La pagella delle Business school Settima indagine di Espansione sulle scuole della nostra classe dirigente. Una classifica dove migliorano quasi tutti, tra spinte internazionali ed eccellenze locali . Crisatallizzazione, con miglioramenti generalizzati. È la tendenza emersa chiaramente dalla nostra indagine sulle business school, giunta ormai alla settima edizione. Un settore con una forte divaricazione. Le grandi realtà conquistano autorevolezza innovando i programmi e puntando su internazionalizzazione e stretto rapporto con le imprese; le scuole più territoriali, invece, si concentrano e puntano su nicchie di specializzazione. Per il resto, la classifica delle business school italiane resta stabile sulle posizioni dello scorso anno, ma con un ulteriore salto verso l’alto dei parametri per molte delle realtà coinvolte. In testa ormai da diverse edizioni, Sda Bocconi, Mip e Luiss. L’indagine di Espansione è stata realizzata su un campione di 50 intervistati selezionati tra gli associati di Aidp (l’associazione italiana direttori del personale), head hunter, selezionatori del personale e imprenditori: tutti professionisti che sul mondo della formazione godono di un osservatorio privilegiato. Come nelle precedenti edizioni, i parametri di giudizio sono stati cinque: notorietà, qualità della docenza, vicinanza alle imprese, qualità dei partecipanti ai master e internazionalizzazione. Per ognuno dei parametri è stata espresso un voto compreso tra 1 (minimo) e 5 (massimo), ricorrendo anche ai decimali. Le valutazioni sono state poi ricondotte a una media aritmetica: i risultati, più il dato di notorietà, sono stati sommati e a loro volta mediati, dando così luogo per ogni singola scuola al punteggio complessivo che determina l’ordine in classifica. A differenza di quella effettuata da Web Reputation sulla reputazione on line delle Scuole, in questa classifica svetta Sda Bocconi School of Management, prima in ben quattro parametri (notorietà, internazionalizzazione, qualità della docenza, livello dei partecipanti), l’unica italiana presente in tutti i più importanti ranking internazionali, con il triplo accreditamento AMba, Equis, Eaacsb. «Negli ultimi tre anni», si compiace Alberto Grando, direttore di Sda, «abbiamo fatto un lavoro di continua selezione e revisione dei contenuti e dei format didattici, prestando attenzione a bilanciare l’utilità pratica per i partecipanti, con i temi più innovativi nel campo del management, come leadership, change management, orientamento al mercato, controllo delle performance. Di questa offerta abbiamo ottimi riscontri dai nostri executive Mba, part time, serali, global, con partecipanti che lavorano e ne traggono benefici sia spendibili immediatamente in termini di contenuti, sia in termini di avanzamento di carriera. Un secondo fronte è quello dell’internazionalizzazione, sia sui programmi – l’Mba vanta l’83% di studenti stranieri che vengono da 35 Paesi diversi tra i quali India, Stati Uniti, Europa, Turchia, Cina e via a seguire – sia sul fronte della faculty, che continua a portare in Bocconi docenti di alto profilo con esperienza internazionale. Ora, ci stiamo aprendo un campus a Mumbai. Anche sul fronte delle commesse stiamo aumentando la quota di quelle provenienti da grandi aziende globali, erogate anche nei Paesi lontani come Brasile e lndia, e stiamo lanciando nuovi osservatori, come il management insights, che ha l’obiettivo di monitorare le migliori prassi manageriali delle nostre aziende, e un nuovo laboratorio, Experience Lab, nel quale sperimentare modalità didattiche innovative». In seconda posizione si conferma Mip, School of Management del Politecnico, che sale ancora nei parametri, confermandosi come nelle precedenti edizioni, prima nella vicinanza alle imprese. Ne è soddisfatto il presidente, Gianluca Spina, che spiega come sia cresciuto
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in maniera importante il numero di studenti internazionali e di aziende straniere, mentre nel reclutamento nazionale si fatica un po’ di più. «Abbiamo rinnovato l’executive Mba», afferma Spina, «che ora è tutto dedicato all’international business, con una parte del percorso svolta all’estero. Abbiamo introdotto una specializzazione sui temi dell’imprenditorialità, assecondando la crescente domanda di persone che intendono aprire una propria azienda. Naturalmente l’imprenditoria in questione è di tipo tecnologico, essendo legati al Politecnico. Stiamo potenziando la presenza in Cina, non solo a Shangai, ma anche a Pechino, dove abbiamo aperto una sede. Inoltre, abbiamo avviato un accordo strutturato con Mit di Boston in funzione del quale gli studenti del nostro Mba possono frequentare un master anche da loro, conquistando un doppio titolo». Riconquista il terzo gradino del podio Luiss Business School che, secondo la maggioranza degli intervistati, vanta un grande patrimonio di relazioni (è il riferimento di Confindustria nel rapporto con le imprese) e si sta sempre più connotando per il respiro internazionale. «Stiamo investendo molto nelle infrastrutture e sulle certificazioni internazionali», afferma Franco Fontana, direttore della LBS, «come per esempio Equis. Un dato che ci dovrebbe consentire insieme alle tante iniziative che stiamo sviluppando di fare da moltiplicatore della notorietà del sistema a livello internazionale». Sale nel punteggio medio Fondazione Cuoa di Altavilla Vicentina, che si riconferma in quarta posizione con giudizi di ampio merito da una larga fetta degli intervistati, soprattutto per il suo forte respiro internazionale. «Il 2011 ci ha visto molto attivi su questo fronte, soprattutto nei Paesi dell’area Bric», dice il direttore generale Giuseppe Caldiera, «ma abbiamo anche lavorato sugli study tours all’estero. Si è poi rafforzato il nostro network internazionale attraverso il lean enterprise center. Siamo infatti gli unici affiliati per l’Italia al team global network, rete di eccellenza costituita dai padri del pensiero snello, Jim Womak e Dan Jones, che abbiamo avuto come ospiti a Vicenza, all’interno del lean summit, lo scorso settembre. Attorno al nostro Mba Imprenditori, della durata di 18 mesi con la formula part time, abbiamo rafforzato il contatto con le imprese e da queste sono nate altre iniziative tendenti a rafforzare il set di competenze, oggi necessarie per affrontare la situazione di crisi finanziaria». Programmi, docenti e business internazionale Stabile, al quinto posto, la Scuola di Palo Alto di Milano, un brand che – da quando nel 2009 la scuola ha introdotto in Italia Profile international (strumenti di misurazione e valutazione delle competenze e di percentuali di aderenza al proprio ruolo) – si è radicato ancor di più. In particolare nel marzo del prossimo anno (27 e 28 marzo 2013), in Fiera a Milano, la scuola organizzerà il Positive business forum, l’evento che lega per la prima volta il concetto di positività a quello di azienda. «Siamo convinti», afferma Marco Masella, presidente della scuola, «che un approccio positivo contribuisca notevolmente alla redditività e al benessere di ogni organizzazione. La buona notizia è che tutto può essere appreso lavorando sulla costruzione della solidità psicologica, emotiva e sociale dei propri collaboratori». Conferma la sesta posizione Fondazione Istud, in merito alla quale gli intervistati segnalano il workshop di studio sulle imprese del Quarto Capitalismo (di medie dimensioni), creato e prortato avanti insieme a Mediobanca. «Abbiamo attivato una politica commerciale di contatto diretto sui candidati», afferma Marella Caramazza, direttore della Fondazione, e creato un campus dove alloggiare gli studenti e questo ci ha premiato; ma continua anche a crescere il valore dell’orientamento e del placement. Nondimeno, stiamo facendo i passi operativi per lanciare un master internazionale in lingua inglese, e strutturando un’offerta per le aziende di medie dimensioni. Abbiamo in campo la definizione di un modello di leadership e management innovativo e coerente con le esigenze attuali delle nostre imprese e dell’economia, che coinvolge tutta la faculty e che ispirerà l’offerta futura». Settima in classifica, in crescita nei parametri e nel punteggio medio, è 24Ore formazione/eventi, la
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business school del Sole 24 Ore che vanta 4.000 diplomati e 900 studenti all’anno, e si segnala per un’offerta ampia e diversificata: i master full time tra le due sedi di Milano e Roma hanno raggiunto quota 25. Il campione segnala quelli in informazione multimediale e giornalismo economico, design, retail management e green management, e le collane multimediali in edicola, Master 24, con sessioni on line. «Tra i vari plus sui quali ci siamo orientati», spiega il direttore Antonella Rossi, «sicuramente c’è l’aggiornamento dei programmi. C’è stata una personalizzazione della formazione anche con master corporate commissionate da aziende per i dipendenti o per la formazione di nuove risorse; sviluppo dell’offerta sul territorio rivolta al target dei commercialisti; ampliamento del catalogo dei corsi on line con 80 titoli e realizzazione di nuovi corsi on line in lingua (inglese e spagnolo), realizzando anche il primo corso su Ipad, intitolato L’Arte di comunicare, tratto da Master 24 del Sole 24 Ore». Segue, confermando l’ottava posizione, Mib School of Management di Trieste, che vanta il doppio certificato di qualità Ipas, Epas, AMba, e cresce nel punteggio medio. Perché, nonostante la congiuntura negativa, come afferma il direttore scientifico Vladimir Nanut, che è anche presidente Asfor, la scuola vanta una larga fetta di studenti stranieri. «Il nostro punto di forza», dice Nanut, «consiste nell’aver puntato, già dieci anni fa, sui mercati dell’Est Europeo. Abbiamo in media una percentuale di stranieri compresa tra il 60% e il 65%. Ognuno ha i suoi target di mercato: se si è piccoli bisogna lavorare sui punti di forza e sulle nicchie. Noi abbiamo un forte know how e competenza nel settore assicurativo e finanziario e su questo abbiamo costruito un fattore distintivo». Si mantiene in nona posizione alzandosi in alcuni parametri (internazionalizzazione e vicinanza alle imprese), Alma Graduate School. Ne è soddisfatto il direttore generale Alfredo Montanari, che spiega come «nel 2011 è avvenuto un forte processo d’internazionalizzazione e di integrazione e confronto con le imprese e le istituzioni del territorio. Sul fronte internazionale, abbiamo avuto l’Mba in inglese di 73 studenti provenienti da 38 paesi diversi e vantiamo un EMba che prevede la possibilità di frequentare una parte del percorso in business school partner a Miami, Rio de Janeiro, Mosca, Istambul e Cina. Nell’Mba full time le specializzazioni sono su temi di aziende del territorio, dato rilevante in quanto le stesse aziende assumono poi questi studenti per il loro personale processo d’internazionalizzazione. Inoltre, cerchiamo di lavorare su temi d’eccelle
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L’intervista di Elisabetta Salvati, presidente AFORISMA, al professore Vladimir Nanut, presidente Asfor, svoltasi in apertura della giornata di presentazione dei Project Work 2011 – 2012, il 26 maggio 2012 Salvati: - Presidente Nanut, le diamo il benvenuto nella nostra Scuola. Nanut: - Come presidente di Asfor esprimo la stima e l’apprezzamento dell’associazione, per quello che questa scuola ha fatto e sta facendo per la crescita della formazione manageriale in questa area del paese. Questo è il senso della mia presenza oggi qui, oltre che per poi gli auguri alle persone che oggi concluderanno, o quasi, il loro percorso formativo. Salvati: – Grazie presidente. I ragazzi hanno posto con estrema puntualità le domande che avevo chiesto loro di elaborare, per cui ho dovuto davvero rivederle poco, semplicemente sintetizzarle. Le due aree su cui loro si sono concentrati, ed era ovvio che lo facessero, riguardano la crisi e il cambiamento in atto, e poi sostanzialmente quello del lavoro e delle prospettive, che poi l’aspetto che interessa di più. Loro chiedono: alla luce dell’attuale crisi economica e sociale in atto a livello mondiale, gli imprenditori potrebbero essere più sensibili, stanno cambiando il loro modo di vedere l’economia? C’è un fermento di cambiamento? E su questa base, qual è, secondo lei, il valore aggiunto che la formazione manageriale offre, e quali gli interventi prioritari a cui essa è chiamata? Nanut: - Mamma mia, è una domanda che ha in sé molte domande! Sugli imprenditori nel nostro paese, è difficile fare un discorso che sia generalizzabile perché ci sono imprese e imprenditori che hanno capito per tempo quali erano le nuove sfide che la globalizzazione stava portando. Ricordo che la globalizzazione nasce più di 20 anni fa a seguito della caduta del muro di Berlino. Io vivo a Trieste, e noi siamo stati sempre una zona di frontiera tra due mondi, quello dell’Ovest e quello dell’Est, e forse eravamo più sensibili agli avvenimenti che si stavano realizzando, e quindi forse abbiamo percepito apparentemente ciò che stava accadendo, ma parlo forse più noi come studiosi che non di noi come imprenditori. Ci sono imprese che hanno compreso l’esigenza di un cambiamento radicale, perché quello che è avvenuto a livello economico mondiale non richiedeva semplici aggiustamenti di tipo contingente come erano avvenuti nel passato. Altre imprese, purtroppo sono molto numerose, si sono trovate impreparate anche perché, e questo è un aspetto piuttosto diffuso anche nel Nord Est, si sono trovate con una dimensione troppo piccola per poter competere in un mercato che è diventato mondiale in cui i concorrenti sono indiani, russi, cinesi e così via. C’è uno sforzo di riposizionamento che ovviamente porta anche ad una selezione naturale. Purtroppo le imprese in difficoltà sono moltissime, e quelle che hanno adeguato la loro struttura, la loro formula imprenditoriale ai nuovi scenari non riescono a colmare il numero di quelle che invece sono costrette ad uscire dal mercato, o a ridimensionarsi in modo serio. Quindi almeno per un tempo abbastanza immediato, io credo che la situazione non sarà destinata a cambiare. Cosa può fare la formazione manageriale? La formazione manageriale può anche essere anticiclica: si può fare l’investimento in formazione per essere pronti per quando si ripartirà. E certamente, se guardiamo, a livello nazionale è indubbio che il sistema imprenditoriale italiano potrà recuperare competitività soltanto se vi è un forte investimento in ricerca, innovazione e risorse umane. Questi sono dei must che credo siano assolutamente dei punti irrinunciabili. Salvati: - Grazie. Questa risposta mi permette di collegarmi ad un’altra domanda posta dai ragazzi che chiedono: come si spiega il paradosso della nostra generazione che è una generazione iperformata, inserita in un progetto di formazione permanente, con giovani molto specializzati che vorrebbero contribuire alla crescita e allo sviluppo del proprio paese, e invece una reticenza da parte di molte aziende ad investire in formazione. Quindi, quali possono essere gli interventi da realizzare per promuovere degli investimenti in formazione della managerialità a livello delle imprese.
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Nanut: - Qui si sommano diversi fattori, ovviamente cerco di sintetizzarli, ma non è facile. Da un lato se noi guardiamo alla struttura imprenditoriale, abbiamo una grandissima maggioranza di piccole e piccolissime imprese, prevalentemente a conduzione famigliare, dove la presenza dell’imprenditore e dei suoi famigliari, spesso del fondatore stesso, rende queste imprese molto soggette ad un’impostazione che non è manageriale ma imprenditoriale, ed in cui è difficile inserire persone con un elevato grado di scolarizzazione. Tanto è vero che piccole e piccolissime non assumono spesso neanche laureti, e non assumono persone che hanno fatto un percorso post laurea o che si sono ulteriormente arricchite. Quindi, si sconta la debolezza di questo sistema. È ovvio che è un circolo vizioso: nel momento in cui un sistema imprenditoriale è debole le opportunità di inserimento di persone con qualifiche più elevate diventano molto più difficili. La gran parte dei diplomati dei corsi master post laurea, guardando nell’ottica Asfor, si colloca presso le medie e grandi aziende che hanno già raggiunto uno stadio di tipo manageriale, dove ci sono dei manager professionisti magari in posizioni di direttore generale o di amministratore delegato, e quindi lì c’è spazio per figure professionali che abbiano seguito questi percorsi. E questo è un aspetto, il secondo aspetto è quello della redditività, ovvero dei margini che ha un’impresa. Molto spesso le nostre imprese sono presenti nei settori tradizionali. Nel Nord Est, ad esempio, il settore del mobilio arredamento, è un settore molto competitivo se si considera la produzione di mobili con un forte contenuto di design, magari con materiali innovativi, o perché si tratta di brand molto riconoscibile e riconosciuto, allora la situazione è positiva. Ma se si producono semplicemente sedie, è evidente che i margini rispetto ai competitor cinesi, ma potrebbero anche essere anche rumeni, piuttosto che ucraini, e il discorso non cambierebbe molto, i margini diventerebbero molto bassi, e allora per questo si punta ad avere risorse umane a basso costo. Inserire risorse umane con competenze più elevate diventa più difficile perché non ci sono le risorse per farlo, oltre alla cultura di impresa che non è coerente con la possibilità di inserire profili a cui devi dare un po’ di autonomia, oltre alla capacità di esprimersi. E se la struttura è fortemente incentrata sulla figura dell’imprenditore, allora come dicevo prima, questo diventa molto difficile. Salvati: - Bene, e qui arriviamo all’aspetto che interessa di più i ragazzi. Su questa base sembrerebbe quasi che non ci siano prospettive per chi come loro ha deciso di investire non soltanto in un percorso di laurea, ma anche in un percorso di specializzazione. E quindi chiedono in maniera molto diretta: quali sono, a conclusione del percorso del master, i consigli che lei può dare per poter riuscire ad affrontare al meglio il mondo delle aziende e al mercato del lavoro. E mi piace che le abbiano posto questa domanda, perché chiedono: le competenze trasversali sono considerate un must per un giovane che vuole accedere al mondo del lavoro, quali sono quelle maggiormente richieste dalle aziende? Nanut: - Mi piacerebbe molto dare delle risposte consolatorie. Io sono un’ottimista, e quindi cerco sempre di guardare alle difficoltà sempre in un’ottica di opportunità. In cinese la parola “crisi” si scrive con un ideogramma composto da due parti: una parte che indica minaccia, e una parte che indica opportunità. E quindi la crisi ha sempre questo duplice volto, da un lato comporta difficoltà ma dall’altro comporta anche opportunità. La prima cosa quindi è guardare alle opportunità, e non solo alle minacce o ai problemi. In quest’ultimo mese in particolare, stiamo assistendo ad una drammatizzazione dei media che genera soltanto paura, genera sfiducia e comportamenti difensivi. è indubbio che la crisi esiste, la crisi è un dato molto forte e pesante, non ne siamo usciti nonostante i provvedimenti che questo governo ha dovuto prendere dopo anni in cui ci siamo trastullati e ci siamo raccontati un’Italia che era da cartolina, che era forse in qualche talk-show televisivo ma non nella realtà, perché i problemi che abbiamo oggi di fronte nascono almeno negli ultimi 15 - 20 anni almeno. Il problema della produttività e della competitività è stato rimosso per lunghi anni, sembrava che non avesse importanza. Oggi scopriamo che in molti settori non siamo competitivi: siamo 43esimi nella graduatoria mondiale della competitività, siamo dietro a paesi africani e a buona parte dei paesi europei. E questo è un discorso che viene da lontano, che però abbiamo fatto finta per lungo tempo tutto andava bene, che molti stavano peggio di noi e così via. Questa è
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una realtà, che nell’immediato non offre prospettive di svolta che possano aprire degli orizzonti nuovi, e scenari positivi. Che consiglio si può dare? Oltre a guardare alle opportunità, è quello del coraggio e quello dell’umiltà. Se non ci sono nell’immediato possibilità di inserimento al livello per cui uno in qualche misura si è preparato, la cosa peggiore è aspettare che da qualche parte arrivi il miracolo. Bisogna tirarsi su le maniche e mettersi a fare qualsiasi cosa che possa portare a cumulare esperienza. Io non arrivo a dire, anche se può essere una scelta che molti dei nostri studenti fanno, che è quella di andare all’estero. Andare all’estero, se non altro provvisoriamente, può essere una chance. Ci sono dei paesi che ancora hanno dei momenti di crescita, e piuttosto che aspettare senza nessun impegno, allora anche questa può essere una scelta. Oggi una delle cose assolutamente ineludibili per chiunque voglia fare questo mestiere è la conoscenza della lingua inglese. Se uno la conosce bene la può migliorare, e se uno non la conosce allora prenda la valigia e vada ad impararla bene, perché sarà una delle condizioni indispensabili, anche quando il sistema ripartirà, per un ruolo di responsabilità nel mondo delle imprese. Quindi: coraggio, fiducia, in se stessi prima di tutto, e cercare di accumulare esperienze. Tutte le esperienze sono positive, anche lavori che possono apparire umili, in fondo, consentono di capire cosa vuol dire lavorare, cosa vuol dire sacrificio, e quindi questo è un elemento che certamente fortifica le persone rispetto agli obiettivi maturati attraverso il proprio percorso formativo, che devono rimanere gli obiettivi di riferimento. Salvati: - Questa è una domanda molto articolata, su cui mi inserisco anche io. Condivido molte delle cose che ha detto, sulla conoscenza della lingua inglese, sul fatto che bisogna avere coraggio ed umiltà. Molti di questi ragazzi provengono dal nostro territorio in senso più esteso, quello regionale ma anche dalle regioni limitrofe, noi e i nostri allievi siamo meridionali. E tutti gli anni, io ritrovo in questi ragazzi la voglia e la volontà, non soltanto di andar via, perché è una cosa a cui siamo storicamente abituati, andar via non soltanto all’estero e al Nord, ma ritrovo soprattutto la voglia di rimanere, la voglia di fare qualcosa per la propria terra. E rispetto a questo, presidente, la Scuola sente di dare in qualche modo il suo apporto. Non è un caso che tra le domande relative al tema dell’occupazione, gliene pongano una sull’imprenditorialità, chiedendo la sua opinione a riguardo. Io le dico subito che il lavoro di project work di oggi, del quale parleranno meglio i miei colleghi e poi direttamente i ragazzi, è basato su un concetto: noi abbiamo messo a disposizione le competenze tecniche e manageriali che loro hanno acquisito, lavorando su alcuni spin-off universitari e sviluppandole negli strategic plan. Ma le procedure di imprenditorialità che la Scuola trasmette loro non riguardano solo la possibilità di creazione di impresa, ma anche quello che l’Unione Europea declina come competenza, vale a dire, la capacità di correre dei rischi, di impegnarsi, la creatività e così via. Ecco, personalmente, e la mia storia di vita lo dimostra, credo molto nel fatto che le persone possano decidere, e che possano incidere sul terreno produttivo. Credo che il Sud abbia, al di là dei disagi, anche molti vantaggi. Ad esempio penso al campo del turismo che aspetta solo di essere valorizzato al meglio, l’agroalimentare, il terziario in cui si è fatto molto in termini di innovazione che si è sviluppato molto, e gli spin-off di oggi lo dimostreranno. Ecco quindi, rispetto al concetto di imprenditorialità, quanto la sua opinione può ampliare la nostra riflessione? Nanut: - Bella domanda. Intanto, credo che oggi il problema non sia quello tradizionale della dicotomia tra Sud e Nord. Garantisco che nel Nord ci sono situazioni di difficoltà che sono simili a quelle che avete vissuteo, e che state vivendo. Il Nord non è più la terra promessa in cui trovare con facilità, o comunque con più facilità, una collocazione nel mondo del lavoro. Quando parlavo di coraggio, non era un’affermazione retorica, mi riferivo al fatto che il tema dell’imprenditorialità evoca anche questo aspetto psicologico. Noi siamo cresciuti in questi ultimi 20 anni in strutture educative, mi riferisco alle università e, talvolta anche nelle prime fasi in corsi post laurea, in cui si mirava a formare persone con un back-ground di dipendenti. E questo perché il concetto
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di imprenditorialità implica una propensione al rischio che una società assistenzialista e protettrice ha cercato di rimuovere. Molto spesso sono le stesse famiglie a dire “no, no meglio il posto!”. Ecco oggi dobbiamo dimenticarci la cultura del posto di lavoro, dobbiamo puntare alla cultura del lavoro, e questo significa rimboccarsi le maniche e chiedersi cosa posso fare per recuperare una dimensione lavorativa, e anche di realizzazione personale. Ricordo che nel Nord Est, ad esempio, noi abbiamo avuto lo sviluppo imprenditoriale da parte delle persone che negli anni ‘60, in parte anni ‘70, erano reduci dalla Seconda guerra mondiale, erano persone che se l’erano vista brutta, e quindi avevano coraggio, sapevano rischiare. Ecco, noi per lunghi anni abbiamo rimosso il concetto di rischio, come qualcosa da evitare, ma il rischio in attività economica è fondamentale. Certo poi occorre che il sistema agevoli tutto questo, e devo dire che, pur in pochi mesi, alcuni provvedimenti del governo Monti vanno in questa direzione, come la possibilità di costituire una Srl senza notaio. Perché molto spesso chi ha provato a fare l’imprenditore o ha avuto difficoltà nell’avviare il proprio business o si è scontrato con una burocrazia pazzesca tra camere di commercio, comuni, asl e chi più ne ha più ne metta. Ora è importante che oltre a recuperare la dimensione del coraggio, ci siano lo spirito imprenditoriale, e la voglia di rischiare in modo ragionato. E se voi avete le competenze perché avete seguito un percorso di formazione in cui si capisce che il rischio imprenditoriale può essere gestito in modo intelligente, e non si tratta di un effetto perverso, e se l’apparato istituzionale toglierà tutta una serie di vincoli, di aspetti formalistici e burocratici che oggi rendono più difficile lo svolgimento di queste attività, io credo che questa diventi un’opportunità che vada considerata. Io credo che qui abbiate delle risorse. Questo territorio è ricco di risorse che pur lungo tempo sono state forse poco considerate. Il Sud non aveva bisogno di industrializzarsi come al Nord, e questo io lo dicevo anche 30 anni fa, anche perché nel Nord l’industrializzazione ha praticamente distrutto il territorio, mentre qui c’è ancora la possibilità di sviluppare l’agroalimentare, il turismo, valorizzando le risorse del territorio. Queste sono solo alcune delle possibilità, sono solo delle considerazioni di carattere generale, che possono rappresentare delle chance per i giovani, anche come alternativa a una forma di sfiducia nei confronti del futuro. Il futuro, e lo dico ai giovani, è nelle vostre mani: non immaginate che vi venga regalato, lo dovete conquistare e lo dovete costruire, perché i vecchi hanno fatto questo disastro ed evidentemente non sono capaci di fare altro. - lungo applauso Salvati: – Grazie presidente, le rivolto l’ultima domanda per lasciare spazio al programma della giornata. Il tema riguarda il ruolo dell’Asfor, e i ragazzi le chiedono: quale sia il valore aggiunto di aver frequentato un master accreditato? E una piccola chicca, che mi ha fatto sorridere, le domandano: in considerazione dell’importanza dell’accreditamento presso la vostra struttura, e in considerazione del percorso formativo che prevede lo stage, avete mai pensato di offrire opportunità di stage direttamente in Asfor? Nanut: - In un paese poco, anzi pochissimo avvezzo alla meritocrazia, l’accreditamento è un giudizio che un organismo indipendente fa circa la validità di un percorso formativo. Questo vuol dire garantire sia ai partecipanti sia al mondo dell’impresa – a questo proposito, una volta usavo il termine di “utilizzatore finale” ma poi per altre vicende suona male - garantire circa la qualità di un percorso formativo. In altri paesi, dove questa modalità di controllo, di verifica anche rigorosa e severa, che mette gli istituti che offrono formazione di fronte a tutta una serie di problemi, perché superare tutta una serie di verifiche in un processo di accreditamento, vuol dire lavorare molto per evidenziare che il percorso ha tutte le caratteristiche necessarie per offrire una formazione di qualità. è ovvio che il bollino di qualità non è che automaticamente apre le porte del paradiso, chi esce dalla formazione dovrà poi conquistarsi sul campo i galloni per quanto riguarda il proprio ruolo nel mondo del lavoro, ma uno sa che il percorso svolto ha caratteristiche tecniche di qualità. Questo è un paese in cui chiunque può chiamare master anche un corso tra pensionati che si mettono a fare insieme in una
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settimana, perché non c’è una normativa sui master, al di là dei master universitari introdotti poco più di una decina di anni fa, ma che spesso aggiungono solo un altro anno accademico a quelli precedenti. Il sistema di accreditamento Asfor, nato nel 1989, ben prima che venissero attivati i master universitari, voleva appunto mettere in evidenza la differenza di alcuni percorsi per i contenuti, le caratteristiche di qualità del processo, oltre che dei soggetti che li realizzano, e per i risultati. Molto spesso si fa attenzione al requisito che c’è nel nostro processo che entro 6 mesi almeno l’80% dei frequentanti deve aver realizzato una collocazione nel mondo del lavoro. Questo oggi è un traguardo molto difficile, ce ne rendiamo conto, e per questo siamo molto tolleranti, perché comunque una scuola non è un’agenzia di collocamento. Quello che noi chiediamo è che il percorso sia serio e rigoroso, e se è così è ragionevole attendersi che i risultati anche in termini di placement arrivino. E questo è il significato, una cosa che nel nostro paese non è molto popolare perché si da per scontato che siamo tutti sindacalizzati, per cui le corporazioni si autocertificano da sole, ma questo è facilmente comprensibile che non è un elemento di qualità. Per quanto riguarda Asfor, Asfor ha una struttura tutto sommato molto piccola come associazione. Se qualcuno è interessato a collaborare per fare una ricerca, o per collaborare in qualche progetto, io credo che questo sia possibile. Però ritengo che laddove ci sia un’azienda, meglio se ancora se fosse un’impresa che produca dei beni o dei servizi, credo che sia preferibile un’esperienza in queste realtà, piuttosto che, e lo dico con molta franchezza, fare uno stage da noi che sarebbe come collaborare con un dipartimento universitario o con un’istituzione di ricerca, perché non è che l’esperienza che noi siamo in grado di offrire ad uno stagista possa essere particolarmente ricca e stimolante. Tutt’al più se qualcuno pensa che così possa essere, credo che si possa considerare anche questa opportunità. - lungo applauso Salvati: – Bene, io ringrazio il presidente Valdimir Nanut, e passerei la parola ai miei colleghi, però intanto le chiedo di rimanere ancora qui con me per una cosa, con molto pudore, perché chi ci conosce sa che non ci piace la retorica. In ufficio ci siamo chiesti se non fosse giusto ricordare ciò che è successo una settimana fa a Brindisi, e abbiamo deciso di farlo con una semplice frase, affidandoci alle parole un grande uomo, Antonio Caponnetto, le cui parole danno un senso anche a questa giornata: “La mafia teme più la scuola della giustizia. L’istruzione toglie erba sotto i piedi della cultura mafiosa”. Buon lavoro ragazzi!
Aforisma.org, 2 giugno 2012
Premio Collio, venerdí i vincitori Cerimonia a Cormòns. Un riconoscimento che promuove l’eccellenza enologica «Anche attraverso il vino si può trasmettere la cultura di un paese, il suo stile di vita, l’amore per la propria terra»: in queste parole di Patrizia Felluga, presidente del Consorzio di tutela vini Collio e Carso, è racchiuso lo spirito del Premio Collio. L’evento internazionale, organizzato dal Consorzio in collaborazione con l’Università di Udine, il MIB School of Management di Trieste e l’Arga FVG, è alle porte. Venerdì 8 giugno palazzo Locatelli a Cormòns ospiterà la cerimonia di consegna dei riconoscimenti. Atteso, nel centro collinare, anche un superospite d’onore a sorpresa. Nulla trapela dagli organizzatori circa la sua identità, ma si tratta di una firma illustre del giornalismo internazionale. La giuria del premio, giunto alla nona edizione, ha un compito arduo, quest’anno, nella selezione dei vincitori: gli articoli apparsi sulla stampa italiana ed estera che hanno contribuito a promuovere il territorio e il marchio del Collio sono davvero numerosi. Merito anche dell’intensa attività di promozione all’estero realizzata nel 2011 dal Consorzio di tutela: dagli eventi proposti negli Stati Uniti al convegno internazionale The Wine Advocate a Gorizia. Vetrine che hanno suscitato una vasta eco anche nella stampa specializzata. Ora i membri della giuria saranno chiamati a scegliere, fra i tanti giornalisti che hanno reso grande il nome del Collio, due nomi, l’uno per la stampa nazionale, l’altro fra le firme internazionali. Saranno assegnati anche i premi alle tesi di laurea e dottorati di ricerca che hanno saputo valorizzare i settori della viticoltura e dell’enologia. Farà da preludio alla cerimonia di premiazione, venerdì alle 17.30, un aperitivo di benvenuto, offerto a palazzo Locatelli. Cormòns non è stata scelta a caso. «D’ora innanzi – spiega infatti Patrizia Felluga – il Premio Collio sarà una manifestazione itinerante. Ogni anno sceglieremo come location uno degli otto comuni del comprensorio, per valorizzare tutte le realtà che compongono il mosaico del nostro territorio e dei nostri vigneti». Negli spazi della sala e del museo civici di Cormòns il parterre di autorità e rappresentanti delle istituzioni, produttori e giornalisti da tutto il mondo, conoscerà, quindi, i vincitori del Premio Collio 2012. A concludere la serata Collio Wine Collection & Friends, un’occasione per degustare i vini migliori accompagnati dalle eccellenze della gastronomia locale. All’indomani della premiazione, prenderà il via un educational tour alla scoperta del Collio dedicato ai giornalisti ospiti.
Messaggero Veneto, 3 giugno 2012
Il Sole 24 Ore, 8 giugno 2012
Firenze: “SeedLab” l’incubatore startup All’Incubatore Universitario Fiorentino arriva il progetto per la formazione di impresa Applicazioni web, mobile e informatiche, energie pulite, meccanica e nuovi materiali. Sono i settori in cui si svilupperanno le idee di impresa di SeedLab, progetto formativo e imprenditoriale che per tre mesi farà tappa all’Incubatore Universitario Fiorentino per favorire la nascita di start up. Seedlab è un’iniziativa aperta a “innovatori” con una buona idea ma senza esperienza di gestione aziendale, che - sul modello dei business accelerator della Silicon Valley - propone anche in Italia un progetto di preincubazione di idee imprenditoriali in cerca di un supporto formativo, finanziario e organizzativo. Il progetto è organizzato da TTadvisor, Advisory company di Fondamenta SGR, in collaborazione con l’Università di Firenze, la Syracuse University in Florence, la Scuola Superiore di Studi Universitari Sant’Anna di Pisa, la MIB School of Management di Trieste, con il patrocinio della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Al progetto partecipano 13 idee di start-up, selezionate tra 200 proposte ricevute da tutta Italia. Le startup hanno iniziato un programma di imprenditorialità innovativa che comprende l’apprendimento delle basi dell’amministrazione d’impresa, la costruzione del team e la full immersion di 3 mesi nell’Incubatore Universitario Fiorentino (IUF) per dare forma al progetto. La parte formativa prevede il supporto di docenti universitari nel sostenere le idee selezionate con corsi di contabilità, strategia, marketing, negoziazione, sviluppo nuovi prodotti nonché di gestione delle risorse umane, della proprietà intellettuale e degli aspetti legali. La parte di sviluppo imprenditoriale è invece facilitata dal confronto continuo dei nuovi imprenditori con esperti del settore di riferimento, imprenditori già affermati e finanziatori internazionali che offrono il loro sostegno di mentor alle nuove iniziative. A conclusione del programma, il prossimo 21 settembre, presso l’Aula Magna dell’Ateneo, si terrà la giornata conclusiva di SeedLab 2012: le startup si presenteranno di fronte a mentor e potenziali investitori internazionali, le migliori saranno premiate con ulteriori percorsi di crescita.
intoscana.it, 8 giugno 2012
MOLTI PROFESSIONISTI PROVENGONO DA MANAGEMENT, FORMAZIONE E CONSULENZA
Come diventare allenatore di talenti I corsi per aspiranti «coach» da Milano fino a Roma e Trieste Non solo tra sportivi, vip e manager. Il coaching, “allenamento” made in Usa che lavora sul potenziale personale e professionale, sta guadagnando spazi nelle nostre università e scuole di management. Ha un posto nella facoltà di scienze della formazione di Milano-Bicocca: “Lo presentiamo assieme ad altri metodi di formazione one2one” spiega il professor Raoul Nacamulli. E’ in programma negli mba per executive di Luiss Business school e Mib di Trieste. E lo “utilizza” la scuola di amministrazione aziendale dell’ateneo di Torino. Addirittura all’università di Urbino c’è un master di primo livello sul tema: “Offre conoscenze e strumenti di base per svolgere questa pratica, che poi possono essere approfondite” sottolinea il direttore Franco Nanetti. I corsi che forniscono abilità e competenze a chi vuole diventare coach (professione che non è riconosciuta e regolamentata in Italia) sono numerosi. Gli itinerari possibili sono i più diversi, basta guardare i (corposi) cv degli “allenatori” che hanno raggiunto la fama. Qualche punto fermo, però, c’è. Primo fra tutti: non è un mestiere che si impara con un “corsetto” subito dopo la laurea. “Il coach necessita di allenamento costante, esperienza, training, esami per step successivi, che gli fanno raggiungere diversi gradi di credenziali” rimarca Fabrizia Ingenito, presidente di Icf Italia, chapter locale dell’International Coach Federation, nota associazione del settore (conta oltre 21.000 esponenti nel mondo) che si è dotata di codice etico, accredita percorsi e rilascia certificazioni uguali negli oltre 100 Paesi in cui è presente. Una bella fetta di coach proviene da management, formazione e consulenza. Per iscriversi ai corsi Practice in business coaching e master in Business executive coaching della scuola Scoa, per esempio, sono richiesti almeno otto anni di esperienza di vita aziendale o professionale dopo la laurea. “Siamo focalizzati sul business”- spiega il presidente Gian Franco Goeta - I nostri coach devono essere in grado di rispondere sia alle aspettative dell’individuo sia a quelle dell’azienda per cui lavorano”. Anche Corporate Coach U Italia ha percorsi accreditati dall’Icf: forma sia sul fronte corporate che su quello del life coaching. Per chi preferisce, invece, puntare sulla programmazione neuro linguistica, Accademia dei coach rilascia certificazioni internazionali riconosciute dalla Nlp Society, creata da Richard Bandler e John Grinder. Cercate proposte “più brevi”? La Business Coaching school di The- NextStep, solo per fare un esempio, apre a fine agosto le iscrizioni al suo corso di otto giornate. Le possibilità sono molte. Attenzione però: I corsi (anche buoni) non bastano a “fare” un coach. “E’ un approccio costruito su un set di competenze e bisogna studiare, allenarsi, praticarle spiega Gabriele Gabrielli, direttore dell’ Executive mba della Luiss business school e coach certificato - Ma soprattutto bisogna essere portati, bisogna avere delle attitudini. Per esempio, conosce una persona che non ascolta? Ecco, non può fare il coach”.
Corriere della Sera, 15 giugno 2012
SeedLab, il “Mib” di Trieste nella corsa all’innovazione C’è anche la Mib School of Management di Trieste nel progetto di accelerazione di nuove idee imprenditoriali SeedLab, che inizia a Firenze la fase maggiormente intensiva del programma. Si tratta di un progetto formativo e imprenditoriale aperto a “innovatori” con una buona idea ma senza esperienza di gestione aziendale. Il modello è quello dei “business accelerator” della Silicon Valley, proponendo anche in Italia un progetto di preincubazione di idee imprenditoriali in cerca di un supporto formativo, finanziario e organizzativo. Il progetto è organizzato da TTadvisor, advisory company di Fondamenta Sgr, in collaborazione con l’Università degli Studi di Firenze, la Syracuse University in Florence, la Scuola Superiore di Studi Universitari Sant’Anna di Pisa, appunto la Mib School triestina e gode del patrocinio della Presidenza del Consiglio dei Ministri. La parte formativa prevede il supporto di docenti universitari nel sostenere le idee selezionate con corsi di contabilità, strategia, marketing, negoziazione, sviluppo nuovi prodotti nonché di gestione delle risorse umane, della proprietà intellettuale e degli aspetti legali. La parte di sviluppo imprenditoriale è invece facilitata dal confronto continuo dei nuovi imprenditori con esperti del settore di riferimento, imprenditori già affermati e finanziatori internazionali che offrono il loro sostegno di “mentor” alle nuove iniziative. Sono state 200 le proposte di nuove idee imprenditoriali ricevute da tutta Italia e 15 quelle selezionate per partecipare a questa prima edizione del progetto SeedLab. La maggior parte delle proposte ricevute e selezionate provengono dal Sud Italia. Le proposte sono state presentate principalmente da giovani tra i 20 e i 30 anni. Per quanto riguarda i settori, sono preponderanti le applicazioni web e mobile e informatiche, con quasi il 60% delle proposte ricevute e quasi metà di quelle selezionate, mentre le energie pulite, la meccanica e i nuovi materiali seguono a poca distanza l’una dall’altra. Le start-up hanno iniziato un programma intenso e completo di imprenditorialità innovativa che comprende l’apprendimento delle basi dell’amministrazione d’impresa, la costruzione del team di progetto, la full immersion di tre mesi nell’Incubatore Universitario Fiorentino per dare forma al progetto attraverso il contatto continuo con “mentor” e un vasto network sostenitore. Il 21 settembre, nell’aula magna dell’Università di Firenze, si terrà la giornata conclusiva di SeedLab 2012: le migliori start-up saranno premiate con ulteriori percorsi di crescita.
Il Piccolo, 19 giugno 2012
Il Mondo, 29 giugno 2012
CINEAS, BOCCONI, LUISS, CATTOLICA E UNIVERSITÀ DI PISA
Master, a scuola di gestione del rischio Definirla professione anticrisi forse è troppo. Ma gli esperti sottolineano che anche oggi, anzi soprattutto, c’è bisogno di gestori del rischio, nei più diversi settori. «Ogni anno avvengono migliaia di morti per errore negli ospedali. Questo comporta controversie giudiziarie. E, sia le strutture sanitarie sia medici come chirurghi ginecologi e ortopedici, hanno enormi difficoltà a trovare adeguate coperture assicurative». A spiegare la necessità di hospital risk manager è Carlo Ortolani, direttore del consorzio universitario del Politecnico di Milano Cineas, che organizza un master (con borse di studio parziali) per chi vuole specializzarsi nel campo. Di certo la colonnina del rischio non scende (tanto più in questo periodo) nel mondo bancario. «Il credit risk management è sicuramente tra gli ambiti di gestione finanziaria con più prospettive al momento. Negli ultimi due-tre anni c’è stato un crescente interesse da parte delle aziende, che non si è arrestato» sottolinea Elena Beccalli, direttore del master della Cattolica (che ha in dote «coperture parziali» e 90% di occupati a pochi mesi dal titolo). Per chi, subito dopo la laurea o con esperienza di lavoro, desideri puntare sull’ambito assicurativo-finanziario le «opzioni con borse» sono varie. A partire dal Mafinrisk, percorso in quantitative finance and risk management della Bocconi alla 9° edizione (placement al 100% a tre mesi) fino ad arrivare al master in risk management delle imprese di assicurazione e fondi pensione che partirà nel 2012-2013 alla Luiss (gli accordi per le borse di studio sono in definizione), passando per quello in insurance e risk management (placement del 91% a 6 mesi) firmato Mib. Per chi voglia focalizzarsi sul rischio aziendale, industriale e ambientale Cineas ha «proposte» ad hoc. Varia è, poi, l’offerta (con borse) in un ambito attiguo al rischio: la sicurezza. Per esempio il consorzio Quinn realizza con l’ateneo di Pisa un master in gestione di sistemi per la sicurezza, la salute, l’ambiente e la qualità: «Il profilo in uscita è di junior auditor per i sistemi certificati» spiega Marco Bernardini, direttore del consorzio. Sempre nell’università toscana, c’è il master in nuclear safety and security. Mentre l’ateneo di Modena e Reggio Emilia specializza in sicurezza del lavoro anche online.
Corriere della Sera, 29 giugno 2012