Quaresima 2013

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diocesi cuneo

di

quando noi diciamo: “io credo�

itinerario dei bambini e dei ragazzi per vivere la quaresima e la pasqua 2013


Che cosa trovi in questo libretto? Un percorso, in 12 puntate (da vivere in famiglia o al catechismo), di preparazione alla Pasqua, di conoscenza degli Apostoli e di comprensione del Credo.

SCHEMA di ogni puntata (tranne introduzione e conclusione): • Oggi conosciamo:

un Apostolo si autopresenta, raccontandoti qualcosa di sé e di come viene raffigurato (foto) in alcuni quadri custoditi nelle chiese della nostra Diocesi. Le citazioni tra parentesi che incontri rimandano ai brani di Vangelo che, se vuoi, potrai andare a leggere per verificare la veridicità di ciò che dice.

• La “Traditio” (consegna):

proseguendo il suo racconto, l’Apostolo ti commenta un’affermazione del Credo Apostolico che lo riguarda direttamente, con a fianco un bel disegno.

• In ascolto:

l’Apostolo ti suggerisce e commenta alcuni versetti della Parola di Dio del giorno, collegati con l’affermazione del Credo da lui sottolineata. In un box trovi la citazione di tutte le letture complete di quel giorno.

• In preghiera:

ti vengono proposte una o più preghiere, legate al tema del giorno, da utilizzare lungo la settimana.

• La “Redditio” (riconsegna):

sei invitato ad assumerti alcuni impegni concreti da vivere per “portare nella vita” e “rispondere con la vita” alla fede professata.

Tutto nasce da… L’istituzione dei Dodici. «Gesù salì poi sul monte, chiamò a sé quelli che voleva ed essi andarono da lui. Ne costituì Dodici - che chiamò apostoli -, perché stessero con lui e per mandarli a predicare con il potere di scacciare i demòni. Costituì dunque i Dodici: Simone, al quale impose il nome di Pietro, poi Giacomo, figlio di Zebedeo, e Giovanni fratello di Giacomo, ai quali diede il nome di Boanèrghes, cioè “figli del tuono”; e Andrea, Filippo, Bartolomeo, Matteo, Tommaso, Giacomo, figlio di Alfeo, Taddeo, Simone il Cananeo e Giuda Iscariota, il quale poi lo tradì» (Mc 3,13-19).

■ Questi 12 Apostoli, a turno, ti accompagneranno nel cammino per vivere, nell’Anno della fede, con entusiasmo e serietà il tempo di Quaresima e la festa della Pasqua.


S

alve ragazzi mi chiamo Cefa cioè “roccia”, “pietra” o, per gli amici, Simon Pietro. Dai che avete già sicuramente sentito parlare di me dal vostro don o dalla vostra catechista! Sono nato a Betsaida, nella regione della Palestina che si chiama Galilea, a metà del I secolo a.C. Ho messo su famiglia a Cafarnao, una bella città sulle rive del Lago di Tiberiade e, prima dell’incontro con Gesù, di mestiere facevo il pescatore (ecco perché spesso vengo raffigurato sulla barca o con la rete in mano). Dopo che Gesù mi ha chiamato (Mc 1,16-18), per tre anni, l’ho seguito. È stata un’avventura straordinaria, fatta di momenti esaltanti (Mc 8,27-30; Mc 9,2-10), ma anche di momenti molto tristi, in cui mi sono sentito un “verme” (Mc 14,66-72). Ero affascinato dalla sua parola “che scaldava il cuore”, regalava speranza e annunciava un Dio pieno di amore e di misericordia verso l’uomo. Condividevo la sua simpatia per i poveri, i bambini e i peccatori. Per me è stato bello seguire Gesù perché mi ha accettato per quello che ero: un povero pescatore, generoso e impulsivo certo, ma buono nell’animo! La mia vita è letteralmente cambiata quando, dopo la sua morte in croce, ho incontrato Gesù risorto: per tre volte mi ha chiesto se l’amavo ed io con sincerità (e anche con un po’ di vergogna perché l’avevo rinnegato) gli ho risposto: “Tu lo sai, Signore, che ti voglio un bene dell’anima!”. Dopo questa risposta, Gesù, mi ha letteralmente spiazzato: infatti mi ha nominato “capo” degli Apostoli e mi ha messo tra le mani, addirittura, le “chiavi del Paradiso”: ecco perché in molte statue e quadri vengo raffigurato con le chiavi in mano (Gv 21,15-19).


Q

ualcuno di voi, forse, si chiederà cosa ci faccio, ora, di fronte a questo vecchio baule un po’ impolverato. Ve lo spiego subito. Siamo nell’ “Anno della fede” e ho voluto aprirlo davanti a voi perché contiene una cosa che è anche vostra… Questo baule custodisce una pergamena: eccola! Sapete cosa c’è scritto su di essa? Il Credo! Sì, avete capito bene, il Credo: quella preghiera fatta di tante parole, un po’ difficili che, ogni domenica, durante la Messa, recitate per rinnovare la vostra fede in Dio, in Gesù, nello Spirito Santo e nella Chiesa. Ma vi siete mai chiesti cos’è il Credo? È il riassunto della fede cristiana; è la carta di identità della Chiesa. Questa preghiera è un segno di riconoscimento: sta a dire che tutti coloro che lo recitano sono fratelli tra loro, hanno la stessa fede, sono in adorazione dello stesso Dio, il Dio raccontato da Gesù, e fanno parte di una stessa famiglia sparsa per il mondo intero: la Chiesa. Questa preghiera, che farà da filo conduttore di queste pagine, è conosciuta come “Credo (o Simbolo) Apostolico” perché l’abbiamo inventata noi, cioè io e gli altri Apostoli chiamati da Gesù, ed era considerata talmente sacra da non poter essere neppure scritta, ma soltanto memorizzata. Il Credo è, infatti, una preghiera da “scolpire nella memoria del cuore”, cioè da non dimenticare mai e da rendere viva nel tempo che vivete, attraverso la vostra esistenza.


Io credo

I

ntanto, per darvi un assaggio, vi dico che la preghiera del Credo Apostolico inizia con il pronome personale “io”. È una parolina molto importante perché sta a significare che sei proprio tu, anche se ancora bambino o ragazzo, a dover rinnovare la professione di fede, a dover decidere la strada giusta su cui camminare e ad iniziare a pensare per che cosa spendere la tua vita e su cosa scommettere. Dopo l’“io” troviamo un verbo: “Credo”. Cosa significa per te credere? Credere significa fidarsi, ossia lasciarsi guidare ogni giorno da Gesù, abbandonarsi nelle sue braccia come fossero quelle della nostra mamma. Ma, per riuscire a fare tutto questo, dobbiamo saper dire il nostro “sì”, dare il nostro consenso per vivere quest’amicizia con Lui. Possiamo credere al futuro del mondo partendo da ciò che Gesù ha compiuto per noi perché nella vita non vale il “provare per credere”… dobbiamo fidarci! Fidarci ci fa vivere, ma ci insegna anche a rimediare ai nostri errori quando sbagliamo. In questo tempo di Quaresima, se vi fiderete di me e degli altri miei amici Apostoli, che ogni settimana incontrerete e conoscerete, scoprirete i segreti di questa preghiera e la sua preziosità, e vi accorgerete di come le sue espressioni, anche quelle che sembrano più complicate, interpretate alla luce della Parola di Dio, ci aprono uno squarcio di luce sul Dio, Padre di Gesù e Padre nostro. Anche a voi, in questo tempo, come succedeva ai Catecumeni delle prime comunità cristiane (cioè a coloro che si preparavano a ricevere il Battesimo, la Cresima e l’Eucaristia), il Credo verrà “consegnato” (in latino si diceva “Traditio”), cioè messo nelle vostre mani perché prenda vita in voi e, in questo modo, sia “restituito” alla Chiesa attraverso il vostro modo di vivere e la vostra testimonianza (in latino si diceva “Redditio”). Allora forza! Con fiducia e curiosità iniziate questo cammino con me.


C

iao Ragazzi! Tocca a me, in questi giorni, tenervi compagnia. Sono l’Apostolo Andrea, fratello di San Pietro, e fui chiamato da Gesù mentre stavo pescando sulle rive del lago, per diventare “pescatore di uomini” (Mc 1,16-18). Il mio fu subito un “sì”, senza “sé” e senza “ma” e così iniziò la mia avventura al seguito del Maestro. Fui io, se ricordate, in quel “mitico” giorno della moltiplicazione dei pani e dei pesci, avvenuta su un monte nelle vicinanze del Lago di Galilea, ad indicare a Gesù quel ragazzo generoso che gli mise a diposizione i cinque pani d’orzo e i due pesci per compiere il miracolo e quindi saziare la fame di una folla immensa (Gv 6,1-15). Sono considerato il patrono della Grecia e della Chiesa Ortodossa, mi hanno crocifisso a Patrasso su una croce a “X” che, ancora oggi, è uno dei miei simboli ed è chiamata proprio “Croce di Sant’Andrea”. Gli altri miei simboli sono la rete e i pesci, in quanto erano gli strumenti del mio mestiere. Nelle immagini che potete osservare in alcune chiese, normalmente, sono rappresentato con pochi capelli bianchi, la barba bianca molto lunga e indosso una tunica bianca e un mantello verde scuro; dicono che l’aggettivo che meglio mi caratterizza sia “pacato”, cioè calmo, tranquillo. Coloro che portano il mio nome festeggiano l’onomastico il 30 novembre e c’è un proverbio piemontese che dice “A Sant’Andrea l’invern munta ‘n carea” ossia “A Sant’Andrea l’inverno sale in carica” in quanto si prevede, per questa data, un inizio d’inverno.


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ggi vorrei provare insieme a voi a riflettere sulla prima affermazione del Credo: “Io credo in Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra”. Tutti abbiamo un’idea di Dio ma dobbiamo fare attenzione perché un grande pericolo è quello di “creare un Dio a nostro uso e consumo”, mettendogli addosso delle maschere: un “Dio Giudice” pronto a condannarci; un “Dio Supermarket” a cui rivolgerci solo in caso di bisogno; un “Dio Programmatore” che ha già deciso tutto in merito alla nostra vita; un “Dio Super” che sa fare tutto senza aver bisogno di noi... Il Dio che Gesù ci è venuto a raccontare è Padre, perché ha cura di noi suoi figli e vuole che ciascuno di noi impari a camminare con le proprie gambe e a rimboccarsi le maniche per entrare nella vita che gli è stata donata, imparando a fidarsi di Lui e a vivere di Lui nella concretezza della sua vita. Dio ci apre il futuro, ha una relazione con noi, non è il Dio del passato, ma colui che si prenderà sempre cura di noi. Il nome di Dio si deve intrecciare con tutti i momenti della nostra vita, con i colori che accompagnano le nostre giornate. Solo così impareremo a volerci bene, perché Qualcuno di più grande di noi ci ha voluto bene per primo. Quel Dio Amore e Padre di cui abbiamo parlato finora è anche il Creatore, ossia colui dal quale tutto proviene, la sorgente di ogni cosa. Cari ragazzi, possiamo quindi dire che questo primo articolo del Credo non è assolutamente slegato dalla vita concreta ma, anzi, ci indica come stare al mondo, in continua relazione con Dio e con i fratelli.

in Dio Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra


«Il Signore ascoltò la nostra voce, vide la nostra umiliazione, la nostra miseria e la nostra oppressione; il Signore ci fece uscire dall'Egitto con mano potente e con braccio teso, spargendo terrore e operando segni e prodigi» (Dt 26,7-8). «Lo libererò, perché a me si è legato, lo porrò al sicuro, perché ha conosciuto il mio nome. Mi invocherà e io gli darò risposta; nell'angoscia io sarò con lui, lo libererò e lo renderò glorioso» (Sal 91,14-15). ■ Il popolo di Israele, dopo aver sperimentato la liberazione dalla schiavitù di Egitto e gustato, nel deserto, la fedeltà di Dio, arriva ad affermare: “Se Dio ci vuole così bene da liberarci dalla schiavitù, allora vuol dire che è anche Creatore”. E se Dio, per ogni uomo è un liberatore e un creatore, vuol dire che la relazione che ogni uomo può intrecciare con Lui si esprime, innanzitutto, in un legame di libertà: infatti ogni uomo può decidere se fidarsi e affidarsi a Lui o cedere alle tentazioni che si presentano nel cammino quotidiano e che lo portano lontano da lui. «Se con la tua bocca proclamerai: "Gesù è il Signore!", e con il tuo cuore crederai che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo. Con il cuore infatti si crede per ottenere la giustizia, e con la bocca si fa la professione di fede per avere la salvezza. Dice infatti la Scrittura: “Chiunque crede in lui non sarà deluso”» (Rm 10,9-11). ■ San Paolo ci regala una vera e propria professione di fede: con le parole “Gesù è il Signore”, infatti noi esprimiamo la nostra fede in Lui e, credendo con il cuore in Colui che è risuscitato dai morti, otteniamo la salvezza della nostra vita.

«Gesù, pieno di Spirito Santo, si allontanò dal Giordano ed era guidato dallo Spirito nel deserto, per quaranta giorni, tentato dal diavolo […] Dopo aver esaurito ogni tentazione, il diavolo si allontanò da lui fino al momento fissato» (Lc 4,1-2.13).

■ Gesù, prima di iniziare la sua missione di annun-

cio del Regno di Dio, trova un ostacolo di fronte a sé: le tentazioni del diavolo (colui che cerca di dividere l’uomo da Dio). Lui però rimane fedele a Dio e ad ogni tentazione risponde con una frase della Parola. In questo modo Gesù radica la sua fede in Dio Padre e Creatore e insegna a noi a fare altrettanto.

Deuteronomio 26,4-10 Salmo 91,1-2.10-11.12-13.14-15 Lettera ai Romani 10,8-13 Luca 4,1-13


In questa settimana mi impegno: ■ a rispettare il mondo che Dio ha creato per me e per chi vive accanto a me. Posso differenziare bene i rifiuti (umido, plastica, carta, vetro...), usare l’acqua con sobrietà, ringraziare per i doni della terra che consumiamo a tavola, cercando di non sprecarli. ■ a ringraziare Dio per tutto lo splendore che ci ha donato. Posso guardare le montagne mentre vado a scuola e dire un semplice “Grazie”; entrare in chiesa in un momento della giornata e ringraziare Dio per il creato.


C

iao ragazzi! Io sono Giacomo il Maggiore, il fratello di Giovanni. Ero con lui sulla barca a pescare con nostro padre Zebedeo quando Gesù ci ha chiesto di seguirlo (Mc 1,19-20). Noi abbiamo accettato e lui ci ha soprannominati “Boanèrghes”, cioè “figli del tuono” (Mc 3,17), un po’ perché non abbiamo un carattere molto docile e poi perché vide in noi una dedizione instancabile! Un giorno Gesù chiese a me, Giovanni e Pietro di seguirlo su un monte a pregare. Capitava spesso che scegliesse un posto appartato per farlo, ma quella volta successe una cosa straordinaria… Mi vengono ancora i brividi se ci penso! Non so raccontarvi esattamente cosa sia avvenuto (Lc 9,28-36), so solo che quando scendemmo dal monte avevamo la certezza che Gesù fosse il Figlio di Dio, perché lo avevamo sentito con le nostre orecchie! . Ero così affascinato dal mio Maestro e dai suoi insegnamenti che sono andato fino in Spagna a raccontare il Vangelo. Quindi, dopo questa significativa esperienza di annuncio, sono rientrato a Gerusalemme. Qui, per me, ben presto, le cose si sono messe molto male: mi hanno perseguitato e torturato perché volevano che rinnegassi la mia fede in Gesù, ma non sono riusciti a farmi cambiare idea, tanto che sono stato il primo Apostolo martire, ucciso con la spada, sotto il regno di Erode Agrippa (At 12,1-2). Dopo la mia morte, alcuni miei discepoli hanno riportato il mio corpo in Spagna, nascondendolo in una località (Santiago de Compostela) dove, alcuni anni dopo, è stata ritrovata la mia tomba ed è stato pure costruito un grande santuario che porta il mio nome ed è meta di numerosi pellegrinaggi. Se volete vedermi rappresentato in un quadro, potete riconoscermi dal fatto che indosso un cappello da pellegrino, porto un bastone, una borraccia ricavata da una zucca essiccata e una conchiglia per bere; ho anche un libro, una spada e uno stendardo. Mi hanno scelto come patrono della Spagna e del Guatemala, e i pellegrini invocano la mia protezione.


Q

Gesù, il quale fu concepito di Spirito Santo, nacque da Maria vergine

uando l’Angelo Gabriele, ve lo ricordate di certo, annuncia a Maria che diventerà la madre del figlio di Dio, dice: “Lo Spirito Santo scenderà su di te” (Lc 1,35), per rassicurarla sul fatto che Dio l’avrebbe sostenuta con la sua grazia (il suo amore), anche se lei si sentiva una giovane ragazza inadeguata al compito che le voleva affidare. Da questo momento incominciamo a sentire parlare dello Spirito Santo, che sarà sempre legato alla figura di Gesù e a Dio, suo Padre. Maria accoglie l’annuncio dell’angelo, dice di sì a Dio, un Padre buono che ha voluto prendersi cura dell’umanità così da vicino, al punto di “trasformarsi” in un bambino. Grazie al sì di Maria, Gesù, il Figlio di Dio, si è incarnato, cioè è nato da una donna, come ogni figlio di uomo, perché noi potessimo conoscere l’amore di Dio attraverso Lui. Quando Gesù cresce, incomincia a parlarci del Padre, rivelandoci il suo Amore misericordioso e indicandoci la via per raggiungerlo e raggiungere la Vita Eterna. Ecco quello che riconoscete quando nel Credo degli Apostoli affermate: Credo in Gesù Cristo, “il quale fu concepito di Spirito Santo, nacque da Maria vergine”.


«In quei giorni, Dio condusse fuori Abram e gli disse: ”Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle” e soggiunse: “Tale sarà la tua discendenza”» (Gen 15,5). ■ Dio fa una solenne promessa ad Abramo: una discendenza numerosissima, così numerosa che il suo albero genealogico arriverà fino a Gesù. C’è un filo conduttore che unisce Abramo a Maria, la mamma di Gesù: entrambi sono capaci di immaginare il futuro, si fidano della Parola pronunciata da Dio, credono nelle sue promesse e collaborano per portarle a compimento.

«E dalla nube uscì una voce, che diceva: “Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!”» (Lc 9,35). ■ La Voce della nube (è la voce di Dio) ci rivela chi è Gesù: è il Figlio di Dio! Gesù si è fatto uomo per parlarci del Padre e il Padre ci chiede di ascoltarlo, di fidarci di Lui, di prendere sul serio le sue parole e di seguire le sue orme. Questa è la strada che ci porterà a raggiungere il Regno di Dio!

«Sono certo di contemplare la bontà del Signore nella terra dei viventi. Spera nel Signore, sii forte, si rinsaldi il tuo cuore e spera nel Signore» (Sal 27,13-14).

■ Dalla fiducia in Gesù può nascere in noi la certezza di “vedere” Dio, di toccare con mano la sua bontà di Padre e questo ci stimola a continuare a credere e ad essere persone che sanno affrontare con speranza e serenità la vita di ogni giorno.

«Il Signore Gesù Cristo trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso» (Fil 3,20-21). ■ Quando Gesù ci racconta il Regno di Dio ci parla della Risurrezione: trasformerà noi stessi, il nostro corpo, i nostri desideri e le nostre povere qualità nella sua persona; sarà la nostra salvezza perché ci renderà parte di Lui per l’eternità!

Genesi 15,5-12.17-18 Salmo 27,1.7-9.13-14 Lettera ai Filippesi 3,17-4,1 Luca 9,28-36


In questa settimana mi impegno:

■ ad invocare lo Spirito Santo per chiedergli consiglio e saggezza nell’affrontare la giornata. ■ a rispondere più volte “sì” rispetto a “no”. Posso costruire una tabella sulla quale, a fine giornata, segno le risposte che ho dato alle richieste di genitori, insegnanti, allenatori, amici e compagni: a fine settimana “misurerò” la mia disponibilità.


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alve ragazzi, sono l’apostolo Filippo e vengo da Betsaida, un paesino della Galilea sul lago di Tiberiade dove facevo il pescatore, come Pietro, l’apostolo che avete già conosciuto. Ai miei tempi, ho conosciuto un tipo “tosto”, Giovanni Battista, che mi ha messo sulle tracce di Gesù. Io l’ho incontrato e ho deciso di seguirlo insieme ad Andrea e a Bartolomeo, miei grandi amici (Gv 1,43-46). Con loro ho vissuto la più bella avventura della mia vita: essere amico di quel Gesù che ha chiesto il mio piccolo aiuto per compiere il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci, con lo scopo di sfamare molta gente (Gv 6,1-15). Nella mia esperienza di fede, poi, ho avuto personalmente a che fare non solo con il Maestro, ma anche con lo Spirito Santo che, dal giorno di Pentecoste, mi ha spinto a portare la buona notizia di Gesù tra genti diverse. Sono morto per Gesù a 87 anni. Mi hanno lapidato e, poi, crocifisso a testa in giù. Mentre morivo, ero felice, perché la mia vita di pescatore è stata letteralmente trasformata dall’incontro con Gesù che mi ha… “pescato”! Nella tradizione sono il protettore dei malati e vengo rappresentato con i pani e i pesci della moltiplicazione e con la croce del mio martirio. Cercatemi nei quadri che ritraggono gli amici di Gesù: sono quello che i pittori hanno dipinto vestito con una tunica azzurra e un mantello arancione.


“ V

isto che l’ho incontrato “personalmente” e ne ho fatto esperienza diretta, vi parlo dello Spirito Santo. Nel Credo voi affermate: “Credo nello Spirito Santo”. Fidatevi, amici: lo Spirito Santo è il dono più grande che Gesù ci ha lasciato per entrare nel cuore stesso di Dio. È il dono per eccellenza, è Dio che si regala a noi per sempre, invisibile ma reale, continuamente al lavoro al nostro fianco. È una presenza delicata, impalpabile, che richiede da parte nostra un grande sforzo di attenzione: per accorgersi della presenza dello Spirito bisogna, infatti, “drizzare le antenne” e ascoltare. Non parla ad alta voce, non grida per farsi sentire. Ma c’è, è presente! Ascoltate, non sentite la sua bellezza in questo vostro momento di preghiera? Credere nello Spirito è affidarsi a quel vento libero e leggero che soffia dove vuole e raggiunge il cuore di tutti. È lasciarsi scaldare dal fuoco dell’Amore di Dio, per diventare accoglienti con chi vive insieme a noi. Anche con mio fratello che in questo periodo è davvero un “rompi”…; anche con la nonna che è invecchiata ed è un po’ lenta a starmi dietro…; anche con la mia compagna che mi telefona cento volte, per confrontare i compiti... Credere nello Spirito è essere sicuri che, in ogni situazione della nostra vita, possiamo contare sulla presenza di Dio che ci guida, ci consiglia, ci dona forza e sapienza, ci regala intelligenza e capacità di perdono.

Credo nello Spirito Santo


«Egli (Mosè) guardò, ed ecco: il roveto ardeva per il fuoco, ma quel roveto non si consumava mai» (Es 3,2). ■ Mosé, come ci raccontano queste parole del libro dell’Esodo, incontra Dio che manifesta la sua presenza nel roveto che non si consuma: pensate che stupore, un fuoco che arde luminoso e caldo, ma non consuma il legno che lo sostiene… Questo è lo Spirito Santo: una fonte inesauribile di amore che scalda i cuori e non si esaurisce mai. «Benedici il Signore, anima mia, quanto è in me benedica il suo nome» (Sal 103,1). ■ Lo Spirito Santo ci rende tutti capaci - come il salmista - di “bene-dire”, ovvero di dire tutto il bene possibile del Signore, ogni giorno, con la fiducia di un bambino che non dubita della presenza del papà, della sua capacità di perdonare e della sua grandezza nel volergli bene. «Chi crede di stare in piedi, guardi di non cadere» (1Cor 10,12). ■ Anche San Paolo ci regala un’immagine bellissima dello Spirito Santo: è quella forza che ci permette di non cadere, di restare in piedi anche quando le circostanze della nostra vita sembrano non lasciarci speranza. Dentro di noi lo Spirito rende possibile ogni trasformazione e ci rende capaci di una vita bella come amici di Gesù. Credere nello Spirito significa rendere concreta la fede nelle nostre giornate, perché non sia fatta solo di parole vuote.

«Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire» (Lc 13,9). ■ Lo Spirito di Dio non è un vento capriccioso che soffia solo due volte nella vita (il giorno del Battesimo e della Cresima, forse?!) e poi non se ne sente più parlare… Dio ci conosce bene e sa come siamo fatti: teste dure, difficili da convincere! Per questo ha lasciato a noi lo Spirito che soffia continuamente, senza stancarsi mai: è il segno della sua pazienza nei nostri confronti, della fiducia che gli fa dire, come il contadino della parabola che ha raccontato Gesù: “Lasciamo ancora il fico per un anno, zapperò e concimerò… vedremo se porterà frutti!” Lo Spirito Santo è la pazienza di Dio, che ogni giorno comincia da capo la sua storia d’amore con noi suoi figli, a volte un po’ testoni!

Esodo 3,1-8.13-15 Salmo 103,1-2.3-4.6-7.8.11 1 Lettera ai Corinzi 10,1-6.10-12 Luca 13,1-9


In questa settimana mi impegno:

■ a fare, tutte le mattine quando mi sveglio, un bel Segno della Croce, dicendo con calma dentro di me: “Spirito Santo, prendi il timone della mia giornata!”. ■ a ricordarmi della presenza dello Spirito accanto a me e, se dovrò affrontare qualche difficoltà, a pregarlo così: “Spirito Santo, suggeriscimi le parole giuste, il modo giusto di comportarmi in questo momento…”


C

iao carissimi, sono Matteo, da alcuni chiamato anche Levi. Sapete che lavoro facevo prima di incontrare Gesù? Ero un esattore delle tasse: cioè riscuotevo denaro per conto dei Romani e, a volte, anche più del dovuto! Proprio a causa del mio lavoro, ero considerato una persona da evitare. Non ero per niente amato, anzi, ero trattato come uno dei peggiori peccatori. Un giorno però è successa una cosa molto bella: Gesù, di cui avevo già sentito parlare, si è avvicinato a me e ha detto: “Seguimi”. Non dimenticherò mai quel momento! Chiamava proprio me! Il lavoro che facevo non aveva importanza per Lui. Ho lasciato tutto e l’ho seguito. Da quel momento nient’altro era più importante, per me, che seguire Gesù e cercare di imitarlo. Avevo certamente commesso tanti errori nella mia vita, ma l’incontro con Lui mi ha trasformato e sono diventato una persona migliore (Lc 5,27-32). Pensate che dopo la sua morte e risurrezione, mi è venuta voglia di raccontare a tutti, in un libro, chi era la persona che aveva cambiato così radicalmente la mia vita. Come sapete, infatti, sono un evangelista e ho scritto uno dei quattro Vangeli. Il mio simbolo è un uomo alato, perché il Vangelo che ho scritto inizia con l’elenco degli uomini antenati di Gesù. Come altri Apostoli, sono morto martire in Etiopia.

P

rima di presentarvi l’affermazione del Credo che ben si addice a quella che è stata la mia esperienza, vorrei raccontarvi di Giuda Iscariota. Ve lo ricordate vero? Anche lui è stato uno dei dodici Apostoli: era colui che amministrava la cassa comune del nostro gruppo. E, purtroppo, è stato colui che ha tradito Gesù (Gv 13,21-30). Ha accettato dei soldi, ben trenta monete d’argento, in cambio della sua consegna (Mc 14,10-11). Infatti, mentre Gesù era nell’Orto degli Ulivi a pregare con alcuni di noi, gli si avvicinò un gruppo di persone precedute proprio da Giuda, il quale andò da Gesù e lo baciò: quello era il segno per indicare chi era colui che i soldati avrebbero dovuto arrestare (Lc 22,39-53). Quando si accorse di quello che aveva fatto, Giuda cercò di restituire i soldi e di rimediare al tradimento, ma ormai era troppo tardi, perché Gesù era già sotto processo. Quindi, divorato dal rimorso e senza intravedere la possibilità di essere perdonato (cosa che Gesù avrebbe sicuramente fatto!), si è tolto la vita impiccandosi (Mt 27,3-5).


“ N

el Credo degli Apostoli, ad un certo punto c’è questa bella affermazione: “Credo la remissione dei peccati”. Cosa vuol dire la parola “rimettere”? Vuol dire “condonare”, “liberare”, “perdonare”! È una cosa molto bella credere nel perdono dei peccati. Ma per crederci davvero occorre prima di tutto prendere coscienza e accorgersi degli errori commessi, rendersi conto degli sbagli compiuti, ripensare a come sono andate le cose e intravvedere una possibile “via di uscita”. Fatto questo bisogna coltivare in sé la convinzione che, grazie alla bontà misericordiosa di Dio, che Gesù ci ha fatto “toccare con mano”, questa “via di uscita” c’è: è il perdono appunto! Attraverso il Sacramento della Riconciliazione (un Sacramento che vi invito a riscoprire e a vivere spesso e con serenità, perché “è una bella cosa”!), Dio cancella il nostro peccato, ci fa tornare ad essere delle “persone pulite”, torna a far risplendere in noi il nostro essere “a sua immagine e somiglianza”. Ottenuto il perdono di Dio, però, è necessario il nostro impegno concreto per rimediare ai danni fatti, per non ricadere negli errori commessi e provare ad essere migliori di prima. Credere nella remissione dei peccati, quindi, significa credere nella misericordia di Dio che “è più potente” dei nostri sbagli e affrontare con speranza la vita, con la certezza che, quando pecchiamo e ne siamo pentiti, c’è sempre un Dio pronto ad accoglierci nel suo abbraccio di Padre.

la remissione dei peccati


«Il Signore disse a Giosuè: “Oggi ho allontanato da voi l’infamia dell’Egitto”. La manna cessò e quell’anno mangiarono i frutti della terra di Canaan» (Gs 5,9.12). ■ Durante il tempo dell’Esodo la misericordia di Dio per gli Ebrei si è manifestata in tre modi: con la liberazione dalla schiavitù d’Egitto; quindi, durante il cammino nel deserto, attraverso la manna, un cibo misterioso e nutriente, donato da Dio per saziare la fame delle persone; infine, una volta che il popolo è entrato nella “terra promessa”, attraverso i frutti abbondanti e gustosi prodotti da quella terra tanto sognata e desiderata. «Guardate a Lui e sarete raggianti, i vostri volti non dovranno arrossire. Questo povero grida e il Signore lo ascolta, lo salva da tutte le sue angosce» (Salmo 34,6-7). ■ Nella vita, anche se pecchiamo, non dobbiamo mai distogliere lo sguardo da Dio e perdere il contatto con Lui. La preghiera e la richiesta di perdono devono essere il nostro punto di partenza per ritornare ad essere “persone raggianti” di gioia. «Fratelli, se uno è in Cristo, è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate; ecco, ne sono nate di nuove. Tutto questo però viene da Dio, che ci ha riconciliati con sé mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione […] Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio» (2 Cor 5,17-18.20). ■ Con queste parole san Paolo cerca di spiegare agli abitanti della comunità di Corinto l’incarico che, insieme ai Dodici Apostoli, ha ricevuto da Gesù: quello di essere un ministro (cioè un servitore, uno “che fa da tramite”) della riconciliazione di Dio. E li invita a non aver paura di sperimentare il perdono di Dio: “lasciatevi riconciliare con Dio”. Tutto questo viene raccomandato anche a noi: attraverso il Sacramento della Riconciliazione anche noi possiamo riconciliarci con Dio, essere da Lui perdonati e diventare “persone nuove”. Non abbiamo paura a farlo!

«Si alzò e tornò da suo padre. Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, gli corse incontro, gli gettò le braccia al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”» (Lc 15,21).

■ Con queste parole molto belle contenute nella

parabola del Padre misericordioso, Gesù vuole ricordarci che Dio è proprio come questo padre, che aspetta con ansia il ritorno del figlio che è partito per un paese lontano, dove ha speso malamente tutto quello che aveva. Appena questo papà vede arrivare il figlio da lontano, gli corre incontro, lo abbraccia e organizza una grande festa per ri-accoglierlo. Così è Dio! Quando prendiamo delle strade sbagliate, ci comportiamo male o facciamo del male agli altri, aspetta sempre che ritorniamo da Lui. Invochiamo quindi il Suo perdono e Lui, con il Suo amore di Padre misericordioso, ci dimostrerà che non ha mai smesso di amarci. Lasciamoci, quindi, abbracciare da Dio Padre che ci perdona sempre.

Giosuè 5,9.10-12 Salmo 34,2-3.4-5.6-7 2 Lettera ai Corinzi 5,17-21 Luca 15,1-3.11-32


In questa settimana mi impegno:

■ a ripensare, tutte le sere, alla mia giornata, analizzando bene i miei comportamenti per capire e accorgermi degli errori commessi, pregando poi così: “Aiutami, Signore, a non dimenticare mai che Tu sei sempre pronto a perdonare chi si rivolge a Te con cuore sincero”. ■ a riflettere, quando recito il Padre Nostro e dico “rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori”, su questo insegnamento di Gesù e a metterlo in pratica, chiedendo perdono a Dio dei miei sbagli e perdonando chi mi può aver ferito o deluso.


C

iao ragazzi, mi presento. Per tutti sono l’apostolo Bartolomeo, anche se il mio vero nome è Natanaele. Sono nato e vissuto a Cana in Galilea, ed ero anch’io un pescatore. Facevo parte della cerchia del Battista, ed è per l’entusiasmo e l’insistenza del mio amico Filippo (che l’aveva appena conosciuto) che ho accettato di incontrare personalmente Gesù. Dovete sapere che all’inizio ero un po’ pessimista e con tanti pregiudizi: possibile che il Messia arrivasse proprio da Nazareth, quella minuscola borgata distante appena otto chilometri dal mio paese? Un posto insignificante che io conoscevo bene: cosa poteva venire, di buono, da lì? (Pensate che questo mio dubbio l’hanno pure riportato nei Vangeli!). Io, che tutti i giorni leggevo e meditavo la Bibbia, spesso sotto il fico piantato vicino alla mia casa, sapevo che in tutto l’Antico Testamento quel posto non era neppure nominato; e poi, abitando lì vicino, me ne sarei accorto… Eppure, appena l’ho incontrato, nonostante la mia diffidenza, Gesù ha lodato pubblicamente la mia sincerità e mi ha detto cose che hanno scaldato il mio cuore e mi hanno fatto cambiare idea su di Lui. Per questo anch’io ho iniziato a seguirlo (Gv 1,43-51). Dopo la sua Ascensione sono partito per il Medio Oriente, arrivando a predicare il Vangelo fino in Armenia. Sono morto martire, scorticato vivo e poi decapitato. A causa di questo terribile supplizio sono spesso raffigurato con un coltello in mano o mentre mostro, penzolante, la pelle di cui mi hanno “svestito” i miei aguzzini. Forse è per questo che, nella tradizione, sono protettore dei macellai, dei conciatori e dei rilegatori.


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salì al cielo, siede alla destra di Dio Padre onnipotente, di là verrà a giudicare i vivi e i morti

utte le volte che recitate il Credo apostolico dite che Gesù “salì al cielo, siede alla destra di Dio Padre onnipotente, di là verrà a giudicare i vivi e i morti”. Ebbene io sono stato accanto a Gesù per tutto il tempo che ha vissuto sulla terra, e quindi ero presente anche il giorno della sua Ascensione. Fu un’emozione grandissima! Noi che l’avevamo seguito, quel giorno, non eravamo tristi, per tre ragioni. Innanzitutto perché, poco prima di salire al cielo, ci ha detto che non saremmo mai più stati soli, ma ha promesso di starci sempre vicino e di prendersi cura di noi, dovunque saremmo stati. Poi perché sapevamo che tornava vicino al Padre che tanto amava (“nei cieli” non significa, quindi, sopra le nuvole): il suo posto era lì, accanto a Lui. Anzi, alla sua “destra”, come segno di forza e di potenza (ai nostri tempi, la persona che stava alla destra del re era, subito dopo di lui, quella più importante, e Gesù è uomo ma anche Dio). Infine perché ci ha detto che tornerà. Era venuto, nascendo a Betlemme, una prima volta, per seminare la Parola di Dio, l’amicizia, il perdono, la pace, la gioia, la speranza, la generosità. Verrà, alla fine del mondo, una seconda (e ultima) volta, per raccogliere quello che ha seminato e che noi possiamo far crescere in noi e attorno a noi. Tornerà per giudicare i vivi e i morti (cioè l’intera umanità) in base alle loro azioni, buone o cattive. E se anche voi, come me, conoscete un po’ com’è fatto Gesù, sapete che giudicherà non con i nostri metri di valutazione, ma con misericordia, tenerezza e giustizia. Perché quella forza e potenza di cui vi parlavo prima non sono “effetti speciali”, ma è l’Amore, quello con la “A” maiuscola.


«Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?» (Is 43,19). ■ Questo versetto del libro del profeta Isaia sembra scritto per me, Bartolomeo: conoscevo le Scritture, abitavo vicino a Nazareth, eppure non mi ero accorto che Gesù stava crescendo lì, a due passi da me. Chissà dove avevo la testa! Forse nel passato, in vecchi ricordi di esperienze tristi e difficili. O forse nel futuro, aspettando, come tutti, una novità che cambiasse la mia vita. E ho rischiato di perdermi il presente: Gesù che mi chiamava. Okkio ragazzi, attenti al presente! È quasi Pasqua… «Grandi cose ha fatto il Signore per noi, eravamo pieni di gioia» (Sal 125,6). ■ Come il salmista, anch’io sono testimone delle meraviglie del Signore: ero presente alle nozze di Cana e lì ho visto l’opera di Dio! (pssst, sono poi stato io ad invitare Gesù a quella festa, anche se nessuno se lo ricorda, ma posso capirlo: ci fu un tale trambusto…). Ebbene, il dono di tutto quel vino, alla fine, era solo perché la nostra festa potesse continuare. Lì ho capito che Gesù ci vuole felici. E la Pasqua è il regalo più grande che ci potesse fare! «Non ho certo raggiunto la mèta, non sono arrivato alla perfezione; ma mi sforzo di correre per conquistarla, perché anch’io sono stato conquistato da Cristo Gesù» (Fil 3,12). ■ In questo versetto della lettera ai Filippesi, Paolo spiega che, da quando è stato afferrato da Cristo, tutto il resto perde di valore: conta solo più conoscere sempre meglio Gesù e incamminarsi (anzi, correre…) per la sua strada verso la Pasqua, che porta alla piena comunione con lui, anche nella Risurrezione.

«Gesù disse all’adultera: “Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?”. Ed ella rispose: “Nessuno, Signore”. E Gesù disse: “Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più”» (Gv 8,10-11).

■ Gesù non è venuto per condannare, ma per per-

donare. Spesso siamo noi, con la nostra giustizia umana, così spietata e crudele, a non dare un’altra chance ai fratelli che sbagliano… Qui Gesù dà un assaggio del giudizio divino (quello che cercavo di dire spiegandovi l’affermazione del Credo): avverrà con amore e giustizia. Amore, perché nella tenerezza restituisce all’adultera vita e dignità. Giustizia, perché non è indifferente alla colpa commessa, ma le chiede di non sbagliare più. Il dono della misericordia gratuita ed impensabile diventa responsabilità per una conversione continua.

Isaia 43,16-21; Salmo 126,1-2.3-6 Lettera ai Filippesi 3,8-14 Giovanni 8,1-11


Signore, a Te lo posso dire: credevo che l’amicizia fosse più facile. Tutti cerchiamo l’amicizia... Allora perché è così difficile trovarla? Ho fatto di tutto con loro. Sono stato gentile; ho sorriso quando non mi andava; ho continuato a prestare colori, fogli di quaderno, gomma e soldi. Credevo che avessero capito la mia volontà di essere loro amico. Alla prima occasione hanno riso di me. Allora, Signore, vale la pena? Signore, a Te parlo a cuore aperto e tu mi rispondi con altrettanta chiarezza. E mi dici: “L’amicizia non è un contratto: -io ti do, tu mi dai!- L’amicizia vera è quella che dice sempre e soltanto: -io ti do!-”. È duro, Signore, ma so che Tu hai fatto così. Non è vero quello che dicono tanti miei amici: “L’amicizia non esiste!” L’amicizia esiste se io la dono. Tu, Signore, hai fatto così...

In questa settimana mi impegno:

La tua ascensione al cielo, Signore, mi colma di gioia perché è finito per me il tempo di stare a guardare ciò che fai e comincia il tempo del mio impegno. Ciò che mi hai affidato, rompe il guscio del mio individualismo e del mio stare a guardare, facendomi sentire responsabile in prima persona della salvezza del mondo. A me, Signore, hai affidato il tuo Vangelo, perché lo annunciassi su tutte le strade del mondo. Dammi la forza della fede, come ebbero i tuoi primi Apostoli, così che non mi vinca il timore, non mi fermino le difficoltà, ma sempre e dovunque, io sia tua lieta notizia, rivelatore del tuo amore, come lo sono i martiri e i santi nella storia di tutti i popoli del mondo.

Signore, aiutaci a scommettere sulla tua Parola, a credere che non possiamo vivere di solo pane. Signore, ricordaci di provare a contare le stelle, quando dubitiamo delle tue promesse. Signore, aiutaci a scegliere la cittadinanza nei cieli e a esserne cittadini fin da ora, fin da quaggiù. Aiutaci a portare il profumo dei cieli nello smog della nostra quotidianità.

■ a vivere le mie giornate con gli occhi e le orecchie (ma soprattutto il cuore) bene aperti e rivolti al Cielo, attento a cogliere i segni dell’Amore di Dio per me, magari non tanto evidenti (come lo è un germoglio) ma presenti e sorprendenti. ■ a pensare, quando recito il Padre Nostro e dico “che sei nei cieli”, ai tanti bambini che non hanno più il loro papà. Io, che a volte lo sento brontolare a causa mia, voglio avere qualche gesto di attenzione verso di lui (anche perché martedì sarà la sua festa!).


C

iao! Mi chiamo Simone Cananeo e sono un apostolo di Gesù. Il mio nome deriva dall’ebraico e significa “Dio ha donato”. Altri mi chiamano Simone lo Zelota (Lc 6,15) perché per un po’ ho fatto parte del gruppo degli zeloti, quelli che, anche con l’uso delle armi, volevano ottenere la libertà dai romani, cacciandoli dalla Palestina. Di solito vengo raffigurato con una tunica bianca e un mantello arancione, con la barba curata. Prima di seguire Cristo io ero un semplice pescatore, ma grazie alla fede in Lui, sono diventato uno dei dodici Apostoli (Mc 3,13-19) e ho potuto così annunciare e testimoniare il suo Vangelo. È stato bello proclamare che il Regno di Dio era iniziato con Gesù, ma purtroppo non tutti mi hanno ascoltato e creduto. Nella città di Edessa, in Mesopotamia, alcuni mi hanno accusato di essere un bugiardo e altri si sono accaniti così tanto su di me che mi hanno fatto morire segando in due il mio corpo. Ma, pensando a quanto Gesù ha sofferto per noi senza mai lamentarsi, ho cercato di mantenere anche nel momento della morte la mia dignità di uomo, felice di condividere con Lui la mia sofferenza. A causa di questo martirio sono il patrono dei boscaioli e dei taglialegna, e la sega è il mio simbolo.


“ Q

in Gesù Cristo, suo unico Figlio, nostro Signore

uante volte mi sono chiesto: Chi è veramente Dio? Com’è il suo volto? Dove lo posso incontrare? Non sono riuscito a trovare risposta a queste domande fino a che non ho conosciuto Gesù. “Chi vede me vede il Padre” sono le sue stesse parole. All’inizio non ero tanto convinto, ma poi ho ripensato a ciò che diceva e ho ricordato i suoi gesti: tutto nella sua vita era un inno a Dio. Gesù lo sentiva vicino con tutto il suo cuore e annunciava la sua parola con entusiasmo e grande profondità. Allora ho finalmente capito: Gesù era davvero il figlio di Dio! Come poteva essere diversamente? Sapeva di Lui ogni cosa e ogni suo gesto era una testimonianza d’amore per il Padre. Gesù, il mio amico, figlio di Dio! Ma ci pensate? Io l’ho conosciuto, l’ho toccato, ho mangiato, parlato e pianto con lui! Un uomo apparentemente come tanti… Eppure non era un uomo qualunque: il suo sguardo, me lo ricordo bene, avvolgeva ogni persona con un amore infinito e i suoi gesti prodigiosi nascevano dalla forza che gli veniva dallo Spirito del Padre. Pensate a tutto ciò, quando nel Credo dite: “Credo in Gesù Cristo, suo unico Figlio, nostro Signore”. E, da oggi in poi, aprite bene gli occhi sul comportamento di Gesù in questi giorni della Settimana Santa: stiamo, infatti, per entrare nella settimana più importante di tutto l’Anno Liturgico, con al centro la Pasqua! È la settimana che dà senso alla nostra fede e a tutta la storia della salvezza, e mi piacerebbe che nessuno di voi si perdesse l’occasione, nei prossimi giorni, di sperimentare un po’ di più il vero volto del nostro Dio. Perché è lì che viene fuori!


«Dio mi ha dato una lingua da discepolo, perché io possa indirizzare una parola allo sfiduciato» (Is 50,4). ■ È questa un’espressione molto bella del profeta Isaia. “Una lingua da discepolo” vuol dire un modo umile di parlare, non per imporre la propria visione delle cose o per urlare in modo aggressivo le proprie verità, ma per parlare di Dio toccando le corde più profonde del cuore di chi ha bisogno di speranza.

trionfale di Gesù in Gerusalemme, sottolinea come Gesù ha vissuto questo momento della sua vita con umiltà, vestito semplicemente e seduto su un povero asinello. Gesù è entrato nella città santa, pur sapendo che lì molti lo avrebbero accusato e flagellato. Non ha avuto paura nemmeno di andare incontro alla morte, perché grande era la fiducia che riponeva in Dio, suo Padre. Che bello credere in questo Gesù: un uomo come noi, il Figlio di Dio, che ha saputo attraversare con coraggio il buio delle tenebre, della sofferenza e della morte, per tuffarsi nell’abbraccio di Risurrezione preparato per Lui da Dio, suo Padre.

«Si fanno beffe di me quelli che mi vedono, storcono le labbra, scuotono il capo […] Ma tu, Signore, non stare lontano, mia forza vieni presto in mio aiuto» (Sal 22,8.20). ■ Un profeta è servo del Signore, perché parla in nome suo: è docile, mite, umile. Si abbandona con fiducia nelle mani di Dio e sa che Dio non lo lascia solo: questo, come ci ricordano queste parole del Salmo, gli dà la forza per affrontare l’umiliazione e le beffe. «Svuotò sé stesso assumendo la condizione di servo» (Fil 2,7). «Gettati i loro mantelli sul puledro, vi fecero salire Gesù. Mentre egli avanzava, stendevano i loro mantelli sulla strada […] tutta la folla dei discepoli, pieni di gioia, cominciò a lodare Dio a gran voce per tutti i prodigi che avevano veduto, dicendo: “Benedetto colui che viene, il re, nel nome del Signore. Pace in cielo e gloria nel più alto dei cieli!”» (Lc 19,35-38). ■ Gesù ha sempre parlato di Dio con grande semplicità, partecipazione e capacità di toccare il cuore di ogni persona. Lui, il Figlio di Dio, ha accettato, per amore, di essere uomo fino in fondo. San Paolo ce lo ricorda sottolineando che Gesù non ha avuto paura di sperimentare il dolore, la fatica e la sofferenza fisica, la paura, l’angoscia e l’abbandono di molti amici. Ha svuotato se stesso e si è fatto servo: cioè si è messo a disposizione della vita di ogni uomo, per renderlo felice e regalargli la salvezza. Anche Luca, raccontandoci l’entrata

Isaia 50,4-7 Salmo 22,8-9.17-18.19-20.23-24 Lettera ai Filippesi 2,6-11 Luca 19,28-40


Signore, ti ringraziamo per averci donato Gesù: non si è mai vantato di essere tuo figlio, non ha mai mantenuto le distanze, non si è posto sul piedistallo… Si è fatto nostro amico, si è messo in ascolto delle nostre storie, ha tirato fuori il meglio di noi e ci ha perdonato quando lo abbiamo tradito. Padre Nostro, insegnaci ad abbandonarci a Te con l’entusiasmo e la speranza di Gesù: vogliamo incontrarti nella preghiera, nella lettura della Parola, nella partecipazione alla S.Messa, nella vita della comunità. Fa’ che noi ti possiamo amare come ti ha amato Gesù.

Oggi, e per i prossimi tre giorni, mi impegno:

Signore, quando ho fame, dammi qualcuno che ha bisogno di cibo; quando ho un dispiacere, offrimi qualcuno da consolare; quando la mia croce diventa pesante, fammi condividere la croce di un altro; quando non ho tempo, dammi qualcuno che io possa aiutare per qualche momento; quando sono umiliato, fa’ che io abbia qualcuno da lodare; Quando sono scoraggiato mandami qualcuno da incoraggiare; quando ho bisogno della comprensione degli altri, dammi qualcuno che ha bisogno della mia. Quando ho bisogno che ci si occupi di me, mandami qualcuno di cui occuparmi; quando penso solo a me stesso, attira la mia attenzione su un’altra persona. Solo così potrò camminare a fianco di Gesù sulla strada dell’amore che Lui ci ha insegnato.

■ a soffermarmi con attenzione, quando recito il Padre Nostro, sulla frase “sia fatta la tua volontà”: se con umiltà aprirò il mio cuore, l’amore di Dio mi donerà forza e coraggio per affrontare ogni problema e ogni situazione difficile della vita. ■ a non lamentarmi e protestare nei momenti di difficoltà e di tristezza, imparando da Gesù ad abbandonarmi nelle mani di Dio con grande fiducia e speranza.


M

i chiamavano “figlio di Alfeo”, che significa “dotto” e “giusto” ma voi mi conoscete come l’apostolo Giacomo il minore. Il mio nome in ebraico significa “che segue Dio”, azzeccato per me che sono nato pescatore, ma ho fatto cose grandi: ho incontrato San Paolo e dopo la partenza di Pietro sono diventato il primo vescovo di Gerusalemme, responsabile di quella prima Chiesa nata dopo la morte e risurrezione di Gesù! Se guardo alla mia vita, sì: ho scelto di seguire Dio! Per i cristiani di origine ebraica che vivevano lontano dalla Palestina ho scritto una lettera che potete leggere nel Nuovo Testamento: anche loro, come voi oggi, avevano bisogno di essere sollecitati a mettere in pratica nella loro vita quotidiana gli insegnamenti del Vangelo! Ho cercato di comunicare che ogni uomo deve vivere le Beatitudini e mettere in pratica concretamente la Parola di Gesù. Sono morto martire: dopo avermi torturato con un bastone mi hanno buttato giù dal Tempio di Gerusalemme. Per questo, vengo raffigurato vicino al bastone che ricorda il mio martirio. Mi hanno dipinto con i capelli lunghi e mossi, una barbetta corta e curata, una tunica verde e un mantello rosso. Cercatemi negli affreschi delle Chiese: spesso vengo ritratto vicino a San Pietro!


“ Q

uest’oggi, eccoci qui a riflettere sull’affermazione: “Credo la santa Chiesa cattolica”. A me piace pensare che la Chiesa è il luogo del “con”: Gesù non ha voluto degli amici che vivessero soli, ci ha voluti per stare “con” gli altri. In questo senso noi, la Chiesa, siamo un popolo in cammino che attraversa la storia, gente che fa la stessa strada sul percorso che conduce l’uomo alla felicità. Credere nella Chiesa non è avere una tessera di un club di persone che hanno un interesse in comune: credere nella Chiesa è credere nell’incontro voluto da Gesù di persone radunate dallo Spirito Santo. È un po’ come l’immagine di una ruota: avete presente la ruota della vostra bici? Bene, la ruota sta insieme e gira alla perfezione (permettendovi scorribande meravigliose, ammettetelo!) perché è ancorata dai raggi attaccati al perno centrale: la Chiesa è così, “gira” e funziona perché chiamata da Gesù, che è il nostro perno, il centro della nostra vita. E, come i raggi della ruota, più ci avviciniamo a Lui, più siamo vicini tra di noi. Lui ci tiene uniti. Gesù ci chiama nella sua Chiesa: noi che ci diciamo “cristiani” cerchiamo di testimoniare un modo di vivere diverso; proviamo a essere lo spot pubblicitario della bella notizia che è il Vangelo. Uno spot gioioso, colorato, che dica a tutti che essere Chiesa è bellissimo! La Chiesa ha il compito di custodire la fede ricevuta e di comunicarla a tutti, in ogni parte del mondo, tramandandola nel tempo. Ecco perché viene definita “cattolica”: perché è sparsa su tutta la Terra e perché si spende per raccontare il volto di Dio, oggi, a tutti gli uomini del nostro tempo.

la santa Chiesa cattolica


«Questo giorno sarà per voi un memoriale; lo celebrerete come festa del Signore: di generazione in generazione lo celebrerete come un rito perenne» (Es 12,14). ■ La Chiesa è “una comunità di persone in cordata” che cammina verso la salvezza: un po’ come il popolo ebraico ridotto in schiavitù in Egitto di cui narra il libro dell’Esodo. Dio dà le “istruzioni” a Mosè e ad Aronne per liberare la comunità di Israele dalla schiavitù. Solo credendo alle indicazioni date da Dio il popolo si salverà, camminerà insieme verso la “Terra Promessa” e potrà celebrare la Pasqua (cioè il “passaggio” dalla schiavitù alla libertà). La Chiesa su tutta la terra, quando celebra l’Eucaristia, “fa memoria” della storia della salvezza e rende di nuovo presente ed evidente, nel nostro mondo di oggi, l’agire di Dio e il suo amore per noi, che è talmente grande da donarci la salvezza.

«Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perchè anche voi facciate come io ho fatto a voi» (Gv 13,14-15). ■ La Chiesa nasce il giorno in cui Gesù nel Cenacolo mostra ai suoi discepoli la strada per la felicità. La lavanda dei piedi, simbolo del servizio, è il “metodo” che Gesù suggerisce a tutti noi in cammino verso la terra promessa che è l’eternità. Per essere “Chiesa” come intendeva Gesù occorre prima di tutto avere in ogni attimo l’atteggiamento del servizio per rendere visibile quella “Chiesa del grembiule” che sa essere vicina ad ogni persona, incontrandola nelle sue difficoltà quotidiane e facendosi prossima, cioè vicina nel cuore.

«Alzerò il calice della salvezza e invocherò il nome del Signore» (Sal 116,13). ■ Celebrare con gli amici e invocare il nome di Gesù ci rende ogni giorno Chiesa, comunità di coloro che sperimentano l’amore di Gesù e ringraziano il Padre per il dono della sua vita. «Ogni volta infatti che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga» (1 Cor 11,26). ■ San Paolo, attraverso queste belle parole, ci ricorda la centralità della promessa di Gesù: ogni volta che parteciperemo all’Eucaristia e facciamo memoria della sua Ultima Cena, Lui sarà presente tra noi per renderci, ogni volta di più, la “sua” Chiesa.

Esodo 12,1-8.11-14 Salmo 116,12-13.15-18 1 Lettera ai Corinzi 11,23-26 Giovanni 13,1-15


Eravamo dei sassi, uno contro l’altro, senza volerci bene. Grazie Spirito Santo, ci hai radunati e resi amici intorno a Gesù! Eravamo divisi, pietre spigolose capaci solo di costruire barriere. Grazie Padre per averci donato il perdono. Eravamo ammassati, ragazzi senza volto che non sapevano più dove andare. Grazie Gesù per aver voluto la Chiesa: qui ciascuno trova il suo posto, nella cordata verso il Paradiso. Tu ci chiami ad amare ogni persona come faresti tu. Nella mia comunità, Signore, aiutami ad amare, ad essere come il filo di un vestito. Esso tiene insieme i vari pezzi e nessuno lo vede se non il sarto che ce l’ha messo. Tu Signore, mio sarto, sarto della comunità, rendimi capace di servire con umiltà, perché se il filo si vede, tutto è riuscito male. Rendimi amore in questa tua Chiesa, perché è l’amore che tiene insieme i vari pezzi. (Madeleine Delbrel)

Come è facile, Signore, celebrare la tua Cena sotto le arcate della Chiesa! Come è facile, Signore, riconoscerci peccatori recitando distrattamente: «Signore pietà!». Come è facile, Signore, rispondere: «Rendiamo grazie a Dio!», alla tua Parola che ci comanda di portare ciascuno i problemi degli altri; di leggere la tua presenza nelle cose, nelle persone, nei fatti. Come è facile, Signore, assistere in ginocchio a Te che diventi pane e vino per tutti. Come è facile, Signore, dare la mano al vicino dicendo: “La pace sia con te!”. Come è facile, Signore, mangiare l’unico pane al suono dell’organo. Ma tu, Signore, dicendoci: “Fate questo in memoria di me”, ci hai comandato di rifare tutta la tua vita, non solo il gesto che la riassume. Signore, aiutami a celebrare la tua Messa da lunedì a sabato. Signore, che la Messa diventi la vita, e la vita la Messa. (Tonino Lasconi)

Oggi, e per i prossimi tre giorni, mi impegno:

■ a mettermi a servizio di una persona che ha concretamente bisogno di aiuto. Non si tratta di fare grandi cose: riordinare la mia stanza, tenere compagnia a un anziano, portare le bottiglie dell’acqua… Basta guardarmi intorno: c’è sempre qualcuno che ha bisogno di me! ■ a partecipare alla Messa che ricorda l’Ultima Cena e a guardare con affetto le persone intorno a me: insieme siamo la Chiesa voluta da Gesù! Lo ringrazio nel mio cuore perché non ha voluto che rimanessimo soli, ma ci raduna insieme nel Suo nome.


C

ari amici, avete già conosciuto mio fratello Giacomo il maggiore, il primo dei “figli del tuono” (Mc 3,17). Oggi mi presento anch’io: piacere sono Giovanni. Nel gruppo degli Apostoli sono il più giovane e sono riuscito a stringere un’amicizia così profonda con Gesù, che, quando mi trovai ai piedi della sua croce, poco prima che morisse, mi chiese di occuparmi di Maria come se fosse mia madre. É stato un onore per me, perché anche se quello era un momento di profondo dolore, ho sentito tutta la stima e l’amore che Gesù nutriva per me (Gv 19,25-27). Dopo la morte e la risurrezione di Gesù ho deciso di scrivere un libro su di Lui (il Vangelo che porta il mio nome), che raccontasse la sua vita e raccogliesse le sue parole e i suoi insegnamenti, perché non andassero perduti e potessero illuminare il cammino di tanti altri uomini e donne. I nemici di noi cristiani, un giorno, hanno cercato di uccidermi: pensate, volevano immergermi in un calderone pieno di olio bollente. Ma, fortunatamente, Dio ebbe misericordia di me e mi salvò la vita. Proprio a causa di questo episodio vengo invocato dagli ustionati, e mi pregano, perché li protegga, anche i librai, gli scrittori, i teologi e le vedove. Scampato il pericolo, però, fui esiliato nell’isola greca di Patmos, dove ho trascorso gli ultimi giorni della mia vita. I simboli che mi contraddistinguono nelle raffigurazioni sono l’aquila (in richiamo all’inizio del mio Vangelo), il libro (perché ho scritto il quarto Vangelo, il libro dell’Apocalisse e tre lettere chiamate “apostoliche”), il calice con il serpente (perché hanno tentato di avvelenarmi) e il calderone di olio bollente (che fu l’oggetto del mio mancato martirio).


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patì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, morì

opo aver annunciato il Regno di Dio, guarito con tanta tenerezza molti malati e indemoniati, operato miracoli in mezzo alla sua gente, regalato il perdono e la speranza a chi aveva perso la fiducia nella vita, Gesù viene condannato a morte e crocifisso. Perché? Perché viene accusato di andare contro le leggi religiose del suo popolo, di disprezzare e criticare la classe sacerdotale e, soprattutto, di pretendere di essere riconosciuto come il Messia, il Figlio di Dio. Di fronte a tanto odio Gesù sceglie di continuare ad essere coerente con ciò che andava annunciando: non scappa e affronta la passione e la morte in Croce, affidandosi al Padre. É disposto ad andare fino in fondo, pur di annunciare a tutti chi è davvero Dio: un Padre affidabile che non abbandona chi si affida a Lui. La Croce non è la smentita del Dio annunciato da Gesù, ma piuttosto il segno concreto e stupendo del suo amore per l’uomo, della sua verità e affidabilità. Mentre muore Gesù perdona i suoi carnefici, dimostrando che ci ama di un amore che non ricatta, che non obbliga, che non pone condizioni. E questo amore che noi riceviamo da Lui, se siamo in grado di donarlo agli altri, di farlo circolare, ci permette di costruire già qui e ora il Regno di Dio. È questo ciò che professiamo quando nel Credo affermiamo: “patì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, morì”.


«Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori; e noi lo giudicavamo castigato, percosso da Dio e umiliato. Egli è stato trafitto per le nostre colpe, schiacciato per le nostre iniquità» (Is 53,4-5). ■ Il servo di Dio di cui si parla in questi versetti, ci fa pensare subito a Gesù sofferente sulla croce, che si sacrifica per farci scoprire il volto buono del Padre. Sacrifica significa “rendere sacro”: Gesù accetta la morte per rivelarci chi è veramente Dio.

«E Pilato disse loro: «Ecco l’uomo!». Come lo videro, i capi dei sacerdoti e le guardie gridarono: “Crocifiggilo! Crocifiggilo!”. Disse loro Pilato: “Prendetelo voi e crocifiggetelo; io in lui non trovo colpa”. Gli risposero i Giudei: “Noi abbiamo una legge e secondo la legge deve morire, perché si è fatto Figlio di Dio”» (Gv 19,5-7). ■ I politici e i religiosi osservanti del tempo di Gesù non riescono proprio ad accettare che Lui sia il Messia di un Regno in cui il potere, l’onore e la ricchezza sono all’ultimo posto! Valori come l’onestà, la povertà, il dono di sé e l’amore gratuito danno fastidio! Eppure, come ci insegna Gesù che muore sulla croce, sono quelli che rendono la nostra vita degna di essere vissuta!

«Ma io confido in te, Signore; dico: “Tu sei il mio Dio, i miei giorni sono nelle tue mani”. Siate forti, rendete saldo il vostro cuore, voi tutti che sperate nel Signore» (Sal 30,15.25). ■ Nei momenti in cui non vediamo la soluzione ai nostri problemi, durante la prova della malattia o della sofferenza, abbandonarsi nelle mani di Dio e pensare alla croce di Gesù, dona la pace nel cuore e ci rende forti e capaci di sperare sempre in Dio. «Pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza da ciò che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono» (Eb 5,8-9). ■ Anche se era Figlio di Dio, Gesù non si è sottratto alla condanna, alla sofferenza e alla morte, confermando sulla croce ciò che aveva insegnato con la sua vita e con le sue parole. Se noi crediamo alle parole di Gesù e le mettiamo in pratica siamo sulla giusta strada: la via della nostra salvezza!

Isaia 52,13-53,12 Salmo 31,2.6.12-13.15-16.17.25 Lettera agli Ebrei 4,14-16;5,7-9 Giovanni 18,1-19,37


Signore, Padre Onnipotente, nella gioia o nel dolore, guidami, con la chiarezza della fede, a trovare in te l’aiuto ed il conforto. Fa’, o Padre Buono, che nella certezza del tuo amore io trovi la risposta a quelle domande che inondano il mio cuore e la mia mente. Fa’, o Padre Fedele, che io senta, sui passi della strada dolorosa, il tuo passo sicuro che non mi abbandona. (Cardinal Montini)

Signore Gesù, noi ti ringraziamo perché la parola del tuo amore si è fatta corpo donato sulla croce, ed è viva per noi nel Sacramento dell’Eucaristia. Fa’ che l’incontro con te nel Mistero silenzioso della tua presenza, entri nella profondità dei nostri cuori e brilli nei nostri occhi perché siano trasparenza della tua carità.

Dall’alto della croce mi fai un dono meraviglioso: mi doni una madre, la tua, Maria. Voglio parlarti del mio cammino, Maria. Voglio chiederti aiuto quando è dura perdonare, impegnarmi, restare fedele a Gesù. Ma voglio anche condividere con te la mia gioia quando la buona volontà mi rende tutto più facile, perché con il tuo aiuto io possa mantenere questa buona disposizione. Mi rifugio sotto la tua protezione Maria, donami la tua grazia e la tua tenerezza di Madre.

Oggi mi impegno:

■ a non rispondere male al male, tappandomi la bocca quando mi viene da essere vendicativo e “pagare

con la stessa moneta” chi mi tratta poco bene. Gesù, che ha dovuto sopportare cose terribili, mi può aiutare ad essere mite come lui. Nella mia preghiera posso dare un bacio al crocifisso. ■ ad essere coerente: cioè a mettere in pratica ciò che dico e penso. Provo ad essere onesto verso i valori in cui credo e a viverli anche quando ho paura di essere preso in giro o quando mi costa fatica e preferirei scappare.


O

ggi, cari amici, siete affidati alle mie cure e alla mia parola. Salve! Mi chiamo Giuda di Giacomo, ma tutti mi conoscono come Giuda Taddeo. Il nome Giuda, prima che l’infelice traditore lo rendesse odioso (quindi non sono da confondere con Giuda Iscariota…), era uno dei più belli nella storia ebrea. Era stato portato da uno dei figli di Giacobbe, o Israele, e a Giuda si intitolò addirittura una delle dodici Tribù, quella dalla quale sarebbe nato, in Betlemme, terra di Giuda, il Messia. Ma torniamo a noi. Per comodità gli amici mi chiamano Taddeo (Mc 3,13-19). Vi starete certamente chiedendo cosa significa “Taddeo”. Significa “dal petto largo”, cioè “magnanimo, uomo dal cuore grande, generoso e coraggioso”. Su queste qualità ho cercato di fondare la mia vita di uomo e di Apostolo di Gesù. Mio padre si chiamava Alfeo, mia madre Maria di Cleopa, ed era una delle donne, se ricordate, presenti al momento della crocifissione di Gesù (Gv 19,25). Mio fratello l’avete già conosciuto giovedì: è Giacomo il minore, un altro degli Apostoli. Prima dell’incontro con Gesù, ero un povero contadino. La mia generosità e il mio coraggio mi hanno spinto, dopo la morte e la risurrezione di Gesù, in Armenia. Qui ho annunciato il Vangelo (ho scritto anche una Lettera…) e sono morto martire, perché mi hanno tagliato la testa con una spada, che è diventata il mio simbolo. Sono il patrono dei casi disperati.


“ L

a giornata di oggi, Sabato santo, è caratterizzata dal silenzio. Sapete perché? Perché è il giorno in cui ricordiamo la sepoltura di Gesù. Nel Credo affermiamo: “fu sepolto”. Dopo la morte in croce, Gesù, come tutti gli uomini, viene seppellito in una tomba. Ai suoi tempi era un buco scavato in una roccia, di fronte a cui si faceva rotolare una grossa pietra, come copertura. Gesù, quindi, come tutti gli uomini viene sepolto. Ma quando recitiamo il Credo degli Apostoli aggiungiamo: “discese agli inferi”. Mamma mia che espressione difficile e “da brividi”… Che significato ha? Per capirla dobbiamo richiamare alla mente ciò che pensavano gli antichi (i miei contemporanei, per intenderci!). Essi ritenevano che la terra fosse piatta. E che ci fosse un “sopra” e un “sotto”. Sopra la terra, il cielo: l’abitazione di Dio. Sotto la terra, gli “inferi” (non l’inferno!): l’abitazione dei morti. Gesù dopo aver abitato la terra, prima di salire al cielo, scende negli inferi: diventa cioè il Salvatore di tutti coloro che sono morti. Gesù, che è la Vita, entra nel regno dei morti; lui che “è la Luce del mondo” ne inonda le tenebre spaventose e brilla per tutti coloro che hanno già concluso la loro esistenza sulla terra. Gesù disceso agli inferi con la sua morte, ha vinto la morte stessa, portando la gioia, la speranza e la salvezza tra tutti coloro che erano già morti. Ecco perché noi cristiani abbiamo un grande rispetto per i nostri cari defunti, continuiamo a vivere in comunione con essi e nel Credo professiamo “la comunione dei santi”, cioè crediamo che la morte non spezza quel legame di vita, di unità, di memoria e di condivisione di valori e di affetto, che ci lega alle persone a noi care, ormai morte.

e fu sepolto; discese agli inferi... ... la comunione dei santi


«Per questo gioisce il mio cuore ed esulta la mia anima; anche il mio corpo riposa al sicuro, perché non abbandonerai la mia vita negli inferi, né lascerai che il tuo fedele veda la fossa» (Sal 16,9-10). ■ Che parole straordinarie e cariche di fiducia! L’autore di questa preghiera sottolinea innanzitutto che soltanto la ricerca e la comunione con il Dio di Gesù danno senso, sapore e gioia alla vita. Soltanto chi si affida al Dio di Gesù può trovare quella speranza necessaria per avere una visione positiva della vita, anche in mezzo alle difficoltà e perfino di fronte alla morte. Chi ha gustato la comunione con Gesù e si fida di Lui, non ha più paura di nulla, nemmeno della morte. «Giuseppe di Arimatea, che era discepolo di Gesù, ma di nascosto, per timore dei Giudei, chiese a Pilato di prendere il corpo di Gesù. Pilato lo concesse. Allora egli andò e prese il corpo di Gesù. Vi andò anche Nicodemo […] e portò circa trenta chili di una mistura di mirra e di àloe. Essi presero allora il corpo di Gesù e lo avvolsero con teli, insieme ad aromi, come usano fare i Giudei per preparare la sepoltura. Ora, nel luogo dove era stato crocifisso, vi era un giardino e nel giardino un sepolcro nuovo, nel quale nessuno era stato ancora posto. Là dunque, […] deposero Gesù» (Gv 19,38-42). ■ Con grande rispetto e cura alcuni degli amici più cari di Gesù si preoccupano di seppellirlo in modo dignitoso. Gesù è trattato come il Signore e il tutto si svolge in un’atmosfera di pace e di serenità. Per descrivere il gesto conclusivo dei discepoli, Giovanni non scrive che “deposero il corpo di Gesù”, ma semplicemente “deposero Gesù”, come se si trattasse della sua persona, non soltanto del suo cadavere. Questa è un’affermazione importante, perché ci ricorda che anche nella tomba Gesù è il Vivente.

Salmo 16,1-11 Giovanni 19,38-42


Signore Gesù, sei disceso nell’oscurità della morte. Ma il tuo corpo viene raccolto da mani buone, profumato e avvolto in candidi lenzuoli. La fede non è morta del tutto, il sole non è del tutto tramontato. Quante volte sembra che tu stia dormendo. Fa’ che nell’ora dell’oscurità riconosciamo che tu comunque sei lì. Non lasciarci da soli quando ci scoraggiamo di fronte alle difficoltà della vita. Donaci un amore che ti accolga e una speranza che ci aiuti a guardare con fiducia al futuro. Ti offriamo le nostre capacità, il nostro cuore, il nostro tempo, preparando così il giardino nel quale può avvenire la risurrezione.

O Gesù, mi fermo in silenzio ai piedi del tuo sepolcro per riconoscere la tua grande e infinita bontà. Signore, tu sei venuto nel mondo per me, per cercarmi e portarmi l’abbraccio del Padre. Tu sei il volto della bontà e della misericordia: per questo vuoi salvarmi! Dentro di me ci sono le tenebre: vieni con la tua limpida luce. Dentro di me c’è tanto egoismo: vieni con la tua sconfinata carità. Dentro di me c’è rancore e malignità: vieni con la tua mitezza e la tua umiltà. Signore, il peccatore da salvare sono io: perdonami. Signore, concedimi il dono delle lacrime, per ritrovare la libertà e la vita, la pace con Te e la gioia in Te.

Oggi mi impegno:

■ a trovare il tempo per andare in chiesa e raccogliermi alcuni minuti in silenzio per ricordare la sepoltura di Gesù e vivere in comunione con i miei cari che sono morti. ■ a vivere in un clima di attesa e pazienza, cioè senza pretendere “tutto e subito”. Gesù, come il seme affidato alla terra, riposa nel sepolcro in attesa della risurrezione, che non è avvenuta immediatamente dopo la sua morte


T

utti gli anni sentite parlare di me la seconda domenica di Pasqua (chiamata “in albis” o della “divina misericordia”). Piacere, sono l’apostolo Tommaso, soprannominato Didimo, che significa “gemello”. Sono nato e vissuto in Galilea e come molti altri apostoli, che ormai conoscete bene, prima di incontrare e seguire Gesù, di mestiere facevo, tanto per cambiare, il pescatore. Sono un tipo pignolo e preciso, tutt’altro che credulone. Il mio nome, vi ricordate di certo, è legato a quell’episodio accaduto appena dopo la risurrezione di Gesù (Gv 20,24-29). I miei colleghi apostoli mi avevano raccontato dell’incontro che, poco prima, avevano avuto con Lui risorto. Io non ero presente in quel momento e, prima di credere a questa notizia così sensazionale, mi sembrava giusto verificare se quello che andavano dicendo corrispondesse a verità. Per questo ho fatto lo sfacciato: “Non crederò se non vedo nel Risorto i segni del crocifisso!”. Non volevo di certo fare l’incredulo, ma nemmeno essere un credulone! E Gesù questo l’ha capito benissimo! Infatti, quando si è presentato di fronte a me, l’ho riconosciuto al “primo colpo” ed è stato facile, per me, piombare in ginocchio di fronte a Lui ed esclamare: “Mio Signore e mio Dio!”. Da quel giorno in poi, la mia vita è cambiata: con grande passione e dedizione, infatti, mi sono dedicato all’annuncio del Vangelo. Pensate, mi sono spinto fino in India, ho fondato molte comunità cristiane e, con coraggio, ho accettato di subire il martirio, per testimoniare la mia fede in Gesù. Quando vengo raffigurato nei quadri i miei simboli sono la lancia (che è lo strumento con cui sono stato ucciso) e la squadra (per questo i geometri e gli architetti mi invocano come loro patrono). E spesso vengo rappresentato con il dito puntato verso l’alto: nell’intento, appunto, di indicare Gesù, il Vivente e il Risorto.


“ S

il terzo giorno risuscitò da morte... ... la risurrezione della carne, la vita eterna

iamo giunti a Pasqua, il giorno dedicato alla memoria della risurrezione di Gesù, l’avvenimento decisivo della nostra fede, tant’è che nel Credo affermiamo con gioia e speranza: “il terzo giorno risuscitò da morte”. Riconosciamo cioè che Gesù è davvero morto e che, dopo tre giorni passati nella tomba, grazie all’intervento della bontà di Dio Padre, è risorto. La sua nuova condizione sfugge al nostro abituale modo di comprendere: è proprio lui, risorto, con il suo corpo che porta ancora i segni della crocifissione, ma non ha più i confini dello spazio e del tempo. Appare ai suoi amici più cari, che ne diventano i testimoni, ma nel momento in cui compie nuovamente il gesto dello spezzare il pane (che era l’ultimo gesto vissuto con loro durante l’Ultima Cena), sparisce dalla loro vista (Lc 24,28-31), perché, ormai, non hanno più bisogno della sua presenza fisica. Se Gesù non fosse risorto, la nostra fede non avrebbe senso! Grazie alla risurrezione di Gesù, poi, anche per noi si apre un futuro di speranza e possiamo dire con sicurezza di credere “la risurrezione della carne e la vita eterna”. Cioè possiamo affermare con serenità che ogni uomo creato da Dio, compresi noi, una volta morto, risorge con tutto se stesso: il proprio corpo, il bene che ha seminato nell’esistenza terrena, le relazioni intrecciate con gli altri, le esperienze esaltanti sperimentate nella vita vissuta all’insegna dell’amore. Soltanto il peccato e l’egoismo non risorgeranno, ma in Dio saranno perdonati e cancellati. E tutto ciò, fidatevi, in Dio diventerà vita senza fine, eternità felice e comunione piena con Lui creatore e Padre.


«Dio consacrò in Spirito Santo e potenza Gesù di Nazareth, il quale passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con lui. E noi siamo testimoni di tutte le cose da lui compiute nella regione dei Giudei e in Gerusalemme. Essi lo uccisero appendendolo a una croce, ma Dio lo ha risuscitato al terzo giorno» (At 10,38-40). ■ Al centurione Cornelio, il mio amico Pietro racconta con poche parole la storia di Gesù: una storia contrassegnata dalla bontà e dalla tenerezza, che ha fatto trasparire Dio e che, nonostante la tristezza della croce e della morte, si è compiuta nella risurrezione. Chiunque crede a Gesù e si fida di Lui, continua Pietro, riceve il perdono dei peccati e trova un senso per la propria vita. «Questo è stato fatto dal Signore: una meraviglia ai nostri occhi» (Sal 117,23). ■ Qual è la meraviglia compiuta da Dio di fronte ai nostri occhi? È la risurrezione di Gesù: un evento nuovo, mai accaduto prima, frutto della fantasia e della bontà di Dio, che ci infonde speranza e ci dona gioia. «Se dunque siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove è Cristo, seduto alla destra di Dio; rivolgete il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra» (Col 3,1-2). ■ Chi è il cristiano? È colui che crede alla risurrezione di Gesù e che nel Battesimo “è rinato a vita nuova con Lui e grazie a Lui”. Proprio per questo vive “con i piedi ben piantati per terra”, cioè prende sul serio la vita di ogni giorno con le sue gioie e le sue fatiche, ma con lo “sguardo rivolto verso il cielo” e, quindi, verso Dio, colui che dà senso al suo cammino e rappresenta il compimento della sua vita.

«Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro. Corse allora e andò da Simon Pietro e dall'altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: "Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l'hanno posto!» (Gv 20,1-3). ■ Il primo annuncio della risurrezione di Gesù è affidato ad una donna: Maria di Màgdala. Questa donna è impaziente, non si dà pace e di buon mattino, spinta dall’affetto che nutre per Gesù, si reca al sepolcro; sente il bisogno di stare vicino al posto in cui hanno sepolto il suo Signore e va alla tomba di Gesù quando è ancora buio. É buio non solo intorno a lei, ma anche nel suo cuore, velato dalla tristezza, dal pianto e dalla disperazione per la morte di una persona a lei cara. Ed ecco la sorpresa sconcertante: il sepolcro è vuoto. Gesù se n’è andato dalla tomba, è risorto. Vivere la Pasqua significa stupirsi di fronte ad un Dio che ci lascia a bocca aperta; è credere all’“incredibile”; è vincere il buio della tristezza e della morte, per aprirsi alla bellezza di una vita senza fine.

Atti degli Apostoli 10,34.37-43 Salmo 117,1-2.16-17.22-23 Lettera ai Colossesi 3,1-4 Giovanni 20,1-9


Anche noi siamo accorsi al sepolcro. Anche noi siamo andati oltre la pietra. Anche noi abbiamo visto! Siamo chiamati a fare il passo decisivo della fede. La risurrezione di Gesù ci invita ad uscire dalla nostra incredulità, a scegliere con convinzione e fiducia la via del cielo. È Pasqua! È il giorno della vita che più non muore, della gioia che non ha mai fine. È Pasqua! È il tempo del credente che esce allo scoperto, che testimonia la sua speranza, che si fortifica nelle difficoltà, che annuncia la vita nuova in Cristo risorto. È Pasqua! Nella Chiesa, per la Chiesa, con la Chiesa che annuncia speranza là dove regna la disperazione, che annuncia una forza là dove si subisce la violenza, che annuncia il riscatto là dove vige la schiavitù. È Pasqua! Cristo è veramente risorto, per sempre, per tutti! La sua risurrezione è speranza, certezza. Diventiamo noi stessi testimoni per gli altri. È Pasqua!

Signore Gesù, credo che sei veramente risorto e vivi tra noi. Ti ringrazio perché vuoi servirti di me per far più sereno il mondo. Aiutami a guardare con i tuoi occhi, a giudicare con la tua intelligenza, ad agire con il tuo cuore. Fammi eco della tua voce, riflesso del tuo stile di vita, strumento della tua grazia e del tuo amore. Signore Gesù, tu ti riveli ancora per mezzo nostro. Chi ci vede, chi ci ascolta, chi tratta con noi s'accorga che tu sei veramente risorto e vivi in noi, per la salvezza e la gioia di tutto il mondo.

Cantiamo un canto nuovo, è la Pasqua del Signore. È il giorno della luce, alleluia, alleluia! Sei risorto per noi, Signore, ed ora tu vivrai con noi. Corre veloce questa notizia: il suo sepolcro è vuoto ormai. Sei risorto per noi, Signore, e ogni uomo salverai. È un grande dono la tua vita che immenso amore a noi darà. Sei risorto per noi, Signore, risorgeremo insieme a te. Se tu sarai accanto a noi la vita nuova nascerà. Sei risorto per noi, Signore, la pace vera donerai. Portiamo al mondo una speranza: oggi sei vivo in mezzo a noi. Cantiamo un canto nuovo, è la Pasqua del Signore. È il giorno della luce, alleluia, alleluia!

Oggi (e da oggi in poi…) mi impegno:

■ a non mancare alla Santa Messa, perché è l’appuntamento speciale che ci dà Gesù per vedere, gustare

e imparare il suo amore per noi; un amore da testimoniare e capace di “contagiare” tutti di gioia. ■ ad assumere, in famiglia e in ogni altro posto in cui mi trovo, un comportamento da risorto: sorrido, incoraggio, tratto con gentilezza chi si trova accanto a me, sono accogliente e servizievole…


R

ieccomi! Sono di nuovo io, Pietro. Siamo ormai giunti al termine del nostro cammino. Interessante vero? Per me lo è stato! Ma, prima di salutarci, c’è ancora un particolare che mi sembra importante sottolineare. È la parolina “Amen” che pronunciate a conclusione del Credo. Dire “Amen” significa affermare: “sono d’accordo”, “è così”, “sono convinto di tutto ciò che ho detto prima”. Dopo che, attraverso le affermazioni del Credo, avete riconosciuto e proclamato la bontà del Signore, il vostro “Amen” diventa un affidamento al Dio di Gesù che, nella sua grande misericordia vi benedice, vi cammina accanto sempre, in ogni situazione della vita, vi perdona, vi dona la sua pace e vi rende capaci di compiere, nel suo nome, grandi cose. E, a proposito di grandi cose, voglio finire di raccontarvi il resto della mia vita. Se ricordate mi ero fermato, nell’introduzione, al momento in cui Gesù, dandomi le “chiavi del Paradiso”, mi aveva nominato “capo” degli Apostoli… Ebbene, dal giorno di Pentecoste in poi, grazie alla forza dirompente dello Spirito Santo, senza più alcuna paura, ho speso tutto il mio tempo e le mie energie per annunciare al mondo intero la risurrezione di Gesù e il suo Vangelo (At 2,14-36). Pensate, sono giunto fino a Roma, la capitale dell’Impero romano e qui, dopo essere stato arrestato perché ero un cristiano, sono stato condannato a morte dall’imperatore Nerone. Come Gesù, la persona più cara della mia vita, mi hanno crocifisso: a testa in giù, però, perché non mi ritenevo degno di morire come Lui! Come lo è stato per me, anche il vostro “Amen” diventa un impegno: a far sì che la fede professata con le parole e con le labbra, sia testimoniata con la vita. È facile, a parole, dire: “Credo in Dio, in Gesù, nello Spirito e nella Chiesa”; è più impegnativo, invece, tradurlo in una testimonianza di vita fedele, coerente e perseverante. Che lo Spirito di Gesù Risorto vi aiuti sempre a pregare il Credo con convinzione e a farlo diventare il vostro “programma di vita”. Saluti cari. Il vostro amico Pietro, “capo” degli Apostoli e amico vero di Gesù.


Le affermazioni del

le trovi spiegate in…

da...

CREDO APOSTOLICO Io credo in Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra; e in Gesù Cristo, suo unico Figlio, nostro Signore,

introduzione 1ª domenica di Quaresima (17 febbraio) domenica delle Palme (24 marzo) 2ª domenica di Quaresima (24 febbraio)

il quale fu concepito di Spirito Santo, nacque da Maria Vergine, patì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, morì e fu sepolto:

venerdì santo (29 marzo) sabato santo (30 marzo) domenica di Pasqua (31 marzo)

discese agli inferi; il terzo giorno risuscitò da morte; salì al cielo, siede alla destra di Dio Padre onnipotente; di là verrà a giudicare i vivi e i morti. Credo nello Spirito Santo, la santa Chiesa cattolica, la comunione dei santi, la remissione dei peccati, la risurrezione della carne, la vita eterna. Amen.

5ª domenica di Quaresima (17 marzo) 3ª domenica di Quaresima (3 marzo) giovedì santo (28 marzo) sabato santo (30 marzo) 4ª domenica di Quaresima (10 marzo) domenica di Pasqua (31 marzo) conclusione

giuda


SUSSIDIO A CURA DI: COORDINAMENTO PASTORALE RAGAZZI Via Amedeo Rossi 28 - 12100 CUNEO tel. 0171 649334 - fax 0171 649337 e-mail: pastoraleragazzi@diocesicuneo.it sito internet: www.ragazzi.diocesicuneo.it

UFFICIO DIOCESANO FAMIGLIA Via Amedeo Rossi 28 - 12100 CUNEO tel. 0171 649328 - fax 0171 649337 e-mail: ufficiofamiglia@diocesicuneo.it sito internet: www.ufficiofamiglia.diocesicuneo.it

UFFICIO CATECHISTICO DIOCESANO Via Amedeo Rossi 28 - 12100 CUNEO tel. 0171 603543 - fax 0171 649337 e-mail: ufficiocatechistico@diocesicuneo.it sito internet: www.catechesi.diocesicuneo.it

UFFICIO BENI CULTURALI ECCLESIASTICI Via Roma 7 - 12100 CUNEO tel. - fax 0171 480612 e-mail: arte@diocesicuneo.it sito internet: www.arte.diocesicuneo.it

I disegni sono di: Ilaria Pigaglio - ilaria.pigaglio@tiscali.it La grafica é di: Emiliano Tosello I testi sono di: Federica Bernardi, Laura Caniggia, Maria Ciola, Monica Rosso, Paola Gallizia, Tommy Reinero, don Gabriele Mecca, don GianMichele Gazzola. Per le foto dei quadri degli Apostoli si ringrazia l’ UFFICIO BENI CULTURALI della Diocesi di Cuneo

Partecipate ai laboratori organizzati dal Museo Diocesano per i bambini e i ragazzi

www.museodiocesanocuneo.it


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