sul database del Registro INES delle emissioni inquinanti.(1) Il Registro INES (Inventario Nazionale delle Emissioni e loro Sorgenti) è integrato con il registro EPER e contiene informazioni su emissioni in aria ed acqua di specifici inquinanti provenienti dai principali settori produttivi e da stabilimenti generalmente di grossa capacità presenti sul territorio nazionale. I risultati indicano che la situazione della diossina si aggrava rispetto alla stima pubblicata dall’Espresso. Taranto infatti è passata dai 71,4 grammi/anno del 2002 ai 93 grammi/anno di diossina del 2005 (2), ultimo anno per il quale cui si dispone di stime relative alla grande industria. Questo aumento si riferisce a elementi pericolosissimi come PCDD (policlorodibenzo-p-diossine) e PCDF (policlorodibenzo-p-furani), famiglia di diossine cancerogene e responsabili di malformazioni ai neonati. Anche solo un miliardesimo di grammo di tali sostanze costituisce un serio rischio per la salute.

TARANTO SORGENTE DI “CONTAMINAZIONE NAZIONALE” Possiamo affermare che la diossina (aumentata in termini assoluti di 21,6 grammi/anno rispetto al 2002) ha subito un incremento del 30,3% in termini percentuali. Queste sostanze sono “a spasso” per l’ambiente, non sono biodegradabili e anzi si “bioaccumulano” nella nostra alimentazione quotidiana. Possono inoltre “viaggiare” e percorrere con i venti grandissime distanze contaminando altri siti. Taranto diventa pertanto sempre più una fonte di “contaminazione nazionale”. ________________________________

1 Cfr. http://www.eper.sinanet.apat.it/site/it-IT/Registro_INES/Ricerca_per_complesso_industriale/ 2 Infatti le dichiarazioni INES attualmente disponibili su Internet sono quelle del 2006 e sono riferite al 2005.

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DOSSIER ILVA DI TARANTO

LA DIOSSINA DI TARANTO PASSA DAL 32,1% AL 90,3% DEL TOTALE NAZIONALE Mentre a Tarano la diossina è aumentata, in Italia la diossina è diminuita passando dai 222,5 grammi/anno del 2002 ai 103 grammi/anno del 2005. Sulla base di tali dati assoluti si possono ricavare quelli percentuali: la diossina stimata a Taranto passa così dal 32,1% al 90,3% rispetto al totale nazionale delle emissioni di diossina inventariate nel database INES.

L’ILVA SUPERA DI 93 VOLTE IL VALORE DI SOGLIA PER LA DIOSSINA Ma chi emette tutta questa diossina? Il database Ines individua nell’Ilva la sorgente di tale contaminazione. Se i dati diffusi dall’Espresso hanno generato stupore, queste nuove informazioni fanno segnalare un livello di allarme straordinario. La città jonica registra ormai livelli di diossina da record. E l’Ilva di Taranto supererebbe di 93 volte il valore soglia di diossina che il Registro INES fissa in 1 grammo per lo stabilimento siderurgico.

LA DIOSSINA DELL’IMPIANTO DI AGGLOMERAZIONE E’ necessaria una importante precisazione per l’individuazione della fonte della diossina dell’Ilva. La diossina è stata infatti spesso collegata all’apirolio massicciamente utilizzato nei trasformatori elettrici dell’impianto siderurgico (il famigerato PCB). In presenza di forte calore l’apirolio sprigiona diossina nebulizzandosi nell’aria con un effetto altamente cancerogeno. Ma se tutto il problema a Taranto dipendesse dall’apirolio non si comprende come mai la progressiva dismissione dei trasformatori contenenti apirolio non abbia portato ad una parallela diminuzione della diossina dal 2002 al 2005. L’origine della diossina crescente starebbe nell’impianto di agglomerazione dell’Ilva che prepara i “pani” utilizzati negli altoforni. In quell’impianto avviene un micidiale processo di sintetizzazione chimica che sviluppa diossine.(3) Lì vengono trattati il minerale di ferro e il carbone coke che sono trasformati mediante un procedimento di “agglomerazione” prima di entrare negli altoforni. Tale attività è cresciuta con lo spostamento della produzione più inquinante da Genova a Taranto. Occorrerebbe pertanto misurare le emissioni di diossina monitorando il processo estremamente inquinante di sintetizzazione del minerale destinato all’altoforno. La pericolosità di tale impianto non è stata focalizzata sufficientemente nel dibattito cittadino che fino ad ora si è focalizzato (opportunamente) sulla cokeria, sul parco minerali e sull’apirolio. ________________________________ 3 Per i dettagli tecnici si legga questa tesi di laurea

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DOSSIER ILVA DI TARANTO

Tuttavia l’impianto di agglomerazione diventa ora un’emergenza che potrebbe essere sottoposta all’attenzione della magistratura. Già a Servola (Trieste) - dove opera la Lucchini-Severstal - è accaduto che l’assessore Comunale Maurizio Ferrara ha inviato i dati della diossina alla procura della repubblica e ha chiesto formalmente la “sospensione cautelativa dell’attività dell’impianto di agglomerazione” della Ferriera di Servola. Una situazione del resto prevista dall’autorizzazione della Regione in caso di sforamento dei limiti di inquinamento: l’Arpa del Friuli Venezia Giulia ha infatti registrato un superamento del limite di legge (1,527 nanogrammi per metro cubo contro lo 0,4 consentito) al camino E5. La Lucchini-Severstal si è subito adeguata con la chiusura dell’impianto nel luglio del 2005.(4) Lì sono in grado di misurare quella diossina che a Taranto –chissà perché – mai nessuno ha misurato. Se alla Ferriera di Servola l’impianto di agglomerazione (che verosimilmente produceva meno diossina di quello di Taranto) è stato sequestrato dalla magistratura e chiuso per emissioni di diossina superiori alla soglia consentita (in osservanza ad una direttiva ambientale europea che fissa degli obiettivi da raggiungere entro il 2012)(5) perché nell’Ilva di Taranto tutto procede senza problemi? Che l’impianto di agglomerazione sia la “bestia nera” della diossina (6) lo attestano diversi studi, fra cui quelli del chimico ambientale Federico Valerio: “Nel 1985 – scrive infatti - le principali fonti di emissione di “diossine” di origine industriale erano, nell’ordine, gli inceneritori di rifiuti urbani, gli impianti di agglomerazione delle acciaierie e gli inceneritori ospedalieri. Le stime del 2005, a fronte di una generalizzata riduzione dell’emissione di “diossine”da tutte le fonti, vedono al primo posto gli impianti di agglomerazione, al secondo gli inceneritori di rifiuti urbani e al terzo gli inceneritori ospedalieri”.(7) Il dottor Federico Valerio lavora nel Servizio Chimica Ambientale dell’Istituto Nazionale Ricerca Cancro Genova.

RICHIESTE E RILIEVI ALLA REGIONE PUGLIA PeaceLink ritiene indifferibile che il Presidente della Regione Puglia fornisca misurazioni della diossina aggiornate al 2007. Come mai nel Friuli Venezia Giulia sono in grado di misurare la diossina in poche ore e a Taranto occorrono attese bibliche? Fra tanti sprechi, possibile che non si riesce a ricavare il denaro per un servizio di consulenza di qualche Arpa del Nord? Va ricordato che Nichi Vendola ha firmato con l’Atto di Intesa anche l’impegno di fornire bimestralmente un aggiornamento dei dati dell’Ilva che comprendevano anche la diossina. Misurare la diossina non è un più un problema solo tecnico ma è un problema principalmente politico: se la Regione Puglia lo volesse la si potrebbe misurare anche domani.

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4 http://www.alessandrometz.it/modules.php?op=modload&name=PagEd&file=index&topic_id=2&page_id=43 5 http://gruppi.camera.it/rifondazione/attivita/att_produttive2/int23.htm 6 http://etd.adm.unipi.it/theses/available/etd-05302006-113014/unrestricted/Tesidilaureaspecialisticacap4_6.pdf 7 http://files.meetup.com/207894/gestione_MPC.pdf

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PeaceLink constata che purtroppo fino ad ora non sia stata data alcuna informazione pubblica sui benefici ambientali concreti derivanti dall’Atto di Intesa firmato dalla Regione con l’Ilva. Il presidente Nichi Vendola deve rispondere a questa domanda precisa: l’aria è più respirabile dopo l’Atto di Intesa? A noi non risulta sia emersa alcuna misurazione di verifica sulle emissioni dell’Ilva: il sito della Regione in questo settore è vuoto e non fornisce alcun elemento di monitoraggio utile. Recentemente il Presidente Vendola ha dichiarato: “Alla fine del mio mandato devo rispondere di fatti concreti, se le scelte compiute hanno dato risposte alle esigenze del territorio”(8). I fatti concreti non si vedono mentre ciò che è ben visibile è invece l’impressionante pennacchio di fumi dell’Ilva.

PERCHÉ LA REGIONE NON FILMA I FUMI? PERCHÉ NON DISPONE DI DATI AMBIENTALI ON LINE? Da oltre un mese PeaceLink ha segnalato alla regione Puglia una nube abnorme, fuoriuscita il giorno delle Palme dal camino dell’Agglomerato Ilva. Nonostante i 5 solleciti all’Assessorato regionale all’Ecologia, i dati chimici di quella nube sono ancora un mistero. Ma la nube è reale perché è stata filmata. Il video lo si può scaricare da www.tarantosociale.org ed è impressionante. Possibile che la Regione non abbia dati on line? Perché dopo l’Atto di Intesa non fa filmare in continuo le emissioni dei fumi per un riscontro per lo meno visivo? Questo sistema potrebbe generare un raffronto per la verifica dei dati dei sensori dei camini. E così ad oggi la Regione Puglia non è ancora in grado di chiarire – dopo ben 32 giorni e 5 richieste – come e perché quella nube ha offuscato il tramonto di Taranto nel giorno delle Palme. E’ molto probabile che proprio dal camino del filmato diffuso su www.tarantosociale.org fuoriesca la famigerata diossina che fa salire Taranto ai livelli record segnalati.

IL TRASFERIMENTO DELLA PRODUZIONE DA GENOVA E L’INCREMENTO DELLA DIOSSINA Se a Taranto si stima un incremento della diossina ciò ha una precisa ragione che il presidente della Regione non ha ancora affrontato seriamente e a cui non si è opposto: il trasferimento a Taranto delle produzioni inquinanti rifiutate a Genova. L’aumento di produzione dell’Ilva di Taranto è frutto di tale trasferimento. La città assiste ad un crescendo di emissioni e fra queste c’è l’impennata della diossina. Abbiamo buone ragioni per dire che con l’Atto di Intesa fra Riva e Vendola in questo momento non si stia misurando nulla. L’Atto di Intesa – dal quale le associazioni ambientaliste sono state escluse - appare una foglia di fico per coprire la vergogna di un massiccio trasferimento dell’area a caldo di Genova a Taranto, diossina inclusa. ________________________________ 8 Il Quotidiano di Taranto, 27 aprile 2007

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DOSSIER ILVA DI TARANTO

LA REGIONE PUGLIA METTA SU INTERNET TUTTI I DATI SULL’ILVA E’ su questo dato che il presidente Nichi Vendola deve rispondere perché fino ad ora non ci sono fatti concreti che attestino una riduzione dell’inquinamento a Taranto. Non è vero quello che diciamo? Allora chiediamo una smentita. E invitiamo la Regione a diffondere sul suo sito Internet tutti i dati delle “eventuali” misurazioni effettuate sulle emissioni dell’Ilva e in particolare quelle sulla diossina.

TARANTINI COME I VIETCONG A Taranto, oltre ai morti per tumore (9) , ci sono anche “il figli della diossina”, bambini che – come in Vietnam dopo i raid con l’Agente Arancio – nascono con il viso e il corpo sfigurato. E tutto ciò per l’incuria di chi dovrebbe vigilare e non lo fa. Lo documentiamo nelle schede che alleghiamo a questo dossier.

DATI STATISTICI SULLA DIOSSINA A TARANTO

DIOSSINA

GRAMMI/ANNO ILVA DI TARANTO

GRAMMI/ANNO TOTALE ITALIA

GRAMMI/ANNO ILVA DI TARANTO %

ANNO 2002

71.4

222.5

32.09

ANNO 2003

73.4

106.9

68.66

ANNO 2004

76.2

92.1

82.74

ANNO 2005

93

103

90.29

Il grido d’allarme sulla diossina a Taranto è stato lanciato per la prima volta il 22 aprile 2005 da PeaceLink e TarantoViva quando sono stati diffusi i dati Eper 2002 in una tavola rotonda organizzata al Politecnico di Taranto da TarantoViva(10); a quella data si stimava esserci a Taranto l’8,8% della diossina europea e circa il 30% di quella nazionale. ________________________________ 9 A Taranto vi è stato un raddoppio dei morti per cancro tra il 1970 e il 2000; mediamente i decessi per neoplasie, fra la città e i comuni della provincia, raggiungono le 1200 unità annue. 10 Si veda http://italy.peacelink.org/ecologia/articles/art_10787.html

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DOSSIER ILVA DI TARANTO

I FIGLI DELLA DIOSSINA: LA TESTIMONIANZA DI UNA MAMMA

Daniela S. è di Taranto ed è mamma di un bambino nato malformato. Dopo l’inchiesta dell’Espresso su Taranto (“Il pozzo dei veleni”) ha avuto il coraggio di venire allo scoperto e di raccontare la sua storia. “Lo scorso ottobre – racconta - sono diventata mamma per la seconda volta e mio figlio è nato con un problema congenito che si chiama labiopalatoschisi (una malformazione che interessa il labbro, il palato, le gengive, le narici…)(11) . Nello stesso mese, nello stesso Ospedale di Taranto, si sono avuti altri 4 casi di labiopalatoschisi più o meno gravi. Un caso? Mio marito ed io abbiamo chiesto ai medici quale potesse essere stata la causa della malformazione di nostro figlio e ci è stato risposto che spesso si tratta di malformazioni a carattere ereditario e così siamo andati a cercare tra i nostri familiari qualche altro caso di labiopalatoschisi, ma nulla è emerso. Allora abbiamo cercato nelle pagine delle enciclopedie e di internet. Leggendo è venuto fuori che i casi di labiopalatoschisi, e comunque di malformazioni in genere, hanno una maggiore incidenza nei luoghi dove c’è una più elevata percentuale di diossina”. Dal quel momento Daniela non si è sentita vittima della sola cattiva sorte ma ha cominciato a puntare l’indice sulla diossina che a Taranto raggiunge livelli record: “Allora sì che i conti tornano! Nessuno mi può togliere dalla mente la convinzione che la mia cara Ilva, come del resto tutti gli altri stabilimenti altamente inquinanti che torreggiano sul nostro territorio, siano la sola ed unica causa delle sofferenze che mio figlio sta vivendo (ha già subito un intervento e fra una settimana subirà un secondo intervento). Oltre ai tumori, c’è anche questo… Possibile che nessuno apra gli occhi di fronte a tanta sofferenza? Possibile che il potere dei soldi sia capace di togliere fino a questo modo l’umanità agli stessi uomini?” Daniela vorrebbe una città diversa: “Il mio sogno? Vedere le spiagge di Taranto sulla copertina dei depliant che si sfogliano nelle agenzie viaggi di tutto il mondo per poter scegliere una bella vacanza…e invece no, mi tocca vedere le ciminiere dell’Ilva sulla copertina dell’Espresso con su scritto “Puglia: il pozzo dei veleni”. Che tristezza…”(12)

________________________________ 11 La foto è tratta dal sito http://www.danielegandini.it

12 La testimonianza è tratta da http://riva.blogautore.espresso.repubblica.it/2007/04/02/la-puglia-dei-veleni

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COSA È LA DIOSSINA E COME ENTRA NELL’ORGANISMO

Anche se si parla al singolare di “diossina”, in realtà occorrerebbe parlare di “diossine”, che compongono una classe di composti organici aromatici clorurati. Dall’Ilva di Taranto si stima che fuoriescano: ● PCDD (policlorodibenzo-p-diossine) ● PCDF (policlorodibenzo-p-furani) ● PCB (policlorobifenili) L’esposizione dell’uomo alle diossine avviene – oltre che per inalazione - attraverso l’assunzione di cibo, soprattutto carne, pesce e latticini. In particolare coloro che mangiano molto pesce, se contaminato da diossina, sono esposti a rischi.

GLI EFFETTI DELLA DIOSSINA SULLA SALUTE UMANA Nel rapporto “Emergenza diossine” Greenpeace spiega la loro pericolosità.(13) Fabrizio Fabbri (Greenpeace Italia) è lapidario: “Di tutte le sostanze chimiche create dall’uomo, le diossine sono fra le più tossiche mai studiate”. Basti pensare che come unità di misura della diossina non si usa il nanogrammo (che equivale a un miliardesimo di grammo) ma al picogrammo (corrispondente a 0,000000000001 g, ossia a un millesimo di un nanogrammo) e al fentogrammo (corrispondente a 0,000000000000001 g, ossia a un milionesimo di un nanogrammo).(14) Studi di laboratorio hanno dimostrato che l’esposizione a dosi bassissime di diossina durante un periodo critico brevissimo nel corso della gestazione è sufficiente ad influire negativamente sulla salute del feto. La diossina riduce le difese immunitarie ed è cancerogena. L’EPA ha stimato che l’attuale esposizione di fondo della popolazione generale alle diossine determina un rischio di contrarre un tumore per ogni 10.000 cittadini (per gli ambienti meno contaminati) per giungere ad uno ogni 1.000 cittadini negli ambienti con più diossina. ________________________________ 13 http://www.greenpeace.it/archivio/toxic/diossine.htm

14 Ciò spiega come mai non vi siano state fino ad ora misurazioni della diossina a Taranto. Occorrono infatti strumenti di monitoraggio estremamente sofisticati il cui costo si aggira attorno ai 250 mila euro, cifra che la Provincia di Taranto non ha mai speso, salvo poi acquistare apparecchiature dal costo stratosferico per fotografare e filmare le buche stradali, senza peraltro migliorare lo stato del manto stradale.

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DOSSIER ILVA DI TARANTO

Considerando che Taranto è sovraesposta di 93 volte rispetto al valore di soglia, è lecito supporre nella città jonica i tumori per diossina possano avere un’incidenza ancora superiore. La diossina è responsabile di malattie dell’utero quali la endometriosi ed influisce sui livelli di testosterone (ormone sessuale maschile). L’effetto della diossina è stato documentato sia sui veterani della guerra del Vietnam sia sulla popolazione vietnamita su cui è stato utilizzato l’Agente Arancio (Agent Orange, un defoliante che produce diossine per combustione). Tale esposizione ha causato decine di migliaia di nascite di bambini malformati e vari disturbi alla salute che hanno riguardato circa un milione di persone.

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REATI AMBIENTALI

REATI AMBIENTALI

Il 19 maggio 2015 il Senato ha definitivamente approvato il d.d.l. 1345-B e reso così legge la riforma sui c.d. eco-reati, ora inseriti in un autonomo Titolo VI-bis all’interno del codice penale, come una particolare enclave relativa alla materia ambientale. Le modifiche vanno ad insistere anche sul catalogo dei reatipresupposto per l’applicazione della responsabilità amministrativa da reato dell’ente di cui al D. Lgs. n. 231/2001. Emerge dunque la necessità di una forte attenzione alla predisposizione dei modelli di prevenzione da parte degli enti che possano riconoscere, nella tipologia dei reati astrattamente commissibili dai propri sottoposti in loro favore o vantaggio, anche quelli di matrice ambientale. Prima di esaminare nel dettaglio i principali nuovi reati, va sottolineato, per un inquadramento generale, che mentre il nuovo Titolo VI-bis, libro secondo, del codice penale, é volto a costituire un quadro più organico relativo ai delitti in materia ambientale, la Parte VI-bis al D. Lgs. 152/2006 é tesa invece a garantire l’estinzione delle contravvenzioni ambientali – che non hanno cagionato danno o pericolo concreto di danno – mediante un procedimento di adempimento a talune prescrizioni imposte dagli organi di vigilanza, come già avviene in materia di sicurezza sul lavoro. L’intenzione del legislatore è chiaramente quella di sanzionare in modo forte ed efficace, evitando i rischi della prescrizione per i casi più eclatanti e mediatici (si pensi, ad esempio, al processo Eternit) i pericoli concreti ed i danni che l’ambiente subisce. Parallelamente, tuttavia, si riconosce che ove le violazioni contravvenzionali non siano concretamente in grado di ledere il bene giuridico ambientale (essendo spesso costruite come reati-ostacolo che anticipano la tutela a profili formali quali, ad esempio, il possesso di particolari autorizzazioni) l’interesse pubblico è soddisfatto nell’eliminazione delle violazioni mediante il rispetto di alcune prescrizioni specifiche ed il pagamento di una sanzione pecuniaria in via amministrativa. Per l’irrogazione delle forti sanzioni, volute a gran voce dalle associazioni ambientaliste, si richiederà ora la prova dell’effettiva causazione di un danno, a fronte delle precedenti impostazioni che ritenevano sufficiente – ma punendolo in modo assai più mite – il solo pericolo: la creazione di un pericolo di inquinamento o disastro ambientale avrà ancora rilievo sul piano penalistico, ma con una sensibile diminuzione della cornice edittale sanzionatoria. Vediamo quindi, con ottica problematica, cosa comportano i due principali delitti introdotti nel codice penale, le criticità relative al nuovo delitto di omessa bonifica, per il quale già si profilano problemi di compatibilità con l’art. 257 D. Lgs. 152/2006 e il nuovo procedimento di estinzione delle contravvenzioni non cagionanti danno o pericolo concreto.

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231 E REATI AMBIENTALI

La rivoluzione copernicana dell’introduzione di una responsabilità definita “amministrativa” delle persone giuridiche per i reati commessi dai propri L’art. 2 del D. Lgs. 7.7.2011, n.121 ha introdotto nel D. Lgs. n.231/01, l’art. 25 undecies che ha esteso la responsabilità “amministrativa” degli enti a numerosi reati ambientali. La disposizione ha effetto dal 16.8.2011 e non esiste un “periodo transitorio” per l’aggiornamento del modello organizzativo. Alto rischio di commissione, da parte delle persone fisiche, dei reati contravvenzionali presupposto: è sufficiente la colpa; si tratta di reati di pericolo astratto (dove non è necessario il danno o il pericolo concreto per l’ambiente); i reati sono spesso connessi a violazioni formali e/o dipendenti principalmente dal comportamento di terzi (reati in concorso).

LA CENTRALITÀ DEL MODELLO DI ORGANIZZAZIONE NEL D. LGS. N. 231/01 Il modello organizzativo come “autocontrollo” orientato alla legalità dell’agire aziendale attraverso l’implementazione di procedure decisionali, presidi cautelari e di controllo destinati ad innervare, nel tessuto societario, l’idea della prevenzione del rischio reato. Duplice funzione del modello: quella “esimente”; quella “riparatoria” che accorda agevolazioni sanzionatorie all’ente che si ravvede mediante un comportamento di ri-organizzazione preventiva.

LA “MAPPATURA” DELLE ATTIVITÀ A RISCHIO REATO AMBIENTALE (RISK ASSESSMENT)

Individuazione

delle aree a rischio-reato (ruolo fondamentale della giurisprudenza).

Rilevazione e valutazione del grado di efficacia dei sistemi operativi e di controllo già in essere. Indagine “retrospettiva” avente ad oggetto la storia dell’ente. Descrizione delle possibili modalità di commissione dei reati allo scopo di forgiare le cautele preventive (ruolo fondamentale della giurisprudenza).

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RIFIUTI E BONIFICHE

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RIFIUTI E BONIFICHE

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ARTICOLO 256 – COMMA 1° LETT.RE A) E B) GESTIONE ILLECITA DI RIFIUTI NON PERICOLOSI E PERICOLOSI Chiunque effettua una attività di raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio ed intermediazione di rifiuti in mancanza della prescritta autorizzazione, iscrizione o comunicazione di cui agli articoli 208, 209, 210, 211, 212, 214, 215 e 216 è punito: a) con la pena dell’arresto da tre mesi a un anno o con l’ammenda da duemilaseicento euro a ventiseimila euro se si tratta di rifiuti non pericolosi. b) con la pena dell’arresto da sei mesi a due anni e con l’ammenda da duemilaseicento euro a ventiseimila euro se si tratta di rifiuti pericolosi.

DOPPIO REGIME GESTIONALE E PROCEDIMENTALE IN MATERIA DI RIFIUTI Regime di carattere generale che partendo dalla definizione di rifiuto (art. 183, comma 1°, lett.a) del D.Lgs. n.152/2006): “qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia intenzione o abbia l’obbligo di disfarsi”) passa per l’autorizzazione, per arrivare agli obblighi in tema di tracciabilità dei rifiuti. Regime di carattere speciale che nei vari settori (es. sottoprodotto, cessazione della qualifica di rifiuto) derogano alle regole generali introducendo eccezioni od esenzioni e, in senso lato, discipline di favore. “chi invoca un diverso regime gestionale in condizione di favore ha l’onere di dimostrare l’effettiva sussistenza di tutte le condizioni di legge. Onere che non può dirsi assolto con mere dichiarazioni soggettive dell’interessato che deve invece fornire la prova piena delle ragioni per cui opera il regime differenziato invocato” (principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità. Esempi: Cass. pen., sez.III, 29.04.2011 – cc 13.04.2011 – nr. 16727 in tema di sottoprodotto e Cass.pen., sez.III, 09.06.2010 – ud. 13.04.2010 – n.22013 in tema di materiali ferrosi). “la regolarizzazione amministrativa postuma di una situazione illecita non esclude la rilevanza penale del fatto” (Cass. pen., sez. III, 27.07.2011 – ud. 23.6.2011 – nr.29982 laddove si invocava, in tema di terre e rocce da scavo, la sanatoria dell’illecito in quanto la regolarizzazione amministrativa era giunta dopo la gestione avvenuta senza requisiti).

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CLASSIFICAZIONE DEI RIFIUTI E NATURA VINCOLANTE DELL’ELENCO DEI RIFIUTI PERICOLOSI L’attribuzione della pericolosità deriva dall’applicazione di due criteri distinti: alcune tipologie di rifiuti sono senz’altro “pericolosi” (*) (c.d. “absolute entries”). altre tipologie di rifiuti (identificati da voci a specchio, c.d. “mirror entries”) possono risultare “pericolosi” in riferimento specifico o generico a sostanze pericolose, solo se le sostanze pericolose in essi presenti raggiungono determinate concentrazioni (ad es. percentuale rispetto al peso). la nuova Direttiva 2008/98/CE precisa espressamente come “L’elenco dei rifiuti….è vincolante (“shall be binding” nella perentoria versione inglese) per quanto concerne la determinazione dei rifiuti da considerare pericolosi”. E l’art. 184, comma 5, del D.Lgs. n. 152/2006 recepisce espressamente questa indicazione. questa opportuna disposizione pare idonea a contrastare alcuni tentativi di estendere per via “amministrativa” – attraverso ordinanze di enti locali o pareri ministeriali – l’ambito dei rifiuti pericolosi, magari sulla base di un malinteso richiamo al principio di precauzione.

LA RESPONSABILITÀ DEL PRODUTTORE E DEGLI ALTRI SOGGETTI COINVOLTI NELLA GESTIONE DEL RIFIUTO Il produttore di rifiuti, quando consegna i propri rifiuti ad un soggetto per lo smaltimento e/o recupero “ha l’obbligo di controllare che si tratti di soggetti autorizzati a dette operazioni ed ove, tale doverosa verifica sia omessa, il produttore/detentore risponde a titolo di concorso con il soggetto qualificato, nella commissione del reato di cui all’art.256”, cfr. Cass. pen., sez.III, 11.2.2008, n.6420 ; Cass. pen., sez. III, 19.2.2008 (ud. 15.01.2008), n.7461 e Cass. pen., sez.III, 28.11.07 (ud. 07.11.07), n.4429 Il concorso, in questi casi, avviene per “l’applicabilità dell’art. 41, comma 1 del c.p., poiché il produttore con la sua condotta colposa (mancato controllo sulla affidabilità delle persone delegate allo smaltimento dei rifiuti) ha posto in essere una condizione della catena causale senza la quale l’evento, prevedibile e non dovuto a fattori imponderabili, non si sarebbe verificato”, Cass. pen., sez. III, 7.2.2008 (ud. 19.12.2007) n. 6101. In relazione agli obblighi di verifica e controllo che sono in capo alle aziende regolarmente autorizzate al recupero, la Corte ha affermato che “l’autorizzazione al recupero non esclude la responsabilità della ditta ricevente a titolo di concorso per le attività di intermediazione o di trasporto di rifiuti non autorizzate poste in essere da coloro i quali forniscono i rifiuti da trattate. Sussiste in capo alla ditta ricevente, infatti, l’obbligo di controllare che anche coloro che si propongono come intermediari siano debitamente autorizzati e, qualora tale doverosa verifica sia omessa, il detentore risponde quantomeno a titolo di colpa, per inosservanza 31


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delle regole di cautela imprenditoriale, della contravvenzione di cui all’art.256, primo comma, del D. Lgs. n. 152/2006”, Cass. pen., sez. III, 02.07.2008 (ud. 20.05.2008), n. 26526. Nel caso di inizio di una attività di recupero rifiuti in regime semplificato senza aver atteso il decorso del termine legale di novanta giorni dalla comunicazione “si è in presenza di un reato che non sarebbe stato commesso mediante lo svolgimento di una attività totalmente abusiva, bensì non rispettando il termine che la legge stabilisce al fine di consentire alla pubblica amministrazione le opportune verifiche circa la sussistenza di tutti i requisiti per l’avviso di una attività sensibile e potenzialmente pericolosa”, Cass. pen., sez. III, 03.02.2009 (ud. 04.12.2008), n. 4532.

L’ATTIVITÀ DI TRASPORTO A seguito delle modifiche apportate dal D.Lgs. 16.1.2008, n.4 all’art. 212 del D.Lgs. n.132/2006 una società che effettua, anche sporadicamente, attività di trasporto di rifiuti propri non pericolosi deve avvalersi delle prestazioni di imprese esercenti servizi di smaltimento regolarmente autorizzate ed iscritte all’Albo in quanto, “anche tali trasporti eccezionali, con mezzi propri e non autorizzati sono comunque inquadrabili nella previsione sanzionatoria di cui all’art. 256, primo comma, del D.Lgs. n.152/2006”, cfr. Cass. pen., Sez. III, 3.3.2009 (ud. 25.11.2009), n.9645. La Corte ha più volte statuito che “il trasporto di rifiuti costituisce una fase del’attività di smaltimento e di gestione di essi, per la quale è richiesta apposita autorizzazione e che il trasporto di rifiuti diversi da quelli per i quali si è autorizzati configura il reato di cui all’art.256 del D.Lgs. n.152/2006”, cfr. Cass. pen., sez. III, 26.11.2007 (ud. 6.11.2007), n. 43849.

OBBLIGHI DI VERIFICA E CONTROLLO A CARICO DEL GESTORE DI UNA DISCARICA AUTORIZZATA La giurisprudenza ha avuto modo di evidenziare gli obblighi di verifica della conformità del rifiuto alle caratteristiche indicate nel formulario di identificazione che sono a carico del gestore dell’impianto di discarica: “il terzo comma dell’art.11 del D. Lgs. n.36/2003, che è entrato in vigore senza proroghe, pone a carico del gestore una serie di obblighi precisi che lo configurano come principale responsabile della ammissione dei rifiuti, in quanto spetta al gestore il potere-dovere di controllare la caratterizzazione del rifiuto effettuata dal produttore che lo conferisce. In particolare, il gestore deve controllare la documentazione relativa al rifiuti, verificare la conformità ai criteri di ammissibilità nella discarica delle caratteristiche dei rifiuti indicate nel formulario di identificazione, effettuare l’ispezione visiva di ogni carico di rifiuto conferito, primo e dopo lo scarico, e verificarne la conformità alle caratteristiche indicate nel formulario di identificazione, effettuate le verifiche analitiche della conformità del rifiuto ai criteri di ammissibilità”, cfr. Cass. pen. sez. III, 02.03.09 (ud. 29.1.09), n. 9192 e Cass. pen., 03.10.08 (ud. 07.05.08), n. 37559.

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Il gestore di una discarica “deve esercitare la massima diligenza nel controllo de materiale conferito, facendosi eventualmente coadiuvare da adeguate figure professionali, se non sia dotato egli stessi delle necessarie cognizioni tecniche, mentre non può esimersi da responsabilità facendo riferimento alle risultanze dei dati meramente cartacei”, Cass. pen., Sez. III, 06.02.2008 (ud. 19.12.2007), n. 5797.

L’ESTENSIONE DEL DOVERE DI CONTROLLO ANCHE AL FATTO COMMESSO DA DIPENDENTI O ALTRI SOTTOPOSTI DELEGATI “è configurabile una posizione di garanzia nei confronti del produttore dei rifiuti il quale è tenuto a vigilare che i propri dipendenti o altri sottoposti o delegati, osservino le norme ambientali, dovendosi intendere produttore dei rifiuti non soltanto il soggetto dalla cui attività materiale sia derivata la produzione dei rifiuti, ma anche il soggetto al quale sia giuridicamente riferibile detta produzione. L’osservanza delle norme in questione consegue, quindi, ope legis e chi è destinatario di esse, legale rappresentante di una società per azioni, è tenuto ad osservarle non occorrendo che a ciò sia delegato dal Consiglio di Amministrazione”, cfr. Cass. pen., sez. III, 15.6.2010 (ud. 29.4.2010) n.22765; Cass. pen., sez. III, 15.6.2010 (ud. 29.4.2010) n.22752; Cass. pen., sez.III, 08.05.09 (ud. 11.3.09), n. 19332; Cass. pen., sez. III, 11.5.09 (ud. 11.3.2009) n.19876; Cass. pen., sez. III, 19.04.07 (ud. 14.03.07), n.1598. “sussiste responsabilità penale, quanto meno per colpa, se i destinatari della norma (legale rappresentante della Società) non adottino le misure necessarie atte ad assicurare il corretto smaltimento dei rifiuti e se non assolvono l’onere di controllare che il dipendente addetto alla tutela ambientale svolga proficuamente l’incarico ricevuto” Cass. pen., sez .III, 11.02.08 (ud. 19.12.07), n. 6443. Il reato commesso dal proprietario del terreno che lo concede in uso per l’esercizio di una attività di gestione di rifiuti soggetta ad autorizzazione Qualora un terreno venga concesso in uso per l’esercizio di una attività soggetta ad autorizzazione e la cui disciplina configura come fattispecie penali la violazione delle relative prescrizioni, “incombe sul proprietario l’obbligo, anche al fine di assicurare la funzione sociale dell’art.42 della Costituzione al diritto di proprietà, di verificare che l’utilizzazione dell’immobile avvenga nel rispetto della legalità e, quindi, che il terzo, cui ha concesso in uso il terreno, sia in possesso dell’autorizzazione necessaria per l’attività di gestione dei rifiuti che su detto terreno viene effettuata e rispetti le prescrizioni in essa contenute […] esiste un obbligo da parte del locatore di impedire l’uso illecito della cosa locata, allorché ne sia consapevole o possa esserne consapevole mediante l’ordinaria diligenza, in applicazione del disposto di cui all’art.40, secondo comma, c.p.”, cfr. Cass. pen., sez. III, 22.9.2009 (ud. 9.7.2009), n. 36836.

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ARTICOLO 256 – COMMA 3° DISCARICA ABUSIVA Chiunque realizza o gestisce una discarica non autorizzata è punito con la pena dell’arresto da sei mesi a due anni e con l’ammenda da duemilaseicento euro a ventiseimila euro. Si applica la pena dell’arresto da uno a tre anni e dell’ammenda da euro cinquemiladuecento a euro cinquantaduemila se la discarica è destinata, anche in parte, allo smaltimento di rifiuti pericolosi. Alla sentenza di condanna o alla sentenza emessa ai sensi dell’articolo 444 del Codice di procedura penale, consegue la confisca dell’area sulla quale è realizzata la discarica abusiva se di proprietà dell’autore o del compartecipe al reato, fatti salvi gli obblighi di bonifica o di ripristino dello stato dei luoghi.

LE CONDOTTE DI REALIZZAZIONE E GESTIONE DI UNA DISCARICA ABUSIVA La realizzazione di una discarica può effettuarsi attraverso diverse attività: anzitutto il vero e proprio allestimento a discarica di un’area, con “il compimento delle opere occorrenti a tal fine: spianamento del terreno, apertura dei relativi accessi, recinzione, etc.” Cass. pen., Sez. III, 15.12.2008 (ud. 30.09.2008) n.46072. ma anche con il “ripetitivo accumulo nello stesso luogo di sostanze oggettivamente destinate all’abbandono con trasformazione, sia pure tendenziale del sito, degradato dalla presenza dei rifiuti”, Cass. pen., sez. III, 13.5.2008 (ud. 27.3.2008), n.19221. con “un’unico conferimento di ingenti quantità di rifiuti che faccia però assumere alla zona interessata l’inequivoca destinazione di ricettacolo di rifiuti, con conseguente trasformazione del territorio”. la gestione di una discarica si identifica in una attività autonoma, successiva alla realizzazione, che può essere compiuta dallo stesso autore di quest’ultima o da altri soggetti, e che consiste “nell’attivazione di un’organizzazione, articolata o rudimentale, di persone e cose diretta la funzionamento della discarica medesima non assumendo rilevanza, in questa ipotesi, il dato che il quantitativo di rifiuti presenti in loco non risulti di particolare entità”. “il proprietario del terreno è corresponsabile della realizzazione o gestione della discarica effettuata da altri se l’accumulo continuato e sistematico di rifiuti sul suo terreno gli può essere addebitato almeno a titolo di negligenza, ad esempio, se pure essendo consapevole dell’attività di discarica effettuata da altri non si attivi con segnalazioni, denunce all’autorità, installazione di una recinzione, etc. […]”, Cass. pen., sez. III, 12.03.2007 (ud. 26.01.2007), n. 10484. al concetto di discarica abusiva ha contribuito anche la correlazione con il D. Lgs. n.36/2003, infatti, per la giurisprudenza, “la disposizione contenuta all’art.256, terzo comma, del D. Lgs. n.152/2006 deve essere 34


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necessariamente letta in correlazione con l’art.2 del D. Lgs. n.36/2003”, Cass. pen., sez. III, 13.5.08 (ud. 27.3.08), n.19221. Pertanto, “il riferimento alla durata annuale contenuto nell’art. 2, comma 1 lett.g) del D. Lgs. n.36/2003 è riferito al deposito temporaneo nel senso che questo si trasforma automaticamente in discarica se l’accumulo dei rifiuti nel luogo di produzione si protrae oltre l’anno. Ai fini del concetto di discarica ciò che conta è la destinazione di un’area a ricettacolo permanente di rifiuti da parte di un determinato soggetto e non la sua durata”, Cass. pen., sez. III, 08.05.09 (ud. 11.3.08), n.19330; Cass. pen. Sez. III, 23.07.2008 (ud. 10.07.2008), n. 30845; Cass. pen., Sez. III, 07.01.2008, n. 203.

ARTICOLO 256 – COMMA 4° - L’INOSSERVANZA DELLE PRESCRIZIONI E CARENZA DEI REQUISITI NONCHÉ DELLE CONDIZIONI RICHIESTE PER ISCRIZIONI O COMUNICAZIONI Le

pene di cui ai commi 1, 2 e 3 sono ridotte della metà nelle ipotesi di inosservanza delle prescrizioni contenute o richiamate nelle autorizzazioni, nonché nelle ipotesi di carenza dei requisiti e delle condizioni richiesti per le iscrizioni o comunicazioni. Trattasi di “una tipica norma penale in bianco, il cui contenuto è delimitato dalle prescrizioni delle autorizzazioni in relazione alla finalità delle stesse e rappresenta un esempio della c.d. amministrativazione del diritto penale, cioè dell’apprestamento di una sanzione penale per la violazione di dispositivi e precetti o prescrizioni amministrative di particolare rilevanza. Si tratta di un reato di pericolo che si verifica con la semplice inosservanza di una prescrizione prevista nell’autorizzazione, sia che la prescrizione discenda da previsione legislative recepite nell’autorizzazione, che da prescrizione integrative inserite dall’autorità amministrativa indipendentemente da una previsione di legge. Il reato ha natura permanente perché l’antigiuridicità perdura fino a quando persiste l’inosservanza della prescrizione”, Cass. pen., sez. III, 21.5.2008 (ud. 27.3.2008), n. 20277.

ARTICOLO 256 – COMMA 4° - MISCELAZIONE VIETATA Chiunque, in violazione del divieto di cui all’articolo 187, effettua attività non consentite di miscelazione di rifiuti, è punito con la pena di cui al comma 1, lettera b). “la miscelazione potrebbe essere definita come l’operazione consistente nella mescolanza, volontaria o involontaria, di due o più tipi di rifiuti aventi codici identificativi diversi in modo da dare origine ad una miscela per la quale invece non esiste uno specifico codice identificativo”, Cass. pen., 08.05.09 (ud. 1.3.09), n. 19333.

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ARTICOLO 257 - BONIFICA DEI SITI 1. Chiunque cagiona l’inquinamento del suolo, del sottosuolo, delle acque superficiali o delle acque sotterranee con il superamento delle concentrazioni soglia di rischio è punito con la pena dell’arresto da sei mesi a un anno o con l’ammenda da duemilaseicento euro a ventiseimila euro, se non provvede alla bonifica in conformità al progetto approvato dall’autorità competente nell’ambito del procedimento di cui agli articoli 242 e seguenti. In caso di mancata effettuazione della comunicazione di cui all’articolo 242, il trasgressore è punito con la pena dell’arresto da tre mesi a un anno o con l’ammenda da mille euro a ventiseimila euro. 2. Si applica la pena dell’arresto da un anno a due anni e la pena dell’ammenda da cinquemiladuecento euro a cinquantaduemila euro se l’inquinamento è provocato da sostanze pericolose.

(ART. 257 D. LGS. N. 152/2006. BONIFICA DEI SITI) L’art. 257 del D. Lgs. n. 152/2006 prevede due distinte fattispecie di reato: 1. Contravvenzione di omessa bonifica: “chiunque cagiona l’inquinamento del suolo, del sottosuolo, delle acque superficiali o delle acque sotterranee con il superamento delle concentrazioni soglia di rischio è punito con la pena dell’arresto da 6 mesi a 1 anno o con l’ammenda da € 2.600 a €26.000 se non provvede alla bonifica in conformità del progetto approvato dall’autorità competente nell’ambito del procedimento di cui agli artt. 242 e seguenti”. È prevista una circostanza aggravante nel caso in cui il superamento delle CSR sia provocato da “sostanze pericolose” 2. Contravvenzione di omessa comunicazione: “in caso di mancata effettuazione della comunicazione di cui all’art. 242, il trasgressore è punito con la pena dell’arresto da 3 mesi ad 1 anno o con l’ammenda da € 1.000 a € 26.000”.

LA CONTRAVVENZIONE DI OMESSA BONIFICA Il soggetto responsabile del reato: “il destinatario del precetto è colui il quale cagiona l’inquinamento” (Cass. Pen., sez. III, 11.05.2011 – ud. 16.3.2011 – n- 18503). Il proprietario, o altri soggetti, potranno essere chiamati a rispondere del reato di omessa bonifica in concorso con l’autore materiale della contaminazione solo qualora vengono accertate “condotte agevolatrici nel reato in precedenza commesso da quest’ultimo” (C.App. Torino, sez. IV, 09.06.2011). L’evento del reato: “è il superamento delle CSR, che è un livello di rischio superiore ai livelli di attenzione individuati dalle CSC e quindi ai livelli di accettabilità già definiti dal D.M. n. 471 del 1999” (Cass. Pen., sez. III, 03.03.2009 – ud. 29.01.2009 – n. 9492). Si tratta di un evento di danno. Normativa sopravvenuta “più 36


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favorevole”, rilevante ai sensi dell’art. 2, comma 4, del c.p. Solo a seguito dell’inottemperanza colpevole delle disposizioni impartite nel progetto di bonifica il reato è consumato. “L’art. 257 prevede ora che la bonifica debba avvenire in conformità al progetto di cui agli artt. 242 e seguenti – che regolano la procedura di caratterizzazione ed il progetto di bonifica – così superando la formulazione dell’art. 51 bis del D.Lgs. n. 22/1997 che si limitava a prevedere la bonifica secondo il procedimento di cui all’art. 17. Si deve ritenere, quindi, che in assenza di un progetto definitivamente approvato non possa nemmeno essere configurato il reato di cui all’art. 257” (Cass. Pen., sez. III, 09.06.2010 – ud. 13.04.2010 – n. 2206). Con la sentenza n. 35774 del 06.10.2010 – ud. 02.07.2010 – la terza Sezione della Cassazione ha posto in discussione il succitato orientamento affermando che è configurabile il reato di omessa bonifica anche quando il soggetto impedisca la stessa formazione del progetto di bonifica, e quindi la sua realizzazione, attraverso la mancata attuazione del piano di caratterizzazione,necessario per predisporre il progetto di bonifica. Unanimi critiche alla dottrina.

L’AUTONOMA FATTISPECIE DI OMESSA COMUNICAZIONE La comunicazione riguarda la previsione di cui all’art. 242, comma 1°, del D. Lgs. n. 152/2006, secondo la quale al verificarsi di un evento che sia potenzialmente in grado di contaminare il sito, il responsabile dell’inquinamento mette in atto entro 24 ore le misure necessarie di prevenzione e ne dà immediata comunicazione ai sensi e con le modalità di cui all’art. 304, comma 2. La medesima procedura si applica all’atto di individuazione di contaminazioni storiche che possano ancora comportare rischi di aggravamento della situazione di contaminazione. “La segnalazione che il responsabile dell’inquinamento è obbligato ad effettuare alle autorità è dovuto a prescindere dal superamento delle soglie di contaminazione” (Cass. Pen., sez. III, 29.04.2011 – ud. 12.01.2011 – n. 16702). La comunicazione va effettuata anche se sul luogo dell’evento sono intervenuti gli operatori degli Enti interessati in quanto “la comunicazione non costituisce un mero adempimento burocratico, ma serve per consentire agli organi preposti alla tutela ambientale del Comune, della Provincia e della Regione del territorio in cui si prospetta l’evento lesivo di prenderne compiutamente cognizione con riferimento ad ogni possibile implicazione e di verificare lo sviluppo delle iniziative ripristinatorie intraprese” (Cass. Pen., sez. III, 18.11.2010 – ud. 21.10.2010 – n. 40856).

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ARTICOLO 260 - ATTIVITÀ ORGANIZZATE PER IL TRAFFICO ILLECITO DI RIFIUTI 1. Chiunque, al fine di conseguire un ingiusto profitto, con più operazioni e attraverso l’allestimento di mezzi e attività continuative organizzate, cede, riceve, trasporta, esporta, importa, o comunque gestisce abusivamente ingenti quantitativi di rifiuti è punito con la reclusione da uno a sei anni. 2. Se si tratta di rifiuti ad alta radioattività si applica la pena della reclusione da tre a otto anni.

IRRILEVANZA DI UNA AUTORIZZAZIONE LECITA La “normativa ha voluto colpire indifferentemente le attività di gestione clandestine, come quelle delle gestioni autorizzate, che naturalmente pongano in essere anche modalità di smaltimento regolari, allorché altra attività sia, in modo organizzato e ripetuto, nonché di ingente entità, attuata con tale difformità dalle prescrizioni da non poter essere ricondotta alle medesime. La violazione delle prescrizioni di una autorizzazione lecita quando investe il nucleo centrale dell’attività e viene attuata con le altre caratteristiche di organizzazione e ripetitività volute dall’art.260 del D. Lgs. n.152/2006 può integrare tale fattispecie delittuosa nel caso in cui essa vada considerata ingente e venga finalizzata al conseguimento di utilità”, Cass. pen., Sez.I II, 30.03.2007 (ud. 06.02.2007), n.13190.

L’ELEMENTO SOGGETTIVO Il reato è punito solo a titolo di dolo specifico in quanto la norma richiede in capo all’agente il fine di conseguire un profitto ingiusto. Lo scopo di conseguire un ingiusto profitto “ben può essere integrato anche soltanto dalla finalità di realizzare un mero risparmio dei costi aziendali di smaltimento”, cfr. Cass. pen., sez. III 09.08.2006 (ud. 04.05.2006) n. 28685. “è arduo contestare che non agisca a fini di profitto il soggetto in posizione apicale che commetta un reato che assicura una immediata riduzione dei costi dell’ente”, cfr Cass. pen., sez. III 16.7.2007 (ud. 02.07.2007), n.28158.

LE “INGENTI QUANTITÀ” Il termine ingente deve riferirsi “all’attività abusiva nel suo complesso, ovvero al quantitativo di rifiuti complessivamente gestito attraverso la pluralità di operazioni, che considerate singolarmente potrebbero anche essere qualificate quali modeste”, cfr. Cass. pen., sez. III, 23.7.2008 (ud. 10.7.2008) n. 30847.

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IL REATO DI FALSO NEL CERTIFICATO DI ANALISI DEI RIFIUTI COME REATO PRESUPPOSTO DELLA RESPONSABILITÀ 231 DELLE IMPRESE art. 258, comma 4°, che prevede l’applicazione della pena di cui all’art.483 c.p. “a chi, nella predisposizione di un certificato di analisi di rifiuti, fornisce false indicazioni sulla natura, sulla composizione e sulle caratteristiche chimico-fisiche dei rifiuti e a chi ne fa uso di un certificato falso durante il trasporto”; art.260-bis per: 1 “colui che nella predisposizione di un certificato di analisi di rifiuti, utilizzato nell’ambito del sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti, fornisce false indicazioni sulla natura, sulla composizione e sulle caratteristiche chimico-fisiche dei rifiuti” 2 “chi inserisce un certificato falso nei dati da fornire ai fini della tracciabilità dei rifiuti” 3 “per colui che durante il trasporto fa uso di un certificato di analisi dei rifiuti contenente false indicazioni sulla natura, sulla composizione e sulle caratteristiche chimico-fisiche dei rifiuti trasportati”. La legge non disciplina le cautele da osservare per arrivare ad una corretta e credibile qualifica del rifiuto ma, impone un obbligo dirisultato, consistente nella rispondenza al vero della classificazione; L’attività finalizzata alla redazione del certificato di analisi richiede il concorso della : 1 conoscenza di elementi di fatto e 2 l’applicazione ad essi di specifiche conoscenze tecniche. Al primo profilo attiene tutto ciò che concorre a descrivere compiutamente il ciclo di produzione del rifiuto, mentre rientrano nel secondo l’attività di campionamento e di analisi mediante la scelta di un laboratorio idoneo. Le decisioni del produttore in ordine all’impostazione dei rapporti con il laboratorio di analisi possono assumere rilevanza ai fini della valutazione della colpevolezza: è evidente che la mancanza di procedure trasparenti in sede di caratterizzazione, la consegna di campioni in assenza di precise indicazioni sulla provenienza e, in genere, comportamenti caratterizzati da contraddittorietà possono essere letti come “indici sintomatici” della volontà di non rispettare la legge od eluderne lo scopo; “Appare infine egualmente logico sostenere – alla luce del quadro di riferimento esaminato che l’attività dell’imputato, sostanziatasi nel fare analizzare da un laboratorio provato solo 5 Kg di materiale a suo dire scavato nel cantiere, corrobori la tesi di un comportamento complessivo tendente ad eludere le disposizioni vigenti”, cfr. Cass .pen., sez. III, 01.02.2009, n. 49826.

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LA RIFORMA DEI REATI AMBIENTALI (*) Da tempo si attendeva che il Legislatore intervenisse per riorganizzare le disposizioni vigenti in materia ambientale ed in particolare che, alla luce delle note vicende che hanno suscitato clamore tra l’opinione pubblica, rivedesse le fattispecie incriminatrici penali in modo da garantire un’efficace risposta sanzionatoria, concretamente idonea a coprire le più disparate contingenze. Nel corso degli ultimi anni sono, infatti, diversi i casi, riportati anche dalla cronaca, che hanno visto imprese coinvolte in processi penali per aver causato danni all’ambiente ed alla pubblica incolumità, in ragione dello svolgimento delle attività proprie in mancanza degli opportuni accorgimenti volti a prevenire la commissione di tali pregiudizi, il più delle volte irrimediabili ex post. Così la riforma del D.Lgs. 68/2015, che sembra essere a tutti gli effetti l’epilogo di un percorso piuttosto travagliato, ha l’enorme pregio di aver introdotto il Titolo VI bis nel codice penale, appositamente dedicato ai “Delitti contro l’ambiente” ove vengono elencate le nuove fattispecie penali, che sono: inquinamento ambientale (articolo 452-bisp.); disastro ambientale (articolo 452-quaterp.); traffico ed abbandono di materiale ad alta radioattività (articolo 452-sexiesp.); impedimento di controllo (articolo 452-septies p.); omessa bonifica (articolo 452-terdeciesp.) Si rileva inoltre che il Legislatore, sempre per assicurare l’effettività della normativa, ha da un lato previsto la punibilità dei delitti di inquinamento e di disastro ambientale anche a titolo di colpa ai sensi dell’articolo 452-quinques c.p., ma dall’altro lato ha introdotto talune circostanze aggravanti, idonee a determinare un aumento della pena base prefissata per ciascuna fattispecie, qualora i reati enunciati nel presente Titolo siano commessi per mezzo di associazioni per delinquere ex articolo 416 c.p. o associazioni di tipo mafioso anche straniere (articolo 416 bis c.p.). Sino alla riforma del 2015, il sistema sanzionatorio predisposto a protezione delle fattispecie ambientali era per la maggior parte costituito dalle contravvenzioni previste dal Codice sull’Ambiente (D.Lgs. 152/2006), costruite come specifici rimedi da applicarsi in caso di violazioni alla dettagliata normativa ambientale di diritto amministrativo riguardante la gestione dei rifiuti, il trattamento del suolo e del sottosuolo, delle acque e dell’aria. Si avvertiva così la mancanza di una previsione a carattere generale in grado di sanzionare le ipotesi di evidente compromissione o deterioramento dell’ecosistema alle quali spesso si accompagna il verificarsi di gravi - ed il più delle volte irreparabili - danni alla pubblica incolumità.

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Prima dell’intervento del Legislatore si è cercato di sopperire a tale mancanza ricorrendo alla figura del c.d. disastro innominato descritto nell’articolo 434 c.p. il quale punisce chiunque “commette un fatto diretto a cagionare il crollo di una costruzione o di una parte di essa ovvero un altro disastro se dal fatto deriva pericolo per la pubblica incolumità”. Sulla scarna e poco definita formulazione dell’articolo 434 c.p. si sono innescate plurime discussioni sino alla sentenza della Corte Costituzionale n. 327/2008 la quale, pur avendolo salvato da una pronuncia di incostituzionalità, non ha mancato di confermarne tutte le problematicità del caso evidenziate in sede di applicazione pratica; la Corte Costituzionale ha precisato infatti che la disposizione era stata configurata come norma di chiusura per i delitticontro l’incolumità e come una figura di reato di mero pericolo, non postulando il concreto verificarsi del danno all’integrità pubblica come presupposto integrativo della fattispecie penale ma costituendone una mera ipotesi aggravante. Il reato di disastro ambientale ex articolo 452 quater c.p. rappresenta, quindi, un decisivo passo in avanti venendo a coprire la lacuna legislativa lasciata dall’articolo 434 c.p.. La nuova norma è stata formulata tenendo in considerazione il contenuto della citata sentenza della Consulta, nella parte in cui aveva evidenziato la necessità di individuare una nozione unitaria di disastro, nella quale dovevano ricorrere - contemporaneamente - due circostanze, ossia la natura straordinaria dell’evento (che deve essere atto a produrre effetti dannosi gravi, complessi ed estesi) e il pericolo per la pubblica incolumità che da esso deriva; tuttavia il legislatore, differentemente da quanto prospettato dalla Corte Costituzionale, ha disposto che le due circostanze possano ricorre anche in via alternativa prevedendo che “Costituiscono disastro ambientale alternativamente: 1) l’alterazione irreversibile dell’equilibrio di un ecosistema; 2) l’alterazione dell’equilibrio di un ecosistema la cui eliminazione risulti particolarmente onerosa e conseguibile solo con provvedimenti eccezionali; 3) l’offesa alla pubblica incolumità in ragione della rilevanza del fatto per l’estensione della compromissione o dei suoi effetti lesivi ovvero per il numero delle persone offese o esposte a pericolo”, ipotesi quest’ultima ora elevata da circostanza aggravante a presupposto integrativo del delitto.

________________________________ * Testo Luigi Ferrajoli

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REATI AMBIENTALI

LEGGE 22 MAGGIO 2015, N. 68 DISPOSIZIONI IN MATERIA DI DELITTI CONTRO L’AMBIENTE. (15G00082)

in Gazzetta Ufficiale del 28 maggio 2015, n. 122 Vigente al: 29-5-2015 La Camera dei deputati ed il Senato della Repubblica hanno approvato; IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA Promulga la seguente legge:

Art. 1

1. Dopo il titolo VI del libro secondo del codice penale e’ inserito il seguente: «Titolo VI-bis - Dei delitti contro l’ambiente. Art. 452-bis. (Inquinamento ambientale). - E’ punito con la reclusione da due a sei anni e con la multa da euro 10.000 a euro 100.000 chiunque abusivamente cagiona una compromissione o un deterioramento significativi e misurabili: 1) delle acque o dell’aria, o di porzioni estese o significative del suolo o del sottosuolo; 2) di un ecosistema, della biodiversita’, anche agraria, della flora o della fauna. Quando l’inquinamento e’ prodotto in un’area naturale protetta o sottoposta a vincolo paesaggistico, ambientale, storico, artistico, architettonico o archeologico, ovvero in danno di specie animali o vegetali protette, la pena e’ aumentata. Art. 452-ter. (Morte o lesioni come conseguenza del delitto di inquinamento ambientale). - Se da uno dei fatti di cui all’articolo 452-bis deriva, quale conseguenza non voluta dal reo, una lesione personale, ad eccezione delle ipotesi in cui la malattia ha una durata non superiore ai venti giorni, si applica la pena della reclusione da due anni e sei mesi a sette anni; se ne deriva una lesione grave, la pena della reclusione da tre a otto anni; se ne deriva una lesione gravissima, la pena della reclusione da quattro a nove anni; se ne deriva la morte, la pena della reclusione da cinque a dieci anni. Nel caso di morte di piu’ persone, di lesioni di piu’ persone, ovvero di morte di una o piu’ persone e lesioni di una o piu’ persone, si applica la pena che dovrebbe infliggersi per l’ipotesi piu’ grave, aumentata fino al triplo, ma la pena della reclusione non puo’ superare gli anni venti. Art. 452-quater. (Disastro ambientale). - Fuori dai casi previsti dall’articolo 434, chiunque abusivamente cagiona un disastro ambientale e’ punito con la reclusione da cinque a quindici anni. Costituiscono disastro ambientale alternativamente: 1) l’alterazione irreversibile dell’equilibrio di un ecosistema; 2) l’alterazione dell’equilibrio di un ecosistema la cui eliminazione risulti particolarmente onerosa e conse42


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guibile solo con provvedimenti eccezionali; 3) l’offesa alla pubblica incolumita’ in ragione della rilevanza del fatto per l’estensione della compromissione o dei suoi effetti lesivi ovvero per il numero delle persone offese o esposte a pericolo. Quando il disastro e’ prodotto in un’area naturale protetta o sottoposta a vincolo paesaggistico, ambientale, storico, artistico, architettonico o archeologico, ovvero in danno di specie animali o vegetali protette, la pena e’ aumentata. Art. 452-quinquies. (Delitti colposi contro l’ambiente). - Se taluno dei fatti di cui agli articoli 452-bis e 452-quater e’ commesso per colpa, le pene previste dai medesimi articoli sono diminuite da un terzo a due terzi. Se dalla commissione dei fatti di cui al comma precedente deriva il pericolo di inquinamento ambientale o di disastro ambientale le pene sono ulteriormente diminuite di un terzo. Art. 452-sexies. (Traffico e abbandono di materiale ad alta radioattivita’). - Salvo che il fatto costituisca piu’ grave reato, e’ punito con la reclusione da due a sei anni e con la multa da euro 10.000 a euro 50.000 chiunque abusivamente cede, acquista, riceve, trasporta, importa, esporta, procura ad altri, detiene, trasferisce, abbandona o si disfa illegittimamente di materiale ad alta radioattivita’. La pena di cui al primo comma e’ aumentata se dal fatto deriva il pericolo di compromissione o deterioramento: 1) delle acque o dell’aria, o di porzioni estese o significative del suolo o del sottosuolo; 2) di un ecosistema, della biodiversita’, anche agraria, della flora o della fauna. Se dal fatto deriva pericolo per la vita o per l’incolumita’ delle persone, la pena e’ aumentata fino alla meta’. Art. 452-septies. (Impedimento del controllo). - Salvo che il fatto costituisca piu’ grave reato, chiunque, negando l’accesso, predisponendo ostacoli o mutando artificiosamente lo stato dei luoghi, impedisce, intralcia o elude l’attivita’ di vigilanza e controllo ambientali e di sicurezza e igiene del lavoro, ovvero ne compromette gli esiti, e’ punito con la reclusione da sei mesi a tre anni. Art. 452-octies. (Circostanze aggravanti). - Quando l’associazione di cui all’articolo 416 e’ diretta, in via esclusiva o concorrente, allo scopo di commettere taluno dei delitti previsti dal presente titolo, le pene previste dal medesimo articolo 416 sono aumentate. Quando l’associazione di cui all’articolo 416-bis e’ finalizzata a commettere taluno dei delitti previsti dal presente titolo ovvero all’acquisizione della gestione o comunque del controllo di attivita’ economiche, di concessioni, di autorizzazioni, di appalti o di servizi pubblici in materia ambientale, le pene previste dal medesimo articolo 416-bis sono aumentate. Le pene di cui ai commi primo e secondo sono aumentate da un terzo alla meta’ se dell’associazione fanno parte pubblici ufficiali o incaricati di un pubblico servizio che esercitano funzioni o svolgono servizi in materia ambientale. Art. 452-novies. (Aggravante ambientale). - Quando un fatto gia’ previsto come reato e’ commesso allo scopo di eseguire uno o piu’ trai delitti previsti dal presente titolo, dal decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, 43


o da altra disposizione di legge posta a tutela dell’ambiente, ovvero se dalla commissione del fatto deriva la violazione di una o piu’ norme previste dal citato decreto legislativo n. 152 del 2006 o da altra legge che tutela l’ambiente, la pena nel primo caso e’ aumentata da un terzo alla meta’ e nel secondo caso e’ aumentata di un terzo. In ogni caso il reato e’ procedibile d’ufficio. Art. 452-decies. (Ravvedimento operoso). - Le pene previste per i delitti di cui al presente titolo, per il delitto di associazione per delinquere di cui all’articolo 416 aggravato ai sensi dell’articolo 452-octies, nonche’ per il delitto di cui all’articolo 260 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni, sono diminuite dalla meta’ a due terzi nei confronti di colui che si adopera per evitare che l’attivita’ delittuosa venga portata a conseguenze ulteriori, ovvero, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, provvede concretamente alla messa in sicurezza, alla bonifica e, ove possibile, al ripristino dello stato dei luoghi, e diminuite da un terzo alla meta’ nei confronti di colui che aiuta concretamente l’autorita’ di polizia o l’autorita’ giudiziaria nella ricostruzione del fatto, nell’individuazione degli autori o nella sottrazione di risorse rilevanti per la commissione dei delitti. Ove il giudice, su richiesta dell’imputato, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado disponga la sospensione del procedimento per un tempo congruo, comunque non superiore a due anni e prorogabile per un periodo massimo di un ulteriore anno, al fine di consentire le attivita’ di cui al comma precedente in corso di esecuzione, il corso della prescrizione e’ sospeso. Art. 452-undecies. (Confisca). - Nel caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti, a norma dell’articolo 444 del codice di procedura penale, per i delitti previsti dagli articoli 452-bis, 452-quater, 452-sexies, 452-septies e 452-octies del presente codice, e’ sempre ordinata la confisca delle cose che costituiscono il prodotto o il profitto del reato o che servirono a commettere il reato, salvo che appartengano a persone estranee al reato. Quando, a seguito di condanna per uno dei delitti previsti dal presente titolo, sia stata disposta la confisca di beni ed essa non sia possibile, il giudice individua beni di valore equivalente di cui il condannato abbia anche indirettamente o per interposta persona la disponibilita’ e ne ordina la confisca. I beni confiscati ai sensi dei commi precedenti o i loro eventuali proventi sono messi nella disponibilita’ della pubblica amministrazione competente e vincolati all’uso per la bonifica dei luoghi. L’istituto della confisca non trova applicazione nell’ipotesi in cui l’imputato abbia efficacemente provveduto alla messa in sicurezza e, ove necessario, alle attivita’ di bonifica e di ripristino dello stato dei luoghi. Art. 452-duodecies. (Ripristino dello stato dei luoghi). - Quando pronuncia sentenza di condanna ovvero di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell’articolo 444 del codice di procedura penale per taluno dei delitti previsti dal presente titolo, il giudice ordina il recupero e, ove tecnicamente possibile, il ripristino dello stato dei luoghi, ponendone l’esecuzione a carico del condannato e dei soggetti di cui all’articolo 197 del presente codice. Al ripristino dello stato dei luoghi di cui al comma precedente si applicano le disposizioni di cui al titolo II della parte sesta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, in materia di ripristino ambientale. Art. 452-terdecies. (Omessa bonifica). - Salvo che il fatto costituisca piu’ grave reato, chiunque, essendovi obbligato per legge, per ordine del giudice ovvero di un’autorita’ pubblica, non provvede alla bonifica, al ripristino o al recupero dello stato dei luoghi e’ punito con la pena della reclusione da uno a quattro anni e con la multa da euro 20.000 a euro 80.000».

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2. All’articolo 257 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, sono apportate le seguenti modificazioni: a) al comma 1 sono premesse le seguenti parole: «Salvo che il fatto costituisca piu’ grave reato,»; b) il comma 4 e’ sostituito dal seguente: «4. L’osservanza dei progetti approvati ai sensi degli articoli 242 e seguenti costituisce condizione di non punibilita’ per le contravvenzioni ambientali contemplate da altre leggi per il medesimo evento e per la stessa condotta di inquinamento di cui al comma 1». 3. All’articolo 260 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e’ aggiunto, in fine, il seguente comma: «4-bis. E’ sempre ordinata la confisca delle cose che servirono a commettere il reato o che costituiscono il prodotto o il profitto del reato, salvo che appartengano a persone estranee al reato. Quando essa non sia possibile, il giudice individua beni di valore equivalente di cui il condannato abbia anche indirettamente o per interposta persona la disponibilita’ e ne ordina la confisca». 4. All’articolo 12-sexies, comma 1, del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356, e successive modificazioni, dopo la parola: «416-bis,» sono inserite le seguenti: «452-quater, 452-octies, primo comma,» e dopo le parole: «dalla legge 7 agosto 1992, n. 356,» sono inserite le seguenti: «o dall’articolo 260 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni,». 5. All’articolo 32-quater del codice penale, dopo la parola: «437,» sono inserite le seguenti: «452-bis, 452-quater, 452-sexies, 452-septies,» e dopo la parola: «644» sono inserite le seguenti: «, nonche’ dall’articolo 260 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni». 6. All’articolo 157, sesto comma, secondo periodo, del codice penale, dopo le parole: «sono altresi’ raddoppiati» sono inserite le seguenti: «per i delitti di cui al titolo VI-bis del libro secondo,». 7. All’articolo 118-bis, comma 1, delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, dopo le parole: «del codice» sono inserite le seguenti: «, nonche’ per i delitti di cui agli articoli 452-bis, 452-quater, 452-sexies e 452-octies del codice penale,», dopo le parole: «presso la Corte di appello» sono inserite le seguenti: «nonche’ all’Agenzia delle entrate ai fini dei necessari accertamenti» ed e’ aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Il procuratore della Repubblica, quando procede a indagini per i delitti di cui agli articoli 452-bis, 452-quater, 452-sexies e 452-octies del codice penale e all’articolo 260 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni, ne da’ altresi’ notizia al Procuratore nazionale antimafia». 8. All’articolo 25-undecies del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, sono apportate le seguenti modificazioni: a) al comma 1, le lettere a) e b) sono sostituite dalle seguenti: «a) per la violazione dell’articolo 452-bis, la sanzione pecuniaria da duecentocinquanta a seicento quote; b) per la violazione dell’articolo 452-quater, la sanzionepecuniaria da quattrocento a ottocento quote; c) per la violazione dell’articolo 452-quinquies, la sanzione pecuniaria da duecento a cinquecento quote; d) per i delitti associativi aggravati ai sensi dell’articolo 452-octies, la sanzione pecuniaria da trecento a 45


mille quote; e) per il delitto di traffico e abbandono di materiale ad alta radioattivita’ ai sensi dell’articolo 452-sexies, la sanzione pecuniaria da duecentocinquanta a seicento quote; f) per la violazione dell’articolo 727-bis, la sanzione pecuniaria fino a duecentocinquanta quote; g) per la violazione dell’articolo 733-bis, la sanzione pecuniaria da centocinquanta a duecentocinquanta quote»; b) dopo il comma 1 e’ inserito il seguente: «1-bis. Nei casi di condanna per i delitti indicati al comma 1, lettere a) e b), del presente articolo, si applicano, oltre alle sanzioni pecuniarie ivi previste, le sanzioni interdittive previste dall’articolo 9, per un periodo non superiore a un anno per il delitto di cui alla citata lettera a)». 9. Dopo la parte sesta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni, e’ aggiunta la seguente: «Parte sesta-bis. - Disciplina sanzionatoria degli illeciti amministrativi e penali in materia di tutela ambientale. Art. 318-bis. (Ambito di applicazione). - 1. Le disposizioni della presente parte si applicano alle ipotesi contravvenzionali in materia ambientale previste dal presente decreto che non hanno cagionato danno o pericolo concreto e attuale di danno alle risorse ambientali, urbanistiche o paesaggistiche protette. Art. 318-ter. (Prescrizioni). 1. Allo scopo di eliminare la contravvenzione accertata, l’organo di vigilanza, nell’esercizio delle funzioni di polizia giudiziaria di cui all’articolo 55 del codice di procedura penale, ovvero la polizia giudiziaria impartisce al contravventore un’apposita prescrizione asseverata tecnicamente dall’ente specializzato competente nella materia trattata, fissando per la regolarizzazione un termine non superiore al periodo di tempo tecnicamente necessario. In presenza di specifiche e documentate circostanze non imputabili al contravventore che determinino un ritardo nella regolarizzazione, il termine puo’ essere prorogato per una sola volta, a richiesta del contravventore, per un periodo non superiore a sei mesi, con provvedimento motivato che e’ comunicato immediatamente al pubblico ministero. 2. Copia della prescrizione e’ notificata o comunicata anche al rappresentante legale dell’ente nell’ambito o al servizio del quale opera il contravventore. 3. Con la prescrizione l’organo accertatore puo’ imporre specifiche misure atte a far cessare situazioni di pericolo ovvero la prosecuzione di attivita’ potenzialmente pericolose. 4. Resta fermo l’obbligo dell’organo accertatore di riferire al pubblico ministero la notizia di reato relativa alla contravvenzione, ai sensi dell’articolo 347 del codice di procedura penale. Art. 318-quater. (Verifica dell’adempimento). 1. Entro sessanta giorni dalla scadenza del termine fissato nella prescrizione ai sensi dell’articolo 318-ter, l’organo accertatore verifica se la violazione e’ stata eliminata secondo le modalita’ e nel termine indicati dalla prescrizione.

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2. Quando risulta l’adempimento della prescrizione, l’organo accertatore ammette il contravventore a pagare in sede amministrativa, nel termine di trenta giorni, una somma pari a un quarto del massimo dell’ammenda stabilita per la contravvenzione commessa. Entro centoventi giorni dalla scadenza del termine fissato nella prescrizione, l’organo accertatore comunica al pubblico ministero l’adempimento della prescrizione nonche’ l’eventuale pagamento della predetta somma. 3. Quando risulta l’inadempimento della prescrizione, l’organo accertatore ne da’ comunicazione al pubblico ministero e al contravventore entro novanta giorni dalla scadenza del termine fissato nella stessa prescrizione. Art. 318-quinquies. (Notizie di reato non pervenute dall’organo accertatore). 1. Se il pubblico ministero prende notizia di una contravvenzione di propria iniziativa ovvero la riceve da privati o da pubblici ufficiali o incaricati di un pubblico servizio diversi dall’organo di vigilanza e dalla polizia giudiziaria, ne da’ comunicazione all’organo di vigilanza o alla polizia giudiziaria affinche’ provveda agli adempimenti di cui agli articoli 318-ter e 318-quater. 2. Nel caso previsto dal comma 1, l’organo di vigilanza o la polizia giudiziaria informano il pubblico ministero della propria attivita’ senza ritardo. Art. 318-sexies. (Sospensione del procedimento penale). 1. Il procedimento per la contravvenzione e’ sospeso dal momento dell’iscrizione della notizia di reato nel registro di cui all’articolo 335 del codice di procedura penale fino al momento in cui il pubblico ministero riceve una delle comunicazioni di cui all’articolo 318-quater, commi 2 e 3, del presente decreto. 2. Nel caso previsto dall’articolo 318-quinquies, comma 1, il procedimento rimane sospeso fino al termine indicato al comma 1 del presente articolo. 3. La sospensione del procedimento non preclude la richiesta di archiviazione. Non impedisce, inoltre, l’assunzione delle prove con incidente probatorio, ne’ gli atti urgenti di indagine preliminare, ne’ il sequestro preventivo ai sensi degli articoli 321 e seguenti del codice di procedura penale. Art. 318-septies. (Estinzione del reato). 1. La contravvenzione si estingue se il contravventore adempie alla prescrizione impartita dall’organo di vigilanza nel termine ivi fissato e provvede al pagamento previsto dall’articolo 318-quater, comma 2. 2. Il pubblico ministero richiede l’archiviazione se la contravvenzione e’ estinta ai sensi del comma 1. 3. L’adempimento in un tempo superiore a quello indicato dalla prescrizione, ma che comunque risulta congruo a norma dell’articolo 318-quater, comma 1, ovvero l’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose della contravvenzione con modalita’ diverse da quelle indicate dall’organo di vigilanza sono valutati ai fini dell’applicazione dell’articolo 162-bis del codice penale. In tal caso, la somma da versare e’ ridotta alla meta’ del massimo dell’ammenda stabilita per la contravvenzione commessa. Art. 318-octies. (Norme di coordinamento e transitorie). 1. Le norme della presente parte non si applicano ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della medesima parte». 47


Art. 2 1. All’articolo 1 della legge 7 febbraio 1992, n. 150, sono apportate le seguenti modificazioni: a) al comma 1, alinea, le parole: «con l’arresto da tre mesi ad un anno e con l’ammenda da lire quindici milioni a lire centocinquanta milioni» sono sostituite dalle seguenti: «con l’arresto da sei mesi a due anni e con l’ammenda da euro quindicimila a euro centocinquantamila»; b) il comma 2 e’ sostituito dal seguente: «2. In caso di recidiva, si applica la pena dell’arresto da uno a tre anni e dell’ammenda da euro trentamila a euro trecentomila. Qualora il reato suddetto sia commesso nell’esercizio di attivita’ di impresa, alla condanna consegue la sospensione della licenza da un minimo di sei mesi ad un massimo di due anni»; c) al comma 3, le parole: «e’ punita con la sanzione amministrativa da lire tre milioni a lire diciotto milioni» sono sostituite dalle seguenti: «e’ punita con la sanzione amministrativa da euro seimila a euro trentamila». 2. All’articolo 2 della legge 7 febbraio 1992, n. 150, sono apportate le seguenti modificazioni: a) al comma 1, alinea, le parole: «con l’ammenda da lire venti milioni a lire duecento milioni o con l’arresto da tre mesi ad un anno» sono sostituite dalle seguenti: «con l’ammenda da euro ventimila a euro duecentomila o con l’arresto da sei mesi ad un anno»; b) il comma 2 e’ sostituito dal seguente: «2. In caso di recidiva, si applica la pena dell’arresto da sei mesi a diciotto mesi e dell’ammenda da euro ventimila a euro duecentomila. Qualora il reato suddetto sia commesso nell’esercizio di attivita’ di impresa, alla condanna consegue la sospensione della licenza da un minimo di sei mesi ad un massimo di diciotto mesi»; c) al comma 3, le parole: «e’ punita con la sanzione amministrativa da lire due milioni a lire dodici milioni» sono sostituite dalle seguenti: «e’ punita con la sanzione amministrativa da euro tremila a euro quindicimila»; d) al comma 4, le parole: «e’ punito con la sanzione amministrativa da lire due milioni a lire dodici milioni» sono sostituite dalle seguenti: «e’ punito con la sanzione amministrativa da euro tremila a euro quindicimila». 3. All’articolo 5 della legge 7 febbraio 1992, n. 150, il comma 6 e’ sostituito dal seguente: «6. Chiunque contravviene alle disposizioni di cui ai commi 1, 2, 3 e 5-bis e’ punito, salvo che il fatto costituisca reato, con la sanzione amministrativa da euro seimila a euro trentamila». 4. All’articolo 6 della legge 7 febbraio 1992, n. 150, sono apportate le seguenti modificazioni: a) il comma 4 e’ sostituito dal seguente: «4. Chiunque contravviene alle disposizioni di cui al comma 1 e’ punito con l’arresto fino a sei mesi o con l’ammenda da euro quindicimila a euro trecentomila»; b) il comma 5 e’ sostituito dal seguente: «5. Chiunque contravviene alle disposizioni di cui al comma 3 e’ punito con la sanzione amministrativa da 48


euro diecimila a euro sessantamila». 5. All’articolo 8-bis della legge 7 febbraio 1992, n. 150, il comma 1-bis e’ sostituito dal seguente: «1-bis. Chiunque contravviene alle disposizioni di cui al comma 1 e’ punito, salvo che il fatto costituisca reato, con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro cinquecento a euro duemila». 6. All’articolo 8-ter della legge 7 febbraio 1992, n. 150, il comma 5 e’ sostituito dal seguente: «5. Chiunque contravviene alle disposizioni previste al comma 2 e’ punito, se il fatto non costituisce reato, con la sanzione amministrativa da euro cinquemila a euro trentamila». Art. 3 1. Le disposizioni di cui alla presente legge entrano in vigore il giorno successivo a quello della pubblicazione della medesima legge nella Gazzetta Ufficiale. La presente legge, munita del sigillo dello Stato, sara’ inserita nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. E’ fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge dello Stato.

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D.LGS. 231/2001: I NUOVI REATI PRESUPPOSTO (*) Viene modificato l’art. 25-undecies con l’ampliamento del novero dei reatipresupposto ed un generale aumento del rigore sanzionatorio: a) Inquinamento ambientale (art. 452-bis c.p.): punito con la sanzione pecuniaria da 250 a 600 quote; b) Disastro ambientale (art. 452-quater c.p.): punito con la sanzione pecuniaria da 400 a 800 quote; c) Delitti di natura colposa contro l’ambiente (452-bis, 452-quater, 452-quinquies c.p.): puniti con la sanzione pecuniaria da 200 a 500 quote; d) Delitti associativi aggravati dall’essere finalizzati alla commissione di reati ambientali: puniti con la sanzione pecuniaria da 300 a 1000 quote; e) Traffico ed abbandono di materiale altamente radioattivo (452-sexies c.p.): punito con la sanzione pecuniaria da 250 a 600 quote; Si prevedono altresì pesanti sanzioni interdittive (ex art. 9 D. Lgs. 231/2001), della durata non superiore ad un anno, in caso di condanna per inquinamento ambientale o disastro ambientale così come inseriti sub art. 25-undecies, lett. A) e B). Tali sanzioni comprendono, ad esempio, l’interdizione dall’esercizio dell’attività, la sospensione o revoca di licenze, autorizzazioni o concessioni, il divieto di contrattare con la P.A., etc. Solo in caso di condanna per reati colposi, la cui punibilità è riconosciuta esclusivamente con riferimento all’inquinamento ed al disastro ambientale, si potrà avere una riduzione delle sanzioni interdittive e pecuniarie pari ad un terzo. Ancora due annotazioni. In primo luogo non figura tra i reati presupposto l’impedimento di controllo previsto all’art. 452-septies c.p., nuovo delitto che punisce l’elusione, l’intralcio o l’impedimento dell’attività di vigilanza e controllo (ovvero la compromissione degli esiti dell’attività) per il tramite di negare l’accesso ai luoghi, per la predisposizione di ostacoli o in caso di mutamento artificioso dello stato dei luoghi. In secondo luogo non figura nemmeno il nuovo delitto di omessa bonifica di cui all’art. 452-terdecies c.p., mentre resta, al comma 2 lett. c), la contravvenzione, sempre per omessa bonifica, di cui all’art. 257 D. Lgs. 152/2006. Le ragioni di questa scelta (mantenere come reato presupposto quello meno grave) sono oscure.

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LEGALITÀ E AMBIENTE

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