Entertainment Illustrated - 07

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EI n° 7

DICE MB RE 201 9

EN TERTA IN M EN TILLUSTR ATED.IT

TV

M US ICA

D IGITAL

LIFEST YLE

Paolo Ruffini

Paola Iezzi

High-tech news

Milano mon Amour

Non ci resta che ridere

“Cosa non passa mai di moda? La cultura”

Dieci novità per gli high-tech addicted

Per sempre o solo per una vacanza

→ Foto: Chico De Luigi - Courtesy Saverio Ferragina

CINEMA

STEFANO ACCORSI

Tra grande schermo (“La Dea Fortuna” arriva nelle sale proprio in questi giorni) e serie tv (che successo “1994”!), passando per il teatro. Amante della famiglia, della lettura e dei motori, l’attore bolognese ci racconta cosa lo fa stare bene.


n° 7

ENTERTAINMENT ILLUSTRATED

STAFF

Staff Editor in chief Indira Fassioni i.fassioni@entertainmentillustrated.it Art direction Michelangelo Petralito e Iolanda Rotiroti info@pr-a.it Graphic design Ergest Ajasllari e Alessandra Carta per PR-A Segreteria Laura Mandelli l.mandelli@belviveremedia.com Ufficio traffico Franca Ghetti f.ghetti@belviveremedia.com Concessionaria per la pubblicità Bel Vivere Media adv@belviveremedia.com Editorial Office Bel Vivere srl Via Alessandria 8, 20144 Milan (Italy) Tel. +39 02 83311211 www.belviveremedia.com info@belviveremedia.com Chairman Diego Valisi d.valisi@belviveremedia.com Publisher Assistant Patrizia Zerbo p.zerbo@belviveremedia.com Distribuzione Italia PSC Promos Comunicazione via Tertulliano 70, 20137 Milano +390289540195 Contributors Nadia Afragola, Francesca Angeleri, Alessandra Contin, Fabio Cormio, Marta Cossettini, Indira Fassioni, Mariacristina Ferraioli, Luca Forlani, Laura Frigerio, Tommaso M. S. Laganà, Margherita Maroni, Paolo Orlandi, Monica Papagna, Ida Papandrea, Fabio Santopietro, Martina Zito. Rotopress International srl Via Brecce, 60025 Loreto (AN) +39 071 9747511 Via E. Mattei 106, 40138 Bologna + 39 051 4592111 Registrazione al tribunale di Milano n.326 del 22/11/2017

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EDITORIALE

Editoriale

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n° 7

→ di Indira Fassioni

È al tema del sogno che ho deciso di dedicare il mio primo numero di Entertainment Illustrated come direttore – un numero completamente rinnovato e ridisegnato in versione più contemporanea. Perché sognare, forse, è l’unico modo che abbiamo di fuggire da un’esistenza che ci angustia da ogni lato. È tutto quello che ci resta. O, come ha scritto Claudio Magris (docente universitario, scrittore e traduttore), nel suo saggio “Utopia e Disincanto”, quello di cui abbiamo bisogno per andare avanti è l’utopia unita al disincanto. L’utopia, per Magris, è il non arrendersi alle cose così come sono e lottare per le cose così come dovrebbero essere; sapere che il mondo ha bisogno di essere cambiato e riscattato. È l’ideale non realizzabile, racchiuso nella parola utopia, che permette agli uomini di sognare un mondo migliore. L’assenza di illusioni (quindi il disincanto), che ci riporta alla realtà limitando i nostri sogni, è invece un ossimoro, una contraddizione che l’intelletto non può risolvere e che solo la poesia può esprimere e custodire, perché esso dice che l’incanto non c’è ma suggerisce, nel mondo e nel tono in cui lo dice, che nonostante tutto, c’è e può riapparire quando meno lo si attende. Protagonista di questa copertina l’attore Stefano Accorsi: non una scelta a caso, ma una scelta voluta. Un uomo sereno, educato, che si mette in gioco per un miglioramento continuo. Trova il bello ovunque ed è sempre alla scoperta della bellezza nelle piccole e nelle grandi cose a partire dalla famiglia. Un ringraziamento alla mia redazione che con passione ed entusiasmo si è dedicata a questo primo numero. E allora, torniamo a sognare.

→ Illustrazione: Paolo Orlandi

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MARCH 2019

I TA L Y I L L U S T R AT E D


SOMMARIO

Sommario

ENTERTAINMENT ILLUSTRATED

CINEMA STEFANO ACCORSI

12

CHIARA FERRAGNI

15

TOP 10 CINEMA

16

JACOPO VENTURIERO

18

TV & RADIO PAOLO RUFFINI

22

ANTEPRIMA SERIE TV

24

ANTONIO MONTI

26

RIVERDALE

28

MUSICA PAOLA IEZZI

32

MAURO FERRUCCI

34

MERK & KREMONT

36

TOP 10 MUSIC

37

DIGITAL & TECH MEN OF MEDAN

40

TOP 10 VIDEOGAMES

42

HIGH-TECH NEWS

44

TOP 10 APP

46

LIFESTYLE

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PAOLO ORLANDI

50

MAX PAPESCHI

52

DELRESTO

55

ANNA DELLO RUSSO

56

RIVOLUZIONE SILENZIOSA

58

DER PRINZ TATTOOER

59

RISTORANTE LAROSSA

61

ULTIMA PAGINA

62

n° 7



CINEMA

ENTERTAINMENT ILLUSTRATED

n° 7

Cinema STEFANO ACCORSI

12

CHIARA FERRAGNI

15

TOP 10 CINEMA

16

JACOPO VENTURIERO

18

11

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n° 7

ENTERTAINMENT ILLUSTRATED

CINEMA

STEFANO ACCORSI

12 → Foto: Chico De Luigi - Courtesy Saverio Ferragina

→ di Fabio Cormio

Incontriamo Stefano Accorsi poco prima che “La Dea Fortuna” di Ferzan Özpetek esca nelle sale. L’attore bolognese è un uomo impegnatissimo e al contempo di una disponibilità e di un’educazione effettivamente rare in chi fa il suo mestiere a livelli così alti. Lo abbiamo voluto in copertina su questo numero non solo per lo spessore del personaggio, ma perché è stato protagonista di un’intervista sincera e aperta, dove non ha mai lesinato risposte profonde e che ha spaziato a 360° sulla sua vita, con un’ovvia prevalenza (siamo o non siamo Entertainment Illustrated?) per lo svago e l’intrattenimento.

Lo sport nella tua vita: mantenere un’ottima forma è una necessità che riguarda il tuo lavoro oppure l’attività fisica è qualcosa che ti appassiona davvero?

La lettura come svago: meglio digitale o su carta? “Per lavoro mi capita di leggere molte cose in digitale, dai copioni, alle bozze, a materiale vario. Il digitale naturalmente rende tutto più facile e immediato, basta avere un device che puoi portarti ovunque. Il libro invece lo identifico con il relax, il tempo libero: se posso scegliere di leggermi qualcosa per conto mio, opto per il formato cartaceo”. L’ultimo libro letto? “I romanzi di Sciascia. Però, visto che ero in viaggio, me li sono scaricati tutti e li ho letti in digitale...”.

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“Di base fare attività fisica è qualcosa che mi fa stare bene, e questo viene prima di tutto. Poi mi piace anche sentirmi e vedermi in forma. Detto questo, io credo che chiunque faccia il mio mestiere debba lavorare sul proprio corpo. Ci sono tanti modi per farlo, esercizi più specificatamente teatrali ad esempio. A me piace invece l’approccio sportivo, quando non posso praticare sport non mi sento bene. Pensa che con il mio preparatore, Antonio Saccinto, e con un amico medico, Piero Biondi, abbiamo cominciato a prepararci per il triathlon: l’idea non è quella di farlo con spirito agonistico, ma ci piace darci un obiettivo, una meta da raggiungere. Non mi basta l’idea di fare sport solo per il lato estetico”.


CINEMA

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n° 7

Come mangi? Segui una dieta particolare? È qualcosa a cui dai molta attenzione? “Ho avuto periodi anche un po’ ossessivi, nel senso che quando ti alleni tanto rischi di cadere nel lato oscuro, sia per quanto riguarda lo sport che per l’alimentazione. Adesso sono molto più sereno, col tempo mi sono creato delle abitudini alimentari e mangio sano, ma mi capita spesso di uscire a cena e allora mi piace bere del buon vino, mangiare bene senza negarmi nulla, quando è il caso. Insomma, quando posso, mi piace godermela. Tuttavia, all’occorrenza, se devo limitarmi a riso in bianco e petto di pollo perché mi sto preparando per un film, soffro un po’ e lo faccio”.

Hai una vita un po’ divisa, per esigenze familiari, tra Milano e Parigi, ma ci sono dei luoghi speciali per te, dove torni per stare bene? “Sono legato a Bologna, la mia città. Ma riesco raramente a tornarci. Amo la montagna d’estate, è una dimensione che mi mette in pace con me stesso, mi piacciono la quiete, il fresco... In montagna ritrovo un’autenticità, una cultura alimentare, un rispetto dei luoghi che amo”.

Che utente di cinema e di serie tv sei? Mi dici qualche titolo che ti ha appassionato ultimamente? “Direi Chernobyl, angosciante ma molto bella, e poi, soprattutto, Stranger Things: ho molto amato le tre stagioni trasmesse finora. Ha ricostruito gli anni ‘80 in modo perfetto ma non pedissequo, ci ho trovato un gusto della citazione sopraffino: fantastica. Mi è piaciuta molto anche Bodyguard, una serie inglese divertente, efficace, bella. Non sono un nerd che guarda proprio tutte le serie, però diciamo che ne vedo parecchie. Al cinema invece non riesco ad andare spesso, nei periodi in cui sono sul set, ma recupero appena possibile. Insomma, quando lavoro faccio fatica ad andare in sala, mentre la serialità ha per me una fruizione più semplice. Addirittura un film come Roma di Alfonso Cuaròn non sono riuscito a vederlo al cinema ma l’ho visto su Netflix”.

“Devo dire che la polemica non è nata dal popolo dei social ma da un’associazione di esercenti. Anzi, il popolo dei social tendenzialmente mi ha difeso a spada tratta, parliamo del 99% dei casi. Quindi la polemica è davvero diventata un autogol per chi l’ha sollevata. Oltretutto, io non ho infranto alcuna legge: ho scoperto infatti che non puoi mangiare seduto sui gradini di una chiesa... Io ero seduto ai tavolini di un bar pubblico, chiuso, e ho anche buttato civilmente il cartone; ecco, diciamo che se avessi avuto una birretta, sarei stato più felice”. Tu gestisci personalmente i tuoi canali social: ma se un fan diventa sgradevole o una follower troppo appiccicosa, come ti comporti?

→ Foto: Romolo Eucalitto – Courtesy of Warner Bros. Entertainment Italia

Foto di scena dalla serie tv, esclusiva Sky, “1994”, in onda da ottobre, diretta da G. Gagliardi e C. Noce

Qualche tempo fa ci fu una polemica sui social, riguardo a una foto di te in smoking che mangiavi una pizza in cartone in Piazza San Marco. Quell’assurdo episodio ti ha insegnato qualcosa sul popolo dei social?

“Le volte in cui ho ricevuto messaggi sgradevoli sono state rare. In quei casi blocco, non mi faccio grandi problemi. Tendenzialmente chi mi segue sui social è perché mi apprezza e mi vuole bene; quanto alle fan un po’ insistenti, finché non sono messaggi fastidiosi va bene, alle volte rispondo o metto il like. Una cosa che trovo affascinante dei social è che alle volte ti permettono quasi di leggere i pensieri delle persone: ci sono cose che uno non ti direbbe mai dal vivo ma che invece sui social trova il coraggio di scriverti, ed è molto positivo, perché il rischio di chi fa il mio mestiere è che a un certo punto ti sembra di vivere in una realtà un po’ falsata, dove tutto quello che fai è bello, tutto è al top, mentre sui social c’è anche quello che, se non gli piace quello che tu fai, te lo dice. Un indicatore importante”. Tra tutti i film che hai fatto, quali hanno segnato indelebilmente il tuo percorso?

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“Dunque, ci sono due aspetti: alcuni film hanno segnato il mio percorso perché hanno colpito il pubblico e altri, invece, magari mi hanno dato un’opportunità interpretativa speciale, anche estrema. Veloce come il vento ha colpito tantissimo il pubblico, forse anche perché mi ricollegava alle mie radici, e la stessa cosa ha fatto il personaggio di Freccia in Radiofreccia. Queste due pellicole hanno qualcosa che mi avvicina alle mie origini. Per intenderci, prendendo come riferimento Ligabue, secondo me lui scrive ‘in lingua’ più che in italiano, io so già dove vuole andare a parare con certe frasi, con certe parole, come vuole gli appoggi... E parlo di Ligabue perché è emiliano come me e perché è uno che sa usare le parole molto bene. Oltre a questi due film, citerei anche la trilogia 1992-1993-1994, una grande opportunità per me, perché è un progetto che ho portato in prima persona da un produttore e che si è poi concretizzato. A partire da lì sono diventato parte più attiva del lavoro: ho altri due progetti televisivi in fase di realizzazione e tutto questo è molto importante per il mio percorso. Tra i fondamentali, vorrei citare un altro mio film che ha emozionato molto il pubblico e che ha tenuto benissimo il tempo: Le Fate Ignoranti”.

→ Foto: Antonello&Montesi ©SkyWildside2019

Parliamo di motori, altro argomento che ti appassiona. “Veloce come il vento” ti ha portato a conoscere dal di dentro l’automobilismo sportivo, l’adrenalina della pista... Sei un vincente anche al volante? “Le due e le quattro ruote mi sono sempre piaciute molto. Ho scoperto col tempo, grazie al mio istruttore nonché veloce pilota Max Arduini, che l’uso dell’auto in pista è qualcosa di profondamente diverso dall’utilizzo quotidiano: l’abitacolo di una vettura da corsa è scomodo, rovente, ne ha tante insomma, ma ti fa capire veramente come funziona ogni componente della macchina. Da qui ad andare davvero forte, però, ce ne passa: ci sono ragazzi di vent’anni che già da tanto bazzicano le piste... ecco, quelli sì che vanno veloce davvero, se la contendono a colpi di decimi sul giro. Diciamo che è un mondo che mi diverte e mi appassiona. Se mi capita, tornerò in pista, l’esperienza che ho fatto è stata bella e istruttiva, ma competere in un intero campionato non sarebbe compatibile con i miei impegni sul set”. In comune abbiamo la passione per la motocicletta e so che da tempo sei alla ricerca della “moto totale”. L’hai poi trovata? “Più vado avanti e più mi rendo conto che mi piacciono le cilindrate ‘raccolte’. Per esempio, ora ho in uso una Moto Guzzi V85 TT (850 cc, quindi non proprio una ‘maximoto’), ed è un mezzo che mi piace veramente tanto, grazie al suo baricentro basso, alla facilità di utilizzo (comune anche alla Scrambler Ducati, altra moto che apprezzo) che si accompagna al piacere di guida. Io poi amo usare la moto per viaggiare, anche in coppia, oltre a utilizzarla in città per i piccoli spostamenti, e questa Guzzi ti consente tutto, è davvero azzeccata e mi piace un sacco”.

Uno scatto dal set di “La Dea Fortuna” di Ferzan Ozpetek, nelle sale a partire dal 28 novembre. Da sinistra Stefano Accorsi, Edoardo Brandi, Jasmine Trinca, Sara Ciocca, Edoardo Leo

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→ Foto: Romolo Eucalitto Courtesy of Warner Bros. Entertainment Italia


n° 7

ENTERTAINMENT ILLUSTRATED

CINEMA

Da La Dea Fortuna, il film in uscita il 19 dicembre, cosa ti aspetti? E cosa ti ha lasciato quest’esperienza? A proposito, nel mese di luglio c’è stata molta risonanza per il Gay Pride. Tu con Ferzan Özpetek hai interpretato più di una volta dei personaggi omosessuali (anche nell’ultimo tuo lavoro, La Dea Fortuna). Questo, a una lettura superficiale e qualunquista, contrasterebbe con la tua immagine di sex symbol. Hai adottato una preparazione particolare per immedesimarti in personaggi dall’orientamento sessuale diverso dal tuo? “Ci vuole una preparazione come per ogni altra interpretazione. Quando leggi un copione è sempre così: ci sono cose che ti sembrano già chiarissime, altre meno chiare, e altre ancora che ti risultano completamente oscure. Il lavoro di preparazione, che svolgo anche con l’aiuto della mia coach di recitazione Anna Redi, è proprio quello che ti consente di far luce su tutti gli aspetti del personaggio, ed è ciò che ho fatto nei film con Ferzan. L’ho fatto anche quando ho dovuto interpretare un pilota di auto: mi piacciono le macchine, d’accordo, ma io non sono un pilota”.

“È stato un film complesso ma al contempo semplice, perché, grazie a Ferzan, questo lavoro mi ha portato verso una linea interpretativa e narrativa ben determinata. Mi aspetto che per il pubblico sia coinvolgente, emozionante. La cosa bella è che non si tratta di un film ‘a tesi’; certo, parla di un tema caldo: una coppia di uomini si trova a gestire dei bambini per un certo periodo di tempo, costituendo di fatto una famiglia, con tutti i suoi pro e contro. Tutto è nato da un sogno di Ferzan: è un film molto organico ed emotivo, dove quello che si crea è ‘una famiglia di sentimenti’. Ma ripeto, non essendo un film ‘a tesi’, ideologico, porterà facilmente il pubblico a immedesimarsi in qualcosa che spesso viene analizzato dall’esterno e in termini solo teorici”. Il tuo concetto di divertimento?

Sei stato pluripremiato durante la tua carriera. Ricevere questi riconoscimenti è qualcosa che a cui tieni o ne faresti anche a meno? “I premi fanno piacere per l’emozione di quel momento, se arrivano per un progetto al quale hai creduto tanto. Il premio è un riconoscimento da parte degli addetti ai lavori, e chiaramente fa piacere. Un film può essere acclamato dal pubblico, ma non ricevere premi. Prendiamo Checco Zalone: ha un successo di pubblico bestiale ma non riceve premi. Questo accade perché, tradizionalmente, il nostro ambiente vede la commedia come una categoria non nobile. Considera che io apprezzo moltissimo Checco Zalone, che non è solo un comico, è uno che ha reinventato la maschera dell’italiano medio che è in ognuno di noi. Lo ha fatto con grandissima intelligenza, perché è appunto un uomo molto intelligente: lui riesce a mettere il proprio acume al servizio del suo senso dello humour, e per questo lo stimo davvero tanto”. Anche se sei impegnatissimo tra cinema e tv, non rinunci però al teatro: ti sei cimentato in molte occasioni, come nel monologo Giocando Con Orlando e nei Sonetti di Shakespeare. C’è qualcosa che il teatro dà e che invece il grande e il piccolo schermo non possono trasmetterti?

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“Sì, pensiamo all’Orlando. Di fatto è un’unica scena che dura un’ora e un quarto. Mentre al cinema o in tv una scena di norma dura pochi minuti: questo fa un’enorme differenza. Ovvio che anche in tv e al cinema esiste, come in teatro, la ‘gestione del ritmo’ da parte dell’attore, ma poi c’è la componente del montaggio, che rappresenta un’ulteriore gestione del ritmo, un aiuto di cui ovviamente l’attore di teatro non dispone. Sul palcoscenico tu gestisci tutto: il primo piano, il mezzo busto, il piano americano, gestisci l’immaginario del pubblico... è totalizzante. Quando poi, come in Orlando, sei al contempo narratore e altri mille personaggi, beh, per me è divertentissimo. Mi piace fare il teatro in questo modo, in questa forma così evocativa: a un certo punto posso anche interpretare Angelica e nessuno pensa che sia strano, perché a teatro se l’attore ti dice ‘è notte’, tu credi che sia davvero notte. Questo non può accedere sullo schermo, perché lì il buio lo devi creare. Il teatro porta il pubblico a essere più attivo, gli stimola l’immaginazione, e questo secondo me è bellissimo”.

“Ho una grande fortuna: faccio un mestiere che amo e posso anche scegliere i progetti che mi interessano, perciò, anche quando lavoro, comunque mi diverto. Anche quando fatico o ripeto cento volte la stessa scena. Più che di divertimento, mi piace parlare di ‘benessere’: e il benessere per me è stare con mia moglie, mio figlio (il più piccolo, Lorenzo, due anni e mezzo, avuto da Bianca Vitali), gli altri miei due figli (Orlando e Athena, 13 e 10 anni, avuti da Laetitia Casta). Può essere impegnativo, certo, ma mi fa stare bene e in questo senso la ritengo una forma di divertimento, così come lo è il fare sport: è qualcosa che proprio mi piace. Inutile dire che la serata fuori con gli amici, dove si sta a ridere e scherzare, beh, quello è puro divertimento. Magari anche poi finire la serata in discoteca a ballare tutti insieme. Che, anzi, è divertimento declinato in forma di cazzeggio e, una volta ogni tanto, va benissimo”.

Dal Maxibon a “1994”: in mezzo, una miriade di successi Nato a Bologna 48 anni fa, Stefano Accorsi ha conosciuto la popolarità a meta degli Anni ‘90 con uno spot televisivo che tutti ricordano, quello del Maxibon Motta (“du gust is megl che uan”) e oggi è uno degli attori italiani più famosi nel nostro Paese e all’estero. Per Accorsi la recitazione ha rappresentato qualcosa di molto serio fin da subito: l’attore emiliano è infatti diplomato alla Scuola Di Teatro di Bologna, e la sua carriera è stata un susseguirsi di successi, al botteghino e di critica. Tanti i riconoscimenti ottenuti da Accorsi per le sue interpretazioni: due David di Donatello, una Coppa Volpi, un premio Gian Maria Volontè e la nomina a Chevalier de l’Ordre des Arts et des Lettres (attribuito dal Ministero della Cultura francese), tanto per citarne alcuni. Impossibile in questa sede elencare la sua intera filmografia, ma ci piace ricordarlo in Jack Frusciante è uscito dal gruppo (Enza Negroni), L’ultimo bacio (Gabriele Muccino), Le fate ignoranti (Ferzan Özpetek), Santa Maradona (Marco Ponti), Romanzo Criminale (Michele Placido), Tutta colpa di Fidel (Julie Gavras), Radiofreccia e Made In Italy (Luciano Ligabue), e i recenti A casa tutti bene (Gabriele Muccino) e Il Campione (Leonardo D’Agostini). Il suo ultimo film è La Dea Fortuna, per la regia, ancora una vota, di Ferzan Özpetek: la pellicola, che vede tra i protagonisti anche Jasmine Trinca, Edoardo Leo e Serra Yilmaz, è in uscita il 19 dicembre. Accorsi è già stato protagonista in questi mesi anche sul piccolo schermo, su Sky, con la serie 1994, ultimo capitolo della saga ideata dallo stesso attore bolognese e cominciata con 1992.

La playlist di Stefano Accorsi

→ Illustrazione: Paolo Orlandi

- Paolo Conte: Fuga all’inglese - Onda su onda. - Vasco Rossi: Stupendo. - Salmo: Ho paura di uscire - Machete. - Salmo e Lazza: Ho paura di uscire 2. - Ligabue: Non fai più male. - Ben Harper & The Innocent Criminals: Faded/Whole Lotta Love. - Puff Daddy: Come With Me. - Elio e le Storie Tese: Mio Cuggino. - Subsonica: Nuvole Rapide. - Afterhours: Pelle - Dentro Marylin - Quello che non c’è. - Marlene Kuntz: Nuotando nell’aria. - Amor Fou: Intro/De Pedis. - Arisa: L’amore è un’altra cosa. - Florence And The Machine: Spectrum. - Daft Punk: Alive 2007. - Dépêche Mode: Enjoy The Silence. - Ennio Morricone: C’era Una Volta il West. Ascoltala su Spotify!

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CINEMA

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Chiara Ferragni,

n° 7

→ di Laura Frigerio

Unposted su Amazon Prime Video Dopo il successo a Venezia 76 e nelle sale come film-evento, “Chiara Ferragni – Unposted” è arrivato su Amazon Prime Video. Ecco cosa c’è da sapere sul documentario di Elisa Amoruso dedicato alla nota influencer Chiara Ferragni, la prima influencer italiana a diventare una celebrità in tutto il mondo, è un personaggio di cui non si può fare a meno di parlare (nel bene, come nel male - dato che ogni tanto gli haters fanno capolino). Non c’è quindi da stupirsi se la regista Elisa Amoruso ha deciso di raccontarla, senza filtri, con un documentario il cui titolo è tutto un programma: “Chiara Ferragni - Unposted”. Il film è stato presentato in anteprima mondiale alla 76esima Mostra del Cinema di Venezia, catalizzando l’attenzione, poi è arrivato nelle sale per qualche giorno come film evento riscontrando un grande successo. Però chi se lo fosse perso potrà ora recuperarlo in streaming su Amazon Prime Video.

L'IDEA DEL FILM Il documentario “Chiara Ferragni – Unposted” (presentato nella sezione “Sconfini”) ci porta dietro le quinte della vita della influencer italiana più famosa al mondo, per capire chi è veramente (al di là dei suoi post) ma anche come si può diventare come lei. Non dimentichiamo, infatti, che Chiara Ferragni è per molte ragazze non solo un’icona di stile, ma anche un modello professionale. Da qui parte una riflessione su nuove figure come quella dell’impreditrice digitale, nata grazie a un ruolo sempre più pregnante dei social nella società attuale. Come si evolve una società basata sempre di più sui like di Facebook, che comunica le notizie più importanti tramite i post di Twitter, in cui chiunque può aprire un blog, parlare con tutto il mondo mondo e costruirsi una fama da solo? Che ruolo hanno i mass media, nell’epoca della rivoluzione culturale dei social? Queste sono domande a cui cerca di dare una risposta il film di Elisa Amoruso, che indaga temi caldi con una forma narrativa contemporanea, dai molteplici linguaggi, in cui le interviste dirette si mescolano a scene che raccontano momenti significativi della vita di Chiara, a materiali di repertorio presi direttamente dalla società virtuale, il favoloso mondo di Instagram, di cui lei è la regina indiscussa. Ad arricchire il tutto interviste a giornalisti, scrittori, sociologi e docenti di Harvard (che nel 2015 hanno trasformato l’influencer in un loro soggetto di studio).

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CHIARA FERRAGNI, TRA CARRIERA E VITA PRIVATA Chiara Ferragni è nata a Cremona 32 anni fa. La sua famiglia è composta dal padre Marco (dentista), la madre Marina (scrittrice) e dalle due sorelle minori Francesca e Valentina. Dopo il liceo classico, si è iscritta alla Facoltà di Giurisprudenza all’Università Bocconi di Milano, senza però terminare gli studi. Da sempre appassionata di moda, ha creato nel 2009 il blog The Blond Salad e in poco tempo i suoi suggerimenti di stile sono diventati virali, tanto che nel 2010 già firma la sua prima linea di scarpe. La sua fama cresce in tutto il mondo e nel 2015 è la prima fashion blogger ad apparire su una copertina di Vogue (Spagna). Essendo anche una bella ragazza, Chiara non ci mette molto a conquistare i vari brand: così nel 2016 diventa global ambassador di Pantene e testimonial di Amazon moda (a cui poi fanno seguito Swarovski e Pomellato che la vogliono nelle loro campagne accanto a delle celebri top-model). Nello stesso anno la Mattel crea una Barbie a sua immagine e somiglianza. Nel 2017 la prestigiosa rivista Forbes la elegge influencer di moda più importante al mondo e viene premiata a Roma come Top Digital Leader e nella categoria Web Star italiane donne, nell’ambito della prima ricerca sulla leadership digitale in Italia. Riconoscimenti che sottolineano il valore del suo lavoro, dimostrando che oltre al bel visino c’è molto di più. Poi il 2018 è stato per Chiara Ferragni un anno denso di avvenimenti: da un lato la nascita del figlio Leone e il matrimonio con il rapper Fedez (eventi da lei condivisi ovviamete sui social), dall’altro la decisione di condurre in prima persona entrambe le società che ha fondato (la Tbs Crew e Chiara Ferragni Collection) diventando Ceo di entrambe. Da qui l’aumento sempre più rapido e incessante di follower (che ora hanno superato i 17 milioni) E con una vita così frenetica non poteva scegliere hashtag migliore di #Chiaraneverstop. Chi è Elisa Amoruso Elisa Amoruso è una regista romana, diplomata in Sceneggiatura al Centro Sperimentale di Cinematografia. Ha infatti debuttato come sceneggiatrice con il film “Good Morning Aman” di Claudio Noce (2009). Ha poi firmato altri titoli come “Passione sinistra” di Marco Ponti (2013). La sua prima volta dietro la macchina da presa risale invece al 2010 con il cortometraggio “Solo un gioco”, a cui hanno fatto seguito i documentari “Fuoristrada” (2013) e “Strane straniere” (2016).

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n° 7

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CINEMA

TOP 10 CINEMA

→ Foto: courtesy of press office

→ di Laura Frigerio

Il periodo delle feste è probabilmente tra i più vivaci, anche sul fronte cinematografico. Le sale tendono ad affollarsi e la proposta, di conseguenza, aumenta. Non a caso proprio in queste settimane si concentrano le uscite dei titoli più attesi. Scoprite insieme a noi quali sono.

1.

FROZEN 2 – IL SEGRETO DI ARENDELLE A sei anni di distanza da “Frozen”, arriva il secondo capitolo che vede ancora una volta protagoniste la principessa Elsa e sua sorella Anna. Stavolta le due affronteranno un pericoloso viaggio attraverso le foreste incantate e i mari oscuri oltre Arendelle, per risolvere un mistero. Con loro gli immancabili Kristoff, Olaf e Sven. Genere: Animazione Regia: Chris Buck e Jennifer Lee Voci italiane: Serena Autieri, Anita Sala, Serena Rossi. Sara Ciocca, Paolo De Santis, Enrico Brignano, Massimo Bitossi Uscita: 27 novembre Distribuzione: Walt Disney Studios Motion Pictures Italia

2.

UN GIORNO DI PIOGGIA A NEW YORK Ritorno in grande stile per Woody Allen, con la storia di un week-end romantico a New York pieno di incidenti di percorso. Protagonisti due fidanzatini, Gatsby e Ashleigh, che fin dal loro arrivo si ritrovano separati e si imbattono in una serie di incontri casuali e bizzarre avventure, ciascuno per proprio conto.

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Genere: Commedia

Annaleigh Ashford, Cherry Jones

Regia: Woody Allen

Uscita: 27 novembre

Cast: Timothée Chalamet, Elle Fanning, Selena

Distribuzione: Lucky Red

Gomez, Jude Law, Rebecca Hall, Kelly Rohrbach, Suki Waterhouse, Diego Luna, Liev Schreiber,

3.

L’IMMORTALE Direttamente dalla serie cult “Gomorra” torna il personaggio di Ciro Di Marzio, interpretato da Marco D’Amore, che per l’occasione firma anche la sua prima regia. Il film, che fa da ponte tra la quarta e la quinta stagione della serie tv, racconta l’infanzia di Ciro e della sua educazione criminale nella Napoli del 1980. Genere: Animazione

Martina Attanasio, Gennaro Di Colandrea

Regia: Thurop Van Orman e John Rice

Uscita: 5 dicembre

Cat: Marco D’Amore, Giuseppe Aiello, Salvatore

Distribuzione: Vision Distribution

D’Onofrio, Giovanni Vastarella, Marianna Robustelli,

4.

CENA CON DELITTO Mistery imprevedibile, che vuole essere un omaggio ad Agatha Christie. Il ricco romanziere Harlan Thrombey viene trovato morto, in circostanze misteriose, nella sua proprietà la mattina dopo la festa per il suo 85esimo compleanno. Il celebre detective Benoit Blanc sospetta subito della sua numerosa famiglia.

Genere: Giallo Regia: Rian Johnson Cast: Daniel Craig, Chris Evans, Ana De Armas, Jamie Lee Curtis, Christopher Plummer, Michael Shannon, Don Johnson, Toni Collette, Katherine Langford, LaKeith Stanfield, M. Emmet Walsh Uscita: 5 dicembre Distribuzione: 01 Distribution

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CINEMA

5.

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n° 7

IL PRIMO NATALE

Ritorno, sia dietro che davanti la macchina da presa, di una delle coppie comiche italiane più amate. Salvo e Valentino, un ladro e un prete, si ritroveranno a fare un viaggio nel tempo, fino all’Anno Zero. In questo viaggio, avranno a che fare con tanti personaggi incontrati lungo il cammino, tra cui un inedito Erode. Genere: Commedia

Uscita: 12 dicembre

Regia: Salvatore Ficarra, Valentino Picone

Distribuzione: Medusa

Cast: Salvatore Ficarra, Valentino Picone, Massimo Popolizio, Roberta Mattei, Giacomo Mattia

6.

STAR WARS - L’ASCESA DI SKYWALKER

Terzo e ultimo attesissimo capitolo della trilogia dedicata agli Skywalker. Una saga iconica diretta dal regista J.J. Abrams, che ancora una volta ci proietta in un viaggio verso una galassia lontana lontana. In questo nuovo racconto nasceranno nuove leggende e avrà luogo la battaglia finale per la libertà.

Genere: Avventura/Fantascienza Regia: J.J. Abrams Cast: Lupita Nyong’o, Mark Hamill, Oscar Isaac, Keri Russell, Adam Driver, Richard E. Grant, Domhnall Gleeson, Daisy Ridley, Carrie Fisher, Billie Lourd Uscita: 18 dicembre Distribuzione: Walt Disney

7.

LA DEA FORTUNA

Ferzan Ozpetek torna a dirigere un film ad alto tasso emozionale. Al centro la storia d’amore di Arturo e Alessandro, insieme da più di quindici anni, ma ormai in crisi. All’improvviso arrivano nelle loro vite due bambini lasciatigli in custodia per qualche giorno da Annamaria, la migliore amica di Alessandro, che scuotono la loro stanca routine.

8.

Genere: Drammatico

Filippo Nigro, Edoardo Leo, Serra Yilmaz, Edoardo Hendrik

Regia: Ferzan Ozpetek

Uscita: 19 dicembre

Cast: Jasmine Trinca, Stefano Accorsi, Loredana Cannata,

Distribuzione: Warner Bros Italia

17

PINOCCHIO

Il regista Matteo Garrone, da sempre affascinato dal mondo delle favole, ha deciso di riprendere quella di Pinocchio (scritta da Carlo Collodi) dandone una sua versione. E per il ruolo di Geppetto, padre di questo burattino-bambino, ha scelto Roberto Benigni che nel 2002 vestì proprio i panni di Pinocchio in un film da lui stesso diretto. Genere: Fantasctico

Uscita: 19 dicembre

Regia: Matteo Garrone

Distribuzione: 01 Distribution

Cast: Roberto Benigni, Marine Vacth, Marcello Fonte, Davide Marotta, Rocco Papaleo, Federico Ielapi

9.

LAST CHRISTMAS

Film ispirato alla musica di George Michael e degli Wham!. Protagonista è Kate, una giovane donna che fa sempre le scelte sbagliate, come quella di accettare un lavoro come elfo di Babbo Natale per un grande magazzino. Mansione che però le permette di conoscere Tom, destinato a dare una piega diversa alla sua vita. Genere: Commedia

Patti LuPone, Sue Perkins, Rebecca Root

Regia: Paul Feig

Uscita: 19 dicembre

Cast: Emilia Clarke, Emma Thompson, Michelle Yeoh,

Distribuzione: Universal Pictures

Henry Golding, Lydia Leonard, Laura Evelyn,

10.

JUMANJI - THE NEXT LEVEL

La gang è tornata però il gioco è cambiato. Rientrati in Jumanji per salvare uno dei loro, i giocatori scoprono che nulla è come avevano previsto. Per sopravvivere al gioco più pericoloso del mondo i protagonisti dovranno affrontare zone sconosciute e inesplorate: dagli aridi deserti fino alle montagne innevate.

Genere: Avventura Regia: Jake Kasdan Cast: Dwayne Johnson, Jack Black, Kevin Hart, Danny DeVito, Madison Iseman, Karen Gillan, Awkwafina Uscita: 25 dicembre Distribuzione: Warner Bros

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n° 7

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CINEMA

JACOPO VENTURIERO

Dal teatro a Suburra

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→ Foto: Francesco Ormando Total look: Fifty Four Styling: Valeria J. Marchetti Grooming: Chiara Amodei @makingbeauty Location: The Independent Hotel

→ di Luca Forlani

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CINEMA

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n° 7

Jacopo Venturiero è uno dei nuovi protagonisti della seconda stagione di “Suburra”. Romano, classe ’85, debutta sul grande schermo all’età di undici anni nel film “La Medaglia” con Franco Nero, presentato alla Mostra del Cinema di Venezia e in televisione accanto a Massimo Dapporto in “Amico mio 2”. «A 11 anni mi ritrovai catapultato in un mondo di finzione che mi ha immediatamente affascinato, ne ho un ricordo sensoriale: i pick up la mattina presto, l’odore del legno, delle scenografie ricostruite a Cinecittà. Un mondo fittizio che diventava reale », racconta l’attore. Jacopo è figlio d’arte: «mia madre è un’attrice e mi ha sempre appoggiato nelle mie scelte; fortunatamente non mi sono trovato a lottare con un genitore che sognava il figlio avvocato o medico (ride, ndr)». Dopo aver girato numerose serie tv di successo (Un prete tra noi, Lui e Lei, Giorni da Leone), appena raggiunta la maggiore età capisce che vuole formarsi per diventare un attore professionista. Viene ammesso all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “Silvio d’Amico” e lì scopre la passione per il teatro. Lavora al fianco dei grandi delle nostre scene come Giorgio Albertazzi, Gabriele Lavia, Franco Branciaroli, Manuela Mandracchia, Lina Sastri. Nonostante la giovane età, Jacopo Venturiero ha alle spalle una carriera lunga e solida. Il ruolo di Adriano in “Suburra” gli permette di farsi finalmente conoscere al grande pubblico.

È stata una bella soddisfazione entrare nel cast di una serie così apprezzata? Più che altro è stata una grande sorpresa. Da anni mi sento dire che ho la faccia da bravo ragazzo. Io stesso, scherzando, dicevo: “nel periodo di Gomorra e Suburra non lavorerò mai”. E invece, dopo quattro o cinque provini in quattrotro mesi, ho ottenuto la parte. Intepreti un ruolo complicato. Adriano, oltre ad essere il figlioccio di Samurai, è uno speaker radiofonico neofascista e appassionato di calcio… Io e Adriano siamo agli antipodi. Ho fatto un lungo e meticoloso lavoro di preparazione. Di calcio non capisco nulla, così ho iniziato ad ascoltare tutte le radio locali romane che parlano di calcio. Ho scoperto un mondo incredibile. Mi sono informato a proposito delle nuove derive neofasciste. E ho studiato i libri degli autori con cui Adriano si è formato come Julius Evola o Nietzsche. Da un punto di vista attoriale, cosa ti ha insegnato questo personaggio? Arrivare a sentirmi comodo in quei panni è stata una sfida. Oltre alla soddisfazione di prendere parte in una serie di qualità e successo, sono felice che mi abbiano dato la possibilità di interpretare un personaggio così distante da me. Purtroppo non capita spesso, nonostante faccia parte del lavoro di un attore.

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Il tuo grande amore resta il teatro? Il teatro è l’arte del presente, nel momento stesso in cui accade non esiste più, così come la vita. Non possiamo tornare indietro o andare avanti con il mouse. A teatro dei personaggi agiscono e si relazionano all’interno di circostanze immaginarie davanti ai nostri occhi; la meraviglia che questo regala al pubblico, quando si verifica, è impagabile. Io amo il teatro inglese proprio perché è in grado di riprodurre la vita. Detto questo: sono molto felice di spaziare anche tra l’audiovisivo, che ho sempre amato, e il doppiaggio. Infatti stai riscuotendo notevole successo anche nel doppiaggio… Il doppiaggio è l’ambiente più meritocratico in cui mi sia trovato a lavorare. Per doppiare non serve solo la voce. Un doppiatore è, prima di tutto, un attore. Inoltre, credo che oggi un attore debba saper fare più cose. Chi tra i grandi del teatro con cui hai lavorato, ti ha lasciato un ricordo o un insegnamento particolarmente importante? Ricordo Giorgio Albertazzi con grande commozione. Con lui ho fatto “Memorie di Adriano”. Mi ha insegnato a ricercare la semplicità. Quando recitava non si capiva se stesse parlando Albertazzi o Adriano. Aveva un carisma speciale. Sei nato e vivi a Roma. In quale altra città ti piacerebbe vivere? Come ha detto Gabriele Lavia, l’attore è l’avamposto della lingua. In questo senso, vorrei vivere e lavorare in Italia con tutte le difficoltà che porta con sé. Non nascondo di essere innamorato di Londra. Ci vado spesso, soprattutto per vedere spettacoli teatrali. Lì, i teatri sono frequentati quanto i cinema. Non è solo una questione culturale. A Londra, il teatro è fatto veramente bene. In Italia, invece, si racconta poco la vita sulla scena. La maggior parte degli spettacoli sono intrisi di intellettualismo e questo ha creato un rapporto museale con il teatro. Oltre a Suburra, quale serie tv consiglieresti? “Breaking Bad”, senza dubbio. Faccio incetta anche di serie inglesi (come “Broadchurch”, “Happy Valley”). Gli attori riescono a essere sempre credibili. Le sceneggiature raccontano la realtà in modo appassionante. In “Inside No. 9” ogni puntata narra una storia autonoma, con personaggi e situazioni diverse (gli stessi attori interpretano più personaggi nei vari episodi). L’unico tratto comune è rappresentato dal fatto che gli eventi accadono all’interno di case, stanze, locali, vagoni e così via contrassegnati dal numero 9.

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La playlist di Jacopo Venturiero - Francesco De Gregori: Rimmel - Radiohead: No Surprises - Caetano Veloso: Cucurruccucú Paloma - Francesco De Gregori: Generale - Lucio Dalla: Anna e Marco - Sonic Youth: Superstar - Ennio Morricone: C’era una volta in America - Joaquín Sabina: 19 días y 500 noches - Marco Ongaro: Spero che tu stia bene - Fred Bongusto: Doppio whisky Ascoltala su Spotify!



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n° 7

Tv & Radio PAOLO RUFFINI

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ANTEPRIMA SERIE TV

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ANTONIO MONTI

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RIVERDALE

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n° 7

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PAOLO RUFFINI

Non ci resta che ridere

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→ Foto: courtesy of press office

→ di Luca Forlani

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n° 7

La comicità e la satira sono da sempre strumenti importanti per raccontare il presente, dissacrandolo. Paolo Ruffini, attraverso la leggerezza, ha saputo costruirsi una cifra personale intrisa di intelligenza e – mi perdonerete il paradosso - profondità. Una carriera tra cinema, televisione e teatro che gli ha permesso di mettere in luce un talento istrionico. Ruffini negli anni ha dimostrato di essere un attore purosangue capace di ironizzare anche su temi delicati. Il suo documentario Up & Down – Un film normale - che racconta il dietro le quinte dello spettacolo teatrale che lo vede sul palco con attori disabili - ha ottenuto il “Premio Kineo – diamanti al cinema” come miglior documentario per il sociale all’interno della settantacinquesima edizione della Mostra del cinema di Venezia e una menzione speciale ai Nastri d’Argento 2019. Inoltre, da tre anni è anche direttore artistico del Follonica Summer Festival, una manifestazione giovane e dinamica che anima l’estate della sua Toscana.

Com’è andata questa terza edizione del Follonica Summer Festival? Benissimo. Vedere così tanta gente felice mi ha riempito il cuore di gioia. Abbiamo avuto una partecipazione pazzesca da parte del pubblico. Rispetto alle scorse edizioni abbiamo aumentato la media del numero di spettatori per sera. Mi piace definirla una manifestazione schizofrenica: una sera c’è stato il concerto di Fiorella Mannoia, quella dopo si è esibita Myss Keta e quella dopo ancora abbiamo avuto Antonello Venditti. Detesto, da sempre, qualsiasi tipo di classificazione o etichetta. Un festival per tutti i gusti… Volevo scardinare noiose convenzioni e organizzare una manifestazione poliedrica, sfaccettata e popolare. Quest’anno lo slogan è stato “sempre meglio”. E alla fine posso dire che gli obiettivi che c’eravamo prefissati sono stati raggiunti. Inoltre, credo che Follonica abbia tutte le carte in regola per diventare un punto di riferimento per la costa toscana e non solo. Nella programmazione di questa edizione ha trovato spazio persino il prestigioso Premio Persefone… Sono gli Oscar del teatro. Gli organizzatori mi hanno manifestato l’interesse di essere ospitati al Follonica Summer Festival e io ho accettato con piacere. È stato bello vedere sul palco i grandi protagonisti del teatro italiano. Ho voluto che questa serata fosse a ingresso gratuito proprio per permettere a chiunque di assistervi. Sono orgoglioso che l’evento sia stato trasmesso da Rete 4.

23 La playlist di Paolo Ruffini - Ivano Fossati: C’è tempo - Paramore: Only Exception - Nick Cave and The bad seeds: Into my arms - Lucio Dalla: Felicità - Coldplay: Up&Up - Fabrizio De André: Se ti tagliassero a pezzetti - Rino Gaetano: A mano a mano - Led Zeppelin: Immigrant song - David Bowie: Life on Mars - Creedence: Have you ever seen the rain Ascoltala su Spotify!

→ Foto: courtesy of press office

A proposito di teatro, Up & Down è uno dei più grandi successi teatrali degli ultimi anni… Nella prossima stagione teatrale ci aspettano altre 40 date. Ho voluto portare questo spettacolo in grandi teatri popolari particolarmente frequentati dalle famiglie. Inoltre, lo scorso Natale è stato trasmesso in prima serata su Italia 1. E il Moige ci ha premiato come trasmissione dell’anno. Sono felice di essere andato a Montecitorio a ritirare il premio. Com’è nato questo progetto? Qualche anno fa ho visto uno spettacolo con ragazzi disabili diretto da un mio amico, Lamberto Giannini, e ne sono rimasto folgorato. Per me il teatro è un posto dove succede qualcosa che resta impresso nella memoria. Questi ragazzi mi hanno insegnato a trasformare i limiti in occasione. Viviamo in una società che vuole vederci tutti uguali, in realtà siamo meravigliosamente diversi ed è questo che ci accomuna davvero. In teatro la diversità è una risorsa. Lavorare con persone down ti fa capire la bellezza di dire “sì, io non sono normale”. Quanto è complicato ironizzare su temi così delicati? Credo che con intelligenza e sensibilità si possa scherzare su tutto. Mi emoziono quando vengono a teatro dei genitori con bambini down ringraziandomi di aver dato loro una speranza. In un momento così social dovremmo accorgerci che esiste una cosa che si chiama sociale e che ci riguarda molto di più. Hai altri progetti in cantiere di carattere sociale? Sto raccogliendo del materiale per realizzare un documentario sull’Alzheimer. Credo sia interessante raccontare e indagare questa malattia ancora troppo sconosciuta. Oltre a questo documentario, cosa ti aspetta nel futuro? Una stagione molto televisiva. Curerò come autore e conduttore La pupa e il secchione che tornerà su Italia 1 con alcune novità. Sarà un’occasione divertente per indagare il livello culturale di questo Paese. Inoltre, sto preparando un film da sceneggiatore e regista che credo vedrà la luce l’anno prossimo. In Italia, c’è ancora spazio per la comicità? Di questi tempi è molto difficile ridere e far ridere. Stiamo assistendo a un perbenismo dilagante ma non mi sembra che la morale si sia alzata, anzi. Riguardo spesso i film dei Fratelli Vanzina, lì si rideva davvero.

→ Foto: courtesy of press office

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Le serie tv che ci faranno perdere il sonno → di Monica Papagna

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Nel 2018 solo negli Stati Uniti sono uscite più di 500 serie tv. Possono essere ancora interessanti? Hanno ancora qualcosa da dire? La risposta è sì e i prossimi mesi saranno davvero intensi. Le nuove piattaforme di streaming Disney+ e Apple TV+, in arrivo, hanno alzato la posta e siamo sicuri che le prossime serie saranno ancora più belle di quelle degli ultimi anni. Sono attese molte nuove uscite e qualche finale strappalacrime, che lascerà spazio a nuovi personaggi a cui affezionarsi.

Jane The Virgin – 5° stagione e finale

→ Foto: courtesy of press office

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Negli Stati Uniti è già andato in onda il finale di Jane The Virgin, mentre in Italia non è ancora uscita la 5 stagione e noi non vediamo l’ora perché, ormai, è davvero finito il tempo dei “To be continued...” ed è arrivato quello del “The end”. Salutare Jane Gloriana Villanueva non sarà affatto facile, la sua telenovela mischiata a un po’ di dramma e un po’ di commedia romantica ci è entrata nel cuore. In tutti questi anni abbiamo alternato la nostra preferenza tra Michael e Rafael e ora non è più tempo nemmeno per fare il tifo per l’uno o per l’altro, tutto si concluderà come tutti ci aspettiamo che si concluda, del resto è una telenovela, no? Preparate i fazzolettini, ma anche un gruppo di sostegno per superare il distacco da Jane e dalla sua deliziosa famiglia. Il nostro rapporto televisivo con Jane, comunque, non finirà del tutto perché arriverà lo spin-off “Jane the Novela”, una serie ispirata ai romanzi della nostra eroina, che nel telefilm era proprio una scrittrice. Anche qui ci sarà una voce narrante e, ovviamente, sarà la sua. In arrivo su Rai 2 – Netflix.


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Snowpiercer La graphic novel “Transperceneige. Snowpiercer” di Jean-Marc Rochette ha ispirato il film Snowpiercer di Bong Joon-ho, la pellicola più costosa mai prodotta in Corea. Magari non avrete sentito nominare Snowpiercer ma sicuramente avrete sentito parlare di Parasite, l’ultimo film di Bong Joon-ho che, oltre ad aver vinto la Palma d’Oro a Cannes, è stato anche un grandissimo successo di questa stagione cinematografica. Ora arriverà la trasposizione televisiva del film Snowpiercer curata da Graeme Manson, già idea- tore della popolare e fortunata serie canadese Orphan Black. Il trailer del film ha avuto così tanto successo che TNT ha già deciso di rinnovare la serie per la secon- da stagione. Protagonista la superba Jennifer Connelly. In uscita nel corso del 2020. → Foto: courtesy of press office

The New Pope A gennaio torna la serie originale Sky-HBO-Canal+, The New Pope, seguito di The Young Pope. La serie riprende esattamente da dove eravamo rimasti: il giovane Papa (Jude Law) è ancora in coma e viene eletto un altro Papa, Giovanni Paolo III, interpretato da John Malkovich che ha un compito difficilissimo: quello di sostituire un Papa illustre come il suo predecessore. Jude Law quindi si troverà a dividere la scena con John Malkovich per la contesa della supremazia in Vaticano. In arrivo su Sky Atlantic.

→ Foto: courtesy of press office

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Belgravia Dopo Downton Abbey, Julian Fellowes ha deciso di non lasciarci senza una serie TV per il 2020 (anche se per Downton si vocifera di un possibile altro film per il cinema) e ci ha regalato un altro probabile successo: Belgravia, la sua nuova fatica, che promette intrighi, scandali, storie d’amore e tradimenti nella Londra di inizio Ottocento. Il tutto condito da strepitosi costumi e tanto humor inglese. In uscita nel corso del 2020.

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Looking for Alaska (Cercando Alaska) La serie TV Looking for Alaska è tratta dal primo romanzo di John Green, libro che ha avuto un successo planetario e che è entrato nel 2012 - a 7 anni dall’uscita in libreria nella lista dei libri per ragazzi più venduti del New York Times. La trasposizione televisiva è quanto di più poetico e interessante abbiano creato le serie tv negli ultimi anni. Miles è un ragazzo solitario che ha come hobby quello di ricordare a memoria le ultime parole pronunciate dei personaggi famosi prima di morire. Convince i propri genitori a fargli cambiare scuola - e vita - e concedergli di andare in un collegio dove trova, finalmente, degli amici che lo comprendono. Tra questi Alaska Young, intelligente, interessante, bellissima e disturbata quel tanto che basta da renderla magnetica agli occhi di Miles, e ai nostri. In uscita nel corso del 2020.

→ Foto: courtesy of press office

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ANTONIO MONTI Le iene segrete

→ di Luca Forlani

Le Iene è una delle colonne portanti del palinsesto di Italia 1. Il programma ideato a metà degli anni ’90 da Davide Parenti è una macchina collaudata e sono tanti i personaggi diventati popolari grazie alla trasmissione. Per ovvie ragioni, sono decisamente meno conosciuti coloro che si trovano dietro le telecamere. Antonio Monti è dal 2011 il regista de Le Iene.

Nato a Forlì quarantadue anni fa vanta un’affermata carriera in televisione. Si avvicina al mondo dello spettacolo innamorandosi del cinema. La sua passione per la pellicola nasce da bambino in una realtà di provincia molto lontana da quel mondo: “ricordo che regalarono a mio padre una videocamera super8 e ne rimasi immediatamente affascinato. Poi, durante il liceo ho capito che volevo trasformare questa passione in lavoro. Mi sono iscritto al Dams di Bologna e mi sono diplomato in regia e direzione della fotografia presso la Los Angeles Film School”. Dopo aver ottenuto una solida formazione cinematografica inizia a lavorare in televisione, fino ad arrivare al programma cult di Italia Uno.

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→ Foto: Daniele Schiavello

Come sei arrivato a Le Iene?

Nel curare la regia del programma, a cosa ti sei ispirato?

Quasi per caso. Era il 2011 e Davide Parenti cercava un nuovo regista. Io avevo già firmato alcune trasmissioni di Italia Uno come Invincibili con Marco Berry. Tuttavia, non avevo mai curato la regia di un programma in diretta. Ho dovuto imparare sul campo.

Mi sono dovuto confrontare con un programma ben strutturato dalla forte riconoscibilità. Davide Parenti ha un’idea ben precisa. Sono arrivato in punta di piedi. Non è stato facile. Spero di aver portato un mio contributo personale. Ho il privilegio di lavorare con una grande squadra.

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Davide Parenti è il deus ex machina del programma nonché un grande professionista, che consigli ti ha dato? Mi ha sempre detto: “non fare il regista frustrato di provincia”. In televisione un regista è bravo se riesce a non far avvertire allo spettatore la sua presenza. Davide mi ha insegnato ad essere al servizio della trasmissione. Una volta assorbito questo concetto, è possibile lavorare per dare un’impronta personale. Ho adottato questo modo di vedere il mio ruolo non solo a Le Iene ma in tutti i programmi a cui ho lavorato. Da addetto ai lavori come giudichi la televisione italiana di oggi? La tv è giunta a un appuntamento cruciale: se da un lato è un mezzo molto consolidato, dall’altro non può non confrontarsi con i nuovi media. Per esempio, la nostra trasmissione è fortissima su internet. Attualmente è come se ci fossero due redazioni: una televisiva e l’altra web. Quest’ultimo permette di approfondire argomenti o di trattare temi che in tv non avrebbero spazio. Credo che questa sinergia sia sempre più necessaria e che stia dando nuova linfa alla televisione generalista. Stai lavorando alla seconda stagione di Inseparabili che verrà trasmessa su Sky Arte. Prosegue, dunque, la tua collaborazione con Carlo Lucarelli… Carlo è uno dei massimi scrittori italiani viventi ed è anche un grande storyteller. La sua cifra di racconto in tv è unica: riesce ad appassionare lo spettatore rimanendo rigoroso nel trattare la storia e le fonti. Mi sento fortunato di aver incontrato Carlo cinque anni fa e di aver iniziato questa collaborazione. Prima di Inseparabili con lui ho collaborato alle quattro stagioni di Muse Inquietanti, andate in onda sempre su Sky Arte. Tra noi si è creata un’ottima sintonia. Ho la libertà di interpretare i suoi testi attraverso evocazioni forti, dettate dalle location suggestive nelle quali in questi anni abbiamo ambientato i suoi racconti.

→ Foto: Francesca Cassaro

Mi piacerebbe concludere quest’intervista con un tuo ricordo di Nadia Toffa…

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Nadia per molti è stata un esempio, sia per le battaglie che ha condotto come iena che quando ha dovuto affrontare la sua battaglia più grande. Purtroppo, quando ha raggiunto l’apice della carriera è stata fermata dalla malattia. Il video che la nostra redazione ha postato dopo il funerale è stato un omaggio molto toccante, distante dalla Nadia che abbiamo conosciuto in tv. Quella ragazza che ballava sulla spiaggia al tramonto ora non c’è più. È una tragedia che credo adesso richieda un po’ di silenzio.

Iena tra le iene Un autunno decisamente impegnato attende Antonio Monti. Il regista dal primo ottobre ripartirá con la nuova edizione de Le Iene. Alessia Marcuzzi e Nicola Savino condurranno la serata del martedì con la Gialappa’s Band. Il giovedì, invece, si alterneranno alla conduzione: Giulio Golia, Filippo Roma, Matteo Viviani, Nina Palmieri, Roberta Rei e Veronica Ruggeri. Non solo Iene per Monti che dal prossimo numero di Entertainment curerà una rubrica tutta sua. L’autore intervisterà personaggi del mondo dello spettacolo, dello sport e della cultura con uno stile ironico e irriverente. Quello stile che ha portato al successo il celebre programma di Italia Uno.

→ Foto: Francesca Cassaro

La playlist di Antonio Monti - Brian Eno: Deep blue day - Grouper: Heavy Water / I’d rather be sleeping - R.E.M.: We walk - CAN: Vitamin C - Talking Heads: Road to nowhere - Yo La Tengo: You can have it all - LCD Soundsystem: Dance yrself clean - Danger Mouse, Sparklehorse, David Lynch: Dark night of the soul - David Bowie: Where are we now? - Elbow: Fly boy blue / Lunette Ascoltala su Spotify!

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Nell’affascinante e oscura “Riverdale” → di Laura Frigerio

→ Foto: courtesy of press office

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In attesa della quarta stagione, possiamo dire che “Riverdale” si conferma una delle serie tv più affascinanti degli ultimi anni. E non piace solo ai teen-agers...

“Riverdale” è una di quelle serie tv che non hanno bisogno di grandi presentazioni. Basata sui personaggi degli Archie Comics, ha rimescolato le carte solitamente giocate nei teen-drama vincendo le sue partite, da una stagione all’altra. “Riverdale” non si limita a raccontare le storie intrecciate di un gruppo di adolescenti, ma porta avanti in parallelo una narrazione che mette in primo piano anche i loro genitori, tenutari di una serie di segreti e complotti che travolgeranno le vite dei ragazzi. Quest’ultimi, infatti, hanno uno spiccato talento investigativo e finiscono più volte nei guai, per amore di verità e giustizia. E poi c’è lei, la grande protagonista, ovvero la cittadina di Riverdale, che all’inizio sembra graziosa e zuccherosa come i milkshake serviti da Pop’s (il locale cult del paese), ma poi svela la sua anima noir che spaventa e al tempo stesso affascina. Difficile quindi per il pubblico resistere alla serie, tanto che anche la terza stagione (in onda su Premium Stories e disponibile su Infinity) ha avuto un grande successo. E ora rimaniamo in attesa della quarta, già vista negli Stati Uniti e da noi disponibile nel 2020.

PERSONAGGI E CAST Uno degli ingredienti vincenti di “Riverdale” è indubbiamente il suo cast, composto da nuovi talenti tutti da scoprire ed ex icone giovanili che è stato un piacere ritrovare (non a caso il pubblico della serie è anagraficamente variegato). Partiamo dalla famiglia Andrews, composta da Archie (interpretato da KJ Apa), campione di football con la passione per la musica nonché uno dei ragazzi più popolari di Riverdale e da suo padre Fred (Luke Perry), proprietario di un’impresa di costruzioni. Davanti alla loro casa vive la famiglia Cooper: qui c’è Betty (Lili Reinhart), migliore amica di Archie e ragazza dal temperamento battagliero, ereditato indubbiamente dalla madre Alice (Mädchen Amick) insieme alla passione per il giornalismo. A completare il quadretto il padre Hal (Lochlyn Munro), un tipo dalla doppia personalità e la figlia maggiore Polly (Tiera Skovbye). Legati sentimentalmente ai Cooper ci sono i Jones: il figlio Jughead (Cole Sprouse) è infatti fidanzato con Betty, mentre il padre FP (Skeet Ulrich) ha avuto una relazione in gioventù con Alice. Entrambi

ribelli, sono a capo di una banda chiamata Serpents. Arriviamo quindi ai temuti Lodge: l’affascinante Hermione (Marisol Nichols) torna nella natia Riverdale con la figlia Veronica (Camila Mendes), mentre il marito Hiram (Mark Consuelos) è in carcere per via dei suoi affari illegati. Veronica inizialmente sembra la classica ragazza viziata, ma poi si innamorerà di Archie e cambierà completamente. Ci sono poi i Blossom, leader nel mercato dello sciroppo d’acero (almeno all’apparenza) e con una vita all’insegna del rosso (anche per via del colore dei loro capelli): Cheryl, sorella gemella di Jason (la vittima su cui si indaga nella prima stagione), è una ragazza capricciosa ma con il cuore d’oro, mentre la madre Penelope è una donna senza scrupoli, come il marito Clifford (Barclay Hope). Intorno a loro gravitano altri personaggi come Kevin Keller (Casey Cott), figlio dello sceriffo di Riverdale e caro amico di Betty; Josie McCoy (Ashleigh Murray), compagna di classe dei ragazzi e cantante della band Josie and the Pussycats; Reggie Mantle (Charles Melton), amico e al tempo stesso rivale di Archie, soprattutto quando si parla di football e donne; Toni Topaz (Vanessa Morgan), membro dei Serpents che si innamora di Cheryl.

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COS'È SUCCESSO NELLE PRIME DUE STAGIONI Nella prima stagione Riverdale viene sconvolta dalla morte del giovane Jason Blossom, figlio di una delle famiglie più in vista della città. Inizialmente si pensa che il ragazzo sia annegato nello Sweetwater River, ma poi il suo cadavere svela che si tratta di omicidio. Dopo un mix di sospetti e indagini si arriva alla crudele verità: ad ucciderlo è stato il padre Clifford, che a sua volta decide di farla finita. La cittadina però sembra non trovare la pace: compare infatti un serial killer, che si fa chiamare Black Hood, il cui obiettivo è quello di eliminare i peccatori. Nel frattempo arriva in città Hiram Lodge, che nonostante sia stato in carcere continua a portare avanti i suoi affari sporchi coinvolgendo anche Archie, fidanzato della figlia Veronica. E intanto la rivalità tra il Northside e il Southside di Riverdale si fa più aspra.

DOVE ERAVAMO RIMASTI La terza stagione era iniziata con Archie in carcere, accusato di omicidio (anche se innocente) e incastrato da Hiram Lodge che si scopre essere anche in combutta con la polizia locale. Veronica però è intenzionata a liberarlo e, con l’aiuto di Betty e degli altri ragazzi, organizza la sua evasione. Nel frattempo a Riverdale scoppia il caso Gryphons & Gargoyles, un gioco di ruolo che si rivela mortale per molti adolescenti. I primi a giocarci, anni prima, i genitori dei protagonisti. E non è finita qui: i piani di espansione di Hiram Lodge continuano senza alcun scupoli, finché qualcuno non prova ad ucciderlo. Lo scettro del potere passa quindi a sua moglie Hermione, sindaco della città, che si rivela più pericolosa del previsto. Ora scatta inevitabile la curiosità di scoprire fino a che punto si spingerà e se i nostri giovani eroi riusciranno a salvare, ancora una volta, la situazione.

→ Foto: courtesy of press office

L’OMAGGIO A LUKE PERRY

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Il 4 marzo scorso “Riverdale” ha perso una delle colonne portanti del suo cast, ovvero Luke Perry. L’attore è morto in seguito a un ictus, che l’ha colpito proprio in uno dei momenti professionali più fortunati: dopo il ritorno sulle scene in grande stile con “Riverdale”, era infatti pronto per partecipare al revival di “Beverly Hills 90210” (la serie che negli anni’90 lo rese celebre in tutto il mondo) e aveva recitato in “C’era una volta a...Hollywood” di Quentin Tarantino. Quando è arrivata la terribile notizia il set di “Riverdale” si è bloccato per alcuni giorni. In seguito gli autori hanno deciso di dedicargli un episodio-tributo, dal titolo “Capitolo Cinquantotto: In memoriam”, che sarà il primo della quarta stagione e a cui parteciperà anche la sua cara amica Shannen Doherty. Al momento non sappiamo ancora quando la vedremo in Italia, ma sarà il caso di preparare i kleenex.

GOSSIP DAL SET I giovani protagonisti di “Riverdale”, così belli e cool, non ci hanno messo molto per diventare dei teen-idol. Tra i preferiti ci sono Lili Reinhart e Cole Sprouce, che sul set hanno ricevuto la visita di Cupido che li ha fatti innamorare anche nella realtà. Nel corso dell’estate si è parlato di una loro rottura, ma seguendoli sui social (dove sono attivissimi) sembrerebbe il contrario. E non sono i soli, perché il set è stato galeotto anche per Camila Mendes e Charles Melton che sono venuti allo scoperto solo un anno fa.

→ Foto: courtesy of press office

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MUSICA

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Musica PAOLA IEZZI

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MAURO FERRUCCI

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MERK & KREMONT

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TOP 10 MUSIC

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MUSICA

PAOLA IEZZI

32 → Foto: Paolo Santambrogio Hair and Makeup: Letizia Maestri Abito: Fausto Puglisi Gioielli: Versace

→ di Laura Frigerio

“Cosa non passa mai di moda? La cultura!” A tu per tu con Paola Iezzi, cantautrice pop raffinata nonché dj dalla vocazione fashion. Con lei abbiamo parlato di musica, social, moda e tutto ciò che fa intrattenimento Incontriamo Paola Iezzi a Milano, in una fredda giornata autunnale. Ci diamo appuntamento al Living, uno dei suoi locali preferiti all’Arco della Pace e la nostra intervista si trasforma subito in una piacevole chiacchierata. Paola è una donna elegante, affascinante e talentuosa, che ha tanto da dire e non solo con la sua musica. Infatti iniziamo parlando del suo ultimo Ep, ma poi il discorso si amplia toccando tanti altri temi. Una bella occasione per scoprire qualcosa in più di un’artista che, nonostate la popolarità, non ha alcuna intenzione di scendere a compromessi.

Iniziamo parlando del tuo ultimo singolo “Gli occhi del perdono” (contenuto nell’omonimo EP). Un pezzo pop raffinato, con un tema che tocca tutti noi da vicino...

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È frutto della collaborazione con Andrea Mariano (in arte Andro, componente dei Negramaro) ed Emiliano Pepe. Nonostante l’arrangiamento leggero (tipico della musica pop) si punta l’attenzione su qualcosa di molto importante, soprattutto in questo periodo dominato dai social. Nelle mie canzoni ho parlato spesso della fiducia nei confronti del mondo, ma stavolta ho voluto provocare invitando a non fidarsi di nessuno. Ormai c’è questa smania di condividere sui social ogni momento della propria vita, mettendoli alla mercé di gente che poi chiacchiericcia. Però ci si dovrebbe limitare nell’esporsi, soprattutto quando si è più fragili. Meglio avere intorno degli amici veri, piuttosto che persone che ti riempiono di like e poi magari, quando ti vedono, nemmeno ti salutano. Io stessa, per lavoro, faccio largo uso dei social ma tenendo lontana la mia quotidianità. Bisogna porre dei limiti che non permettano agli altri di sconfinare, ma anche viceversa. C’è poi il tema del perdono, per me importante: credo che sia giusto perdonarsi gli errori del passato, ma essere meno indulgenti sul presente e il futuro.


MUSICA

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n° 7

A proposito di tempi moderni, tu hai sempre amato la sperimentazione. Come ti poni nei confronti del passato, così tanto osannato da alcuni tuoi colleghi? È normale che un mezzo forte come il web possa avere una dark zone, che però è da evitare. Usare bene la tecnologia è importante e non capisco come proprio un artista, di solito precursore delle nuove tendenze, possa dichiarare guerra alla contemporaneità rimanendo imprigionato nel passato. Noi dobbiamo intercettare il futuro e renderlo fruibile a tutti. Bisogna capire che il mondo è cambiato e va accolto, naturalmente senza diventarne schiavi. Poi, certo, ci sono dei momenti in cui è bello viaggiare nel tempo (cosa che ci fa fare, per esempio, una serie tv come “Stranger Things” ambientata negli anni’80) però l’effetto nostalgia dura un attimo. Una cosa che però oggi mi fa paura è la velocità estrema: noi non siamo degli iPhone in grado di fare upgrade continui, rimaniamo degli uomini che necessitano dei propri tempi per dare libero sfogo alla creatività. Tempi che infatti tu hai saputo prenderti tra un lavoro e l’altro... Si, perché non voglio stare in una lavatrice che spara robe a caso. Non ho avuto figli, ma considero come tali coloro che seguono la musica e non ho alcuna intenzione di passare dei messaggi sbagliati. Non possiamo riempire il mondo di banalità, sentendoci poi vuoti. Bisogna investire in qualità e prendersi il tempo per fare della cultura da tramandare agli altri, anche se si tratta di semplice pop. Ricordiamo che la cultura è l’unica cosa che ci può salvare e non passerà mai di moda. Quali sono le icone con cui sei cresciuta? Sono tante: da Billie Holiday a Freddie Mercury, da David Bowie a Prince, da Madonna a Michael Jackson, dagli U2 (la mia band preferita in assoluto) a George Michael. Tra gli anni’70 e ‘90 ci sono stati dei grandi personaggi, basti pensare anche agli Oasis o ad Alanis Morisette. Ci parli della tua attività come dj? È molto divertente, anche perché mi sono specializzata in eventi legati al mondo della moda, altra mia grande passione (non mi vedo, alla mia età, andare in discoteca fino alle 5 del mattino mettendo musica a me non congeniale). Il mio compito non è quello di far ballare a tutti i costi, ma di creare il giusto mood di accompagnamento. Questa attività mi consente di imparare molto: ogni volta che preparo una playlist, infatti, faccio una ricerca ad hoc e mi butto dentro il flusso della musica scoprendo anche nuovi producer. Agli eventi fashion partecipano molti stranieri, che hanno un approccio diverso dagli italiani: quest’ultimi infatti non badano più di tanto alla musica, perché concentrati a fare pr, mentre ci sono americani, orientali etc. che si fanno trascinare dal sound e spesso vengono anche a ringraziarmi per la selezione. Sarà che gli stranieri sono più abituati all’elettronica, però credo che di base ci sia un approccio diverso: lo noto anche da ascoltatrice quando mi trovo in città come Berlino.

Le tue serie tv del cuore? Per me la madre di tutte le serie è “Breaking Bad”, la trovo perfetta da ogni punto di vista. Non ne ho trovate altre scritte così bene. Poi ho amato tantissimo “Ray Donovan”. Il film che hai amato di più nell’ultimo periodo? Purtroppo sono stata rapita dal mondo delle serie tv e quindi dedico meno tempo al cinema. Però trovo meraviglioso “Un sapore di ruggine e ossa” di Jacques Audiard. Tu sei una fashion addicted. Cosa non manca mai nel tuo armadio e nella tua valigia?

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Nell’armadio la camicia di seta: è per me un passe-partout per l’abbigliamento di tutti i giorni. In valigia invece non manca mai lo specchio macro, utilissimo soprattutto quando mi devo truccare da sola. A proposito di make-up, quali sono le basi per te?

Io non esco mai struccata. Il make-up mi scherma dalla realtà, in particolare in quei giorni in cui ho dormito poco o sono triste e non voglio che si veda. Senza mi sentirei nuda. Inizio con un filo di fondotinta e di correttore nei punti critici, poi vado di rimmel e rossetto, color naturale o rosso quando voglio un tono acceso. A volte uso il rossetto come blush per darmi un po’ di vita.

Qual è la tua idea di intrattenimento? Amo l’intrattenimento che passa dalla bellezza della cultura, quello che ti fa entrare in una dimensione speciale facendoti dimenticare per un momento i tuoi problemi. Mi aspetto che un performer riesca a rappresentare realmente quello che sta facendo e che mantenga le promesse. Voglio uscire ispirata e non delusa da uno spettacolo. I performer non salvano vite, ma possono migliorare quelle di tante persone spargendo bellezza nel mondo (non in senso superficiale).

Usi sempre gli stessi prodotti o preferisci cambiare? Di solito rimango fedele per qualche tempo. Per esempio da tre anni uso sempre il rossetto Benefit di Sephora, nella nuance Nude Scandal. Invece come correttore uso quello di Fenty, la linea beauty firmata da Rihanna.

Qual è la tua pop-star preferita del momento? Diciamo che c’è l’imbarazzo della scelta, dato che le artiste della nuova generazione (da Lady Gaga a Katy Perry, passando per Beyoncé) sono tutte molto brave, però la mia preferita è Miley Cyrus. È quella che preferisco vocalmente, la sento vicina a livello di comunicazione visiva e l’apprezzo sul fronte della contaminazione: la sua musica, infatti, non si nutre solo di pop ma anche di altri generi come il country (anche grazie al padre Billy Ray Cyrus) e infatti ha realizzato la cover di un pezzo come “Jolene”, duettando con la mitica Dolly Parton, facendola così conoscere anche ai più giovani.

Quali sono i tuoi luoghi del cuore a Milano? Io la sera, quando non lavoro, esco pochissimo: preferisco starmene a casa a guardare delle serie tv, soprattutto in estate. Non sopporto poi gli aperitivi, perché c’è caos e si mangia male. Però adoro il rito della colazione la mattina e vengo spesso al Living, all’Arco della Pace, zona in cui sono cresciuta. Ora vivo vicino al Castello Sforzesco e mi piace attraversare Parco Sempione la mattina. Trovo poi magico il Cenacolo a Santa Maria delle Grazie, vado spesso per mostre a Palazzo Reale come al Museo Poldi Pezzoli. Per i momenti più frivoli l’ideale è il quadrilatero della moda. Invece per quelli più golosi Marchesi, dove ogni tanto mi fermo per mangiare una fettina di torta.

La playlist di Paola Iezzi - Michael Jackson: Billie Jean - Madonna: Into the groove - Cyndi Lauper: The goonies ‘r’ good enough - Queen: I want to break free - David Bowie: Underground - U2: Were the streets have no name - George Michael: Faith - Miley Cyrus: Malibu - Paola Iezzi: Gli occhi del perdono - Paola&Chiara: Festival

A questo punto della tua vita hai realizzato i tuoi sogni o ne hai altri da realizzare? Più che di sogni mi piace parlare di obiettivi. La musica lo era e l’ho raggiunto, anche perché sapevo benissimo cosa non volevo, ovvero rimanere ingabbiata in una quotidianità sempre uguale. Sono un po’ indisciplinata e soffro la routine e ancor meno le imposizioni, preferisco la libertà anche se non sempre è facile da gestire dato che ci si può perdere, ma l’importante è riprendere il bandolo della matassa. Crescendo impari ad essere più diplomatica con le tue sconfitte, ma al tempo stesso inizi a preoccuparti per il futuro dato che fare l’artista significa navigare a vista. Però cerco di non pensarci troppo e vado avanti, continuo a concentrarmi sulle cose che amo fare, a pormi sempre nuovi obiettivi e a seguire il mio istinto.

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n° 7

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MUSICA

MAURO FERRUCCI

34 → di Tommaso M. S. Laganà Alla fine degli anni ‘80 nel Veneto c’erano più club che in tutto il resto d’Italia, l’house music cominciava a incantare il pubblico della penisola e Mauro Ferrucci con gli amici della scuola veneta cavalcava l’onda di questa nuova cultura notturna. Dalla New Wave all’House, Mauro attraversa un pezzo di storia della musica, la fa sua e diventa un Dj richiesto e apprezzato in tutto il mondo. È fondatore della Airplane! Records, con la quale scopre e lancia, tra gli altri, Tommy Vee, con il quale oggi fa coppia fissa, e vincitore a Sanremo 2004 del premio come migliore produttore in un tempo nel quale questo riconoscimento veniva dato a pochissimi. Gentile, appassionato e innamorato della musica, della vita e della sua famiglia, Mauro Ferrucci si racconta in un viaggio di trent’anni dietro la consolle.

Dalla New Wave all’House. Facciamo un po’ di chiarezza: cosa intendi quando parli di New Wave, quali sono i gruppi di riferimento? Come è avvenuto il passaggio all’House music? C’è stato un album, una traccia, un artista che ti ha trasportato su questo nuovo pianeta, forse neanche così lontano? Erano i primi anni ‘80, e si respirava un’aria di novità incredibile... Nuovi sintetizzatori, i primi campionatori, e sicuramente ciò che più sconvolse il “sistema” furono i multitraccia. Ovvero i registratori che ti permettevano di ricreare uno studio discografico in casa. I primi a iniziare il cambiamento furono da Peter Gabriel a Thomas Dolby, dai Bauhaus ai Joy Division... si iniziarono ad usare Drum Machine al posto dei batteristi, campionatori invece di orchestre... e tutto ebbe inizio… Fin da piccolo la musica è sempre stata al centro della tua vita, ma qual è stato il momento in cui hai capito che sarebbe stata lei a pagare le bollette? Il punto di non ritorno. Quando per la prima volta mi pagarono per far ballare la gente. A me, che ero disposto a pagare per lavorare, che avrei speso per poter fare il DJ.

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MUSICA

Pensi sia cambiato il modo di fare festa dagli anni ‘90? Pensi che il pubblico abbia esigenze diverse?

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È appena arrivato un altro bambino nella tua famiglia, pensi sarà difficile conciliare la vita notturna con questo nuovo arrivo? Si, il Fratellino di Brando, Morgan, è appena arrivato. Il rapporto col lavoro? Ciò che faccio ormai da 6 anni: tornare a casa il prima possibile!

Sicuramente il divertimento e l’approccio al ballo è percepito in maniera totalmente diversa. Un tempo si entrava in un club per farsi trasportare in un’altra dimensione, oggi è l’utente che ti chiede la musica, ovvero chiede di guidare lui. Il che è un paradosso.

Hai girato i club di tutto il mondo, quale ti ha impressionato di più? In quale ti senti a casa? Qual’è stata la folla più grande di fronte alla quale hai suonato? E la più esagitata?

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Se potessi mangiare soltanto una pietanza per il resto della tua vita, quale sceglieresti? Sushi

Quella che considero casa, è certamente la Villa delle Rose a Riccione. Quello che mi ha impressionato di più è il Blue Marlin Ibiza, che da una spiaggia, ha saputo crescere, fino a diventare la consolle frequentata dai più grandi Djs del mondo. La folla più grande, sicuramente il Carnevale di Venezia, con un’affluenza irripetibile; la più esagitata in assoluto il Movida di Jesolo. La tua carriera è cominciata in un tempo in cui ad avere il cellulare erano ancora in pochi. Come hai vissuto questa rapida evoluzione tecnologica? La tecnologia è la mia confort zone. Per cui non è mai stato un problema. È certo che i social però hanno tolto la genuinità alle folle e spostato l’attenzione dall’ascolto ed il trasporto tramite la musica, alla concentrazione sulle storie di Instagram. Qual è l’elemento che trovi sia più cambiato nella produzione musicale? Ai tempi noleggiare uno studio costava decine di milioni, e solo i professionisti potevano produrre un disco. Oggi lo fa mio Figlio di 6 anni in 5 minuti. Come ogni medaglia ha due facce: una bella e purtroppo una bruttissima. Sei un nostalgico del vinile? Assolutamente no. Anche se vorrei renderlo obbligatorio nei clubs, per lasciare a casa il 90% dei nuovi diggeis.

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Quali pensi siano gli artisti più promettenti del panorama musicale italiano contemporaneo? Peggy Gou sicuramente, ma di interessanti ce ne sono a centinaia nel mondo. Rivoluzione Spotify: ormai la musica sembra alla portata di qualsiasi orecchio. Come funziona per te oggi la ricerca musicale, quali sono i tuoi canali preferenziali? La mia ricerca è quella di sempre: chiudo gli occhi, e vince la pelle d’oca. Per quanto riguarda la facilità nel reperire la musica, a ritengo una malattia grave.

→ Foto: Alberto Buzzanca

Le tappe nel tuo prossimo futuro? Una cosa che vorresti fare assolutamente prima di morire?

Dal punto di vista dell’artista invece, come ha influito sulle tue uscite questo nuovo potentissimo canale di comunicazione?

Le tappe un po’ troppe da menzionare. Cosa vorrei prima di andarmene? Passare qualche anno con la mia famiglia, in giro per il mondo a cercare di aiutare, in qualche modo, chi non ha avuto fortuna come noi. E che la musica non si fermi mai.

Con meno interesse. Oggi un disco dura meno di un gatto in autostrada. Tra 20 anni, ci si renderà conto che non ci ricorderemo di nessun brano del 2019. Ma quelli dei decenni prima resteranno per sempre. La musica eterna finisce con lo streaming, anche se lo stesso rende quella già eterna, ancora più grande. La rivoluzione digitale ha investito anche la sfera sociale. Come ti rapporti con i social? È stato facile proiettarsi in un mondo in cui la sfera personale, intima, è così esposta, a volte più della propria musica? Io sposato con una che riceve migliaia di messaggi all’ora? Mi apostrofano Dj, ma meno dell’uno percento conosce ciò che ho fatto o rappresento. Questo è il mondo di oggi… Relax in famiglia, come ti piace passare il tempo quando sei con la tua compagna e il piccolo Brando? E quando invece vuoi dedicare del tempo solo a te stesso? Dove ti piace passare le vacanze? Io con mio figlio gioco con tutto: da “ Indovina chi?”, a mixare con la consolle. Il mio tempo è per la mia famiglia, non c’è nulla di più sublime; le vacanze? Con mia moglie e i miei figli!

La playlist di Mauro Ferrucci - Frankie Knuckles: Your Love - Clive Griffith: I’ve been waiting - Talking Heads: This must be the place - Db Boulevard: Point of view - Jim Capaldi: That’s Love - Debbie Jacobs: Don’t you want my love - Steve Winwood: Valerie - Talk Talk: It’s my Life - Paul Kalkbrenner: Sky and Sand - Prince: I wanna be your lover Ascoltala su Spotify!

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n° 7

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MUSICA

MERK & KREMONT

I producer italiani alla conquista del mondo Federico Mercuri e Giordano Cremona, in arte Merk & Kremont, sono tra i maggiori dj italiani della scena Dance internazionale. Con le loro hit per Fabio Rovazzi, Il Pagante, Benji & Fede hanno travalicato i confini nazionali e hanno conquistato il mondo intero.

Qual è l’intuizione che vi fa capire che il brano che avete tra le mani sarà vincente? K: La nostra idea è che se qualcosa convince tutti allora va bene. Se anche solo una persona non sente la scelta armonica o crede che il brano non sia abbastanza forte allora bisogna cambiare qualcosa finché tutti non sono soddisfatti. M: Noi facciamo molti mini litigi costruttivi fino a quando non troviamo un punto in comune. Dobbiamo sbatterci la testa più volte prima di raggiungere il risultato finale. Quello che state realizzando era un sogno che era nel cassetto o è stato concepito in corso d’opera? K: Noi siamo l’esempio lampante che sia in Italia che in qualsiasi parte del mondo se si ha un obiettivo e si ha voglia di raggiungerlo ci si può riuscire. Noi abbiamo avuto anche una grande dose di fortuna, però siamo stati bravi perché non ci siamo mai arresi. Se possiamo dare un consiglio a chi vuole iniziare questo lavoro è di non lasciare nemmeno un giorno al caso: bisogna lavorare tutti i giorni per realizzare il proprio sogno. Attenerci al nostro sogno è stata la chiave del nostro successo. M: Quello che siamo diventati è sempre stato il nostro sogno, sin da quando abbiamo cominciato. I primi due anni eravamo ancora al liceo, quindi era ancora un hobby. Durante il secondo anno di università la nostra musica è stata molto apprezzata all’estero. A quel punto abbiamo deciso di dedicarci completamente alla musica e lasciare la scuola per poter lavorare tutti i giorni.

36 → di Margherita Maroni

Perché il titolo “Kids”? K: Il significato della canzone è never gone kids, cioè i ragazzi che non se ne sono mai andati, quelli che non danno importanza al giudizio degli altri. L’abbiamo chiamata Kids perché abbiamo lo stesso entusiasmo di fare musica che avevamo quando eravamo più giovani. M: Il lato divertente è che prima aveva un altro titolo, si chiamava “Bla bla”. Era successa la stessa cosa anche con “Hands Up”, prima si chiamava “Times Up”. Siete fondamentalmente due dj, vi considerate come gli altri musicisti? K: Ci piace definirci produttori musicali. Secondo noi il musicista è colui che performa la musica dal vivo, noi invece lo facciamo in studio tramite il computer. Questo però non delimita la nostra conoscenza musicale: noi conosciamo la musica e la sappiamo adoperare. Non suoniamo dal vivo, suoniamo tramite cdj che sono lo strumento dei dj. M: Noi facciamo più cose: siamo sia dj che producer. Di solito dividiamo la carriera in due: nel weekend suoniamo nelle discoteche, in settimana stiamo in studio a scrivere musica per noi e per gli altri. Quali artisti avete prodotto? K: Il Pagante, Gianluca Vacchi, Fabio Rovazzi, Benji & Fede. Abbiamo lavorato per la Disney e per XFactor. M: Produrre “Andiamo a Comandare” di Rovazzi è stato molto interessante. L’ultima che abbiamo prodotto è stata “Dove e quando” di Benji & Fede e sta andando molto bene.

→ Foto: Alex Caselli

Ultimamente siamo bombardati dalla musica Urban, dalla Trap. Che cosa vi aspettate dal futuro della musica? M: Secondo me la musica è fatta da cicli e questo della musica Urban durerà ancora per un po’. Stanno facendo dei numeri pazzeschi che saranno difficili da superare in futuro, quindi arriverà qualcosa di nuovo. K: Sicuramente il sogno di chi fa urban in Italia è poter sfondare all’estero. Noi come dj, insieme ai nostri colleghi del settore di musica elettronica EDM, lo facciamo già da anni. Questo perché non abbiamo il vincolo della lingua e possiamo rivolgerci a più mercati contemporaneamente. All’inizio avete puntato all’estero, pensavate che l’Italia non fosse ancora pronta? K: Non è stata una scelta premeditata. Ascoltavamo la musica elettronica che funzionava all’estero e ci siamo ispirati a quella. La cosa bella dell’EDM è che ha un mercato molto globalizzato perché non esiste una lingua madre. M: Quando abbiamo iniziato ci siamo ispirati ad un filone musicale che in Italia non andava di moda. Quando anche il pubblico italiano ha iniziato ad apprezzarlo, siamo tornati. Come avete iniziato? M: Tramite un amico in comune che ci ha insegnato a mettere le mani sul software e a creare la musica. Io e Giordano facevamo la stessa scuola di ingegneria del suono: io a Milano e lui a Londra. Quando ci siamo incontrati abbiamo deciso di cominciare un progetto insieme e ci trovavamo in studio tutti i giorni per produrre. Essere in due è un punto di vantaggio nelle situazioni? K: Essere in due vuol dire che c’è qualcun altro oltre a te stesso che ha un orecchio critico ma condivide la tua stessa motivazione per fare musica. Noi ci supportiamo a vicenda per non andare mai giù di morale.

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Avete ancora un sogno nel cassetto? K: Suonare al “Tomorrowland” era uno dei nostri sogni e si è avverato quest’estate. M: Un altro sogno che si è avverato quest’estate è avere uno studio con l’aria condizionata. Tra i tanti c’è anche fare una canzone che diventi una hit in tutti i paesi del mondo. Voi quando producete? Come organizzate il lavoro? M: Dalla mattina fino alla sera alle 8. Quando abbiamo una grande ispirazione però restiamo in studio anche di notte. Con chi vorreste collaborare? M: David Guetta o Calvin Harris sono i nostri idoli comuni. Calvin Harris più di tutti perché lo vediamo molto simile a noi: è sia dj che produttore e le sue canzoni sono sempre vincenti. Qual è il vostro concetto di divertimento? M: Fare sport: facevo Tennis ma ho smesso da poco. K: Uscire la sera a bere qualcosa con gli amici e uscire con la mia fidanzata. Dove uscite a Milano? M: Quando eravamo più giovani preferivamo uscire in Brera oppure ai Navigli e in Colonne. Adesso andiamo alla ricerca di nuovi locali: andiamo spesso in Moscova o al Botanical Club in Tortona. A me piace molto scoprire i diversi tipi di Gin e al Botanical Club si possono assaggiare gin provenienti da tutto il mondo. K: Anche a me piace molto il Gin. Io e Federico usciamo spesso insieme quind frequentiamo gli stessi posti. Una collega donna dj che vi piace? K: Peggy Gou secondo me ha grandi possibilità di diventare molto famosa. È anche molto stilosa: la ammirano molto sia nel mondo musicale che in quello della moda. M: Anche a me piace molto Peggy Gou: è una dj metà asiatica metà americana che fa un genere di musica Hindi Dance.


MUSICA

TOP 10 Musica 2.

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1. → di Luca Forlani

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Charlie Charles e Dardust featuring Fabri Fibra, Mahmood e Sfera Ebbasta – “Calipso” Calipso è la ninfa delle sirene di Ulisse, quella che lo trattenne per sette anni su un’isola lontano da casa. In questo brano è la metafora per poter raccontare quanto sia facile farsi tentare dalla strada sbagliata quando sei un ragazzo che parte dalle periferie. Charlie Charles e Dardust avevano già prodotto Soldi, brano vincitore dell’ultimo Festival di Sanremo. Calipso segna una nuova collaborazione con Mahmood, bissandone il successo. Un connubio da primo posto.

Boomdabash featuring Alessandra Amoroso “Mambo Salentino” I Boomdabash omaggiano la loro terra natia. Dopo Loredana Bertè, per questa estate 2019 hanno scelto un’altra grande interprete della canzone italiana: Alessandra Amoroso, salentina doc. Le sonorità pugliesi si uniscono a quelle del reggaeton creando un mix esplosivo.

3.

Jovanotti featuring Dardust “Nuova era” Jovanotti e il suo tour Jova Beach Party hanno animato le più belle spiagge italiane durante questa estate 2019. Nuova era è la canzone simbolo di questo progetto che ha riscosso grande successo. Un inno all’estate, al divertimento e all’amore.

Elodie featuring Marracash “Margarita” Elodie, a distanza di un anno da Nero Bali (feat. Michele Bravi e Gué Pequeno), con Margarita si conferma una delle principali protagoniste dell’estate musicale italiana. La canzone, partita in sordina, è esplosa nella seconda metà dell’estate.

5.

Petit Biscuit “Sunset Lover” Petit Biscuit è considerato l’enfant prodige della musica elettronica internazionale. Con Sunset Lover è in cima alle classifiche di mezzo mondo. Il brano è stato realizzato con qualche accordo di chitarra, alcune note elettroniche e la registrazione della voce di un amico. L’originale composizione è avvenuta nella camera da letto dell’artista francese.

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Thegiornalisti “Maradona y Pelè” Tommaso Paradiso porta al successo l’ennesima hit cantando i suoi miti di sempre in una torrida notte d’estate. Il brano si inserisce perfettamente nello stile ormai riconoscibile del gruppo romano, prima band italiana a conquistare il prestigioso palco del Circo Massimo.

7.

Justin Bieber featuring Ed. Sheeran “I don’t care” Seconda collaborazione per la coppia d’oro del pop mondiale dopo la hit Love yourself. I don’t care è un brano che entra in testa facilmente. Nel giro di poche settimane ha superato ogni record di ascolti su Spotify.

Benji & Fede “Dove e quando” Il brano segna il ritorno del duo. I giovani artisti si erano, infatti, imposti una pausa di tre mesi a seguito del successo ottenuto nei precedenti quattro anni di carriera. Il brano trae ispirazione dalla musica latina, in particolare dalla bachata.

9.

Billie Eilish “Bad guy” Un brano pop-trap avanguardista, ironico e decisamente femminista. La cantante statunitense, non ancora maggiorenne, si conferma una delle novità più interessanti del panorama musicale internazionale.

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Takagi & Ketra featuring Giusy Ferreri e Omi “Jambo” La voce di Giusy Ferreri è ormai immancabile durante i mesi più caldi. Jambo in shawili, una delle lingue più diffuse in Africa, significa ciao. Il brano molto ritmato, orecchiabile e ballabile appare però meno originale rispetto ai precedenti tormentoni estivi della regina dell’estate.



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Digital & Tech MEN OF MEDAN

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TOP 10 VIDEOGAMES

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HIGH-TECH NEWS

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TOP 10 APP

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MAN OF MEDAN

Ecco il primo capitolo della serie horror The Dark Pictures Anthology → di Alessandra Contin

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Lo studio di sviluppo Supermassive Games non è nuovo al genere videoludico horror dal forte impatto narrativo. Già nel 2015 il team britannico aveva terrorizzato gli utenti di PlayStation 4 con la loro avventura dinamica Until Dawn, una produzione ispirata ai classici della cinematografia Teen Slasher, sottogenere dell’horror adolescenziale, ma declinata in forma di videogioco da brividi, dove le scelte degli utenti influenzavano l’andamento della trama e il destino dei singoli personaggi. Oggi Supermassive, supportati dal publisher Bandai Namco, torna a illuminare i monitor delle console con un progetto molto ambizioso dal taglio cinematografico e influenze horror anni Novanta: The Dark Pictures Anthology. Una serie di ben otto giochi autoconclusivi, ispirati al folklore e alle più terrificanti leggende metropolitane, di cui Man of Medan è il primo degno rappresentante. Man of Medan trae ispirazione dalle vicende che avvolgono l’inquietante storia della SS Ourang Medan, nave mercantile olandese che si ipotizza naufragò nelle acque indonesiane dopo che il suo intero equipaggio era scomparso in circostanze a dir poco misteriose. Nel giugno del 1947 due imbarcazioni americane che navigavano nello Stretto di Malacca, la Città di Baltimora e la Silver Star, ricevettero disperate richieste di soccorso provenienti dal mercantile olandese Ourang Medan. Alle navi giunse il seguente messaggio in alfabeto Morse: “Tutti gli ufficiali, tra cui il capitano e l’equipaggio intero giacciono morti in sala nautica e nel ponte… forse in tutta la nave non restano superstiti…“

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Partendo da questo suggestivo assunto, cinque amici, i fratelli Brad e Alex, Julia e suo fratello Conrad, interpretato dall’attore Shawn Ashmore, e per finire l’irrequieta Fliss, decidono di organizzare un’escursione marittima alla ricerca dei favolosi tesori sommersi. Sullo sfondo di un tramonto mozzafiato, i ragazzi salgono a bordo della Duke of Milan, una piccola imbarcazione capitanata da Fliss, per partire verso quella che ben presto si rivelerà un’avventura terrorizzante, perché certi segreti devono rimanere sepolti nelle profondità dell’abisso. Man of Medan è un titolo giocabile in multiplayer, sia localmente che online. Nella sua modalità locale supporta cinque giocatori in contemporanea, quella online solo due. Giocando online con un amico si condivide la storia ed entrambi gli utenti, con le loro azioni, influenzano le possibili diramazioni narrative. In locale i partecipanti utilizzano un unico joypad, guidando a turno le azioni dei cinque personaggi principali. In questo caso, i bivi presentati dall’intreccio narrativo sono molteplici e se uno dei personaggi muore, non potrà essere rimesso in gioco. Nello spi-

rito che da sempre accompagna i videogiochi realizzati da Supermassive, il “Game Over” è una pietra tombale che porta la narrativa in direzioni sempre diverse. Man of Medan può essere giocato nella classica modalità in single player, concentrando tutta l’attenzione sul carattere dei cinque personaggi e sulle relazioni interpersonali. Interazioni che nel corso di tutta la storia si modificano in base alle scelte del giocatore. Il gameplay, che di base è una novella interattiva a decisioni multiple con parte esplorativa, è arricchito da frenetici momenti in quick-time event e sezioni di gioco dove si deve mantenere la calma, cercando di controllare le pulsazioni del personaggio interpretato. In un video di presentazione Supermassive Games ha svelato anche la modalità Curator’s Cut che permetterà ai giocatori che porteranno a termine il primo atto della loro serie horror di sbloccare un percorso e un punto di vista alternativo alla storia principale, avendo così nuove informazioni sulla trama. Man of Medan, primo episodio della serie The Dark Pictures Anthology, è disponibile, già dal 30 agosto, per console PlayStation, Xbox 360 e PC Steam.

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TOP 10 Videogames 1.

CRASH TEAM RACING NITRO-FUELED per PS4, Switch, Xbox One Con oltre mezzo milione di copie vendute nel solo mese di lancio, l’operazione nostalgia del recupero di Crash Team Racing ha emozionato i videogiocatori portando il titolo in vetta alla classifica delle loro preferenze.

2.

SUPER MARIO MAKER 2 per Nintendo Switch A coronare il successo di Nintendo Switch, piattaforma hardware più venduta nella prima metà del 2019, è arrivato Super Mario Maker, nuova esclusiva della casa di Kyoto. La community ha risposto con entusiasmo, realizzando oltre due milioni di livelli di gioco.

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GRAND THEFT AUTO V per PC, PS3, PS4, Xbox 360, Xbox One Le classifiche mondiali di vendita confermano ancora una volta la grande popolarità di GTA V. Il videogioco, che ci conduce sulle violente strade di Los Santos, è ancora una volta tra i più venduti nonostante abbia debuttato nel lontanissimo 2013.

4.

F1 2019 per PC, PS4, Xbox One Il gioco ufficiale della serie a quattro ruote, nella sua versione 2019, affianca alla licenza di Formula 1 anche le monoposto della categoria FIA cadetta e la Formula 2. Aggiunte gradite ai videogiocatori che hanno il titolo targato Codemasters dritto in classifica.

5.

MINECRAFT per Switch e PS4 È trascorso un decennio da quando Minecraft ha fatto il suo ingresso sul mercato videoludico. Il gioco che immerge i giocatori in un universo popolato di cubetti ha spodestato anche Tetris dal vertice della classifica dei titoli più venduti della storia, con l’impressionante cifra di 176 milioni di copie. EN TERTA IN M EN TILLUSTR ATED.IT

→ di Alessandra Contin


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FIFA 19 PC, PS3, PS4, Switch, Xbox 360, Xbox One

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6.

Il calcio secondo Electronic Arts è un evergreen sempre presente in classifica. Per vedere se conserva tanta popolarità occorre aspettare Fifa 20, disponibile da fine settembre, dove, per motivi di licenza, i videogiocatori non potranno usare la Juventus, ma una squadra che prenderà il nome di Piemonte Calcio.

ROCKET LEAGUE PS4, Switch, Xbox One

7.

I contenuti aggiuntivi all’evento Radical Summer hanno premiato ancora una volta il titolo di Epic Games. Le ambientazioni anni ‘80, che celebrano la cultura POP del decennio dominato dalle console a 8-bit, hanno dominato la lunga estate calda.

SKY: CHILDREN OF THE LIGHT per dispositivi iOS

8.

L’ultima fatica dello studio di sviluppo indipendente Thatgamecompany, creatore dell’apprezzatissimo Journey, merita un posto nella top ten per la sua ambientazione che cattura e porta il videogiocatore in un mondo onirico e incantato. Il titolo Sky adotta il modello free-to-play, scaricabile gratuitamente dallo App Store con possibilità di acquisti in-app.

WOLFENSTEIN: YOUNGBLOOD per PC, PS4, Xbox One e Switch

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9.

Lo sparatutto cooperativo della acclamata serie videoludica di Wolfenstein unisce l’azione brutale e frenetica alle belle ambientazioni realizzate da Arkane Studios Lyon, per creare una versione alternativa di Parigi anni ‘80 occupata dai nazisti.

DR. MARIO WORLD per dispositivi Android e iOS Durante il lancio di Dr. Mario World, il nuovo puzzle game per smartphone Android e iPhone di casa Nintendo, è stato scaricato da oltre 5 milioni di utenti di tutto il mondo. L’avventura ricca di rompicapi adatti ai giocatori di tutte le età, contiene un sistema di microtransazioni diffuso e non invadente.

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High-tech news → di Nadia Afragola

“Baratterei tutta la mia tecnologia per una serata con Socrate”: a sostenerlo era niente meno che Steve Jobs. E probabilmente non sarebbe neppure da dargli torto, ma non essendo nelle condizioni di poterci mettere in contatto con Socrate, ecco dieci novità per tutti gli addicted alla tecnologia. Qualsiasi rapporto abbiate con essa, e in qualsiasi parte della vostra giornata ne condividiate le scelte qui troverete ciò che fa al caso vostro.

GIRADISCHI Giradischi PS-LX310BT Sony La soluzione perfetta non solo per rispolverare i vecchi dischi, ma anche per collezionare le ultime uscite, poiché permette di rivivere l’autentica esperienza del vinile in chiave moderna. Sony unisce così la tanto amata qualità audio dei vinili alla praticità e flessibilità di collegamento ai dispositivi wireless o cablati. Con il trasmettitore BLUETOOTH® integrato, è possibile ascoltare il caldo suono del vinile in completa libertà con qualsiasi diffusore, soundbar o cuffie wireless.

LAPTOP Lenovo Yoga C940 È il nuovo convertibile 2-in-1 che ridefinisce prestazioni e design con uno chassis interamente in metallo e funzionalità intelligenti integrate quali l’otturatore Privacy TrueBlock, l’autenticazione biometrica Windows Hello e la penna con funzionalità di ricarica nell’alloggiamento e Windows Ink. La durata della batteria arriva fino a 17,5 ore in FHD e fino a 10,5 ore con display UHD.

44 SMARTPHONE Motorola one zoom Cattura il mondo con nitidezza e resa dei colori straordinarie, anche in condizioni di scarsa luminosità. Il nuovo smartphone di Motorola ridefinisce le capacità fotografiche dei device di questo settore. Dotato di un sensore da 48 megapixel, tecnologia Quad Pixel, doppio stabilizzatore OIS, software Night Vision, teleobiettivi dedicati da 8 megapixel, obiettivi ultra-grandangolari da 16 megapixel e funzionalità IA.

HEADPHONES Cuffie WF-1000XM3 Sony Sono totalmente wireless e sono dotate della tecnologia Dual Noise Sensor che cattura il rumore, e del processore di eliminazione del rumore HD QN1e. Oltre a cancellare i suoni su quasi tutte le frequenze, il processore consuma anche una quantità minore di energia. Gli auricolari fanno scomparire qualsiasi suono esterno, dal fastidioso rumore delle cabine dell’aereo, al trambusto della città.

Crusher ANC di Skullcandy Ricche di funzionalità, offrono un’esperienza audio unica con cancellazione attiva del rumore. Sprigionano un suono dimensionale grazie alla combinazione di tre tecnologie innovative: Adjustable Sensory Bass (brevettata da Skullcandy), Active Noise Cancellation e Personal Sound. Parliamo delle uniche cuffie sul meracato dotate di tutte e tre le tecnologie.

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OROLOGIO G-Shock by Danilo Paura G-SHOCK e l’irriverente designer italiano Danilo Paura combinano il loro DNA nel nuovo orologio PAURA X G-SHOCK, realizzato sulla base dell’iconico modello a cassa quadrata DW-5600. Il modello DW-5600 - alla base di questa collaborazione – si scompone cromaticamente creando un dualismo creativo di bianco e nero che regala forma e movimento al cinturino, su cui spicca il lettering ‘Paura’.

WALKMAN Walkman® Sony NW-ZX507 Offre la possibilità di ascoltare musica da più sorgenti grazie ad Android™ e Wi-Fi. Basta accedere ai brani dal dispositivo tramite i servizi di streaming e download preferiti, senza dover rinunciare all’audio di alta qualità. Con il display HD da 3,6” dotato di touch panel, l’ascolto è perfetto. Sono stati integrati una porta USB tipo C™ e lo slot per scheda micro SD, oltre ai pulsanti fisici laterali, che semplificano l’utilizzo del dispositivo.

FOTOCAMERA Compatta RX100 VII Dotata delle tecnologie sviluppate per la fotocamera mirrorless full-frame 9 di Sony, raggiunge nuovi livelli di prestazioni per una fotocamera compatta, sia per le foto sia per le riprese video. Vanta, inoltre una tecnologia autofocus leader di settore a livello globale con AF a rilevamento di fase sul piano focale a 357 punti e AF a rilevamento di contrasto a 425 punti.

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TV AG9 Sony È il nuovo TV OLED 4K HDR di punta della gamma Sony, disponibile nelle versioni da 77”, 65” e 55”, tutte accomunate da un design sottile e minimalista. L’ampiezza dell’angolo di visione, la precisione del contrasto e il nero assoluto della tecnologia OLED danno vita a immagini estremamente realistiche. Gli oltre 8 milioni di pixel auto-illuminanti sono controllati individualmente e con precisione dal processore d’immagine X1™.

SMART PEN Moleskine Smart Writing System Unisce dispositivi cartacei e digitali, facendoli funzionare in modo integrato. Composto da taccuini, Paper Tablet, agende Smart Planner, l’app Moleskine Notes e una Smart Pen, permette di trasferire i contenuti creati nei loro taccuini di carta, ai loro dispositivi digitali. Il tratto della Smart Pen su un taccuino Moleskine Paper Tablet apparirà immediatamente sul dispositivo digitale prescelto.

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TOP 10 APP

→ di Mariacristina Ferraioli

La guerra tra Apple e Android non si gioca solo sul fronte dei sistemi operativi e degli smartphone, sempre più performanti, ma anche su quello delle App. Un mercato in forte crescita se si considera che un utente medio trascorre circa tre ore al giorno sulle applicazioni per una spesa destinata a toccare il valore dei 6.300 miliardi di dollari nel 2021 secondo le stime di App Annie, la più grande piattaforma mondiale di analisi di dati legati alle applicazioni. Sempre più intuitive e smart, se usate bene facilitano davvero la vita. Ma in questo universo così variegato quali sono le 10 applicazioni must-have, cioè quelle che non devono proprio mancare in ogni smartphone?

1.

ANY.DO | LISTA DEGLI IMPEGNI

È l’app indispensabile per chi ha molti impegni (e poca memoria!). Permette di calendarizzare i tuoi appuntamenti e non dimenticare le cose da fare. Perché ci piace? Consente di impostare sveglie o allarmi per uno o più eventi e di avere davvero tutto sotto controllo. www.any.do

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2.

EVERNOTE

Mai più agende, quaderni, penne e fogli sparsi grazie ad Evernote, la app che ti permette di alleggerire decisamente la tua borsa. Potrai, infatti, prendere appunti, salvare foto, creare liste di cose da fare e registrare promemoria in modo facile e veloce. Il plus? La sincronizzazione con tutti i dispositivi e i pc. www.evernote.com

3.

SNAPSEED

Siete patiti di Instagram e adorate pubblicare foto di viaggi e di tramonti? Non potete fare a meno di Snapseed, l’app più usata dagli influencer, e una delle migliori per le modifiche fotografiche. Perfetta soprattutto per paesaggi e panorami. www.snapseed.online

4.

AUTODESK PIXLR

Tra le migliori applicazioni di photo-editing vi consigliamo Autodesk Pixlr, vera chicca per smanettoni. Ha un’infinità di funzioni. Ti permette, infatti, di creare collage fotografici, dove scegliere sia le spaziature sia lo sfondo, applicare filtri particolari (effetto matita, bianco e nero, etc.) per dar vita a immagini da condividere immediatamente sui social network. Disponibile per gli utenti Android. www.pxlr.com

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5.

MONEFY

Tenere traccia delle proprie spese mensili non è sempre facile, soprattutto se si hanno le mani bucate o non si è particolarmente attenti. L’app che corre in tuo aiuto è Monefy che ti consente di annotare tutti gli acquisti effettuati e tenere sotto controllo il tuo budget. www.monefy.me

6.

TUNEIN RADIO

Siete stufi di ascoltare sempre la solita musica e avete voglia di novità? TuneIn Radio è l’app che fa per voi. Potrete ascoltare la radio sullo smartphone e avrete l’imbarazzo della scelta con oltre 70.000 stazioni disponibili. www.tunein.com

7.

TROVA AUTO PARCHEGGIATA

A chi non mai è capitato di dimenticare dove ha parcheggiato la propria auto? L’app Trova auto parcheggiata è perfetta per orientarsi nei grandi parcheggi. Permette di salvare la posizione GPS dell’auto o della moto e di ritrovarla sfruttando il radar dell’app. Geniale no?

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8.

MYFITNESSPAL

Siete appassionati di fitness o vi piacerebbe perdere qualche chilo? MyFitnessPal è il miglior contatore di calorie per Android. Con questa app potete registrare quante calorie che consumate con l’attività fisica e quelle presenti negli alimenti che mangiate abitualmente. Inoltre ha uno scanner che permette di analizzare il codice a barre dei prodotti del supermercato per sapere quante calorie contengono. www.myfitnesspal.com

9.

RUNTASTIC PRO

Runtastic Pro è l’evoluzione dell’app Runtastic dedicata non solo agli amanti della corsa ma di tutte le attività fisiche all’aperto: runner, ciclisti e camminatori. L’applicazione tiene traccia del percorso effettuato e fornisce qualsiasi dato sulla performance: dalla velocità media alla pendenza fino al battito cardiaco. Inoltre, Runtastic Pro ha anche un player musicale che permette di ascoltare la musica durante l’attività fisica. www.runstatic.com

10.

CALIBRE COMPANION

Adorate leggere ma non volete andare in giro con il peso dei libri? Da oggi potrete avere sempre con voi i vostri e-book preferiti grazie a Calibre Companion che, attraverso la sincronizzazione automatica con il vostro pc, vi consente di avere sullo smartphone una vera e propria libreria personale con tutti gli e-book acquistati sui vari e-commerce online. I tuoi viaggi in metro o in treno non saranno mai più gli stessi! www.calibrecompanion.co

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GOOD

FEEL GOOD 18 dicembre 2019, dalle ore 12.00 Via Alessandria 8, Milano


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Lifestyle PAOLO ORLANDI

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MAX PAPESCHI

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DELRESTO

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ANNA DELLO RUSSO

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RIVOLUZIONE SILENZIOSA

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DER PRINZ TATTOOER

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RISTORANTE LAROSSA

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ULTIMA PAGINA

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PAOLO ORLANDI

50 → Illustrazione: Paolo Orlandi

→ di Monica Papagna

Ho incontrato Paolo Orlandi, illustratore e fumettista milanese, in un bar, durante una di quelle fredde giornate autunnali. Lui ha varcato l’ingresso, bello come il sole, con i capelli lunghi sciolti e fresco come una rosa. Ha sorriso e mi ha salutato come se fossimo amici da sempre, abbiamo ordinato un caffè e un litro di acqua.

Come ti sei appassionato al disegno? Credo che il disegno abbia salvato la mia vita. In adolescenza avevo bisogno di avere qualcosa a cui aggrapparmi, qualcosa che mi facesse sentire di essere nel posto giusto proprio in quel momento. E il disegno ci è riuscito. Poi ho studiato a Brera!

Però hai lavorato per l’arte contemporanea con l’artista Francesco Vezzoli, sei stato la sua mano per un progetto, com’è stato?

È stata la mia empatia a permettermi di essere scelto per questo Nel tuo lavoro vedo tanti stili e tante tecniche, come progetto, sono attratto dalle persone, cerco di capirle e le disegno. Per Vezzoli ritraevo scegli di alternarli? delle persone in circa 15 minuti, pensa che tra le tappe di Milano e Roma ho superato i 1000 ritratti. La gente mi regala tanto e a me piace questo scambio. L’intesa che si è creata tra noi davanti a questo caffè ne è la prova. Io sto parlando di più perché è Penso sempre al come disegnare le cose e non a cosa, scusa il gioco un’intervista ma è davvero uno scambio che sento. di parole. Per lavoro ho la necessità di forzare l’ispirazione, mi chiedono un determinato tipo di segno per diverse pubblicazioni e non ho scelta. Naturalmente quando, invece, mi metto a disegnare per i miei progetti, non penso allo stile o alla tecnica. La mia È vero, sai capire perfettamente chi hai davanti. B-t-x Girl, il mio progetto più personale, è il mio stile spontaneo, visualizzo nella mia Ma mi hai incuriosito, qual è la più grande mente quello che voglio ottenere e lascio scorrere la tecnica. A seconda della produzione differenza tra un artista e un disegnatore per te? che devo fare viene fuori lo stile. Ogni tipo di stile mi affascina. Gli artisti nel 2019 devono essere anche imprenditori. Ho lavorato con e per l’arte contemporanea e questa distinzione mi è molto chiara. Bisogna avere delle caratteristiche diverse, l’idea dell’artista naïf non appartiene ai nostri tempi.

Ci sono illustratori a cui ti ispiri? Andrea Pazienza, a livello artistico, per me è il punto di arrivo. Come anche Crepax e in generale i fumetti americani. Sono un ragazzo come tutti, colonizzato dalla cultura pop! Andrea Pazienza però ha una marcia in più rispetto a tutti, secondo me. Con un segno molto minimal riusciva a creare una vignetta o un murales in stile Michelangelo, era un vero artista, non solo un disegnatore. Io mi sento un disegnatore, ma non un artista.

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Abbiamo accennato alla tua B-t-x Girl, il tuo progetto più personale, un fumetto che ti porti dietro da anni, che significato ha per te? La mia B-t-x Girl è in parte ispirata al film “Death becomes her” (tradotto in italiano “La morte ti fa bella”), un film del 1992 con Maryl Streep e Goldie Hown. È un film che racconta l’ossessione di rimanere giovani, di avere un corpo perfetto e trovo sia un argomento ancora molto attuale. Nei fatti è una sorta di zombie movie ambientato a Beverly Hills! Ora ci siamo abituati a tutto questo, vediamo bocche ipertrofiche e zigomi esasperati che fanno parte della nostra quotidianità. Questo film è stato un precursore di quello che poi è successo davvero. E la mia Tash, la protagonista di B-t-x Girl, è proprio ispirata a questo momento storico, chiaramente portata all’esasperazione. Quindi la tua B-t-x Girl è nata guardando un film? Qualcosa del genere! In realtà Tash è nata nel 2005 su un free press. Usciva a puntate in un periodo in cui si parlava dei primi botox party e io avevo questo disegno di questa ragazza con i capelli rosa e le labbra ottanio e ho capito che era lei la mia B-t-x Girl. Il segno inizialmente era giovane, come lo ero io. Il progetto è un incompiuto perché non sono riuscito a pubblicare l’ultima puntata. Da quel momento sono passati anni, io sono cresciuto e anche la mia tecnica è maturata, ho ritrovato i disegni di Tash di recente e ho ricominciato a farla rinascere per regalarle una nuova storia e il meritato epilogo. Tu non sei una persona che abbandona i personaggi, sei rimasto fedele sia a Wonder Woman che alla tua Tash!

→ Illustrazione: Paolo Orlandi

Che personaggio ti è piaciuto di più ritrarre? E quale ti piacerebbe invece ritrarre, magari facendoci anche una chiacchierata davanti a una birra? È una domanda bellissima: per me sempre Wonder Woman! L’ho già ritratta e ho fatto arrivare a Lynda Carter, l’attrice che interpretava Wonder Woman nella serie tv degli anni ‘70, il disegno attraverso i social. Lei ora è diventata una splendida donna matura che fa la cantante country, ma è ancora molto Wonder Woman perché quando le ho inviato l’omaggio ho scritto Linda invece di Lynda e si è molto incazzata! Ma sono felice di aver fatto arrabbiare Lynda Carter! La sua community però mi ha difeso perché in portoghese linda significa bella e hanno visto l’errore come un complimento.

Tash sono io, è la mia versione al femminile, non riguarda solo le donne l’ossessione di non avere peli, non avere odori, essere perfetti. È stancante e sfinente per tutti, uomini e donne, etero e omosessuali. Ma un po’ di imperfezione, in realtà, serve. Tash è una ex modella che viene completamente trasformata dagli esperimenti di uno “scienziato estetico pazzo” che le dona questo corpo immortale. Però non ha sensazioni e quindi non ha uno scopo, se non un senso di rivalsa contro gli stilisti che l’hanno abbandonata quando non aveva più l’aspetto di una ventenne. Non sentendo niente decide di diventare una fashion terrorist. Non è stata una evoluzione ma una reazione, quindi. Esatto, da fashion victim è diventata una fashion terrorist.

Cosa ti ha attratto di Wonder Woman? Fin da piccolo non mi piaceva lo stereotipo maschile degli anni ‘80, tipo Rambo per intenderci, e nemmeno quello femminile che corrispondeva spesso a una principessa da salvare. Wonder Woman non era niente di tutto questo, era diversa, una vera principessa guerriera. Mi piace l’dea di un personaggio di riferimento che riesca a invecchiare con te. È difficile che un personaggio che ti aveva affascinato da bambino ti comunichi ancora qualcosa in età adulta. Esatto, lei invece per me significa ancora qualcosa, per questo mi piacerebbe conoscere e ritrarre Lynda Carter in modo diverso, vorrei rifarla per aggiungere la maturità che ho raggiunto io e tirare fuori il suo essere guerriera. Non è una santerellina né una pin-up, è una figura pop che ha condizionato moltissimo la mia cultura, ce l’ho anche tatuata sul braccio!

Insegni illustrazione in una scuola di Milano, cosa vorresti dire agli aspiranti illustratori? Ai miei allievi ripeto sempre il detto “impara l’arte e mettila da parte”. Devono assimilare un artista, sentirlo proprio, assorbire la tecnica e poi metterlo letteralmente da parte per crearsi un’identità personale. Leggi ancora fumetti? In questo caso posso dire che le ragazze lo fanno meglio! Le fumettiste sono pazzesche, penso a Vanna Vinci che sta facendo delle biografie eccezionali, tipo “Libretto amorale” su Frida Kahlo. Io sono molto affascinato dall’universo femminile, trovo che le donne riescano a evitare di essere troppo egocentriche e riescano a sviluppare meglio i personaggi. Non leggo tantissimi fumetti ma quelli che leggo sono quasi tutti provenienti da mani femminili. Mi dispiace che questa intervista stia per finire, ma chiudiamo con una domanda che riguarda l’Entertainment. Cos’è per te, cosa ti piace e cosa fai per divertirti?

La playlist di Paolo Orlandi - Orax: Dreaming - Air: Kelly watch the stars - Tricky & John Frusciante and Flea: Da Woman - Madonna, Quavo: Future - Roisin Murphy: Jacuzzi Rollercoaster feat. Ali Love - Kimbra: Top of the World - Pizzicato Five: Twiggy Twiggy - Giorgio Moroder: Right Here, Right now ft. Kylie Minogue - The Chemical Brothers: Got to keep on Somerville - Jimmy somerville: Coming

Divoro film, davvero letteralmente. “Orlando” di Sally Potter è il film della mia vita. Io di cognome faccio Orlandi e il mio professore di letteratura mi chiamava Orlando, forse perché aveva già capito delle cose e in qualche modo mi ha influenzato positivamente. Io guardo di tutto, mi appassiono anche al cinema di intrattenimento, purché sia intrattenimento intelligente. Ovviamente mi piace anche uscire con gli amici! Ma più di tutto adoro perdermi a disegnare, è proprio la mia vita. Mi intrattengo vivendo la mia passione, la mia vita è piena così.

Ascoltala su Spotify!

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MAX PAPESCHI

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“I social?! Sono in grado di uccidere l’arte (virale)” La personale sanremese, conclusa a settembre, ha confermato il successo di questa icona (di arte) pop contemporanea e tutta italiana Abbiamo fatto quattro chiacchiere con l’artista Max Papeschi, per parlare, tra progetti presenti e futuri, delle nuove censure del web.

→ Foto: Giorgia Sans Merci

→ di Ida Papandrea

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L’ultimo successo lo ha conquistato nella città dei fiori, in una location singolare che si amalgama e contrasta con le sue opere, in quel gioco degli specchi che Papeschi tanto ama e a cui ci ha abituati. In occasione del Festival Internazionale UnoJazz&Blues, Sanremo ha ospitato la personale dell’artista milanese Game Of Walls, continuazione - evoluzione di Welcome to North Korea, progetto itinerante che l’artista sta portando in giro da tre anni. Installazioni, performance, foto e video: se nel precedente Welcome to North Korea Papeschi si fregiava ironicamente del titolo di ambasciatore del paese, per dissacrarne la politica assurda di Kim Jong, nel nuovo progetto multimediale Game of Walls a tenere compagnia al dittatore arriva un’altra figura ingombrante, quella di Donald Trump. Un incontro scontro, anche questo raccontato alla maniera di Papeschi, mettendone a nudo il ridicolo senza peli sulla lingua. Un grottesco testa a testa che pone al centro il muro, nella sua doppia sfaccettatura, in un gioco di parole che riprende Game of Thrones, la celebre serie tv: quello che Trump vorrebbe erigere per tenere “gli estranei” messicani al di fuori del territorio USA, quello che invece il dittatore coreano vorrebbe erigere, rovescio della medaglia, per tenere i suoi sudditi al di qua di un muro che oggi divide in due quella che una volta era un’unica nazione. Papeschi riprende la farsa mediatica inscenata dai due, trasformandoli nella versione ridicolizzata di figure mitologiche e personaggi storici, dal Gesù dell’Ultima Cena alla Venere botticelliana, passando per divinità, status symbol contemporanei e pezzi di culto, in un gioco al rilancio tra i due che ne svela tutta la tragicomica caducità. E siccome Max adora giocare alle scatole cinesi, “Non potevo avere location migliore del Forte di Santa Tecla, che ha ospitato la mostra: un ex carcere. Un luogo di detenzione insomma, perfetto per fare il verso alle gabbie, quella in cui Kim Jong tenta di tenere chiusi i suoi sudditi, quella che Trump vorrebbe costruire intorno ai messicani. E prima ancora, Santa Tecla era un fortino: l’unico fortino che avesse i cannoni che miravano non all’esterno, ma alle mura della città, per essere utilizzato contro le insurrezioni del popolo genovese”. Come a dire, imploderemo? La nostra società si sta autodistruggendo? Beh, potrebbe essere. Un tema tosto, affrontato con irriverenza, come piace fare all’artista, regista e attore milanese, appassionato di storia moderna e che dalla stessa parte per stravolgerla, tra iperrealismo e pop, stereotipi

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e archetipi della società contemporanea, in una forma d’arte che ne mette a nudo le brutture con amara ironia. Un teatro dell’assurdo, che Papeschi sa dirigere con maestria: d’altro canto, non potrebbe essere altrimenti per uno che arriva dal teatro arriva, vanta una carriera come regista e si è trovato artista per uno strano gioco delle parti. Una carriera che si basa sul paradosso stesso, insomma. Classe 1970, Max Papeschi ha frequentato l’accademia Paolo Grassi ed ha cominciato a lavorare tra teatro, cinema e tv praticamente da subito. Ma sarà un momento di crisi a lanciarlo nel firmamento dell’arte. Suo malgrado. “Avevo appena girato un film che non sarebbe mai uscito: il che, per un regista, è peggio di un flop al botteghino. Anche la puntata pilota di un programma tv progettato nello stesso periodo, non aveva incontrato il favore dei produttori. Insomma, un periodo di merda”. A fare da cuscinetto alle insoddisfazioni arriva MySpace. Nell’esplosione della piattaforma, Papeschi ci vede lungo e decide di giocarsi il tutto per tutto, pubblicizzando nella spazio virtuale un ipotetico spettacolo teatrale, prima ancora di scriverlo. Crea una serie di collage dissacratori con Photoshop e le mette in rete. Roland McDonald che imbraccia un fucile, Topolino versione nazi. Immagini forti, che prendono in giro la società contemporanea e lo fanno utilizzando gli stereotipi della pop art. Immagini che vengono inevitabilmente notate. Papeschi viene contattato da un gallerista e, tra il serio, il faceto e un talento innato, incomincia un nuovo capitolo della sua vita. E’nel 2010 che il suo nome rompe gli argini dell’arte e diventa pop-olare a tutti gli effetti: in Polonia, espone un collage che diventerà il più contestato e il più famoso. Una donna nuda, con il volto di Topolino, sullo sfondo un’enorme svastica. Viene da chiedersi che risonanza allora avranno oggi queste opere, con un traffico virtuale ormai portato all’ennesima potenza. “E invece no”, Max su questo è secco. “Sembra anche questo un paradosso, ma i social hanno ucciso la comunicazione, l’arte, tutto ciò che è virale. Maggiore utilizzo, maggiore sviluppo dei social ha voluto dire maggiori censure. Prima, quando tutto si muoveva nel sottobosco, la libertà di espressione era massima, il web era un posto realmente senza freni. Poco tempo fa invece, un mio lavoro che rappresenta una Madonna in un cielo coperto di svastiche, è stata segnalata prima di subito. E poi c’è la questione algoritmi, difficile se non impossibile, che un contenuto in qualche modo non sponsorizzato, riesca a emergere e diventare virale.

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Art direction: PR-A | Photo: Ergest Ajasllari

Ostrica San Michele e capasanta in ceviche ghiacciata Chef Luca di Lorenzo per Food Writers

www.sanmicheleoyster.com


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DELRESTO. Matematicamente chic. → di Ida Papandrea

Il brand di Carolina Peano, luxury understatement fatto di materiali preziosi, stampe particolari e geometriche, nasconde un’eredità inaspettata.

55 Ha cognome importante: il suo bisnonno, Giuseppe Peano, illustre matematico italiano e padre della celebre Filling Space Curve, teoria con la quale ha scoperto e definito la linea curva capace di coprire un determinato spazio. Ma, teorie matematiche a parte, Carolina Peano è soprattutto una fashion designer dalle idee originali che con il suo brand, DelResto, ha portato le ricerche e le scoperte del nonno nell’universo couture. Cresciuta tra cucito, teoremi e pittura, non poteva che essere così. DelResto, i suoi modelli ne sono la prova provata: tutti i pattern che caratterizzano le stoffe utilizzate nelle sue collezioni riprendono e sviluppano il tema della linea, curva e continua nello spazio. Negli abiti delle collezioni DelResto, ogni curva riempie lo spazio con colore e creatività, arricchendo ulteriormente i pregiati tessuti che le compongono alla base.

Usi la tecnologia? Cosa in particolare? Più sul lavoro o nel privato?

I tuoi luoghi del cuore

“Molto, sia nel privato che nella vita lavorativa. Sono sempre stata un po’ una e da subito nel creare il mio brand ho fortemente voluto cominciare con il creare un e-commerce che mi permettesse di avere una presenza online. Credo fortemente sia il miglior mezzo per avvicinare ed avvicinarmi ai miei clienti. Nel privato poi ancora di più. Faccio tutto online, dalla spesa ai regali, al cibo per il cane”.

“Parigi, dove ho vissuto per un po’. Affascinante e capricciosa come una bella donna. La casa di mia nonna vicino a Cuneo. Odore di lino pulito, sapone di Marsiglia e il rumore della macchina da cucire. Il prossimo posto in cui mi trasferirò. Non ho radici fisse e mi piace pensare che mi innamorerò sempre della prossima destinazione”. A cosa si ispira la tua ultima collezione.

Com’è il tuo rapporto con i social network? Li ritieni indispensabili soprattutto a fini lavorativi, o preferisci muoverti su altre vie? E quali?

“Ad una donna elegante che non si prenda troppo sul serio. Morbida come lana di cachemire, ma capace di indossare colori forti ed evocativi. Viaggiatrice ma un po’ retrò. Amo molto i geometrismi anni ‘20 e la pulizia formale giapponese”.

“Mi sembrano indispensabili oggigiorno, ma ne faccio uso soprattutto per lavoro. Tengo molto anche al mio profilo Instagram (@_delresto_), più che altro perché è un po’ un diario. Non ho mai inseguito likes ma cercato di cristallizzare momenti che sapevo avrebbero avuto un significato anche dopo. Ho viaggiato molto e mi piace avere una traccia visiva delle esperienze che ho fatto”.

Carolina, ovvero “DelResto”, perché il tuo brand ha questo nome così particolare?

Cosa non deve mai mancare nel guardaroba di una donna? Cosa non manca mai nel tuo? I tuoi tre pezzi cult. “Sembra ridondante da dire ma non devono mancare pezzi che facciano sentire elegante, potente e seducente una donna. Non importa in che modo, il miglior abito è sempre la confidenza in sè stessi. Una camicia bianca, un foulard colorato e una sciarpa larga in cachemire. Un tacco alto, se me ne concedete quattro”.

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“Nasce da un gioco di parole. Il bisnonno matematico ha formalizzato una formula che si chiama ‘il resto di Peano’. Io, non essendo una super furia in matematica, ed avendolo declinato artisticamente, per così dire, mi sono sempre giustificata dicendo che io ero la restante parte del resto. Da qui...”


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ANNA DELLO RUSSO → di Francesca Angeleri

56 → Illustrazione: Paolo Orlandi

A volte capita di aprire gli occhi d’improvviso, con le ciglia talmente tese verso l’alto da stirare completamente la palpebra stile «Arancia Meccanica». Intorno, solo buio. E no, dagli spiragli delle tapparelle non filtra alcuna luce di nessun sole e neppure un barlume di alba ti corre in soccorso per lenire quel senso d’ingiustizia, quasi di colpa, che assale quando «è notte alta e sono sveglio». Perché la cosa peggiore non è dormire ma svegliarsi quando non è il momento. Fortunatamente non sono un’insonne cronica ma ho passato periodi in cui dormivo poco o non dormivo proprio ed ero disperata. Poi, ho iniziato a smanettare su Instagram ed è lì, anche se ovviamente sapevo chi fosse, che ho «incontrato» Anna dello Russo. Ebbene, mentre alle 5 e 30 io mi arrovellavo nel mio disagio, Anna iniziava, tra le prime a cimentarcisi, a fare le sue stories. Prima dell’alba lei, divina e sorridente e con e uno stato vitale da far invidia al Buddha dorato di Bangkok, cominciava a correre. Sempre! E nel frattempo ti faceva (e ti fa) vedere anche il sole sorgere nella campagna di Cisternino intorno al suo trullo con la piscina con tanto di logo (AdR) intarsiato sul fondo: è lei la vera star. Piscina dove lei si sa sarebbe buttata poco dopo, per una serie olimpionica di bracciate, non senza aver prima fatto la sua quotidiana pratica yoga. «Voglio essere Anna dello Russo» è stato un pensiero che ho coltivato per diverso tempo. E non devo essere stata l’unica, visto che «I wanna be Anna dello Russo» è stata anche una campagna di grande successo sui social che accompagnava l’uscita del suo libro e la sfilata di moda che lei ha fatto con in passerella una collezione di (suoi) abiti da sogno. Come tutti i grandi (e questa è una cosa che s’impara sempre più) Anna è disponibile, intelligente, rispettosa. Intervistarla è stato un privilegio. EN TERTA IN M EN TILLUSTR ATED.IT


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Anna, quando ha iniziato a voler essere Anna dello Russo? Penso che ogni persona nasca con incisi i proprio sogni nel suo dna. I miei ricordi da ragazzina sono intrisi di passione per la moda. Purtroppo verso la fine degli anni 60 non era ancora un mondo strutturato da immaginarci sopra una professione. Frequentavo il liceo Orazio Flacco di Bari e poi mi laureai in Lettere con una tesi sulla moda. Il mio obiettivo era diventare una giornalista. Venni presa in Conde Nast. C’è un detto in azienda che dice: chi nasce in Conde Nast, muore in Conde Nast. E io ne sono onorata. Sono una condenastiana! Negli ultimi 12 anni ho avuto la libertà, attraverso il brand AdR, di fare consulenze e muovermi come preferisco. Sono molto grata per questo.

La moda è «viziosa»? La moda come la musica, la letteratura, il teatro sono muse e sorelle di bellezza ed estetica che ci spiegano la vita. Può avere un messaggio positivissimo. Non c’è niente al mondo che sia solo leggerezza. Ma attraverso la leggerezza della moda comprendi gli abissi della vita. Se hai disciplina ci vai a nozze. Da 30 anni nella moda si vive la meravigliosa contaminazione del girotondo di razze e culture che il resto della società sta sperimentando ora. Non ci si deve fermare all’orlo della gonna. Questo è un ambiente in cui s’incontrano tante persone mosse dalla loro passione e dal sogno. L’aspirazione all’estetica non finirà mai. La moda oggi parla di inclusione e inglobazione. È avanti anni luce. Oggi il tema è l’eco friendly ma nei vestiti di Stella Mc Cartney è un concetto presente da 20 anni.

Quando si è trasformata in un’icona? Il decennio 2005-2015 ha decretato un nuovo flusso della comunicazione. Insieme con alcune mie colleghe (Giovanna Battaglia, Chiara Ferragni, Candela) siamo salite sulla giostra. È stato divertentissimo. Si capiva che il web rappresentava il futuro, si stava aprendo un canale potentissimo a discapito, forse, di altri. Quando il futuro trova un suo linguaggio ti ci devi cimentare. All’improvviso la camera si era girata verso di noi: verso quella parte che lavorava dietro le quinte. Il web aveva dato luce al popolo sommerso. Ovviamente entra in gioco anche un lato narcisistico che, soprattutto attraverso la moda, trova facilmente sfogo. Io che adoro i vestiti ho pensato: finalmente li posso far vedere! Ha iniziato a svilupparsi una parte creativa d’intensità pari agli editoriali sulla carta stampata. Le nuove generazioni hanno a diposizione più banchi di prova dove fare praticantato. Oggi puoi arrivare al giornalismo tramite Instagram. Ho cavalcato inconsapevolmente questo fenomeno, come se fossi stata su Marte. È una fortuna ritrovarsi pionieri di qualcosa.

A proposito di disciplina, lei ne è maestra… Bisogna combattere per i propri sogni perchè non si realizzano per caso. Ci sono mille battute d’arresto, c’è la frustrazione. La disciplina è essenziale per sostenere questo percorso. Per me non c’è stata mai cosa più potente dello studio dello yoga. È una filosofia e uno stile di vita. È molto vicino alla moda perché entrambi ti portano, usando la leggerezza, a ottenere posture e messaggi molto difficili. La cosa fondamentale è la flessibilità non la forza. Con la forza ti spezzi, invecchi. Se le cose vanno male devi essere capace di cambiare il tuo punto di vista. E diventare agile e flessibile come un gatto. O come i bambini.

È emozionante? Io, in un certo senso, ho vissuto a cavallo tra il vecchio e il nuovo mondo. Come quando sono nati l’e commerce, la Apple, la Silicon Valley, lo smart phone. Ho fiutato il senso di modernità e rivoluzione.

Come i bambini? Osservando i bambini capiamo tantissimo. Quando giocano nessuno li può disturbare. Sono nel loro mondo. Ed è lì che trovano tutte le chiavi e le loro soluzioni. Non si stressano come gli adulti.

Perché ha deciso di mettere in atto la ormai storica vendita dei suoi vestiti? Quanti sogni ha ancora da realizzare? Ero in India a Natale e stavamo facendo il gioco dei «wish». Ho sentito dal profondo il desiderio di smantellare ciò che avevo accumulato. A un certo punto il collezionismo diventa macabro. La parte dei vestiti (custoditi in un appartamento milanese dedicato ad archivio personale) sembrava la più difficile invece mi ha donato un senso di liberazione assoluto. Una parte è andata all’asta da Christie’s e altri li ho venduti a prezzi accessibili on line perché mi piaceva l’idea che le ragazzine potessero indossarli con lo stesso entusiasmo che avevo avuto io (il ricavato è stato devoluto in beneficienza per finanziare borse di studio ndr). Poi è nato il libro (AdR book) e poi è arrivata la Marangoni.

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Moltissimi. I sogni non finiscono mai. Bisogna però ritagliarsi del tempo per poterli metabolizzare e realizzare. Ecco anche perché ho sentito la necessità di fermarmi e tornare in Puglia (insieme al compagno Angelo Gioia). Ho girato così tanto il mondo che sentivo il bisogno di centrarmi anche fisicamente in un luogo. Almeno per questo momento. Milano è sempre la mia città di accoglienza e adoro Parigi e il Giappone da cui ho imparato tanto. Con la tecnologia posso lavorare da ovunque. Ci sono mille cose che si possono fare e i sogni non hanno tempo né spazio, né fine né inizio. Sono in una fase di grande condivisione. E poi mi piacerebbe occuparmi di volontariato. Anche per gli animali.

Cosa rappresenta per lei il suo ruolo all’Istituto Marangoni? Carla Sozzani, la mia mentore con Emanuela Pavesi, diceva che il nuovo lusso è restituire. Mi interessa rimettere tutto in discussione e portare sui banchi di scuola ciò che ho imparato e a mia volta assorbire dalle nuove generazioni ciò che sta accadendo. Io non penso mai al domani ma sono in grado di seguire il flauto magico del mio istinto. Vivo nel presente. Nel lavoro esprimi sogni, paure, forza: tutto. Diventi un professionista della vita.

La playlist di Anna Dello Russo - Francesco De Gregori: Bene - Francesco De Gregori: Rimmel - Francesco De Gregori: Donna cannone - Francesco De Gregori: La leva calcistica del ‘68 - Francesco De Gregori: Generale - Francesco De Gregori: Buonbanotte fiorellino - Pierangelo Bertoli: A muso duro - Edoardo Bennato: Sono solo canzonette - Fabrizio De Andrè: Bocca di rosa - Claudio Lolli: Ho visto anche gli zingari felici

→ Foto: Christopher Macsurak

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n° 7

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RIVOLUZIONE SILENZIOSA

→ di Fabio Cormio

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→ Foto: courtesy Piaggio

VESPA ELETTRICA Della Vespa esiste un’epica, prettamente pop sia chiaro. Lo scooter Piaggio che vide la luce nel 1946, ideato dall’ingegner Corradino D’Ascanio, ha 73 anni di storia doviziosamente raccontati da cinema (per esempio l’immortale “Vacanze Romane” del ‘53, con Gregory Peck e Audrey Hepburn), innumerevoli serie tv e campagne che sono veri pilastri del design pubblicitario (con copy immortali tipo “Chi Vespa mangia le mele”). Solo che i decenni passano per tutti, pure per lo scooter più famoso del globo, che tra le altre cose motorizzò l’Italia negli anni precedenti alla corsa all’automobile utilitaria. Tuttavia anche per sua maestà la Vespa urge, ciclicamente, innovazione: un termine difficile da digerire per i milioni di appassionati della dueruote di Pontedera, quelli che a nessun costo vorrebbero vedere snaturato il progetto originario. Com’è ovvio che sia, comunque, nel corso del tempo lo scooter toscano si è evoluto eccome, conoscendo decine di serie, versioni e cilindrate, quantomeno per tenere il passo di una concorrenza internazionale sempre più agguerrita. E così, alla fine degli Anni ‘90, arrivò la prima rivoluzione, con quel motore a quattro tempi (quindi a benzina e non più a miscela) e quel variatore automatico che andava a rimpiazzare frizione e cambio manuale a quattro marce. Come gli scooter giapponesi, tanto per dirla volgarmente. All’epoca, però, in pochi si sarebbero immaginati questa rivoluzione: la Vespa Elettrica. Annunciato l’anno scorso, lo scooter a batterie è arrivato sul mercato negli scorsi mesi. Occorre dire che la nuova nata non tradisce gli stilemi irrinunciabili dei modelli che l’hanno preceduta, sin dall’inizio della storia Vespa: la scocca è in acciaio (non in plastica come sulla stragrande maggioranza degli scooter), le forme mantengono un chiarissimo fil rouge con le Vespa

del passato, e le ruote sono piccole (in questo caso in alluminio da 12” all’anteriore a da 11” al posteriore), in controtendenza con i veicoli di concezione più moderna. Di modernissimo, invece, c’è il propulsore: si tratta di un’unità brushless in grado di garantire fino a 4 kW di potenza massima (in soldoni le prestazioni sono paragonabili a quelle di un 50 cc odierno), con tanto di sistema Kers, ossia il recupero di energia in decelerazione. Il pacco batterie, non estraibile e situato sotto il vano portacasco, è agli ioni di litio (il che garantisce peso e ingombri ridotti) e la Vespa si ricarica completamente attaccandola per quattro ore a una normale presa di corrente domestica. Piaggio assicura che la Vespa elettrica possa sopportare fino a 1.000 cicli di ricarica (con ogni ricarica si possono percorrere 100 chilometri, il che rende la nuova nata un veicolo prettamente cittadino), oltre i quali l’efficienza dovrebbe mantenersi comunque all’80%. Due sono le modalità di guida, selezionabili attraverso un tasto: la risparmiosa “Eco” (che limita la velocità massima ai 30 orari) e la “Power” che permette di sfruttare a pieno la potenza di questo scooter. A queste modalità si aggiunge la “Reverse”, ossia una retromarcia che si rivela particolarmente utile in manovra, soprattutto per i corti di gamba e per il pubblico femminile. Al di là di dati che interessano soprattutto i “nerd”, è ben noto che dalla Vespa si cerca lo stile e non solo i contenuti tecnici e la funzionalità. Da questo punto di vista la Vespa Elettrica non delude affatto. Finiture, materiali e assemblaggi sono degni di una top di gamma. E ci mancherebbe, visto che stiamo parlando di uno scooter non esattamente a buon mercato: costa infatti 6.390 euro. La Vespa Elettrica è in arrivo anche nella più esclusiva versione “X”, che raddoppia l’autonomia (quasi 200 km) grazie all’adozione di un generatore di corrente alimentato a benzina (con relativo serbatoio di tre litri e pacco batterie più piccolo), allo scopo di rendere lo scooter adatto anche agli spostamenti extraurbani.

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DER PRINZ TATTOOER → Di Monica Papagna

Der Prinz, Cristian Gaudioli Ruaro, è un tatuatore specializzato in tatuaggi Traditional e Old School. La sua mano, leggera e raffinata, l’ha reso celebre tra amanti del vintage tattoo e star di Instagram. L’abbiamo incontrato nel suo studio, Freak Show Tattoo, che sembra una via di mezzo tra il salotto di una lady inglese e una soffitta in cui vorremmo tutti fare una festa, tra una bara che gli ha regalato un cliente becchino, mobili vintage e luci al neon che contribuiscono a rendere speciale un luogo fantastico, fuori dal tempo.

Prima di diventare tatuatore eri appassionato di tatuaggi? Sono diventato tatuatore a 30 anni, prima di allora avevo solo un tatuaggio fatto un po’ per ribellione verso i miei genitori. Fatto, tra l’altro, dall’estetista del mio paese in provincia di Varese che faceva anche tatuaggi. Il mio primo tatuaggio quindi è stato fatto da un’estetista! Ce l’hai ancora? No, l’ho coperto! E come ti sei appassionato al tatuaggio? Fino a 30 anni ho impegnato le mie energie nella grafica e nell’illustrazione. Ho frequentato una scuola professionale di grafica che mi ha fatto sperimentare tutte le tecniche. Il mio computer è stato il mio compagno di lavoro per tantissimo tempo. A un certo punto ho ripreso in mano carta e matita e, mentre stavo facendo un corso a Treviso, ho conosciuto questo tatuatore giapponese che si chiama Koji, che aveva uno studio a Milano e che ora si è trasferito in Sicilia. Attraverso il suo contatto ho fatto i primi tentativi e ho acquistato il “kit del piccolo tatuatore” alla mia prima convention di tatuaggi. Esiste davvero un kit? Sì, è proprio un piccolo starter che mi ha permesso di fare i primi tentativi. Era il 2009 e quelle macchinette le utilizzo ancora oggi perché sono le mie preferite. Il tatuatore deve essere anche un po’ psicologo, vero? Devi proprio capire quello che vogliono le persone, è una responsabilità grandissima. Alcuni miei clienti vengono anche solo per parlare, poi magari il tatuaggio arriva parlando in un secondo momento. Spesso il cliente arriva con delle idee e magari parlando le cambiano completamente e si lasciano guidare da me. Se non ti piace una loro proposta cosa fai? Li mandi da un altro tatuatore? A Milano ci sono tantissimi studi di tatuaggi e mi capita di consigliare di rivolgersi altrove, quando proprio sono lontani anni luce dalle mie idee, dal mio stile e dal mio sentire. Non divento ricco a fare un tatuaggio in più o in meno. Quindi niente tatuaggi-bolletta? Eccome se ne faccio! È chiaro che ho uno studio e le bollette le pago anche io. A Milano c’è un panorama di tatuatori incredibile, artisti davvero grandiosi quindi è ovvio che si cerca di accontentare tutto ma sempre nei limiti. Mi è successo tempo fa che un cliente abbia voluto tatuarsi a tutti i costi il bacio della sua fidanzata sul collo, stavano insieme da tre anni e si sono lasciati due settimane dopo. Io insisto sempre per non fare tatuaggi del genere. Hai capito subito che il tatuaggio sarebbe stato la tua strada? Dopo 4 anni ho lasciato il lavoro e ho aperto il primo studio, un seminterrato molto carino, piccolo e accogliente. Ma certo non era piacevole lavorare sotto terra e lavorando con gli occhi per me era fondamentale avere un posto diverso e pieno di luce come il mio attuale studio, dove lavoro insieme alla mia social Linda.

I tuoi tatuaggi preferiti? Traditional e Old School, principalmente. Parto come tatuatore illustrativo con un pubblico quasi del tutto femminile, ma di recente ho studiato i tatuatori degli anni ‘20 e sto spingendo su questa ricerca. Ultimamente mi sto ispirando anche al periodo liberty. Non smetto mai di studiare E i colori?

Mi piacciono quelli neri e qualli neri e rossi.

È vero che il rosso fa molto più male rispetto agli altri colori? Sai che è una leggenda metropolitana? Probabilmente lo dicono perché viene passato dopo il nero quindi su una zona che è già stata toccata ed è irritata. Il dolore è lo stesso! I tatuaggi che non ti piacciono? I tribali, i tatuaggi maori e un po’ tutti quelli di grandissima moda. Invecchiano male, tra l’altro, no? Malissimo! Vedere un tribale oggi ti riporta subito indietro a 15 anni fa. C’è una ricerca anche in termini di sostenibilità ambientale? Ci penso continuamente. Ogni volta che finisco un tatuaggio mi rimane una palla di plastica in mano ed è tantissimo. È la plastica necessaria per mantenere l’ago sterile, ma mi sono chiesto se ci sia qualcosa in canapa che possa riprodurre le stesse caratteristiche della plastica e sto studiando questa possibilità. Invece gli inchiostri? Io utilizzo degli inchiostri vegani e non c’è nulla di pericoloso. Non sono nemmeno testati sugli animali. Cosa va di moda in questo momento? I micro tattoo, le scritte piccolissime, i graffietti, le roselline minuscole. Ma tutto sommato meglio così, sono tatuaggi piccoli e carini, facili eventualmente anche da rimuovere a coprire, se uno dovesse cambiare idea. La tecnica è molto diversa da quella dei classici tatuaggi con la linea più spessa? Sì, la tecnica si chiama fine-line e viene utilizzato l’ago più sottile che c’è. Uno degli ultimi tatuaggi che ho fatto l’ho fatto con un ago solo, di solito il minimo sarebbe tre. Il problema di questa tecnica è che bisogna avere una mano davvero ferma altrimenti la linea diventa tutta tremolante, infatti non tutti li fanno.

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Il tuo primo tatuaggio a chi l’hai fatto? L’ho fatto al mio migliore amico, un serpente alla base del collo. Poi ho tatuato la mia insegnante, che poi è diventata la mia socia, quindi tutto sommato non deve essere stato così male. Sarò sempre grato ai miei primi 10 clienti che si sono fidati di me, non sarei qui altrimenti. La responsabilità è davvero tanta, potenzialmente puoi fare un danno esagerato alle persone se gli fai un brutto tatuaggio. Poi ovviamente l’ansia è andata scemando.

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Ci sono dei tatuatori italiani che ammiri particolarmente? Mi piace molto Davide Andreoli di Rho, il fondatore di Italian Rooster, ho anche un suo tatuaggio, tra l’altro. Ha uno stile Old School tipico del Nord Europa che mi fa impazzire. Adoro anche Stizzo, che ha uno studio a Milano. Com’è il tuo rapporto con i social network? Servono moltissimo, ma possiamo dire che li odio? Con Instagram comunque lavoro parecchio, con Facebook meno. So che dovrei impegnarmici di più ma non mi viene spontaneo. Noi lavoriamo tantissimo con il passaparola, con clienti che ci portano altri clienti. I social certamente hanno portato qualcosina ma vince ancora il contatto umano, nel nostro caso. Che emozione ti regala tatuare le persone? Questo non è un lavoro che puoi fare solo per soldi, anche se possono essere parecchi. Io mi emoziono ogni volta che finisco un tatuaggio e lo lascio andare sul mio cliente che lo porterà in giro. Inizierà a viaggiare e a fare esperienze. Se fosse solo per soldi mi sarei già stufato, invece continuo a studiare e cambiare. Cos’è per te il divertimento? Mi piace viaggiare per andare ai concerti. Sono stato di recente al concerto degli Smashing Pumpkins, sotto il sole cocente di Firenze. Il mio concerto preferito è stato quello dei Portishead a Castelfranco Veneto e Nick Cave vicino a Berlino. Sono anche un grande fan di Ozzy Osbourne, vado a vederlo ogni volta che posso. Non ho la tv da vent’anni, ho sempre ascoltato musica, ho fatto tutte le evoluzioni, dalle cassette, al cd, tornando ora al vinile. Sono cresciuto con la musica anni ‘70-’80 grazie a mia sorella che è più grande di me. Da piccolo ascoltavo già i Cure e i Rockets. Andavo a ballare al Nautilus, in provincia di Varese, e c’era una ricerca musicale incredibile. Frequentando il mondo gay di Milano ho anche apprezzato alcune discoteche tipo il Glitter e ho avuto un’influenza di musica elettronica, che alla fine mi piace e mi diverte molto. Invece non amo proprio il pop, non per snobismo, ma proprio non mi piace. Ma ho visto anche il concerto di Beyoncé, per esempio, lei è bravissima!



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Ristorante stellato LAROSSA

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→ di Martina Zito

Gestito dallo chef Andrea Larossa e dalla sua compagna Patrizia Cappellaro, il ristorante Larossa si trova ad Alba, in Piemonte, e propone piatti della tradizione piemontese ma rivisitati in chiave moderna.

La cucina di Andrea si ispira al territorio e da questo parte per un viaggio gastronomico che tocca terre vicine e lontane, sapori familiari e sconosciuti ma comunque sempre netti, vivaci e capaci di esprimere un’autenticità che parte dalla materia prima e arriva al piatto. Tradizione, certo, ma al tempo stesso innovazione tecnica, accostamenti sperimentali e presentazioni fantasiose per una cucina che vuole esprimere concretezza, calore e divertimento. Nella sua cucina lo chef Larossa gioca e riflette sui diversi ingredienti, del territorio e non solo, per creare piatti più che mai attuali e sempre attenti al sapore. Dalla preparazione al servizio, i suoi piatti portano con sé la personalità eclettica, vivace ma essenziale di Andrea. Ogni composizione che crea è facilmente percepibile e comprensibile: così che ogni cliente possa gustarla pienamente, con tutti i sensi che ha a disposizione.

Per i piccioni: 4 piccioni 40 g di burro 16 rametti di timo 16 g di sale rosa 80 g di sherry Per la salsa wasabi: 50 g di pasta di radice di wasabi 30 g di salsa di soia 10 g di panna Per il fondo di piccione: 4 carcasse di piccione 4 scalogni 2 cipolle bianche 5 bacche di ginepro 5 chiodi di garofano 3 foglie di alloro secche 100 g di polpa di ciliegia 50 g di zucchero semolato Olio evo

→ Foto: Alessandra Tinozzi

La ricetta dello chef: Petto di piccione, wasabi, amarene e shiso rosso Procedimento: Rimuovere dai piccioni solo il petto, e con un piccolo cannello rimuovere, se necessario, eventuali residui di piume. Inserire in un sacchetto sottovuoto i petti, aggiungendo gli altri ingredienti. Cuocere a vapore a 65°C per 10 minuti. Procedimento: Con un frullatore a immersione frullare gli ingredienti fino ad amalgamare il tutto in modo uniforme e conservare in un biberon da cucina. Procedimento: Tostare le carcasse di piccione private delle interiora, testa e zampe in forno a 250°C per 20 minuti, colare bene dal grasso e farle raffreddare. In un pentolone inserire l’olio, gli scalogni e le cipolle tagliati a metà, le spezie e l’alloro, e tostare il tutto dolcemente. Inserire le carcasse e coprire con del ghiaccio, quando il ghiaccio sarà totalmente sciolto, aggiungere acqua calda fino a coprire il tutto e lasciar sobbollire per almeno 36 ore. Al termine, colare il tutto con un colino, far restringere e aggiungere la polpa di ciliegia e lo zucchero. Per servire, scottare per 1 minuto il piccione solo dalla parte della pelle, farlo riposare per almeno 10 minuti e finirlo con 1 minuto di forno a 180°C. Mettere sul piatto dei punti di salsa al wasabi, i petti tagliati a metà, il fondo, e guarnire infine con delle foglie di shiso rosso.

Ristorante Larossa +390173060639 info@ristorantelarossa.it www.ristorantelarossa.it

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n° 7

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Ultima pagina → Di Fabio Santopietro

Diffiderei di chi vi dice “devi leggere!” o che sibila allargando le braccia “in questo paese non si legge abbastanza” – abbastanza per cosa? Magari, costui sarebbe lo stesso individuo che, mai visto con un libro in mano, qualora aveste la ventura di incontrarlo al bar mentre, seduti al tavolo, in ordine silenzioso sfoderate il vostro libro nel tentativo di trovare un po’ di pace, costui sarebbe lo stesso individuo sempre pronto a interrompervi animato da uno slancio curioso con le solite domande: “cosa leggi?”; “cosa scrivi?”. Che del resto ne sottintendono altre: perché lo fai, vuoi far l’originale? Curiosamente, la lettura si direbbe una di quelle attività le quali, quanto meno interrompono l’andamento del mondo, quanto minor rumore producono, quanto più insignificante è il disturbo che arrecano ai dintorni, tanto più si cercherà di interromperne fluidità con domande importune. Perché? Non è dato saperlo. L’intrapresa cui possiamo affidarci nel tentativo di comprendere per quale ragione chi non legge par tanto interessato a chi lo fa e a cosa e perché legge, sarebbe di affidarci all’immaginazione. Unita al tatto e a una certa compostezza, l’immaginazione suggerisce in primo luogo di non mandare al diavolo colui che nel bar ci rivolgerà quelle domande. Poi ci farà pensare alla sua curiosità, talvolta genuina tal altra meno. Il primo punto ci indurrà a considerarlo con benevola indulgenza e bontà d’animo. Grazie alle quali virtù gli risponderemo “sto leggendo L’amante di Lady Chatterley”. Poiché le prime osservazioni di un simile individuo secondo le statistiche parrebbero corrispondere al vero, e cioè che nel paese Italia i lettori di libri sono quattro gatti (ciò che dovrebbe incoraggiarci, giacché in nessun altro paese al mondo si daranno gatti intenti alla lettura de L’amante di Lady Chatterley, mentre qui da noi, ancorché in pochi, i gatti sarebbero in grado di farlo e con un certo profitto). Naturalmente, in un bar dal vasto andirivieni, chi vi domandasse perché leggete e cosa, potrebbe anche essere una spia, un infiltrato sotto mentite spoglie con l’incarico di denunciare il lettore alle autorità competenti. Chi legge, infatti, e coltiva l’immaginazione, sa non soltanto come recita una cosiddetta fiction che tutto può succedere, ma sa anche che quel che succede travalica le più fantastiche previsioni – e non perché il reale sia fantasioso, ma perché noi lo siamo poco. Qualora si abbia a che fare con una spia non saprei che suggerire. Potremmo sempre offrirgli un caffè, nascondere il libro, parlare del calcio, con ciò prevenendo, diciamo così semanticamente, il calcio letterale che lui vorrebbe sferrarvi denunciandovi alle autorità. È vero che nel recarci al caffè con l’intenzione di leggere rimaniamo seccati dalle interruzioni, ma è altrettanto vero che oggi, nei mondi metropolitani, che tu legga oppure no a nessuno importa un fico secco, perché oggi prevale l’indifferenza – la si insegna anzi. Capita allora, poniamo nella città di Milano, che pur noi provenendo da un passato in cui pareva impossibile leggere al bar senza essere interrotti, oggi più nessuno lo farà. Infatti, pur essendo mosso da incontenibile curiosità, o magari da un moto di sincera ripulsa, non vorrà mai darci la soddisfazione di renderci protagonisti – e non solo perché non gli importa un bell’accidente del tuo o del suo leggere o non leggere. Dovremmo preferire un mondo in cui se leggi al bar a nessuno importa niente, o quello più vetusto in cui potevi sempre essere interrotto? Non saprei. Forse dovremmo intrattenerci soltanto con i gatti. Una cara amica voleva scrivere un libro d’amore. È impossibile trattare questo tema con gli esseri umani, diceva. Gli Americani lo han già fatto in tutte le salse. No, proseguiva l’amica, per trattare il tema dell’innominabile conviene cominciare dai gatti.

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In effetti, pensavo ricordando le sue parole, non per altra cosa vado al bar con il mio libro, né per altra cosa va l’autore a prendere la penna o a premere sui tasti. Perché poi proprio al bar? Perché non al ristorante? Intanto il ristorante costa. Invece, al bar si può sedere tempo assai con un solo caffè e un bicchiere d’acqua. Sì, il bar è anche la possibile culla di retrivi pensieri, appunto le opinioni “da bar” – che tanto meno sanno tanto più concionano, e che negli ultimi tempi formano addirittura le opinioni politiche e persino i governativi programmi economico-social-giudiziari. Ma nonostante questo è anche il luogo dell’aperto – come direbbe quel filosofo saggiamente caduto in disgrazia; è il luogo in cui accade quel che accade lasciando libera l’individualità – un po’ come nelle primitive società pigmeo-boscimani, probabilmente la nostra civiltà originaria, quei popoli che innescarono il primo, grazioso esodo “out of africa”. Ho ascoltato i loro cori, stupendi, segnalati dal libro che andavo leggendo Musica dal profondo. Questi cori, di una straordinaria complessità polifonica, lasciavano nondimeno completa libertà all’improvvisazione di ciascuna delle voci: l’iniziativa individuale. Il che si traduceva, secondo l’autore, in analoga libertà della vita sociale, dove il cacciatore offriva all’intera comunità l’antilope appena abbattuta, e per averlo fatto si scusava con le divinità, e rendeva loro grazie per il cibo guadagnato con abbondanza. Si parla di circa 150 mila anni fa. Il bar è l’aperto. Ma anche il ristorante, a dirla tutta, visto che i torinesi che han fatto l’Unità di un paese in cui leggono anche i gatti, delle loro elevatissime questioni discutevano Al Cambio, che è un ristorante, ma anche al Bicerìn e al Florio, che erano e sono tuttora due bar. E anche il Cambio c’è ancora. Alla fine, perché si legge, e perché lo si fa al bar malgrado le interruzioni? Lo si fa per amore. L’innominabile sentimento giustifica l’interruzione della curiosità, la curiosità è di chi ricerca, anche se sul momento rompe le palle. Diffidiamo dunque di quei gatti che ci chiedono perché leggete e cosa, e diffidiamo di chi dice “dovete leggere”. Lo si fa e basta, senza ordini né restrizioni. Per puro piacere. Sensuale o no che sia.

Bibliografia L’amante di Lady Chatterley, D.H. Lawrence (ce ne sono numerose traduzioni e edizioni; un amico ne ha otto diverse, di traduzioni, per altrettanti volumi); Il potere del miao (che con ragione si sarebbe dovuto intitolare Suite felina secondo l’autrice), Marina Mander, Mondadori; Martin Heidegger, Essere e tempo, Longanesi; Musica dal profondo, Victor Grauer, Codice Edizioni.

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cioccolato artigianale fin dal 1943.


LoRo.


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