tesina cinema

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1 Diretto da Alfonso Cuarón Anno 2006 Gran Bretagna, USA 114 min

Children of men In un futuro non troppo distante, in cui il mondo non può più procreare, l’Inghilterra rimane unica zona franca, per non confrontarsi con le guerriglie urbane. Theo (Clive Owen), rapito da Julian (Julanne Moore), una attivista da lui amata in passato, ha una grande responsabilità: dovrà condurre salva una giovane donna, forse l’ultima donna in grado di procreare, fino a un santuario sul mare, e dare la possibilità al mondo di evitare l’estinzione. Tratto dal romanzo di P.D.James è diretto magistralmente da Cuaròn fin dalle prime sequenze. Il regista gira svariati piani sequenza in questo film, tre particolarmente belli e efficaci. La scena analizzata mostra il viaggio in macchina dei protagonisti, intenti ad adempiere al loro compito di portare in salvo questa giovane donna incinta. Durante il tragitto vengono colti da un imboscata da cui tentano di scappare affanosamente. La camera ruota attorno a tutti i personaggi e descrive in tempo reale tutta la scena in modo magistrale, creando un lungo e impeccabile piano sequenza di circa quattro minuti.


Il piano sequenza Il piano sequenza si può semplicemente definire come una sequenza costituita da un inquadratura, fissa o in movimento, priva di “stacchi” al suo interno, ovvero senza montaggio. La scena viene seguita di conseguenza in tempo reale ed è capace di immergere lo spettatore nella scena in modo molto profondo. Per tutti gli appassionati di cinema il piano sequenza è l’essenza stessa del cinema, per la bellezza della realizzazione, per la conoscenza delle difficolta nell’attuarla. Essa mostra la propria forza quando la sequenza non risulta lenta ma riesce a non farsi notare, muovendosi solitamente insieme ai personaggi. Spesso un occhio non allenato non la nota e si sente “inaspettatamente” catturato dalla scena. Nel piano sequenza il montaggio non è quindi necessario, (e non deve essere rimpianto) il linguaggio utilizzato trova compiutezza nella movimento della macchina da presa (un montaggio intrinseco), organizzazione del racconto, ricchezza compositiva.


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26:48 La scena inizia agganciandosi all’inquadratura di inizio viaggio e alla posizione assunta dal protagonista(Theodore Faron). Al suo risveglio la camera si allontana da lui e inquadra tutti i personaggi presenti in macchina

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27:42 La camera sembra galleggiare all’interno dell’auto portandosi al centro e inquadrando i due personaggi lateralmente

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28:08 La camera, accompagnata dall’avvertimento e dal cambio di attenzione dei personaggi, si sposta repentinamente e inquadra quello che accade davanti a loro sulla strada


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28:23 Un’imboscata coglie la macchina dei protagonisti. L’auto si muove in retromarcia e la camera ruota all’interno inquadrando a 360gradi la scena

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28:39 Compie 360 gradi e torna a inquadrare dal parabrezza quello che avviene davanti a loro


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28:52 Julian viene colpita dal proiettile


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Lunotto posteriore da cui si vede l’arrivo della polizia


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30:17 La polizia ariva, la macchina si ferma, il coducente scende e spara ai due poliziotti

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30:32 La camera e quindi l’inquadratura è fuori dalla macchina, inquadrano Theodore uscire e rientrare in macchina

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30:23 Theodore scende improvvisamente dalla macchina e altrettanto velocemente la camera lo segue fuori dalla macchina

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china quadrata riparte

30:50 La scena si sposta su quello che è appena accaduto; sui corpi dei due poliziotti


Making of

Alfonso Cuaron in questo film, utilizzando tecniche all’avanguardia, riesce a esaltare tutte le sue qualità di regista. La scena esaminata è un lungo piano sequenza all’interno dello spazio ristretto di un’automobile con diversi attori coinvolti. Spazio ristretto che rende questo piano sequenza ancora più affascinante e unico nel suo genere. Importante sia sul piano tecnico-tecnologico sia sul piano puramente registico: la ripresa è eccezionale e rimanda allo spettatore in modo magistrale i momenti di panico della scena. Per questa scena è stato realizzato un macchinario su misura che si “agganciava” all’automobile che ha reso possibile la realizzazione senza stacchi della scena senza però avere staticità di ripresa. Difatti anche se all’interno di uno spazio stretto come quello di un’automobile, la telecamera si muove a 360gradi all’interno dell’abitacolo; frutto di un grande sforzo di


coordinamento necessario tra tutti gli operatori, attori e regista. Sopra all’automobile, adattata per l’occasione e attorniata da impalcature con operatori e inserita su binari per il movimento, abbiamo la telecamera. Telecomandata da una sorta di joystick ha la possibilità di muoversi in ogni direzione (a 360gradi). Al di sopra dell’impianto di ripresa, e quindi sopra l’auto, vi è una piccolo “scompartimento” con cameraman, regista e altri due operatori. Con questo arteficio, realizzato solo per la realizzazione di questa scena, e con altri piccoli espedienti tecnici come, ad esempio, la possibilità per gli attori di muovere i sedili, è stato possibile riprendere la conversazione e l’azione di cinque personaggi in uno spazio così ristretto in un unico shot; immergendo lo spettatore in una scena caotica e affascinante.


2 Diretto da Darren Aronofsky Anno 2000 USA 102 min

Requiem for a Dream Film di Darren Aronofsky è l’adattamento cinematografico del romanzo di Hubert Selby Jr. È un cupo dramma sulla società degradata e “drogata” degli USA, rispecchiata nei personaggi principali: Sarah, matura vedova (Burstyn) videointossicata che esce dal suo stato letargico soltanto quando le promettono un’apparizione nel suo quiz TV preferito; Harry, suo figlio tossico (Leto), che sogna di diventare uno spacciatore d’alto bordo con l’amico Tyrone (Wayans), e Marion, fidanzata di Harry (Connelly), operatrice disoccupata di abbigliamento che si prostituisce. Questo spaccato di umanità perdente alla deriva è raccontato con immagini pop e sperimentali (fotografia: Matthew Libatique) e un montaggio convulso. Nella sequenza analizzata Marion esce dalla casa dove si è prostituita per la prima volta, evidente il suo malessere psicofisico enfatizzato appunto dall’utilizzo della snorricam.


La snorricam

La Snorricam, altrimenti nota come “reverse steadicam” o “chestcam” ha preso piede nell’ultimo decennio grazie alla nascita di cineprese più piccole e leggere. È normalmente usata per brevi scene e limitata ad uno o due utilizzi in un unico film. La Snorricam presenta una inversione del punto di vista, la cinepresa è posizionata frontalmente al viso dell’attore e, fondamentale, collegata al corpo dell’attore in modo che si muova in tempo reale con l’attore. Questa tecnica non è limitante a usi in generi particolari ma, come con la Steadicam, è stata usata con successo in generi disparati, dai film horror alle commedie romantiche. La storia della tecnica è vago, l’uso moderno nasce da un congegno ideato da Einar Snorri Einarsson e Eidur Eysteinsson Snorri, il team creativo che lavorò sotto il nome di Snorri Bros. La Snorricam da quanto dichiarato dal team è stata creata per un video musicale. Da allora è diventata famosa nel mondo. Varie versioni della telecamera sono nate successivamente.


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La scena e il breve piano sequenza inizia in corridorio, dove si trova Marion, appena uscita dall’appartamento del cliente

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58:17 Il montaggio poi ritorna a seguire frontalmente il personaggio di Marion, proseguendo poi fino a fine scena. Il volto mostra un crescente malesere e impazienza dell’arrivo al piano dell’ascensore

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58:35 La scena si conclude con Marion che vomita sotto la pioggia appena uscita, di corsa, dal portone del palazzo


Making of

La Snorricam è una tecnica cinematografica dove l’utilizzo dell’espediente tecnico risulta discretamente evidente. La sua diffusione nel cinema contemporaneo e in televisione è certamente dovuto al team Bros. Snorri, ma la tecnica non è nuova. Versioni della telecamera montata appaiono in pochi secondi Loopy John Frankenheimer e nel film breakout Martin Scorsese Mean Streets. Entrambi i film la usano per trasmettere il disorientamento dei personaggi protagonisti, che caratterizza anche il modo in cui è stato utilizzato in Requiem for a Dream. Darren Aronofsky in Requiem for a Dream ne fa un uso massiccio. Questo film può essere un opera di studio per molte tecniche cinematografiche, con il suo stile vertiginoso dal punto di vista visivo e sonoro. Tra le varie tecniche con cui Aronofsky esprimere il malessere e il disagio dei suoi personaggi, la snorricam è una delle più efficaci. Queste scene non sono mere manifestazioni di males-


sere soggettivo, ma suggeriscono invece un out-of-body dissociante, scene che non sono né onniscienti né soggettive. La Snorricam viene utilizzata tre volte nel film: quando Tyrone (Marlon Wayans) fugge dalla scena del delitto di una banda; quando Marion (Jennifer Connolly) lascia la casa del suo cliente dopo essersi prostituita per la prima volta; durante la scena in cui Sara (Ellen Burstyn) è in preda a deliri paranoidi. La sequenza di Marion è senza dubbio la più viscerale, della durata di più di un minuto. Aronofsky si avvale di due fotocamere differenti, una davanti e una dietro di lei, per catturare il suo cammino, dalla casa del cliente, all’ascensore e fuori dal palazzo,dove, sotto la pioggia, vomita, praticamente, sulla camera. La camera stacca sulla visione da dietro quando Marion chiama e entra in ascensore per poi tornare sullla camera frontale, creando due brevi piano sequenze. L’estraniazione e il malessere sono le sensazioni che vengono ben enfatizzate da questa tecnica. La luce (lampeggiante in ascensore) e la musica fanno il resto.


3 Diretto da Mary Harron Anno 2000 USA 102 min

American psycho New York, 1987: Patrick Bateman è uno yuppie ricco che lavora nell’ambiente di Wall Street come dirigente di una società finanziaria che si occupa di fusioni e acquisizioni. Nella vita privata Patrick è una persona meticolosa, che dedica molto tempo alla cura della propria persona per acquisire il riconoscimento sociale che nella società yuppie è strettamente associato all’apparenza ed al consumismo. Di giorno vive una vita basata su pranzi di lavoro, locali alla moda e riunioni tra amici, in tipica rappresentanza della classe sociale cui egli appartiene, ma che nello stesso tempo lo rende indistinguibile dalle altre persone della sua cerchia. La sua frustrazione esplode di notte, facendo emergere nel protagonista l’assoluto disprezzo degli emarginati, l’invidia nei confronti dei colleghi, e l’aridità affettiva verso le donne, fino a trasformarlo in un serial killer che conserva i corpi, o loro parti, in casa.


La sequenza presa in analisi è l’inizio del film. Dopo un incipit iniziale, viene presentato in modo formale il protagonista. La presentazione del protagonista avviene mostrarci come prima cosa la sua casa; le stanze dall’arredamente d’alto bordo ricco di arredamento di design caratterizza subito il personaggio. In bagno, mentre si specchia nel riflesso, Patrick si presenta: ostentando sicurezza e orgoglio per il suo status symbol mostra il rapporto maniacale con il suo corpo, attraverso la cura minuziosa di se stesso.


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04:56 La presentazione del personaggio inizia, dopo un breve incipit, dalla visione della sua casa dal design impeccabile

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05:13 La voce fuori campo del protagonista presenta se stesso dicendo il suo nome, la sua etĂ e proseguendo con la descrizione del suo stile di via


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05:33 e la cura del viso e del corpo in modo maniacale


Oggetto design Il protagonista del film è uno psicopatico che sublima la sua follia attraverso la sua abitazione: assolutamente impeccabile e algida. Un’estensione del suo corpo, un elemento della sua vita altrettanto importante, che necessita cure e attenzioni, dove anche poggiare una vaschetta di gelato sull’immacolata cucina di acciaio può portare ad una esplosione di violenza. La casa si fa museo per collezionare oggetti “cult”, che si ergono a sem-

plici status symbols, in una disperata corsa all’ostentazione. Nell’appartamento dello yuppie newyorchese Patrick Bateman troviamo in bella mostra, tra gli altri oggetti, una sedia aschienale alto “Hill House” di Mackintosh, prodotto rilanciato dalla riedizione “I Maestri” di Cassina a partire dalla metà degli anni ’70, e la poltrona Barcellona di Mies van der Rohe, sintomo della necessità di avere un ambiente assolutamente “trendy”. Oggetti di arredamento di design simboli dell’ostentazione del personaggio: di ricchezza, di ricerca del bello.


Più approfonditamente questi sono oggetti sublimano il suo malessere e rappresentano la sua ricerca maniacale e malata della perfezione e dell’autorealizzazione di se sopra a tutti. Malessere psichico che diventerà propriamente pazzia e che lo porterà ad altra violenza nel momento in cui il protagonista scopre di non essere quello con l’appartamento più bello, surclassato dal suo amico Paul Allen(Leto), che vive nell’Upper East Side con vista Guggenheim.



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