Progetto terze collegio PioX_completo

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CURIOSANDO PER TREVISO

Breve introduzione al progetto Curiosando per Treviso è il titolo di un progetto della Scuola Media Pio X, realizzato durante l'anno scolastico 2015-16. Per alcuni mesi i ragazzi delle terze medie hanno lavorato con pratica laboratoriale alla scoperta o “riscoperta” della città di Treviso. Sono stati approfonditi svariati ambiti, dalla storia alla musica, dall'urbanistica al cibo, dallo studio dei manoscritti della biblioteca Comunale fino al "nuovo Bailo", passando per l'incontro con alcuni anglosassoni che vivono a Treviso e che hanno condiviso il loro modo di vivere la città. Uno degli scopi di tale lavoro è stato quello di aiutare i ragazzi a conoscere di più i luoghi in cui abitano o trascorrono buona parte del loro tempo, al fine di stabilire un legame, anche affettivo, con la città. Solo attraverso una vera conoscenza infatti si può apprezzare e quindi vivere con occhi e spirito diversi gli ambiti in cui ci si muove, nella speranza che un giorno i nostri alunni, futuri cittadini, si prendano sempre più cura della città. L'attività ci pareva tanto interessante che abbiamo pensato di condividerla, creando un Ebook e un sito, accessibili a tutti. L’obiettivo non voleva essere quello di creare una vera e propria guida turistica, piuttosto di dare un contributo alla conoscenza della città, nella convinzione che lo sguardo e il lavoro dei ragazzi potrà offrire nuove e interessanti prospettive a tutti coloro che amano Treviso. Non mancheranno certo le imprecisioni, i refusi, forse anche qualche errore, ma ricordiamo che si tratta di un lavoro interamente creato da alunni di 12-13 anni; in fondo non si cerca in questo progetto la perfezione, ma un'esperienza per vivere e far vivere la nostra città con consapevolezza rinnovata. L'opera è strutturata in sette capitoli tematici, a loro volta suddivisi in sottocapitoli. Di seguito l'indice generale.


INDICE 

Tracce della storia di Treviso passeggiando per la città

Evoluzione urbana di Treviso

I segreti della biblioteca di Borgo Cavour

Il nuovo Bailo

Treviso: through different eyes

Treviso: la piccola Atene musicale

Il cibo a Treviso ieri e oggi

Ringraziamenti Si ringraziano per la preziosa collaborazione: il Comune di Treviso, lo staff della biblioteca di Borgo Cavour, del museo Bailo e dell'Archivio di stato, l'associazione Treviso sotterranea, i ristoratori che hanno partecipato al laboratorio "Il cibo a Treviso ieri e oggi", tutti i genitori che hanno collaborato e gli anglosassoni che si sono resi disponibili nel laboratorio "Treviso: through different eyes".


TRACCE DELLA STORIA DI TREVISO PASSEGGIANDO PER LA CITTA’

CAP. 1 LE ORIGINI DELLA CITTA’ 1-A: UN PO’ DI STORIA: La preistoria a Treviso Il Trevigiano fu abitato dagli uomini fin dall'epoca della pietra, 10.000 anni fa. Il territorio era collinare e quindi più difendibile, inoltre era ricco di boschi e risorse idriche grazie al fiume Sile e ad altri fiumi. Le prime civiltà iniziarono ad insediarsi attorno a Treviso nel 5.000 a.c., e nella zona corrispondente all’attuale città, i primi uomini si stanziarono sulla collina dove si trova oggi la chiesa di Sant'Andrea. Era una zona rialzata e difesa dai canali. Grazie agli scavi archeologici svolti in questa zona si capì che la città fu fondata proprio su quella collina, poiché furono ritrovati utensili, ceramiche e resti di abitazioni.

L’epoca romana Non si sa con esattezza quando Treviso diventa municipio Romano, ma alcuni reperti ritrovati nei pressi del Duomo attribuiscono questa data al primo secolo d.c. . Nella parte centrale della città, corrispondente all’attuale Piazza dei Signori, s'ergeva il “foro” vicino al quale doveva trovarsi il “quadruvio” Le porte di accesso alla città erano presidiate da soldati armati con funzioni di guardia, sentinella e vedetta. I confini della città erano delimitati dal fiume Sile, il Cagnan, la Roggia, invece i confine delle mura andavano dal Ponte S. Chiliano fino all’ “arx” cioè la Rocca, la parte alta della città, che probabilmente si trovava nella zona si Sant'Andrea. Ci sono molte idee sull'origine del nome della città; i linguisti Holder e Krane pensano che derivi dal celtico “Tarvos”, altri invece propendono per il Carinzio “Tarvis”. Molti reperti di queste epoche sono conservati ora nella parte archeologica del museo di Santa Caterina e del Museo diocesano.

Museo di Santa Caterina: Tracce di grande interesse storico-culturale, si possono vedere andando al museo di Santa Caterina, uno spazio museale da poco sistemato e ampliato che permette esposizioni di importanti mostre di grande interesse che ridanno alla città di Treviso il suo antico splendore e l'etichetta di “città d'arte e di cultura”, oltre alle aree stabili di museo cittadino


In questa parte del museo sono visitabili vari sezioni: la sezione archeologica, la sezione romana, la galleria d'arte medioevale, rinascimentale e moderna, e la pinacoteca con quadri dell'epoca rinascimentale e medioevale. Oltre a queste sezioni, il Museo di Santa Caterina è arricchito dagli affreschi del ciclo di Sant’Orsola, collocati nella sconsacrata chiesa di Santa Caterina, già riccamente affrescata. Il Museo di Santa Caterina ha sede in piazzetta Botter 1; è aperto dal martedì a domenica 9.00 – 12.30 e 14.30 – 18.00. Lunedì chiuso.

Museo diocesano: Un luogo ricco di fascino per gli appassionati d'arte antica e poco conosciuto, è il museo diocesano di Treviso che in sé raccoglie una esposizione archeologica di arte sacra che risale al primo secolo d.c. e contiene materiale artistico fino al diciannovesimo secolo. Sono presenti reperti in pietra di epoca romana che sono stati ritrovati nell'area intorno al Duomo e ci sono due altari funebri che provengono da Altino. Il museo contiene poi interessanti tessuti, opere gotiche, pezzi di arte orafa risalenti al periodo che va dal XIII secolo al XV secolo e affreschi provenienti dal palazzo Vescovile e quadri dal XV secolo al XIX secolo La Sede del Museo si trova in via Canoniche n. 9, con orari di apertura da martedì a domenica dalle 14.30 alle 18.00.

1-B. RESTI DELLA TREVISO ROMANA

Area ricca di tracce della storia romana a Treviso: in rosso resti romani presentati, in blu i due musei dove si possono trovare altre tracce.


Fregi e lapide romana sulla facciata del Battistero di San Giovanni: Sul lato anteriore della facciata del Battistero di san Giovanni in Piazza Duomo, sono situati due esempi perfettamente conservati di fregi romani, posti per abbellire la facciata che risulta molto semplice. Sono scolpiti su marmo e rappresentano motivi di foglie d’acanto che si attorcigliano. Viene usato l’acanto (la stessa pianta del capitello corinzio) perché simboleggia la maestosità di Roma, data la grandezza delle foglie. Probabilmente derivano da tombe ritrovate nel cimitero romano. Sempre sul lato anteriore è situata una lapide discretamente conservata che reca la scritta: P BRAETIS SIBI BRAE TER P BRA VERO M NATIAE C F UX ET PETRONIAE N T F I IN F P XL RET P XLV, ovvero: Publio Brezio dispose per testamento che venisse riservata un’area sepolcrale di 1800 piedi quadrati per sé, per Brezia Terenzia, per Publio Brezio vero, per Munazia figlia di Caio sua moglie e per Petronia figlia di Caio. Come si può intuire, anche questa lapide potrebbe essere stata trovata in un cimitero e ci testimonia, insieme ai fregi, l’usanza romana di seppellire i morti in tombe con delle lapidi.

Lapide dei Seviri: Sul lato sud del campanile è appesa una lapide, sempre in latino, che dice: L LAMPONIUS L L ONESIMUS P CARMINIUS P L LICINUS P TERENTIUS P L VEGETUS P CARMINIUS P L PRIMUS IIIIII VIRI VIAM CUM CREPIDINIBUS A QUADRUVIO AD MURUM STRAVERUNT OB HONOR, ovvero I Seviri Lucio Lamponio Onesimo liberto di Lucio, Publio Carminio Licinio liberto di Publio, Publio Terenzio Vegeto liberto di Publio, Publio Carminio Primo liberto di Publio lastricarono e dotarono di marciapiedi la strada dal Quadrivio al muro della città. E ciò fecero per onore della loro carica. Questo reperto è importantissimo perché ci    

dà molte informazioni: dal momento che l’iscrizione è stata ritrovata nei pressi del Calmaggiore, si può intuire che la strada descritta sia il Calmaggiore stesso; dato che la magistratura dei Seviri amministrava i Municipium si capisce che la città era un Municipium; a Treviso c’era una classe dirigente formata da liberti; costoro dovevano essere molto ricchi, tanto da potersi permettere la costruzione di una strada.


Il fatto che si parli della necessità di costruire un marciapiede, ci fa capire che la strada romana probabilmente era molto trafficata e che quindi Treviso doveva avere un’intensa attività economica.

Mosaico Paleocristiano:

Risalente

alla

prima metà del IV secolo d.C., ma ritrovato solo in seguito a scavi nel 1967, in Via delle Canoniche, vicino al Duomo, è situato un magnifico esempio di testimonianza di una civiltà Romana. È un mosaico Paleocristiano rotondo, molto più grande della recinzione da cui si può osservare. Misura infatti circa 10 metri di diametro ed è circondato da sette esedre (strutture semicilindriche sormontate da una semicupola) larghe circa 4,5 metri per 4 metri. In questo tipo di esedre non è presente però una struttura tridimensionale ma bidimensionale costituita da un semicerchio di mattoni rossi ‘incastonati’ attorno a questa circonferenza. Non si è riuscito ancora a capire bene come fosse il complesso planimetrico in origine, pertanto non si sa ancora né come né dove si trovava l’ingresso. Nel decretare il tipo e la funzione di questa struttura gli studiosi sono ancora incerti. Alcuni accettano l’idea che il mosaico facesse parte di un battistero Paleocristiano, altri invece pensano si tratti di un ambiente termale o ad una casa privata, per alcuni soggetti non religiosi. L’ipotesi più accreditata è comunque che fosse un battistero sia per il foro centrale, tuttora coperto da una griglia forata che poteva costituire il fonte battesimale, sia perché prevalgono i smboli religiosi rappresentati con le tessere. Queste tessere ricoprivano, fungendo da pavimento, sia il luogo circolare che le sette esedre. Oramai il mosaico non ha più tutte le tessere, ma con gli ampi frammenti rimasti ed alcune conoscenze basilari sullo stile Paleocristiano (esempio: uso delle figure in modo simmetrico) si può ricostruire con buona approssimazione il mosaico come doveva essere un tempo. Si può suddividere in tre fasce. Nella fascia esterna, compresa tra il blu e l’azzurro scuro, sono rappresentati pesci affiancati a due a due con le code incrociate attorno ad un tridente. Ogni coppia è intervallata e divisa dalle altre da una conchiglia contorta, simile ad un paguro. È stato scelto proprio di rappresentare il pesce perché è simbolo di Cristo. Infatti esiste una parola greca ( ichthys = pesce) che è acrostico di altre cinque parole greche (Iesùs Christòs Theoù Yiòs


Sotètur = Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore). Allo stesso tempo i pesci potrebbero rappresentare i Cristiani come ‘pescati’ dagli Apostoli (pescatori di uomini) nell’acqua del Battesimo per rinascere ad una vita nuova. Nella fascia centrale, nonché la più estesa (compresa tra l’azzurro scuro e quello chiaro), sono rappresentati tralci di vite (simboli di Cristo) con uccelli e amorini alati, probabilmente angeli, impegnati nella raccolta dell’uva, anch’essa simbolo di Cristo assieme al grano (rispettivamente vino e pane). I vari uccelli che trovano ospitalità fra i tralci della vite richiamano il Paradiso e la vita eterna, in modo particolare il pavone che diventerà proprio a partire dall’arte Paleocristiana simbolo di eternità. È presente inoltre una testa, coronata di uva: essa potrebbe raffigurare o una stagione, probabilmente l’autunno, o il volto del committente. La fascia interna (azzurro chiaro) è infine ornata ancora una volta di pesci, che rappresentano Cristo e conchiglie, che richiamo il mare del Battesimo.

Sarcofago Paleocristiano: È situato nel giardinetto che si trova sul lato ovest ed è stato rinvenuto nel 1959: si tratta di un sarcofago paleocristiano ricoperto da una copertura a volta. Risale al V secolo e conteneva gli antichi abiti, il corredo funerario e una preziosissima crocetta d’oro con una pietra preziosa incastonata, il tutto appartenente ad una bambina di cui però non sono presenti i resti. Si ipotizza che fosse un bambina per le dimensioni di vestiti e del sepolcro e per l’ornamento tipicamente giovanile presente nel suo sarcofago. La preziosità del contenuto indica che probabilmente la bambina apparteneva ad una classe sociale elevata.

Bassorilievo con menade:

Sulla parete

ovest del Duomo, verso vicolo delle Canoniche si trova inserito sul muro un bassorilievo raffigurante una menade. La figura e la scritta sovrastante sono appartenenti a due epoche diverse. La figura in sé era pagana ed era simbolo di una vita ultraterrena felice e tranquilla. Quindi potrebbe provenire da


un sito pagano. In seguito questa pietra potrebbe essere stata ritrovata e riutilizzata per segnare il confine tra due proprietà (una delle quali apparteneva al clero). Gli studiosi dedussero ciò per l’incisione presente, ECCŁASTICUM, abbreviazione di ECCLESIASTICUM.

Edicola funebre:

All’altezza del civico 36 del

Calmaggiore, si può ammirare un’edicola funeraria (che ha la forma di un tempietto) di epoca romana. Reca scolpite in altorilievo le teste di due persone e fu trovata probabilmente nell’area del cimitero romano. Su questi soggetti scolpiti sono state formulate diverse teorie. Qualcuno sostiene che si tratti di una coppia di sposi, come in un’altra edicola simile situata al Museo di Santa Caterina, mentre altri sostengono che si tratti di una matrona romana con il figlio, viste le diverse dimensioni delle teste. Qualunque sia la versione corretta, comunque questa edicola ci testimonia che presso i romani c’era la volontà di ricordare i defunti, usanza testimoniata (per esempio) con la lapide sul Battistero e col sarcofago nel suo lato ovest

Strada romana:

Al civico 10 del Calmaggiore c’è una lapide che ricorda questa

strada, rinvenuta nel 1973 sotto il Calmaggiore e risalente all’epoca romana. E’ la strada lungo la quale i Seviri avevano posto il marciapiede; andava dal Quadruvio (incrocio tra Cardo e Decumano) fino alle mura cittadine. Si trova a tre metri di profondità sotto il Calmaggiore attuale, e ciò ci testimonia che la città romana era più bassa dell’attuale Treviso, ma non segue la sua direzione bensì è leggermente ruotata. Importante è vedere che già in epoca romana esisteva l’odierno marciapiede come si vede nella foto e che quindi c’era l’interesse di salvaguardare i cittadini onde evitare che venissero investiti da carri.

CAP. 2 - LA TREVISO MEDIEVALE 1-A. UN PO’ DI STORIA: Con la caduta dell’impero romano d’occidente nel ‘400, Treviso diviene un Comune medioevale, prima sotto i Bizantini, dal 553 al 568, poi sotto i Longobardi che risparmiano la città grazie alla sottomissione del vescovo Felice. Dopo il 776 Treviso seguì le sorti del dominio carolingio: Carlo Magno la cinse d’assedio e la conquistò. La città divenne sede di un comitato e parte del Marchesato del Friuli.


Alla morte di Carlo Magno, nell’814, i suoi eredi non seppero reggere unito l’impero e la città di Treviso passò un periodo di grave decadenza: la Zecca venne trasferita a Verona e la città non fu più capitale della Marca. Nei secoli X, XI e XII nella città e sul territorio circostante ebbero grande importanza i vescovi e ciò fu favorito dagli imperatori germanici. Accanto al vescovo si affiancò la figura del conte, rappresentante dell’ imperatore: tale titolo fu probabilmente detenuto in modo stabile dalla famiglia dei Collalto. Il più antico documento che ricorda come venne costituito il Comune di Treviso è il diploma di Federico I nel 1164 che riconosce i Consoli e concede al Comune un’ampia serie di esenzioni e franchigie. La città viene progressivamente dotata di mura: i lavori cominciarono nel 1178 per finire nel 1230; questa cinta comprendeva anche tutti i bordi esterni nei quali la città, fino a quel momento stretta nel suo perimetro quadrangolare, era andata sviluppandosi, occupando anche l’isola formata dai Cagnani. Nella città trovarono sede molti complessi conventuali, fra i quali i Domenicani, con la chiesa di S. Nicolò, nel 1221 e i Francescani nel 1216, con il convento e la chiesa di San Francesco. Cominciò allora per Treviso la sua epoca più gloriosa. Estese il dominio, si abbellì, fu prospera ed ospitò poeti e trovatori e tenne feste cavalleresche (famosa la festa del Castello d'Amore), che le valsero il nome di "Marca gioiosa et amorosa". Treviso nel 1338 passa sotto Venezia e rimarrà sotto la città lagunare fino al 1797. Un itinerario di visita della città medievale può riguardare i principali monumenti di quell’ epoca, soprattutto le chiese, gli affreschi interni e le case affrescate, che le diedero l’appellativo di “urbs picta”.

1-B. RESTI DELLA TREVISO MEDIOEVALE Percorso sulle tracce della storia delle due guerre a Treviso: in nero tracce della 1° guerra, in blu tracce della 2° guerra

Percorso che collega le tracce della storia del Medioevo a Treviso: in rosso resti medioevali, visibili all’esterno,, in blu altri resti visibili all’interno di palazzi o chiese.


Passeggiando per Treviso si possono ammirare molti palazzi caratterizzati da elementi stilistici tipici del Medioevo, I REGALZIER E I MARCAPIANO e le finestre in GOTICO VENEZIANO, con finestre a trifoglio, in arco a sesto acuto tipicamente gotico.

Il Regalzier

è un termine austriaco che significa “dipinto nobile”; si tratta di una tecnica utilizzata già dagli antichi Romani, per abbellire le case delle famiglie patrizie, segnando con due colori (spesso bianco e rosso), la disposizione dei mattoni, ottenendo così semplici figure geometriche. Si otteneva coprendo i mattoni del muro esterno con un sottilissimo strato di calce, sul quale veniva dato il colore per tracciare il contorno dei mattoni. Anche a Treviso, in epoca medioevale, questa tecnica entra dai primi secoli e oggi, girando per la città possiamo vedere ancora alcuni regalzier in diversi palazzi, dove il materiale povero veniva impreziosito. Alcuni esempi di Regalzier a Treviso si possono vedere in: Vicolo S. Gregorio Via S. Nicolò no 13 Casa Dal Corno in Piazza Duomo Casa sul Cagnan a Ponte San Francesco Via Campana Pescheria

I Marcapiani sono strisce decorative che servivano per segnare esternamente la divisione dei piani e per decorare le facciate rompendo l’uniformità delle decorazioni a tappezzeria.

Partendo da via Canova possiamo ammirare molti palazzi medioevali in giro per la città

Ca’ da Noal Il palazzo in gotico veneziano, in Via Canova 38, è considerato il palazzo più antico di Treviso. Appartenne alla famiglia Campagnaro di Noale. E’ stato costruito nel secolo XIII, ma è stato restaurato dopo il bombardamento di Treviso, da Botter e Melchiori. Si tratta di un complesso molto caratteristico. Il palazzo ha pianta a “T”. Il prospetto della facciata che guarda in via Canova è caratterizzato da 5 grandi archi sesto acuto su dei pilastri. Sotto l'ampio portico con soffitto si aprono un portone in pietra d'Istria e cinque finestrelle di forma quadrata. Il piano nobile è invece caratterizzato da bifore alternate tutte con un arco gotico trilobato dove si trovano anche degli affreschi a finta tappezzeria a fiori rossi e verdi su uno sfondo bianco con festoni e cornici ed anche scene di amori


mitologici. Sotto le finestre invece ci sono delle decorazioni in finto marmo. Sono presenti poi altre decorazioni all'interno della casa nel salone al piano nobile e nel giardino interno Invece il fianco che guarda via fra' Giocondo si apre una monofora con poggiolo e altre finestrelle sempre a forma quadrata ed alcune ad arco acuto.

Casa del Corno L'area del duomo costituisce fin da sempre il polo religioso della città di Treviso. Sul lato destro di piazza Duomo, accanto al Vescovaldo antico, ma più volte rimodernato, si può vedere Casa Dal Corno, un palazzetto in stile tardo gotico veneziano, con delle caratteristiche decorazioni in terracotta attorno alle finestre ad archi trilobati che creano movimento. Il palazzetto risale più o meno al 1400. Oltre alle particolari decorazioni in terracotta sono presenti anche degli affreschi che presentano delle figure astratte, tipiche di questo periodo, e il simbolo di Bernardino Da Siena, verso la strada. A sostenere il peso della casa, ci sono cinque archi a sesto acuto, ma la parte più importante del palazzo è la parte superiore affrescata e arricchita di finestre decorate in gotico veneziano.

Ca’ dei Ricchi: Ca’ dei Ricchi o Casa dei Ricchi è un palazzo di epoca medioevale, esattamente della seconda metà del 1400, che si trova fra Via Barberia, al numero 25, e Vicolo San Gregorio, al numero 10. Apparteneva alla famiglia degli Azzoni Avogadro; divenne la sede del Collegio dei Nobili e per un certo periodo fu la sede del Municipio, quindi fu anche una scuola femminile. Si vede che è un palazzo Medioevale per molti aspetti, per esempio le finestre in stile gotico veneziano, tipiche del Medioevo, oppure per i Regalzier, composizioni geometriche fatte con i mattoni di diversi colori al fine di abbellire i palazzi, o per i Marcapiani, strisce decorative che servivano per far vedere la divisione dei piani esternamente.


Palazzo di P.za Sant’Andrea Il palazzo che si trova in Piazza Sant’Andrea, al numero 10, proprio di fronte alla chiesa di Sant’Andrea, ed è un palazzo di epoca medioevale. Si vede che è un palazzo medioevale dalle finestre, dai Marcapiani, strisce decorative che servivano per far vedere la divisione dei piani esternamente, e dai Regalzier, composizioni geometriche fatte con i mattoni di diversi colori al fine di abbellire i palazzi, infatti i 2/3 del palazzo sono di un’edificazione gotica. Il palazzo fu modificato nel XVI perché vennero aperte ampie finestre superiori, poi adattate alle altre finestre del palazzo. Non si sa con certezza a che famiglia appartenesse questo palazzo perché secondo Mario Botter il palazzo apparteneva alla famiglia Da Borso, ma non è certo perché secondo Bailo non era così.

Ca’ dei Carraresi Ca’ dei Carraresi è

un palazzo di epoca Medioevale che ha due facciate; una si trova in Via Palestro, l’altra si trova davanti al fiume Cagnan, difronte all’isola della pescheria di Treviso. La facciata in Via Palestro ha un portico con cinque arcate a tutto sesto, rette da quattro pilastri in pietra e da una serie di quattro trifore; la facciata della pescheria era molto simile a quella di Via Palestro, solo che aveva un grande terrazzo, che oggi è stato sostituito da una vasca di Pietrasanta. Il nome del palazzo deriva dal fatto che nella facciata si può vedere l’emblema della famiglia dei Da Carrara, riemerso da poco perché era stato nascosto da uno strato di calce; anche se l’emblema appartiene a questa famiglia, Ca’ dei Carraresi non era la residenza ufficiale della famiglia, perché nel 1375 aprirono l’Osteria alla Croce, anche se l’edificio era stato costruito per essere una casa privata. L’osteria, però, durate la sua storia, è appartenuta a diverse famiglie, come i Da Carrara, i Berton, i Desenovo, famiglia veneziana e i Gherardo, anche questa famiglia veneziana. Attualmente Ca’ dei Carraresi, dopo un importante restauro, è diventata uno dei musei più importanti di tutta Treviso, infatti ci sono state importanti mostre come quella su Canaletto o sul Greco.


Il palazzo, però, non è solo un museo, perché all’ultimo piano c’è una sala convegni, che ospita seminari, conferenze e altri tipi di presentazioni. Da notare anche il palazzo di fronte a Ca’dei Carraresi, anche questo del ‘400, con la facciata decorata con i regalzier

Case in Pescheria A Treviso le acque rappresentano l'elemento caratteristico. Tra i due rami del Cagnan Grande, che si divide in dei Buranelli, del Siletto e della Pescheria,vi è l'isoletta della pescheria formata dai detriti portati dal fiume. Ora per merito della Fondazione Cassamarca rappresenta anche un'area per incontri artistici e culturali a livello internazionale. Uno dei palazzi più belli della pescheria è quello che si trova proprio di fronte al fiume, dotato di tre piani e di un cortile interno. Certamente la facciata del palazzo nel medioevo doveva essere completamente affrescata. Ora si possono ammirare ancora begli affreschi a tappezzeria; nella parte destra si notano dei rombi con colori sgargianti(giallo e arancione) fino agli archi a tutto sesto e in alto vicino al tetto ci sono degli affreschi a motivo ornamentale che raffigurano dei draghi. L'altra facciata invece presenta dei fiori di un azzurro molto chiaro su uno sfondo bianco. Il complesso cinquecentesco, con il suo largo porticato, si riflette nelle acque del Cagnan, che in questo punto prende il nome di Canale dei Buranelli.

Palazzo in Via Tolpada Questa casa medioevale in via Tolpada 5-11, apparteneva alla ricca famiglia De Zottis, che fece eseguire una parte delle decorazioni da Giovanni da Crema. La festosa facciata con riquadri gotici e gli emblemi di Cristo e San Bernardino, dopo la monomissione ottocentesca, subì recentemente il cambiamento più radicale: falsarono lo stile delle finestre, e stravolsero lo stile di pieni e vuoti presenti nella più piccola versione originale. All'interno della casa si trova un cortile, con una scala a due rampe ad “L”dove in cima si trovano una porticina rettangolare, una bifora e una trifora simili a quelle nella facciata principale. Il cortile contiene anche una piccola casa detta “del capitolo” che si trovava in via Canova. Una parte importante della casa, come di molte case qui a Treviso, è il camino in stile sempre gotico veneziano. In questa casa vi sono conservati anche dei frammenti della fontana delle tette.


1 B- LE CHIESE MEDIOEVALI Chiesa di Santa Lucia: La chiesa di Santa Lucia è una chiesa di epoca medioevale che si trova in piazza San Vito. Fu costruita a metà del 1300 dove prima c'erano le carceri di Treviso che furono distrutte da un incendio. L'interno della chiesa ha un soffitto abbastanza basso con tre volte a crociera poste su sei colonne e ha poca luce. Nel 1389 fu ingrandita e fu modificato l'orientamento del suo asse, infatti la cappella che si trova a destra dell'ingresso, era l’abside della chiesa, che è decorato con degli affreschi del XIV secolo che ritraggono le “Storie della Passione”. Sempre nella parte destra è stata collocata la Madonna del Pavegio, attribuita a Tommaso da Modena, che raffigura la Madonna con il Bambino in braccio, mentre lui cerca di seguire la farfalla, cioè il “pavegio”. Quest’immagine appare di nuovo nella parete in fondo alla chiesa, in un bassorilievo. Nelle volte delle tre campate e nelle pareti sono presenti degli affreschi della fine del XIV secolo, che raffigurano storie di Santi, come per esempio la storia di San Giovanni o di San Cristoforo. Nella chiesa c’è inoltre una porta che collega la chiesa Santa Lucia alla chiesa di San Vito.

Chiesa di San Francesco La chiesa di San Francesco è una delle più antiche della città. Risale ai primi tempi della diffusione dell'ordine francescano ed è stata realizzata tra il 1230 ed il 1270 sotto Papa Innocenzo III. E' stata costruita al posto di un'altra chiesetta per l'entusiastica crescita dell'ordine francescano. Più avanti, per la numerosa crescita di fedeli si decise di costruire una serie di cappelle intercomunicanti che formarono una vera e propria navata. Da notare l'elegante soffitto ligneo e il movimento delle cinque cappelle absidali che l'allargano all'altezza del transetto. Internamente riflette lo stile austero delle altre chiese romanico-gotiche di Treviso. La struttura è con pianta a croce latina Nella chiesa vi si conservano numerosi resti di affreschi medioevali ad esempio, tra le opere di maggior prestigio,si possono ammirare la Madonna e i santi di Tommaso Da Modena.


Particolarmente interessanti sono gli affreschi delle absidi. Nella cappella dedicata a San Giovanni Battista troviamo un dipinto di Tommaso da Modena che raffigura la Madonna con alcuni santi. Sul fondo del transetto di sinistra è murata l'arca di Pietro Alighieri il figlio del poeta morto a Treviso nel 1364.

La chiesa di San Nicolò La Chiesa di San Nicolò fu costruita ai primi del ’300 dai Domenicani anche grazie ai cospicui lasciti del frate Niccolò Boccalino, più noto come Papa Benedetto XI. La Chiesa sorse ai margini di quella che era la zona più urbanizzata di Treviso, verso Ponente, al di là della quale vi erano soprattutto terre incolte. La storia dell’edificazione della Chiesa fu segnata dal crollo della torre campanaria che demolì buona parte delle cappelle sottostanti e da un’interruzione causata dalla peste che colpì Treviso nella prima metà del XIV secolo. Con le sue forme semplici, ma allungate verso l’alto, con le massicce murature perimetrali appena rotte da sottili feritoie da dove una luce entra temperata dalle antiche vetrate, la Chiesa di San Nicolò segna un momento di transizione tra il robusto stile romanico e l’elegante gotico di origine transalpina. Le tre navate segnate da massicce colonne, erano coperte di affreschi della scuola di Tommaso da Modena e certamente in parte del maestro. Molti di questi affreschi sono ancora visibili. Sulla parete perimetrale della navata di destra vi è un organo del Callido affiancato da un grande affresco di San Cristoforo alto fin quasi alle capriate. Nell’attiguo convento dei Domenicani, oggi Seminario vescovile, ricco di due bei chiostri, si può visitare la splendida

del Capitolo,

Sala

affrescata da Tommaso da Modena. L’affresco copre l’intero perimetro del grande vano rappresentante Domenicani illustri, ognuno inquadrato entro una propria nicchia – studiolo. Fra le varie figure si nota la famosa immagine di un frate con i primi occhiali della storia dell’arte. Per visitare la sala chiedere alla portineria del Seminario.


Complesso del Duomo e del Battistero di san Giovanni La città sia romana che medioevale aveva un centro religioso all’inizio del Calmaggiore, formato dal Duomo, dal Battistero e dal campanile. Del Duomo probabilmente di origini paleocristiane, ci restano ricordi in dipinti che ne testimoniano la sua struttura romanica (vedi quadro del Coghetto qui a fianco); la chiesa infatti fu distrutta e ricostruita a fine ‘700 nella sua forma attuale, in stile neoclassico, mentre la facciata attuale è dell’800. Solo nella parte absidale del duomo rimangono alcuni segmenti della muratura originaria (XIXII secolo). La parte più antica della chiesa , risalente al sec. XI, è invece ancora la cripta, ben conservata, malgrado alcuni interventi del Quattrocento. Il locale, piuttosto basso, è diviso in tre navate da 68 colonne. Nell’abside si trova l’arca con il corpo di San Liberale, patrono della città ed in alcune si possono vedere ancora tracce di affreschi. Del Duomo romanico restano i leoni che sostenevano il protiro e il portale, restaurato di recente e visibile oggi all’interno della chiesa. All’interno del Duomo oggi si possono ammirare diverse cappelle ma quella più interessante è la Cappella dell’Annunciazione o del Malchiostro, a destra dell’altare maggiore, con una pala di Paris Bordone, quadri del Pordenone, Girolamo da Treviso e del Capriolo, ma soprattutto la bellissima Pala dell’Annunziata di Tiziano. Il Battistero, oggetto di restauri che lo hanno riportato all'aspetto originario, ha la superficie muraria scandita da lesene unite da coppie di archetti. Nella parte absidale si possono ancora osservare tratti della muratura originaria, con le lesene a doppio incasso. Nei pressi del fianco sinistro del duomo sorge il massiccio campanile, incompiuto nella sommità. La sua base infatti è sproporzionata rispetto all’altezza e pare sia rimasto così basso, per ordine dei Veneziano che non volevano superasse il campanile di Piazza San Marco.

1CALTRI LUOGHI INTERESSANTI DEL MEDIOEVO A TREVISO La loggia dei cavalieri E' stata realizzata nella seconda parte del 1200 in centro città, sotto il governo del podestà Giacomo da


Perugia. Si tratta di un edificio in mattoni, a pianta quadrilatera irregolare, con un tetto a quattro falde in coppi. Pur avendo una struttura semplice, questa loggia dove si incontravano esclusivamente i nobili per partecipare ai giochi di società, ha comunque un'impronta particolare ed è unica nel suo genere, perché non esiste nessuna loggia di questo stile e di questo tempo. Per molto tempo l’edificio andò in rovina, utilizzato per usi molto vari: deposito di legnami, deposito di botti e addirittura deposito di casse da morto. Vi venne perfino costruita una casa attorno! Solo pochi anni fa è stato fatto un bellissimo lavoro di restauro ed ora si può ammirare la sua smagliante decorazione policroma, anche se i colori sono un po’ sbiaditi. Queste decorazioni si possono vedere anche nella parte interna, dove il peso dell'intera loggia è sorretto da una grande colonna in granito violetto e dove sono presenti molte figure. All’esterno invece sono raffigurati una serie di grandi scudi, stemmi e cavalieri ripetuti a motivo ornamentale.

Palazzo dei Trecento Palazzo dei trecento è uno dei palazzi più importanti e famosi di Treviso e si trova tra Piazza dei Signori e Piazza Indipendenza. Risale ad epoca Medioevale, precisamente al XIII secolo e fu costruito per ospitare il Consiglio dei Trecento, formato da circa trecento persone e guidato dal Podestà per stabilire la giustizia durante il periodo in cui a Treviso regnava la Repubblica di Venezia, infatti siccome era la sede del Consiglio, il palazzo veniva anche chiamato Palazzo della Ragione. Il Palazzo, però, non è sempre stato come lo vediamo oggi, perché fino a metà del XVI secolo non c’era la loggia che oggi comunica le due piazze, inoltre anticamente le scale che venivano usate per accedere al palazzo si trovavano in Piazza dei Signori; solo nel 1906, infatti, la scala fu spostata nella posizione in cui è attualmente, con l’accesso da Piazza Indipendenza. Palazzo dei Trecento fu restaurato anche nel 1944, a causa di una grave distruzione causata dal bombardamento del 7 Aprile 1944 , infatti si possono ancora vedere i segni del palazzo originale e di quello rifatto dopo il bombardamento; anche in alcuni scalini della scala si può vedere un segno con scritto i giorni in cui il muro del palazzo è stato raddrizzato grazie ad un sistema di tiranti e contrappesi. All’interno del palazzo si possono vedere alcuni stemmi del Podestà della città e diversi tipi di affreschi, restaurati nel 2007. Attualmente il Salone dei Trecento è alto 12m, largo 20m e lungo 46m e viene usato per ospitare conferenze, dibattiti pubblici o mostre d'arte ed è molto difficile visitarlo, perché molto spesso è chiuso.


Case Torri Le case torri sono delle case costruite come delle vere e proprie torri, come si capisce dal nome. Furono costruite nel XIII secolo perché molti nobili, abituati a vivere in castelli, si trasferirono a Treviso per la bellezza della città, si costruirono delle case con delle torri, sia per ricordare i loro castelli sia per garantire alla propria famiglia maggiore sicurezza. A Treviso ce ne sono tre che sono ancora visibili: •La Torre Rossignona: questa torre si trova in Via Paris Bordone ed è del 1200 circa. Ha una costruzione in mattoni a pianta quadrata; la parte inferiore è stata rifatta tutta, mentre la parte superiore ha subito delle modifiche, ma la struttura è ancora quella originale. Le finestre hanno un arco superiore cieco leggermente incavato o a filo muro. •Torre dei Canonici: anche questa torre si trova in Via Paris Bordone, al numero 18, e si affaccia su Piazza Pola e risale al 1200 circa. La facciata della torre che si affaccia su Piazza Pola ha due ingressi a tutto sesto; sopra l’ingresso più grande ci sono due stemmi in pietra: quello della famiglia Loredan e quello capitolare. Questa torre ha subito, nella sua storia molti rimaneggiamenti; uno dei più importanti è quello fatto agli inizi del XV secolo da Canonico P. Loredan quando fu ristrutturata la parte sinistra della torre. Nella sua storia furono fatti pero altri restauri durante il XIX secolo. •Torre del Visdomino: fu costruita nel 1500; questa torre veniva anche chiamata “Torre Cornarotta” perché si trova in Via Cornarotta, al numero 14, in una via che aveva preso questo nome in epoca romana dal latino “Cornua Rupta” perché in qualche modo la via tagliava le strade principali. La torre fu poi acquistata nella metà del 1500 dalla famiglia dei Burchiellati, infatti fu abitata da Bartolomeo Burchiellati e agli inizi del 1900 fu usata come studio dallo scultore Arturo Martini.

Affreschi di Tommaso da Modena Tomaso Barisini da Modena, in arte Tomaso da Modena, nato a Modena tra il 1325 e il 1326 è un pittore attivo in Italia settentrionale tra il 1350 e il 1375. Sono poche le notizie sulla sua attività giovanile, ma molto importante è la sua attività a Treviso, soprattutto affreschi, visibili in chiese che si trovano in varie parti della città. Nell’anno 1352, ha incarico, dai Domenicani, di rappresentare la storia e la gloria del loro ordine, nella sala capitolare del convento di San Nicolò. Con questa galleria di ritratti il pittore documenta i membri più illustri : da Domenico di Guzman a Tommaso d’Aquino. Suoi sono, quindi, i quaranta ritratti di domenicani nella Sala capitolare del Convento di San Nicolò. Nella chiesa, inoltre, Tomaso affresca un San Girolamo nel suo studio e un trittico con San Romualdo, Sant’Agnese e il Battista.


Soprattutto nella serie dei Ritratti di Domenicani dimostrò una pittura realistica e concreta, perché ritrasse quaranta membri illustri dell'ordine, ciascuno seduto al suo scranno, in pose reali e così espressivamente caratterizzate da far pensare che si sia servito di modelli, magari gli stessi frati del convento. Negli affreschi sono rappresentati uomini giovani e meno giovani, ognuno occupato in un'azione diversa. Il realismo è tale che l’artista raffigura qualcuno malato, qualcuno con la barba incolta, così da avere tutta una serie di personaggi dei quali, per la prima volta, viene tentato uno studio psicologico. In un ritratto gli occhiali vengono per la prima volta raffigurati e riprodotti nei minimi particolari, compreso il perno che li tiene sul naso e che permette di richiuderli. Un altro ritratto dell’affresco raffigura un altro cardinale domenicano francese, Nicolas de Fréauville (1250-1323) mentre accosta un libro vicino agli occhi per leggerlo meglio con una lente di ingrandimento. Anche in questo caso si tratta della prima rappresentazione pittorica al mondo di una lente di ingrandimento. La migliore vena narrativa venne espressa anche nel Ciclo di Sant'Orsola nella chiesa di Santa Margherita degli Eremitani, del 1360-66, salvato da oggi conservato nella chiesa di Santa Caterina, sede dei Musei civici di Treviso. La forma è vivace ed immediata, la mimica varia ed efficace, la varietà dei personaggi e dei costumi è amplissima. Altri affreschi di Tommaso da Modena sono nella chiesa di San Francesco (vedi) e di Santa Lucia (vedi).

CAP. 1 TREVISO FRA ‘500 e ‘600 1-A. UN PO’ DI STORIA: All’ inizio del XVI secolo, in Veneto si stava combattendo una guerra tra la Serenissima, cioè la Repubblica di Venezia di cui Treviso faceva parte, e la Lega di Cambrai, una lega che univa il papa Giulio II, Ungheria, Austria e Francia. Finita la guerra, nel 1514, Venezia decise di fortificare Treviso per garantirsi una maggiore difesa in caso di attacco dagli stati che avevano aderito alla Lega di Cambrai. Il progetto fu affidato al frate francescano Fra’ Giocondo, che ristrutturò le vecchie mura e realizzò due nuove porte: Porta San Tommaso e Porta Santi Quaranta, oltre alla già esistente Porta Altinia. Nel 1513 si presentò la possibile minaccia di un nuovo attacco da parte delle truppe tedesche; così furono demoliti i monasteri di Santa Maria Maggiore e il monastero di Santa Maria Maddalena, per creare delle difese maggiori. Nel 1631 a Treviso una grave peste causò 1023 morti. Il 25 Febbraio del 1695 la città fu colpita dal terremoto che non causò gravi danni alla città, ma fu particolarmente distrutto in pedemontana. Il fatto che la città fosse stata risparmiata fece si che due lampade fossero offerte al Duomo e alla chiesa di Santa Maria Maddalena e tale fatto fu accaduto nel giorno di Santa Costanza.

1-B. PALAZZI DELLA TREVISO RINASCIMENTALE


Percorso che collega le tracce della storia del Rinascimento a Treviso: in giallo palazzi del 5-600, , in blu altri resti visibili in città.

Partendo sempre da via Canova 40, possiamo ammirare esempi di Palazzi rinascimentali, che hanno arricchito di colore la città di Treviso. Tipici di questa epoca sono gli affreschi cambiati rispetto all’epoca medioevale: al posto di disegni geometrici, che servivano per dare l’idea di aver ricoperti i palazzi di tappezzeria, si possono ammirare personaggi e scene, tipiche dell’epoca rinascimentale. Anche l’architettura cambia e le facciate vengono arricchite di finestre più grandi e squadrate e di loggette centrali, di solito sopra il portone d’ingresso, con quattro o cinque finestre e un balcone.

Ca’ Robegan Ca’ Robegan è un palazzo dell’epoca rinascimentale che si trova nel centro storico di Treviso, in via Canova n40. Il palazzo risale a XVI secolo ed è appartenuto al Sig. Costantino Robegani, il quale era un ricco notaio dell’epoca. Di primo impatto si può notare la facciata del palazzo, ricoperta da un affresco decorativo raffigurante volti e mezzi busti di donne e uomini. Nella parte centrale della facciata del palazzo, più precisamente a destra, c’è un piccolo terrazzino con tre archi che fungono da “portafinestra”, mentre nella parte sinistra vi è raffigurata una dama con tre paggi che la accompagnano verso territorio collinare che funge da sfondo, all’interno di un arco.


Nella parte bassa della facciata, come si vede nella ricostruzione, ci sono tre raffigurazioni di due uomini che indossano abiti che ricordano i vestiti degli antichi greci, invece la terza figura è una donna nuda. Infine, come tutti i palazzi rinascimentali, sotto il palazzo vi sono due archi e un portico,i quali vengono utilizzati come marciapiede.

Palazzo dei mercanti Questo palazzo, all’incrocio fra il Calmaggiore e Vicolo Podestà, venne costruito, come si legge nella lapide che si può leggere all’imbocco di Vicolo Podestà, “fra la fine del ‘500 e l’inizio del ‘600”. Non si sa da chi venne realizzato, ma è sicuro che era un casa utilizzata in passato a scopo dei mercanti, i quali vi abitavano e al primo piano vi avevano costruito un negozio dell’epoca. Erano soprattutto mercanti di “ferro, di oglio, di sapone e di cascio” La facciata presenta ancora resti di affreschi, soprattutto nella parte alta, e la loggetta centrale tipica dei palazzi di questo periodo.

Palazzo Coletti in Piazza Filodrammatici Dietro alla loggia dei cavalieri c'è una piccola piazzetta che si chiama piazza Filodrammatici, poiché nel palazzo di questa piazza aveva sede la Società ottocentesca Filodrammatica e qui metteva in scena varii spettacoli. In questa piazza vi sono due grandi palazzi del periodo rinascimentale che purtroppo hanno perso la maggioranza degli affreschi sulla facciata. Il palazzo che chiude la piazza è un palazzo del 500, ma che doveva essere già preesistente. Fu costruito nel ‘500 dalla famiglia Betignoli-Bressa, poi appartenne agli Onigo, che lo tennero fino al ’700 quando passò in mano alla famiglia Coletti, che lo acquistò per dimostrare il proprio prestigio, dal momento che erano divenuti parte del Collegio dei Nobili trevigiani. La facciata doveva essere affrescata, con affreschi che volevano dare maestosità all’ingresso, visto che fra i disegni si notano ancora colonne e strutture architettoniche. Questo tipo di decori ci fa capire che non si tratta di un palazzo medievale perchè non ha come decorazioni dei mattoni di diversi colori ma ha dei veri e propri affreschi. La loggetta centrale con cinque finestre, corrisponde all’interno ad un grandioso salone affrescato da G.B. Canal. Perfettamente in sintonia con questa pentafora, si aprono al secondo piano delle finestre quadrate

Ca’ Spineda Ca’ Spineda è un palazzo dell’epoca rinascimentale, che fu edificato nella seconda metà del XVI secolo.


Esso si trova nel centro storico di Treviso, in piazza San Leonardo. Venne commissionato dalla famiglia Spineda, che ne fece un importante simbolo di Treviso, fino ad ospitare Vittorio Emanuele II e molti altri illustri. Adesso è sede della Cassamarca. Il palazzo è ben conservato e si può notare che è diviso in quattro piani, distinti da un intonaco ocra sulla parte bassa e un intonaco bianco sulla parte alta. L’interno, essendo parte di una bamca, non è visitabile. Interessante comunque la spettacolare sala da ballo decorata con affreschi magnifici e focalizzata su una scalinata maestosa decorata dal maestro Gaspare Diziani.

Case in via Sant’Agostino In via sant'Agostino vi sono un paio di esempi di case rinascimentali, purtroppo alcune sono prive di affreschi che si sono rovinati col tempo, mentre altri sono stati ridipinti e gli affreschi sono stati coperti. In uno di questi palazzi si puó ammirare la tecnica che utilizzavano i rinascimentali per attaccare l'intonaco sulle facciate dei palazzi, dove poi andavano ad affrescare.

Palazzi con Sambernardini A Treviso in molti palazzi di epoca rinascimentale possiamo trovare un San Bernardino raffigurato sulla facciata, per esempio: • Case in via sant'Agostino • Via Calmaggiore 29 • Via Indipendenza 4 • Vicolo Podestà • Via Roggia 28 • Via San Nicoló 5


• Piazza Duomo 5 • Via Barberia 22 Ci sono molti altri San Bernardini in giro per Treviso e non sono solo su palazzi rinascimentali ma anche su palazzi di epoche diverse. Questo simbolo fu realizzato dalle famiglie che possedevano un palazzo le quali erano d’accordo con gli ideali di San Bernardino da Siena, che era stato a predicare a Treviso il 20 luglio 1433 e aveva colpito molti con il suo discorso. Il San Bernardino aveva come simbolo un’ostia con tre lettere IHS all’interno, che in Greco antico stanno a significare Gesù, mentre in Latino corrispondono a “IESUS HOMINUM SALVATOR” cioè “Gesù salvatore degli uomini”. Il simbolo bernardiniano meglio conosciuto come "IHS" è dato dal trigramma che si viene a formare con le lettere iniziali del nome di Gesù in greco, poi adattato al latino (Yesus Hominum Salvator) ed è l'emblema caratteristico che adottava nelle su e predicazioni S.Bernardino da Siena (1380-1444) della famiglia degli Albizzeschi nativa di Massa Marittima distretto della Repubblica di Siena. Sembra che l'usanza di esibire tale emblema sia stata introdotta a Bologna intorno al 1425, seguendo la moda corrente di voler mostrare e marcare ovunque ogni cosa con il simbolo della propria famiglia od autorità. Spinto proprio da questa usanza, S. Bernardino volle contrapporre il simbolo di Gesù, come massima ispirazione spirituale, a quelli dei ricchi signorotti nella loro materialistica rappresentazione di potere e superbia. Il suo primo biografo, Barnabò da Siena, tramanda il racconto di come, per la prima volta, il famoso simbolo è stato rappresentato per volontà di S.Bernardino da un artigiano... tal Valesio di Bologna. Ecco qui sotto due esempi dei tanti Sambernardini presenti sui muri delle case di Treviso. Questi qui sotto si possono ammirare in via Sant’Agostino.

1-C. ALTRI RESTI DELLA TREVISO RINASCIMENTALE Fontana delle tette La fontana delle tette è una fontana marmorea che raffigura il mezzobusto di una donna svestita che fu realizzata nel periodo rinascimentale a seguito di una grave siccità che colse Treviso e i ritorni alla sprovvista. La fontana aveva il compito di “sputare” vino bianco e rosso dal seno durante le festività importanti, facendo bere l’intera popolazione per tre giorni gratuitamente. La copia della scultura originale è collocata nel cortile di palazzo Zignoli a Treviso, accessibile dalla galleria che collega il Calmaggiore alla piazzetta della Torre e alla calle


del Podestà. Il manufatto autentico, seriamente danneggiato, è stato spostato in una teca sotto il portico del palazzo dei Trecento. La fontana delle Tette fu costruita nel 1559 su ordine di Alvise Da Ponte. Fino al 1797, anno della caduta della Serenissima Repubblica di Venezia, in onore di ogni nuovo Podestà dalla fontana sgorgavano vino rosso da un seno e vino bianco dall'altro e tutti i cittadini potevano bere gratuitamente per tre giorni. Successivamente venne rimossa e andò persa fino al recupero da parte dell'abate Luigi Bailo per poi essere inserita nel Museo Casa da Noal ed oggi collocata sotto il Plaazzo dei Trecento.

Le mura cinquecentesche Tra il 1509 e il 1518, furono demolite le mura medievali, i borghi e tutti gli altri edifici, all'esterno o anche all'interno vicini alla cinta muraria, come il monastero con la chiesa di Santa Maria Maddalena che poi venne ricostruita sul luogo attuale e consacrata nel 1588. Fra’ Giocondo progettò un sistema di difesa che deviò il fiume Botteniga, creando una fossa all’esterno delle mura che attraverso un sistema di chiuse sotto il ponte della Pria, poteva allagare tutto lo spazio all’esterno delle mura per circa 1.5 chilometri, creando così una specie di palude che avrebbe fatto impantanare i nemici così da rendere più difficile l’avanzata su Treviso. Queste mura in realtà non sono vere e proprie mura ma “bastioni”, composti da terrapieno, mura, scarpata, fossa, contro scarpata e spianata.

Questo nuovo sistema di mura aveva tre porte: porta Altinia a sud, porta san Tommaso a nord e porta santi Quaranta a ovest. Nella seconda metà del XIX secolo le mura erano destinate per ricavarne un viale alberato per il passeggio e al gioco libero dei bambini.

Porta San Tommaso Porta San Tommaso, si trova a Nord ed è interamente rivestita da elementi decorativi


in pietra d'Istria che riprendono lo schema degli archi trionfali classici. La porta è coperta da una tipica cupola in legno e piombo. Il leone di San Marco che si trova al centro del fronte esterno, benché antico, non è l'originale essendo stato qui collocato nel 1857. Fu eretta nel 1518 dal podestà Paolo Nani (doveva infatti chiamarsi "porta Nana" ed è sovrastata da una statua raffigurante San Paolo, in onore del Podestà). Interessante in questa porta la scritta interna ed esterna che riporta il nome della porta stessa. All’interno è riportata la scritta in latino, a testimonianza della cultura dei cittadini. All’esterno invece la stessa scritta è in volgare e ci dimostra l’uso ormai comune della lingua italiana, soprattutto fra le popolazioni della campagna.

Porta Santi Quaranta Porta Santi Quaranta, fu realizzata nel 1516, forse su progetto di Alessandro Leopardi, dal podestà veneziano Nicolò Vendramin che la battezzò "Porta Vendramina" apponendovi una lapide autocelebrativa. Ciò non piacque al governo della Serenissima, che cambiò il nome e fece rimuovere l'iscrizione (il fornice meridionale riporta tuttora i segni della scalpellatura). L’intitolazione vanne data ai Quaranta Santi e in onore ai quaranta soldati che durante la persecuzione di Licinio in Armenia, rifiutandosi di riconoscere gli idoli furono fatti assiderare e poi bruciare. Porta Santi Quaranta si presenta con la facciata in pietra d’Istria all’esterno, con tre archi di cui quello centrale più ampio e sul prospetto esterno della porta, la raffigurazione che spicca su tutte è il leone alato, simbolo del potere di Venezia sulla terraferma.

Porta Altinia Porta Altinia è l’unica porta del complesso medievale rimasta nelle mura cinquecentesche. Per questo motivo e per l’impostazione semplice della struttura, ha un aspetto più elegante rispetto alle altre porte costruite nello stesso periodo. La struttura di muratura e pietra d’Istria ha una pianta a forma di prisma, in cui è inserito un arco a sesto ribassato edecorato con lesene che sorreggono una graziosa trabeazione sovrastata dal bassorilievo del leone alato di San Marco, della Madonna e dell’angelo annunziante. Pur mantenendo un aspetto di torre di difesa, la sua funzione principale era di supporto alla via fluviale commerciale del Sile: tutte le merci da o per Venezia che non passavano per il Sile, passavano per porta Altinia. Il nome della porta


deriva dalla città di Altino, città romana distrutta da Attila e dagli Unni verso la quale la porta è orientata.

Bastioni

Il sistema bastionale ha un cordolo fatto in pietra d’Istria che aveva una funzione sia simbolica che difensiva, perchè così i nemici, se riuscivano attraversare la spianata e la fossa e volevano scavalcare le mura con le scale a pioli, non ci riuscivano, perché il cordolo impediva alla scala di stare in equilibrio, quindi cadeva. Uno dei sistemi difensivi di queste mura, erano i Bastioni,: bastione san Bartolomeo, bastione san marco, bastione varco Caccianiga, bastione ex pattinodromo, bastione santa bona, bastione san Tommaso, che si trovano nella parte sud. Questo sistema difensivo è a forma semicircolare, tranne il bastione del castello che è fatto a forma di un pentagono. I bastioni avevano un altro sistema difensivo le cannoniere, che si trovano nelle parti nascoste delle tre porte di Treviso e nei bastioni. Le cannoniere sono fatte a forma di imbuto, per regolare la direzione in cui deve sparare il cannone.

Chiesa di Santa Maria Maggiore

La chiesa di Santa Maria Maggiore agli inizi del 1500 parte dei mattoni che la costituivano furono asportati per la realizzazione delle nuove mura e più recentemente durante il bombardamento del 13 Marzo 1945, furono distrutte la navata centrale e oltre la metà delle facciata principale. Il campanile, rimaneggiato nei secoli, un tempo non superava in altezza la facciata della Chiesa ed era sorto come torre destinata ad uso bellico. Il Campanile e la Chiesa sono realizzati in laterizio a parte pochi fregi in pietra d’istria; la Chiesa, a pianta rettangolare, è costituita da tre navate. Il prospetto principale possiede tre porte di accesso: quella centrale più grande e le laterali più piccole, tutte con cornicie in pietra d’Istria. Sopra ogni porta vi è un rosone e tra questi sono visibili due alti finestroni terminanti con arco a sesto acuto. Nella sommità del prospetto sono visibili cinque edicolette in pietra d’Istria a colonne ed


archi trilobi. All’interno della Chiesa è conservato il quadro della Madonna, la cosiddetta “Modona Granda” famosa per i Trevigiani, che le attribuiscono molti miracoli.

Chiesa di Santa Maria Maddalena

L’originaria Chiesa di Santa Maria Maddalena , di possesso dei frati Gerolimini, fu distrutta nel 1511 nel corso della guerra di Cambrai, quando per esigenze belliche e di recupero di materiale fu demolita per lasciare il posto alla Porta. Un decennio più tardi ebbero inizio i lavori di costruzione dell’odierna Chiesa che è opera di Fabrizio delle Tavole discepolo del Palladio. L’edificazione si concluse con la consacrazione nel 1576, come testimonianza una lapide ritrovata recentemente all’interno.

CAP. 1 TREVISO nell’800 1-A. UN PO’ DI STORIA: Nel 1797 Treviso e tutto il Veneto passarono sotto l’Austria con il Trattato di Campoformio. Ufficialmente nel 1797 si insediò l'amministrazione austriaca che sottomise la popolazione, ma solo nel 1848 Treviso riuscì ad unirsi a Venezia nel tentativo di ribellarsi agli Austriaci. La rivolta portò le truppe austriache ad abbandonare Treviso il 24 marzo 1848 e la città finí sotto la dipendenza del governo provvisorio di Venezia. L’Austria però cercò in tutti i modi di riconquistare le province; il 10 maggio 1848 a Cornuda gli Austriaci riportarono un’ importante vittoria e riuscirono ad avvicinarsi a Treviso, tanto che dopo solo 84 giorni di libertà Treviso cadde nuovamente sotto l’Austria nel giugno del 1848. La città fu così costretta ad aspettare la terza guerra di indipendenza, quando finalmente venne ceduta da un delegato austriaco al podestà Luigi Giacomelli e trovò così la definitiva libertà. Una lapide di Piazza Indipendenza riporta il numeri dei morti trevigiani durante questa guerra. La liberazione dall’Austria venne sancita con un plebiscito delle province venete per i cittadini sopra i 21 anni, durante il quale si votò a favore dell’unione con il regno d'Italia (609.923 si e 69 no) sotto il governo monarchico del re Vittorio Emanuele II


A Treviso, sotto la dominazione austriaca, non si viveva molto bene. Infatti come risulta dal “Rapporto generale per il triennio 1854-56 della Camera di Commercio e di industria di Treviso" c’erano molti poveri e l’agricoltura era l’attività principale, il commercio era molto scarso e c’erano poche industrie. Ad impoverire ancora di più la città contribuí una gravissima carestia che colpí tutto il Veneto. In questa difficile situazione non venne in aiuto la costruzione della ferrovia che divise la città dai quartieri a sud. Tra il 1800 e il 1900 la città era divisa in città ed il Suburbio. Faceva parte della città tutta la parte dentro le mura del ‘500. Il Suburbio invece era costituito da 9 borghi; mentre la città era abitata soprattutto dalla piccola borghesia urbana invece nel Suburbio c’era una popolazione più dedita ai lavori rurali. Si capisce che all’interno delle mura si viveva meglio anche perché in città la vita media era di 36 anni mentre nel Suburbio di 27 anni. In città c’erano però dei quartieri più degradati dove si trovavano molte case di tolleranza soprattutto nella zone di Calle dell’oro intorno a San Nicolò. La prostituzione era molto diffusa anche tra le giovanissime e inoltre si formarono delle gang di ragazzini che creavano tumulti nel centro città. Anche se in tutto il Regno d’Italia cominciava a svilupparsi l’industria, Treviso restava soprattutto una provincia agricola con condizioni di vita abbastanza precarie anche a causa delle varie malattie come tifo, tubercolosi e difterite che registravano numerosi casi. Ma su tutto dominava l’emigrazione che interessò il 20% della popolazione trevigiana e lo sviluppo economico del '900 deve moltissimo a questo fenomeno. Infatti dal 1876 l’emigrazione assunse l’aspetto di un esodo vero e proprio basti pensare che solo dalla provincia di Treviso emigrarono più di 156 mila persone, più o meno 1\4 della popolazione della Marca. Il fenomeno fu imponente proprio perché rimaneva l’unica alternativa alla povertà e alla fame. Tuttavia tra il 1871 e 1921, sebbene l’emigrazione non si arrestasse, la popolazione di Treviso ebbe un considerevole aumento demografico grazie anche al nascere delle prime fabbriche, delle linee ferroviarie e della comparsa dell’energia elettrica. A questo sviluppo diedero spinta nelle campagne la nascita delle casse rurali, cioè cooperative di credito su piccola scala dedite all’attività creditizia. Superata la grande crisi agraria sembrava dunque che la provincia di Treviso fosse avviata a un periodo di costante miglioramento delle condizioni di vita e tutto lasciava presupporre a un avvenire migliore ma purtroppo lo scoppio della prima guerra mondiale interruppe violentemente l’evoluzione in atto.


1-B. TRACCE DELLA STORIA DELL’800:

Percorso che collega le tracce della storia dell’800 a Treviso

Lapidi sotto Porta Santi Quaranta Un ricordo di Treviso nel 1800 si può trovare girando nel centro storico all’interno delle mura che circondano questa città. Sotto Porta Santi Quaranta, più precisamente nella parete sud e nord, ci sono le due lapidi riportate di seguito:

Il 14 giugno del 1848, come testimonia la prima lapide, un gruppo di volontari italiani volevano ottenere la totale liberazione dalla dominazione straniera. Infatti, il 23 marzo le truppe austriache, dopo il moto insurrezionale di Venezia che riportò in città lagunare la libertà per un breve periodo, si ritirarono dalla provincia. Intanto Treviso si pose sotto la dipendenza del Governo provvisorio di Venezia. A Treviso e nelle altre città venete giunsero dei volontari dallo Stato Pontificio e dal sud Italia per combattere contro gli


austriaci. Il combattimento terminò con la sconfitta dei volontari italiani, cacciati dalla città attraverso la porta SS. Quaranta e la vincita degli austriaci, che “rendevano onore alle armi”. Sempre sotto questa porta si può trovare un’altra lapide, posta dal comune di Treviso dopo il primo centenario del ritiro delle truppe austriache nel 1866. Questa lapide testimonia un evento successo dopo la Terza guerra d’indipendenza del 1866, durante la quale il Veneto entrò a far parte del Regno d’Italia. Il 15 luglio 1866, infatti, entrarono a Treviso le truppe italiane, che sconfissero gli Austriaci. Fra i primi ad entrare in città, furono i Cavalleggeri di Monferrato. Un'altra lapide si trova nella facciata della casa in Borgo Cavour numero 52. In quella casa Daniele Manin, (patriota e politico italiano) riunì prima del 1848, anno della 1a guerra d’indipendenza, tutti i patrioti trevigiani che credevano nell’indipendenza, nell’unità e nella libertà d’Italia. Infatti dal 22 marzo al 13 giugno di quell’anno, Venezia e altre città venete tra cui Treviso, parteciparono a dei moti insurrezionali per ottenere uno stato indipendente con a capo Daniele Manin. Egli a Treviso aveva mantenuto dei rapporti stretti con coloro che volevano la liberazione dell’Italia dalla dominazione austriaca.

Lapidi in Via Caccianiga Interessanti ma poco conosciute, sono alcune lapidi riportate nell’ottocentesco palazzo di via Caccianiga, nella facciata est dell’attuale Museo Bailo. Sotto il portico ci sono tre iscrizioni dipinte che risalgono al 1848-49. Queste lapidi sono in onore di Jacopo Tasso, fucilato dagli austriaci nel 1848, quando il Veneto era sotto l’Austria. Sotto le arcate di fianco, nello spazio sottostante all’arco a sesto acuto, si possono vedere delle lapidi scritte che ricordano diversi episodi della storia del Risorgimento e ci testimoniano l’importanza che Treviso ha attribuito a questi momenti della storia d’Italia. Si ricordano infatti la famosa spedizione dei mille di Giuseppe Garibaldi, le battaglie delle guerre di indipendenza e l’alleanza franco piemontese che diede inizio alla liberazione d’Italia. L’ultima lapide che risale alla fine dell’800 spiega dove sono state trovate le tre pietre provenienti dalla demolizione delle mura di Treviso che sono state poste per incidervi i grandi ricordi del Risorgimento italiano.

Lapide a ricordo di G. Garibaldi Giuseppe Garibaldi giunse a Treviso, dopo un lungo viaggio in Friuli e in altre città venete, il 5 Marzo 1867 (V Marzo MDCCCLXVII), come testimonia la lapide nella facciata della casa al n.1 di Piazza dei Signori, accolto dalle autorità trevigiane venne portato in


carrozza in Piazza dei Signori nella quale c’era l’albergo dove Garibaldi passò la notte. Da una delle terrazze fece un discorso ai cittadini cattolici con l’obiettivo di far capire loro l’importanza che il papato rinunciasse ad esercitare il suo potere temporale (politico) sull’Italia unita in modo da consentire che l’Italia avesse Roma come capitale e potesse sottrarre così al papa i territori dello Stato della Chiesa.

Lapidi risorgimentali in Piazza dei Signori Sempre in Piazza dei Signori possiamo trovare altre testimonianze di Garibaldi e di personaggi importanti del Risorgimento Italiano nei pilastri di Palazzo dei Trecento, questo perché gli italiani vollero celebrare l’unità nazionale del Regno d’Italia ricordando le persone che si possono definire i “Padri della Patria”. Tra essi ci sono Vittorio Emanuele II (1° Re d’Italia), Giuseppe Garibaldi, Camillo Benso di Cavour e Giuseppe Mazzini. Nella lapide dedicata al re Vittorio Emanuele II del 1879 (posta dai trevigiani l’anno dopo la sua morte), possiamo capire come i trevigiani lo considerassero un re galantuomo, unificatore d’Italia e per questo vollero dargli reverenza, gratitudine e amore per ciò che aveva fatto. Si deduce

quindi che Vittorio Emanuele II era un re amato dai suoi cittadini.

Camillo Conte di Cavour fu un politico italiano che credeva molto nella libertà e per questo gli fu dedicata una lapide. Nella lapide per Giuseppe Garibaldi, posta dal comune il 7 giugno 1882, anno della sua morte, viene considerato un eroe poiché tutti pensavano a lui come a colui che unì l’Italia e i popoli, rendendoli tutti fratelli.


Giuseppe Mazzini, pensatore, filosofo e patriota italiano fu uno che ricordarono per le sue idee che anticiparono gli eventi. Il 21 e il 22 ottobre del 1866 a Treviso ci fu un plebiscito, voto fatto dal popolo per esprimere con un sì o con un no il proprio parere sull’annessione al Regno d’Italia. Come ci testimonia la lapide in uno dei pilastri di Palazzo dei Trecento in piazzetta Moro Aldo, appena dopo Piazza dei Signori, la Provincia di Treviso con questo plebiscito affermò la sua unione al Regno d’Italia con 84.526 voti affermativi, 2 negativi e 11 nulli. Possiamo capire quindi che la gente era stanca di stare sotto il dominio austriaco e voleva unirsi con il regno d’Italia, con solo due persone contrarie a questo. Nel 1879, per ricordare l’evento e ciò che era stato per i trevigiani Vittorio Emanuele II, il comune di Treviso collocò su due pilastri di Palazzo dei Trecento verso Piazza dei Signori le lapidi per Vittorio Emanuele II e quella del plebiscito. Nel 1882 la lapide venne spostata di pilastro per lasciare posto a quella di Garibaldi e infine nel 1906 venne nuovamente spostata nell’attuale pilastro per lasciare l’altro libero per la lapide di Mazzini.

Piazza inizia lmen te chiamata Piazza delle Donne perché qui si svolgeva il mercato che era prevalentemente frequentato da donne, dopo l’unità nazionale diventò luogo simbolico dell’indipendenza dalla dominazione straniera e in mezzo alla piazza venne posta la statua dell’indipendenza che le diede il nome. Nelle lapidi che ci sono sui pilastri di Palazzo dei Trecento che si affacciano in Piazza dell’Indipendenza sono elencati i nomi e la provenienza delle persone morte sul campo di battaglia a causa di ferite o fucilate. Il comune pose questa lapide nel 1866. All’inizio il progetto era quello di ricordare tutti i caduti per l’indipendenza e per l’unità nazionale, ma alla fine si rese omaggio solo ai martiri della Provincia di Treviso.

Indipendenza,


La statua posta nella Piazza, conosciuta affettuosamente dai trevigiani come “La Teresona”, venne realizzata con un concorso per celebrare l’Indipendenza conquistata dalla città di Treviso. Fra i vari bozzetti presentati, venne scelta questa perché particolarmente ricca di simboli legati alla libertà e alla pace.

CAP. 5: LE GUERRE MONDIALI A TREVISO 5/1 - PRIMA GUERRA MONDIALE A TREVISO

Percorso sulle tracce della storia delle due guerre a Treviso: in nero tracce della 1° guerra, in blu tracce della 2° guerra 1-A. UN PO’ DI STORIA: Nel 1915 l'Italia entrò in guerra con la Triplice Intesa, formata da Francia e Inghilterra. Treviso pareva dovesse vivere la guerra da «città di retrovia»; invece, dal 17 aprile 1916, la città diventò una città di prima linea, venne definita da Cadorna “sentinella avanzata” ed iniziò ad essere bombardata. C’era infatti la Sovrintendenza dell'Esercito e fu per molto


tempo un importante centro di ricovero per i soldati feriti. La stazione, l’ospedale e poi anche il Seminario divennero luoghi di raccolta dei soldati che tornavano feriti dal fronte. Dal 1916 la città subì quindi diversi bombardamenti aerei da parte degli Austriaci: dal 17 Aprile 1916 l’aviazione austriaca iniziò a bombardare Treviso fino alla fine della guerra, per altre 27 volte circa; caddero 1526 bombe che provocarono 30 morti e 50 feriti, le case distrutte o danneggiate furono 210. Dopo la battaglia di Caporetto, il Comando militare fu portato in città e vennero prese molte decisioni “salva città”: la popolazione venne fatta allontanare e anche le opere d’arte vennero messe in salvo, grazie al lavoro dell’Abate Bailo. Dopo la ritirata di Caporetto migliaia di trevigiani furono evacuati dalla città e mandati in tutta Italia, molti invece erano già scappati in campagna. oltre alla maggior parte di cittadini che si recarono a Pistoia e in altre città della Toscana, cinquecento andarono a Bergamo, cinquecento a Modena, duemila a Reggio Emilia, mille a Ravenna, duecento a Parma, cinquemila a Milano (si fa vedere il documento); nel 1917 i residenti rimasti a Treviso (oltre ai militari)erano circa duecento: Alla fine della guerra in città giravano quasi esclusivamente militari o gente che arrivava per ricevere aiuti o cure mediche. Quando finì la guerra riprese la ricostruzione di molti palazzi distrutti. Sorsero così molte nuovi palazzi, ed inoltre, nel centro storico e in periferia furono eseguiti alcuni importanti lavori pubblici, tra cui il cavalcavia, completato alla fine degli anni trenta.

1-B. TRACCE DELLA PRIMA GUERRA: A Treviso non sono rimaste molte tracce della prima guerra, anche perché la seconda guerra portò nuovi cambiamenti in città, ma camminando per Treviso possiamo trovare ancora dei segnali che ci ricordano la Grande Guerra, con lo scopo di non dimenticare queste tragedie.

- Lapide a Cadorna: Sulla facciata di Palazzo Revedin, in Borgo Cavour 39, sulla parte destra è visibile una lapide, che ricorda il periodo in cui il Comando militare, dopo la disfatta di Caporetto, era stato spostato a Treviso, esattamente in questo palazzo. Proprio qui, Cadorna iniziò a progettare la difesa sul Piave, che porterà l’Italia verso la vittoria. Malgrado poi il re tolga il comando a Cadorna, giudicandolo incapace di continuare a governare le truppe e facendolo sostituire da Diaz, Treviso pare voler riconoscere comunque un tributo al Generale Cadorna….

-Lapide ad Agostino Ancillotto Proprio di fronte a palazzo Revedin, sotto il portico di Palazzo Ancillotto, e sopra il portone di ingresso(Borgo Cavour 38), si trova un’altra lapide che ricorda un Tenente dell’aviazione, Agostino Ancillotto, tenente dei cavallieri di Novara, morto in battaglia durante la prima guerra.


-Lapidi sulle colonne del Palazzo dei Trecento In Piazzetta Aldo Moro, su due colonne del palazzo dei Trecento, si possono vedere ancora due lapidi relative alla prima guerra: in una si legge il bollettino di guerra n. 1268, firmato da Diaz per la fine della guerra, il 4 novembre 1918. Il fatto di aver riportato questo bollettino in una lapide, raccontando le ultime azioni di guerra, dice la felicità di Treviso per la fine della guerra. La seconda lapide invece ricorda la medaglia d’oro attribuita alla città dopo la guerra per il ruolo avuto durante il conflitto.

Lapide + cippo in via Cadorna In Via Cadorna davanti alle scuole elementari Gabelli, in occasione del 50 anni della vittoria, è stato posto un cippo nel quale sono stati incastonati tre pezzi di pietra, in ricordo del Sacro suolo della Patria del Montello, del greto del Piave e del Monte Grappa, dove gli Italiani hanno combattuto e vinto. In cima è stata conficcata una bomba e quattro bombe segnano gli angoli dello spazio che circonda questo cippo, chiuso da catene. Alle spalle di questo cippo si legge (in realtà non molto bene) una lapide che ricorda la guerra. Via Cadorna si immette poi in Piazza della Vittoria. Questa piazza ha preso questo nome alla fine della prima guerra, per ricordare la vittoria delle truppe italiane sull’esercito austriaco.

Monumento ai Caduti In Piazza della Vittoria si trova uno dei monumenti più grandi di tutto il Veneto che vuole rendere onore ai 630 soldati trevigiani morti durante il conflitto. Fu progettato dallo scultore Arturo Stagliano, che è risultato il vincitore del bando di concorso indetto nel 1926. Questo concorso chiedeva agli artisti di presentare un bozzetto plastico per “un’opera dedicata alla glorificazione dei Trevigiani caduti nella guerra”. Sono stati


presentati molti bozzetti e venne scelto questo, intitolato “Gloria” che raffigura i fanti che portano un commilitone caduto, che ha acquistato appunto la Gloria. Nell’ opera sono presenti 16 statue di bronzo tra cui alcune donne e lo scopo è quello di raffigurare, attraverso il soldato morto, il dolore universale e profondo che ha lasciato la guerra in tutti gli uomini.

Chiesa Votiva E’ giusto ricordare che a Treviso è stata eretta una chiesa proprio come voto per la fine della prima guerra. Il Vescovo Longhin, il 27 aprile 1917, nella chiesa cattedrale, aveva promesso solennemente di erigere un tempio in onore della Beata Vergine Ausiliatrice se la guerra si fosse conclusa. Tra il 1923 e il 1924 questa chiesa fu edificata e il giorno 8 dicembre 1925 fu solennemente benedetta. La chiesa voleva ricordare i morti della prima guerra per chiedere la pace, ma, poiché la chiesa verrà distrutta col bombardamento del 7 aprile 1044, ancora oggi su un lato della chiesa è presente l’elenco dei caduti di tutte due le guerre. Ci sono infatti i resti di 946 caduti della prima guerra e 246 della seconda.

5/ 2 - SECONDA GUERRA MONDIALE A TREVISO 2-A. UN PO’ DI STORIA: Durante la seconda guerra, Treviso non ebbe un ruolo così centrale come nella prima, ma occupò comunque una posizione importante, poiché per la città passava la ferrovia che collegava l’Italia all’Austria. Forse per questo Treviso fu bombardata pesantemente durante la Seconda Guerra Mondiale, in particolare, ma non solo, col bombardamento del 7 Aprile 1944. Il bombardamento avvenne il giorno di venerdì santo. Furono sganciate circa 2.000 bombe che raggiunsero gran parte della città. Interi quartieri residenziali furono colpiti dalle da bombe e da incendi. Moltissime persone (le cifre variano ancora da 1000 a 1600, a seconda delle fonti!) morirono soprattutto nei rifugi antiaerei, costruiti in diverse parti della città ma incapaci di offrire una vera protezione. Subirono gravi danni moltissime case ed anche la Loggia dei Cavalieri, il Palazzo dei Trecento, il Museo Ca’ da Noal e in particolare la zona delle Canoniche dietro il Duomo. La stazione ferroviaria fu in parte distrutta. Nel dopoguerra, gli Stati Uniti non diedero una motivazione al bombardamento di Treviso. La città, che racchiudeva tra l'altro un inestimabile patrimonio artistico, non aveva certo obiettivi strategici. Secondo alcuni, il nome della città fu scambiata per Tarvisio, la cittadina friulana al confine con la Carinzia, importante nodo ferroviario verso l'Austria. Da non dimenticare il ruolo che la città di Treviso ha avuto durante la guerra per la Resistenza. Uomini e donne, cittadini trevigiani, si distinsero come partigiani tenendo i contatti o partecipando direttamente alle brigate nascoste nella Pedemontana. Per questo alla città venne attribuita la Medaglia d’oro in quanto “…anima di una resistenza indomabile di popolo e di partigiani…”


2-B. TRACCE DELLA SECONDA GUERRA: In città non sono molte le tracce della guerra e del bombardamento, grazie ad una ricostruzione veloce che ha cercato di rimettere in piedi la città. C’è comunque la volontà di non dimenticare quanto successo. Ogni 7 aprile il bombardamento viene ricordato in piazza dei Signori da autorità civili, religiose e militari alle ore 13.05. La campana suona a lutto per sette minuti. Durante i sette minuti in cui è ricordato il bombardamento, la bandiera bianca e celeste che svetta sul campanile di Piazza dei Signori viene lasciata a mezz'asta durante tutta la giornata. Camminando attorno al Palazzo dei Trecento si trovano poi dei segnali che ci ricordano la guerra e il bombardamento.

Foto del Palazzo dei Trecento bombardato Sotto il porticato della Piazzetta Aldo Moro, sono appesi due pannelli, che riportano due foto, con le immagini del Palazzo dei Trecento bombardato. Da queste foto ci si può fare un’idea di quale sia stata la gravità del bombardamento: il soffitto del Palazzo è completamente squarciato e le pareti con gli affreschi sono in parte crollate. Il palazzo era distrutto per una percentuale notevole, tanto che viene proposto dal Comando tedesco di abbatterlo completamente. Solo l’intervento della Sovrintendenza e in particolare di Ferdinando Forlati, impedì la distruzione del palazzo che venne restaurato, dopo aver recuperato tutti i mattoni con cui era costruito. Pare che il Sovrintendente, per salvare il palazzo, abbia utilizzato un’astuzia: attribuì gli affreschi del palazzo a Paolo Veronese, ottenendo così il permesso di puntellare subito il palazzo e di farlo poi restaurare.

Segni del bombardamento sul Palazzo dei Trecento Restaurando il palazzo, viene fatta la scelta di rendere evidenti gli interventi fatti. Sul muro a sinistra della


scalinata è ben visibile il segno della separazione fra la parte vecchia, resistita al bombardamento, e la parte ricostruita dopo il 1944. Anche sulla scalinata, su due gradini, sono segnate le date dell’opera di raddrizzamento del muro che dava sulla Piazza Indipendenza. Questo muro infatti era molto inclinato in seguito alle esplosione delle bombe e fu necessario un lavoro di imbragamento per raddrizzarlo in modo lento. In questi segnali ancora ben evidenti, è chiara la volontà di non cancellare il passato, ma di ricordarlo perché tali errori non si ripetano. Ai piedi della scalinata, infine, nel 2014, a 70 anni dal bombardamento, è stata messa una lapide per ricordare tutte le vittime “affinchè il loro sacrificio rimanga indelebile monito per i cittadini e possa tracciare la via della pace.”

Lapidi sotto il palazzo dei Trecento Nei porticati che si trovano proprio sotto la scala del Palazzo, un po’ nascoste dagli occhi di passanti e turisti, si trovano quattro lapidi importanti, poste a memoria della seconda guerra. Una lapide, posta nel 1946, ricorda i cittadini trevigiani morti “nella lotta di liberazione quale auspicio di sicura rinascita”, mentre altre tre lapidi riportano tutti i nomi dei cittadini “caduti nei campi di concentramento della Germania per gli ideali di libertà e di democrazia.” E in queste lapidi i nomi sono davvero tantissimi!

Tempietto di Santa Maria del Rovere e Chiesa Votiva Fuori città, nella zone della Madonnetta, dopo la guerra è stata costruita una chiesetta per ricordare i 123 bambini di Treviso, morti durante il bombardamento. Ogni 7 aprile al pomeriggio viene celebrata una messa per non dimenticare queste piccole vittime. Elenchi di cittadini trevigiani morti durante la guerra sono riportati anche vicino alla Chiesa votiva, già nominata parlando della prima guerra e distrutta durante il bombardamento. La chiesa è divenuta quindi un luogo di preghiera e ricordo delle vittime di tutte le guerre.


EVOLUZIONE URBANA DI TREVISO Mappa di un possibile percorso.

Introduzione Il gruppo "Sopra e sotto Treviso, alla scoperta dell'evoluzione urbanistica della città " ha lavorato partendo da fonti scritte (delibere del Senato della Serenissima), visive (mappe antiche, acquerelli, foto) e "sul campo", esplorando la Treviso ipogea grazie all'aiuto dell'associazione Treviso sotterranea. La ricerca delle informazioni è certamente passata


anche attraverso internet e abbiamo provato a rielaborare i dati con dei testi scritti e costruendo delle mappe ex-novo. Molte sarebbero state le nozioni da inserire nella nostra sezione, abbiamo quindi compiuto una scelta: qualche accenno all'epoca romana, alla struttura medievale, all'Ottocento, secolo di dominazioni straniere e moti risorgimentali, al Novecento e ai suoi due drammatici bombardamenti, ma soprattutto ci siamo concentrati sul Cinquecento, il secolo che più di ogni altro forse ha segnato la struttura urbana di Treviso. Sopra è riportata una mappa che mostra un breve percorso che tocca alcuni punti d'interesse. Poi, nelle varie sezioni si troveranno materiali più dettagliati e percorsi più ricchi che riguardano tutta l'area urbana, non solo la sezione settentrionale, e tutte le epoce sopraccitate. Le legenda della mappa proposta sopra è la seguente: colore giallo – Epoca romana / colore azzurrro – il Medioevo / colore rosso – il '500 / colore verde – l' '800 / colore viola – il '900.


TREVISO ROMANA Area di estensione della Treviso romana; segnalata anche l'arx, il foro, via Cornarotta e la prima basilica.

Breve introduzione La città assume la denominazione di “Tarvisium” sotto il dominio romano e diventa “municipium” tra il 49 a.C. ed il 70 d.C.. Con Giulio Cesare gli abitanti diventano cittadini


romani, appartenenti alla tribù “Claudia”. La città antica sorgeva sul territorio di forma quadrangolare limitato dai fiumi oggi noti come Cagnan, Roggia e Sile, con mura perimetrali che si sviluppavano in corrispondenza dell'attuale Cattedrale e di via Cornarotta. Pare che il “Quadrivium” risultasse nella attuale piazza Carducci, incrocio tra il “cardo massimo” (asse Calmaggiore, Indipendenza, santa Margherita) e il “documento massimo” (via Martiri della Libertà). Le strade principali erano l’attuale Callalta e quelle che portavano verso la Postumia, l’Aurelia e Altino. Il territorio intorno alla città era centuriato. Il cardo pare fosse l’attuale Feltrina ed il decumano l’asse tra Ospedaletto d’Istrana e Povegliano, con l’ “umbilicus agris” ricadente nei pressi di Postioma. L’agro trevigiano era limitato da Sile, Musone, Montello e Piave, quindi un quadrilatero con ai vertici Montebelluna, Nervesa, Fagarè e Istrana, confinante con i territori di Altino, Padova, Asolo e Oderzo. La fede cristiana sembra essere stata introdotta nel territorio nel 50 d.C. grazie alle predicazioni di san Prosdocimo, vescovo di Padova.

La struttura urbana Le aree di Sant'Andrea e Filodrammatici si trovano in una zona topograficamente elevata e nel punto di confluenza del Botteniga con il fiume Sile. Questa infatti è l'isola fluviale chiusa dalle acque del Sile, del Roggia-Siletto e del Cagnan Piccolo o dei Buranelli, e conserva tutt'ora delle particolarità morfologiche: 3 microrilievi o piccole alture. La più alta di queste corrisponde attualmente a Piazza Sant'Andrea, sulla cui sommità si collocarono i primi nuclei abitativi, risalenti alla media e alla recente età del Bronzo (è visibile tutt'oggi un pendio notevole fra Piazza Sant'Andrea e il Sile, zona attualmente occupata da giardini pubblici). Risulta pertanto un sito archeologico di notevole interesse per i ritrovamenti, effettuati negli anni '70 , appartenenti all'età del Bronzo. L'opera di pianificazione fu condotta dai Romani (I sec. a.C.) al fine di creare un ordinato intreccio di cardi e decumani e formare un reticolato geometrico di spazi quadrangolari (insulae), su cui edificare. Piazza Duomo all'inizio era destinata a un settore residenziale, o a una zona pubblica destinata ad ospitare un teatro, le terme e un tempio. Sulla lieve altura di piazza dei Signori fu infine collocato il foro e in corrispondenza della Loggia dei Cavalieri il sito dell’antica basilica romana. Il centro della vita economica era probabilmente in piazza dei Signori (lo si crede sia per la posizione sia perché l’area è abbastanza grande). Le case al tempo erano fatte di pietre e legno; si ipotizza la presenza di una necropoli oltre il ponte di S. Chiliano . In questa direttrice, infatti, è stato individuato un importante asse commerciale che metteva in comunicazione con la via Postumia. I Romani hanno forse anche bonificato delle aree (lo si suppone a seguito di ritrovamenti archeologici riconducibili a operazioni di bonifica).



TREVISO NEL MEDIOEVO Nella mappa in giallo alcune chiese medievali, in rosso alcuni edifici e in blu le torri (sempre medievali).

La struttura delle case del medioevo Le torri che vediamo tuttora a Treviso sono per lo piÚ medievali. Tipico del medioevo è che le famiglie piÚ ricche facessero innalzare torri. Le costruzioni non sono tutte uguali e sono edificate con materiali diversi.


La torre delle Oliva è stata realizzata nel 1200 in mattoni. La sua parte inferiore è stata restaurata completamente, invece la parte superiore, con alcune sezioni perfezionate, presenta ancora il suo stile medievale. Questa torre è vicino a piazza Pola. In via Paris Bordone si trova la torre dei Canonici che ha una struttura in laterizio. Essa ha subito nel tempo diverse modifiche. Sopra l’ingresso principale si trovano due stemmi in pietra. Dall'altro lato della via è ancora visibile anche la torre del Visdominio detta anche Cornarotta, nome derivante dalla famiglia a cui apparteneva. Dal 1909 al 1915 fu usata come studio dal famoso scultore Arturo Martini. La struttura è composta di mattoni, le finestre più in alto presentano colonne corinzie. La torre Civica si trova in piazza dei Signori ed è la torre più importante, simbolo di Treviso assieme al Palazzo dei Trecento. Molte torri sono scomparse: ad esempio, a ottanta metri a nord-ovest dalla torre Civica, sorgeva la Torre Rossignona. Questa è ben visibile in molte mappe da noi analizzate, ma purtroppo oggi non c’è più. Il centro urbano venne circondato da una cinta muraria per la prima volta nell’ultimo decennio del XII secolo a scopi difensivi, poi le mura vennero a loro volta circondate da canali d’acqua: a sud si trovava il canale delle polveriere, a est il canale delle Convertite e a ovest il canale delle Cantarane. Le varie porte che si aprono sul circuito murario, collegavano Treviso con il territorio limitrofo alla città agevolando floridi commerci. Delle mura medievali rimangono solo poche tracce nella zona meridionale della città. Dal 1227 il castello vicino a porta Altinia divenne una postazione strategica per controllare i passaggi delle barche sul Sile. Nel 1267 venne costruito il primo ponte di pietra posto all’ingresso del fiume Botteniga a Nord. Sul Sile era costruita la Tolpada (dal termine «tolpo» o palo), non lontano dall’odierna omonima via. Si trattava di pali di legno conficcati sul fondo del fiume che creavano dei percorsi obbligati a linea spezzata per le navi; lo scopo era obbligare le imbarcazioni ad andare lente, in modo da evitare che navi nemiche potessero accedere alla città indisturbate e che il flusso dei commerci, e dei relativi dazi, potesse essere controllato.

Il convento di Ognissanti Fuori dalle mura si trovavano la maggior parte dei conventi, i migliori alberghi, gli ospedali, le più belle e comode abitazioni dei facoltosi cittadini. Un esempio significativo in tal senso era il monastero di Ognissanti, situato nell’omonimo borgo davanti le mura di san Teonisto (e precisamente dove ora c’è la biblioteca comunale), nacque come comunità ospedaliera maschile e femminile all’inizio del ‘200. L’ubicazione, vista in modo più generale, era nel suburbio della città, ovvero quella fascia urbana appena fuori le mura. All’inizio del Trecento si trasforma in un monastero benedettino femminile delle monache nere, anche se, grazie alla sua posizione di ospedale, si mantiene costante il transito e stanziamento di forestieri nelle vicinanze. La vita tranquilla del monastero si interrompe allo scoppio delle guerre trecentesche (che interessano Treviso, a più riprese, tra il 1337 e il


1389). Durante queste guerre, in particolare dal 1356 al 1358 (Guerre degli Ungari), il monastero viene danneggiato e distrutto, costringendo le monache a rifugiarsi dentro la città (non si sa se il monastero viene distrutto a causa del “guasto”, ovvero la distruzione di case fuori le mura per mantenere sgombro lo spazio attorno alla città, o a causa della guerra). Le monache, prima andate a Venezia e poi tornate, si “trasferiscono” entro le mura di Treviso (anche se la “sede legale” e la chiesa rimanevano “Prope et extra Tarvisium”), inizialmente in case private, fino a quando, nel 1396, ottengono finalmente il permesso per poter edificare una nuova sede all’interno delle mura, adattando allo scopo di monastero una casa con edifici annessi sita in contrada dell’Oliva (oggi Vicolo dell’Oliva). Il monastero finì, così, per entrare in città, come accadde, comunque, a tutti quegli edifici che prima delle guerre trecentesche erano situati nel suburbio. Facendo un salto nel tempo ed arrivando ai primi dell’Ottocento, si vede curioso il fatto che il monastero fu, dal 1808 al 1811, la prima sede dell’attuale Liceo Classico Antonio Canova. Proprio in questi anni (1806) il monastero e la chiesa vengono incorporati nella “parrocchia” di santa Cristina e san Parisio, poi, negli anni a venire, avviene la demolizione del monastero. Gli edifici, invece, vennero adibiti come scuola e poi come caserma, mentre la chiesa diventò, nei primi anni, un museo-pinacoteca.

Collocazione originaria del monastero Ognissanti.


TREVISO NEL ‘500: LE MURA, LE PORTE E


L’URBANIZZAZIONE Alcuni accenni ai cambiamenti urbanistici Nel corso del ’500 la città di Treviso mutò in maniera strabiliante. Per costruire una circonvallazione interna vennero buttate giù varie case e cappelle, i dormitori di santa Maria e quelli di santa Caterina. Invece, con il terremoto del 1511 cadde il campanile di santo Stefano (poi ricostruito e ancora oggi visibile) e la Torre del Palazzo dei Trecento (anch'essa ricostruita). Nel 1500 era ancora presente il Duomo medievale della città di Treviso che verrà in seguito perduto, di cui le uniche parti ancora esistenti sono il battistero, i leoni e la Cripta dove sono conservate le ossa di San Liberale. Ma l’evento più importante che coinvolse la città di Treviso fu la costruzione delle nuove mura cinquecentesche.

Le mura La necessità di modificare la cinta muraria medioevale di Treviso nacque quando Venezia si sentì minacciata dalla Lega di Cambrai, ovvero l’alleanza tra Chiesa, Francia e Impero Austriaco formatasi il 10 dicembre 1508 (Treviso era sotto il dominio della Repubblica Veneziana da molti anni). I lavori furono particolarmente sentiti e importanti sia per la città di Treviso che per Venezia, che, dopo aver lasciato al nemico molti territori nel mentre della guerra, non voleva perdere Treviso, vista oramai come ultima città della terraferma e baluardo difensivo. Iniziarono così i lavori di “potenziamento”, nel 1509, su progetto di Fra’ Giocondo da Verona (costui era un architetto e umanista dell’epoca, aperto alle innovazioni del tempo e inventore di fama). Il Consiglio dei Dieci Veneziano di allora aveva chiamato proprio Fra’ Giocondo (esperto in idraulica) per rendere Treviso una città inespugnabile anche al nemico più forte. Il frate ormai settantenne, dopo una lunga carriera a servizio della Repubblica, inizia il suo lavoro nella città di Treviso: qui progetta e Raffigurazione di Fra' Giocondo in un bassorilievo visibile a Verona.


coordina

la

costruzione

e

i

sistemi

di

difesa

in

vista

della

guerra.

Tutto questo, come detto in precedenza, porta non pochi disagi alla cittadinanza e alla città, in particolare per quanto riguarda lo sviluppo del piano urbano, che subirà trasformazioni in larghezza e nella disposizione degli edifici, che da “raggiera” diventerà poligonale. Ma i cambiamenti più disagianti e importanti per Treviso furono il GUASTO e la SPIANADA: il primo comportava la distruzione di tutti gli edifici al di fuori delle mura (nel suburbio della città) per la necessità di recuperare materiale da costruzione, mentre la seconda riguardava la distruzione di qualunque cosa negli 800 metri adiacenti alle mura, in modo tale che i soldati nemici risultassero visibili ai soldati trevigiani e non potessero trovare riparo alcuno. Una delibera del Senato dell’epoca ordina in modo esplicito ai trevigiani di eseguire tutto questo, indicando le metrature dell’operazione e i dettagli. In generale, la spianada portò alla distruzione di interi quartieri (come il quartiere SS. Quaranta, i quartieri S. Tomaso e S. Zeno e il quartiere della Madonna). I materiali recuperati dalla distruzione di tali quartieri vennero riutilizzati per la costruzione delle mura; infatti ancora oggi sono visibili pezzi di affreschi medioevali o di fregi in mezzo ai mattoni che costituiscono le mura di Treviso (un esempio molto rilevante è la presenza di un masso affrescato, ancora oggi visibile, utilizzato per la costruzione del bastione di san Tomaso).


Masso affrescato presente nella costruzione del bastione di S. Tomaso.


Inizialmente le mura vennero costruite solamente a nord, a est e a ovest, mentre a sud verranno costruite solo dopo circa 100 anni; questo per due motivi: a meridione c’era Venezia (da Porta Altinia partiva il Terraglio che portava direttamente verso la capitale della Serenissima) e i nemici della lega di Cambrai arrivavano da nord-ovest; inoltre a sud c'era il fiume Sile che difendeva in qualche modo quella parte (un fiume è sempre un sistema difensivo naturale). Le mura si dovettero comunque rafforzare in spessore (costruendo il terrapieno, che rendeva le mura più spesse e resistenti grazie all’elasticità della terra) e abbassare, adattandole a quelle che erano le armi da fuoco dell’epoca. La costruzione generale prevedeva uno schema ben preciso: in ordine erano costruiti terrapieno, mura, scarpata, fossa, contro scarpata e spianata.


Sezione dello schema riguardante gli elementi costituenti il progetto della costruzione delle nuove mura. Tutt’oggi sono visibili alcuni degli elementi raffigurati.

Inoltre vennero modificati i bastioni (diventarono di forma semicircolare, tranne il bastione del Castello che rimase di forma poligonale) e altri ne vennero costruiti (come il bastione dei Notari, costruito proprio dal “Collegio de’ Notari” e interpretato da Bartolomeo Zuccato, storico dell’epoca, come “un doppio favore”: il primo riguardava la costruzione del bastione stesso, mentre il secondo riguardava l’abbassamento d’una collina nei pressi del quartiere dell’Ospedale dove i nemici avrebbero potuto stabilizzarsi; infatti la terra utilizzata per l'edificazione del bastione fu ottenuta dallo spianamento della piccola altura. I seguenti sono tutti i bastioni presenti (alcuni ancora oggi) dopo la costruzione definitiva delle mura: bastione san Bartolomeo, bastione san Marco, bastione varco Caccianiga, bastione ex pattinodromo, bastione santa Bona, bastione san Tomaso (che si trovano nella parte settentrionale) e bastione Altinio, bastione del Castello, bastione san Paolo e bastione


santa Sofia (che si trovano nella parte meridionale). La modifica della forma dei bastoni stessi aveva prevalentemente uno scopo bellico. La nuova costruzione difensiva prevedeva l’eliminazione di 12 porte da quelle che erano le 13 medioevali (rimase solo porta Altinia) e la costruzione di 2 nuove (porta SS. Quaranta e porta S. Tomaso) per scopi preferibilmente celebrativi. Infine venne aggiunto il cordolo in pietra d’Istria, presente ancora oggi in alcune parti, a due terzi dell’altezza della cinta muraria, che aveva una funzione sia simbolica che difensiva: difensiva perché i nemici, se fossero riusciti ad attraversare la spianata e la fossa e avessero voluto scavalcare le mura con delle scale a pioli, avrebbero incontrato grosse difficoltà, perché il cordolo impediva alla scala di appoggiarsi bene e stare in equilibrio e sarebbe stato più agevole per i soldati schierati a difesa della città far cadere le scale dei nemici; simbolico perché dava la sensazione di una specie di “cintura” che raccoglieva la cittadinanza al suo interno, al sicuro. Nella storia della costruzione delle mura cinquecentesche è molto interessante l’uso della macchina di Treviso, una macchina di derivazione vitruviana appositamente costruita per raccogliere l’acqua dal fossato in modo da rendere più facile e veloce l’edificazione della cinta muraria dove il terreno si presentava paludoso. Sempre per quanto riguarda le tecniche costruttive, ancora oggi in alcuni punti sono visibili, sui bastioni o lungo le mura, i fori lasciati per potervi incastrare le impalcature allora usate per la costruzione. L’ultima sistemazione urbana riguardava l’inglobamento, all’interno delle mura, dei quartieri di SS. Quaranta e di S. Tomaso: il primo, in particolare, fu inizialmente distrutto per la spianada, e, dopo la fine della guerra, inserito all’interno della cinta muraria: queste scelte attuate da Fra' Giocondo non furono molto ben viste dai trevigiani, che chiesero subito a Venezia la sospensione delle demolizioni in atto.


Figura 1: In rosso il quartiere S. Tomaso, in blu il quartiere SS. Quaranta

La Repubblica ascoltò le proteste e fermò le demolizioni, anche se poi entrambi i quartieri rimasero privi di costruzioni per oltre 200 anni: per questo parte del quartiere di SS. Quaranta fu denominato “Città Giardino”, perché unica parte verde della città. Anche il quartiere S. Tomaso fu una parte di Treviso abbondante di orti, come si può vedere in numerose mappe antiche da noi analizzate. Fra' Giocondo non intervenne solo in campo edilizio, ma anche in campo idraulico: progettò, in primo luogo, un sistema di difesa che prevedeva la deviazione del fiume Botteniga che andava a riempire la fossa scavata all’esterno delle mura; poi mise a punto un sistema di chiuse ancora oggi visibili al Ponte de Pria (forse chiamato così perché ristrutturato nel 1521 dal podestà Priamo Legio) che permettevano l’allagamento di tutta l'area all’esterno delle mura per circa 1.5 chilometri, creando così una specie di palude che faceva impantanare i nemici, impedendo loro di avanzare e raggiungere Treviso.


Ponte de Pria, posizione.


Foto ponte de Pria: parte esterna.


Grazie alle costruzioni e alle nuove tecnologie ideate da Fra' Giocondo, Treviso non ricevette un solo colpo di artiglieria e i nemici furono cosÏ costretti a fermarsi, rinunciando alla conquista di Treviso (e quindi di Venezia). Molto importanti furono, inoltre, le cannoniere, poste nelle parti nascoste delle tre porte cinquecentesche di Treviso e nei bastioni. Le cannoniere sono fatte a forma di imbuto, per regolare la direzione in cui deve sparare il cannone e per impedire ai nemici l'accesso alla casamatta, ovvero la stanza interna-inferiore nella quale si controllavano gli attacchi da eseguire con i cannoni, che erano calibrati per non correre il rischio di spararsi da una cannoniera all’altra.

Foto scattata da "dentro" una cannoniera, si intuisce la forma "a imbuto".


Ma nonostante tutto, Fra' Giocondo, alla fine dei suoi lavori, non fu visto molto bene dalla popolazione trevigiana (come riportato in alcuni scritti dello storico Bartolomeo Zuccato) che ne volle l’esilio da Treviso. Continuarono e ultimarono così il progetto molti altri suoi collaboratori, come Giovan Marco da Lendinara, Alessandro Leopardi e, in particolare, Bartolomeo d’Alviano, che, condividendo le idee dell’amico frate, terminò i lavori da lui iniziati. L’ultima trasformazione che avvenne nella cinta muraria di Treviso prima dell’età contemporanea fu la costruzione delle due porte (porta SS. Quaranta e porta S. Tomaso). In conclusione, si può dire che nello stesso stile delle nuove mura cinquecentesche, vennero costruiti dei palazzi, ad esempio il PALAZZO BRESSA, che si trovava in piazza della Vittoria e che fu abbattuto nell' '800. Spesso le mura furono anche saccheggiate nella storia per sfruttarne il materiale; ad esempio, molti mattoni per costruire l'ex-tribunale (di fronte al Duomo) furono “presi” dalle mura dagli austriaci.

Lo sapevate che…  Il Senato della Serenissima, che riteneva molto importante la spianada, mandò fece una delibera nella quale c’era scritto che negli 800 metri adiacenti alle mura non ci doveva essere nemmeno una pianta e per questo volle iniziare i lavori dopo la vendemmia, per far sì che gli agricoltori e i contadini non perdessero il raccolto di quell'anno. Dopo però si specifica che anche le radici dovevano essere tolte per evitare che col tempo rigenerassero altre piante.


 Fra' Giocondo, come detto prima, era molto appassionato alle nuove tecnologie, in particolare si ispirava a quelle vitruviane. Queste sue caratteristiche lo portarono, si ipotizza, a intrattenere una corrispondenza Leonardo Da Vinci; si notano anche delle somiglianze fra le mura e le porte cinquecentesche di Treviso e alcuni progetti del genio fiorentino.  Giovanni Giocondo aveva una smisurata passione per le opere d’arte antiche, e non permetteva la demolizione di queste: questa sua passione fu condivisa con Lorenzo de’ Medici con il quale il frate scambia molte lettere riguardo anche a queste tematiche.  A Treviso, tra il bastione santa Sofia e la zona dell’Università, c’era, ancora dal medioevo, la tolpada, una specie di catena che passava da una riva all’altra del fiume e che veniva abbassata o alzata per riscuotere i dazi doganali dei “navigatori”: la casa che oggi è sede degli alpini era, una volta, l’ufficio della dogana.

Raffigurazione della tolpada.

PPosizione della tolpada.


 Polveriere: la prima e la seconda polveriera furono costruite nel XVI secolo. La prima era quella del Castello,

 Nel 1630 saltò in aria e fu spostata “fuori città”, oltre l'odierno ponte Garibaldi; ma anche quella polveriera esplose pochi anni dopo (1681) spaventando le monache di san Paolo che riportarono il fatto in un disegno. Tutto fu allora spostato ancora più lontano (zona Ca' Foncello); lì la polveriera restò fino al 1834 quando l'ennesima esplosione distrusse tutto.


Disegno che mostra l'esplosione del 1681.

 Mulini: quando Treviso era sotto la Repubblica di Venezia molto del grano prodotto nei territori occupati dalla Serenissima veniva portato a Treviso per essere macinato tramite i mulini ad acqua, numerosissimi nella città . Oggi rimangono solo tre dei piÚ di trenta mulini che si potevano trovare a Treviso nel '500. Risulta quindi probabile che la farina del pane che mangiavano i veneziani all’epoca fosse stata macinata a Treviso!


Modellino in argento (1639) che pone fra le caratteristiche principali della città un mulino!

Mulini e Fabbri: nel 1420 circa, prima che iniziasse la costruzione del Duomo di Firenze, il Brunelleschi venne a Treviso per consultarsi con i rinominati fabbri trevigiani (che all’epoca erano i migliori) per formare una lega apposita per la cupola del Duomo di Firenze. Anche i fabbri, come i mugnai, sfruttavano l'energia proveniente dai mulini ad acqua.  Bastione “Macello” di santa Sofia: nella seconda metà del 1800 nel bastione di santa Sofia fu costruito il macello comunale. Per costruirvi il macello il bastione fu


manomesso in modo rilevante, tanto che gli elementi nello stato migliore oggi sono i mattoni e la cordonata. Il luogo era ideale per via della freschezza e della vicinanza a un corso d'acqua, che infatti veniva usato per pulire le celle (soprattutto dal sangue). Il bastione venne poi distrutto nella II guerra mondiale dallo scoppio di una bomba; del macello le uniche parti ancora integre sono le celle frigorifere.  Palmanova: la Repubblica di Venezia inviò un ordine alla città di Treviso, nel quale la Serenissima chiedeva la donazione di 900.000 mattoni (presi dalle mura) per la costruzione della cinta muraria della città di Palmanova.  Rifugi antiaerei: durante le due guerre mondiali lungo le mura e sotto le porte furono ricavati dei rifugi antiaerei che avevano scopi sia difensivi (in caso di attacco aereo, i cittadini si sarebbero potuti rifugiare all’interno) che utili alla logistica bellica, ovvero utilizzati come depositi per armi, munizioni, bombe, ecc.; quindi se lungo le mura vi capita di vedere dei “buchi” molto probabilmente sono stati scavati durante la prima o la seconda guerra mondiale come rifugi o come depositi. Targa che attesta la presenza di un deposito minatori (1918).



Foto che mostra uno degli spazi ricavati nelle mura (lato nord).

 Mercato del bestiame: nei primi decenni del '900, per costruire il mercato del bestiame di Treviso, presso il bastione di san Tomaso, la mura furono manomessi


dall'edificazione di plinti di cemento armato che dovevano sorreggere delle tettoie. I danni sono ancora visibili nel tratto che confina con le scuole Stefanini; ma anche altri punti furono rovinati da costruzioni in cemento armato poi rimossi. Nell’immagine si può notare come le mura siano in parte scavate: in quelle parti erano posti dei plinti di cemento. In lontananza porta san Tomaso.

Le porte di Treviso


Le porte di Treviso sono sempre state le uniche vie d'accesso alla città. Queste infatti furono usate come sedi del dazio. Le mura di Treviso, nel periodo del dominio austriaco, presero di importanza. Le varie cannoniere e gli altri varchi erano stati tappati e le casematte ostruite per evitare vie d'accesso clandestine alla città. Gli Austriaci prima di interrare o abbattere registrarono però tutto su ottime mappe catastali. Proprio in questo periodo si discusse sull’apertura di nuovi varchi per poter eliminare le porte esistenti; in particolare santi Quaranta e san Tomaso erano poco gradite ad alcuni cittadini, essendo strette, quindi scomode per il passaggio dei carri. La porta più a rischio era santi Quaranta, alla quale si riconoscevano meno aspetti monumentali. I sostenitori della demolizione di santi Quaranta volevano costruire un ponte per far “respirare ” la città, anche perché proprio in quel periodo si stava costruendo una strada esterna (l'attuale P.U.T.). In seguito all’apertura di varco Manzoni, vicino san Tomaso, che doveva favorire la fluidità stradale, nacque un’ennesima polemica. Si discusse sulla enorme quantità di traffico che bloccava auto, carrozze, camion e sulla eccessiva facilità con cui invece i pedoni potevano entrare nella città. Si pensò di costruire due larghe strade attorno a porta san Tomaso, dove da una parte dovevano passare i camion e le carrozze e dall’altra le auto, alleggerendo così il traffico. Questo non avvenne e Treviso rimase quella che era. Attorno gli anni ’30 del 1900, con l'avvento del fascismo, santi Quaranta fu molto apprezzata; secondo i fascisti era infatti più bella di san Tomaso “perché ricca di semplicità”. Per fortuna oggi entrambe le porte risultano restaurate e non corrono più alcun rischio di demolizione!

Porta Santi Quaranta


Figura 2: Porta SS. Quaranta

Porta Santi Quaranta è una delle tre porte cinquecentesche. Nella parte che guarda la città, proprio come per porta san Tomaso, è presente la scritta in latino (Porta Sanctorum Quadraginta), mentre la parte che guarda l’esterno il nome è scritto in volgare (Porta de Sancti Quaranta); questo perché i contadini non sapevano il latino. Fu realizzata fra il 1516 e il 1517, voluta dal podestà Nicolò Vendramin il quale desiderava un monumento che ricordasse la vittoria sulla lega di Cambrai. Egli desiderava anche però che l’edificio celebrasse la sua persona, la chiamò quindi porta Vendramina e vi appose una lapide in suo onore. Il fatto non piacque alla Serenissima che fece cambiare il nome e scalpellare i caratteri di vittoria (ancora oggi si vedono i segni della scalpellatura sopra una delle due porte pedonali). La porta prese poi il nome dalla vicina chiesa dedicata ai Quaranta martiri di Sebaste che erano un gruppo di soldati romani martirizzati per la loro fede cristiana nel 320. I Quaranta subirono il martirio presso Sebaste, nell'Armenia minore, vittime delle persecuzioni di Licinio, scatenate a partire dall'anno 316. Questa chiesa era collocata dove ora sorge sant'Agnese.


Icona che raffigura i 40 martiri di Sebaste.

Il leone che si trova sopra l’arco centrale, opera di De Lotto, sostituisce quello distrutto dai


Francesi, preoccupati di cancellare ogni traccia della Serenissima Repubblica. Leone, simbolo della Serenissima.

Veduta della porta da Borgo Cavour.


Quattro capitelli con delle foglie scolpite completano i pilastri affiancati da quattro stemmi: due della città di Treviso, uno del doge Loredan e il quattro del podestà Andrea Vendramin. I tre grandi fori verticali all’altezza dell’arco indicano la presenza, in passato, di due ponti levatoi, uno pedonale e uno sul quale potevano passare i carri. Attraverso i suddetti fori passavano le catene. L’edificio della porta sporge rispetto alla linea della mura come quello di porta San Tomaso. Questa è una caratteristica molto particolare (solitamente le strutture delle porte arrivano in linea con le mura) e la si può ritrovare in progetti difensivi di Leonardo da Vinci! Il restauro della porta iniziò nel 1995 e finì nel 1998. Fu restaurata perché c’erano tegole spostate o rotte che permettevano all’acqua di penetrare, inzuppando così il legname e i muri. Alcune travi erano flesse quasi di diciassette centimetri. La porta ha una pianta quasi quadrata ed è coperta da una volta retta da una serie di piccoli archi. L’ornato della facciata esterna è in pietra d’Istria, sobrio e pacato. Come si vedrà numerose caratteristiche strutturali e vicende storiche (legate ad esempio al nome) la ricollegheranno a san Tomaso.


Porta san Tomaso Porta san Tomaso è una porta che si apre sulle mura cinquecentesche di Treviso. Si colloca nella zona nordorientale del centro, rivolgendosi sull'attuale strada della Pontebbana diretta a nord. Fu costruita sotto protezione del podestà Paolo Nani nel 1518, si ipotizza che sia stata progettata dall'architetto Guglielmo Bergamasco. Questi si ispirò alla struttura di Porta Portello a Padova. Questa porta inizialmente doveva chiamarsi (per volontà del podestà ovviamente) Porta Nana, ma Venezia si oppose, poiché una legge della Serenissima impediva di autocelebrarsi usando opere pubbliche a scopo privato; allora la porta fu dedicata all'arcivescovo di Canterbury san Thomas Becket. Questi era infatti molto vicino ai Templari e proprio nel quartiere san Tomaso, in via Borgo Cavalli, c'era una chiesa templare (successivamente chiusa al culto nel 1807, poi manomessa, infine completamente distrutta); Paolo Nani però riuscì ugualmente a inserire un ricordo del suo nome: mise sopra la cupola quadrata una statua di san Paolo visibile ancora oggi (allora il santo impugnava una lancia e per questo molti lo confondevano con san Liberale, patrono della città). La porta era stata usata come dazio e all’entrata, le guardie doganali si erano costruite un camino per l’inverno: i segni sono presenti ancora oggi sul lato destro (uscendo dalla porta).


Foto che mostra le tracce lasciate dal caminetto

La porta all'esterno presenta dei bassorilievi che raffigurano degli stemmi: lo stemma della cittĂ di Treviso, lo stemma papale e infine lo stemma del podestĂ Paolo Nani. La porta possedeva 4 cannoniere poichĂŠ doveva difendere il raggio d'azione fino ai 2 torrioni


sull'asse nord di Treviso. La porta possiede un “sotterraneo� nel quale si trovavano gli ingranaggi per le catene che dovevano sollevare e abbassare il ponte levatoio (sia quello pedonale che quello carraio).


Sotto porta san Tomaso: foto dei fori da cui entravano le catene del ponte levatoio.


La porta era collegata alla strada esterna dal ponte levatoio che si appoggiava su un ponte in pietra a quattro arcate (oggi ne sono presenti solo due, ma l'inizio del terzo arco si può ancora intravedere). Foto che mostra il ponte oggi (sono rimasti 2 soli archi).


Quella di san Tomaso è certamente la più maestosa delle tre porte, interamente rivestita da elementi decorativi in pietra d'Istria che riprendono lo schema degli archi trionfali classici. Possiede una pianta quadrata, nel vano centrale ha quattro piloni principali e altri due che sostengono il soffitto a vele. Il portone principale porta al sottotetto dove ci sono delle travature in legno che sostengono quattro falde. Il nome della porta è scritto nell'arco centrale esterno e interno. Esternamente il nome è scritto in volgare, interamente è scritto in latino. Questo perché si voleva sottolineare la differenza culturale tra il contado e la città. All’interno della porta si può notare il disegno di un teschio, si ipotizza che possa essere stato disegnato da una guardia il 20 gennaio del 1553 per scacciare dalla sua mente il pensiero della morte. Sotto il disegno ancora oggi si può leggere una frase scritta in italiano volgare che faceva riferimento ad una leggenda del periodo che narra di una povera contadina, la quale si presentò dalla regina per far liberare il marito. Come omaggio offriva l’unica ricchezza che possedeva: il filo per filare. Colpita dal gesto d’amore, la regina non solo fece liberare l’uomo, ma le assegnò tanta terra quanta fosse riuscita a cingere col filo della matassa offerta in dono.


Foto del teschio

Nel 1703 il podestà-capitano Federico Ranieri spedisce una lettera al senato veneziano poiché aveva il timore di un crollo della porta; in quell'anno iniziarono i lavori di restauro per un ammontare di 7313 lire. Durante il restauro viene sostituita una porzione periferica del tetto da uno spiovente a coppi, visibile ancora oggi. Durante il periodo napoleonico fu chiesto a Treviso di togliere tutti i leoni perché Napoleone non voleva segni della Repubblica Serenissima, così il leone di san Marco fu tolto dalla porta di san Tomaso. Nel 1857 fu posta una copia del leone di san Marco sul fronte esterno dagli Austriaci. La furia distruttiva napoleonica è però ancora visibile sulle teste dei leoni più piccoli presenti nella facciata i cui volti sono rovinati dai colpi di scalpello francesi. Fra il 1910-1938 la porta era attraversata dal binario linea 1 della rete tranviaria. Durante i moti risorgimentali si aprì un dibattito sul vero nome da attribuire alla porta: se porta san Tomaso o porta Mazzini.


Per alcuni anni (fino all'inizio del Novecento) la porta cambiò effettivamente nome, ma poi il nome ritornò san Tomaso. In questo periodo la casamatta di porta san Tomaso venne usata come rifugio antiaereo; per questo fu eretto un muro a distanza di un metro dalla cannoniera, per fermare le eventuali schegge. Dentro la casamatta di san Tomaso: muro di fronte la cannoniera costruito per bloccare le schegge delle granate.


Lo sapevi che? Anche all'interno della casamatta i soldati si annoiavano e, come i colleghi di guardia “sopra� al dazio, per passare il tempo scrivevano (come i moderi writers?!); ecco cosa


abbiamo trovato sul muro “sotto� porta san Tomaso: una data, 1527!

La foto, scattata "sotto" porta san Tomaso, mostra la data 1527.



TREVISO NELL’OTTOCENTO Treviso tra dominazione francese e dominazione austriaca All’inizio del 1800 Treviso passò ripetutamente dalla dominazione francese a quella austriaca e viceversa. Nel 1797, col Trattato di Campoformio, l’Austria ottenne dalla Francia la sovranità sul Veneto. La situazione cambiò nuovamente nel 1800 quando Napoleone, di ritorno dalla campagna d’Egitto, sconfisse le armate austriache nella battaglia di Marengo, riconquistando i territori ceduti fino al Tagliamento. L’armistizio tra i Francesi e gli Austriaci fu firmato nella locanda dell’Imperatore, in via s. Agostino, a Treviso. Dopo meno di un mese, con la pace di Luneville (1801), fu rispristinato il Trattato di Campoformio e gli Austriaci tornarono a dominare il Veneto e quindi anche Treviso. Ma nel 1806 la città ritornò in mano ai Francesi, con effetti sia negativi: la spoliazione delle opera d’arte nei conventi e nelle chiese, che positivi: l’avvio di opere pubbliche tra cui la spianata di porta san Tomaso, la creazione del Liceo (successivamente intitolato a Canova dopo l’Unità d’Italia) e l’istituzione del primo giornale trevigiano (“Il Monitore di Treviso”). L’arrivo di Napoleone, nel 1808, fu salutato dalla folla davanti alla Chiesa di san Lazzaro. Nel 1813 Treviso tornò sotto gli Austriaci, che governarono fino al 1866. Anche in questo periodo furono sviluppate varie infrastrutture: il tribunale, le poste, varie scuole ma principalmente la ferrovia. Durante il Congresso di Vienna (1814/15) il Veneto fu assegnato al Regno LombardoVeneto, stato satellite dell’Impero Austriaco. Nel 1816/17 le condizioni di vita a Treviso, come in tutto il Veneto, peggiorarono a causa di una grave carestia, che colpì in particolare i ceti sociali più umili. Nello stesso periodo nella regione cominciarono a diffondersi i primi moti carbonari e l’ideologia mazziniana, abbracciata anche dai patrioti trevigiani nei loro segreti raduni. Nel 1844 fu inaugurato il primo omnibus a cavalli, mentre nel 1846 Piazza dei Signori fu illuminata a gas.


Nel 1848, quando scoppiò la rivolta a Venezia, Treviso ne fu piena sostenitrice, tanto che il 23 marzo il podestà Giuseppe Olivi annunciò la fine della dominazione austriaca sia su Venezia che sulla provincia trevigiana e le truppe imperiali abbandonarono Treviso il giorno seguente. Fu così istituito un corpo di soldati volontari, detti “Crociati”, da parte del Governo Provvisorio di Venezia, ma essi furono pesantemente sconfitti, insieme coi reparti padovani e vicentini, dall’esercito austriaco. In seguito a questa sconfitta Treviso il 12 maggio venne posta sotto assedio e definitivamente riconquistata il 14 giugno 1848 dagli Austriaci. Le truppe del neo formato Regno d’Italia in guerra con l’Impero austriaco entrarono in città il 15 luglio 1866. Le autorità austriache furono sostituite da quelle italiane e il 30 settembre si tennero le elezioni per nominare il primo Sindaco.

Epoca post-unitaria Durante il plebiscito del 21 ottobre 1866 per l’annessione al Regno d’Italia a Treviso prevalsero nettamente i “sì”, con 84.526 voti, contro 2 “no” e 11 schede bianche. Giuseppe Garibaldi fu accolto con grande gioia dalla folla il 5 marzo 1867. Durante la seconda metà del 1800 vennero realizzate molte opera pubbliche tra cui nel 1875 l’allargamento del corso tra la stazione ferroviaria e Piazza dei Signori, chiamato prima Corso Vittorio Emanuele e, in seguito, dal 1945, Corso del Popolo. Vennero poi inaugurate nel 1879 Piazza delle Donne, attuale Piazza Indipendenza, e il Monumento ai Caduti per la Patria. Nei primi anni del Regno d’Italia si sviluppò ulteriormente la rete ferroviaria e si aprirono Istituti scolastici, come l’Istituto Tecnico Jacopo Riccati. Nacquero le prime industrie sul territorio, grazie alle famiglie della borghesia imprenditoriale: i Giacomelli, i Caccianiga, i Coletti e i Felissent. La povertà rimaneva comunque diffusissima, soprattutto nella campagna, dove la malnutrizione portò una epidemia di pellagra. Molti proletari emigrarono in cerca di fortuna, soprattutto in Brasile. Per sostenere i contadini nacquero anche le prime Casse Rurali, promosse dalla Chiesa. La popolazione di Treviso aumentò da 29.000 a 41.000 abitanti tra il 1871 al 1919.


CuriositĂ Mappa Treviso 1800

Zona Nord-Est


La pescheria Alla dominazione asburgica risale la sistemazione attuale della Pescheria: nel 1856 gli Austriaci decisero di unificare alcuni isolotti che sorgevano sul Cagnan Grande per formare lo spazio atto a ospitare il mercato del pesce che ravviva il panorama cittadino ancora oggi all'ombra degli ippocastani.

Contrada del gioco del pallone Vicino all’attuale piazza del grano, un tempo chiamata piazza del Mercato Nuovo, partiva una via, che adesso porta alle scuole Stefanini, nel 1800 conosciuta come Contrada del gioco del pallone. Infatti in molte vedute del quartiere di san Tomaso si possono notare in quella via bambini che giocano tra di loro e in una mappa abbiamo notato anche la dicitura sulla via, appunto di Contrada del gioco del pallone.

Zona Sud-Est


Ponte Dante Nel 1865 a Treviso si celebrò il sesto centenario della nascita di Dante Alighieri. Sull’onda dei moti risorgimentali, il fatto assunse una forte valenza nazionale. Nell’occasione fu eretta una stele commemorativa su quello che oggi è noto appunto come Ponte Dante, proprio là “……dove Sile e Cagnan s’accompagna” (così come aveva scritto il sommo poeta nel IX canto del Paradiso) cioè dove il fiume Cagnan confluisce nel Sile. Quando fu costruito nell’attuale versione in pietra, il Ponte fu chiamato dai popolani “ponte dell’impossibile”: tutti ritenevano, infatti, che sarebbe stato travolto alla prima piena del fiume, come i precedenti ponti e passerelle, costruiti in legno.


Ponte Dante.

Bagni sul Sile Nell’Ottocento, in Riviera s. Margherita, c’era la possibilità per tutti i cittadini di concedersi un bagno, essendo ancora lontana la disponibilità domestica di questo servizio.


Immagine dei bagni sul Sile.


Università nell’ex-ospedale Nell’attuale sede dell’Università di Treviso in Riviera santa Margherita (nel Quartiere Latino), nell’Ottocento si trovava l’Ospedale di Treviso, poi trasferito nell’odierna sede di Ca’ Foncello.


Riviera santa Margherita.


Restera Era chiamata Restera la strada rivierasca del Sile, dalla parola “resta” che significava intreccio (delle corde in questo caso). Le barche che risalivano il Sile della Laguna erano trainate infatti per mezzo di corde da buoi o cavalli che percorrevano la Restera fino al Portello, situato nell’attuale sede degli alpini, che era l’ingresso pedonale parallelo a quello fluviale creato per questa funzione. Il portello serviva anche come barriera daziaria, in quanto chiunque avesse voluto entrare in città dal fiume avrebbe dovuto pagare un dazio. La dogana per il controllo delle merci era situata nel quartiere Latino, in prossimità dell’ospedale.


Restera

Zona Nord-Ovest


Osteria al Cavallino I “carbonari” trevigiani organizzavano i loro incontri segreti all’Osteria al Cavallino, che si trova in Borgo Cavour, a ridosso di una delle porte meglio conservate della città: porta SS. Quaranta. A fianco all’insegna della locanda si può ancora trovare una lapide in ricordo dei moti carbonari a Treviso (in particolare si ricorda la figura di Manin).

In alto a sinistra, sopra l'insegna dell'osteria, si nota la lapide commemorativa.


Ceramica Appiani Fondata a Treviso nel 1873, la Ceramica Appiani era dedita alla produzione di fregi, coppi e mattoni, per i quali ricevette riconoscimenti in tutto il mondo.

Immagine della fabbrica di ceramiche Appiani.


Zona Sud


Esposizione regionale Dal 5 ottobre al 1 novembre 1872 si tenne a Treviso la prima Esposizione Regionale Agricola Industriale e delle Belle Arti, creata per promuovere il rilancio economico del Veneto e di Treviso dopo l’annessione al Regno d’Italia (1866). La sede della manifestazione venne individuata in prossimità della Stazione Ferroviaria che diventerà la sede della Camera di Commercio e della Borsa, poi distrutta nel bombardamento del 1944. Immagine dell'edificio in cui si è tenuta l'esposizione.


Stazione di Treviso La stazione di Treviso fu aperta con ogni probabilità il 15 agosto 1851. Il primo edificio, costruito in stile neoromanico, fu progettato dall'architetto-ingegnere Giovanni Bottura su incarico di Luigi Negrelli, direttore generale dei lavori pubblici del Lombardo-Veneto. A causa della natura paludosa del luogo (la zona a sud di Treviso è piÚ "bassa" rispetto al centro storico) dovettero essere realizzate delle fondamenta solide e la costruzione fu

Stazione di Treviso prima del bombardamento durante la II guerra mondiale.


particolarmente dispendiosa.

Centro Storico

Albergo Reale Nell’Ottocento, in Piazza Maggiore, l’attuale Piazza dei Signori, è stato costruito l’austero palazzo dell’Albergo Reale. Lì attualmente c’è la sede della Banca Monte dei Paschi di Siena.


Immagine dell'Albergo reale.

Il nuovo Palazzo Provinciale Il cambiamento del regime politico, determinato dall’annessione del Veneto al Regno d’Italia nel 1866 dovette passare anche attraverso il cambiamento di immagine dello Stato. L’Antico Palazzo Comunale (ora Prefettura) venne rimaneggiato rettificandone la facciata. Per accedere al Salone dei Trecento fu costruita una piccola scala esterna coperta.


"Il nuovo palazzo provinciale" 1877.

Caffè Roma Situato in piazza dei Signori, sotto lo scalone che conduceva al Palazzo dei Trecento, fu rinominato Caffè Roma al termine della dominazione austriaca, in quanto Roma rappresentava il vertice delle attese risorgimentali.


Zona Sud-Ovest

Palazzo Bressa Palazzo Bressa fu uno dei palazzi più significativi di Treviso, tanto che in molte rappresentazioni della città da noi analizzate veniva ritratto più grande del Duomo stesso e segnalato sempre come luogo d'interesse. Il nome del palazzo deriva da Brescia, luogo di origine della famiglia che ne era proprietaria. Nel 1326 si stabilì in città il medico bresciano


Bettino Bettignoli e, come si usava a quel tempo, venne identificato, e con lui la sua famiglia, con la città di origine. Nel tempo il nome mutò in Bressa. Nel 1493 Venceslao Bressa costruì un palazzo che celebrasse la potenza della sua casata, il Palazzo Bressa. Esso fu utilizzato più volte dalla Repubblica Veneziana per ospitare personalità di spicco, come Enrico III, re di Francia. Nel 1674 i Bressa, per ripianare i debiti, dovettero vendere gli arredi del palazzo. Lasciato in uno stato di abbandono perfino gli eredi, nel 1764, lo rifiutarono, a causa dei gravi debiti che gravavano su di esso. Nel 1826 l’area del palazzo venne ceduta al Comune, che fece una piazza demolendo il palazzo: piazza Bressa, l’attuale piazza Vittoria.

Prospetto di palazzo Bressa.


Zona Fuori Mura Collegio di educazione femminile Gli edifici che si affacciano sul chiostro del Monastero di san Teonisto furono aperti dalle Monache Benedettine all’accoglienza delle giovani per gli studi; dopo le soppressioni degli istituti religiosi nel 1810, il complesso continuò ad ospitare un educando femminile. Interno del Collegio di educazione femminile a san Teonisto.


TREVISO NEL NOVECENTO

Treviso nella prima guerra mondiale


Treviso ebbe un ruolo significativo durante la prima guerra mondiale. Dopo la disfatta di Caporetto, il fronte di guerra con l’Austria si spostò sul Piave, fiume che scorre attraverso la provincia di Treviso. Proprio per questo motivo, a Treviso ci fu la sede dell’Intendenza Generale dell’Esercito, dove venivano pianificate le varie strategie d’attacco e di difesa da parte degli italiani, tant’è che su Borgo Cavour, di fianco alla chiesa di sant’Agnese, sulla facciata di palazzo Revedin è presente una lapide con scritto: “Qui Luigi Cadorna col comando “morire non ripiegare” ordinò l’eroica resistenza sul Piave preparando all’Italia Vittorio Veneto. Treviso Riconoscente. XXIV maggio MCMXXV”. Questo palazzo ospitò anche il re Vittorio Emanuele in una delle sue visite alla città. Immagine del XIX sec. che rappresenta Borgo Cavour; si notino la chiesa di sant'Agnese e palazzo Revedin.


Da questa lapide si capisce che la nostra città fu importante proprio per la vittoria a Vittorio Veneto che poi fece ritirare l’Austria tramite un armistizio, il 4 novembre 1918. Treviso, poi, essendo la città più vicina al Piave, era anche un centro ospedaliero di primo ordine, dove venivano curati i feriti di guerra. Nell'immagine sopra riportata si noti anche il vuoto sulla destra che sarà poi “riempito” dalla struttura del Collegio Pio X voluto da beato Longhin e costruito dal 1925. Proprio per il ruolo che la città aveva in questo periodo, Treviso venne bombardata. Ci furono dei bombardamenti alle ferrovie e ai ponti, che erano i principali obiettivi degli austriaci; ma purtroppo vennero bombardati anche altri luoghi come: l’antico Decumano, ossia l’attuale via santa Margherita che arriva fino Piazza dei Signori, Piazza dei Signori stessa e le vie di fronte alla piazza, ma anche dietro, come via san Vito e il vicolo cieco esattamente alle spalle della piazza, oppure le vie che sono perpendicolari alla facciata del Duomo, che scorrono a lato della libreria “la Feltrinelli”; cambiando completamente luogo sono stati bombardati anche la Chiesa di sant’Agostino e la piazzetta che si trova a Est del fiume Cagnan, ma anche l’area del bastione del castello a Sud della città. Poi sono stati colpiti anche altri edifici all’interno delle mura ma non sono stati riportati danni rilevanti. Le persone venivano portate nei rifugi antiaerei, che si trovavano nelle mura: la maggior parte delle volte erano nei torrioni, come nel bastione di san Paolo, a Nord-Est della cinta muraria. Il rifugio, fino alla prima guerra mondiale, era una cannoniera ossia il luogo dove venivano messi i cannoni per colpire il nemico che arrivava dall’esterno, e poi venne modificato, ampliando lo spazio per poter permettere l'accesso a più persone possibile. Nelle mura furono anche creati dei piccoli anfratti (togliendo i mattoni) per ottenere dei magazzini/depositi, per scopi militari. Uno è ancora visibile non lontano dal ponte de Pria; si trattava di un deposito del Genio minatori e al suo interno è ancora visibile la data 1918.


Lapide all'interno di uno di questi depositi (ben visibile la data: 1918).


In seguito alla prima guerra mondiale, la provincia di Treviso decise di aumentare la quantitĂ di costruzioni, di fatto vennero costruite molte industrie e anche la fabbrica del ghiaccio, ossia un luogo dove veniva tenuto del ghiaccio per conservare il cibo, visto che non esisteva ancora il frigorifero. Venne anche costruita cittĂ -giardino, ossia quel quartiere occupato da giardini privati sotto degli alberi, tra porta santi Quaranta e porta Calvi.




Mappa dei luoghi colpiti dai bombardamenti della prima guerra mondiale.


Lo sapevi che…? Nel 1933, venne inaugurato lo stadio comunale del Littorio, ossia l’attuale stadio da calcio Omobono Tenni, dedicato al motociclista trevigiano, nominato così poi nel 1963. La cosa curiosa di questo stadio è che, esattamente dove ora c’è il campo di gioco e il parcheggio, fino al 1933 c’era il vescovado, cioè la sede del Vescovo. Tramite delle mappe si intuisce che era una villa con dei grandi giardini che caratterizzavano la sede. Ora l’attuale vescovado di trova esattamente di fianco al Duomo, il motivo dello spostamento fu la perdita della maggior parte dei territori appartenenti al Vescovo, ceduti al patriarcato di Venezia, il tutto voluto dal governo fascista.

Porzione di una mappa (XIX sec.) in cui si notano il palazzo del vescovo e relativi giardini nell'area oggi occupata dallo stadio.


Treviso nella seconda guerra mondiale Tutte le città del Veneto, esclusa Venezia, subirono frequenti bombardamenti aerei durante la seconda guerra mondiale e questi spesso distrussero l’aspetto delle città .


Treviso venne attaccata varie volte ma il bombardamento più grave è quello del 7 aprile del 1944. Attuali fonti registrano più o meno 1500 morti, fra città e provincia. La gente sopravvissuta fu costretta a vivere in condizioni igienico-sanitarie pessime. L’ottanta per cento degli edifici di Treviso venne distrutto (il trentacinque per cento in centro), scomparvero l’impianto quattrocentesco e alcuni capolavori di Tommaso da Modena. Vennero danneggiate un gran numero di chiese, come quella di san Nicolò, santa Maria Maggiore, santa Caterina, san Francesco e anche il Duomo. Il danno maggiore fu al Palazzo dei Trecento e nella zona di Piazza dei Signori (piazzetta Lombardi fu completamente distrutta, come varie testimonianze rappresentano). Vennero anche bombardate alcune case vicino a porta Calvi e in città-giardino. In genere gli obiettivi dei bombardamenti erano linee ferroviarie, stazioni e varie strade che erano importanti dal punto di vista strategico-militare. Non a caso vennero bombardate l’attuale stazione degli autobus e la stazione centrale dei treni; fu colpita pesantemente anche piazza Recanati che si trova tra le due stazioni. Treviso, dopo il bombardamento, fu ricostruita e nacque una “nuova città”. Già nel 1948, dopo la totale distruzione di Palazzo dei Trecento, venne ri-eretta la prima parete. La zona della stazione è stata completamente ricostruita; anche le strade subirono numerosi cambiamenti: tutte le vie, prima del bombardamento, salivano a Sant’Andrea, ma furono in gran parte compromesse; le esplosioni aprirono invece un varco su cui venne aperta l’attuale via Toniolo.

Dopo la distruzione del quartiere di san Nicolò, nacquero piazza Pio X e via D’Annunzio. L’idea era quella di sviluppare la città da Est a Sud, e nel 1956 il sindaco Tronconi inviò una relazione a Roma perché la città era stata finalmente ricostruita in soli 10 anni!


Mappa che mostra gli edifici distrutti o danneggiati all'interno delle mura.






I SEGRETI DELLA BIBLIOTECA DI BORGO CAVOUR Progetto di Samuele Andreatta, Alice Balboni, Matteo Caltana, Vittorio Dagnino, Marta Francescutti, Sebastiano Pian, Samuele Simionato, Anna Volpato, Alessia Zambianco, Agnese Zanasi.

Con il progetto terze di quest'anno , siamo stati accolti nella biblioteca di borgo Cavour e abbiamo scoperto quanto di misterioso e fino ad oggi sconosciuto c'è. Forse non tutti sanno dei tesori che essa racchiude, ma vi assicuriamo che vale la pena scoprirlo. La biblioteca si affaccia sul frequentato borgo Cavour, una delle arterie di Treviso, sempre piena di vita, che confluisce verso porta Santi Quaranta. Da quest’ultima si può notare la biblioteca che si trova quasi alla fine della via, a fianco del museo Bailo recentemente aperto. La facciata in bugnato, con gli scalini che portano al portone, è abbastanza spoglia, ma non esitate a entrare perché farete un viaggio sorprendente nella Treviso sette ottocentesca e scoprirete molte cose che, anche se siete dei trevigiani DOC, prima non sapevate.


La guida che abbiamo realizzato è articolata in cinque percorsi che possono essere consultati in modo indipendente l’uno dall’altro, a seconda degli interessi e delle passioni di quei turisti o curiosi che vorranno addentrarvisi.

1. STORIA DELLA BIBLIOTECA E SALE ANTICHE 2. ACQUERELLI, GLOBI CELESTI E TERRESTRI, MAPPE 3. STORIA DEL LIBRO E DEI SUPPORTI DI SCRITTURA: BIBBIE MINIATE E

BREVIARI DA BISACCIA 4. DANTE A TREVISO TRA MANOSCRITTI E INCUNABOLI 5. FOSCOLO A TREVISO


1.STORIA DELLA BIBLIOTECA e SALE ANTICHE

LA BIBLIOTECA Treviso fu la terza città del Veneto ad istituire una biblioteca comunale. Aperta al pubblico nel 1847, ma nata come fondo librario nel 1769, nella centralissima piazza Maggiore, oggi dei Signori, la biblioteca comunale rappresenta da più di un secolo e continua a rappresentare un luogo storico e molto importante per Treviso. Questa importante, a livello cittadino, biblioteca, contiene al suo interno numerosi manoscritti e ricevette inoltre, molto tempo prima aprire al pubblico, due donazioni: nel 1769 la raccolta del canonico Giuseppe Bocchi composta da oltre 1500 volumi e nel 1810 la raccolta di Giovan Battista Rossi formata da oltre 10 mila volumi, 177 manoscritti e 380 incunaboli. Dopo queste, e altre donazioni, il rapido incremento dei volumi e la forzata coabitazione della biblioteca con la Pinacoteca porta alla decisione di spostare la biblioteca dalla piazza dei Signori in Borgo Cavour, dove Antonio Monterumici disegna il progetto che ospiterà la futura biblioteca comunale, che venne inaugurata il 27 aprile 1879. Con il nuovo edificio che si affaccia sullo stupendo borgo Cavour, la biblioteca ospitava al piano terra il Liceo Canova. All’interno della biblioteca sono presenti stanze molto particolari che contengono manoscritti plurisecolari e altro materiale come mappe, mappamondi e anche testi sacri come la famosa Bibbia miniata di San Paolo; la biblioteca contiene inoltre un’esemplare trecentesco della Divina Commedia.

L’ABATE LUIGI BAILO Luigi Bailo, nato l’otto agosto 1835 a Treviso, è stato una delle figure più importanti nell’ambiente culturale della sua epoca. È stato ordinato sacerdote nel 1850. In seguito si laureò all'Università di Padova diventando insegnante al Seminario di Treviso dal 1857 e professore di lettere al Liceo ginnasio dal 1864 fino al 1910. Aveva un carattere focoso e aveva idee liberali. Proprio per il suo carattere non aveva paura di diffondere idee di accusa politica e sociale per le strette strade medievali trevigiane.


Treviso si sentiva “vecchia” a causa della furia modernista napoleonica, e voleva modernizzarsi anche a costo di demolire importanti opere medievali. Bailo capì l’importanza di queste ultime, allora fondò il Fondo Iconografico trevigiano, ingaggiando artisti che mandava a ricopiare le opere a rischio. Uno di questi è Antonio Carlini che oltre ad acquerellare edifici dipingeva anche fregi e particolari degli stessi. Da quel momento fino allo scoppio della Prima guerra mondiale tutta la vita di Luigi Bailo fu spesa nell'attività di ricerca e raccolta di reperti ed opere con il nobile intento di "salvare tutto quello che della patria ogni dì purtroppo va scomparendo sotto la pressione dei bisogni urgenti della vita, della civiltà, dei capricci della giornata" . Proprio per questa sua intenzione di salvaguardare il passato per farlo conoscere al futuro è passato alla storia. Nel 1879 Bailo fondò il Museo Civico arricchendolo con il Fondo Iconografico trevigiano, con 550 disegni. Detiene l’onore di essere stato il primo bibliotecario moderno nella biblioteca comunale di Borgo Cavour: è stato il primo a comprare, conservare e catalogare i libri con i moderni sistemi di catalogazione. Muore il 28 ottobre 1932 dopo una vita dedicata a salvare dalle grinfie della mentalità dell’epoca importanti documentazioni storiche di quella magnifica Treviso medievale che ora rimpiangiamo.

ATENEO La nuova Biblioteca venne inaugurata il 27 aprile 1879. L'atrio è stato arricchito dagli stemmi di famiglie trevigiane. Anche la sala dell’Ateneo è stata arricchita con stalli lignei risalenti al 1600 esportati dalla chiesa della Madonna del Monte che, ora non più esistente, era situata in Piazza dei Signori, vicino alla prefettura. L’Ateneo sembra risalire ancora al 1600 ma si ritiene che sia stato fondato da Napoleone nel 1810 per riunioni militari. Nella biblioteca è nato con lo scopo di ospitare riunioni tra intellettuali. Ora in questa stanza gli studenti possono analizzare i libri. La sede dell’Ateneo oggi si trova in piazza dell’Umanesimo Latino.


SALA CACCIANIGA Un personaggio molto famoso, Antonio Caccianiga (Treviso, 30 giugno 1823 – Maserada sul Piave, 22 aprile 1909), come primo sindaco ha voluto lasciare un segno nella storia della biblioteca lasciando in custodia del Bailo la sua biblioteca personale con libri, precisamente 9500 volumi, di letteratura italiana e francese di quel periodo.

SALA F.I.T. (Fondo Iconografico Trevigiano) In questa sala, collegata alla biblioteca Caccianiga, sono conservati in scaffali lunghi tutta la stanza e alti quasi come soffitto in legno, molti libri che trattano dalla letteratura alla storia e vicino agli scaffali o sopra un grande tavolo ci sono mappamondi celesti e geografici. Sono conservati anche dei disegni di fregi, case di Carlini e altri autori del Fondo Iconografico Trevigiano.


2. FONDO ICONOGRAFICO: ACQUERELLI, MAPPAMONDI, MAPPE.

GLI ACQUERELLI CARLINI Se visitate Treviso sicuramente sentirete parlare di uno dei personaggi principali per la storia della nostra città: Luigi Bailo. Luigi Bailo (1835-1932) viene ricordato per il suo lavoro nella salvaguardia delle testimonianze trevigiane del Novecento. La biblioteca rivela il suo impegno nel raccogliere libri, incisioni, fotografie, dipinti e tessuti salvati da un' imminente distruzione. Nel corso degli anni novanta dell’Ottocento Luigi Bailo affidò a vari artisti il compito di raccogliere i rilievi più significativi degli edifici sia pubblici che privati di Treviso. La sua raccolta comprende 550 acquerelli e fotografie fondamentali per la conoscenza di Treviso tra l'Ottocento e il Novecento. Come potete immaginare, l'esigenza di questo lavoro consisteva in un desiderio di avere una documentazione futura degli aspetti artistici della città e inoltre per la salvaguardia degli affreschi delle demolizioni o rifacimenti di cattedrali e palazzi, come la Chiesa di S Margherita con il ciclo di affreschi di Sant'Orsola, capolavoro di Tommaso da Modena. Le case affrescate di Treviso costituiscono la raccolta più significativa. Tra queste si consiglia vivamente di visionare la " Casa dell'Invidia" in piazza San Leonardo, bersaglio delle bombardate austriache, oppure la "Casa Rossa" in Piazza Duomo, demolita nel bombardamento del 7 aprile 1944. Gli stessi affreschi decoravano la Loggia dei Cavalieri, che vennero ripresi tra gli acquerelli di Carlini. Il successore di Bailo, Luigi Sorelli, riordinò una raccolta di 15 cartelle. Esse comprendono: Il salone dei Trecento, la Loggia dei Cavalieri, Chiese e Case, le Prigioni di S Vito, stemmi, ceramiche e terrecotte murali, anche questi molto interessanti. L' ultima collezione consiste in acquerelli ottocenteschi di case bassanesi e vicentine del 1960. Tra gli artisti un ruolo di valore è ricoperto da Antonio Carlini, noto come scultore, tra i pittori ricordiamo Giuseppe Pavan Beninato, Aldo Voltolin, Angelo Sala, e tra i


restauratori, Girolamo Botter e Carlo Linzi. Nel periodo seguente molti uomini colti scrissero riguardo alla volontà di preservare capolavori artistici. Giovanni Comisso scrisse che era sufficiente un frammento per testimoniare un'opera d'arte. Si può riflettere allora sul fatto che basta una piccola parte delle case affrescate della nostra città per notare quanto Treviso fosse culturalmente avanzata nel XIV secolo; decorazioni che riempiono la nostra città nonostante i bombardamenti delle guerre. Ed è sempre lui a ricordarci che l'abate Bailo lottò per salvare le bellezze nascoste nelle case che venivano distrutte per cancellare ciò che non veniva più compreso dall'architettura moderna; ed è quello che fece nel caso degli affreschi di Tomaso da Modena,

salvati

durante

la

distruzione

della

chiesa

di

Santa

Margherita.

Nel dodicesimo secolo è proprio a Treviso, città a quell'epoca piccola e circondata dalle mura romane, che Tomaso da Modena è impegnato nell' affrescare San Nicolò, San Francesco, Santa Caterina e Santa Margherita. Adesso Treviso non è più la "città dipinta", ma, anche se vi può sembrare strano, nel Trecento doveva essere così fastosa da fare invidia perfino a Venezia. Secondo un'affascinante tesi di Comisso, Venezia era localizzata in una zona così esposta al mare, da non permettere di essere affrescata in un modo così straordinario come Treviso. A Venezia la facciata del Palazzo Ducale era stata decorata con pietre rosa e bianche d' Istria, lavoro che venne in seguito ripreso da artigiani trevigiani con pietre di diversi colori e disposte in una maniera differente. Treviso, nel suo modo di decorare le case così strutturato di cui non si conosce bene l'origine, nel Cinquecento era già conosciuta oltre i confini della patria veneta, come a Parigi o altri importanti centri artistici nel mondo. All'epoca sembrava strano pensare che una città come la nostra volesse competere con Venezia, splendente per le sue pietre e i suoi marmi lavorati. Per questo motivo la voglia di meravigliare mise a lavoro pittori, artigiani e tappezzieri che inventarono nuovi modi di dipingere e decorare. Molti degli affreschi a tappezzeria, tra cui lavori grafici e geometrici, infatti, vennero riprodotti da Carlini e Botter e fanno pensare a un'invenzione del tutto trevigiana,. Come vedrete, Antonio Carlini con i suoi acquerelli, ci dà documentazioni preziose per Treviso, ma anche strumenti essenziali per conoscere il nostro futuro.


Ciò è stato compreso da Bailo e degli artisti che accettarono il compito che gli era stato offerto,

salvaguardando

alcune

delle

tradizioni

più

raffinate

di

Treviso.

GLI ACQUERELLI: Come sapete molti artisti lavorarono per recuperare dei frammenti dei motivi più particolari

delle

case

di

Treviso;

la

tecnica

più

utilizzata

fu

l'acquerello.

I pittori prendevano note con la penna stilografica su fogli di carta bianca, degli elementi decorativi

che

trovavano

sulle

pareti

delle

strutture

che

incontravano.

Come potrete notare, essi fissavano con dei rapidi schizzi e linee essenziali ciò che poteva interessare, in seguito annotavano in calce data, luogo, dimensioni, particolarità, colori, traduzione in scala, appunti di rilievo e a volte ripassati con qualche lucido. Gli acquerelli non hanno scopo artistico, ma quello di rappresentare e ricordare ciò che è stato distrutto, non solo dal bombardamento del 7 aprile del 1944, ma anche dalla precedente furia di distruggere dimore medievali considerate antiche. Infatti Mario Botter si meravigliava che i suoi contemporanei si affannassero a imbiancare le facciate delle loro abitazioni tanto quanto gli artigiani e i pittori erano stati per dipingerle. Egli fu cresciuto dal padre, Girolamo Botter, e impegnò tutta la sua vita nel restaurare e scoprire affreschi nuovi da riportare alla luce. Dove era possibile Botter usava la sua abilità artistica di pittore per riprodurre sulla carta col pennello e con acquerelli le ornature che decoravano gli esterni delle case. Egli era spinto dall'amore per la sua città e dalla nascosta bellezza degli edifici per proseguire al meglio nella documentazione. Il pittore salvò da una sicura demolizione interni di chiese come San Francesco, Santa Maria Maggiore e l'ex chiesa di Santa Caterina. Le testimonianze che ricordiamo maggiormente sono: "Casa Marron" e "Casa Rossa" di Strummel e "Casa da Noal" di Botter, che si consigliano caldamente di andare a visitare. ANTONIO CARLINI: Sicuramente, nel vostro viaggio a Treviso, sentirete parlare di Antonio Carlini. Egli fu uno dei maggiori autori di acquerelli dedicati a ornamenti di case trevigiane. Carlini nacque a Treviso nel 1859, durante la dominazione degli austriaci. Carlini


manifestò sin da piccolo la sua creatività e il suo interesse per la scultura. Solo a sette anni il bambino attirò l'attenzione di Luigi Borro, il quale riuscì a far ottenere un aiuto da parte del comune affinché egli potesse studiare presso l' Accademia di Belle Arti di Venezia. Al suo modo di scolpire e dipingere si interessarono numerosi artisti dell'epoca, tra cui: Carlo Lorenzetti, Ernesto Bazzero, Luigi Serena, Giuseppe Ciardi, Laurenti, Cattaneo. Carlini viene ricordato per essersi esposto nella lotta per la conservazione dei patrimoni artistici della città, sostenuto dall'abate Bailo, per aver salvato la Loggia dei Cavalieri dalla demolizione e il ciclo degli affreschi di Tomaso da Modena. Dall'inizio degli anni Ottanta fino ai primi vent'anni del Novecento, Carlini lavorò con impegno e mal pagato dal Comune, verso il quale si sentiva debitore per il suo lavoro. Egli morì il 21 giugno 1945. GLOBI CELESTI Tra le mille esperienze che si possono fare nella biblioteca di borgo Cavour, non manca un accenno agli antichi “Gabinetti di curiosità”. Essi erano stanze create a solo a scopo collezionistico, e si trovavano principalmente nelle case delle famiglie più nobili trevigiane. All'interno di queste sale, non mancavano i globi celesti e terrestri. La scoperta delle Americhe, favorì lo sviluppo della cartografia moderna, con la produzione di libri, mappe e mappamondi. I globi che oggi si possono immaginare sono ben diversi a quelli di quegli anni, che avevano immagini distorte del nostro pianeta a causa delle scoperte geografiche incomplete. I GLOBI TERRESTRI I globi terrestri del periodo erano generalmente disegnati o stampati su carta, che veniva divisa in fusi e poi incollata su una sfera di legno o di gesso armato, che in seguito venne perfezionata. L'uso del globo terrestre venne diffuso molto in questi anni.


GLOBO CELESTE Era un modello della volta celeste di come veniva pensata nel Seicento, perchè, come sapete, solo negli anni seguenti vennero fatte le maggiori scoperte scientifiche. Può sembrare molto curioso e insolito, ma i globi celesti erano già in uso presso i Caldei e gli Egizi, ed erano molto più decorati e preziosi rispetto ai nostri. TECNICHE COSTRUTTIVE DEI GLOBI I globi furono inizialmente incisi o dipinti direttamente sul supporto sferico. Solo alla fine del Cinquecento si iniziò a stampare le carte per poi incollarle sul globo. Fin dall'antichità gli astronomi studiarono il movimento delle stelle, cercando di riprodurre le apparenze celesti attraverso modelli precisi. MAPPE Nella biblioteca comunale di Treviso sono conservate alcune mappe della città. Questi documenti storici ci forniscono un’ampia raccolta di testimonianze dell’avanzare del tempo a Treviso. Se si riescono ad interpretare ed ad analizzare in modo corretto si possono individuare i cambiamenti, i quali testimoniano le diverse dominazioni della città, che al suo tempo faceva parte della Repubblica della Serenissima. La dominazione cambia nel 17 ottobre 1797 grazie al trattato di Campoformio nel quale Napoleone cede Venezia all’impero Austro-Ungarico. Questo mutamento di dominazione si vede anche dallo stile delle mappe realizzate in periodo napoleonico. Esse diventano più ordinate e la firma dell’autore viene omessa e riposizionata vicino alla legenda. Cambia anche il segno grafico e l’uso dei colori. Queste mappe insieme ad alcuni acquerelli (i quali saranno finemente descritti in seguito), commissionati dall’Abate Bailo, un collezionista amante dell’arte trevigiana, che anch’esso merita uno spazio non angusto nella nostra guida di Treviso dal punto di vista letterario, testimoniano la furia distruttiva che ha investito la città di Treviso nell’età napoleonica, riducendo di gran lunga le favolose opere d’arte, soprattutto affreschi, che rivestivano la città. Sono infatti stati distrutti o modificati molti palazzi che rendevano artistico questo centro storico. Osservando attentamente le mappe esposte nel Fondo Iconografico Trevigiano, si possono notare i seguenti cambiamenti avvenuti nel XIX secolo: 

La ristrutturazione della chiesa di S. Margerita (1883);


La distruzione della Casa dell’Invidia (piazza S. Leonardo);

La costruzione del chiostro meridionale di S. Nicolò (1822);

La presenza del campanile della chiesa di S. Lazzaro (ora tronco);

La creazione di piazza dei Noli (1826);

L’avvenimento di interventi al complesso di S. Caterina;

La creazione di un Corso interno lungo le mura;

La creazione di fabbriche, che indicano lo sviluppo di industrie a Treviso nel tempo.

Le mappe, col tempo, sono diventate sempre più precise e più ordinate, essendo usate anche per scopi militari, ma se le confrontiamo con un'altra mappa di tre secoli prima presente nella biblioteca si possono notare alcuni dettagli.


Questa mappa del 1536 rappresenta Roncade in modo non perfetto, mostrando alcune parti della grande villa non a volo d’uccello ma da visione frontale, per evidenziare le qualità architettoniche e artistiche della magione. Come potrete notare confrontando le due mappe, quella napoleonica e quella cinquecentesca, è evidente che sono state create per scopi diversi, una per scopi militari e una per scopi decorativi. Un’ altra differenza è il materiale usato: perché nella mappa del 1536 si usa la pergamena. Anche un occhio non esperto può osservare che la lavorazione non è perfetta. La pergamena non ha un superficie omogenea, si possono distinguere i bulbi piliferi. La visita alla biblioteca dà quindi l’opportunità di confrontare i vari tipi di supporti e, nel caso della pergamena, di confrontare i vari tipi di lavorazione. Infatti nel corso del tempo la pergamena viene prodotta sempre in modo meno raffinato, a causa dell’elevato costo e della difficoltà nella produzione. Se avrete la possibilità di vederla non potrete fare a meno di notare la forma della mappa di Roncade che risulta strana, perché essendo derivata da un animale e costando molto, essa non veniva sprecata e assumeva una forma non regolare. Uno dei più importanti topografi e artisti le cui opere si possono ammirare nella biblioteca è stato Basilio Lasinio (1766-1832). Era un topografo e pittore militare trevigiano che ha girato l’Italia. Lasinio ha frequentato a suo tempo la Regia Galleria dell’Accademia di Belle Arti. A ventidue anni entrò a far parte del XVI Reggimento di Treviso il quale gli commissionò una Veduta della città, e una pianta di Belgrado. Un’altra sua opera è la decorazione del soffitto di Palazzo Spineda a Treviso. Insieme ad alcuni suoi commilitoni venne trasferito alla “Garde Civique” un organizzazione paramilitare, dove ottenne il grado di capitano e con la quale si spostò varie volte in giro per l’Italia, i suoi spostamenti non sono però documentati. Nel 1801 ci sono prove che suggeriscono la sua presenza al Deposito della Guerra di Milano. Nel 1802 fu sotto la direzione dello svedese Gustav Tibell. Una delle sue opere milanesi è il Modello topografico pittoresco. A marzo del 1812 entrerà a far parte del corpo militare dei Pompieri Zappatori di Milano col grado di comandante. Seguentemente nel 1820 verrà


congedato e ritornerà alla casa di Sovilla, vicino a Nervesa della Battaglia.

Un altro artista è stato Gaspare Marino le quali opere mostrano vari aggiornamenti rispetto alle mappe precedenti grazie a una più corretta localizzazione e rotazione della cattedrale, vengono aggiunti inoltre altri edifici e altri modi per l’indicazione di specifici luoghi, anche se rimane un errore riguardante la posizione del convento di San Nicolò. Alcune sue opere, non essendo incisioni, essendo infatti state tracciate a mano, non presentano un’impeccabile precisione. Sarebbe bello poterle consultare, ma sono misteriosamente scomparse dai depositi del Seminario di Treviso! Importanti sono anche le litografie di Marco Moro pubblicate il 1851 a Venezia. Esse illustrano Treviso e provincia. Moro lavorò inoltre a vedute di Vicenza, Pordenone, Venezia e Trieste. Moro in una sua litografia indica la presenza di una fabbrica vicino alla stazione ferroviaria di Treviso. Un’altra sua opera è Treviso una veduta che rappresenta questa città come moderna ed evoluta inserendo varie ciminiere all’interno e all’esterno delle mura. Quest’ultima era dedicata a Giuseppe Vittorelli (al tempo presidente della Camera di Commercio di Treviso) ed fu stampata a Venezia nel 1853.


Dalla seconda parte del diciannovesimo secolo aumentano di gran lunga le iniziative editoriali. Infatti in questo periodo ci saranno varie operazioni per rivendicare l’integrità culturale italiana, come intuibile, perciò le rappresentazioni non si limiteranno a poche città, ma si raffigureranno spazi molto più vasti. Per questo motivo questa parte non è solo accennata in questa guida che riguarda invece Treviso in particolare. Nella fine Ottocento e inizio Novecento le mappe di Treviso tornano ad aver scopi decorativi e quindi tornano a non essere rappresentate perfettamente, caratteristiche in questo periodo è la visione non più a volo d’uccello ma la visione panoramica. In seguito comincerà infatti l’uso della fotografia che prederà il posto delle varie opere fin ora illustrate per evidenti motivi.


3. LA STORIA DEL LIBRO E DEI SUPPORTI DI SCRITTURA: BIBBIE MINIATE E BREVIARI DA BISACCIA

Treviso è una città della quale a volte non si nota il patrimonio a causa della sua vicinanza a Venezia, che attira molti turisti. Ma se Venezia brilla come l’oro, Treviso è un diamante. La biblioteca di Treviso, per esempio, possiede molti manoscritti antichi, tra cui due preziose Bibbie miniate. Furono donate dal canonico Giovan Battista Rossi (1737-1826), che in totale diede più di 10.000 volumi alla nostra biblioteca comunale nel 1810. Infatti nel primo volume c’è una scritta: “biblioteca Rossi”. Questi due manoscritti religiosi in precedenza appartenevano al convento delle monache domenicane di san Paolo di Treviso, come dice la legenda impressa in oro nella parte posteriore di entrambi i codici: conventus divi Pauli. Successivamente il convento fu soppresso a causa delle idee illuministiche e la “furia modernista” di Treviso in età napoleonica nel 1810. Secondo gli studiosi queste Bibbie risalgono al tredicesimo secolo (1200 d.C.) e si suppone che la prima sia stata donata al convento di San Nicolò nel 1297. Nel periodo seguente furono possedute da vari conventi. Una delle poche certezze che si hanno a proposito dei manoscritti è che siano stati eseguiti in ambito domenicano e che siano preziosi, molto preziosi, anzi preziosissimi! Se ne avete l’opportunità andate a visitare questi tesori nascosti. Non è difficile capire quanto fosse complesso realizzare questi “capolavori” e scommetto che la bravura degli autori meraviglierà anche il visitatore più esperto. I manoscritti non erano molto usati, se non per la lettura individuale e la meditazione tipica degli ordini mendicanti (voto alla povertà) come i domenicani, infatti sono riccamente decorati in oro e ferro. Pare ovvio che i due volumi hanno dimensioni grandi, quindi non sono adatti per il trasporto come i breviari da bisaccia.


I manoscritti non sono coevi (scritti nello stesso periodo) alla legatura, fatta con tavolette di legno ricoperte di cuoio marocchino, del sedicesimo secolo (1500d.C.). Questo è proprio il periodo nel quale il convento viene in possesso dei manoscritti. Si possono notare anche dei nervi sul lato, che sono delle cuciture per tenere insieme i fogli di pergamena. Nella parte anteriore è impressa una fogliolina d’edera dorata, tipica del cinquecento e delle edizioni di Aldo Manunzio, un editore veneziano di testi classici. Le incisioni sulla legatura, definite nel corso della lunga storia delle Bibbie da tutti magnifiche, furono fatte con la lavorazione della punzonatura: la foglia d’oro veniva attaccata al foglio per mezzo di “punteruoli”. Il risultato è magnifico e vi consiglio caldamente di vederlo. I motivi ornamentali della copertina sono diversi per ciascun volume. Nelle Bibbie sono presenti delle borchie di ottone che hanno due finalità: quella pratica e quella decorativa. Infatti le borchie servivano sia per abbellire i volumi sia per evitare che il cuoio si rovinasse toccando le superfici su cui poggiavano i manoscritti. I medioevali architettavano moltissimi di questi “trucchi”! Ci sono anche delle fibbie dorate (2 nell’altezza, 1 per lunghezza) per chiudere i preziosi oggetti. Le Bibbie sono complete (nuovo e vecchio testamento) e scritte in bella grafia gotica italiana su due colonne, particolarmente stretta, strutturata e decisa. Il testo è in seppia (inchiostro), con i punti più significativi in rosso e in blu. I margini del foglio, usati a quel tempo per le varie note del possessore, sono piccoli perché la pagina è quasi interamente occupata dal testo. Ci sono diversi appunti, come una vecchia segnatura messa all’entrata dei volumi nella biblioteca. La lingua è il latino, com’era d’uso a quell’epoca. Tutti e due i volumi sono pergamenacei (in pergamena), anche detti membranacei, di alta qualità. Anche l’osservatore meno esperto può notare che non si vede la differenza del lato carne (più pregiato) e del lato pelo (più grezzo). Le parti anteriori e posteriori della pergamena sono chiamate recto e verso. Un fatto particolare è che a volte sulla pergamena ci sono dei buchi perché l’artigiano, che aveva un


compito incredibilmente complicato da svolgere, per tenere fermo il supporto cartaceo bucava il foglio con dei piccoli chiodi.

Le miniature sono il vero gioiello dei due volumi. In quasi ogni pagina ci sono miniature e capilettera sfarzosissimi. Le miniature a pennello, come per esempio quella sulla genealogia di Gesù Cristo e sull’evangelista Giovanni, sono ricche, tipiche della scuola bolognese (stile di pittura che usava raffigurare le miniature con l’uso di vari colori) del tardo 1200 d.C. Possiamo trovarle di ogni forma e tipo: motivi vegetali, foglie di acanto, nodi, borchie, figure rosse, blu e geometriche… A volte l’asta del capolettera si estende per tutto il foglio, per esempio la lettera iniziale “I” nel libro “Genesi”. Altre volte anche le miniature si estendono per tutta la pagina come si può vedere in quest’illuminante rappresentazione della Creazione. Con un po’ di attenzione potete notare le numerose rappresentazioni di frati, santi e martiri. Un particolare è che nella prefazione nei libri di Salomone è rappresentato il simbolo dell’evangelista Giovanni, una figura zoomorfa (animale) con la testa d’aquila. Tra tutti i pigmenti si notano soprattutto quelli dorati, che hanno un colore particolarmente bello. Con un po’ di attenzione potete notare le numerose rappresentazioni di frati, santi e martiri. A quei tempi i colori erano proprio diversi dai nostri! Le immagini sono in tempera all’uovo invece il testo è in seppia (inchiostro), con i punti più significativi in rosso e in blu. I colori delle immagini sono pigmenti chiari in contrasto sullo sfondo blu. Tra tutti i pigmenti si notano soprattutto quelli dorati, che hanno un colore particolarmente bello. I pigmenti sono di alta qualità perché non si sono rovinati con il passare degli anni, se non che hanno assunto una leggera sfumatura verdognola. Si suppone che le miniature siano state eseguite tutte da un’unica mano, a parte per un’ iniziale del primo volume, più elaborata. Le miniature sono molto


espressive perché in quel periodo esse erano caratterizzate da una corrente artistica chiamata “primo stile”, che esaltava la creatività. E’ difficile capire se si tratti di un prodotto bolognese o locale con dei tratti bolognesi. I soggetti delle immagini si distinguono in base al contenuto del racconto e spesso sono rappresentati interi e a tre quarti. Una curiosità è che le Bibbie sono simili a ad altre a Venezia e Padova. Vi prometto: ne rimarrete affascinati!


BREVIARI DA BISACCIA

I breviari da bisaccia testimoniano importanti cambiamenti avvenuti durante il 15° secolo. Infatti questi libri di preghiera e avevano due utilizzi: in comunità e in meditazione. I missionari li utilizzavano per viaggiare perché erano comodi grazie alle loro dimensioni, per questo si chiamano anche “libri da mano”. Anche l’analfabetismo era calato, quindi le persone comuni acquistavano questi libretti perché erano economici. I libretti contengono i breviari (preghiere dei sacerdoti),“l’ufficio della Vergine” (preghiere rivolte alla Madonna) e“le preghiere delle Ore” (preghiere nelle diverse ore della giornata). Questi manoscritti sono pergamenacei più spartani delle Bibbie, infatti si vede la rigatura per scrivere e i bulbi piliferi nel “lato pelo” del foglio. Anche qui le cose più importanti sono in rosso e in blu e vi possiamo assicurare che i caratteri sono piccolissimi quindi leggere è un’impresa eroica! La temperatura per preservare al meglio i manoscritti, che testimoniano delle caratteristiche importanti della Treviso di quell’epoca storica, sono tra i 16° e i 18°, inoltre i libri necessitano di un’atmosfera non molto luminosa perché hanno un invecchiamento fotosensibile (danneggiati dalla luce). LE DIVERSE TIPOLOGIE DI SUPPORTI CARTACEI La scrittura è fondamentale per l’uomo, in quanto necessaria per la vita quotidiana. Ha origini estremamente antiche. Il fenomeno della scrittura è importante in quanto segna il passaggio dalla preistoria alla storia. Nel tempo furono sviluppati diversi supporti cartacei al fine di trovarne uno più comodo e conveniente. Le prime incisioni conosciute risalgono al 6600 – 6200 a. C, e sono state rinvenute su un guscio di tartaruga e all’interno di una tomba in Cina. Le fonti più antiche di scrittura risalgono invece a circa cinquemila anni fa. Le prime incisioni su pietra sono associabili all’antica Babilonia, e più specificatamente al codice di Hammurabi. Successivamente la pietra viene sostituita con tavolette cuneiformi d’argilla in Turchia e listelli di bambù in Cina. In seguito subentrano la seta e la canapa. Dal I secolo a. C in Grecia viene utilizzato il papiro fragile che viene rilegato accuratamente e arrotolato. È tuttavia difficile da conservare.


Contemporaneamente, più precisamente a metà del I secolo a. C, viene scritto uno dei piùantichi manoscritti biblici esistenti: “Il Rotolo del Tempio”, in una pergamena.

Una curiosità è che proprio nella biblioteca di Treviso (Borgo Cavour): è possibile osservare una mappa su pergamena, datata 1536, rappresentante Villa Giustinian a Roncade. Osservandone i dettagli si notano le grandi dimensioni e le integrazioni aggiunte con il suo restauro nei punti dove era stata slabbrata e dove i bordi erano consumati. La mappa è liscia la forma particolare è dovuto alle pelli utilizzate.

La pergamena viene originariamente prodotta a Pergamo, in Asia minore. Il termine “Volumen”, da cui deriva “volume”, viene successivamente tradotto in “libro”. Tale supporto cartaceo diventa rapidamente il più utilizzato, probabilmente grazie alla sua semplice lavorazione. La pelle doveva essere pulita, grattata, immersa in una soluzione a


base di calce e successivamente tirata su assi di legno in modo tale da essiccarla in modo omogeneo. Se non veniva stirata bene vi era la possibilità che si formassero buchi. Gli animali, oltre a venire considerati sacri, erano anche molto costosi. Per questo motivo la sua pelle veniva usata in modo completo, senza tralasciarne parti, nemmeno il collo. (Da qui la forma particolare della pergamena). Tuttavia, la produzione della pergamena non è sempre stata uguale. In età tardo-antica (duecento) venivano prodotte pergamene di ottima qualità: raffinate, chiare e lisce. La lavorazione sopraffina rendeva la pergamena costosa, soprattutto in quanto veniva utilizzato prevalentemente il lato carne dell’animale. A differenza di quest'ultime, le pergamene riprese in epoca cinquecentesca sono solitamente grezze e di pecora il lato pelo dell’animale era dunque la parte più usata. Osserviamo questa differenza proprio grazie ai diversi lati opachi o lucidi presenti nella mappa cinquecentesca di Borgo Cavour. Una volta che la pergamena veniva preparata e passata con una colla, era pronta per qualsiasi tipo di scrittura, ammesso che non fosse con un inchiostro eccessivamente aggressivo, in quanto con gli anni questi tendono a corrodere la pagina. Nonostante ciò, la pergamena è considerata un ottimo supporto cartaceo in quanto è anche acquerellabile. Una domanda pertinente è “da che parte si scrive, dal lato a contatto con il pelo o dal lato carne?”Il lato pelo per quando venga levigato, depilato, pulito bene e tirato, è sempre più scuro e presenterà il bulbo pilifero, mentre il lato carne, che ovviamente non ha questo problema, è molto più chiaro e liscio. Per questo motivo quando si componevano codici o testi importanti, cercavano di mettere accostati due fogli In questa foto si possono chiaramente dello notare i bulbi piliferi del lato pelo stesso tipo, quindi lato carne con lato carne e viceversa in modo che non si notasse la differenza di


colore. Per quanto riguarda invece le mappe si disegnavano dal lato carne che è la parte piÚ liscia. Nel corso della storia si sono susseguiti molteplici tipologie ti supporti cartacei con caratteristiche diverse. Tali supporti cartacei sono importanti e meritano di essere studiati in quanto grazie a loro si sono conservati documenti e oggetti di immensa importanza storica.


4. DANTE A TREVISO FRA MANOSCRITTI E INCUNABOLI

Dante Alighieri, figlio di Alighiero di Bellincione e di Bella degli Abati, nacque a Firenze nel 1265 da una nobile famiglia guelfa decaduta. Nel 1285 sposò Gemma Donati, da cui ebbe tre figli: Iacopo, Pietro e Antonia, e forse un quarto, Giovanni di cui però non si hanno notizie certe. La famiglia della moglie era molto potente nella Firenze del tempo e giunse ben presto a capo dello schieramento politico dei Guelfi Neri, sostenitori del Papa, oppositori ai Guelfi Bianchi, sostenitori del Papa ma favorevoli all’autonomia politica del Comune di Firenze. L’istruzione di Dante avvenne probabilmente sotto la guida dei letterati dell’epoca e fu arricchita dalla frequentazione di intellettuali e poeti. Studiò la poesia toscana e i componimenti della scuola siciliana grazie alle sue conoscenze linguistiche, si accostò alla cultura latina e ai poeti provenzali. Recatosi a Bologna entrò in contatto con lo Stil Novo e successivamente allargò i suoi interessi dalla poesia alla filosofia. Allo stesso tempo, il poeta muove a Firenze i primi passi nella carriera politica, ricoprendo importanti cariche pubbliche dal 1295 al 1301. In quel tempo il Comune di Firenze era insanguinato dai contrasti tra i Guelfi Bianchi e i Guelfi Neri. Nel 1302, mentre Dante si trovava a Roma, i guelfi Neri si impadronirono di Firenze. Il sommo poeta fu accusato dai suoi avversari politici di azioni illecite e di opposizione al Papa e, non essendosi presentato per discolparsi, fu prima condannato all’esilio e poi a morte. Impossibilitato a tornare a Firenze, Dante trascorse quindi in esilio il resto della propria vita, costretto a continui spostamenti in varie città d’Italia. Viaggiò in tutta Italia alloggiando anche in Veneto. L’unica città del Veneto in cui Dante ha vissuto certamente e di cui si ha notizia certa è Verona. Un umanista biografo di Dante afferma che visse anche a Padova e che da Verona sarebbe passato a Bologna e da qui nuovamente a Padova. Sarebbe anche stato facile per Dante passare, come alcuni sostengono, sia a Treviso ospite di Gherardo da Camino, che a Venezia. Altri studiosi parlano di un soggiorno di Dante nel Veneto tra il 1306 e il 1311 in relazione alle lodi rivolte a Gherardo da Camino e a un’eventuale ospitalità caminase in Treviso. La città veneta non è mai stata ricordata in modo esplicito da Dante ma è sicuro che a Treviso il poeta conobbe anche Gaia e Rizzardo da Camino. Tuttavia Treviso venne ricordata due volte da Dante e, in ambedue le citazioni, viene nominata il Sileassieme al Cagnano; dei due fiumi Dante si serve per indicare la città di Treviso. Alcuni studiosi sostengono che il “s’accompagna” usato da Dante nella Divina Commedia sia dovuto al fatto che le acque dei due fiumi, pur scorrendo nel medesimo letto, possono ben distinguersi le une dalle altre, limpide quelle del Sile, torbide e biancastre quelle del Cagnano. Visse gli ultimi anni a Ravenna dove poté terminare il suo capolavoro, la Divina Commedia. Dante si ammalò gravemente e morì poco dopo a Ravenna nel 1321. I luoghi, i personaggi o fatti


storici che ritroviamo nell’opera di Dante sono della Toscana, dell’Emilia Romagna e del Veneto. Il colle di Romano presso Treviso (Pd IX 25 ss) e Treviso fra Sile e Cagnano (IX 49). Sono luoghi citati nella Divina Commedia vicino alla cittadina trevigiana. Passiamo ora alle citazioni dei luoghi della Commedia in cui si parla di personaggi Trevigiani: Gherardo da Camino, sua figlia Gaia e Rizzardo da Camino (XVI 124 e 139 ss.) PIETRO ALIGHIERI Pietro Alighieri fu il secondogenito di Dante e Gemma Donati, maggiore dunque di Iacopo e di Antonia. Pietro nacque a Firenze in un anno non precisato del 1300. Se Iacopo aveva ottenuto benefici a Verona, Pietro li conseguì a Ravenna. Dopo la scomunica di Guido Novello da Polenta, suo intercessore a Ravenna, Pietro si trasferì a Firenze, per portare alla madre i saluti dell’esule, ma anche per affrontare una pesante situazione familiare. Successivamente Pietro si recò allo studio legale di Bologna. Durante il periodo bolognese fece amicizia con Francesco Petrarca. Dopo questo soggiorno, Pietro dimorò in Verona e in Vicenza. Intanto continuò a prestare consulenza giuridiche e a compiere atti importanti. Nel 1335 sposò Iacopa di Dolcetto Salerni, pistoiese, dalla quale ebbe almeno sei figli. Nel 1362 Pietro Alighieri e le figlie Antonia e Gemma si recarono a Treviso, forse per visitare suo figlio illegittimo, Bernardo. Negli ultimi anni della sua vita si recò a Treviso, dove dettò il 21 febbraio 1364 il proprio testamento e morì il 21 aprile successivo del medesimo anno. Il funerale di Pietro Alighieri fu celebrato il 29 aprile 1364 nella chiesa di San Margherita della stessa città, oggi sconsacrata ed adibita ad altro uso, a cura di fra Liberale e Leonardo di Baldinaccio. Questi ultimi commissionarono la costruzione del monumento funebre da collocarsi nel Chiostro della suddetta chiesa. A seguito dell’arrivo dei francesi all’inizio dell’ottocento questo monumento fu scomposto. I canonici della cattedrale di Treviso riuscirono a salvare la sepoltura di Pietro Alighieri. I pezzi che la componevano furono conservati così da rendere possibile la ricostruzione nel 1935 nella chiesa di S. Francesco nella cittadina trevigiana. Questo monumento “un’arca sospesa a parete” si trova in fondo sul lato sinistro della navata. Tutt’ora è visibile da chiunque volesse osservare la tomba di Pietro Alighieri.


IL MANOSCRITTO: LA DIVINA COMMEDIA

Tra i trentamila volumi donati dal Canonico Gian Battista Rossi alla Biblioteca , uno tra i più preziosi è certamente il manoscritto 337, una Divina Commedia, esemplare miniato di origine veronese databile intorno al 1360. Non si è riusciti a identificare il copista anche se alcuni studiosi sostengono che questo codice sia appartenuto a Pietro Alighieri. Esso è veramente singolare per la nitidezza e la bellezza della scrittura gotica, per le lettere tondeggianti proprie dei testoni volgare. L’analisi della scrittura riporta l’opera alla metà del XIV secolo. I fregi che decorano la prima pagina di ogni cantica, formando quasi una ricca cornice al testo, e le lettere iniziali dei singoli canti si rifanno ai motivi di fogliami d’oro cari alla scuola veronese. Le scene raffigurate entro la lettera iniziale delle tre cantiche hanno respiro ampio e grandiosità di composizione e certe figure, specialmente quelle femminili, sono state avvicinate all’arte di Tommaso da Modena. E’ un opera unica e invito chiunque visiti Treviso ad andarla ad osservare.

DESCRIZIONE DEL MANOSCRITTO 337 La parte introduttiva del membranaceo è stata scritta dal figlio di Dante: Jacopo. L’incipit presenta qualche variante rispetto a quella pubblicata nelle altre edizioni della Divina Commedia. Il testo è disposto su una sola colonna di 33 righe per ogni pagina. La scrittura è gotica nitida, tondeggiante ad angoli smussati, propria dei testi in volgare e ricorda


la scrittura cancelleresca. Ricorre la frequente fusione, in un unico tratto di penna,delle parti curve di due lettere adiacenti. Nei primi 28 canti dell’Inferno ritroviamo molte parole in dialetto veneto: Falcone per falconiere, boccher per boccaglio, dime per dimmi, etc. Non dobbiamo dimenticare che spesso le varianti sono dovute anche ad errori dell’amanuense. I primi 25 canti dell’Inferno hanno la segnatura in lettere, con brevi didascalie (scritte alternativamente in rosso e verde) sui dannati e sulla loro pena. La numerazione di tutti gli altri canti è in numeri arabi di mano posteriore al testo. Rigatura a colore sia per le linee verticali delimitanti lo specchio scrittorio che le righe orizzontali. In alcune parti del libro si possono trovare delle “glosse”, ossia commenti personali del possessore, che sono state scritte da una mano coeva. Il primo canto dell’Inferno presenta numerose glosse marginali, che vanno diminuendo nei canti successivi fino a scomparire nel purgatorio e ridursi a due sole brevissime nel Paradiso. Decorazioni e miniature Le decorazioni sono costituite da iniziali di medie dimensioni filigranate in rosso, rosa, celeste e oro, accompagnato sempre da un motivo di foglie e corolle dai petali dello stesso colore che la caratterizza. Le iniziali di ogni canto, miniate, sono racchiuse entro un campo quadrangolare, in uno sfondo brillante d’oro. Completano l’ornamentazione i fogliami e i fiori che, dall’interno della lettera, dove si intrecciano e formano figure geometriche, si estendono anche ai margini della carta. Tra i colori predominano il rosa in varie sfumature, il rosso vivo, il verde pallido, il celeste che accentua la tonalità fino all’azzurro. Lettere e ornanti sono di colore bianco e arricchiti con gocce d’oro e di contorno nero.

ICONOGRAFIE DEL MANOSCRITTO La prima pagina, il compendio, è circondata da fregi di vario disegno tra i ricci del fogliame sembrano apparire una figura di donna vestita di rosa, ma il degrado della della carte ci possono solo portare a fare supposizione in merito. Quello che colpisce è sicuramente la grande “O” iniziale racchiusa in un quadrato dorato. La lettera di colore rosa con sfumature bianche, porta all’interno su uno sfondo azzurro, la figura di Cristo Trionfante che si erge da un’ sepolcro rosso col vessillo in mano.


INFERNO

La grande “N” iniziale della prima cantica segue lo schema pittorico della miniatura precedente. Anch’essa è racchiusa in un quadrilatero dorato, è di colore rosa e alle estremità termina con dei piccoli petali che richiamano la decorazione del fregio. A metà del suo cammino di vita Dante si trova smarrito in una selva oscura. Non si domanda come sia arrivato lì ma prosegue per la sua strada, accompagnato dalla paura attraversa quella valle ostile fino ad arrivare ai piedi di una montagna. Dopo qualche esitazione, incoraggiato dal sole che splende sopra di lui e dalla brezza primaverile che lo accarezza, comincia a scalare il monte, ma viene subito fermato dalle tre fiere che lo costringono a trovare rifugio nella selva. In suo aiuto arriva uno spirito che gli appare dinnanzi e lo chiama per nome: si tratta di Virgilio, il suo maestro e anche fonte di ispirazione che lo accompagnerà nel suo viaggio attraverso i tre regni. Le scene illustrate all’inizio della cantica vengono rappresentate dal miniatore in un’unica immagine all’interno della lettera “N”, in uno spazio ristretto si vede Dante, a mezzo busto, vestito con una tunica marrone e un cappello di ermellino ricamato e uscendo da un bosco formato da piccoli alberi si protende verso Virgilio. Questi dal viso rilassato e con la barba curata, vestito con una tunica di colore rosso, tiene aperto tra le mani il suo capolavoro: l’Eneide. Dietro di lui il sole rischiara tutto il colle, sulle pendici sono disposte le tre fiere, una sotto l’altra, e tenendo il medesimo atteggiamento, sono pronte ad avanzare contro Dante. E’ straordinario vedere in uno spazio così esiguo come l’artista sia riuscito a combinare le varie sequenze, ma ancora più straordinaria è


l’intuizione di rappresentare Virgilio, a mezzo busto, che appare a Dante come uno spirito enon come una persona viva.

PURGATORIO Dante e Virgilio, usciti dall’inferno, si lasciano alle spalle il regno della perdizione e muovono i primi passi verso quello della speranza. Dante nella spiaggia del Purgatorio viene riempito di gioia da un’alba luminosa. Nella miniatura la lettera iniziale è la “P”, di colore azzurro e decorata come un fiore di petali rosa, al suo interno non comprende la scena figurata come nelle precedenti ma anzi, in dimensioni più ridotte, si pone a sinistra nella vignetta all’interno di uno sfondo d’oro. La miniatura, nel suo insieme è strutturata in modo semplice, infatti ritroviamo in primo piano Dante e Virgilio seduti in una barchetta che arrivano presso una rupe e lì aspettano Catone e Beatrice. Alcuni studiosi ritengono che Dante sia “barbuto” poiché nel canto XXI del Purgatorio Beatrice pronuncia la seguente frase: “sè delante, alza la barba, e prenderai più doglia riguardando”. Prendendo spunto da questo verso, un numero molto ristretto di illustratori ha rappresentato Dante con la barba. Questa rara iconografia è forse presente anche nella Divina Commedia presente nella Biblioteca Comunale di Treviso, ma non tutti gli studiosi sono d’accordo. Nella seguente foto si può vedere chiaramente che alcuni studiosi hanno confusa Virgilio con Dante.


PARADISO Mentre l’Inferno ed il Purgatorio sono luoghi con caratteristiche terrestri, il Paradiso è un mondo immateriale, diviso in nove cieli. I primi sette prendono il nome dai pianeti del sistema solare così come interpretato nel Medioevo, gli ultimi due sono costituiti dalla sfera delle stelle fisse e dal Primo Mobile. Il tutto è contenuto nell’Empireo. Il rapporto tra Dante e i beati è molto diverso rispetto a quello che il poeta ha intrattenuto con i dannati ed i penitenti. Tutte le anime del Paradiso, infatti, risiedono nell’Empireo. All’ingresso del Paradiso Virgilio, che secondo l’interpretazione figurale rappresenta la ragione, scompare e al suo posto appare Beatrice; questo simboleggia l’impossibilità per l’uomo di giungere a Dio per il solo mezzo della ragione umana. Inizia la terra e l’ultima cantica decorata, forse, con la più bella miniatura del manoscritto per varietà di tinte e movimento di figure. Nel solito sfondo d’oro che racchiude in alto a destra l’iniziale “L” di colore blu, quello che colpisce, a primo sguardo, è sicuramente la parte centrale occupata da Dio Padre in trono, il Figlio e lo Spirito Santo (colomba) circondati da dodici beati (sei per parte) e racchiusi all’interno di nove cerchi variopinti che simboleggiano nove cieli. Spostandoci in basso a sinistra, Dante non ha più come sua guida Virgilio ma Beatrice, vestita con un lungo abito di colore rosa con un mantello di ermellino foderato al suo interno, la troviamo in piedi con la mano sinistra indica Dio Padre e con la mano destra tiene saldo il braccio sinistro del poeta inginocchiato di fianco a lei. Oltre all’idea di movimento che il miniatore riesce a rendere in maniera straordinaria è interessante porre l’attenzione anche all’espressività del volto dei due personaggi. Beatrice si rivolge a Dante con serenità degna di uno spirito divino e Dante sembra inerme di fronte a tale visione. Nelle pagine finali del manoscritto venne trascritta una breve lauda mariana.


LEGATURA DEL MANOSCRITTO

La legatura presenta un rosone floreale di medie dimensioni. I piatti, di questo membranaceo, sono ricoperti di pelle, la cucitura è su nervi e le legature sono di cuoio rosso marocchino. Le decorazioni esterne sono a secco; il taglio è dorato. Le decorazioni esterne sono incise a rotella sulla legatura del volume; si possono notare solo in presenza di luce. Sul dorso sono visibili quattro nervi e il titolo del manoscritto “Commedia di Dante” in caratteri dorati. DANTE A TREVISO Come ho già spiegato in precedenza nella esposizione della vita di Dante, si dice che il Sommo Poeta soggiornò a Treviso, ma come spossiamo affermare con certezza che egli conosceva la Marca Trevigiana e quindi Treviso? Tenuto conto che nel IX canto del Paradiso Dante Alighieri profetizza la morte di Rizzardo da Camino, destinato a cadere vittima di una congiura dove “Sile e Cagnan s’accompagna”. A identificare la città è quindi il punto di confluenza dei due corsi d’acqua. Nel 1865 la città di Treviso che aveva ospitato Dante e che conserva tutt’ora nella Chiesa di San Francesco la tomba di suo figlio Pietro, volle dedicare un monumento alla memoria del sommo poeta. Il monumento fu posizionato proprio sul punto di confluenza dei due fiumi. Spero che questo elaborato sia una buona guida per conoscere la permanenza di Dante a Treviso e visitare i luoghi percorsi e descritti dal Sommo Poeta nella sua opera.


GLI INCUNABOLI È nota agli appassionati di letteratura la definizione di “libro”, ovvero: un insieme di fogli stampati o manoscritti delle stesse dimensioni, rilegati insieme e racchiusi in una copertina. Inoltre, la parola “libro” ha derivazioni latine dal termine “liber”, che, pur essendo il significato di “corteccia”, vuol dire “opera letteraria”. La storia del libro ha inizio diversi millenni fa, infatti le prime fonti scritte risalgono all’età babilonese. In ogni caso, l’evento chiave della scrittura fu l’invenzione della stampa a caratteri mobili di Gutenberg, nel 1456. I primi testi stampati erano gli incunaboli, dal latina “incunabulum”: “in culla”. Quest’ultimi vennero definiti come “prima typographiae incunabola”: “prima tipografia in culla”. L’incunabolo più antico trovato è la Bibbia di Gutenberg, così denominata perché risalente al 1452. Lo sviluppo della stampa negli anni successivi presentò delle differenze, rispetto alle prime stampe. Per esempio, gli incunaboli avevano un colophon: una descrizione testuale che riporta le note rilevanti per l’edizioni, posta all’inizio o alla fine di un libro; mentre le stampe successive disponevano di un frontespizio. Nella biblioteca di Treviso, si trova una serie di incunaboli che sono ancora ben conservati: -“De civitate dei”, “Le città di Dio”, stampato da S. Agostino d’Ippona; -“Polifilo”, composto nel 1499 a Treviso da Frate Francesco , un frate domenicano del convento veneziano, ma stampato a Venezia da Aldo Manunzio, uno dei più famosi editori italiani; -“De re militari”, opera xilorafica, quindi incisa su legno, di Roberto Valturio, uno storico italiano vissuto nel 1400; -“Divina Commedia”, opera calcografica figurata da Botticelli. Parlando di Divina Commedia, ricordiamo che sono conservati nella biblioteca di Treviso due incunaboli dell’opera: il più “recente”, risalente al 1596; e il più antico, del 1481. Quest’ultimo è di formazione monumentale e contiene delle incisioni preparatorie dello stesso Botticelli. Ci sono solo due illustrazioni, ma è evidente che esse dovevano essere molte di più; ci sono infatti 15 spazi bianchi all’inizio di ogni cantica, che in realtà dovevano ospitare i disegni. Per gli appassionati di letteratura, la Divina Commedia è “pane per i propri denti”, in quanto è una delle opere letterarie più importanti della storia, anche ritenuta una delle maggiori testimonianze dell’età medievale. La Divina Commedia è la più celebre opera di ante Alighieri e fu scritta fra il 304 e il 1321, circa durante il periodo del suo esilio in Lunigiana e Romagna.


5. FOSCOLO A TREVISO Ugo Foscolo nasce a Zante(isola greca sotto Venezia) nel 1778, nel 1793 ( a 15 anni) si trasferisce a Venezia per cercare nuove opportunità non solo economiche, ma anche culturali.Questi sono anni di studio nei quali il poeta comincia a scrivere i primi versi e a frequentare salotti veneti (a Venezia ma soprattutto nei pressi di Treviso). Comincia la sua carriera politica come sostenitore di Napoleone. Nel 1797, con il trattato di Campoformio, Foscolo fugge a Bologna, passando per Milano. Passa gli ultimi anni della sua vita vagando e scrivendo finché si ammala e muore a Londra nel 1827.Anche se Foscolo non è molto a treviso, ha saputo lasciare una forte traccia.

ISABELLA TEOTOCHI Tra i vari salotti frequentati da Foscolo a Treviso, il preferito è quello di Isabella Teotochi nell'attuale villa Albrizzi a Preganziol. Isabella nacque nel 1760 anch'essa di origini greche, come il nostro Foscolo.A soli quindici anni, fu data in moglie a un nobile veneziano, Carlo Antonio Marin, con il quale si trasferì a Preganziol e con qui ebbe un figlio. Proprio nella sua residenza, aprì un salotto di intellettuali tra i quali c'era il giovane sedicenne Foscolo. Dopo molti tentativi, in quel periodo riuscì ad annullare il matrimonio con il marito. Tra i due nacque, prima un'amicizia forte, e poi un'amore giovanile, anche se non ne siamo del tutto certi. Nel 1796, poco prima della fine del rapporto con Foscolo, si sposa con Giuseppe Albrizzi, ma nell'estate del 1806, lei e Foscolo si riincontrano, nonostante avessero continuato a scriversi. Isabella morirà poi nel1836.


VILLA TEOTOCHI ALBRIZZI La casa di Isabella Teotochi, nonchè salotto di intellettuali, è l' attuale villa Teotochi Albrizzi a Preganziol, ancora oggi visitabile in alcune occasioni speciali. La grande villa fu innalzata tra il 1680 e il 1700 e rimase uguale fino ai primi dell'Ottocento quando venne arricchita con molte decorazioni e stucchi dorati. In quello stesso periodo il giardino in stile italiano divenne in stile inglese. Nel 1973 fu danneggiata dai bombardamenti della Grande Guerra e, il proprietario (Raimondo Franchetti) la vendette alla provincia di Treviso che a sua volta la cedette alla fondazione Cassamarca, cui tuttora appartiene. La villa è imponente e in stile neoclassico ma la maggior delle decorazioni sono in stile rococò. La villa è circondata da 11 ettari di giardino che spesso furono ispirazione per Foscolo, soprattutto per I sepolcri. Oltre a Foscolo, il salotto fu frequentato da Pindemonte, Cesarotti, Canova, Byron, Walter Scott, Vinon Seurat e altri. Se avete una giornata libera, può essere un bel posto da visitare.


LA SALA FOSCOLIANA E IL FONDO MAZZOLÀ Nella Biblioteca Borgo Cavour una delle sale è dedicata agli scritti di Foscolo. Questi scritti sono stati donati nel 1970 dai coniugi Mazzolà, una coppia di collezionisti appassionati delle molte opere di Foscolo. Queste donazioni sono formate da 16 lettere , molte firme, scritti di critica e denuncia sociale e giornalistici. Tra le varie opere presenti ci siamo soffermati su una lettera scritta da Foscolo il 22 marzo 1827, quindi tre mesi prima della sua morte. Questa lettera è dedicata ad un suo amico, Antonio Panizzi. Antonio era un politico e patriota veneziano, più giovane di lui, che il poeta conobbe a Londra nel 1823 e da lì diventato amico. I due si stimavano molto ed entrambi avevano una forte passione per le opere di Dante che li legava. Nella lettera Foscolo evidenzia il suo malessere, sia fisico che mentale, parlandogli della sua condizione fisica. Quest'ultimo aspetto è anche aggravato dal lavoro incessante che svolge per consegnare entro un breve limite di tempo i commenti su Dante, ma il poeta sa già che non sarebbe riuscito a completare l'opera. Perciò il poeta affida il completamento dell'opera all'amico. Ugo scrive con molta malinconia perchè sa che i suoi giorni stanno giungendo al termine, ma traspare un sentimento di forte tranquillità e felicità perchè il poeta spera che la visita dell'amico gli porti sollievo e perchè sa che i suoi dolori stanno giungendo al termine. Nella lettera è presente una descrizione del luogo dove visse il poeta negli ultimi giorni di vita, e verso la fine diventa un vero e proprio invito all'amico con tanto di mappa per la strada e saluti.


MUSEO LUIGI BAILO Il Museo intitolato Luigi Bailo è la più antica tra le attuali sedi museali civiche, una volta era chiamato Museo Trevigiano. Allora c’era una sola sala con qualche lapide e reperti archeologici. Situato negli spazi dell'antico convento fondato nel XV secolo dai Padri Gesuiti. Sopravvivono tracce delle antiche architetture nei due chiostri. Nel luogo dove si trovava la chiesa ha sede attualmente la Biblioteca Comunale. L’ antico Museo venne aperto al pubblico per la prima volta nel 1888. Il complesso venne danneggiato durante la prima Guerra Mondiale e più gravemente durante la seconda. Fu riaperto nel 1952 e dal 1959 divenne sede anche della raccolta comunale d'arte moderna. L’edificio e’ stato sottoposto negli ultimi tre anni a importanti lavori di ristrutturazione. Dal luglio 2003 è rimasto chiuso a causa dei lavori di restauro, conclusi ad ottobre 2015. La facciata prima dell’ultimo restauro era piccola e di poco valore artistico per poter rappresentare un grande museo di Treviso come questo. La facciata attuale è grande e imponente come il museo stesso, la grande vetrata fa comunicare l’esterno con il chiostro sud.


Ora il museo ha un’architettura lineare e moderna, con molte vetrate.

BAILO MUSEUM This building was named after Luigi Bailo and is the oldest civic museum. Once it was called ‘Museo Trevigiano’. It is located in the ancient convent founded in the 15th century by the Jesuit Fathers. In the cloisters some of the antique architectures are still visible. During the last three years, this institution has been subject of important architectural renovations. The facade before the renovation was little and had not enough artistic value to be able to represent an important museum of Treviso. In fact nowadays the facade is big and majestic.


I RITRATTI CARTA D’IDENTITÀ AUTORE: Apollonio Giovanni TITOLO: Dopo pranzo alla Moncia SOGGETTO: Ritratti di Sofia Fellisent DATAZIONE: 1917 TECNICA E MATERIALE: Olio su tela COLLOCAZIONE: Museo civico Luigi Bailo, Treviso

DESCRIZIONE SOGGETTO: Si tratta della contessa Sofia Fèlissent, ritratta alla fine di una cena, mentre sorridente porta una sigaretta alle labbra. AMBIENTAZIONE: La scena si svolge all’interno di una locanda, la contessa siede ad un tavolo, presso una finestra aperta. ALTRI ELEMENTI: Gli oggetti che si trovano sopra il tavolo sembrano rispondere ad un ordine casuale, in realtà la loro disposizione fa pensare a certe nature morte, soprattutto i centrotavola di frutta e foglie. ANALISI DELL’OPERA ELEMENTI GRAFICI: L’influenza dell’impressionismo è ben visibile nella pennellata ricca e materica e allo stesso tempo, nell’uso dei colori puri che vengono accostati sulla tela in modo da riflettere il più possibile la luce. La luce viene da sinistra e proietta delle ombre sul viso della contessa, sul tavolo e sul muro. ELEMENTI VISUALI: le tonalità chiare e luminose conferiscono quell’atmosfera particolare caratteristica delle opere impressioniste. La prospettiva scelta dal pittore risente delle inquadrature fotografiche, dove il soggetto non occupa la parte centrale dell’opera.


INTERPRETAZIONE: La scelta di Apollonio di rappresentare la contessa Sofia sorridente alla fine di un pasto, rientra nella sensibilità tipica degli impressionisti, le cui opere trasmettono sempre una sensazione di mobilità: colgono le sensazioni e le emozioni, preferendo quelle positive, gradevoli che trasmettono felicità. Un altro elemento importante riguarda il soggetto femminile rappresentato in una veste insolita, soprattutto perché Sofia è una contessa, mentre nell’opera di Apollonio viene ritratta come una donna del popolo che fuma ed è visibilmente alterata dal vino consumato durante il pasto. Tutto ciò fa parte della corrente artistica dell’impressionismo.

CARTA D’IDENTITÀ AUTORE: Degas Edgar TITOLO: L’Assenzio SOGGETTO: Una donna in un caffè DATAZIONE: 1876 TECNICA E MATERIALE: Olio su tela COLLOCAZIONE:

Museo

D’Orsay,

Parigi

DESCRIZIONE SOGGETTO: Si tratta di una donna, che appartiene ad un ceto sociale umile, con lo sguardo perso nel vuoto. AMBIENTAZIONE: La scena si svolge all’interno di un caffè, la donna siede ad un tavolo. ALTRI ELEMENTI: davanti alla donna, sopra il tavolino c’è un bicchiere pieno di assenzio. ANALISI DELL’OPERA ELEMENTI GRAFICI: La pennellata risulta ricca e materica. La luce proviene dall’esterno; sono interessanti i riflessi prodotti sullo specchio posto alle spalle della donna.


ELEMENTI VISUALI: I colori scelti trasmettono la malinconia della protagonista, infatti sono accostati toni chiari a toni scuri, e sembra dominare il grigio. L’inquadratura scelta rende l’idea di un’istantanea scattata dal vivo da un testimone seduto ad un tavolo vicino. Inoltre, l’inquadratura è decentrata e tiene conto degli spazi vuoti, per sottolineare i disagi e i malesseri provocati dall’abuso di alcol. INTERPRETAZIONE La protagonista attraverso il suo sguardo perso nel vuoto e la sua postura ripiegata in se stessa, trasmette tutto il suo malessere e la sua solitudine, che cerca di consolare consumando assenzio, una bevanda alcolica che produce un forte intorpidimento. Quest’opera sembra essere una denuncia non solo degli effetti negativi di questa bevanda pericolosa, ma anche della condizione di questa povera donna che conduce una vita di privazioni e sofferenze. CONFRONTO SOMIGLIANZE ELEMENTI COMPOSITIVI: In entrambi i quadri i pittori scelgono come protagoniste delle donne. Inoltre, le ambientazioni sono simili, perché sono dei locali pubblici e sono degli interni. Un altro elemento in comune sono gli oggetti che vengono ritratti sopra i tavolini: brocche di vetro delle quali si cerca di rappresentare la trasparenza. Le due donne hanno entrambe i capelli raccolti e degli abiti tipici della moda dell’epoca. ELEMENTI GRAFICI: La pennellata è molto simile e anche l’uso della luce ha delle caratteristiche comuni. ELEMENTI VISUALI: L’inquadratura decentrata è presente in entrambe le composizioni DIFFERENZE Il messaggio e l’atteggiamento delle due donne sono completamente differenti. La contessa è ripresa in un momento di felicità, mentre la protagonista dell’opera di Degas è triste e trasmette malinconia. Le tonalità sono differenti e rispondono ai messaggi che le opere vogliono veicolare.


CARTA D’IDENTITÀ AUTORE: Vincent Van Gogh TITOLO: Il caffè tambourin SOGGETTO: Una donna in un caffè DATAZIONE: 1887 TECNICA E MATERIALE: Olio su tela COLLOCAZIONE:

Museo

VAN

Gogh,

Amsterdam

DESCRIZIONE SOGGETTO: Si tratta di una donna, appartenente ad un ceto sociale umile e la sua espressione probabilmente è legata a questa condizione. AMBIENTAZIONE: La donna siede ad un tavolo, all’interno di un caffè. ALTRI ELEMENTI: Davanti alla donna, sopra il tavolino c’è un bicchiere pieno di birra. ANALISI DELL’OPERA ELEMENTI GRAFICI: La pennellata è vigorosa, immediata e ricca di colore. La luce proviene dall’esterno e illumina la protagonista creando delle ombre che rendono il suo viso malinconico e pensieroso. ELEMENTI VISUALI: I colori creano dei forti contrasti, infatti, sono accostati toni chiari a toni scuri. Risaltano soprattutto il rosso delle piume del cappello e del bordo del tavolo, e il nero dei capelli e della gonna. Inoltre, si nota la presenza dei tre colori primari: il rosso nel tavolino e nelle piume, il giallo nelle sedute delle sedie alle spalle della donna e l’azzurro dei bicchieri in alto a destra; i quali, attirando l’attenzione dell’osservatore, fanno si che anche l’ambiente sia protagonista. L’inquadratura scelta rende l’idea di un’istantanea scattata da una persona che si trova vicino ed è perfettamente in linea con le tendenze dell’impressionismo. INTERPRETAZIONE Si ritiene che la protagonista, attraverso il suo sguardo perso nel vuoto, stia pensando alla propria triste esistenza e cerchi consolazione nel bere. Questa sembra essere un’opera di denuncia della condizione di questa povera donna che conduce una vita di privazioni e sofferenze.


CONFRONTO SOMIGLIANZE ELEMENTI COMPOSITIVI: In entrambi i quadri i pittori scelgono come protagoniste delle donne ritratte mentre fumano. Inoltre, le ambientazioni sono simili, perché sono dei locali pubblici e sono degli interni. Un altro elemento in comune sono gli oggetti che vengono ritratti sopra i tavolini: brocche di vetro delle quali si cerca di rappresentare la trasparenza. Le due donne hanno entrambe i capelli raccolti e degli abiti tipici della moda dell’epoca. ELEMENTI GRAFICI: La scelta dei colori è finalizzata a rappresentare gli stati d’animo dei soggetti, così come la luce trasmette l’emozione del pittore e delle protagoniste. ELEMENTI VISUALI: L’inquadratura è simile e sembra un’istantanea che cattura un momento delle esistenze delle donne ritratte. DIFFERENZE Il messaggio e l’atteggiamento delle due donne sono completamente differenti. La contessa è ripresa in un momento di felicità, mentre la protagonista dell’opera di Van Gogh è triste e trasmette malinconia. La pennellata di Apollonio riflette la sua adesione all’impressionismo, infatti è rapida e sfatta; mentre Van Gogh utilizza pennellate più rigide e più cariche di colore. Le tonalità sono differenti e rispondono ai messaggi che le opere vogliono veicolare: nel quadro di Apollonio i toni chiari e luminosi comunicano spensieratezza e leggerezza; mentre le tonalità più scure e contrastanti, ma anche le macchie dei colori primari creano un effetto di tensione e rendono quasi tangibile il malessere della donna.


CARTA D’IDENTITÀ AUTORE: Giulio Ettore Erler TITOLO: Signora che scende dalla carrozza DATAZIONE: 1911 TECNICA E MATERIALE: Olio su tela COLLOCAZIONE: Museo civico Luigi Bailo, Treviso

DESCRIZIONE SOGGETTO: Margherita De Donà Calzavara, una nobildonna elegantemente vestita, ritratta mentre sta per scendere da una carrozza altrettanto lussuosa. AMBIENTAZIONE: All’aperto, sullo sfondo si nota della vegetazione e un muro sulla sinistra. ALTRI ELEMENTI: La carrozza, rispetto alla dama, viene dipinta in ogni minimo dettaglio, dai sedili in pelle, ai riflessi del vetro del fanale, alle ruote bianchissime. ANALISI DELL’OPERA ELEMENTI GRAFICI: La pennellata è precisa nella resa della silhouette della dama, delle sue vesti e della carrozza, mentre si fa più imprecisa e impressionista per quanto riguarda lo sfondo e nel cappello piumato della donna. ELEMENTI VISUALI: La scelta dei colori crea degli effetti di contrasto, per esempio tra l’abito nero della dama e lo scialle rosso con il suo drappeggio adagiato su una spalla. L’inquadratura è fotografica, la dama si trova al centro del quadro, ma la carrozza non è rappresentata nella sua interezza; si tratta quindi, di un’inquadratura tagliata. INTERPRETAZIONE:


In questo quadro sono moltissimi gli elementi che catturano l’attenzione, in particolar modo le vesti e i materiali della carrozza resi nel dettaglio con estrema precisione. Tuttavia anche il volto della dama è molto interessante: il suo sguardo esprime durezza, severità, ma anche perplessità, mentre sulle labbra c’è quasi un sorriso rivolto all’osservatore. Lo sfondo chiaro e naturale fa risaltare la figura centrale. CONFRONTO SOMIGLIANZE ELEMENTI COMPOSITIVI: I quadri hanno come protagoniste due donne appartenenti ad un ceto sociale elevato, probabilmente entrambe sono nobili. ELEMENTI VISUALI: L’inquadratura fotografica che taglia alcuni elementi della scena è un tratto in comune tra le due opere. DIFFERENZE ELEMENTI COMPOSITIVI: Le ambientazioni sono differenti: Apollonio ritrae la contessa in un interno, seduta ad un tavolo dopo aver consumato il pasto, nell’atto di fumare un sigaretta e davanti ad un bicchiere di vino vuoto. Si tratta quindi, di un’ambientazione informale e che non risponde allo status sociale della donna. Erler rappresenta la nobildonna all’esterno mentre scende da una lussuosa carrozza nei pressi di un edificio che presenta uno stemma nobiliare e sullo sfondo c’è un paesaggio naturale indefinito. ELEMENTI GRAFICI: Apollonio sceglie dei colori chiari e luminosi; la sua pennellata è rapida, ricca di colore e sfatta, perfettamente in linea con le caratteristiche tipiche dell’impressionismo. Erler, invece, sceglie i colori che meglio si adattano ad una rappresentazione fedele e realistica della scena. La sua pennellata è precisa, accurata, soprattutto nella resa dei dettagli dell’abito e della carrozza. La sua tecnica pittorica non risente dell’influenza impressionista, ma si inserisce nella tradizione pittorica italiana. Le due opere sono difficilmente paragonabili perché presentano due stili molto differenti, ma anche le occasioni e le finalità comunicative sono diverse. Apollonio vuole fotografare un momento spensierato e anticonformista della vita della contessa Sofia; viceversa l’opera di Erler sembra essere stata commissionata dalla dama che viene ritratta in posa per esaltare tutta la sua bellezza, nonché la sua nobiltà.


CARTA D’IDENTITÀ AUTORE: Luigi Serena TITOLO: Autoritratto SOGGETTO: Ritratti di Luigi Serena DATAZIONE: 1876 TECNICA E MATERIALE: Olio su cartone COLLOCAZIONE: Museo civico Luigi Bailo, Treviso

DESCRIZIONE SOGGETTO: Si tratta di un autoritratto di Luigi Serena all’età di 21 anni. Il pittore sceglie di presentarsi al proprio pubblico con una posa insolita, quasi provocatoria e scherzosa, nell’atto di mandare un bacio. ANALISI DELL’OPERA ELEMENTI GRAFICI: Luigi Serena utilizza una pennellata ricca di colore che viene esaltato dalla luce proveniente in alto a destra, che illumina solo per metà il volto. ELEMENTI VISUALI: Si tratta di un’inquadratura fotografica, in cui Serena, ritratto di tre quarti, propone probabilmente il primo selfy, mentre manda un bacio. Questa sua intuizione estetica innovativa, mette in risalto la fierezza del volto e la sua sicurezza interiore. Lo sfondo chiaro evidenzia il profilo del pittore, assieme al colletto bianco della camicia che sembra incorniciare il volto. INTERPRETAZIONE: Serena sceglie di misurarsi con il genere del ritratto, proponendo una propria interpretazione per certi aspetti molto innovativa. L’artista riprende la tradizione utilizzando l’inquadratura di tre quarti, mentre lo stile pittorico e la posa ironica in cui si ritrae sono aspetti di modernità.


CARTA D’IDENTITÀ AUTORE: Gian Lorenzo Bernini TITOLO: Autoritratto da giovane SOGGETTO: Ritratti di Gian Lorenzo Bernini DATAZIONE: 1623 TECNICA E MATERIALE: Olio su tela COLLOCAZIONE: Galleria Borghese, Roma

DESCRIZIONE SOGGETTO: Si tratta di un autoritratto di Gian Lorenzo Bernini, circa all’età di 25 anni. Il suo incarnato è roseo, le labbra carnose, la capigliatura morbida. Indossa un’elegante camicia e una giacca in velluto blu. ANALISI DELL’OPERA ELEMENTI GRAFICI: traspare un notevole realismo dall’immagine, la luce proviene da sinistra e illumina il volto del protagonista. Si notano le velature tipiche del periodo barocco, che danno vita al viso e trasparenza e leggerezza al collo della camicia. ELEMENTI VISUALI: l’inquadratura scelta ritrae l’artista di tre quarti. Lo sfondo e il colore degli abiti sono cupi, scuri e il punto focale è lo sguardo che sembra trasmettere timore e turbamento. Il colletto bianco della camicia, anche in questo caso, funge da cornice e fa risaltare il volto, quasi illuminandolo. INTERPRETAZIONE: Il protagonista sta fissando con insistenza e grande interesse qualcosa che gli è ignoto, ma che vuole assolutamente conoscere. Forse si tratta di qualcosa che lo turba, vista la serietà del volto o semplicemente vuole scoprire cosa si cela dentro la sua anima. Infatti, Bernini sosteneva che per guardare il proprio viso si dovesse usare lo specchio, mentre per guardare la propria anima bisognasse utilizzare l’opera d’arte. CONFRONTO SOMIGLIANZE


ELEMENTI COMPOSITIVI: In entrambi i quadri, i pittori scelgono di realizzare un autoritratto di tre quarti. Inoltre, comunicano col pubblico attraverso il proprio volto e le loro espressioni dicono qualcosa del loro carattere e forse, del loro modo di concepire l’arte. In entrambi i ritratti, lo sguardo è molto importante e cattura l’attenzione del pubblico, facendogli comprendere i sentimenti che prova l’artista nel momento in cui realizza l’opera. Sia l’autoritratto di Bernini sia quello di Serena sono molto realistici e catturano l’interesse dell’osservatore, soprattutto perché comunicano qualcosa di sé e sembrano delle istantanee. DIFFERENZE Le due opere si differenziano nella scelta dei colori, soprattutto per lo sfondo: Bernini utilizza toni scuri per trasmettere il suo tormento interiore, mentre Serena sceglie dei toni più chiari e luminosi perché vuole comunicare in modo giocoso e ironico con il pubblico. La pennellata è un altro elemento di distinzione, che permette di datare le opere; infatti, Bernini usa una pennellata uniforme, mentre Serena risente dell’influenza impressionista.


VITA DAL VERO CARTA D’IDENTITÀ DELL’ARTISTA : Luigi Serena nacque a Montebelluna (Treviso) il primo Agosto 1855 morì a Treviso il 12 marzo 1911. Serena ritrae l’animazione della vita cittadina e ricostruisce in ambientazioni realistiche scene tra le più quotidiane, stando sempre attendo ai valori pittorici e compositivi .

CARTA D’ IDENTITÀ dell’opera: AUTORE:Luigi Serena TITOLO: la cucitrice DATAZIONE: 1880- 82 TECNICA E MATERIALE: olio su tela DIMENSIONI:51,3 x 34,5 COLLOCAZIONE: Museo Bailo Treviso

ANALISI DELL’OPERA “ Cucitrice alla finestra” o “Effetto di sole” è un’opera dove Serena ha rappresentato una scena umile di vita quotidiana del ceto sociale più povero e semplice che in quest’opera è stato rappresentato mentre lavora, entrando nell’abitazione di una donna che è seduta alla finestra e sta cucendo: l’atmosfera è intimista. Si può capire che la donna non appartiene al ceto sociale ricco perché la stanza è piuttosto spartana . L’acconciatura semplice della donna, i cui capelli sono raccolti in una crocchia, contrasta con la luce che entra dalla finestra. Il vestito leggero e l’ambientazione che scorgiamo dalla finestra aperta ci fa capire che siamo in estate. Il pittore nel rappresentare un soggetto così umile e semplice come una cucitrice intenta nel suo lavoro, usa in maniera magistrale la luce e il colore.


pettinatura (1)

mano destra illuminata (2)

provenienza della luce arredamento semplice

TECNICA: I colori insieme alla luce danno vivacità al quadro. La figura è in controluce e il difficile tema coloristico e luminoso è risolto con una spontaneità e tranquillità trasmessa dal soggetto. La pennellata è molto veloce e non precisa. L’inquadratura è fotografica ritrae uno spaccato di vita quotidiana. Evidente è l’influenza dalla pittura realista francese di artisti come Jean François Millet che nel suo celebre quadro “le spigolatrici” dipinge donne al lavoro nei campi. ANALISI DELL’OPERA DI MILLET: Quest’opera è stata dipinta nel 1857 ed è un olio su tela di dimensioni 83,5x111cm. “Le spigolatrici” è un’opera in cui le protagoniste sono tre contadine che lavorano in un campo di grano. Millet dà particolare importanza allo studio della figura umana e del suo legame con il lavoro in campagna, cercando di dare un grande senso di sacralità e grandezza anche ai gesti più umili e semplici.


TECNICA: Il quadro è diviso in due parti dove un terzo è occupato dal cielo e due terzi sono riservati al campo. L'inquadratura è panoramica, rende il senso di vastità della campagna. Il peso visivo del primo piano è ottenuto anche mediante la distribuzione dei colori, più scuri e contrastanti in basso e sempre più chiari, luminosi e trasparenti verso l'alto. L'ombra scura al margine inferiore del quadro aumenta l'effetto di gravità e contrasta con la leggerezza dei celesti e gialli chiarissimi della parte alta. La linea è ben marcata per la delineazione delle tre spigolatrici a differenza degli elementi dello sfondo che appaiono sfumati. 1/3 di cielo

2/3 di campo

ombra

“MERCATO DEI FIORI” -Luigi SerenaCARTA DELL’OPERA:

D’IDENTITÀ

AUTORE:Luigi Serena TITOLO: Il mercato dei fiori DATAZIONE: 1890-96 TECNICA E MATERIALE: olio su tela DIMENSIONI: 74,2 x 93,5 COLLOCAZIONE: museo Bailo Treviso


ANALISI DELL’OPERA: Il mercato dei fiori è un’opera di Luigi Serena, artista trevigiano che ritrae l’animazione della vita cittadina e ricostruisce in ambientazioni realistiche scene tra le più quotidiane, sempre attento ai valori pittorici e compositivi e con particolare abilità nell’uso della luce. In questo quadro Serena rappresenta una scena semplice e quotidiana della Treviso del tempo: il mercato dei fiori. Si nota la diversità tra le varie persone e il loro stato sociale, questo si nota guardando i vari modi di vestire: le donne "povere" come giacca hanno uno scialle invece le donne “più ricche” vestono con un cappotto. Vediamo le venditrici di fiori delle molte quali hanno un cappello di paglia in testa per ripararsi dal sole. In primo piano ci sono anche due colombi sulla strada di ciottoli. I fiori danno molto colore e allegria al quadro, ce ne sono di vario tipo e pochi tocchi essenziali, ma estremamente evocativi, descrivono la varietà di questi fiori. L'inquadratura è fotografica e raffigura l'immediatezza di uno spaccato di vita quotidiana. Il fatto che è stata rappresentata da Serena una scena di vita quotidiana così semplice era una novità per l'epoca. Ma questo tema era molto caro all'autore, per quanto ne sappiamo ha dipinto almeno altri due mercati: "il mercato dei fiori" e "acquisti al mercato di fiori", entrambi conservati in collezioni private.

Scialle Cappelli Cappotto

Colombi

TECNICA Le persone in lontananza rimangono solo abbozzate. Qui la pennellata è veloce e non precisa. Un altro punto dove la pennellata non è precisa è la strada di ciottoli lungo la quale avviene il mercato. Una pennellata particolare invece è quella dei fiori ovvero una pennellata materica. Il soggetto del mercato non era molto diffuso il quel periodo però un’artista ne ha rappresentati tanti e di diverse città: Camille Pissarro e un suo quadro che possiamo confrontare a quello di Serena è “Mercato a Pontoise”


ANALISI DELL’OPERA: Il mercato a Pontoise è un opera di Camille Pissarro (datata 1895) , pittore francese impressionista ed è conservata al museo d’arte Nelson-Atkins negli Stati Uniti. Pissarro era soprattutto un pittore di paesaggi ma ha prodotto un importante serie di scene di mercato che ritraggono in primo piano i contadini. In questo dipinto, due donne rivolgono la schiena all’osservatore, mentre sono alla ricerca dei loro prossimi clienti. A destra del quadro inoltre c’è un’altra donna seduta e si pensa che sia anch’essa una venditrice. Quest’opera rappresenta un mercato di una cittadina francese, Pontoise. Nello sfondo si riesce a vedere molta gente che cammina e acquista merce al mercato locale. Il soggetto è il medesimo del mercato dei fiori di Seren, anche qui più ci si allontana maggiore è la imprecisione della pennellata come la tecnica del trevigiano. TECNICA: Pissarro usa le ombre per dare più realisticità al quadro. Quest’opera è dipinta con i colori vivaci e con le pennellate dello stile tardo impressionista e il quadro di Pissarro vuol essere fortemente contemporaneo, insistendo sulla modernità delle persone che rappresenta: mentre i pittori precedenti avevano rappresentato i contadini francesi come figure al di fuori del tempo, uniti con la terra, Pissarro li dipinge come i suoi vicini di casa, al lavoro per sfamare le loro famiglie.


‘CUCITRICE ALLA FINESTRA’ LUIGI SERENA ‘Cucitrice alla finestra’ is a work where Serena describes a humble scene of daily life of the poorest and simplest social class that has been represented in this work while working, entering the home of a woman who is sitting at the window, and is sewing: the atmosphere is intimate. You may realize that the woman does not belong to the rich social class because the room is rather spartan. The simple hairstyle of the woman, whose hair is in a bun, contrasts with the light coming through the window. The light dress and the setting that we see through the open window makes us understand that we are in summer. The painter, in representing a subject so humble and simple as a stapler intent in her work, uses in a masterly manner the light and color.

‘IL MERCATO DEI FIORI’ "Il Mercato dei fiori” is a work of Luigi Serena, Artist from Treviso who portrays the animation of city life and rebuilds in realistic scenes of the everyday settings, always attentive to the pictorial and compositional values and with particular skills in the use of light. In this painting Serena represents a simple, everyday scene of Treviso of that time: the flower market. We note the differences between the various people and their welfare state: women "poor" have a shawl instead of a jacket while the richest women wear a coat. The flowers give a lot of color and fun to the picture and there are varied and few essential touches but extremely evocative, describing the variety of these flowers, all different from one another. The framing is photographic and depicts the immediacy of a slice of daily life.


LUCE MACCHIA E IMPRESSIONI

“LUIGI SERENA “CAVALLI ALL’ABBEVERATOIO” CARTA D’ IDENTITA’ DELL’ AUTORE:

CARTA D’ IDENTITA’ QUADRO:

NOME: Luigi Serena

NOME AUTORE: Luigi Serena

DATA/LUOGO DI NASCITA: 1855Montebelluna

TITOLO: Cavalli all’abbeveratoio

DATA/LUOGO DI MORTE: 1911-Treviso CORRENTI ARTISTICHE: Verismo TECNICHE ARTISTICHE: Olio su tela

DATAZIONE: 1900 TECNICA E MATERIALE: Olio su tela COLLOCAZIONE: Museo Bailo, Treviso

DESCRIZIONE Il soggetto rappresenta la ricerca tematica di stampo veristico, da parte dell’autore, svolta nell’ambito della sua terra: il Veneto. Si nota la tecnica a “macchia” e il “colore puro” usate per rendere l’immediatezza e la vivacità realistica della percezione visiva.


“Cavalli all’abbeveratoio” di Luigi Serena si può confrontare con “Moulin de la Gallette” , opera del famoso impressionista francese Pierre Auguste Renoir. I soggetti sono differenti anche se gli artisti rappresentano un momento della quotidianità tipico del loro ambiente. Lo sfondo è diverso: quello di Serena è poco profondo e va dalle galline in primo piano al muro della fattoria; invece con Renoir il punto di vista, focalizzato sulle due donne in primo piano, viene poi sfuocato, man mano che si guarda in lontananza, secondo le leggi dell’ottica e dell’”impressione” ritmica. Entrambi utilizzano la luce come elemento che filtra tra il fogliame degli alberi creando un evidente effetto ombra-luce.

PIERRE AUGUSTE RENOIR “MOULIN DE LA GALLETTE”

CARTA D’ IDENTITA’ DELL’ AUTORE:

CARTA D’ IDENTITA’ DEL QUADRO:

NOME: Pierre-Auguste Renoir

NOME AUTORE: Pierre-Auguste Renoir

DATA/LUOGO DI NASCITA: 1841-Limoges

TITOLO: Moulin de la Gallette

DATA/LUOGO DI MORTE: 1919-Cagnes Sur Mer

SOGGETTO: Locale popolare

CORRENTI ARTISTICHE: impressionista

DATAZIONE: 1876

TECNICHE ARTISTICHE: olio su tela

TECNICA E MATERIALE: olio su tela COLLOCAZIONE: Museo d’Orsay, Parigi


DESCRIZIONE Il dipinto inquadra il Moulin de la Gallette, un locale popolare, nella collina di Montmartre, a Parigi, chiamato così perché era vicino ad un vero e proprio mulino. I colori utilizzati sono un intreccio di blu scuri, blu purpurei e violetta insieme ai colori più chiari e luminosi. La sua pennellata, in questo quadro, non è il solito tocco virgolettato ma è allungata.

‘CAVALLI ALL’ABBEVATORIO’ LUIGI SERENA In this painting the artist represents a typical day in Veneto, following the Italian movement of the Verismo. He uses oil colors and the dappled effect of the light that passes through the trees.


IL PAESAGGIO DEI CIARDI

CARTA D’IDENTITA QUADRO AUTORE: Guglielmo Ciardi TITOLO: Vele in Laguna SOGGETTO: Paesaggio sulla laguna veneta. DATAZIONE: 1890-91 TECNICA E MATERIALE: olio su tavoletta COLLOCAZIONE: museo Bailo, Treviso

CARTA D’IDENTITA DELL’ AUTORE NOME: Guglielmo Ciardi DATA/LUOGO DI NASCITA: 1842-Venezia DATA/LUOGO DI MORTE: 1917-Venezia CORRENTI ARTISTICHE: paesaggista TECNICHE ARTISTICHE: olio su tavoletta (legno)

DESCRIZIONE Il soggetto di questo quadro è una barca a vela ma non è solo quello! È l’amore per la pittura ‘en plein air’. L’elemento principale di quest’opera d’arte è il riflesso della barca sull’acqua e la resa della luce in questo paesaggio veneziano di fine ‘800. Si può notare un gioco di luci e riflessi e osservare un orizzonte indefinito senza una linea che delimita il cielo e la laguna veneziana. Al livello della barca si possono notare delle pennellate più fluide invece il cielo, da lontano presenta pennellate più materiche.


CONFRONTO ‘Vele in laguna’ di Guglielmo Ciardi si può confrontare con ‘Vela sulla Senna ad Argenteuil’ che è un quadro del famoso pittore impressionista francese Claude Monet. Il soggetto è lo stesso, la luce anche, soprattutto hanno in comune il dipingere “en plein air” però hanno qualche differenza. Le pennellate per esempio sono diverse, nel quadro di Monet sono più veloci e materiche caratteristico del periodo impressionista che è focalizzato sul catturare la luce e le ombre del momento, invece nelle ‘Vele in Laguna’ sono più precise e definiscono meglio le forme.


CARTA D’IDENTITA DELL’ AUTORE NOME: Emma Ciardi DATA/LUOGO DI NASCITA: 1879Venezia DATA/LUOGO DI MORTE: 1933-Venezia CORRENTI ARTISTICHE: impressionismo veneziano TECNICHE ARTISTICHE: olio su tavola CARTA D’IDENTITA QUADRO (legno) AUTORE: Emma Ciardi TITOLO: Villa d’Este SOGGETTO: Villa d’Este DATAZIONE: 1920 circa DESCRIZIONE Il soggetto di quest’ opera d’arte è la di mora storica Villa d’Este. Si vedono sia elementi settecenteschi per il soggetto sia tocchi impressionisti per le pennellate veloci e materiche. Colpiscono i tocchi di luce che filtrano dagli alberi. L’inquadratura di tipo fotografico e la prospettiva ci ricordano un quadro di Claude Monet: ‘Rue Montorgeuil’.

TECNICA E MATERIALE: olio su tavola COLLOCAZIONE: museo Bailo, Treviso


‘VELE IN LAGUNA’ GUGLIELMO CIARDI The subject of the painting is not only a sailboat but also the love of painting outside. The principal characteristic of this painting is the reflection of the boat in the water and the venetian landscape of the end of the 1800s. Another main characteristic is that there is no line that marks a border between the sea and the sky so the horizon looks infinite.

‘VILLA D’ESTE’ EMMA CIARDI In this artwork you can see the historical Villa d’Este. You can see elements from the 1700s for the subject and impressionist touches for the rapid brushstrokes. The dappled effect of the light through the trees really captures your attention. There is a photographic framing that is really typical of the impressionist movement.


ARTURO MARTINI FANCIULLA PIENA D’AMORE

CARTA IDENTITÀ AUTORE

CARTA D’IDENTITÀ

NOME: Arturo Martini DATA/LUOGO 1889

NASCITA:

AUTORE: Arturo Martini Treviso,

DATA/LUOGO MORTE: Milano, 1947 CORRENTI ARTISTICHE: Futurismo e naturalismo ottocentesco TECNICHE UTILIZZATE: patinato e modellazione diretta

Gesso

TITOLO: Fanciulla piena d’amore SOGGETTO: di donna

Rappresentazione

DATAZIONE: 1913 TECNICA E MATERIALE: Gesso patinato COLLOCAZIONE: Bailo, Treviso

Museo

Luigi


“Fanciulla piena d’amore” è un’opera di Arturo Martini in gesso patinato, risalente al 1913. Dopo un viaggio a Monaco di Baviera, l’artista sembrò porsi il problema di trovare un linguaggio che riprendesse anche la statuaria antica; si rifece quindi all’arte classica rielaborandola. Poiché durante quel periodo venne a contatto con la corrente artistica liberty, decise di inserire nella sua scultura elementi che la caratterizzarono. Il volto della statua compare in diverse produzioni di Martini, sia incisioni che sculture. Per quanto venga rappresentata molto spesso, l’artista non ha mai rivelato chi essa sia. CONFRONTO “Fanciulla piena d’amore” è una scultura paragonabile alle maschere primitive africane.

Come si può notare sono molto simili alla scultura di Martini. Nei primi del Novecento, vi fu una mostra di arte africana a Parigi, che influenzò moltissime correnti artistiche tra queste anche il cubismo.


ADAMO ED EVA CARTA D’IDENTITÀ AUTORE: Arturo Martini TITOLO: Adamo ed Eva SOGGETTO: Rappresentazione

di

Adamo ed Eva DATAZIONE: 1931 TECNICA E MATERIALE: Marmo di Finale Ligure COLLOCAZIONE: Museo Luigi Bailo, Treviso

DESCRIZIONE Nel 1931, Arturo Martini viene contattato da Herta e Arturo Ottolenghi, per scolpire una “vera” da pozzo per la loro villa. L’opera frutto di una grande collaborazione con Herta, rappresenta Adamo ed Eva nudi, che si tengono per mano nel paradiso diventato terrestre, a causa del peccato originale. Alta più di tre metri, la statua è stata realizzata con il marmo di Finale Ligure. Oggi si trova nel centro del chiostro del Museo Bailo, questo solo grazie alla sua ultima proprietaria, che ha deciso di donarla, dopo averla posseduta per ben 58 anni. CONFRONTO L’opera può essere paragonata ad una scultura del celebre Canova, un artista neoclassico. La statua in questione è “Venere e Adone”; Essa si può confrontare con “Adamo ed Eva” per le differenze, e non le similitudini.


Sinistra: “Venere e Adone”

In alto: “Adamo ed Eva”

Le differenze: La superfice della statua di Canova è liscia, luminosa, dovuta alla levigazione e alla cera che l’artista pone a conclusione del suo lavoro; invece a causa delle caratteristiche del marmo di Finale Ligure scelto per la sua opera, Martini non ha potuto lisciare “Adamo ed Eva”. La posizione dei due personaggi di Canova è più “morbida” e serena; invece i due soggetti della statua di Martini sono più rigidi.


VENERE DEI PORTI CARTA D’IDENTITÀ AUTORE: Arturo Martini TITOLO: Venere dei porti SOGGETTO: Rappresentazione della Venere dei porti DATAZIONE: 1932 TECNICA E MATERIALE: Terracotta modellata direttamente COLLOCAZIONE: Museo Luigi Bailo, Treviso

DESCRIZIONE Durante la prima metà degli anni Trenta del Novecento, Arturo Martini lavorò molto nell’ambito della ceramica. La terracotta modellata direttamente ritrae il corpo nudo di una donna seduta di traverso su una poltrona, solo abbozzata. Vi è un chiaro richiamo all’attesa. La donna aspetta, annoiata, come dimostra la scelta di far ciondolare le gambe, così come fanno i bambini. Martini fu spesso soggetto a critiche, poiché le sue realizzazioni artistiche non rispettavano i valori dell’Accademia. Lo scultore lasciava volutamente le imperfezioni nelle sue creazioni, cosa che gli artisti del suo tempo non facevano. Ma questo non gli ha impedito di diventare famoso a livello nazionale. Grazie a lui, oggi Treviso ha un ricco patrimonio culturale del Novecento. ANALISI Il volto della Venere è reso vivo dalla tecnica a modellazione diretta, mantiene imperfezioni e increspature. I particolari rivelano uno studio approfondito dell’anatomia e delle posizioni del corpo. La donna seduta al porto è appoggiata su una roccia. Le braccia sollevano il seno, che prende una posizione all’apparenza molto innaturale, gli occhi annoiati guardano con inerzia davanti a loro. Il corpo sembra abbandonato, specie osservando la rilassatezza della schiena abbondantemente inclinata sul sedile.


La scelta della terracotta crea una giusta cromia, calda rassicurante. L’uso della modellazione diretta lascia la superficie imperfetta, materica, corposa. La luce si appoggia e le ombre formano la monumentalità . Il corpo si muove non appena la luce lo sfiora.


I RINNOVATI E I CAPESARINI TREVIGIANI AUTORE: Aldo Voltolin (18921918) TITOLO: I covoni al sole DATAZIONE: 1912 TECNICA: olio su tela COLLOCAZIONE: Museo civico “Luigi Bailo” IL QUADRO RAPPRESENTA: dei covoni al sole DIMENSIONI: 62x85 INTRODUZIONE Nel decennio che precede la prima guerra mondiale alcuni artisti trevigiani sfidano coraggiosamente la pur alta tradizione locale, rinnovando su istanze europee la propria produzione, in alcuni casi in conseguenza di soggiorni all’estero (Parigi e Monaco). Si configura un vero e proprio gruppo, in cui entra a far parte anche Aldo Voltolin. ANALISI DELL’OPERA: Il pittore veneto Aldo Voltolin, in questo quadro dei primi del novecento, utilizza la tecnica ad olio su tela con piccoli tocchi di colore puro (predominano i colori caldi come il giallo e il rosso che richiamano il caldo dell’estate e la raccolta del grano in covoni). In primo piano per la zona in ombra, vengono utilizzati colori più scuri come il blu che accostato al rosso e un po’ di giallo dà un colore che si avvicina molto al marrone scuro. Al centro del quadro spicca il colore giallo del covone illuminato dal sole che a sua volta dà diverse tonalità per rendere i volumi. Piccoli animali da cortile (galline) beccano i piccoli semi di grano che trovano in terra. A destra del quadro un’asta di legno è appoggiata sul mucchio di paglia, la sua ombra ci dimostra che la luce proviene da destra. Sullo sfondo a sinistra si intravede un paese e dei campi. Il colore del cielo è formato da piccoli tocchi di blu, bianco, rosso e giallo. TECNICA: L’autore del quadro non delimita le forme con linee nette e ciò fa pensare che si sia ispirato al movimento post-impressionista. Nell’opera il pittore applica i colori in piccole quantità tenendoli “ben divisi”convinto che nell’occhio dell’osservatore la loro luminosità sia più intensa rispetto a quella dei colori mescolati sula tavolozza


DETTAGLI DELL’OPERA: Osserviamo che il pittore ha voluto evidenziare il contrasto tra luce e ombra.

Paesaggio nello sfondo a sinistra

Asta in legno

Direzione della luce. Linea d’ombra

Come notiamo la pennellata è carica di colore e vengono utilizzati vari colori per dare il senso della luce.


Aldo Voltolin con i suoi viaggi all’estero incontra altri artisti e si avvicina molto a quello post-impressionista, per questo ho voluto confrontare la sua opera con quella di Vincent Van Gogh. AUTORE: Vincent Van Gogh (1853-1890) TITOLO: Provenza

I

pagliai

in

DATAZIONE: 1888 TECNICA: olio su tela COLLOCAZIONE: Rijksmuseum Kroller-Muller, Otterlo Netherlands DIMENSIONI: 92,5x73 STILE:post-impressionismo TECNICA: Van Gogh è giunto ad elaborare una pittura originalissima. Le sue tele conservano traccia della forza e della velocità di esecuzione come vediamo anche nell’opera di Voltolin che utilizza tratti brevi e veloci. Van Gogh si trasferisce in Provenza, nel sud della Francia dove apprezzava la semplicità e immediatezza. Nell’opera vediamo che al centro ci sono due covoni di paglia su cui sono appoggiate due scale che possono essere confrontate come l’asse di legno nell’opera di Voltolin. A sinistra del quadro si riesce a vedere un paesello. Anche Van Gogh utilizza la tecnica dei puntini ma in maniera diversa da Voltolin CONFRONTI: Nelle opere che ho analizzato ho trovato diversi similitudini: il paesello nello sfondo che si nota in tutti e due i quadri. Un altro confronto che ho fatto è l’asta di legno nel quadro di Voltolin che può assomigliare alla scala appoggiata sul covone di Van Gogh.


‘COVONI AL SOLE’ ALDO VOLTOLIN This Venetian painter, Aldo Voltolin, used the oil on canvas technique with little touches of pure color. The title of this painting is ‘Covoni al sole’. The borders of the forms are not delimited with straight lines and this makes you think that the post-impressionist movement inspired him. In his artistic work he applies color in little quantities keeping them separated, convinced that in the eye of the viewer the luminosity is more intense than the colors mixed on the palette. In the foreground, for the shadow, he uses darker colors like dark blue and red. In the center of the painting the yellow color appears in the rick that is illuminated by the sun. The yellow color appears in different shades to illuminate and show every rick.


TREVISO: THROUGH DIFFERENT EYES NAME: Harden Rupert AGE: 30 years old COUNTRY OF ORIGIN: London, England WHY DID HE COME HERE: to work ( rugby player ) FAVOURITE FEATURES OF TREVISO: the location FAVOURITE DISH: bruschetta and prosecco CLICK HERE TO WATCH THE VIDEO

NAME: Eva COUNTRY OF ORIGIN: half Slovakian half Scottish WHY DID SHE COME HERE? to work FAVOURITE FEATURES OF TREVISO: Piazza dei Signori, Piazza Burchiellati FAVOURITE DISH: parmigiana di melanzane, pasta, pizza, tiramisù CLICK HERE TO WATCH THE VIDEO

NAME: Morley Pizzolon COUNTRY: New Jersey, USA WHY DID SHE COME HERE: for family FAVOURITE FEATURES OF TREVISO: the centre, città giardino, University area HOW LONG HAS SHE LIVED HERE FOR: 11-12 YEARS FAVOURITE DISH: Pizza CLICK HERE TO WATCH THE VIDEO


NAME: Alice BIRTHPLACE: Austria NUMBER OF YEARS IN ITALY: 23 FAVOURITE PLACES: 

Buranelli

Pescheria

Piazza dei Signori

NAME: Elizabeth BIRTHPLACE: Argentina NUMBER OF YEARS IN ITALY: 2 FAVOURITE PLACES: 

Piazza dei Signori

Piazza San Francesco

Pescheria

NAME: Katia BIRTHPLACE: Canada NUMBER OF YEARS IN ITALY: 5 FAVOURITE PLACES: 

Duomo

Buranelli

Campana’s bridge

Ca’ dei Carraresi

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NAME: Tyshawn Carissian Abbott BIRTH DATE: 08/27/1988 PLACE OF BIRTH: USA, Chicago, Illinois HEIGHT: 1.93 POINT RECORD: 38pt. PLAYER’S HISTORY: Forlì/ Chieti/ Treviso STARTED PLAYING: As soon as he could hold the ball POSITION: Guard CLICK HERE TO WATCH THE VIDEO

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NAME: Augustin Fabi BIRTH DATE: 10/28/1991 PLACE OF BIRTH: Argentina, General Roca HEIGHT: 1.99 POINT RECORD: 44pt. PLAYER’S HISTORY: Treviglio/ Reggio Calabria/ Parti/ Treviso STARTED PLAYING: 4 years old POSITION: Guard/ Forward CLICK HERE TO WATCH THE VIDEO

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NAME :Judith SURNAME: Soltesz AGE: 42 years old HOMETOWN: Watchung (New Jersey) JOB: Mom and housekeeper NUMBER OF YEARS IN TREVISO: 16 CLICK HERE TO WATCH THE VIDEO


NAME: Rachael SURNAME: Stewart Age: 61 HOMETOWN: Oxford (England) NUMBER OF YEARS IN ITALY: 35 NUMBER OF YEARS IN TREVISO: 1 CLICK HERE TO WATCH THE VIDEO

NAME: Maeve AGE: 11 BIRTHPLACE: Treviso (American Mum) FAVOURITE PLACES: 

Restaurants

Shopping downtown

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LA PICCOLA ATENE MUSICALE Prologo La Piccola Atene musicale è il titolo scelto per presentare Treviso ed il suo rapporto con la Musica. Si tratta di entrare a vivo nel cuore della città dando vita alla valorizzazione dei suoi artisti, dei luoghi e del clima che hanno contrassegnato momenti importanti di cambiamento. I punti di riferimento per ricreare questa piccola Atene sono: Gli artisti ( musicisti della musica sacra e profana: compositori, direttori d’orchestra, i grandi nomi dell’opera lirica, ma anche i giovani musicisti trevigiani del nostro ‘900 che hanno dato il meglio di sé in sede nazionale ed internazionale) I luoghi ( i vari teatri musicali di Treviso, le chiese, i salotti privati, le osterie, le balere ) Cenacolo delle arti: La musica come tema trasversale nella pittura e nella letteratura trevigiana. Si esplora il fermento musicale con cui la piccola Treviso buttò il proprio sguardo verso nuovi orizzonti europei. Un particolare interesse riguarda la raccolta dedicata alla musica dei manifesti Salce. Musica dal vivo: si cerca, nel limite del possibile tecnico-artistico, di ricreare dal vivo qualche frammento della musica di musicisti trevigiani prendendo spunto dalle raccolte esistenti nelle nostre biblioteca pubbliche cittadine o private. ( la mia di casa e quella dei nostri giovani ricercatori) Non servono requisiti particolari di matrice musicale, ma tanta buona volontà ed un pizzico di curiosità ! La conversazione e la performances saranno aperte anche al pubblico (genitori, amici e conoscenti) ed a quanti vorranno intervenire per offrire un contributo alla riflessione e alla riscoperta della Treviso musicale. Paola prof. Gallo Treviso, lunedì 28 marzo 2016


LUOGHI E FIGURE DELLA MUSICA TREVIGIANA MUSICA SACRA Percorso n.1 Duomo – Biblioteca Capitolare – Biblioteca del Seminario Vescovile Figura principale: M° Giovanni D’Alessi (1884 – 1969)/musicista e musicologo Giovanni D’Alessi, nasce a Castagnole di Treviso, il 24 agosto 1884. Ancora giovane entra nel seminario vescovile di Treviso e compiuti gli studi teologici, viene ordinato sacerdote il 25 luglio 1909. Inviato a Possagno, rimane sino al 1911, quando viene chiamato alla direzione della cappella musicale della cattedrale di Treviso ed in parallelo, tra il 1912 – 1913, gli viene offerto l'insegnamento del canto sacro nel seminario vescovile. Questi due incarichi lì conserverà sino alla fine del 1966 educando al canto varie generazioni di cantori e sacerdoti, curando mirabili esecuzioni ed osservando con fedeltà assoluta le direttive del Motu Proprio sulla musica sacra di Pio X . In omaggio al suo servizio, gli viene offerta la direzione della Scuola Ceciliana di Treviso dalla fondazione (1927) sino al 1964. La sua personale educazione musicale, iniziata nel seminario di Treviso, verrà completata a Padova con il Luigi Bottazzo, uno dei più valenti maestri di Musica Sacra del tempo ed in seguito a Torino con Giovanni Battista Grosso, buon gregorianista e studioso di polifonia. Negli anni a seguire, Giovanni d’Alessi, spinto dalla passione per il canto sacro, compone Lui stesso vari brani, rimasti però inediti assieme a tutti i suoi manoscritti e libri; ora gli stessi sono conservati presso la Biblioteca Capitolare di Treviso. Esecutore fedele della polifonia classica, ha lasciato le registrazioni di sei dischi con il coro della cattedrale e del seminario incisi dalla Vox di New York; si ricordano in particolare: Polifonia sacra con musiche della scuola veneta del sec. XVI e la Missa brevis (Mantovana) di Palestrina. Il suo magistero interpretativo ci è stato tramandato anche in due volumi, muniti di segni espressivi e dinamici di tipo romantico, che sono stati editi in collaborazione con Giuseppe Ippolito Rostagno: Antologia quinta vocalis liturgica LIII cantus sacri auctorum saec. XVI et XVII paribus vocibus hodierno usui editi, e Antologia sexta ... LI cantus ..., Torino 1928. La maggior parte della sua attività musicologica è rivolta a ricerche di archivio sui compositori veneti ed in particolare su quelli attivi a Treviso in varie epoche con una serie di pubblicazioni che anticipano la sua opera più importante: La Cappella musicale del duomo di Treviso (1300-1633), opera magistrale nella quale viene messo in luce quanto sia solo relativa la provincialità musicale di Treviso rispetto ai grandi centri nazionali ed internazionali. In esso emerge una ricca documentazione: elenco dei maestri e delle loro composizioni, nomi di organari, organisti, strumentisti e cantori, che rivelano come, la Nostra città ebbe vita musicale intensa non sfigurando essa, fatte le debite proporzioni, con quella di Venezia. Rimane ancora inedito lo Schedario tematico sui 42 manoscritti musicali della Bibl. capitolare, in gran parte distrutti dal bombardamento aereo subito da Treviso il 7aprile del 1944.


La biblioteca Capitolare del Duomo di Treviso, pur dopo il grave lutto che la privò di grandi capolavori, è uno dei luoghi ‘tesoro’ della musicologia internazionale con testi che potrebbero rivaleggiare con le più grandi biblioteche soprattutto per testi che hanno la loro importanze come ‘ prime di stampa’. Ci pare opportuno, in questa sede, citare il celeberrimo esemplare della prima stampa della Missa Papae Marcello di Pierluigi da Palestrina, con la celeberrima immagine della donazione. Questa è presente come unicum in tutti i libri più importanti di storia della musica nazionali ed internazionali. Per la conoscenza del ‘cecilianesimo italiano’ ha notevole autorevolezza: Commento illustrativo del motu proprio in cui il D’Alessi si rivela un severo interprete delle norme pontificie andando forse, più in là, dello stesso pensiero papale. La sua partecipazione attiva al movimento ceciliano nazionale si attenuerà di molto dopo la Prima Adunanza organistica italiana , datata: Trento 1930. Risulta rilevante anche la sua opera di trascrittore che vede la pubblicazione, oltre alle due antologie già ricordate: A. Gabrieli, Musiche di chiesa da 5 a 16 voci in I Classici musicali italiani, V (1942), mentre è ancora in manoscritto la trascrizione dell'operaomnia di G. M. Asola, depositata presso la Fondazione Cini di Venezia, e tante altre trascrizioni presenti nella Biblioteca Capitolare di Treviso. Per i suoi eccezionali meriti di studioso e di insegnante, fu insignito di onorificenze religiose e civili. Giovanni D’Alessi muore a Treviso il 3 ottobre del 1969. Bibliogarfia generale: Il motu proprio sulla musica sacra di S. S. papa Pio X. Commento illustrativo, Vedelago 1920; Vicenza 1928e 1934; Il motu ... e la Costituzione apostolica "Divini cultus sanctitatem" di S. S. Pio XI, Roma s. a.; Il tipografo fiammingo Gerardo de Lisa, cantore e maestro di cappella nella cattedrale di Treviso(1463-1496), Vedelago 1925; La polifonia classica nelle antologie vocali liturgiche, in Boll. bibliografico musicale, XXV (1928), pp. 7 s.; Organo e organisti della cattedrale di Treviso(1361-1642), Vedelago 1929; Zanin Bisan (1473-1554), in Note d'archivio per la storia musicale, VIII (1931), pp. 21 s.; Una interessante questione d'arte organaria veneta del 1759, in Boll. bibl. music., VI (1931), pp. 27 s.; I manoscritti musicali del secolo XVI dei duomo di Treviso, in Acta musicol., III (1931), pp. 148 s.; L'organo di S. Nicolò di Treviso-Spigolature d'archivio, in Canentes Domino in Organis, numero unico, Treviso 1933, p. 7; Maestri e cantori fiamminghi nella cappella musicale del duomo di Treviso(1411-1561), in Tijdschrift van de Vereniging voor Nederlandse muziekgeschiedenis, XV (1938), pp. 147 s.; Note sull'organaro Antonio Dilmani, in Note d'archivio ..., XIX (1942), pp. 145 s.; Precursori di Adriano Willaert nella pratica del "Coro spezzato", Vedelago 1951; trad. inglese in Journal of the American Musicological Society, V (1952), pp. 187 s.; La Cappella musicale del duomo di Treviso(1330-1633), Vedelago1954. Il suo nomefigura inoltre tra i collaboratoridi Encicl. della musica Rizzoli-Ricordi; Die Musik in Geschichte und Gegenwart; The New Grove Dictionary of Music and Musicians, e del periodico di Treviso Svegliarino ceciliano, già Svegliarino musicale.


LUOGHI E FIGURE DELLA MUSICA TREVIGIANA IL TEATRO MUSICALE DELL’800 Percorso n.2 Teatro Comunale ‘Mario del Monaco’ – Collezione Salce (chiesa di San Gaetano) – Villa Franchetti (Preganziol) Figure principali: Pier Adolfo Tirindelli (Conegliano, 5 maggio 1858 – Roma, 6 febbraio 1937) Giovanni Masutto (1830 Alberto Franchetti (1860 - 1942) / Musicista e compositore Pier Adolfo Tirindelli (Conegliano, 5 maggio 1858 – Roma, 6 febbraio 1937) Nato a Conegliano, in provincia di Treviso, è stato un compositore, violinista, direttore d'orchestra e docente italiano. Perfezionati a Parigi dopo gli studi iniziati a Milano, ottiene nel 1883 la cattedra di violino presso il Conservatorio di Venezia del quale fu direttore dal 1893 al 1895. Stabilitosi poi negli Stati Uniti, fu docente di violino e direttore d'orchestra presso il Conservatorio di Cincinnati. Torna in Italia nel 1922 e propone come opere Liriche: Atenaide, Del 1892 E Blanc Et Noir, Del 1897, Con La Produzione Di Numerose Romanze Per Canto E Pianoforte. nella città natale gli è stata dedicata una via[1]. L'Associazione Lirica "Pier Adolfo Tirindelli", fondata nel 1981 ad opera di Albino Toffoli, sta raccogliendo ogni tipo di documento per la ricostruzione storico-artistica della sua figura.

Alberto Franchetti nasce da Raimondo Franchetti e Luisa Sara Rothschild in una famiglia ebrea. E’ la madre che lo avvicina alla musica e, dopo aver studiato a Torino, la famiglia si trasferisce a Venezia dove Alberto finisce gli studi in composizione, ma si diploma al Conservatorio di Dresda nel 1884. Il primo successo lo ottiene con la Sinfonia in si minore, composta in sintonia con lo stile germanico e successivamente Asrael, rappresentata al teatro di Reggio Emilia, decreta la sua fama come operista. Nel 1888 sposa Margherita Levi e dalla loro unione nasce Raimondo che la storia ricorda come un celebre esploratore. Negli anni successivi al matrimonio, le opere del Maestro vengono contese dai principali teatri in Italia e all’estero tanto che Amburgo, Budapest, Praga, New York, Lisbona, Buenos Aires mettono in scena: Cristoforo Colombo, Fior D’alpe, Il Signor Di Pourceaugnac e la celeberrima Germania che venne messa in scena in prima assoluta alla Scala nel 1902 e più tardi al Metropolitan di New York. In sintonia con un Italia che guardava al Vate come maestro indiscusso della letteratura nazionale anche Alberto Franchetti musica La Figlia Di Iorio rappresentata alla Scala nel 1906 su libretto di Gabriele D’Annunzio. Il successo gli permette di ottenere la nomina a


direttore del Conservatorio di Firenze. Accetta, ma dopo qualche anno si ritira a vita privata a Viareggio dove morirà nel 1942. In omaggio al grande maestro del melodramma italiano, ma ancora sconosciuto ai melomani più appassionati, nasce a Reggio Emilia nel 2008, l’Associazione per il Musicista Alberto Franchetti con il proposito di valorizzare la sua figura in relazione all’epoca e alla sua nobile presenza in seno alla storia del melodramma italiano. Le passioni di Alberto Franchetti per i cani, le automobili, la moda, la buona cucina, l’alpinismo, la magia, lo resero un personaggio celebre a suo tempo e merita una riscoperta d’autore . Raccolta Manifesti Salce: La magnifica effige Ferdinando Salce (detto Nando) muore a Treviso il 29 dicembre 1962. Sulla figura di Salce, sulla fortuna della sua collezione, che con oltre 24.000 manifesti è la più importante d’Italia e tra le maggiori d’Europa si potrebbe disquisire per molti anni, ma la nostra sintesi ne darà comunque una giusta rilevanza. Molti dei suoi manifesti riprendono il filo di quelle che furono le passioni di Salce (fu tra i fondatori del Club Alpino Italiano sez. di Treviso) e le tappe basilari della sua lunga – oltre sessant’anni – attività di collezionista. Completano la raccolta i documenti biografici e alcuni esemplari di grafica pubblicitaria presenti nelle raccolte dei Musei Civici. I manifesti d’epoca della collezione Salce sono databili tra il 1895 e il 1962 e rappresentano uno spaccato significativo degli interessi di una società in bilico tra tradizione e modernità. Nando Salce a soli 17 anni fu folgorato dalle affiches, i cartelloni pubblicitari che iniziavano allora a colorare le strade delle capitali europee: cominciò a collezionarle e non smise più. Di famiglia benestante – il padre aveva avviato in città una fiorente impresa commerciale – poté seguire questa sua passione con metodo e dedizione, sorretto da un buon gusto e da un’intelligenza critica non comuni. Instaurò una fitta rete di relazioni con editori e tipografie, con ditte di affissioni, librerie e case d’aste, per assicurarsi le ultime uscite e le rarità. Fu in corrispondenza con gli stessi autori di manifesti e con altri collezionisti. All’inizio si procurò di preferenza cartelloni “artistici”, nei quali prevaleva la componente estetica, in seguito si indirizzò anche a quelli di interesse storico e politico. Mise così insieme una raccolta di grande respiro che documenta come nessun’altra in Italia la storia del manifesto tra la fine dell’Ottocento e i primi sessant’anni del Novecento. Per conservare questa “pinacoteca di carta”, che con il passare degli anni cresceva a dismisura – lo stesso Salce perse il conto, credeva di averne 14.000 quando invece erano oltre 24.000 –, utilizzò la spaziosa soffitta della palazzina di famiglia posta di fronte a Porta San Tomaso (oggi casa di riposo, per lascito dello stesso Salce). Qui i manifesti erano conservati secondo un originale sistema di archiviazione in verticale. La raccolta era nota agli specialisti, ma ebbe pochissime occasioni di visibilità pubblica in vita di Salce. A Treviso fu esposta solo una volta, nel 1959 a Palazzo dei Trecento, in occasione dei 50 anni della sezione trevigiana del Club Alpino Italiano. Salce la destinò allo Stato Italiano che nel 1968 la diede in deposito temporaneo al Comune di Treviso, che ne ha curato la catalogazione e la conservazione.. A partire dal 1974, numerosissime sono state le mostre dedicate a temi e ad autori presenti nella Raccolta, che hanno permesso di farla conoscere e apprezzare in Italia e all’estero. Ferdinando Salce (detto Nando) Treviso, 22 marzo 1878 – Treviso, 1962


Discendente di una agiata famiglia di commercianti di tessuti, Nando Salce nasce a Treviso il 22 marzo 1878. Si diploma in ragioneria per volere del padre però nel 1898,con la maggiore età, benestante che non ha bisogno di lavorare si dedica assieme alla moglie Regina (Gina) Gregorj, figlia del titolare di una delle più importanti manifatture ceramiche d'Italia, (“benestante e possidente” all'anagrafe) alla passione del collezionismo. Diversi oggetti rientrano nei loro interessi tra cui: tappi di bottiglia, scatole di fiammiferi, menù speciali e le celeberrime Affisces o quant’altro gli appassioni diviene parte integrante della loro smodata passione. La collezione di manifesti nasce nel dicembre 1895, con l'acquisto di contrabbando dall'attacchino comunale, al prezzo di una lira, del manifesto della Società Anonima Incandescenza a Gas brevetto Auer di Giovanni Maria Mataloni, poi definito dal critico Vittorio Pica come il primo cartellone italiano che, "per concezione, per fattura e per tiraggio", sia degno di stare a confronto con i migliori esemplari europei. Al 1898 risalgono i primi documenti di una nutrita corrispondenza, che prosegue ininterrotta fino ai suoi ultimi anni di vita, con editori e tipografi specializzati nel ramo pubblicitario (Wild e Tensi di Milano, Alessandro Marzi di Roma, Salomone di Roma, Chappuis di Bologna, Ricordi di Milano, Cassan di Tolosa, Hirth's Verlag e Bruckmann di Monaco di Baviera), con le ditte e le aziende committenti, con gli stessi cartellonisti (del Mataloni rimase ammiratore fedele, al punto da commissionargli il disegno della sua carta intestata), con gallerie specializzate (Sagot di Parigi). Secondo un metodo tipico di ogni collezionista, Salce scambia pezzi doppi con gli esemplari che desidera. La sede della collezione fu la vasta soffitta della sua casa in Borgo Mazzini a Treviso, alla morte destinata alla casa di riposo che porta oggi il suo nome. Salce farà in tempo a vedere spenta la grande stagione della pubblicità sui manifesti; quando muore, nel dicembre 1962 ed è significativo che l'interesse per la collezione, 24.580 manifesti, maturi solo dopo molto tempo, a partire dalla metà degli anni settanta.

Tra i manifesti della raccolta Salce dedicata alla musica ricordiamo: La Bohème di Puccini fu rappresentata a Treviso per la stagione d’autunno 1896 , a pochi mesi dalla prima assoluta a Torino. Il cronista della “Gazzetta di Treviso” si mantiene “in medio” concludendo che “la Bohème” ha dei punti mediocri, ma altri di bellissimi”. L’opera rimase in cartellone per 14 sere e viene diretta dal torinese Arturo Vigna. Gli interpreti principali sono: il soprano Valentina Mendioroz (Mimì), il soprano Maria Martelli (Musetta); il tenore Pietro Ferrari (Rodolfo), il baritono Ruggero Astillero (Marcello). Sunanda ebbe invece minor successo con sole due recite nonostante la presenza di Fausta Labia; è un dramma lirico del trevigiano Pompilio Sudessi (1853-1923) ambientato nelle Pampas, fra stregoni e schiavi indiani. “La gazzetta di Treviso” scrive che Sudessi, che fu insegnante nell’istituto e direttore della banda cittadina ha lasciato Treviso per andare in Francia dove le sue composizione ebbero fortuna e si fece conoscere ed apprezzare anche come direttore d’orchestra. Questo manifesto fu stampato a Udine per il Teatro di società di Treviso che conferma la situazione di stallo del manifesto lirico italiano nell’ultimo ‘800, la sua apparente incapacità di unire l’annuncio scritto con l’apparato allegorico.


Nel 1896 molte cose stanno cambiando nella grafia italiano con l’avvento del modernismo internazionale che però riesce a movimentare, in pratica, solo l’ambiente milanese. Questo manifesto fu stampato dalla litografia E. Passero di Udine. Giulietta e Romeo rappresentava per Zandonai un ulteriore passo verso quella che chiamava “la musica chiara” , che pare riflettersi sul piano figurativo, sia per i bozzetti fotografici, sia in questo manifesto, realizzato nella prima metà degli anni venti. Questo cartellone è stato stampato dall’Officina Ricordi di Milano

Breve storia del Teatro Comunale di Treviso Il primo teatro trevigiano fu aperto nel 1692. Si trattava di un tipico teatro all'italiana, con più ordini di palchi, e sorgeva dove si trova l'edificio attuale: l'antica contrada San Martin. Il teatro propose per diversi anni un buon repertorio, apprezzato dai nobili veneziani che villeggiavano in città e nelle campagne circostanti; a partire dal 1713, cominciò a decadere fino ad essere abbandonato del tutto. Qualche tempo più tardi, grazie all'interessamento del conte Guglielmo Onigo, l'edificio venne praticamente riedificato su disegno di Antonio Galli da Bibbiena, già progettista del Teatro comunale di Bologna; la facciata e l'atrio furono invece ideati da Giovanni Miazzi. Nel 1766 fu nuovamente inaugurato con la prima del Demofoonte di Pietro Guglielmi. L'edificio appartenne ancora agli Onigo sino al 1846, anno in cui fu ceduto alla Società dei Palchettisti conosciuto poi come Teatro Sociale. Dopo vicende alterne, il vecchio teatro Onigo venne distrutto da un incendio il 2 ottobre 1868. Pare che a causare l'incendio fu il custode del teatro, tale Triaca, che si serviva del palcoscenico per la sua attività di pirotecnico dilettante. La sala attuale, inaugurata nel 1869, fu progettata dall'architetto Andrea Scala, autore, tra gli altri, dei teatri di Udine, Trieste e Pisa. Le decorazioni pittoriche si devono al triestino Stella ed a Federico Andreotti, quelle in stucco allo scultore Fausto Asteo. Le balaustre dei palchi e il boccascena sono decorati con tessuti dal disegno rococò trapunto di perle dorate di Murano. La facciata è quella dell'edificio originale e reca ancora nella trabeazione la firma del Miazzi. L'inaugurazione della nuova sala del Teatro di Società ebbe luogo nell'ottobre 1869 con il Faust di Charles Gounod. Tra il 1869 e il 1930 il Teatro Sociale conobbe un periodo di particolare splendore: nel 1894 il giovane Toscanini dirige Falstaff e Cristoforo Colombo di Alberto Franchetti e l'anno successivo il Tannhauser di Richard Wagner o la Lorely di Alfredo Catalani. Nel 1900 Enrico Caruso interpreta per la prima volta il ruolo di Cavaradossi in Tosca. Toti Dal Monte ebbe modo di calcare il palcoscenico trevigiano con un numero indescrivibile di successi. Dal 1931 unico proprietario è il comune di Treviso con alterne vicende economico-sociali. Nel frattempo la vita musicale del Teatro è proseguita con regolarità, alternando le tradizionali stagioni d'autunno e di primavera a cui prendono parte, per la lirica, protagonisti di assoluto rilievo.

Appendice: GIOVANNI MASUTTO (1830 Giovanni Masutto nasce nel 1830. Di Lui si sa poco anche se è uno dei personaggi chiave del mondo musicale trevigiano


dell’800. Studia flauto traverso, diviene un valente musicista nonché fondatore della Banda di Treviso, ma è anche conosciuto come un encomiabile patriota italiano e come valente musicologo. Sappiamo che ebbe rapporti epistolari con Giuseppe Verdi e che, gli inviò in omaggio un suo libro, dal titolo: La musica presso diversi popoli, di cui ricevette una lettera di ringraziamento con lode dal destinatario. Masutto pubblicò anche La musica: dalle sue origini alla storia che andrebbe ristudiato. Prima della sua morte, lascia un libro di ricordi di cui poco si conosce.


LUOGHI E FIGURE DELLA MUSICA TREVIGIANA IL CENACOLO DELLE ARTI Percorso n.3 Museo Bailo - Osteria la Colonna – Liceo musicale Francesco Manzato – la sede del coro Sante Zanon Figura principale: M° Sante Zanon (1899 – 1965) / musicista - etnomusicologo Per il progetto terze, intitolato la piccola Atene Musicale, la mia ricerca personale mi ha permesso di trovare molte informazioni sul musicista trevigiano Sante Zanon. Il compositore nasce a Fonte (Treviso) nel 1899. Già da bambino, all’età di 9 anni, scrive la sua prima Messa mettendo in evidenza il suo precoce talento musicale. Nel 1921 si diploma in composizione e,nel 1924, in canto corale. Nella sua città fonda un’associazione corale che ha il suo presente nel coro a Lui intitolato e per la quale scrive canzoni e armonizza canti popolari della Marca trevigiana, canti di guerra e canti patriottici. A merito della sua attività di etnomusicologo vince nel 1929 vince il primo premio nazionale. Fino al 1939 il Maestro Zanon svolge numerose attività a Treviso come compositore, direttore di coro e d'orchestra insegnando composizione e canto corale presso il Liceo musicale "Manzato". È di questo periodo la felice collaborazione con il pittore Sante Cancian e lo scrittore Giuseppe Mazzotti. Si deve a questo Trio di ‘artisti’ la trascrizione musicale, l’interpretazione grafica e la rielaborazione letteraria dì antiche canzoni trevigiane pubblicate con il titolo: Canti popolari della Marca Trevigiana. Il maestro Sante Zanon compone numerosi lavori sinfonici, ma soprattutto si dedica alla musica sacra: messe, mottetti e cantate. La sua carriera prosegue con la nomina a Maestro stabile del Coro del Gran Teatro "La Fenice" di Venezia; dove rimarrà per 25 anni fino alla sua morte. Tra le sue composizioni che ottennero riconoscimenti ed apprezzamenti possiamo citare, in primis: il Cantico di San Francesco poi a seguire gli Idilli paesani, La Matrona di Efeso, Sequenza, La Decapitazione di Nicolò di Toldo, Tre Tempi mistici, Canti Asolani, Catulli Veronensis Carmina. Capire il carattere ed i sentimenti che animarono l’opera musicale del maestro Sante Zanon è un’altra delle ricerche stimolanti sul musicista e sulla sua trevigianità. Il sentimento profondo che sta alla base di quasi tutta la sua opera musicale la si può trovare in Giovanni Pascoli: poeta della natura e la poesia che rappresenta di più questo suo sentimento è: La quercia caduta. In essa è anche presente un senso d’inconscio e di mistero che ben rappresenta l’epoca in cui visse ed operò Sante Zanon e che si può trovare, parimenti, nella maggior parte delle composizioni del primo ‘900 nazionale. Per quanto riguarda la fonte d’ispirazione per la ‘forma’ ed il ‘modello’ Sante Zanon vive la corrente Neoclassica intrisa di un forte senso di rinascita degli stilemi palestriniani con la pulizia e la semplicità proveniente della melopa gregoriana.


Un sentimento di caldo di solennità, dolcezza e serenità permane nella semplicità del suo discorso musicale e nella linearità della sua vita d’artista Egli riuscì a infondere anche nei suoi più stretti amici l’affetto e l’amore che ebbe per la musica, intesa come Valore e come Arte con la A maiuscola.


LUOGHI E FIGURE DELLA MUSICA TREVIGIANA PATRIMONIO Percorso n. 4 Lavoro progressivo presso Archivio di Stato – Biblioteca civica – Biblioteca del Seminario Vescovile – Comune di Treviso

Elenco di luoghi: mappa con un giro di fotografie. Teatri musicali di Treviso Chiese Salotti privati Osterie Balere

TEATRI : Teatro provvisorio per il Castello D’Amore (1214) Ubicazione: nella Piazza di Spineta (oggi Salvana Bassa) fuori Porta San Tommaso Committenza: pubblicità (il podestà di Treviso, un Salinguerra di Ferera) Destinazione d’uso: per una festa di primavera Teatri provvisori in piazza dei signori (1340-1597) Ubicazione:Piazza dei Carrubio detta in seguito piazza dei Signori o Piazza Maggiore (oggi piazza del Popolo) Committenza: pubblicità (il Comune, gli Avogadori del Vescovado, il Rettore Veneto) Destinazione d’uso:rappresentazioni sacre, corsi di palii, incontri cavallereschi Stagioni:Settimana Santa, feste santoriali, carnevale Teatri provvisori nei Palazzi del Governo (1481-1610) Ubicazione: nel Palazzo Pretorio e nel Salone dei Trecento (o Palazzo della Ragione) Committenza: pubblica (il Rettore Veneto o la Comutà) e privata (compagnie fastaiole) Destinazione d’uso: rappresentazioni drammatiche, esibizioni musicali e veglie Teatro provvisorio in piazza San Martino (1491) Ubicazione: Piazza San Martino Committenza: privata (un gruppo giovani nobili trevigiani) Destinazione d’uso: giostra in onore del Rettore Veneto Alvise Dolfin Teatro di San Margherita (1678-1697) Ubicazione: Contrada Santa Margherita Committenza: privata (famiglia Benzi-Zecchini) Destinazione d’uso: frammi per muscica Teatro Onigo (1692-1717) Secondo Teatro Onigo (1766-1868) Ubicazione:Contrada Santa marcherita (oggi corso del Popolo)


Committenza: privata (Conte Fiorino Onigo) Destinazione d’uso: drammi per musica e spettacoli comici Teatro Dolfin (1721-1770) Secondo Teatro Dolfin (1774-1854) Ubicazione: in contrada nell’Hosteria del Cavalletto – poi contrada del Teatro Dolfin (oggi via palestro) Committenza: privata (N.H. Vettor Dolfin) Destinazione d’uso: drammi per musica e spettacoli comici Teatro Diurno (1850-1866) Ubicazione: Via ortazzo Committenza: privata (Postumio Corsi e Vincenzo Biron) Destinazione d’uso: lirica, prosa, spettacoli popolari Teatro Sociale/Teatro Eden (1869- ad oggi) Ubicazione: nell’area del vecchio Teatro Sociale (già Onigo) al n.626 della Regia Strada Postale, tra Piazza dei Noli ed il Ponte di San Martino, (oggi Corso Popolo) Committenza: sociale (Società dei Palchettisti. Dal 1931 proprietà del comune) Destinazione d’uso: lirica e prosa Politeama Garibaldi (1887-1992) Ubicazione: sull’aria del demolita Teatro Garibaldi, prospiciente Via Manin Committenza: privata (Eugenio Ortelli) Destinazione d’uso: prosa e lirica; succesivamente adibato a proiezioni cinematografiche Teatro dei Filodrammatici (1808-1893) Ubicazione: salone o “portego” al piano nobile di Palazzo Firiano Coletti sulla Piazza omonima, ora Piazza dei Filodrammatici Committenza: sociale (società accademica di musica, arte e scienze) Destinazione d’uso: rappresentazioni drammatiche e opere in musica Teatro Eden (1910-1930) Ubicazione: località denominata eden presso il viale XV luglio nelle vicinanze della stazione ferroviaria Committenza: privata (commendador Grazziano Appiani) Destinazione d’uso: spettacoli teatrali e cinematografici, concerti e balletti, feste e manifestazioni varie Teatro di San Margherita (1678-1697) Teatro Onigo (1692-1717) Secondo Teatro Onigo (1766-1868) Teatro Dolfin (1721-1770) Secondo Teatro Dolfin (1774-1854) Teatro Diurno (1850-1866) Teatro Sociale/Teatro Eden (1869- ad oggi) Politeama Garibaldi (1887-1992) Teatro dei Filodrammatici (1808-1893) Teatro Eden (1910-1930)


ARTISTI: Inventario dei musicisti Compositori Direttore d’orchestra Musicisti del 1900 (che hanno dato il meglio di loro

CENACOLO DELLE ARTI La musica diventa tema trasversale Luoghi vari come l’Osteria La Colonna Museo Bailo pittori e scultori dipingono molta musica e strumenti musicali Chiesa di San gaetano (futuro luogo espositivo) Raccolta di manifesti Salce

MUSICA di Tradizione (Folclorica) Sede del gruppo folcloristico trevigiano

CHIESE Duomo Cattedrale (2 Organi) S. Nicolo’ (Organo Le Portelle) (S. Maria Maggiore) ? S. Maria Maddalena S. Agnese (S. Bona) S. Vito S. Andrea S. Leonardo Dei Battuti S. Agostino S. Ambrogio (A Fiera) S. Francesco (Chiesa Musicale E Affresco) (S. Stefano) ? Sacro Cuore (Carmelitani) ?

ORGANARI NACCHINI, CALLIDO, ZANIN, (SERASSI) ?

ISTITUZIONI MUSICALI Festival internazionale organistico Suoni di marca Home festival Concorso Toti dal Monte Fondazione Benetton Fondazione Benetton (palazzo Bomben)


SCUOLE MUSICALI Istituto Diocesano Liceo musicale Francesco Manzato

BIBBLIOTECHE MUSICALI Capitolare Seminario Biblioteca dell’Istituto musicale Manzato Biblioteca dell’Istituto musicale Diocesano Biblioteca comunale di Borgo Cavour Archivio di stato Archivio teatro comunale Archivi delle chiese

MUSICISTI E COMPOSITORI Giovanni Masutto, suonatore di flauto traverso Giovanni Bellio, fondatore della di musica cittadina 1869 Francesco Manzato, violinista Tirindelli Giulio(1888) Carlo Fontebasso(1895) Pompilio Sudessi (1878) Alberto Franchetti Dal libro Treviso città d'arte di Eugenio Manzato – Fotografie Giuseppe de Pieri e Orio Frassetto Matteo Editore Pag..46 Tracce di Romanità bassorilievo raffigurante una baccante all'esterno della cappella del santissimo 1500 pag..95 1520-1 Pala dell'altar Maggiore di M.Pensaben pag.116 Clavicembalo (cassa dipinta e scena mitologica all'interna) 1700 - Museo Caterina pag.124 Dipinti a mociano gruppi di puttini intenti a giochi diversi - Palazzo Giacomelli pag.145 Rosalba Carriera - Museo Santa Caterina pag.148 Ritratto di giovane gentiluomo di Pietro Longhi pag.165 Il concerto all'aperto


LUOGHI E FIGURE DELLA MUSICA TREVIGIANA MODERNITÀ Percorso n. 5 Teatro Comunale Mario del Monaco – Casa Mario del Monaco (Lancenigo di Treviso) Museo Toti dal Monte ( Pieve di Soligo) - Chiesa Parrocchiale di Mogliano Veneto (TV) -– Asolo – Piazza Giustiniani ( Insegna del locale Il gatto nero) - Distretto Militare – ex Hotel Treviso in Borgo Cavour – ex Grotta Azzurra in Selvana – Dancing Altinia (sotto la porta Altinia) – ex Eden (vicino alla stazione ferroviaria di Santi Quaranta) - ex Mulino d’Argento in via Commenda – Ai due Ragni (Villorba) – ex Boschetto (fabbrica di carte Dal Negro – viale fratelli Bandiera) – Bar Borsa – ex negozio Fusco in Barberia – Ex negozio Monico (riviera S. Margherita)

Figure pricipali: Mario del Monaco (Firenze 1915 – Mestre 1982) cantante lirico Angelo Ephrikian ( Treviso 1913 – Roma 1982 ) musicista - musicologo Toti dal Monte, Antonietta Meneghel (Mogliano veneto 1893 – Pieve di Soligo 1975) Mario Del Monaco nasce a Firenze il 27 luglio 1915 e muore a Mestre il 16 ottobre 1982. È considerato uno dei più rappresentativi e popolari tenori degli anni cinquanta e sessanta. Di padre napoletano e madre fiorentina con origini siciliane. Studia inizialmente violino come autodidatta, ma si rende conto che la sua reale passione è il canto. Allievo di Arturo Melocchi al conservatorio Rossini di Pesaro, vincitore di una borsa di studio per un corso di perfezionamento alla scuola del Teatro dell'Opera di Roma, debutta a Cagli nel 1939 in Cavalleria rusticana, mentre consegue il primo successo nel 1940 in Madama Butterfly al Teatro Puccini di Milano. Nel 1946 è a Londra (Tosca e Pagliacci) e nel 1947 all'Opera di Roma (Carmen e Cavalleria rusticana) e, nel 1949, alla Scala in Andrea Chénier. La svolta della sua carriera fu il debutto, nel 1950 al Teatro Colòn di Buenos Aires, nell'Otello verdiano, ruolo a cui legò indissolubilmente il suo nome. Apparve regolarmente al Metropolitan di New York dal 1950 al 59 e fu il primo cantante italiano del dopoguerra ad esibirsi al Teatro Bol'šoj di Mosca, dove le autorità sovietiche gli conferirono l'Ordine di Lenin, massima onorificenza dello stato. Interpreta l'Otello verdiano in 427 recite e diviene protagonista di storiche edizioni di Fanciulla del west (Firenze 1954), Norma (La Scala 1955), Ernani (Firenze 1957), Sansone e Dalila (Met 1958), I Troiani (La Scala 1960). Fra i titoli più eseguiti figurò anche Aida. Nel 1964 un grave incidente automobilistico lo costringe a interrompere l'attività, che riprendee comunque entro la fine di quell'anno, per proseguire poi fino agli anni settanta. Lascia le scene con Tosca ad Amburgo nel febbraio del 1976. Vive gli ultimi anni nella sua villa di Lancenigo presso Treviso, dedicandosi all’insegnamento fino a quando la morte lo coglie a causa di un infarto. La municipalità di Treviso gli ha dedicato il Teatro Comunale ed una statua nella centrale Piazza della Borsa. Le sue spoglie riposano nel cimitero centrale di Pesaro, avvolte nelle vesti di Otello da lui stesso disegnate; il monumento sepolcrale è opera dello scultore Giò Pomodoro.


Dotato dalla natura di mezzi vocali d'eccezione, possedeva una voce scura e di rara potenza da tenore drammatico, con inflessioni a tratti quasi baritonali, ma luminosa e facile anche nel registro superiore. Le registrazioni indicano che, il suo canto è caratterizzato da un forte impeto drammatico che ne esalta la potenza. Alfredo Kraus ritiene la sua tecnica molto vicina alla tradizione italiana di Beniamino Gigli ed Enrico Caruso attribuendo, la particolare vocalità, più a ragioni stilistiche che tecniche. È riconosciuto come uno dei maggiori interpreti di Otello ed è un inevitabile termine di confronto per tutti gli interpreti successivi. L’ interpretazione del personaggio atinte scure e persino, a tratti, violente è ricco di un'impetuosa spesso elettrizzante. Nota di colore nella sua biografia di artista serio: si dedicò di frequente alla musica leggera e nel 1975 nacque un LP di successo mondiale con brani classici della canzone napoletana, ed un brano inedito dal titolo Un amore così grande, di Guido Maria Ferilli su testo di Antonella Maggio, che ebbe un grande successo e fu ripreso da numerosi artisti in anni successivi. Toti dal Monte pseudonimo di Antonietta Meneghel (Mogliano veneto 1893 – Pieve di Soligo 1975) Nasce da Amilcare Meneghel, maestro di musica, e Maria Zacchello, maestra elementare. Fin da piccola rivela un'innata predisposizione alla musica apprendendo con bravura alcuni lieder di Schumann e Schubert e cantando nella chiesa del suo paese natale accompagnata dall'organo del padre. Notate le eccellenti doti musicali della figlia il padre si trasferìsce apposta a Venezia per iscriverla nella cattedra di pianoforte al Conservatorio Benedetto Marcello. Dopo alcuni anni, Antonietta deve interrompere gli studi di pianoforte poiché le sue mani troppo piccole non le permettono ditoccare l’ottava. Si sottopone ad un'audizione di canto davanti al celebre contralto Barbara Marchisio che, rimanendo impressionata dalla splendida voce della ragazza, le offrì gratuitamente di seguirla. Antonietta, dopo aver frequentato le lezioni esordisce alla Scala di Milano nel gennaio del 1916 nella piccola parte di Biancofiore nella Francesca da Rimini di Zandonai. Nel 1922, durante una tournée in America, Arturo Toscanini, che aveva intuito in lei le doti di una perfetta cantante lirica fin da ragazzina, la invita ad esibirsi nuovamente alla Scala per il nuovo allestimento del Rigoletto di Verdi. In questa occasione, inizia ad utilizzare lo pseudonimo Toti Dal Monte, ottenuto unendo il diminutivo del suo nome con il cognome della nonna materna. Sono rimaste memorabili le sue interpretazioni di Lucia di Lammermoor, Elisir d'Amore (Donizetti) e Madama Butterfly (Puccini). Angelo Ephrikian ( Treviso 1913 – Roma 1982 ) Angelo Ephrikian nasce a Treviso il 20 Ottobre 1913. Fin da giovane si dedica allo studio del violino e della composizione; allo stesso tempo, intraprende gli studi classici e si laurea in giurisprudenza. Da critico e musicologo, i primi contatti musicali, lo portano ad interessarsi del periodo barocco italiano e delle sue scuole violinistiche fino alla clamorosa riscoperta di Antonio Vivaldi. Fu proprio nel 1947, infatti, che sarà il fondatore dell'istituto italiano Antonio Vivaldi insieme ad Antonio Fanna. I due oltre a promuovere la diffusione e l'esecuzione delle opere vivaldiane, diedero inizio ad una monumentale edizione dell'intera sua opera strumentale.


Nel 1948 fondò l'orchestra della Scuola veneziana, la prima orchestra italiana di musica da camera del dopoguerra; la diresse per alcuni anni compiendo varie tournées all'estero e costituì nel dopoguerra il modello stilistico a cui guardarono analoghi complessi negli anni successivi. Lavorò al teatro comunale di Bologna dove, nel Marzo 1949, diresse composizioni di vari musicisti come Bach, Marcello e Durante. Tra il 1958 ed il 1960 fu direttore artistico dell'orchestra dell'AIDEM, Associazione Italiana Diffusione ed Educazione Musicale di Firenze. Successivamente diresse il complesso dei Filarmonici del teatro Comunale di Bologna, con cui tenne numerosi concerti e compì varie tournées in Italia e all'estero. Nel 1964 fu tra i fondatori del Centre International de documentation A. Vivaldi. Da questo momento la sua attività di direttore d'orchestra non conobbe soste. Fu richiesto dalle maggiori istituzioni italiane ed europee, fu più volte alla Scala e al teatro Nuovo di Milano, a Torino, Venezia, Napoli, poi al Théâtre des ChampsElisées e al Conservatoire di Parigi, all'Accademia Liszt di Budapest, alla Musikakademie e al Musikverein di Vienna, al Festival Bach di Lipsia, al Palais des beaux-arts di Bruxelles e ai festivals di Bruges, Gand, Anversa e Amsterdam, oltre che presso enti radiofonici italiani e stranieri. Dal 1961 al 1969 venne nominato direttore stabile dei Solisti della Scala di Milano, e dal 1970 ricoprì lo stesso incarico a Bologna con i Filarmonici del teatro Comunale. Passò poi a dirigere l'orchestra dell'Angelicum di Milano, con cui effettuò numerose incisioni discografiche grazie alle quali ottenne numerosi riconoscimenti in campo internazionale. Angelo Ephrikian fu particolarmente attratto dalla musica barocca veneziana da divenirne uno studioso ed un ambasciatore mediante numerose incisioni discografiche in cui conciliò le esigenze del pubblico e della critica più severa. Angelo Ephrikian morì il 30 Ottobre 1982 a Roma. Gianni Ephrikian, il figlio di Angelo Ephrikian, Gianni, è un compositore e un direttore d'orchestra contemporaneo. Fin da piccolo, compìe regolari studi di pianoforte e, grazie all’attività paterna, entra di prepotenza nel mondo della musica colta affacciandosi però timidamente e con molto rispetto. Alla fine degli anni ’50 Gianni viene inesorabilmente catturato dalla musica che a quel tempo furoreggiava: il Rock and Roll. Per qualche anno suona vari strumenti batteria, chitarra, basso elettrico in gruppi pop-rock, ma la passione per la musica di matrice sinfonico orchestrale emerge prepotente nei primi anni ’70. Spinto dalla sua forte passione fonda uno studio di registrazione ad altissimo livello tecnologico dove comincia a registrare le sue composizioni, dapprima con organici orchestrali ridotti, poi sempre più numerosi. Ha collaborato e collabora a tutt’oggi con numerosi artisti internazionali mescolando vari generi musicali e, con la sua etichetta discografica Holly Music, ha prodotto svariati dischi in cui compare come arrangiatore, orchestratore e direttore d’orchestra. Una piccola curiosità: Gianni, lo scorso 17 Settembre 2015 ha vinto a Hollywood il titolo di ''artista internazionale dell'anno''. Il premio viene assegnato nel noto locale Whisky a Go Go in Sunset Boulevard.


A ripercorrere la storia delle band locali della modernità più vicina a Noi c'è il libro La Musica a Treviso 1940-1980, scritto dall'ex chitarrista dei Nomadi, il trevigiano Corrado Panizzo. In esso, l’autore ripercorre l’ambiente musicale degli anni 50/60 dando a Treviso un interessante ruolo di protagonista. Prima della guerra mondiale, le orchestre si esibivano nei palazzi signorili mentre, per la musica di strada, ci si accontentava di una fisarmonica suonata nel cortile di casa o alla sagra del paese. Emozionanti i racconti del periodo del dopoguerra dove ci accenna alla cronica mancanza di tecnologia ed ai grandi sacrifici per poter suonare. Un altro uomo di spettacolo Giancarlo Granziero è il portavoce dell’attività musicale a Treviso prima e durante il periodo bellico ed i suoi aneddoti o testimonianze ben si accordano con l’atmosfera vissuta da artisti e personaggi dell’epoca. Interessante la verifica visiva su cartoline, manifesti, locandine o giornali, testimoni della vitalità di una città che, solo apparentemente è provinciale.


IL CIBO A TREVISO IERI E OGGI I LUOGHI NELLA STORIA A- Seminario vescovile: ex convento di San Nicolò B- Piazza Duomo: antichi mercati C- Piazza dei Signori (del Carubio) e Palazzo dei Trecento: palazzo del Comune, antichi mercati e mestieri D- Piazza S. Leonardo: antichi mercati E- Ponte sul Sile in zona S. Maria Maggiore: antichi mestieri F- Archivio di Stato

I LOCALI OGGI 1- Osteria Cae de Oro 2- Trattoria all'Oca bianca 3- Toni da Spin 4- Osteria Antica torre 5- Le Beccherie 6- Antica Contrada delle Due Torri 7- Antica Osteria ai Carraresi 8- Ristorante Odeon La Colonna 9- Antica Osteria da Arman

IL CIBO DI IERI Il Medioevo I pasti I trevigiani nel Medioevo consumavano soltanto due pasti al giorno: il pranzo (a seconda delle stagioni, tra le 09:00 e le 10:00 del mattino) e la cena (al tramonto del sole, tra le 16:00 e le 17:00). Il caffè non era ancora conosciuto, quindi la maggior parte dei lavoratori non faceva colazione, ma si recava subito a lavoro.

I cibi La lista dei cibi era piuttosto semplice. Fondamento principale per tutti i pasti era il pane, che poteva essere di frumento, di segale, miglio, sorgo o misto.

La zonclada


Le minestre erano di fagioli, di lenticchie, di orzo, di fave e di piselli. Le carni più usate erano quelle di agnello castrato, di capretto, di montone, di pecora, di capra, di maiale, sia fresca che salata. Polli, oche, anatre, pesce e uccelli erano mangiati volentieri da tutti. Fra i dolci preferiti dai trevigiani, c’era la zonchiada o zonclada, un dolce che veniva preparato con latte rappreso, zucchero, farina, frutta secca, uovo e sale. Questo prodotto viene venduto ancora oggi da qualche pasticceria della città.

I mestieri I prestinai Tra le corporazioni, fondamentale era quella dei mugnai: Treviso, ricca di corsi d’acqua, possedeva molti mulini e i mugnai della città macinavano il grano anche per Venezia. Dopo la lavorazione, lo vendevano per la produzione di pane ai panettieri. Data l’enorme importanza del grano e la sua penuria, il Comune di Treviso aveva imposto, con uno statuto speciale, che ciascun panettiere, chiamato nel medioevo “prestinaio” o “pancogolo”, dovesse siglare il proprio nome sul pane, affinché non venissero commesse frodi. Inoltre il Comune, assegnava il prezzo massimo di vendita del pane, ossia 12 once (per mezzo kg). Nelle stagioni in cui il raccolto del grano maturato non era abbondante, era il Comune stesso a consegnare il grano direttamente ai panettieri (senza nessuna tassa aggiuntiva).

I beccai Le principali macellerie di Treviso (beccherie) avevano il macello annesso alla bottega ed erano situate nei dintorni del Duomo, al Carubio (piazza dei Signori) e a S. Leonardo. Solamente in quei luoghi si potevano uccidere gli animali. La carne più diffusa era il castrato, ma non mancavano quelle di vitello, bue, maiale, montone. Tra le carni porcine salate, si preparavano salami e luganeghe. Compito del Comune era controllare anche questa corporazione per tutelare le tasche e la salute dei cittadini, attraverso l’imposizione di calmieri (i prezzi di vendita della carne) e il controllo delle bestie prima della macellazione. La carne di castrato, ad esempio, si doveva vendere ad un prezzo superiore rispetto a quella di montone, di agnello, di bue e di vacca. Nessun macellaio poteva, inoltre, vendere e pesare con le carni le parti della bestia dal ginocchio in giù, né pesare insieme le carni di una specie con quelle di un’altra. Erano inoltre vietato vendere carni di animali morti per malattia e, quindi, non sani.


Nessun beccaio poteva, infine, ammazzare bovini o maiali senza prima aver effettuato la visita presso gli ufficiali del Comune. Nonostante questi ed altri provvedimenti, molti trevigiani si lamentavano per la pessima qualità delle carni vendute, le quali a volte potevano mettere in rischio la salute del cittadino. È del 1402 un accordo tra il Comune e i vari macellai della città con il quale si stabilivano i periodi in cui si potevano macellare gli animali: i montoni da Pasqua fino alla metà di giugno, gli agnelli dalla metà di giugno fino al 3 novembre, mentre nel periodo natalizio buoi, castrati, vitellotti, vitellini. I caseari I formaggiai producevano formaggio fresco, stagionato, di montone, di vacca, formaggio dolce, pecorino. Anche per i caseari vi erano controlli e statuti: era vietato vendere una specie di formaggio mista con un'altra, e veniva controllato il peso dei pezzi venduti. Gli speziali Chiamati anche “apothecarii”, vendevano spezie, medicamenti (preparati simili alle medicine moderne) che comprendevano anche sciroppi e lassativi, ma nelle loro botteghe si trovavano inoltre miele, stagno, piombo, pece, zolfo, fichi e capperi. La vendita di questi prodotti era rigorosamente disciplinata e sorvegliata dal Comune il quale controllava anche la composizione di alcune miscele. Ad esempio la peverata doveva essere composta solo da pepe, croco e zafferano. La vendita degli sciroppi poteva avvenire solo se la richiesta era accompagnata dall'ordine del medico (l'attuale prescrizione). Anche gli speziali facevano parte di una scuola, detta degli “speziali” o “botteghieri”. Solo chi era iscritto a questa scuola poteva vendere il pepe, lo zafferano, la triaca, l'incenso e addirittura la cera. La vendita del sale, che arrivava da Venezia attraverso il fiume Sile, era controllata dal Comune, il quale aveva predisposto un edificio per custodirlo. I pollivendoli Tra i prodotti animali più consumati nel Medioevo c’erano i gallinacei. I venditori si chiamavano “tricolus” e potevano vendere polli, galline, fagiani, pernici e oche. Il luogo dedicato alla vendita si trovava sotto il palazzo del Comune. Era vietato il “bagarinaggio”, ossia comprare dei gallinacei per poi rivenderli, in modo che non dovesse mancare mai agli abitanti della città questo prodotto così utile e che non dovesse crescere esageratamente il prezzo.


I venditori di polli e di uova dovevano notificare al podestà tre giorni prima dove e quanta merce volevano vendere. Chi non rispettava questa regola veniva frustato per tutto il giro del palazzo del Comune. I pescivendoli Treviso era una città ricca di acque e i suoi abitanti potevano vivere con la pesca. Per questo motivo la pesca era regolata da speciali norme per tutelare le varie specie di pesce. I corsi d’acqua dove si poteva pescare erano il Sile, il Melma, la Storga, la Piavesella, il Cagnan e il Siletto. I pesci che si trovavano erano lucci, tinche, buratelli o anguille, trote, temoli. Si vendevano anche dentici, cobi (gò), passere, squali, gamberi. Era vietato pescare per tutto il periodo della Quaresima, negli altri periodi dell'anno, invece, veniva regolata la vendita di ciascun tipo di pesce, in modo tale da consentire la riproduzione delle specie. I pescivendoli potevano venire anche da Venezia, arrivando attraverso il Sile. Il mercato del pesce si trovava nella Piazza del Carubio, l’attuale Piazza dei Signori, e il pesce non venduto veniva subito salato (allora non c'erano i frigoriferi!).

Mappa della Treviso medievale ricostruzione di A. Marchesan


I tavernai Ci si recava nelle taverne soprattutto per bere il vino: esse chiudevano al terzo suono della campana di notte, ma gli osti erano tenuti ad aprire la propria cantina a qualsiasi ora del giorno o della notte se arrivavano gli esattori del dazio. Le osterie erano arredate semplicemente: qualche tavolo, qualche fusto o botte, uno spiedo, una cassapanca, una madia. Molti arredavano la propria osteria con molte bottiglie vuote per ricordare quanto vino avevano bevuto o venduto. I vini consumati erano il vino rosso (vini rubei), la ribolla (vinum ribolium) e il nostrano (terranum). Anche allora, come oggi, era vietato allungare il vino con l’acqua o mescolare tipi diversi di vino. Un vizio di molte persone era quello di mescolare nel vino nuovo ruchetta (rucola) o mielaccio per addolcirlo. Il podestà ne vietava sia l’uso che la coltivazione. Un bando del 1402 prevedeva una multa e in alcuni casi anche il carcere. Gli esattori del dazio mettevano una cedola e un bollo sigillato sul fondo delle botti nelle osterie: nessuno poteva levare la cedola senza il permesso degli ufficiali. Chi lo avesse fatto avrebbe pagato una multa di 10 lire. La misura per la vendita del vino al dettaglio era la foglietta, una fialetta di vetro che portava il bollo e il sigillo del comune. Il prezzo del vino variava secondo la maggiore o minore produzione e la sua qualità. Nel 1324 un mastello di vino valeva 12 monete; nel 1337 ne valeva 20 monete. Per il trasporto del vino da un luogo all’altro c’erano i portatores vini, che si riconoscevano da un berretto bianco. Per poter vendere la propria merce fuori dalla città di Treviso, poi, bisognava avere il permesso degli ufficiali.

Fiere e mercati I mercati Dal 1800 il mercato, a Treviso, si svolge sempre nei giorni di martedì e sabato, e oggi si commercializzano prevalentemente prodotti alimentari e vestiario, in Piazza del Grano e Piazzale Burchiellati. Nel Medioevo questi mercati erano anche fiere del bestiame. Nel XIV secolo le piazze interessate erano quella del Duomo, di San Leonardo e del Carubio (oggi Piazza dei Signori). Per evitare troppa confusione, i venditori potevano sistemarsi in una delle tre piazze stabilita a seconda delle porte attraverso cui entravano in città. Al mercato di piazza Duomo entravano i commercianti dalle porte di SS. Quaranta, di S. Bona e di S. Teonisto. Al mercato di S. Leonardo accedevano i venditori da porta S. Bartolomeo, S. Agostino, S. Maria Maggiore e del Ponte Nuovo, mentre chiunque fosse entrato dalle porte di S. Martino (porta Altinia e Terraglio) poteva recarsi a piazza Duomo, a S. Leonardo o in piazza Carubio.


Le Fiere di San Michele (oggi San Luca) La fiera più importante per la città di Treviso era la Fiera di San Michele di Melma, di cui si hanno delle testimonianze già dal 905. Oggi viene chiamata Fiera di San Luca e si svolge nella località di Fiera a Treviso, situata nei pressi del fiume Sile. Si chiamava Fiera di S. Michele di Melma perché si svolgeva durante la ricorrenza dell’Arcangelo Michele (29 settembre) nel territorio della Villa di Melma a Silea e presso il vicino porto sul Sile, dove approdavano le barche provenienti dalla laguna di Venezia. Nel XIV secolo furono chiamate di S. Luca per onorare il trevigiano Niccolò Boccasini nel giorno in cui venne eletto papa col nome di Benedetto XI (il 22 ottobre 1303). Un’iscrizione nella chiesa di San Nicolò testimonia questo cambiamento di nome. Le fiere erano un grande mercato e duravano dai cinque ai quindici giorni; venivano annunciate da speciali banditori nei castelli della Marca e nelle città del Veneto e del Friuli. Ogni scuola e corporazione delle arti aveva la propria zona riservata, dove erigere le botteghe durante tutta la manifestazione. Un’area era dedicata alle botteghe dei forestieri e una al mercato degli animali. In una tenda si praticava la baratteria, il gioco pubblico. Un padiglione speciale poi ospitava il Podestà e la sua corte. Le fiere, a quel tempo, erano il più clamoroso avvenimento dell’anno. Vigevano delle leggi particolari, come il divieto di girare la notte dopo il terzo rintocco di campana, quello di bestemmiare e portare armi. Non vi potevano accedere assassini e delinquenti in genere. In caso di grosse truffe venivano erette delle forche ed era anche predisposta una piccola prigione. La fiera era controllata di giorno e di notte da uomini armati che potevano essere scelti tra le corporazioni o tra le ville del territorio, oppure nobili. Quello che oggi possiamo ritrovare delle antiche fiere sono le bancarelle di frittelle e castagne, oltre al grande parco giochi.

Cosa si mangiava nei conventi? L’Archivio di Stato di Treviso La nostra indagine ci porta all’Archivio di Stato, che ospita i più antichi fondi archivistici esistenti a Treviso. Si trova nel centro della città, vicino alla Riviera e alla stazione ferroviaria. Un tempo era il convento di Santa Margherita. Tutta la documentazione conservata nel Comune ha subito danni gravissimi in seguito all’incursione aerea del 7 aprile 1944: i documenti che tornarono a far parte dell’Archivio di Stato erano condizioni di disordine e deterioramento, molti invece furono dispersi. L’Archivio si è poi arricchito con il passare del tempo, infatti sono stati effettuati trasferimenti di fondi dall’Archivio di Venezia. Dal 2006, i documenti sono a disposizione del pubblico.


I conventi I conventi erano il centro di un sistema economico che comprendeva non solo l’edificio dei frati o dei monaci, ma anche campi e case coloniche che rifornivano i religiosi di tutto quello che era necessario per la vita quotidiana. Le aziende agricole della campagna producevano le materie prime, che venivano trasportate in città dagli affittuari per mezzo di cavalli o attraverso il fiume (un mezzo di trasporto a basso costo). Arrivato al convento, il cibo veniva affidato ad un padre addetto al granaio e ad un altro addetto alla caneva (la cantina, il luogo dove venivano conservati il vino e l’uva), detto prefetto alla cantina, la carica più importante nel monastero dopo il priore. All’epoca tutto quello che si possedeva era un bene prezioso: per questo i domenicani di San Nicolò avevano stilato una lista di tutti gli oggetti del convento, tra i quali quelli appartenenti alla cucina. Inventario degli oggetti presenti nella cucina del convento di San Nicolò (XVII sec.?) Archivio di Stato di Treviso

Caldiere grande stagnade n.3 Caldiere mezane stagnade n.3 Calderine stagnade piccole n.2 Cace de tre piede stagnade n.3 Padeloni grandi stagnadi n.2 Padella piccola di rame n.1 Conche di rame per lavar piatti n.2 Cadino di rame n.1 Cazze di fero grande da brodo n.1 Cazze piccole di fero da brodo n.2 Cazze forade n.2 Sechi di rame n.2 Spiedi n.3 […]


Questo scrupolo nel segnare tutto quello che passava per il convento è visibile anche nel seguente documento (risalente all’agosto del 1723) che riporta le spese effettuate per i pasti e che ci permette di conoscere cosa mangiavano i monaci. Troviamo gamberi, sardelle salate, minestra, melone, formaggio e pere, caviale, insalata, braciole: in convento si mangiava molto bene, soprattutto se vi erano ospiti di riguardo! Inventario delle spese ordinarie e straordinarie per il cibo del convento di San Nicolò da Libro della cucina 1711-1735

ALCUNE SPESE STRAORDINARIE Spesi in un quarto di vitello di lire venticinque per li padri del Giesù In tre para Dindiotti [tacchini] per li suddetti padri Piattanze a quatro huomeni ch’han servito il giorno di San Domenigo et ad uno che servì le stesse il giorno di San Rocco Piattanze à Bastian che spazzò la chiesa Pitanza all’affittual di Valdrigo A nove padri di Consiglio per le magioni del Monastero Oglio all’infermaria, ospitaria e caneva Adì 9 agosto, spesa fatta per la venuta del… Reverendo Padre Maestro Provinciale in una raina, un anguilla et in sfogli [sogliole]


ALCUNE SPESE STRAORDINARIE In gambari, sardelle salade, minestra, salsa, melon, peri et insalata Adì 12 per la cena. Un paio di colombini col brodetto, tre brisiole di vitello, formaggio e peri Adì 13 in rane, bisatti e gambari In caviaro, melon, peri, insalata cotta et oglio In vedello rosto e lesso, quaglie et altri vitelli

Una curiosa ricetta per profumare la botte del vino Novembre 1590, San Nicolò (fonte: Archivio di Stato di Treviso)

Recetta serbatissima per dar bon odor alle botte che havesse cattivo fettor Piglia foglie di nogara, foglie di persigaro, foglie de marascharo et farai bagliare nel vino … et ponerai nella botte alla somma d’un serchio sosì … per una notte et un giorno… Notta che se questa non supplisse: piglia sterco di bue o vacha et calpina viva cum del vino… ponerai così bagliete un secchio o doi: savra bonissima… che si potrà poner Malvassia, datto mi da beve che l’ho compra

Abbazia e territori posseduti

(fonte: Archivio di Stato di Treviso)


Le case coloniche Una casa colonica è una dimora rurale in cui la famiglia che vi abita e vi lavora non è proprietaria, ma è vincolata da un contratto di mezzadria con il proprietario. La casa si trovava al centro di quella che oggi possiamo definire una “azienda agricola” con campi, orto, stalla ed eventualmente anche bosco.

Podere colonico (fonte: Archivio di Stato di

Podere colonico

(fonte: Archivio di Stato di Treviso)

Podere colonico

(fonte: Archivio di Stato di Treviso)


La casa era una costruzione solida ed essenziale e ogni ambiente aveva una sua precisa destinazione d'uso. Era fatta da robusti muri portanti di pietra calcarea, comunemente detti muri maestri. La casa aveva alcuni o molti vani: nelle case a due piani, le zone abitate erano tutte al piano rialzato, mentre sotto vi erano le stalle e la cantina. Al piano abitato si presentava una grande cucina con un focolare; vicino alla cucina c'erano alcune camere, una per famiglia (tutti insieme: padre, madre, figli maschi e femmine). Quando non c'era la colombaia, una stanza fungeva da magazzino, dove si metteva un letto per le persone che erano domiciliate in alcuni periodi dell’anno nella casa e davano una mano nel lavoro dei campi, oppure poteva trattarsi di un parente scapolo o una vedova. In questa stanza-magazzino, si tenevano gli arnesi che avevano bisogno di maggior cura: i vagli, la pala per la farina, le balle di farina, la macchina da cucire; vi si tenevano anche la bicicletta, i prosciutti, le salsicce, ecc. Nella parte inferiore si apriva anche la porta della stalla. Accanto alla stalla, uno stanzino detto “segatoio”, dove si preparava il foraggio. Gli ambienti erano molto esigui: si abitavano le stesse stanze e c’era una grande vicinanza tra animali e persone, perché nelle case a un piano la stalla era vicina alla cucina. In cucina Nulla era soltanto decorativo, ogni oggetto aveva la sua funzione. All'interno della cucina c’era la madia: nella parte in basso si tenevano i fiaschi e l'olio, mentre sopra si preparava il pane. Vi era anche la staccia, che si usava per setacciare la farina e dividere farina bianca, crusca e tritello. Molte volte non si setacciava la farina ma si lasciava integrale e da questa si ricavava un pane nero che riempiva molto e saziava con minori quantità rispetto al pane bianco. Oltre alla madia, nella cucina si trovavano la pentola di coccio o di terracotta, detta “pignatto” e il paiolo di rame, che serviva per la polenta o per la pasta. In un paiolo più grande, invece, si cuoceva il pastone per i vitelli o i maiali.

Disegno di casa colonica (fonte: Archivio di Stato di Treviso)


Il primo Novecento I piatti Ci troviamo durante il periodo della belle epoque a Treviso. Il cibo più diffuso nei locali era il bollito: veniva consumato con “il cren all’aceto” oppure con la “pevarà”, a base di midollo di bue, mollica, brodo e pepe piccante. Veniva servito anche con gli acetini o con i peperoni forti o tutti e due assieme, in una “giardiniera”.

Bollito

Le abitudini e le tradizioni culinarie di un tempo sono rimaste tali nel presente. Molti piatti, noti al tempo, erano diffusi fino a pochi decenni fa, come il riso e luganega bianca, in brodo, oppure in risotto con salsicce e cavolfiori. Luganega bianca

Nei giorni di mercato si vendeva nelle trattorie la zuppa di trippe, in un brodo con piedini di porco, di vitello e di pollo, profumati con il rosmarino. La zuppa di trippe era un aperitivo, gli artigiani la consumavano nelle osterie durante la pausa del mattino, tra le nove e le dieci. Molto nota nella tradizione trevigiana è la zuppa di fagioli, che poteva prevedere l’aggiunta di cotiche e ossa di maiale, “bigoli” o “tirache” (tagliatelle di pasta senza uova).

Zuppa di trippe

Molto celebre inoltre era la “sopa coada”, a base di piccioni. Il baccalà è un’altra specialità trevigiana. Ai primi del Novecento il più celebre baccalà veniva servito all’ “Osteria del cuoco”.

Le osterie “L’Osteria del cuoco”: qui si mangiava il più buon baccalà di Treviso. Era un’osteria piccola con una saletta al piano superiore. Il cuoco Gigio serviva solo i clienti più simpatici, evitando gli altri: per questo fu addirittura sfidato a duello! Inoltre si rifiutava di servire i piatti ai clienti che non bevevano vino. Diceva: “Gnente vin? Gnente magnar!”. “Il Campanile”: durante i giorni di mercato una delle stanze era riservata ai contadini che volevano mangiare “ossada” o “borrida”, un ragù con pomodoro, avanzi di carne, legumi


e salse. Il cuoco Nino Marcon cucinava il risotto ai fegatini: se questi erano terminati, li prendeva direttamente dal pollo vivo, senza nemmeno spennarlo! Il “Mangano”: situato davanti alla loggia dei Cavalieri aveva come specialità la pasta e fasioj, il pan bogìo (pane raffermo bollito in acqua e condito con olio), la sopa coada. Al “Magazen veci” (in piazza dell’Indipendenza) si consumava il pastizzo de macaroni: cannelloni con Pan bogìo rigalie di pollo, animelle e colombini. Qui si giocava a carte: a “morra” e “Gigia Grega. In palio c’era un bariletto di birra da 25 litri. Alle “Beccherie” si consumavano le zuppe di trippa e pasta e fagioli. Il locale è aperto ancora oggi. Dai “Due mori” (tuttora esistente) si poteva assaggiare l’oca arrosto. Il proprietario del locale sceglieva la sua clientela e, agli indesiderati che chiedevano di mangiare l’oca, diceva: “Qua no se magna oca!”. Alla “Stella d’oro”, invece, si potevano assaggiare specialità di altri paesi e addirittura altri stati. Tra gli ospiti vi fu persino la Regina Margherita.

Rossi, Martini, Malossi alla “Colonna”

Nel dopoguerra la “Colonna” (oggi “Odeon alla Colonna”) era il punto di ritrovo degli artisti. Tra i clienti abitudinari vi erano Arturo Martini, Gino Rossi e lo scrittore Giovanni Comisso.


Le ricette del XIV secolo Il Libro de arte coquinaria del Cuoco Martino Maestro Martino da Como, cuoco del patriarca di Aquileia, è uno dei cuochi più famosi del XIV secolo e il suo libro Libro de Arte Coquinaria, importantissimo per conoscere la cucina dell’epoca, è stato un punto di riferimento per tutti i ricettari successivi. Le stesse ricette contenute nel libro si trovano nell’Epulario il quale tratta del modo di cucinare ogni carne, vccelli, & pesci d’ogni sorte. Et di piu insegna far sapori, torte, pastelli, al modo di tutte le prouincie del mondo. Con l’aggionta di moltr’altre cose bellissime, di Giovanni Rosselli, stampato nel 1643 a Treviso da Girolamo Righettini. Edito per la prima volta nel 1516 a Venezia ripropone, con poche modifiche, lo stesso ricettario del cuoco Martino. Ognuno di noi ha tradotto alcune ricette e ha scritto gli ingredienti principali di esse. Alcune ricette sono state arricchite grazie all’elenco degli ingredienti, la spiegazione, il contenuto principale e i valori nutrizionali di ogni piatto. Abbiamo inoltre approfondito le abitudini alimentari del Medioevo e abbiamo scoperto l’uso preponderante della carne, ma anche delle spezie e dello strutto, per arricchire i piatti dal punto di vista nutrizionale e per la conservazione dei cibi, e quello della verdura e della frutta, coltivate direttamente dai contadini.

Alcune ricette con analisi nutrizionale

PER FAR ZANZARELLI (ad alto contenuto di lipidi)

INGREDIENTI: 8 uova Grana grattugiato Spezie Brodo Pane PROCEDIMENTO: Per fare 10 minestre prendi 8 uova e mezza libbra di formaggio grattugiato e un po’ di pan grattato e mescola tutto insieme. Dopo prendi una pentola con brodo di carne con zafferano e mettila sul fuoco; quando inizia a bollire getta l’impasto e gira con un cucchiaio qualche volta. Quando ti sembra che sia pronta toglila dal fuoco e fai la minestra, poi mettici delle spezie sopra.


CONTENUTO: Proteine: 101.1 g Lipidi: 70.2 g Carboidrati: 66.9 g Fibre totali: 3.2 g Energia: 1304 kcal

Proteine

31%

Lipidi Carboidrati

48.4% 20.5%

RAVIOLI IN TEMPO DI CARNE (ad alto contenuto di lipidi) INGREDIENTI: Formaggio stagionato Formaggio grasso Cappone Zafferano Pepe Chiodi di garofano Zenzero Pasta (farina, uova, sale, acqua) PROCEDIMENTO: Per fare dieci minestre: prendi 220 grammi circa di formaggio stagionato e un po’ di un formaggio grasso e 450 grammi circa di interiora di maiale ovvero una tetta di vitella e cucinala fino a lessarla al punto che si disfi per bene. Poi battila bene e prendi delle buone erbe ben tritate, e del pepe, dei chiodi di garofano e dello zenzero; aggiungendovi del petto di un cappone macinato risulterebbe al gusto più saporito. In seguito stempera il tutto insieme. Poi tira la pasta ben sottile e lega il tutto con la pasta tirata precedentemente. Fa in modo che i ravioli non siano più grandi di una mezza castagna, dopodiché mettili a cuocere nel brodo di cappone o di carne scelta, controlla che quando bolle l’acqua i ravioli raggiungano la colorazione del giallo zafferano. E lasciali bollire per poco più di un minuto. Poi fai minestre e aggiungici un po’ di formaggio grattugiato e di spezie dolci, poi mescola bene il tutto. Dei ravioli simili li puoi fare anche con il petto di fagiano o con altra selvaggina. CONTENUTO: Proteine: 112 g Lipidi: 102 g Carboidrati: 32.7 g Fibre totali: 1.5 g Energia: 1497 kcal


PER FARE PEPERATA DE SALVATICINA (ad alto contenuto di lipidi)

INGREDIENTI: Vino rosso Carne Acqua Spezie Lardo Uva passa Cannella Aceto Pane

PROCEDIMENTO: Per fare una buona peperonata di capriolo, o lepre, o porco selvatico, prendi tanta acqua, un pò di vino rosso e lavaci bene dentro la carne; dopo passala sulla stamigna e aggiungi tanto sale quanto ti pare che basti e poni a cuocere la carne in acqua e vino; quando è cotta tirala fuori e volendo fare due piatti prendi una libra e mezzo di uva passa, pestala molto bene e metti del pane tagliato infette e tostato sopra la graticola, ammollalo con l’aceto e pestalo insieme all’uva passa e mettici del sangue (ovvero la coratella di selvaggina), poi distempera tutte queste cose con il brodo della carne, con il vino con l’aceto dove c’è il pane; dopo passa questo impasto dalla stamigna in una pentola aggiungendogli spezie, pepe, garofani e cannella, o cinnamomo, secondo quanto ti parrà necessario; e questa peperata falla forte o dolce con l’aceto e lo stesso vale per le spezie, secondo il gusto comune o quello del tuo signore. Poi falla bollire per mezz’ora sopra la brace, in modo che il fuoco sia distribuito uniformemente, girandola spesso con il cucchiaio; poi friggi la carne con buon lardo e dividila nei piatti e coprila con la peperonata: più sarà scura più sarà buona.

CONTENUTO: Proteine: 48.9 g Lipidi: 111.2 g Carboidrati: 139.7 g Fibre totali: 8.4 g Energia: 1830 kcal

Proteine

10.7%

Lipidi Carboidrati

54.7% 30.5%


OVA PIENE (ad alto contenuto di lipidi)

INGREDIENTI: Uova Acqua Uva passa Prezzemolo Maggiorana Menta Zafferano Garofano Zenzero Cannella

PROCEDIMENTO: Fai bollire le uova fresche nell’acqua, in modo che siano sane e ben dure; una volta cotte, puliscile e tagliale a metà e togli le parti rosse facendo attenzione a non rompere quelle bianche. Pesta i rossi con dell’uva passa e del formaggio sia vecchio che fresco. Trita del prezzemolo, della maggiorana e della menta e aggiungi uno o due bianchi d’uovo, a seconda della quantità che vuoi farne, con le spezie dolci o forti, a tuo piacere. Mescola questo composto tutto insieme e aggiungici dello zafferano; riempi i bianchi di prima con questo composto e friggili nell’olio a fuoco lento. Per la salsa unisci alcuni rossi che sono avanzati con dell’uva passa: pestali insieme e unisci agresto e sapa (cioè vino cotto), passali nella stamigna aggiungendovi un po’ di zafferano, pochi chiodi di garofano, molta cannella e fai bollire un po’ la salsa. Quando le uova saranno pronte, condisci tutto con la salsa.

CONTENUTO: Proteine: 12.4 g Lipidi: 8.7 g Carboidrati: 0 g Fibre totali: 0 g Energia: 128

Proteine Lipidi Carboidrati

38.8% 61.2% 0%


PER FARE POLPETTE DI CARNE DE VITELLO O DE ALTRA BONA CARNE (ad alto contenuto di lipidi)

INGREDIENTI: Bistecche di vitello Sale Finocchio Prezzemolo Maggiorana Lardo

PROCEDIMENTO: Inizialmente taglia la coscia della carne magra di vitello a fette lunghe e sottili e battile per bene. Ponile sopra un tagliere o una tavola con la lama del coltello, taglia il finocchio e mettilo, con del sale, sopra le fette di carne. Poi prendi del prezzemolo, della maggiorana e del lardo, battile insieme con alcune spezie e distendili sopra le fette. Arrotola ogni pezzo e mettilo a cuocere, ma non lasciarli seccare troppo sopra il fuoco.

CONTENUTO: Proteine: 25 g Lipidi: 102.4 g Carboidrati: 2.9 g Fibre totali: 1.9 g Energia: 1033 kcal

Proteine Lipidi Carboidrati

9.7% 89.2% 1.1%


ZUCCHE FRITTE (ad alto contenuto di grassi vegetali)

INGREDIENTI: Zucche Fior di finocchio Zafferano Aglio Sale Farina Aceto Olio

PREPARAZIONE: Prendi delle zucche e puliscile per bene. Poi tagliale per traverso in fette sottili sottili. Mettile poi a bollire per poco tempo e poi scolale; poi mettile ad asciugare. Poi aggiungi un pizzico di sale, avvolgile nella farina e friggile nell’olio, poi scolale. Prendi un po’ di fiore di finocchio, uno spicchio d’aglio e un po’ di mollica di pane: battile bene e stempera con l’agresto; passalo sulla stamigna e aggiungi quindi il tutto sopra le zucche. Queste zucche sono buone anche servite solamente con agresto e fior di finocchio. Se si vuole che questo sapore risalti, basta aggiungere un po’ di zafferano.

CONTENUTO: Proteine: 14.2 g Lipidi: 101.3 g Carboidrati: 90.2 g Fibre totali: 7.5 g Energia: 1329 kcal

Proteine

4.3%

Lipidi Carboidrati

68.6% 27.1%


GAMBARI (ad alto contenuto di proteine) INGREDIENTI: Gamberi Acqua Aceto Brodo PROCEDIMENTO: Falli lessare mettendoci un po’ di acqua e aceto (stessa quantità) dopo aggiungi molto sale. Dato che i gamberi producono molta acqua, non metterci una grande quantità di questo brodo. Dopodiché falli bollire fino a quando la schiuma fuoriesce due o tre volte dalla pentola. CONTENUTO: Proteine: 26.2 g Lipidi: 2.4 g Carboidrati: 2.9 g Fibre totali: 0 g Energia: 138 kcal

Proteine

75.9%

Lipidi

15.7%

Carboidrati

8.4%

TORTA DI CILIEGIE (ad alto contenuto di carboidrati) INGREDIENTI: Ciliegie Zenzero Zucchero Uova Formaggio Acqua rosata Pepe PROCEDIMENTO: Lava le ciliegie più scure che trovi, poi togli il nocciolo e macinale bene. Dopo prendi delle rose rosse, tagliale bene con il coltello, aggiungi un po’ di formaggio fresco, spezie (cannella, zenzero, poco pepe e zucchero). Dopodiché mescola molto bene questi ingredienti aggiungendo anche 3 o 4 uova, alla fine metti la crosta a cuocere in padella. Quando sarà cotta, mettici sopra zucchero e acqua rosata. CONTENUTO: Proteine: 43.9 g Lipidi: 45.2 g Carboidrati: 114.9 g Fibre totali: 1.3 g Energia: 1042 kcal

Proteine Lipidi Carboidrati

16.9% 39% 44.1%


ALTRE PIETANZE DAL LIBRO DEL CUOCO MARTINO PRIMI MIGLIO CON BRODO DE CARNE (ad alto contenuto di proteine) INGREDIENTI PRINCIPALI: miglio, carne, zafferano

MENESTRA DE TRIPPE (ad alto contenuto di proteine) INGREDIENTI PRINCIPALI: trippa, carne, menta, salvia

PER FAR BRODETTO DE PANE, OVA ET CASO (ad alto contenuto di carboidrati e proteine) INGREDIENTI PRINCIPALI: pane grattugiato, carne, uova

MENESTRA DE CARNE (ad alto contenuto di proteine) INGREDIENTI PRINCIPALI: carne magra di vitello, uova, zafferano

SECONDI

PER HAVER OGNI CARNE BELLA ALLESSO (ad alto contenuto di proteine) INGREDIENTI PRINCIPALI: carne, acqua, sale

PER DARE AD INTENDER QUAL CARNE MERITA ANDARE ARROSTO ET QUALE ALLESSO (ad alto contenuto di proteine) INGREDIENTI PRINCIPALI: vari tipi di carne, cipolle

PER FARE PAVONI VESTITI CON TUTTE LE SUE PENNE CHE COCTO PARÀ VIVO ET BUTTE FOCO PEL BECCO (ad alto contenuto di proteine) INGREDIENTI PRINCIPALI: spezie, chiodi di garofano

PER FAR BRASCIOLE DE CARNE DE VITELLO (ad alto contenuto di proteine) INGREDIENTI PRINCIPALI: vitello, sale, finocchio

PER FAR CARBONATA (ad alto contenuto di proteine) INGREDIENTI PRINCIPALI: carne di maiale, zucchero, succo di arancia o limone, cannella

PER FAR UN PASTELLO DE CRESTE, FICATELLI ET TESTICULI DI GALLI (ad alto contenuto di proteine) INGREDIENTI PRINCIPALI: fegato, testicoli di gallo, lardo

PER ACONCIARE BENE UNA PORCHETTA (ad alto contenuto di proteine) INGREDIENTI PRINCIPALI: porchetta, erbe aromatiche

CARPIONAR TRUTTE AL MODO DI CARPIONI (ad alto contenuto di proteine) INGREDIENTI PRINCIPALI: trote, salamoia (sale, acqua, aceto), olio

CONTORNI FUNGHI FRITTI (ad alto contenuto di grassi saturi e insaturi, calorie) INGREDIENTI PRINCIPALI: funghi, olio per friggere, aglio, spezie, lardo, mollica di pane; ALTRI MODI DI CUCINARE I FUNGHI: funghi, aglio, lardo, olio, pepe

RAPE ARMATE (ad alto contenuto di proteine) INGREDIENTI PRINCIPALI: rape, formaggio, burro, zucchero, pepe, spezie varie


DOLCI TORTA DE RISO (ad alto contenuto di carboidrati) INGREDIENTI PRINCIPALI: riso, zucchero, uova, latte

FRICTELLE DE SALVIA (ad alto contenuto di proteine e calorie) INGREDIENTI PRINCIPALI: farina, uova, zucchero, zafferano, cannella, salvia, strutto, olio

OVA FRICTELLATE (ad alto contenuto di proteine) INGREDIENTI PRINCIPALI: uova, zucchero, spezie dolci

FRICTELLE PIENE DI VENTO (ad alto contenuto di zuccheri) INGREDIENTI PRINCIPALI: farina, sale, zucchero

SALSE MOSTARDA (ad alto contenuto di zuccheri) INGREDIENTI PRINCIPALI: pane, mandorle, senape

aceto,

SAPOR DE CERASE NEGRE O VISCICOLI (ad alto contenuto di zucchero) INGREDIENTI PRINCIPALI: ciliegie o amarene, aceto, pane, zenzero, spezie varie, cannella

AGLIATA BIANCA (ad alto contenuto di carboidrati) INGREDIENTI PRINCIPALI: aglio, mollica di pane bianco SAPOR DE PROGNE SECCHE (ad alto contenuto di zuccheri) INGREDIENTI PRINCIPALI: prugne, vino rosso, aceto, zucchero, cannella e altre spezie, pane arrostito, mandorle


IL CIBO DI OGGI Analisi statistica delle pietanze più consumate nei 10 locali tipici di Treviso

Zaeti Tiramisù Seppie in umido Baccalà con polenta Sarde in saor Sopressa con radicchio e polenta Faraona in peverada Bollito misto Trippa alla parmigiana Bigoli in salsa Sopa Coada Risi e bisi Pasta e fagioli Risotto con la luganega Risotto al radicchio Bigoli con l’anatra 0%

10% 20% 30% 40% 50% 60% 70% 80% 90% 100%

Zaeti

Tiramisù

80%

40%

Seppie in umido

Baccalà con polenta

40%

90%


Faraona in peverada

Bollito misto

60%

70%

Trippa alla parmigiana

Bigoli in salsa

40%

40%

Sopa Coada

30%

Pasta e fagioli

80%

Risotto al radicchio

Risi e bisi

30%

Risotto con la luganega

40%

Bigoli con l’anatra

60%

40%


Sarde in saor

50%

Sopressa con radicchio e polenta

80%


I locali della tradizione trevigiana con analisi nutrizionale delle ricette tipiche Osteria Cae de Oro Vicolo Avogari 6

La storia Il nome “Cae de Oro” in veneto significa strada dell’oro. Il locale richiama la tradizione e le atmosfere delle vecchie osterie trevigiane e dei bacari veneziani: pavimento in assi di larice, mobili e tavoli della tradizione veneta, elementi che ricordano la storia trevigiana sono presenti nel locale. La “Cae de Oro” era il nome del quartiere storico in cui si trova questo locale, che era famoso come il quartiere dei “casini”, nel ventre di Treviso. Il menù Il menù dell’osteria presenta dei piatti che si ispirano alla tradizione come: • Risotto al radicchio trevigiano e chiodini • Pasta e fagioli • Oca rosta al sedano • Faraona con la peverada • Bigoi con l’anara • Trippe in umido • Goulash e brasati • Polenta con luganega I piatti sono legati alla stagionalità dei prodotti e con il rispetto delle antiche ricette. I dolci sono rigorosamente fatti in casa.


Che cosa dice il ristoratore 1. Quando e da chi è stato aperto il ristorante? Il ristorante è stato aperto nel 1991, ma ha cambiato gestione 12 anni dopo. 2. Ci sono stati dei cambiamenti nel ristorante? No, nessuno, a parte il cambio di gestione. 3. Quanti dipendenti ha il ristorante? Ci sono 3 cuochi. 4. Quali sono i piatti più richiesti? I piatti più richiesti, sono principalmente quelli trevigiani, come la polentina con luganega e pasta e fagioli. 5. Ci sono ingredienti a km 0? Ci sono molti ingredienti a km 0. 6. Ci sono piatti vegetariani? Sì, anche vegani e senza glutine. 7. Ogni quanti giorni varia il menù? Ogni 25 giorni circa, per poter usare prodotti, come la verdura, diversi. 8. Ci sono mai stati clienti famosi? Non ci sono ancora mai stati clienti particolarmente famosi. 9. Il proprietario è felice del suo lavoro? Sì, molto. 10. Qual è il vino più richiesto e venduto? Principalmente il vino rosso è quello più richiesto. 11. Quali piatti preferisce cucinare il cuoco? Il cuoco preferirebbe cucinare i piatti tipicamente trevigiani. 12. Qual è la stagione con più clienti? Durante le vacanze di Natale ci sono più clienti. 13. Ci sono clienti abituali? Sì, ci sono molti clienti abituali. 14. Il ristorante compare in qualche sito? È possibile trovare il ristorante anche su Trip Advisor. La ricetta BIGOI CO L'ANARA [x 4 persone] Ingredienti Per il brodo • 1 anatra muta di peso medio • Sale • 1 gambo di sedano • 1 carota • 1 cipolla


Per il sugo • 3 cucchiai di olio extravergine d'oliva • 30 gr di burro • 2 foglie di salvia • Le frattaglie dell'anatra [cuore, fegato, stomaco etc.] • Mezzo bicchiere di vino bianco secco • Sale • Pepe • Brodo • 400 gr di bigoli di farina integrale di frumento • Formaggio Grana grattugiato

Proteine

VALORI NUTRIZIONALI TOTALI PER 100 gr 1228,6 gr 23,9 gr

PER PERSONA 307,15 gr

Lipidi:

543,9 gr

10,6 gr

135,9 gr

Carboidrati:

337,2 gr

6,5 gr

84,3 gr

Fibre totali:

14,5 gr

0,28 gr

3,6 gr

Energia:

11202 kcal

1980.5 kcal

Ripartizione percentuale dell'energia Composizione

Percentuale 43.9% 43.7%

Lipidi Carboidrati Alcol

12% 0.4%

Per essere in linea con la Dieta Mediterranea i carboidrati dovrebbero fornirci il 55-60% energia, i grassi il 25-30% e le proteine solo il 10-15%.


Trattoria all’Oca Bianca

Via della Torre, 7

La storia La Trattoria all’Oca Bianca è un locale tipicamente trevigiano. Si trova nel cuore della città e dal 1921 è uno dei locali storici di Treviso. Negli anni ‘60 Giovanni Comisso e altre personalità della cultura trevigiana si ritrovavano all’Oca Bianca per apprezzare l'estro artistico della "Nerina" e i suoi piatti tipici. Il menù Il menù si basa sulla cucina tradizionale trevigiana: • Pasta fatta in casa con il ragù d’anatra • Pasta e fagioli • Radicchio e fagioli • Risotto al radicchio • Baccalà alla vicentina • Seppie in umido con polenta • Sarde in saor Che cosa dice il ristoratore 1. Quando e da chi è stato aperto il ristorante? Il ristorante è stato aperto nel 1921. L’osteria è stata aperta dalla famiglia della contrada dell’oca di Siena (da qui infatti deriva il nome “Oca Bianca”); successivamente, dal 1945 al 1998, l’osteria è stata presa in mano dalla zia del cuoco attuale. Infine la gestione del locale è passata a noi. 2. Quanti dipendenti ha il ristorante? Due cuochi più un lavapiatti. 3. Quali sono i piatti più richiesti? Bollito misto con purè di patate, uova e asparagi e tagliatelle al ragù d’oca. 4. Usate ingredienti a km 0? Soprattutto a km 0, dato che è una cucina tipica del luogo. 5. Ci sono piatti vegetariani? Vegetariani sì, vegani no. 6. Ci sono mai stati clienti famosi? Vittorio e Alessandro Gassman, Silvia Orlando; Goffredo Parise, Giovanni Comisso. 7. Il proprietario è felice del suo lavoro? Sì moltissimo. 8. Qual è il vino più richiesto e venduto? Vino rosso Cabernet 9. Quali piatti preferisce cucinare il cuoco?


Trippa col brodo. 10. Ci sono clienti abituali? Molti, ma abbiamo anche molti turisti stranieri. 11. Il ristorante compare in qualche sito? Sì sulla guida Michelin. La ricetta RISOTO CO 'L RAICIO ROSSO [x 4 pers.]

Ingredienti • 250 gr di radicchio rosso di Treviso • 4 cucchiai di olio extravergine d'oliva • 2 spicchi d'aglio • Sale • 350 gr di riso • 1l di brodo di carne • 40 gr di formaggio Grana grattugiato • 1 noce di burro • Pepe

Proteine

VALORI NUTRIZIONALI TOTALI PER 100 gr 150 gr 45,6 gr

PER PERSONA 37,5 gr

Lipidi:

78.4 gr

23,8 gr

19,6 gr

Carboidrati:

91 gr

2,7 gr

22,75 gr

Fibre totali:

9 gr

2,7 gr

2,25 gr

Energia:

1670 kcal

417,5 kcal

Ripartizione percentuale dell'energia Composizione

Percentuale 35.9%

Proteine

42.3%

Lipidi Carboidrati Alcol

21.8% 0%

Per essere in linea con la Dieta Mediterranea i carboidrati dovrebbero fornirci il 55-60% di energia, i grassi il 25-30% e le proteine solo il 10-15%.


Toni da Spin

Via Inferiore, 7

La storia Il ristorante è stato aperto nel 1880 da Toni da Spin, che possedeva una trattoria a San Pelaio dove c’erano delle piante spinate, da cui prende il nome. La famiglia Piccoli gestiva il locale prima di Toni, che in seguito lo ha restaurato. Lo "Spin" è la lisca del baccalà, perché da sempre il baccalà "conso" (in insalata) o "in tecia" con polenta, è il piatto tipico di questo locale. Tra i ristoranti trevigiani per eccellenza, è una delle poche trattorie tipiche rimaste in centro, è il locale più antico ancora attivo. Appena dietro Piazza dei Signori, in un antico edificio ben restaurato con travi e muri a vista e con uno stile unico, Toni del Spin accoglie fin dall'800 gli amanti della cucina veneta doc.

Il menù Il menù dell’osteria presenta dei piatti che si ispirano alla tradizione come: • Risotto con il radicchio • Pasta e fagioli • Sopa coada • Trippe • Oca arrosta • Faraona in peverada • Baccalà alla veneta • Tiramisù • Specialità stagionali. Che cosa dice il ristoratore 1. Quando e da chi è stato aperto il ristorante? Il ristorante è stato aperto nel 1880 da Toni, che possedeva una trattoria a San Pelaio. 2. Ci sono stati dei cambiamenti nei ristoranti? Dal 1832 al 1880 la gestione del locale è stato nelle mani di Toni da Spin, proprietario


3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10.

di una trattoria a San Pelaio dove c’erano delle piante spinate, da cui prende il nome. La famiglia Piccoli gestiva il locale prima di Toni, che in seguito lo ha restaurato. Il locale è a conduzione familiare? No Quanti dipendenti ha il ristorante? Ci sono 4 cuochi e 5 persone al servizio in sala. Quali sono i piatti più richiesti? I piatti più richiesti sono il baccalà e la sopa coada. Ci sono ingredienti a km 0? Certamente, serviamo il radicchio trevigiano e il Prosecco. Il proprietario è felice del suo lavoro? Sì. Qual è il vino più richiesto e venduto? La bevanda più richiesta con i piatti tipici trevigiani è il Prosecco, tipico vino trevigiano. Ci sono clienti abituali? Sì. Il ristorante compare in qualche sito? Sì, nel sito di Trip Advisor, Guida Michelin e sul sito di misiedo.com.

La ricetta Questo piatto, tanto amato e diffuso a Treviso, non nasce a Treviso, ma vi appare solo in tempi recenti. La sua è tuttavia una storia interessante che nasce nelle cucine rinascimentali, dove trova una piena consacrazione, anche se le origini sono molto più antiche. Un personaggio di corte, Cristoforo di Messimburgo, nella prima metà del Cinquecento era a Ferrara al servizio degli Estensi con il ruolo di consulente gastronomico. Nel suo libro “Libro novo nel qual s’insegna a far d’ogni sorte di vivanda secondo la diversità dei tempi, così di carne come di pesce”, pubblicato nel 1549, appare una prima versione della ricetta, che sicuramente apparteneva ad una tradizione secolare. Per i suoi ingredienti, questo era un piatto da cucina aristocratica, una ricetta da gran signori. Il piatto si è poi diffuso a Venezia e nelle case signorili del Nordest, radicandosi infine in terra trevigiana, dove ancor oggi è preparato con competenza e amore e dove nel periodo invernale molti accorrono per poterla gustare. SOPA COADA [x 4 persone] Ingredienti • 4 piccioni (650gr puliti) • Olio d'oliva • Burro • 1 gambo di sedano • Sale • 1l di brodo di carne • Pane raffermo • Formaggio Grana grattugiato


Proteine

VALORI NUTRIZIONALI TOTALI PER 100 gr 301,2 gr 59,3 gr

PER PERSONA 75,3 gr

Lipidi

1124 gr

22,1 gr

28,1 gr

Carboidrati

88,2 gr

17,3 gr

22,05 gr

Fibre totali

5,5 gr

1,08 gr

1,3 gr

Energia

2569 kcal

642,25 kcal

Ripartizione percentuale dell'energia Composizione

Percentuale 46.9%

Proteine

39.4%

Lipidi Carboidrati

13.7%

Alcol

0%

Per essere in linea con la Dieta Mediterranea i carboidrati dovrebbero fornirci il 55-60% di energia, i grassi il 25-30% e le proteine solo il 10-15%.

Osteria Antica Torre Via Inferiore, 55

La storia Il ristorante Antica Torre è uno dei più noti dell’intera Marca. Il locale ha da qualche tempo cambiato gestione, dopo 31 anni. Un tempo officina dello scultore e incisore Arturo Martini, rende omaggio al mondo dell'arte con dipinti, sculture e incisioni dei più importanti artisti contemporanei. Aveva 12 anni, Reis, quando cominciò a lavorare a Venezia. Nel 1964 lo sbarco a Treviso, gestendo per 5 anni il Grande Italia, in Corso del Popolo. Quindi il passaggio al Ponte de Fero, in viale Trento e Trieste; infine nel 1982 l’apertura del ristorante Antica Torre, seguita ad altre gestioni. Ancor prima la storica torre era stata la sede degli alpini. Successo straordinario; in pochissimo tempo l’Antica Torre da Reis è diventato un tempio della cucina e della convivialità trevigiana, meta dei personaggi più famosi dell’industria, della politica e dell’arte, di cui Reis è grandissimo appassionato.


Negli anni ’80 diventò un’istituzione della città, vi si concludevano affari e si decidevano alleanze politiche non solo trevigiane. Il locale ebbe molti clienti illustri, basti citare i nomi di Carlo Scarpa (con una mitica dedica a Reis, scritta al contrario), di Barbisan, di Toni Benetton. Il menù Il menù consente di gustare i piatti di pesce tipici dell'alto Adriatico. Il pesce viene acquistato al mercato ittico del Tronchetto a Venezia e abbinato a materie prime stagionali, dal radicchio di Treviso agli asparagi di Cimadolmo: • Capasanta scottata al burro di cacao su crema di finocchio e tuberi croccanti • Entrée di baccalà mantecato e cipolla • Tonno su croccante di riso • Insalatina di capesante con funghi porcini • Risotto con scampi • Branzino al sale • Bigoli in salsa

Che cosa dice il ristoratore 1. Quando e da chi è stato aperto il ristorante? Il ristorante è stato aperto nel 1982. 2. Ci sono stati dei cambiamenti nel ristorante? Ha cambiato gestione nell'inverno del 2015, prima si chiamava “Reis” ed era in piedi da circa 30 anni. 3. Quanti dipendenti ha il ristorante? Ci sono 3 chef, uniti da armonia e passione.


4. Quali sono i piatti più richiesti? I piatti più richiesti sono principalmente a base di pesce, come la capasanta scottata al burro di cacao su crema di finocchio e tuberi croccanti, oppure l'entrée di baccalà mantecato e cipolla, oppure anche il tonno su croccante di riso. 5. Ci sono ingredienti a km 0? Sì molti, come il radicchio di Treviso. 6. Ci sono piatti vegetariani? Sì. 7. Ogni quanto cambia il menù? Il menù cambia ogni 20 giorni a seconda della stagione. 8. Ci sono mai stati clienti famosi? Sì, per esempio Red Canzian, membro del gruppo musicale Pooh. 9. Il proprietario è felice del suo lavoro? Sì, perché ci vuole molta pazienza e passione e, se non ci fossero, non verrebbe la voglia di lavorare durante le festività come il 25 dicembre, periodo con più attrazione turistica. 10. Qual è il vino più richiesto e venduto? I vini più richiesti sono il Franciacorta e l'Incrocio Manzoni. 11. Com'è composto il menù? Ci sono piatti particolari, alternativi, ugualmente tipici della città. 12. Qual è la stagione con più clienti? È l'inverno. 13. Ci sono clienti abituali? Sì, molti. 14. Il ristorante compare in qualche sito? Sì, su Trip Advisor, e nel 2017, ci recensiranno i giudici di Guida Michelin e Gambero Rosso. Questo ristorante è considerato il 54° dai clienti sui 322 locali trevigiani. 15. Ha altri locali oltre a questo? Sì, uno a Venezia, uno a Treporti, e un'azienda di confettura che si chiama "Ramo d'Oro".

La ricetta BIGOI IN SALSA [x 4 persone] Ingredienti • 2 cipolle di media grossezza • 5 cucchiai di olio extra vergine di oliva • 100 gr di sardine salate • Pepe • Sale • 400 gr di bigoli di farina integrale di frumento


Proteine

VALORI NUTRIZIONALI TOTALI PER 100 gr 64,9 gr 13,8 gr

PER PERSONA 16,2 gr

Lipidi

66,1 gr

14,1 gr

1,5 gr

Carboidrati

325 gr

69,3 gr

81,2 gr

Fibre totali

1,3 gr

2,6 gr

3,07 gr

Energia

2154 kcal

538,5 kcal

Ripartizione percentuale dell'energia Composizione

Percentuale 12.1%

Proteine

27.6%

Lipidi

60.3%

Carboidrati 0%

Alcol

Per essere in linea con la Dieta Mediterranea i carboidrati dovrebbero fornirci il 55-60% di energia, i grassi il 25-30% e le proteine solo il 10-15%.

Le Beccherie

P.zza Ancillotto, 9

Le Beccherie, l’antico ristorante di Piazza Ancilotto, risorge oggi a nuova vita. Si offre alla città di Treviso in una veste ringiovanita, rinfrescata, al passo con i tempi. La storia Le Beccherie è uno di quei locali che potrebbero raccontare la storia di Treviso. Il nome stesso, Beccherie, rimanda alla storia più antica, al macello e alle botteghe delle carni minute, che nel 600 e nel 700 erano attive dietro la piazza. Oggi alla sua guida c’è una nuova gestione, che ha deciso di conservarne il nome storico, nonché l’attenzione per le materie prime (preferibilmente a chilometro zero e di stagione) e l’amore per la tradizione. Il ristorante è stato gestito dal 1939 fino al febbraio 2014 dalla famiglia Campeol, e qui pare sia nato- titolo riconosciuto dagli esperti - il tiramisù, il dolce trevigiano conosciuto in tutto il mondo. Artefici Alba, con il marito Aldo, e il pasticcere Roberto Linguanotto, i quali alla


fine degli anni '50, modificarono l’antica coppa imperiale e anche i mitici dolci ricostituenti dei bordelli, che le leggenda vuole siano stati l’archetipo sin dagli anni '30. Il locale ha trasformato quella che era la cucina dei poveri e della campagna veneta in saporiti piatti con cui soddisfare i clienti dei cinque continenti. È il locale dove ha vissuto, chiacchierato e riso Treviso: i sodalizi e gli anniversari, le associazioni e i vip, i turisti, lo sport. Rugby in primis: memorabili i party scozzesi, ogni volta che al Cinque Nazioni (Sei oggi) la nazionale scozzese batteva l’Inghilterra. Tante star - del cinema, dello sport, della politica, della finanza, del bel mondo - sono state servite dalla famiglia Campeol. Il menù Attualmente fra le specialità ci sono: • Selezione di affettati • Pasta e fagioli • Bigoli in salsa • Gnocchi di zucca al cucchiaio con filetti di triglia leggermente piccanti • Risotto alla milanese con midollo e zafferano • Cacciagione • Bolliti di stagione • Baccalà mantecato • Filetto con cottura al sale • Filetto di branzino • Piatti a base di radicchio trevigiano • Tiramisù


Che cosa dice il ristoratore 1. Quando e da chi è stato aperto il ristorante? Il ristorante è stato aperto nel 1935 dalla famiglia Campeol. Dopo circa 70 anni la gestione del locale è passata a noi. 2. Il ristorante è a conduzione famigliare? No 3. Ci sono stati cambiamenti nel corso degli anni? No, l’unico grande cambiamento è stato il passaggio di gestione. 4. Da quante persone è composto il personale? Ci sono 4 cuochi e 5 persone in sala. 5. Quali sono i piatti più richiesti? Sono: pasta e fagioli, filetto al sale, filetto di branzino, bigoli in salsa e il tiramisù. 6. Cucinate solo piatti trevigiani? No, non solo piatti trevigiani ma anche veneti e anche qualche piatto internazionale. 7. Ci sono ingredienti a km 0? Si certo! Per esempio la pasta Sgambaro. 8. Seguite le ricette tradizionali o avete apportato alcuni cambiamenti? Generalmente seguiamo le ricette originali come per esempio quella del tiramisù nata dalla famiglia Campeol, ma abbiamo apportato alcune modifiche come la cottura sottovuoto. 9. Servite anche piatti vegetariani? Sì. 10. Qual è la bevanda più richiesta? Ovviamente… le bollicine. 11. È fiero del suo lavoro? Certamente. 12. Qual è la stagione con più clienti? Durante le festività, soprattutto a Dicembre. 13. Avete avuto clienti famosi? Si, per esempio: Albano, Paolo Kessisoglu, e un presentatore delle “IENE”. 14. Siete menzionati in qualche guida o sito? Sì, nella guida dei ristoranti più vecchi d’Italia. La ricetta Ingredienti • 6 tuorli • 250 gr di zucchero • 500 gr di mascarpone • 30 savoiardi • Caffè • Cacao in polvere

TIRAMISÙ [x 6 persone]


Proteine

VALORI NUTRIZIONALI TOTALI PER 100 gr 79,1 gr 50,4 gr

PER PERSONA 13,2 gr

Lipidi:

294,3 gr

109,6 gr

49,1 gr

Carboidrati:

416,1 gr

201,1 gr

69,4 gr

Fibre totali:

7,8 gr

2,6 gr

1,3 gr

Energia:

4630 kcal

772 kcal

Ripartizione percentuale dell'energia ComposizionePercentuale Proteine 6.8% Lipidi Carboidrati

57.2% 36%

Alcol 0% Per essere in linea con la Dieta Mediterranea i carboidrati dovrebbero fornirci il 55-60% di energia, i grassi il 25-30% e le proteine solo il 10-15%.

Il nostro tiramisÚ preparato con il cuoco Matteo Moretti dell’Antica Osteria ai Carraresi



Antica Contrada Alle due Torri Via Palestro, 8

La storia Antica Contrada delle Due Torri è la nuova denominazione di uno storico locale in centro a Treviso, a due passi da Piazza dei Signori. Il ristorante prende il nome appunto dalla contrada di cui fa parte, dato che nel 1800 Treviso era divisa in contrade. Il suo nome in origine era “I due Mori”. Era un’osteria dove erano soliti ritrovarsi mercanti e mediatori per concludere i loro affari fra un folpetto e “un’ombra de vin”. I muri di questo locale risalgono al 1400, epoca in cui Treviso passò dalla Signoria al dominio veneziano della Serenissima. Se si rivolge lo sguardo verso l’alto, sopra l’ingresso del locale, si noteranno sulla facciata due affreschi, uno a destra e l’altro a sinistra. Sono i Due mori, uno dei simboli di Venezia. E questo per centinaia di anni è stato il vero nome di questo ristorante:I Due Mori. La Soprintendenza delle belle arti di Venezia, dopo il sopralluogo fatto per verificare i due affreschi, certificò e depositò nell’archivio di Stato la valutazione oggettiva dell’originalità dei due dipinti, trasportati da Venezia a Treviso nel lontano 1400. Il vecchio ristoratore, trasferitosi in altro luogo, portò con sé anche il nome del ristorante “I Due Mori”, costringendo a rinominare l’attuale Ristorante in “Antica Contrada delle Due Torri”. Il menù • Antipasto misto di pesce • Filetto di rombo con radicchio croccante al balsamico • Capesante e gamberetti nel guscio, con pomodoro • Antipasto misto pesce con baccalà mantecato su polenta, folpetto, branzino in carpione di verdure, tonno affumicato con salsa all’agrodolce • Tagliolini al radicchio e gorgonzola • Pasta e fagioli • Bigoli in salsa • Agnolotti • Filetto di branzino con carciofi e salsa di gamberetti • Scampi alla griglia • Sarde in saor • Spiedino di gamberoni con misticanza e patate • Tagliata di tonno con pomodorini e olive taggiasche su misticanza • Costicine di agnello alla griglia con patate gratinate • Tiramisù • Figassa


Che cosa dice il ristoratore 1. Quando e da chi è stato aperto il ristorante? Il ristorante è stato aperto nel 2007 dal titolare del ristorante. 2. Quali sono i piatti più richiesti? I piatti più richiesti sono baccalà e tagliata di tonno. 3. Ci sono ingredienti a km 0? Uno degli ingrediente a km 0 sono le verdure. 4. Ci sono mai stati clienti famosi? Un cliente famoso che abbiamo ospitato è Laura Pausini. 5. Qual è il vino più richiesto e venduto? Una bevanda che viene consumata è il Prosecco, che si sposa bene con qualsiasi piatto. 6. Com'è composto il menù? Vari piatti tipici: agnolotti, bigoli in salsa e pasta e fagioli. 7. Quali sono i piatti che il cuoco cucina più volentieri? I piatti che il cuoco cucina volentieri sono tagliolini saltati con i crostacei e il tiramisù. Come ricetta il cuoco ha dato quella del brasato e del Tiramisù 8. Qual è la stagione con più clienti? La stagione con più clienti è quella invernale (ottobre-maggio). 9. Il ristorante compare in qualche sito? Siamo stati menzionati nella guida Michelin.


La ricetta SARDEE IN SAOR [x 4 persone] Ingredienti • 600 gr di sardine • Farina bianca • Olio extravergine di oliva • Sale • 500 gr di cipolle • 250 ml d’aceto di vino

Proteine

VALORI NUTRIZIONALI TOTALI PER 100 gr 109,5 gr 33,8 gr

PER PERSONA 27,3 gr

Lipidi

141 gr

43,5 gr

3,2 gr

Carboidrati

67,2 gr

20,7 gr

1,8 gr

Fibre totali

6,1 gr

1,8 gr

1,5 gr

Energia

1976 kcal

494 kcal

Ripartizione percentuale dell'energia Composizione Proteine

Percentuale 22.2% 64.2%

Lipidi Carboidrati

13.6%

Alcol

0%

Per essere in linea con la Dieta Mediterranea i carboidrati dovrebbero fornirci il 55-60% di energia, i grassi il 25-30% e le proteine solo il 10-15%.


Antica Osteria ai Carraresi Via Palestro, 42

Il locale si presenta come una tipica osteria veneta. Il bancone ospita una rosa di cicchetti tra i quali spiccano quelli con il baccalà o con il dentice mantecato. La cucina rispecchia la tradizione veneta, a volte con alcune varianti. Il menù Si degustano piatti tipici della cucina trevigiana: • Orzo con la zucca e il radicchio • Bigoli in salsa • Risotto con la salsiccia • Lasagne ai funghi • Fettuccine al baccalà • Baccalà alla vicentina • Seppie in umido • Frittura mista • Tiramisù • Panna cotta al radicchio

Che cosa dice il ristoratore 1. Quando e da chi è stato aperto il ristorante? Il ristorante è stato aperto nel 2005 dalla signora Emanuela Bini. 2. Ci sono stati dei cambiamenti nel ristorante? Quattro anni fa la proprietaria è diventata gestore del ristorante. 3. Quanti dipendenti ha il ristorante? Ci sono sette dipendenti in totale.


4. Quali sono i piatti più richiesti? I piatti più richiesti sono il baccalà alla vicentina, le seppie in umido e i bigoli in salsa di acciughe. 5. Ci sono ingredienti a km 0? Sì, come il radicchio e alcuni tipi di formaggi. 6. Ci sono piatti vegetariani? Sì, ci sono piatti vegetariani, come l'orzo con la zucca e il radicchio, e la farina di mais per i celiaci. 7. Ogni quanti giorni varia il menù? Il menù varia ogni 3 mesi. 8. Ci sono mai stati clienti famosi? Sì, per esempio Beppe Grillo. 9. Il proprietario è felice del suo lavoro? Sì, molto. 10. Qual è il metodo di cottura più richiesto? I metodi di cottura più richiesti sono quelli alla griglia e in umido. 11. Qual è il vino più richiesto e venduto? Come rosso il Cabernet, mentre come bianco lo Chardonnay. 12. Com'è composto il menù? Il menù è composto da 7 antipasti, 8 primi, 8 secondi e 4 dolci. 13. Quali piatti preferisce cucinare il cuoco? La frittura mista. 14. Qual è la stagione con più clienti? La stagione con più clienti è quella estiva, perché c'è anche la terrazza esterna. 15. Ci sono clienti abituali? Sì, molti. 16. Il ristorante compare in qualche sito? Il ristorante ha un suo sito, e poi si può trovare su Trip Advisor, dove viene considerato 8° su 300 trevigiani, e su Facebook. 17. Ha altri ristoranti oltre a questo? No. La ricetta RISOTO CO A LUGANEGA [x 4 persone] Ingredienti • 350 gr di riso Carnaroli • 50 gr di burro • 1 piccola cipolla • 200 gr di luganega (un tipo di salsiccia lunga e stretta) • 1/2 bicchiere di vino bianco • Brodo di carne • 100 gr di Parmigiano Reggiano grattugiato • 1 bustina di zafferano (facoltativo) • Sale • Pepe nero macinato fresco


Proteine

VALORI NUTRIZIONALI TOTALI PER 100 gr 97,1 gr 30,7 gr

PER PERSONA 24,2 gr

Lipidi:

127,1 gr

40,2 gr

31,7 gr

Carboidrati:

90,4 gr

28,6 gr

22,6 gr

Fibre totali:

1,4 gr

0,4 gr

0,35 gr

Energia:

1940 kcal

485 Kcal

Ripartizione percentuale dell'energia Composizione

Percentuale 20%

Proteine

59%

Lipidi 18.6%

Carboidrati Alcol

2.3%

Per essere in linea con la Dieta Mediterranea i carboidrati dovrebbero fornirci il 55-60% di energia, i grassi il 25-30% e le proteine solo il 10-15%.

Ristorante Odeon La Colonna Vicolo Rinaldi, 3

La storia Il nome Odeon, dal greco cantare (Ωδείον), letteralmente "costruzione destinata a delle gare musicali", è il nome di diversi edifici coperti della Grecia antica dedicati agli esercizi di canto e alle rappresentazioni musicali. Questi edifici normalmente erano di taglia modesta. In centro storico a Treviso, a pochi passi da Piazza Rinaldi, sotto ai portici dove venne girato lo sceneggiato "Leonardo" con Philippe Leroy negli anni '70, un'insegna in ferro battuto con il marchio originale "Odeon alla Colonna" indica l'entrata di questo Ristorante ed Enoteca. Il luogo è ricchissimo di aneddoti e storia, come quella del conte Tita Rinaldi (1768-1865), buontempone inesauribile e raffinato, macchietta della nobiltà trevigiana che spese la sua vita e le sue sostanze a organizzare clamorose burle consegnate alla storia dai trevigiani, che amano rispecchiarsi nell'estro e nell'umorismo di quest'uomo. Sono stati clienti abituali del locale anche il pittore e scultore Arturo Martini, il pittore e incisore Gino Rossi e lo scrittore Giovanni Comisso.


Il menù Le proposte sono stagionali: • Bocconcini di faraona alle mandorle con sfoglia di pera • Polenta morbida con radicchio e salame nostrano scottato • Tagliatelle fatte in casa con radicchio • Salamella e crema di parmigiano • Bigoli di Gragnano al sugo d'anatra di cortile • Pollo nostrano ruspante in umido • Fegato alla veneziana • Tagliata di Sorana • Capesante con parmigiana di melanzane scomposta • Millefoglie di polenta croccante con merluzzo mantecato e cipolle rosse glassate • Rombo in padella • Specialità venete, preparate con ingredienti fatti in casa, a Km 0, d'agricoltura Biodinamica e Slow Food.

Che cosa dice il ristoratore 1. Quando e da chi è stato aperto il ristorante? Il ristorante La Colonna è uno dei più storici di Treviso, aperto nel 1890. È stato aperto da un certo Nino (Da Nino). 2. Ci sono stati dei cambiamenti nel ristorante? Hanno effettuato dei cambiamenti: prima era un hotel e l'attuale ristorante era la cicchetteria. Negli anni l'hotel è sparito e la cicchetteria è diventata il ristorante. 3. Quanti dipendenti ha il ristorante? Il ristorante ha 8 dipendenti. 4. Quali sono i piatti più richiesti? I piatti più richiesti sono quelli con radicchio e baccalà. 5. Ci sono ingredienti a km 0? La cucina è una cucina rivisitata con quasi tutti gli ingredienti a km 0.


6. Ci sono piatti vegetariani? Sì, il 40% dei piatti sono vegetariani. 7. Ogni quanto cambia il menù? Il menù cambia ogni mese e mezzo per la stagione. 8. Ci sono mai stati clienti famosi? Questo ristorante era uno dei ristoranti più frequentati da gente famosa di Treviso. 9. Il proprietario è felice del suo lavoro? Il proprietario è felice e fiero del suo lavoro. 10. Qual è il metodo di cottura più richiesto? Il metodo di cottura più richiesto è quello lento. 11. Qual è il vino più richiesto e venduto? Il vino più venduto è il Prosecco. 12. Ci sono clienti abituali? Il ristorante ospita anche molti clienti abituali. 13. Il ristorante compare in qualche sito? Sì, su Trip Advisor, e sul sito di misiedo.com. La ricetta POENTA E BACAEÀ [x 4 persone] Ingredienti PER LA POLENTA • 1 l di acqua • 250 gr di farina di mais bianco o giallo per una polenta di media consistenza • 200 gr per una polenta molto tenera • Sale

Proteine

VALORI NUTRIZIONALI TOTALI PER 100 gr 20 gr 9,1 gr

PER PERSONA 5 gr

Lipidi

6,2 gr

2,8 gr

1,5 gr

Carboidrati

185,8 gr

84,8 gr

46,4 gr

Fibre totali

7,1 gr

3,2 gr

1,7 gr

Energia

879 kcal

219,7 kcal


Ripartizione percentuale dell'energia Composizione Proteine Lipidi

Percentuale 9.1% 6.4% 84.5%

Carboidrati 0%

Alcol

PER IL BACCALÀ • 800 gr di baccalà ammollato e spinato • Farina bianca • 3 cipolle • 0,8 dl di olio extravergine di oliva • Sale • Pepe • 1 bicchiere di vino bianco secco • 0,8 l di latte VALORI NUTRIZIONALI TOTALI PER 100 gr Proteine 209,2 gr 18,09 gr

PER PERSONA 52,3 gr

Lipidi

836,7 gr

72,3 gr

209,1 gr

Carboidrati

106,4 gr

9,2 gr

26,6 gr

Fibre totali

3,8 gr

0,32 gr

0,9 gr

Energia

8880 kcal

2220 kcal

Ripartizione percentuale dell'energia Composizione Proteine

Percentuale 9.4% 84.8%

Lipidi Carboidrati

4.8%

Per essere in linea con la Dieta Mediterranea i carboidrati dovrebbero fornirci il 55-60% di energia, i grassi il 25-30% e le proteine solo il 10-15%.


Antica Osteria da Arman Via Manzoni, 27

La storia E’ nel 1872 che Iseppo Arman apre questa osteria. Undici anni prima nasce l’Italia. Siamo ai tempi di Vittorio Emanuele II, di Giuseppe Garibaldi e di Edmondo De Amicis. Nel 1870 cade Porta Pia e nel novembre del 1871 Roma diventa capitale. È in questa Italia appena fatta che Arman apre. L’idea è giusta. È vincente. Questo borgo di Via Manzoni brulica di attività. A pochi metri c’è il convento di San Francesco, più avanti l’Istituto delle Canossiane e la chiesa di S. Maria Maddalena, con attigua la casa di ricovero. Girato l’angolo di Via S. Francesco c’è lo stallo, per la sosta delle carrozze e dei cavalli. Poi, al martedì e al sabato, il mercato e appena sotto le vicine mura c’è “el marcà del polame”. La Piazza dei Grani è al di là del caseggiato, di fronte all’osteria. Le poste sono a un tiro di schioppo.

Il menù La cucina propone specialità territoriali come: • Pasta e fagioli • Bigoli in salsa • Risotto al radicchio di Treviso • Risi e bisi • Gnocchi caserecci • Trippa alla parmigiana • Lingua salmistrata • Bollito con purè • Fegato alla veneziana • Faraona con salsa pevarada • Sopa coada • Baccalà mantecato con polenta • Sarde in saor.


Che cosa dice il ristoratore 1. Quando e da chi è stato aperto il ristorante? Il ristorante è stato aperto da Iseppo Arman, nel 1872. 2. Quanti dipendenti ha il ristorante? In cucina con lo chef ci sono altri due cuochi più un ragazzo che fa da aiutante. 3. Quali sono i piatti più richiesti? I piatti più richiesti sono il baccalà alla Vicentina, la trippa alla parmigiana, seppie in umido, pasta e fagioli, nel periodo invernale il radicchio (che può andare negli antipasti, nei primi piatti e nei secondi), e soppressa. 4. Ci sono piatti vegetariani? Non cuciniamo piatti prettamente e interamente vegetariani, ma solo i contorni. 5. Ci sono mai stati clienti famosi? Sì, ad esempio gli atleti delle Benetton Rugby, Treviso Basket e Pinarello, ma anche Michele Foresta e Isabella Ferrari. 6. Il proprietario è felice del suo lavoro? Secondo il cuoco, non si può fare un lavoro per 35 anni senza essere realmente felici. 7. Qual è il vino più richiesto e venduto? Le bevande più richieste con i piatti tipici sono il Prosecco, i vini bianchi e poi i soliti Cabernet, quindi prettamente del territorio (Montello, Valdobbiadene...). 8. Com’è composto il menù? C'è un menù molto ristretto composto da 5 contorni, 5 antipasti, 5 primi, 5 secondi. 9. Quali piatti preferisce cucinare il cuoco? Al cuoco piacerebbe cucinare i primi piatti perché sono i più tradizionali, ad esempio i risotti e le zuppe. 10. Qual è la stagione con più clienti? In estate ci sono un po' meno clienti perché le persone vanno in vacanza, mentre a dicembre un po’ di più, ma sono regolari tutto l’anno. 11. Ci sono clienti abituali? Il ristorante ha molti clienti abituali, ma vengono anche molti turisti. 12. Il ristorante compare in qualche sito? Il ristorante si può trovare su Trip Advisor. La ricetta FARAONA IN PEVERADA [x 6 persone] Ingredienti • 1,5 Kg di faraona • 4 fette di pancetta • 30 gr di burro • 1/2 bicchiere di vino • Aglio • Salvia • Rosmarino • Olio extravergine di oliva


Per la salsa • 50 gr di fegatini di faraona • 150 gr di soppressata veneta • 2 acciughe sotto sale • 2 limoni • Aglio • Prezzemolo • 1/2 bicchiere di vino bianco • 1/2 cucchiaio di pan grattato • Aceto • Olio extravergine di oliva • Sale • Pepe

Proteine

VALORI NUTRIZIONALI TOTALI PER 100 gr 365,4 gr 29,7 gr

PER PERSONA 60,9 gr

Lipidi:

198,7 gr

188,3 gr

33,1 gr

Carboidrati:

5,9 gr

9,8 gr

1 gr

Fibre totali:

0,8 gr

8,1 gr

0,1 gr

Energia:

3623 kcal

604 kcal

Ripartizione percentuale dell'energia Composizione Proteine

Percentuale 42.1%

Lipidi Carboidrati Alcol

47.1% 0.7% 10.1%

Per essere in linea con la Dieta Mediterranea i carboidrati dovrebbero fornirci il 55-60% di energia,i grassi il 25-30% e le proteine solo il 10-15%.


Fuori città: Osteria alla Pasina - Via Marie 3 - Casier La storia Tipica osteria di campagna, il ristorante La Pasina si trova a Dosson, a due passi da Treviso. L’indimenticabile gastronomo veneto Giuseppe Maffioli amava frequentare il ristorante per parlare di cucina, di quei piatti che Giancarlo Pasin e la consorte Teresa, con i figli Simone e Nicoletta preparano ancor oggi. Il signor Carlo Pasin e la signora Teresa (Pasina) nell’agosto del 1977 decisero di aprire un locale, prelevando una vecchia osteria in Dosson di Casier a pochi passi da Treviso, chiamandola Osteria alla Pasina (il nome deriva dal soprannome attribuito alla moglie Teresa in riferimento al cognome). All’inizio si vendevano solo “ombrette” di vino e cicchetti di tutti i tipi. In questa terra viveva il compianto G. Maffioli (attore, gastronomo, scrittore) che di Carlo era amico e confidente, tanto che descrisse la sua cucina in un suo libro “Cucina d’amore per chi sa amare la cucina”. Il Pasin ha fatto tesoro di questa amicizia che l’ha aiutato a rimanere fedele alle tipiche tradizioni trevigiane. Con tenacia ed umiltà è riuscito a diventare il personaggio emblematico della cucina trevigiana e cuoco di fama non solo nazionale ma internazionale come dimostrano i suoi numerosi viaggi all’estero. Nel Settembre del 2000 con l’aiuto del figlio Simone (responsabile sala-cantina), della figlia Nicoletta (Chef cucina) e dell’immancabile Pasina, ha spostato il ristorante in una nuova sede di proprietà in una casa rurale di fine 800 completamente restaurata sempre nel medesimo comune, occupandosi a tempo pieno della cucina. Il menù • Tris di Radicchio di Treviso Tardivo IGP (tempura, marinato, in saor) • Carpaccio alla Pasina • Sfogliatina radicchio e morlacco • Risotto al radicchio • Risotto con la salsiccia • Tagliolini verdi con ricotta affumicata • Petto di faraona al melograno e radicchio • Involtini al radicchio e salmone • Fritture di pescato • Tagliata di tonno • Calamari ripieni al radicchio • Arrosto con il radicchio • Brasato di manzo al radicchio con purè di patate e sedano rapa • Bollito misto • Oca arrosto • Terrina di cioccolato e mandorle con fondente • Tiramisù


Che cosa dice il ristoratore 1.

Quando e da chi è stato aperto il ristorante? Il ristorante è stato aperto nel 1977 da noi. 2. Quanti dipendenti ha il ristorante? Una volta cinque, compreso mio marito, ora tre. 3. Quali sono i piatti più richiesti? I piatti maggiormente richiesti sono: pasta e fagioli, risotto al radicchio e polentina e schie. 4. Usate ingredienti a km 0? Usiamo quasi esclusivamente ingredienti a “km0” (erbe del nostro orto, radicchio, polenta). 5. Ci sono piatti vegetariani? Sì, ma solo a richiesta 6. Ci sono mai stati clienti famosi? Sì, molti: Zaia, Zanetti, Bossi, ad esempio. 7. Il proprietario è felice del suo lavoro? Molto, sia io che mio marito. 8. Qual è il vino più richiesto e venduto? Vino rosso 9. Quali piatti preferisce cucinare il cuoco? Specialmente risotto col radicchio, ma anche il coniglio ripieno di radicchio. 10. Ci sono clienti abituali? Sì parecchi. 11. Il ristorante compare in qualche sito? Su Trip Advisor e Guida Michelin.


La ricetta BOLLITO MISTO [x 4 persone] Ingredienti • 600 gr di carne di manzo • 300 gr di punta di petto di vitello • 400 gr di testina di vitello • 1/2 gallina (500 gr) • 300 gr di lingua • 2 ossi con midollo • 300 gr di cotechino • 2 cipolle • 2 carote • 1 gambo di sedano • Sale

Proteine

VALORI NUTRIZIONALI TOTALI PER 100 gr 428,5 gr 56,1 gr

PER PERSONA 107,1 gr

Lipidi

312,3 gr

42,08 gr

78 gr

Carboidrati

16,9 gr

2,2 gr

4,2 gr

Fibre totali

5,7 gr

0,74 gr

1,4 gr

Energia

5592 kcal

1398 kcal

Ripartizione percentuale dell'energia Composizione

Percentuale 37.3%

Proteine

61.2%

Lipidi Carboidrati Alcol

1.5% 0%

Per essere in linea con la Dieta Mediterranea i carboidrati dovrebbero fornirci il 55-60% di energia,i grassi il 25-30% e le proteine solo il 10-15%.


IL RADICCHIO: FIORE ALL’OCCHIELLO DI TREVISO La leggenda Non c'è nulla di certo riguardo alle origini del radicchio. Alcuni abitanti di Dosson spiegano che la forma del loro campanile è “a mastello” proprio per lavare i radicchi. Dicono che, durante il Medioevo, degli uccelli abbiano fatto cadere dei semi sopra il campanile e lì sia cresciuto il primo radicchio. Secondo qualcun altro, un contadino, un inverno, portò a casa dei radicchi di campo, ammassati in una carriola. Furono dimenticati in un angolo della stalla finché una sera, durante il filò, uno della famiglia avvicinandosi alla carriola tirò fuori dal mucchio un radicchio e, tolte le foglie esterne ormai appassite e guaste, si trovò tra le mani un radicchio. Tra i cognomi noti ci sono don Giuseppe De Pieri, Armando Pillon e Anna Cocchetto che abitavano a Dosson ed erano in continuo contrasto poiché ritenevano di essere i "creatori" del radicchio. Purtroppo non abbiamo elementi che ci provino la sua vera provenienza.. La storia Nonostante le notizie incerte, la prima testimonianza di coltivazione del radicchio risale alla metà del XVI secolo, a Dosson di Casier, ma la sua affermazione avvenne nel XIX secolo. Nel 1817 presso l’Orto del Gesù (situato nei pressi dell’attuale piazza della Vittoria) si coltivavano radicchi. Si ha anche qualche testimonianza di come veniva considerato il radicchio, era infatti utilizzato come foraggio per il bestiame. La storia documentata del radicchio comincia, tuttavia, con “l’Agricolo, almanacco per il 1862” . Pochi anni dopo, il radicchio acquisì importanza e il suo prezzo cominciò ad aumentare. Già nel 1884 venne venduto a Roma e Torino; vennero inviati alcuni mazzi a Vienna, a Colonia, A Francoforte, a Monaco e a Praga. Oggi, chiamato “fiore d’inverno”, è tra i prodotti agricoli invernali più pregiati. La coltivazione Il radicchio viene seminato nel mese di luglio dopo il frumento, si raccoglie da settembre a novembre (tipo precoce) e da fine novembre a marzo (tipo tardivo). La zona tipica della coltivazione presenta terreni argillosi o sabbiosi-argillosi di antica alluvione in vario stato di decalcificazione e spesso con caranto. Preferisce estati sufficientemente piovose, autunni asciutti, inverni che volgono precocemente al freddo. La temperatura


minima di crescita è 8°C, sopporta il freddo fino a -8°C, -10°C. Viene seminato con una seminatrice meccanica o pneumatica, invece per il tipo precoce è diffuso anche il trapianto. La raccolta manuale del radicchio viene ancora praticata anche presso coltivatori importanti. Una volta che il radicchio è stato raccolto, viene conservato sul campo sotto lunghi e stretti tunnel di plastica, in attesa di essere sottoposti al processo di forzaturaimbianchimento che, attualmente avviene sotto tunnel di plastica, lasciando immerse le radici nell´acqua corrente appena sgorgata da profondi pozzi artesiani a una temperatura media che varia dai 12 ai 15°C, a seconda della località. Secondo Van Den Borre, il radicchio di Treviso si coltiva nella stessa maniera della famosa insalata di Bruxelles.

La seminatrice di precisione Campo di radicchio

La raccolta manuale del radicchio Fase di preparazione del radicchio


L’albero genealogico del radicchio Il padre di tutti i radicchi è il radicchio rosso di Treviso: questo, incrociandosi con l’indivia scarola, forma il variegato di Castelfranco, famoso per la sua bellezza e per la delicatezza del suo gusto, anche se la sua produzione fin dall’inizio continua ad essere limitata a causa di diversi punti deboli nell’aspetto commerciale. Da questo si è ottenuto il radicchio di Chioggia, variegato e dalla tipica colorazione rosso-viva oppure con qualche screziatura verdastra e gialla, disponibile tutto l’anno. Un altro radicchio derivato direttamente dalla selezione di quello rosso di Treviso, è quello rosso di Verona, nato alla fine degli anni Cinquanta, che presenta una forma non molto espansa, rotondeggiante allungata.


SITI USATI http://www.magicoveneto.it/ http://www.museicivicitreviso. http://www.museicivicitreviso. http://www.museo.diocesitv.it/ http://www.amei.biz/musei/ http://www.archeoveneto.it/ http://www.luciafurlanetto. https://it.wikipedia.org/wiki/ http://www.oggitreviso.it/ http://rete.comuni-italiani.

BIBLIOGRAFIA Altarui M., Treviso nella resistenza – Ca’ Spineda Altarui M., Treviso combattente – Ca’ Spineda 1978 Basso T.-Concini G,. Storia e storie Scritte lungo le contrade di Treviso, Treviso 2006 Brunetta E., Treviso fra ottocento e novecento, Treviso 1999 Menegazzi L. Tomaso da Modena, Treviso 1979 Michieli A.A., Storia di Treviso, Treviso 1981 Simionato M.A. – Cunial E. Treviso – Una città da scoprire – Treviso 2008 Pittalis E. CComini S. Jori F., La nostra guerra, Venezia 1988 Museo Bailo, Antigua edizioni 2015


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