MI LOW COST
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Muzik & Zodiac
destra nostra - così si chiama la corrente larussa-decorato inaugurata a milano per opporsi ai finiani nel pdl e far concorrenza alla lega la moratti perde la maggioranza sull’ecopass in un giorno decorato fa tre sgomberi in Triboniano, Roserio e Pestegalli - la pulizia etnica contro sinti e rom a milano Scala in agitazione permanente contro decreto bondi enti lirici 3 morti ad Atene nello sciopero generale del 5 maggio #noeuausterity Merkel: Germania vuole comandare in Europa sgomberato e murato il centro sociale barattolo a pavia http://bit.ly/bMmpTS i 100.000 precari della mayday occupano la città;) mayday was huge - a united left for 1day the whole precarious youth of milano - major ecohacktive no oil section opening - 50 sound trucks! “Fra il partito dell’amore e il partito di bocchino noi stiamo col precario clandestino” la classe precaria! solo verso questa abbiamo obblighi morali, storici, politici, ma soprattutto sindacali MilanoX: va più del fumo
Ecotopia Macchia Nera
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NetPet New York Flows
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Vietato Sognare? di Milano Movida
Fascisterie
di Teo Todeschini Doveva essere una ‘’settimana nera’’ quella che circa 15 giorni fa veniva annunciata sui siti dell’estrema destra milanese; ma in realtà oltre il solito corteo per Sergio Ramelli (da piazzale Susa, per 400 m fino al luogo in cui è morto) e un misero torneo di calcetto, preceduto da un concerto ai giardini, svoltosi con fatica per problemi tecnici al generatore. In tutto ‘’i camerati’’ non hanno raggiunto le 200 persone. Quanta scena, e che poca sostanza... Come Milano antifascista e antirazzista possiamo ritenerci soddisfatti del risultato ottenuto; attraversando il 25 Aprile, la Mayday del primo Maggio e mettendo in campo diverse iniziative e azioni siamo riusciti a bloccare, far spostare e modificare la loro programmazione. Purtroppo però il calendario nazi-fascista non può dirsi concluso: infatti per il 22 Maggio è prevista a Milano una manifestazione nazionale di Forza Nuova in chiusura della campagna contro le banche e l’usura. Milano ospiterà ancora una volta il nazifascista Roberto Fiore, leader del partito con alle spalle una storia davvero inquietante fatta di anni di latitanza in Inghilterra dovuti alla militanza nei gruppi eversivi negli anni ’70. Ci saranno anche gli antisemiti e gli antizigani dello Jobbik, la formazione di estrema destra ungherese. Ma non è finita qui: il 29 Maggio gli Hammerskin (con sede a Bollate: la Skinhouse) stanno preparando un raduno europeo a Milano o dintorni. Raduno che ospitera nazisti da tutto il continente e gruppi che si riconoscono nella razza ariana, che pianificano centinaia di aggressioni in tutta Europa nei confronti di chi è diverso da loro (immigrati, gay, trans, alternativi, antifascisti, antirazzisti). Milano ha bisogno di vivere, di essere libera da telecamere, sbirri, esercito e gabbie di ferro. Milano è soffocata dalle politiche di controllo e dalle manie di persecuzione del nostro caro vicesindaco Riccardo De Corato che non dorme la notte pensando che gli facciano un rave sotto casa. I botellon sono il suo incubo ricorrente, tanto che il 24 Aprile è stato capace di schierare centinaia di celerini in assetto antisommossa al fianco dei vigili, nel tentativo d’impedire a migliaia di giovani, studenti e precari, di vivere le strade e le piazze della città. Risultato? Di botellon ce ne sono stati ben due! Uno in piazza Leonardo (dove dall’anno scorso sono già tre gli interventi della questura per impedire ai giovani di radunarsi, e adesso si vuole addirittura vietare il concerto sempre autorizzato del Politecnico); il secondo in zona Bicocca (completamente invasa). A Milano, la capitale della speculazione, della mafia in giacca e cravatta e dello spaccio, per i politici di palazzo marino il problema sono i centri sociali (magari ce ne fossero ancora, sono stati sgomberati quasi tutti), gli abusivi (famiglie, studenti, precari che occupano case sfitte e lamierate da anni), e i giovani che non avendo spazi liberi si ritrovano in strade, parchi e piazze. De Corato nei suoi incubi impazzisce, si sveglia sudato la mattina e decide di prendere i parchi, farli a fettine e ingabbiarli. Non c’è angolo di strada ormai che non sia controllato. Il grande fratello ti guarda. Il grande fratello ti spia. Il grande fratello ti multa e controlla ogni tuo movimento. Per le vie s’incontrano camionette e strani personaggi in tuta mimetica che imbracciano mitra e gironzolano convinti di essere utili... La verità è che non se ne può più!!! Vogliamo vivere. Vivere senza il fiato sul collo. In una città dove nessuno è straniero e tutti sono milanesi. Tranne fascisti e razzisti.
Sciopero Precario di Diniz Il 3 maggio in Francia è la data dello sciopero di disoccupati e precari: posta subito dopo il 1° maggio, la giornata vuole inventare nuove forme di conflittualità e autorganizzazione. Da settimane si susseguono iniziative di preparazione da parte degli intermittenti francesi. Il 22 aprile c’è stata l’irruzione a una trasmissione in diretta su France 2 con il ministro della Cultura Frédéric Mitterrand (più o meno come interrompere ‘Porta a Porta’) dov’è stato letto l’appello alla mobilitazione: “Ne abbiamo abbastanza di chi ci dice o un lavoro di merda o gogna sociale. Abbiamo bisogno di inventarci insieme uno sciopero di disoccupati e precari. Non è perché non abbiamo più una fabbrica dove trovarci che non ci possiamo organizzare. Per loro bisognerebbe accettare ogni lavoro sotto la minaccia di perdere il sussidio. E inoltre dovremmo essere riconoscenti... Rifiutiamo di essere controllati, colpevolizzati e radiati. Sciopero di disoccupati e precari vuol dire non restare isolati, uscire dal calcolo egoista e decidere insieme d’inceppare la precarizzazione delle nostre vite”. Nei giorni successivi ci sono state occupazioni di centri per l’impiego e agenzie interinali: nove a Parigi e sei in Bretagna in un’azione coordinata. Lo sciopero nasce dal fatto che in Francia esiste un reddito minimo per i disoccupati, che può essere però immediatamente revocato se non si accettano le condizioni dettate dalle agenzie del lavoro, prima fra tutte quella inerente il meccanismo dell’offerta “ragionevole” d’impiego. Negli ultimi mesi migliaia di persone sono state cancellate da questi sussidi. La crisi economica ha spinto il governo Sarkozy a esercitare pressioni per far lavorare i disoccupati, pena la cancellazione di ogni reddito minimo; ricatti e controlli sono le armi per ridurre la spesa pubblica. Il 3 maggio a Parigi in centinaia si trovano nella centrale Place de la République e partono in metrò per l’azione: occupare la sede nazionale di Pole Emploi, l’ente del servizio pubblico per l’impiego. Nella sede scintillante, disoccupati e precari si accomodano per un’assemblea nella sontuosa sala riunioni bevendosi lo champagne destinato ai manager per redigere la dichiarazione seguente: “lo sciopero dei disoccupati
è innanzitutto riunirsi e discutere dappertutto, riprendersi un po’ di libertà con l’azione collettiva. È rifiutare la concorrenza del tutti contro tutti. Non vogliamo essere licenziati né obbligati ad accettare qualunque lavoro. Vogliamo il denaro senza contropartite!”. Dopo alcune ore la polizia sgombera l’edificio nonostante la resistenza degli occupanti che vengono portati in commissariato e fermati per controlli. A Rennes viene occupata la CAF (la cassa dei sussidi sociali), nel resto di Francia diverse agenzie di Pole Emploi vengono occupate, mentre in decine di città si sono svolte azioni. A Montreuil (vicino Parigi) per una settimana ci sarà un picchetto di sciopero nel centro cittadino con “visite” collettive a CAF e Pole Emploi, ma anche agitazione comunicativa. Il movimento di sciopero dei precari è appena cominciato. BARATTOLO SGOMBERATO Martedì mattina alle 7, entrando quatti quatti come dei ladri, gli agenti della polizia di stato e locale hanno sgomberato il centro sociale di Pavia, il Barattolo, per ordine del sindaco Cattaneo. Si è trattato di un’azione di forza illegittima e illegale che ha murato gli ingressi al centro sociale. Da 12 anni il Barattolo promuove ed è stato al centro di numerose iniziative politiche e culturali in una città che vede la presenza di oltre 20.000 studenti, fonte principale di reddito per gli abitanti, ma che molti vorrebbero invisibili. In un crescendo di delirio securitario le varie giunte della città hanno favorito sgomberi dei campi Rom (pogrom del settembre 2008), introdotto il coprifuoco sui bar notturni, e ora vogliono zittire l’unico spazio d’aggregazione alternativo rimasto. Il C.S. Barattolo ha partecipato all’ultima MayDay insieme ai collettivi studenteschi e femministi di Pavia evidenziando come sia in atto un progetto di repressione sociale e di speculazioni edilizie nelle aree dismesse (vedi l’area NECA di fianco alla stazione) con il sostegno della nuova giunta di centrodestra. Apriamo la breccia insieme agli studenti e agli attivisti del Barattolo! Sabato 7 ore 15.00 Piazzale Stazione, Corteo regionale in difesa degli spazi sociali e dei beni comuni
Vi svegliate la mattina presto e uscite di corsa di casa per non fare tardi al lavoro. Inforcate la bicicletta e vi avviate verso la loro scuola. Di mattina le piste ciclabili sono molto frequentate, ma sono moltissime e i pochi automobilisti rimasti sono rispettosi e pazienti. In fondo le antiche code nello smog sono solo un brutto ricordo di un passato lontano. I percorsi costeggiano tutto il perimetro della città, si addentrano tra i palazzi, corrono paralleli alle circonvallazioni e le incrociano in più punti. Una fitta rete di ragno. Si sente uno scampanio per le vie, sono i tram e i filobus che avvisano i passanti del loro arrivo. Sono puliti, silenziosi, e se si procede assorti col naso all’insù vi è il rischio di non sentirli arrivare. Durante i percorsi mattutini si possono osservare persone che chiacchierano tra loro, anziani e bimbi popolano i parchi, occhi a mandorla e pelli color ebano si mescolano con profili mediterranei e carnagioni pallide. Verso l’ora di pranzo basta mettere il naso fuori dagli uffici per essere inebrianti da odori e sapori di diversa provenienza: carni speziate o odori vegetariani ti pizzicano il naso. I ragazzi universitari affollano la mensa, oggi c’è il sole, mangiare sui tavoli all’aperto nel cortile interno è un piacere. Chi ha la fortuna di trovarsi di fianco a una cascina fuori dal centro non può fare a meno di fermarsi a mangiare un piatto di insalata coltivata sul posto! Con il suono della campanella, bambini e ragazzi escono dai portoni delle scuole e riempiono parchi e giardini. C’ è chi decide di giocare a basket, chiede la palla al ragazzo che gestisce per il comune le attrezzature, appoggia lo zaino ed è pronto a dar via alla sfida: di avversari non ne mancano. Ogni tanto gli sfugge l’occhio all’interno delle grandi e luminose vetrate del palazzo vicino: ragazzi poco più grandi di lui sono chini su enormi libri, come non li invidia! E si rimette a giocare. Il sole sta calando, pedalando verso casa, si vedono molte persone che parlano diverse lingue. I lampioni si accendono emanando una luce piacevole. Tutti sono stanchi, ma si ha la sensazione di respirare una certa leggerezza nell’aria. Nessuno cammina di fretta, occhi bassi, raso al muro. C’è chi parla fitto fitto con l’ amico, chi cammina assorto nei suoi pensieri, chi si guarda intorno. I tavolini dei bar per la strada soddisfano la voglia di un momento di relax dopo una giornata intensa. Da molti portoni si sentono musiche che danno il ritmo alle conversazioni e ai pensieri. Ormai il buio è calato e la gente della notte inizia a popolare le strade. Chi esce da casa tutto imbellettato, chi si attarda seduto al tavolino, chi si è stufato di studiare esce dalla biblioteca, giustificandosi con se stesso pensando che tanto l’ aula studio è aperta tutti i giorni fino a tardi. Le strade sono sempre popolate, i vagoni della metro nonostante l’ora strabordano di passeggeri, il concerto sta per iniziare, bisogna affrettarsi, il parco della cascina è grande ma già pieno. Una moltitudine di persone fa la fila per prendere il bicchiere che poi riconsegnerà all’uscita, i musicisti sono saliti sul palco. Sui balconi dei palazzi vicini anziane coppie si sono riunite per chiacchierare, certo fra poco si coricheranno, ma ora gli piace l’idea di un po’ di musica all’aperto... Questi sono i sogni di Milano Movida. Noi abbiamo sogni ostinati e testardi. La città che abbiamo raccontato non è un luogo immaginario e utopico. È invece qualcosa di realistico e realizzabile. Crediamo che chi gestisce Milano sia incapace di realizzare luoghi di convivialità, perché odia chi s’immagina una città diversa. Basterebbe poco per fare una politica diversa il cui centrale obiettivo sia la creazione di spazi pubblici dove abitare bisogni e desideri. Se sei una sognatrice o un sognatore non rassegnato ti aspettiamo questo venerdi e sabato a MILANO MIXTAPE: Make Milano Your Own! www.milanomovida.tk milano.movida@gmail.com
Dispacci dal Comune di Stefo
Formigoni Palace di Paolo Ceresatto
Il 22 gennaio scorso è stata inaugurata la nuova sede della Regione Lombardia, caso vuole a cantiere ancora aperto e in periodo pre-elettorale. L’inaugurazione, con immancabile evento mondano a base di giochi di luce e laser, visite guidate, performance e addirittura gara di corsa per le scale in puro stile iuessei, ha anticipato l’ennesima vittoria politica e personale di San Roberto Formigoni e ha fatto dimenticare in un attimo tutte le polemiche che avevano accompagnato il progetto sin dalla sua nascita. La memoria mediatica è breve. Eppure già solo l’avvio del cantiere era stato denunciato dal tormentone ‘Parco Sempione’ di Elio e le Storie Tese, trasmesso da radio e tv commerciali per tutto il 2008. Nella canzone, dedicata agli scempi urbanistici in corso a Milano, si ricorda come la zona su cui ora sorge il palazzo della Regione fosse un’area verde con 200 alberi; un vero e proprio bosco nel centro di Milano donato ai milanesi come “luogo destinato a lenire le pene dell’umanità, con divieto di vendita affitto o costruzione”, per espressa volontà testamentaria della donatrice. La promessa è stata mantenuta fino al 1983, quando l’Ospedale Maggiore, che l’aveva ereditato, decise di vendere l’area. Ed è così che “hanno distrutto il bosco di Gioia questi grandissimi figli di troia”. C’è poi la questione dell’opportunità economica e funzionale del progetto e anche qui soffriamo di scarsa memoria. I principali media, giornali e tv, riportavano infatti, alla vigilia dell’inaugurazione, il dato di 25 milioni di euro che la Regione risparmierà ogni anno spostando i dipendenti dai vari uffici in città e nell’hinterland all’interno della nuova sede. Quel che è strano è che da bilancio risulta che la Regione spenda solo 14 milioni di euro l’anno per gli affitti. Non si capisce quindi come possa risparmiarne 25. Ma si sa che le inaugurazioni sono momenti di magia in cui tutto è possibile, e in pochi si prendono volentieri la briga di guastare la festa. Probabilmente le cifre sono state corrette per far sembrare meno oneroso il costo complessivo dell’opera, 400 milioni di euro (contro i 175 + IVA preventivati). Dopotutto se le spese verranno ammortizzate in 16 anni o in 80 chi volete che se ne accorga.
Giuseppe Civati e Carlo Monguzzi, nel “Libro grigio della giunta Formigoni”, fanno notare come con quest’ulteriore ampliamento degli spazi destinati agli uffici, la superficie per ogni dipendente sarebbe di 50mq contro una media pro capite di 20mq per gli uffici di una normale amministrazione. Per di più i soldi per la realizzazione dell’opera sono stati presi dai fondi a disposizione per gli investimenti, anteponendo la costruzione di cotanto mausoleo a investimenti in infrastrutture servizi ecc. Nel clima generale di euforia non ci si è nemmeno ricordati che solo un anno prima dell’inaugurazione, all’inizio del 2009, il cantiere era stato temporaneamente bloccato per ipotesi di reato a carico dell’impresa appaltatrice. Il costo dell’appalto del nuovo Palazzo della Regione è stato “ampliato a dismisura rispetto ai costi iniziali” recita l’accusa dei pm. L’inchiesta non è ancora terminata e la notizia sparita dai quotidiani.
dei nomi più importanti della scena architettonica mondiale: Frank Gehry, FOA, Steven Holl e Norman Foster, solo per citare i più noti. Alla fine ha vinto lo studio Pei & Richardson Associated, quello della piramide del Louvre per intenderci, ma i progetti degli altri concorrenti non li ha visti nessuno se non gli addetti ai lavori, né tantomeno i cittadini sono stati chiamati a esprimersi, salvo poi coinvolgerli nella scelta del nome dell’edificio. Il giudizio della giuria lascia perplessi e non è nemmeno motivato nei risultati pubblici del bando. Neanche in ambito accademico e professionale si trova traccia di una discussione sugli esiti del concorso. Volendo azzardare un giudizio sembra che sia stata preferita la soluzione di Pei & Richardson perché era l’unica, oltre a quella di Gehry, a proporre una torre vera e propria, un grattacielo insomma. Le soluzioni più innovative dal punto di vista morfologico come quelle di Holl o di FOA sono state invece scartate.
Sarà tuttavia molto difficile accertare eventuali responsabilità dal momento che ci si trova davanti a veri e propri professionisti del settore - immobiliare s’intende. Impregilo Spa, che controlla il 90% di Infrastrutture Lombarde, è infatti l’azienda numero uno per gli appalti pubblici in Italia e i suoi progetti godono di fama indiscussa. Qualche esempio? L’ospedale dell’Aquila, l’edificio pubblico più recente della città nonché quello più danneggiato dal sisma. O il ponte sullo Stretto, che non ha certo bisogno di presentazioni. O ancora la TAV, che in Italia costa inspiegabilmente cinque volte di più che in qualsiasi altro paese europeo. Per finire, il termovalorizzatore di Acerra e la Salerno-Reggio Calabria.
Ma perché proprio la torre, il grattacielo? Sicuramente non per un discorso di liberazione dello spazio a livello del suolo, dal momento che altri progetti, tra cui quelli di FOA e Holl, proponevano spazi pubblici di ben più ampio respiro rispetto a quelli realizzati. Neppure la si può considerare una questione di visibilità e riconoscibilità. Altri progetti offrivano allo skyline milanese profili ben più accattivanti e riconoscibili dell’anonima sagoma dell’Altra Sede, e altrettanto alti.
Ma chi volete che si occupi di queste sciocche e faziose polemiche di fronte a una così avveniristica realizzazione architettonica fiore all’occhiello dell’amministrazione lombarda? Eppure anche qui ci sarebbe qualcosa da dire. Qualcuno di voi ha infatti visto gli altri progetti che hanno partecipato al bando di concorso? Già, perché si trattava di un bando di gara, come stabilisce la legge per tutte le iniziative edilizie degli enti pubblici, a cui hanno partecipato alcuni
Di sicuro non si tratta nemmeno di una scelta colta della giuria, che ha ravvisato nel progetto ipotesi teoriche all’avanguardia. Asserire infatti che i profili dell’edificio ricordino e siano stati disegnati a partire dalle sagome dei monti e delle vallate della nostra regione e per questo interpretino appieno il cosiddetto genius loci è una gran boiata. La risposta sta più probabilmente in un (inconscio?) desiderio di potenza formigoniano, che ha forse voluto donare alla regione un imperituro simbolo della sua maschia reggenza? Non lo sappiamo, ma ormai è troppo tardi e questo cazzone di vetro ce lo dobbiamo ciucciare tutti.
Scala in Sciopero contro Bondi Divieto di procedere ad assunzioni a tempo indeterminato, premio ridotto del 50%.. Mentre per le assunzioni a tempo determinato le fondazioni lirico-sinfoniche possono avvalersi delle tipologie contrattuali previste dalla legge Biagi. Sono questi i punti nevralgici del decreto legge recante “Disposizioni urgenti in materia di spettacolo e di attività culturali”, che secondo le dichiarazioni del ministro Bondi rappresenterebbe un primo passo per “riordinare l’intero settore delle fondazioni liriche”. Decreto dapprima rispedito al mittente da Napolitano, segnalando “specifiche richieste di chiarimento sul testo”, poi promulgato a distanza di ventiquattrore. Il decreto pare proprio confezionato su misura per i lavoratori della Scala impegnati da anni nella stabilizzazione dei contratti precari. A fronte degli scioperi del 9 e 17 novembre 2007 nell’aprile 2008 i lavoratori Scala siglavano un accordo sull’occupazione con la direzione del teatro che “sanciva dei principi basilari per l’occupazione, l’attività produttiva, e riguardo l’indispensabilità dei lavoratori stagionali che d’ora in poi non potranno più essere chiamati aggiunti”. Lunedì 3, il sovrintendente Lissner si è affrettato a dichiarare alla stampa verrà prorogato nella stagione 2010/11, dopo il presidio effettuato dai lavoratori all’Ansaldo dov’era in corso la riunione del consiglio di amministrazione della Fondazione che controlla la Scala. Martedì 4 maggio i lavoratori hanno scioperato facendo saltare la penultima replica di ‘Simon Boccanegra’, mentre il cda e Lissner chiedevano al governo “un regolamento in tempi molto brevi” per l’autonomia del teatro, auspicando che il ministero “vorrà creare in tempi molto brevi le condizioni per far sì che i teatri che rientrano nei parametri stabiliti possano non vedere così vanificati gli sforzi fatti negli ultimi anni”. Altri scioperi sono in programma, e il 13 salterà la prima dell’Oro del Reno’ di Wagner. Senza contratto e senza WC Bagni pubblici del Castello chiusi, WC chimici assenti, bidoni per la raccolta differenziata inesistenti, mezzi pubblici fermi dalle 19.30. Bastino questi dati a valutare l’impegno profuso dall’amministrazione comunale nei confronti degli oltre 100mila giovani che hanno partecipato alle varie fasi della MayDay Parade, il primo maggio dei precari, giunta alla sua X edizione. Eppure la richiesta di concessione per la manifestazione, fatta dal sindacato CUB, era stata inoltrata un mese prima. Il tempo per correre ai ripari c’era tutto. Facile trasformare i precari in vandali, specie quando si nega loro, oltre a un lavoro decente, anche un cesso dove andare a pisciare. Intanto, nelle stesse ore dei centomila della MayDay al Castello, per la manifestazione Parco in Comune (PIC) al Parco Alessandrini, l’Arredo Urbano mobilitava oltre un centinaio tra dipendenti, operatori AMSA, vigili, protezione civile, associazioni ecc. ecc. per meno di 1500 cittadini presenti. Esselunga: il 1° maggio si deve lavorare! Quando la sindaca Moratti ha fatto marcia indietro sul 1° maggio di shopping a Milano, poiché il prefetto temeva picchetti e vetrine rotte, ha innescato la reazione di una delle catene commerciali più antisindacali della Lombardia insieme a Lidl e Ikea: l’Esselunga, azienda di Padron Caprotti, in un comunicato affisso in tutti i super milanesi, ha accusato l’amministrazione comunale di aver provocato una forte perdita economica, sia all’azienda sia a lavoratori e cittadini. Il 1° maggio di San Precario l’ha costretta a tenere chiusi persino i due supermercati Piave e Papiniano, che restano aperti sempre. Con un formidabile tempismo, nelle stesse ore, è stato firmato un protocollo d’intesa con i sindacati del comune sulle progressioni orizzontali (ex scatti di anzianità) e il consiglio ha votato il bilancio previsionale per il 2011. Scambio interessato o disinteressata coincidenza? Lauree a premio: 30mila euro in palio L’amministrazione comunale ha deciso di ricordare con diverse borse di studio la memoria dell’avvocato Giulio Ambrosoli e del presidente del consiglio comunale Giovanni Marra. I premi, di circa 5mila euro, verranno consegnati a sei studenti che hanno realizzato tesi di laurea riguardanti la corruzione e la responsabilità sociale nel settore pubblico e privato. Il 4 giugno prossimo è fissata la scadenza per le domande, da inviarsi seguendo le indicazioni che trovate in www.comune.milano.it
Pirati del Delta a cura di Diana Santini
Mondo Fossile di Das Niente, niente, niente. Non funziona niente. I robot sottomarini soccombono alla pressione della profondità e alla potenza del getto dalle falle. Gli incendi controllati del petrolio affiorato in superficie inquinano e non fanno che volatilizzare il problema e disperderlo nel cielo. Per non parlare dei solventi che gli aerei stanno scaricando in mare, un’idea che somiglia più a un problema che a una soluzione. I salsicciotti arancioni galleggianti sono arrivati troppo tardi e non bastano certo a circoscrivere la fuoruscita. La Beyond Petroleum ne ha stesi ora cinquanta chilometri a protezione della costa della Louisiana e altri novanta chilometri saranno installati nei prossimi giorni: una goccia nel mare, non per fare dell’ironia. Nell’ansia crescente generata dalla copertura mediatica in tempo reale del disastro che si sta consumando nelle acque del Golfo del Messico ogni giorno qualche esperto governativo o della compagnia propina la propria soluzione. Ma sembra farlo più che altro per esorcizzare questa fastidiosa sensazione d’impotenza che ci fa stare lì con la bocca aperta a contemplare il disastro. E’ iniziata in sordina il 20 aprile quella che si sta rivelando la peggiore catastrofe di tal genere nella storia. “E’ crollato un pilone”, si disse, Niente di più. Per un paio di giorni la notizia sparì all’orizzonte, come una cosa lontana e in via di risoluzione. Un banale incidente su una piattaforma: niente di nuovo, se si considera che negli ultimi vent’anni sono stati almeno venti gli incidenti gravi, alcuni anche con vittime, in questo settore. Poi il petrolio ha iniziato a macchiare la superficie dell’oceano. All’inizio sembrava fossero mille i barili di greggio che si riversavano quotidianamente in mare, ma la stima è cresciuta giorno dopo giorno. E adesso la perdita giornaliera è stimata in cinquemila barili. La compagnia petrolifera britannica, che ha assicurato l’intenzione di farsi carico di tutti gli oneri del contenimento del disastro e degli indennizzi, spera di riuscire a installare in tempi brevi una valvola che chiuda una delle tre falle sotto la piattaforma, quantomeno per ridurre la fuoruscita di greggio. Nei prossimi
giorni, poi, ha in programma di calare sopra le altre due perdite due cupole di cemento con una tubazione in cima, per pompare in superficie il greggio che esce. Per questo ci vorrà almeno una settimana, se tutto va bene. E non è affatto scontato che funzioni, dal momento che si tratta di una tecnica di recupero utilizzata finora solo in acque basse. Se non dovesse funzionare, occorrerà scavare un secondo pozzo a monte del primo: operazione che potrebbe durare dei mesi. Nel frattempo saranno 300mila i barili di petrolio dispersi nell’oceano, a fronte dei 258mila barili riversati dalla Exxon Valdez nel 1989 nello Stretto di Prince William. Insomma, una bella figuraccia per la BP, che sta cercando disperatamente di salvare la propria reputazione e ancora risente dei “danni d’immagine” causati dall’incidente di Texas City del 2005, e dai danni ambientali provocati da un’altra perdita, un po’ meno grave di questa, in Alaska. Neanche l’aver fatto recentemente pressioni sul Congresso statunitense per allentare gli standard di sicurezza sulle piattaforme giova al buon nome della BP. Forse è per questo che dall’inizio del disastro la Beyond Petroleum ha cercato di rassicurare le comunità locali, promettendo degli indennizzi e cooptando i pescatori nel tamponamento dei danni ambientali. Ma la verità è che la legge americana fissa in 75 milioni di dollari il limite dei rimborsi dovuti dalla compagnia, a parte i danni ambientali. Sarà difficile che bastino, visto il gran numero di persone coinvolte e i tempi lunghi di recupero. Per il momento le trivellazioni sono state sospese in tutto il Golfo del Messico, mentre in Italia la Shell ottiene proprio in questi giorni dal governo la concessione per le ricerche del petrolio offshore nel golfo di Taranto. Immaginate un disastro di queste proporzioni in un mare chiuso come il Mediterraneo. Il presidente Obama ha fatto la voce grossa: “Staremo col fiato sul collo della BP”. L’immagine però è più quella di due attori nervosi che aspettano pazientemente di salire sul palco mentre attoniti assistono al crollo del teatro. Insieme,
ma nemici. Ed entrambi impotenti. “La BP è responsabile, la BP pagherà”, ha detto il presidente, molto, troppo concentrato sull’aspetto economico della vicenda. Ma non si può chiedere alla BP di pagare una stanza d’albergo alle tartarughe che in questa stagione raggiungono la costa per deporre le uova. E neppure di allestire tanti bei nidi per gli uccelli migratori di passaggio, o rifornire di bombole d’ossigeno le cetacee che nel Golfo del Messico vanno ogni anno a partorire. Il quieto delta del Mississippi aspetta paziente l’arrivo dell’onda nera: era un paradiso della biodiversità, un ecosistema fragile, incantato, e ora rischia di scomparire.
Le speranze suscitate dall’annuncio, fatto una quindicina di giorni fa dal presidente ad interim nigeriano Goodluck Jonathan, della creazione di un nuovo gabinetto per coordinare e meglio distribuire i proventi della vendita del greggio sono già sfumate. Gli ultimi rapporti delle associazioni per i diritti umani sul territorio denunciano una situazione di stallo. La Nigeria è una delle aree del mondo più ricche di idrocarburi, con riserve di petrolio pari a 36 miliardi di barili e riserve di gas che si aggirano attorno a 185 trilioni di piedi cubici. Primo produttore di petrolio del continente, membro dell’OPEC, la Nigeria oscilla fra la sesta e l’ottava posizione come esportatore mondiale ed è il quinto fornitore di greggio degli Stati Uniti. Dal petrolio, le cui ottime caratteristiche fisiche in termini di presenza di zolfo e facilità di raffinazione hanno conquistato il mercato occidentale, il paese ricava la maggior parte dei propri introiti. Di recente il presidente ha presentato una legge che impone di dare la preferenza all’industria locale nelle concessioni per lo sfruttamento delle risorse del Delta. Ma in un contesto di povertà estrema le sue parole suonano come vacue promesse, buone solo per dare un contentino a chi a causa del petrolio ha già perso tutto. E ha magari deciso di passare alla lotta armata, come il Mend. “Il novanta per cento delle risorse nigeriane è nel River State, proprio dove il fiume Niger sfocia nel Golfo del Benin, dando vita a un estuario di 20mila chilometri quadrati”, scrive Edoardo Todeschini in uno studio di prossima pubblicazione sulle cause sociali e politiche della pirateria del nuovo millennio. Sì perché una delle conseguenze dello sciacallaggio delle risorse nigeriane è proprio la pirateria, politicizzata come quella del Mend o semplicemente giustificata dalla fame. “La popolazione del Delta, grazie alla grande pescosità della zona, non aveva mai sofferto la fame prima dell’inizio dello sfruttamento petrolifero, iniziata negli anni Cinquanta da Shell, Elf, Mobil, Texaco, Chevron, ma anche Agip e Saipem. Un territorio una volta rigoglioso e ricco di fauna oggi gravemente compromesso dal petrolio e dal gas. La dermatite è una malattia di cui ormai tutti i bambini della zona soffrono. Nel fiume non c’è più un pesce e la popolazione per vivere è ridotta a dover forare le condutture degli oleodotti per rivendere il greggio sul mercato nero. Eppure nelle casse del governo nigeriano entrano ogni anno grazie al petrolio 40 miliardi di dollari: pochi se paragonati a quelli che guadagnano le compagnie, ma molti per un paese povero come la Nigeria. Eppure quasi nulla viene fatto per migliorare le condizioni di vita della gente del River State. Il passaggio alla lotta armata per ottenere migliori condizioni di vita è una possibilità che ormai ha conquistato molti”. Sabotaggi, rapimenti, operazioni di bunkering: così i guerriglieri cercano, allo stesso tempo autofinanziandosi, di condizionare l’attività delle compagnie e la politica del governo. Non tutti lo fanno a fin di bene: ci sono anche i gruppi collusi con le mafie locali interessati a mantenere la regione in uno stato di caos permanente per realizzare i propri profitti. E poi c’è il Mend, il Movimento di Emancipazione del Delta del Niger. “Nel 2002 i gruppi armati del Delta si unirono nel Mend, dichiarando guerra alle multinazionali e allo stato nigeriano, colpevoli di sfruttare indiscriminatamente il territorio e inquinare il fiume”, prosegue Todeschini: “I guerriglieri si muovono su veloci motoscafi che montano a prua una mitragliera, si aggirano indisturbati nella vegetazione, attaccano piattaforme petrolifere e navi e rapiscono tecnici stranieri a scopo di riscatto. Contando gli episodi si arriva quasi a duecento rapiti, quasi tutti rilasciati incolumi. Ma si possono considerare pirati i guerriglieri del Mend? Se prendiamo in considerazione le azioni svolte, è facile riscontrare molte similitudini con le pratiche dei pirati di altre parti del globo”. Anche a livello simbolico il richiamo al mito della pirateria, nella sua matrice libertaria e guerriera, è forte. Pirati del terzo millennio, i guerriglieri del Mend hanno saputo riattualizzare un mito per battersi con rabbia e intelligenza contro lo sfruttamento selvaggio della propria terra da parte delle multinazionali. E il loro grido di rivolta e dignità meriterebbe di essere ascoltato con più attenzione qui, dove invece se ne parla solo per commentare le allarmanti notizie d’agenzia sulle periodiche impennate del prezzo del greggio.
Alieni Letterari Scomodi Intervista con Alessandro Bertante di Junior Avelli Il Festival Letterario Officina Italia giunge quest’anno alla sua quarta edizione. Edizione all’insegna delle polemiche dopo il taglio dei fondi effettuato dalla provincia a due settimane dall’inizio della manifestazione. Dopo l’ultimo consiglio tenutosi il 12 aprile infatti, l’assessore alla cultura ha fatto sapere che il contributo provinciale avrebbe ricevuto una ritoccatina passando dai 5000 euro promessi ai 1500 concessi. I curatori della rassegna hanno risposto rifiutando l’offerta e il patrocinio. Officina Italia non è stata l’unica iniziativa a vedersi ridimensionato il budget, stessa sorte è toccata alla Milanesiana e alla cinefila Cannes a Milano; quest’ultima addirittura cancellata. Leitmotiv di Officina Italia 2010 sarà ‘Il mondo che verrà’, laboratorio creativo nel quale autori come Filippo Timi, Vinicio Capossela, Helena Janeczek, Giorgio Falco, Antonio Moresco, Chiara Valerio, Francesco Piccolo, Michela Murgia proveranno nella città dell’Expo 2015 a immaginare scenari alieni e universi futuribili. ‘MilanoX’ intervista Alessandro Bertante, curatore del festival insieme ad Antonio Scurati. I due sono agitatori culturali tra i più ferventi nella nostra stanca metropoli. 1. Quanto costa organizzare un festival come Officina Italia? Un festival come Officina Italia può costare anche 200.000 euro. Noi abbiamo sempre contenuto i costi e con 50.000 euro riusciamo a organizzarlo in modo dignitoso. 2. Visto i tagli improvvisi della provincia al vostro prevedete, come qualcuno ha detto in questi giorni parlando dell’Expo 2015, un’edizione più piccola ma più moderna e al passo con i tempi? Noi siamo modernissimi, piccoli e virtuosi. Tre giorni di reading con le eccellenze della letteratura nazionale che aprono la propria officina letteraria al pubblico, in un clima franco e informale. Siamo diretti e spontanei, lontani da ogni gigantismo organizzativo e pretesa di commistione fra generi. Ma non capisco quali siano i tempi cui ti riferisci? Questi tempi? “Tempi devastati e vili” temo, per citare il mio amico Giuseppe Genna. 3. Perché avete rifiutato il patrocinio della provincia, dopo il taglio? Abbiamo rifiutato il patrocinio della Provincia perché un’offerta di 1500 euro per l’organizzazione di un festival è ridicola
e offensiva, completamente fuori luogo. Da giudicare, o come malcelato tentativo di affossare l’iniziativa senza prendersene la responsabilità politica, oppure come una dimostrazione di mancanza di professionalità, ancora più inquietante, anche perché la decisione ci è stata comunicata due settimane prima dell’inizio del festival. 4. Posto che il comune ha stanziato 30.000 euro, siete soddisfatti della politica culturale a Milano? Quali sono i problemi strutturali? Il comune in realtà di euro ne ha stanziati 25.000 (la comunicazione ci è arrivata ieri a due giorni dall’inizio del festival). Ma purtroppo non è solo una questione di risorse e investimenti. A Milano manca una progettualità culturale sul medio e sul lungo periodo, perché il settore viene visto come accessorio o addirittura inutile. Temo sia una questione di mentalità. Ed è paradossale che i giornali di destra continuino a starnazzare sull’egemonia dell’intellighenzia di sinistra dal momento che in Lombardia controllano tutte le risorse disponibili. Questi sedicenti moralizzatori, svestano il ruolo di servi e giullari di corte e s’interroghino piuttosto sul vuoto pneumatico che rimane a destra in campo culturale. Siamo in mano a politici che tirano a campare, tappando i buchi in modo grossolano e arrogante. In prospettiva dell’Expo - che sarà un’abbuffata di denaro pubblico da fare spavento - tutto questo è desolante, specie con un assessore come Maerna (della Provincia) che stila liste di proscrizione, facendosi beffe delle professionalità cittadine emerse negli ultimi dieci anni. 5. Come sta la letteratura italiana, respira ancora? Il punto sulla New Italian Epic? La letteratura italiana sta benissimo, esiste una nuova generazione di scrittori di grande talento. La New Italian Epic è servita a metterla in luce, è stata un momento di cesura molto importante che ha dato vita a un interessante dibattito. Poi gli autori possono prendere strade diverse e fare scelte anche in controtendenza, ma di certo la stagione postmoderna è finita e con essa vengono meno anche certe forme frammentarie e deboli di letteratura, segnacoli di crisi più che di sperimentazione. 6. Quanto è cruciale la crisi della critica nel sistema editoriale attuale? Quali risposte concrete esistono?
La crisi dell’editoria è sistemica e potrà solo peggiorare. Fra non molti anni i lettori torneranno a essere quello che sono sempre stati: una minoranza colta e distante dagli umori delle masse. La decadenza dei media e della loro proposta culturale è solo uno dei tanti sintomi di questa tendenza. La società dello spettacolo volge al termine, quello che verrà dopo non ci è ancora dato di prevedere. 7. Mi pare che certa sinistra se ne vada in giro con una faccia alla cercasi disperatamente movimento controculturale generazionale. Quanto ha senso? I movimenti controculturali sono una delle novità più significative della contemporaneità e hanno svolto fino ai primi anni Ottanta un ruolo di rottura e rigenerazione fondamentale. Ma ora la realtà è ancora più frammentata. La comunicazione ti consente ogni cosa annullando tutte le distanze e rendendole così eteree, perciò più subdole. Anche la fruizione del tempo è cambiata in modo radicale, ne abbiamo fin troppo a disposizione. Ma le forme di creatività underground rimangono delle esperienze elitarie, di gruppi ristretti di persone che guardano la realtà in modo diverso, anticipandola. La sinistra italiana questa capacità oracolare l’ha smarrita da tempo e di norma i movimenti generazionali sono fenomeni commerciali per guadagnare nuovi consumatori prima difficilmente raggiungibili. 8. La tensione sulla quale sembrano giocarsi i prossimi equilibri a livello internazionale sul piano politico-culturale sono la battaglia contro l’appiattimento da massificazione e la capacità di affrancamento dal concetto di cultura a quello più ampio di culture. Com’è messa l’Italia all’interno di questo processo? Il concetto di culture è molto vago, ambizioso ma interessante, specie se interpretato come antidoto alla globalizzazione e alla standardizzazione culturale internazionale, veicolata a livello giovanile da fenomeni commerciali, come dicevo prima, e da colossi dell’intrattenimento popolare di matrice statunitense. Io credo tuttavia che in Italia un’autentica e innovativa spinta culturale possa venire dalle nuove generazioni di immigrati nate nelle nostre metropoli, che hanno dalla loro parte più urgenze e una maggiore voglia di emergere. Voglia che mi auguro possa diventare contagiosa.
Mamavegas
This Is The Day! I See... 24 / 42 Records (2010) Capaci di sfoderare una scia di folk tribale di quello che ti fa alzare dalla sedia e cantare a squarciagola o dondolarti al chiaro di luna con ballad song che odorano di paglia, melodie senza tempo e tintinnii di suoni che scompaiono al tramonto. Scivolano nel pop, nelle aperture post-rock e scorazzano giù in picchiata libera in una Pangea di suoni in cui i chiaroscuri hanno molta più sostanza dei colori primari. Ne viene fuori una visione convincente e personale di dolente/gioioso folk-post senza restrizioni di sorta. Come coniugare dalle nostre parti l’obliqua e intelligente capacità di sorvolare i generi dei Death Cab For Cutie a fughe e dilatazioni che possono ricordare gli Appleseed Cast. Un gran bel sentire da procurarsi ora e godere per tutta l’estate.
Vermillion Sands
S/t Alien Snatch! Records (2010) Dopo tanti singoli, l’album finalmente è arrivato. Include le già note e trascinanti ‘In The Wood’ e ‘Wake Me When I Die’, in più spiccano la filastrocca per sorriso sdentato di banjo ‘Peter Peter’, l’esperimento pop-country molto riuscito di ‘Razors’, la dolceamarognola ‘Weary B. Weak’ e ancora la minacciosa ‘Monsoon Blues’: ci sono un paio di numeri un po’ a vuoto, ma anche una ghost song dal taglio psichedelico che forse (ma forse) lascia intravedere un futuro più sperimentale in studio di registrazione. E insomma, li consacro definitivamente? Direi di sì, l’album ci consegna un gruppo sempre più sicuro. Insomma facciamo finta che i treni non esistano, la frontiera è ancora vergine, conquistiamola passo dopo passo, i treni tanto arriveranno, ma noi li osserveremo da lontano e, come sempre, li prenderemo in giro dall’alto dei nostri cuori.
LCD Sound di Marcorso
La Città dei Flussi di Vic Marchi Contro ogni previsione, una vecchia lumaca una volta conosciuta come la Grande Mela sembra improvvisamente aver svoltato verso un futuro hi-tech che sembrava averla bypassata. Le premesse non sembravano buone. L’era della grande bolla speculativa nota come dot-com bubble era venuta e passata senza lasciare molto come base su cui sviluppare un’industria tecnologica in città. La nuova è che questo scenario sembra finalmente sovvertito. Dopo che anche dal punto di vista emotivo le acque si sono calmate, sembra che la città stia tentando di posizionarsi come laboratorio d’innovazione tecnologica sul web e che gli investitori, questa volta, ci credano. Per intenderci, New York rimane indietro rispetto alla Silicon Valley e Boston, distretti storici dell’industria tecnologica americana. Ma la città si va consolidando come terzo hi-tech hub negli Stati Uniti per volume d’investimenti e numero di startup, e comincia a recuperare terreno attraendo un numero sempre maggiore di talenti e capitali. Cosa sta succedendo? In un certo senso niente di nuovo. Non è una sorpresa che la classe creativa preferisca la grande città, la ricchezza della sua cultura e la vivacità della sua nightlife alle rigidità puritane di Boston e il “provincialismo” di San Francisco. New York è fucina storica di linguaggi e culture, una città calda che batte a ritmi hip-hop e merengue, e dove il 40% della popolazione è di origine straniera. Un terreno ideale per le arti da sempre meta e fonte d’ispirazione per talenti creativi di ogni genere, fra i quali anche quelli del new media. Ma il talento non è di per sé sufficiente in assenza delle giuste condizioni oggettive per creare un distretto. E sotto questo profilo le cose non parevano entusiasmanti. New York è sede di settori considerati maturi quali marketing, fashion, design e turismo, oltre naturalmente a media, commercio, finanza e immobiliare. Tutti settori, a parte forse la finanza, che hanno subito piuttosto che promosso l’innovazione tecnologica. Ma non disperiamo. La novità è che, contro ogni aspettativa, sono proprio questi settori che sembrano oggi proporsi come vettori della prossima ondata d’innovazione tecnologica. E sarebbe questa la ragione ultima del riposizionamento di New York
come cluster d’innovazione sul web. Sin qui è la storia che ci viene raccontata. Per chiederci se c’è di più bisogna ripercorrere quanto successo negli ultimi anni. Schematizzando, la storia del web si può dividere in tre parti. La prima, definita la fase pionieristica, in cui il mito della rete ha sostenuto l’abbraccio entusiastico di una moltitudine di soggetti e individui, nell’epoca in cui ognuno voleva avere un proprio sito web e s’immaginava un’economia disintermediata in cui si comprava la verdura online direttamente dal contadino fuori città. A questa fece seguito la fase del cosiddetto “corporate take over” del web, in cui il grande business s’interessò alla rete e decise di investire ingenti capitali. E’ in questo contesto che si cominciò a parlare di re-intermediazione dei flussi di informazione sul web, nacquero Amazon ed eBay, e la corporate community si gettò all’affannosa ricerca di nuovi modelli economici. La terza fase è contrassegnata dall’avvento dei Social Media, media che si definiscono per il fatto di supportare l’interazione fra utenti. Questa è la fase in cui Facebook batte Google e i social newtork spodestano i motori di ricerca nella generazione dei flussi di traffico. Fase che si distingue dalla seconda per il fatto che intelligenza di flusso e governo dei processi, ciò che prima abbiamo chiamato reintermediazione dei flussi e che la corporate community cercava di controllare, vengono ora delegati ai network. New York potrebbe rappresentare la quarta tappa della storia. In questa quarta fase la discontinuità è rappresentata dal fatto che l’accesso a Internet diventa wireless, e cioè mobile e ubiquitario. Fino a ora sembra che la rete si sia sviluppata indipendentemente da qualsiasi rapporto con il territorio e il corpo. Nozioni quali infosfera e virtualità ci hanno abituato a pensare lo spazio informazionale come scisso, avulso da ogni rapporto con lo spazio fisico. Con l’ubiquitarietà dell’accesso le sfere si ricompongono, il territorio si virtualizza e si apre lo spazio per una nuova serie di servizi. Una congettura dunque è che New York, ma dovremmo dire la metropoli in genere, sia il luogo in cui i social media incontrano Internet mobile e si aprono al know-how delle reti sociali metropolitane. In questo
caso la relazione con la metropoli non sarebbe solo contingente alla presenza di certe industrie, ma determinata dal fatto che il territorio metropolitano, e questo tanto in senso demografico/urbanistico quanto antropologico, è in continua trasformazione e in qualche modo “già da sempre” virtualizzato e fatto metafora della relazione sociale. A New York c’è una Little Italy così come una Chinatown, una Little Korea, ma anche un East e un West Village, e tutto in una composizione in continua trasformazione. Non è dunque forse un caso che proprio a New York nasca Foursquare, uno degli esempi più datati che fa scuola in città. Un sito e un’applicazione per portatile in cui i membri condividono informazioni su dove sono e cosa fanno in città, mettendo in circolo una mappa di relazioni e luoghi in continua trasformazione. Qui vediamo social media, Internet mobile e reti sociali messi direttamente in relazione tra loro. Ma la cosa va oltre se si considera il rapporto fra social media e know-how delle reti sociali urbane in modo più astratto. Un esempio è Etsy, fiera online dell’artigianato che offre una vetrina a sottoscrizione e che utilizza social media, e cioè media che supportano interazione fra utenti, per guidare il processo della vendita di prodotti e servizi. O Tumblr, un sito di micro-blogging che pesca nel bacino di un milione di blogger (lo dice nycbloggers.com) che vivono in città. Ma posso citare anche Hunch, un decision-making system e un motore di ricerca motivazionale che ti aiuta a prendere una decisione mettendo al lavoro l’intelligenza collettiva della comunità. O Gilt, che spaccia abiti di design su base sample sale con vendite flash ai membri della propria community e che ha due milioni di utenti registrati di cui 400.000 in città. In tutti questi casi il rapporto con la metropoli e il know how delle reti sociali che in esse si strutturano sembra essenziale alla definizione di nuovi servizi e nuovi modelli di business. Un percorso che almeno in parte sarebbe pensabile anche per Milano, una volta adeguato al nostro specifico contesto sociale e culturale. All bets are open.
Fino agli anni ’90, i metallari e gli hiphoppari ascoltavano musica a compartimenti stagni, chitarre e sample non si mescolavano ed erano tutti “puristi”. Per fortuna iniziarono le prime contaminazioni quali Aerosmith e RUN DMC, piuttosto che Public Enemy e Anthrax. Quindi nacquero gruppi, che facevano del crossover la propria cifra stilistica, quali Fishbone e Rage against the Machine. Nelle contaminazioni oltre all’hip hop s’affacciò anche la musica elettronica, e uscirono capolavori quali “Screamadelica” dei Primal Scream, dove ormai i generi erano irriconoscibili, fusi e ammalgamati l’uno con l’altro. Procedendo negli anni arrivarono i Chemical Brothers, che, con i loro chemical beats iniziarono a sdoganare la techno fra il pubblico rokkettaro. Nei primi anni Zero arrivano i Soulwax, che mischiano rock e sintetizzatori, ma soprattutto con il loro side project 2many djs, riescono a fare andare d’accordo Nirvana con Destiny’s Child e Salt’n’Pepa con gli Stooges. Negli Stati Uniti invece nasce una nuova etichetta e una nuova personalità musicale, stiamo parlando di DFA (Death from Above) e James Murphy, responsabile dell’etichetta e leader della band LCD Soundsystem. Questo mese esce finalmente il nuovo lavoro degli LCD, “This is Happening”, che dopo 3 anni dal precedente e riuscitissimo “Sound of Silver”, aggiorna la cifra stilistica del progetto musicale, uno dei più entusiasmanti provenienti da New York City. James Murphy e soci, dopo aver creato uno stile con il primo album, e aver consolidato il proprio sound dandogli una solidità kraftwerkiana col secondo, nel terzo posso ampliare il loro spettro musicale verso suoni e ritmi. Si parte in lentezza con “Dance Yrself Clean”, i bpm sono più lenti del solito, la voce di James inizia la sua litania e poi partono i suoni acidi e le batterie afro di casa LCD. Si prosegue con “Drunk Girls” vero esempio di glam e punk, con un bel tiro, molto dancefloor oriented. Da qui si decolla con “One Touch”, bpm tirati, voce marziale di James e suonini acidi che ricordano tanto “Music Response” dei Chemical Brothers, e un crescendo implacabile di saturazioni , che ti riempie i padiglioni auricolari e che ti fa sculettare con gusto. Dopo di che arriva “All I want” meraviglioso omaggio al Bowie Berlinese, sembra infatti una versione di “Heroes” 2010, ma non si rischia il plagio, è un omaggio in cui Murphy canta “cor core in mano” e la chitarra la fa da padrona. Sempre in aperture liriche e voce sognante prosegue “I can change”, la voce di James espressiva e comunicativa ti affonda dentro, e non si capisce più che cosa si sta ascoltando, Rock? Electro? Pop? Il tutto è fuso alla perfezione. Poi arriva il mio singolo preferito “You Wanted a Hit” lunga suite elettro in cui James e soci reclamano la loro volontà di non riuscire a fare una hit come vorrebbero i discografici, ma come se la sentono loro, i crescendo del pezzo sono sublimi e immagino che remixata farà sfaceli sui dancefloor estivi, ossessiva e penetrante come “NY Excuse” ma cool a dismisura. “Pow Wow” invece ha un sound da marchio di fabbrica DFA, batteria incessante e crescendo adrenalinici. “Somebody’s calling me” rallenta un po’ gli umori con un inizio stomp, grasso, che sposa le lyrics di James alle prese con le sue questioni sentimentali. E chiude il tutto “Home” bellissimo pezzo con suoni afro e latini, batteria incessante, sensazioni solari e caraibiche, che sembra tanto una versione moderna di “I Zimbra” dei Talking Heads, ai quali LCD sicuramente devono molto, non tanto come suoni ma come attitudine. James ha affermato che sarà il loro ultimo album in studio. LCD non proseguirà oltre, rimarrà nella memoria con questa trilogia, di cui “This is happening” rappresenta la illustre e matura conclusione.
Vomito
di Luca Fazio
La Moschea Proibita Mario Cassina, Al Jarida
Come da tradizione, il primo sole primaverile ha riacceso anche quest’anno le polemiche sulla scelta di un luogo di culto per la comunità musulmana, oltre 70mila persone, che vive e lavora nel capoluogo lombardo. A lanciare il sasso ci ha pensato stavolta Abdel Hamiid Shaari, direttore del centro studi islamico di viale Jenner, da sempre una delle figure più carismatiche della più grande minoranza religiosa meneghina. Il dottor Shaari, in una lettera aperta alle istituzioni cittadine, ha scritto: “Non chiediamo una grande moschea ma solo un luogo di culto dignitoso e capace di contenere un certo numero di fedeli, che sia lontano dai centri abitati ma servito dai mezzi pubblici. Uno spazio che non peserà minimamente sul bilancio della città di Milano e sarà tutto a nostre spese”. Il problema della mancanza di luoghi di culto, che si acuisce durante le festività islamiche, non è nuovo. Tutto iniziò nel 2008, quando il ministro dell’Interno Roberto Maroni intervenne nella querelle che vedeva contrapposti i comitati di cittadini della zona di viale Jenner e il centro studi islamico. Si giunse a una soluzione temporanea: per le celebrazioni del venerdì venne scelto il Palasharp mentre il Teatro Ciak fu adibito alle preghiere notturne del mese di Ramadan. Il contratto di locazione intestato a Divier Togni, attuale concessionario della “moschea a ore”, sta però scadendo e il prossimo affittuario potrebbe essere meno ospitale. Esiste poi il rischio concreto che il Ciak, una struttura provvisoria allestita al centro della Fabbrica del Vapore, venga smantellato. Letizia Moratti, chiamata in causa, ha risposto prendendo tempo, balbettando: “A Milano ci sono già luoghi di culto per gli islamici. E comunque occorre verificare le normative nazionali e regionali. Le competenze per realizzare una moschea, poi, non sono solo del Comune”. Infine è arrivato lo scaricabarile: “Ho scritto una lettera a Maroni dando seguito a un ordine del giorno approvato a larga maggioranza dal consiglio comunale perché prenda in esame la possibilità di una normativa nazionale che regolamenti in modo omogeneo i luoghi di culto delle comunità religiose che non intrattengono rapporti con lo stato italiano”. Cinquanta parole per dire affari vostri. Nel frattempo il sindaco ha assicurato che proibirà con ogni mezzo un ritorno alla preghiera sui marciapiedi. Non stupisce neanche la reazione isterica della Lega: “Finché siamo nella maggioranza che governa Milano non saranno concessi ulteriori spazi alle comunità islamiche, visto che ne hanno già fin troppi. Non hanno ancora dimostrato la propria disponibilità all’integrazione. Siamo contrari a nuove moschee, anche qualora se le pagassero con i soldi del petrolio o degli sceicchi”, ha detto ringhiando Matteo Salvini. La realtà è ben diversa. Esemplare è la situazione della Dar al Taqafa al Islamyya, la Casa della Cultura Islamica di via Padova 144, che ha trovato spazio in un salone alla base di un condominio e cerca di accogliere in pochi metri quadrati l’alto numero di fedeli della zona. La preghiera del venerdì si svolge su tre turni, così da evitare di ostruire il marciapiede. La nuova direzione della Casa della Cultura ha deciso di dar via alle pratiche per aprire un nuovo luogo di culto, indipendentemente dal parere della giunta. Dall’ultimo Ramadan, insomma, niente è cambiato, mentre il prossimo mese di celebrazioni si avvicina. Un’indecisione, quella del comune, che somiglia troppo a uno sgarbo inutile nei confronti della cpmunità islamica di Milano.
Chi ha spento la luce di Sylva Koscina Grosso guaio a Chinatown. Ma anche gli altri quartieri più o meno periferici ad alta densità di residenti e commercianti immigrati si scordino di dormire sonni tranquilli. Il sindaco Moratti freme infatti per apporre la propria firma alle nuove ordinanze sulla sicurezza “disegnate sulle specifiche esigenze delle singole zone”: limitazione degli orari per centri massaggi, negozi di kebab e phone center, stretta sugli affitti e obbligo per i proprietari di depositare i contratti ai vigili. Una riunione del Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica, alla presenza del sindaco, del prefetto, del vicesindaco e dell’assessore leghista alla Sicurezza Stefano Bolognini si è tenuta la settimana scorsa. “L’idea è quella di estendere a macchia di leopardo le misure adottate in via Padova in altre zone della città”, ha spiegato Bolognini: “In via Imbonati, Paolo Sarpi, viale Jenner e Corvetto”. Una bella metafora le macchie di leopardo: buchi neri fatti di insegne spente e saracinesche abbassate nel tessuto della città. In attesa degli sbandierati incontri con i residenti (quelli italiani, ci mancherebbe) e dei pareri di esperti della sicurezza e tavoli tecnici, la giunta non ha comunque perso tempo. Piccoli blitz dimostrativi della polizia locale sono stati organizzati negli ultimi giorni, proprio a cominciare da via Paolo Sarpi e via Imbonati. Il vicesindaco ha annunciato orgoglioso che sabato scorso uno stabile in quest’ultima via è stato “passato al setaccio. Bottino: tre clandestini, due allacciamenti del gas tagliati, una soffitta inagibile. Come inizio non c’è male. In quest’euforia cartacea di ordinanze “disegnate su misura” si è fatta avanti, manco a dirlo, anche la Lega con una decisiva soluzione riguardo la questione degli accampamenti rom, consistente nel sequestrare roulotte e camper ai nomadi sorpresi “a bivaccare abusivamente sul suolo pubblico”, qualora siano già stati segnalati per lo stesso reato. “È ora di partire con la confisca dei mezzi”, ha annunciato l’assessore Bolognini: “Vanno bene le sanzioni di De Corato ma alla fine si è visto che le multe non le pagano mai”. Beh, stupirebbe il contrario. Il testo è già pronto, prefetto e comandante dei vigili si sono subito detti favorevoli al provvedimento. “Una vol-
ta che si confisca il mezzo, o se ne vanno o lo devono ricomperare. E non credo che sia così semplice”, è la stronzissima deduzione logica dell’assessore. Il primo a fare sponda in comune, rilanciando quest’idea è stato il capogruppo della Lega Nord a Palazzo Marino, Matteo Salvini, lo stesso che non è riuscito a trattenere il giubilo per l’annuncio della prossima approvazione dell’ordinanza in via Paolo Sarpi, il quale ha dichiarato: “Il problema vero è il commercio all’ingrosso”, quello che va stroncato. Che l’area diventerà a breve isola pedonale e che il coprifuoco rischia di farla diventare un deserto del Gobi è un problema che sembra non essersi posto nessuno. Intanto, sabato 16 maggio si svolgerà nella via la tradizionale corsa del “Carrellino d’oro”, un percorso a ostacoli dei proverbiali carrelli tra mamme con bambini, vigili appostati, telecamere, macchine in retromarcia. Vista l’aria che tira sarà l’ultima edizione della competizione. All’indomani dei disordini di via Padova e dell’emissione dell’ordinanza, bocciata dal Tar e ridimensionata dal Comune, le pagine milanesi dei quotidiani straripavano di mappe del degrado e delle comunità immigrate in quelli che furono, in un tempo lontano, i quartieri della ligera. “Nella striscia che da piazzale Maciachini corre verso via Pellegrino Rossi i negozi a titolare straniero sono 143 su 266: parrucchieri, drogherie, kebab”, scriveva allarmato e allarmante il Corriere. E poi: “Gli asiatici hanno rilevato il 70% dei bar della zona tra Corvetto e Ripamonti, mentre nel cuore del quartiere popolare di San Siro c’è la scuola di via Paravia, dove gli stranieri sono 9 su 10”. Mamma li Turchi! Quelle grida di allarme sono ora a un passo dal trasformarsi in provvedimenti, ordinanze, contravvenzioni. Nei prossimi giorni, intanto, il sindaco estenderà a via Paolo Sarpi, piazzale Corvetto e via Imbonati l’obbligo ai proprietari d’immobili e agli inquilini di depositare i contratti ai vigili urbani per favorire i controlli. Poi, l’ordinanza sugli orari degli esercizi pubblici, senza più le limitazioni per i ristoranti, sarà replicata in via Imbonati, una zona, come si legge in una nota del Tavolo sulla Sicurezza che ne parla come se si trattasse di polveri inquinanti, “ad alta concentrazione di magrebini”.
La confessione (ah, i preti...) è il solo modo per sputare il rospo e rendere un buon servizio ai lettori, in questo caso per vomitarlo fuori (ah, gli esorcisti...). Il raspino che abbiamo in gola, lo confessiamo, è questo: se la mayday fa vomitare, facciamo finta di niente o proviamo a masticare qualche pensierino tipo Plasil in bustine per tentare di vincere il conato? Mastichiamo ma con doverosa premessa, giusto per evitare la fastidiosa controindicazione di passare per vetero babbioni, di quelli che signora mia non c’è più il primo maggio di una volta: cari voi altri, passeranno secoli prima che i nostri techno giovinastri riescano anche solo ad avvicinarsi alle tonnellate di ettolitri di uva fermentata ingollate dalla nostra mitica classe operaia del secolo scorso, quando la fine della settimana era irreligiosamente dedicata più allo sballo che alla sedizione (e sia detto con il massimo rispetto, certi nonni operai e comunisti cosi!, la domenica, li sentivano arrivare dal fondo della via, tanto erano sfatti per dimenticare e dimenticarsi). Letta la posologia, con buona pace dei moralisti mummificati, torniamo a noi, al corteo dei precari del primo maggio, cioè al motivo per cui la Mayday dopo dieci anni è passata ingiustamente alle cronache come la parata dei raver rincoglioniti dalle droghe e dai woofer. I moralisti al contario di ‘MilanoX’ (cioé noi), a questo punto del masticamento autolesionista, per negare non l’evidenza ma un’evidenza (migliaia di fattoni persi nel sottovuoto spinto c’erano eccome), cercherebbero - anche giustamente, per carità - di mettere al centro della riflessione la portata eminentemente politica della sfilata sulla precarietà, una condizione non solo lavorativa che arrovescia le budella e manda in tilt i neuroni e le vite delle persone (soldi, casa, affetto, sesso, rapporti più o meno disumani, attacchi di panico, paura di esistere altro che resistere, e via sociologizzando a cazzo...); e aggiungerebbero che così fan tutti (dal Parlamento in giù, cioè in su) e che è da manigoldi ignorare le istanze politiche della Mayday e poi maramaldeggiare sparando le solite cazzate sui giovani che si drogano e imbrattano i muri... e che giornalisti e politicume andassero un po’ a contare le gocce di Xanax nei cassetti di quei tossici cronici dei loro (e dei nostri) parenti! Troppo vero. Ma il punto non è questo, per cui una volta tanto faremmo bene ad arrotolare la nostra coda di paglia per osservare ammirati ciò che succede in coda alla magnifica parata del primo maggio. Perché la testa pensante del corteo, considerando che la reitazione del messaggio non sa cambiare lo stato delle cose - siamo più precari e sfatti oggi di dieci anni fa - ormai non ha più niente da dire che non sia stato già detto, eppure deve continuare a dirlo. La coda invece, i raver con gli occhi fuori dalle orbite, rappresentano il sintomo della malattia: la precarietà fa vomitare! E quelli che si schifano prendendo le distanze, dovrebbero vergognarsi, perché è troppo facile non voler guardare in faccia la realtà, o derubricarla come un vizio della gioventù (già sentita questa). Vomitavano anche i nostri genitori più arrabbiati, ma quei punk disperati consapevoli di non avere più futuro almeno provavano a vivere per sovvertire il presente, anche a costo di autodistruggersi. Oggi, invece, se ci fosse qualcuno capace di cantare la coda della Mayday e di tutti quelli messi ugualmente male che però non vomitano per strada, dovrebbe intonare un mesto “No present for you”, perché qui siamo al punto che la precarietà non solo ci ha fottuto il futuro ma ci fotte anche il presente. E quindi, qui e ora, chissenefrega di tutto, ribellione compresa. Vomito ergo sum. E adesso chiamate un dottore, se siete capaci.
Omer e Nemo’s di Alessia Locatelli
E’ un piacere vedere che l’arte pubblica, i graffiti e tutte le forme di comunicazione che si appropriano di spazi aperti continuano il loro percorso, nonostante l’indecente processo che Bros sta subendo a Milano da parte del Comune (De Corato in primis definisce Bros un soggetto “plurirecidivo” per i suoi interventi di street art).
Istantanea Milanese di Andrea Brandelli Il traffico era prossimo al collasso. I mezzi pubblici accumulavano ritardi biblici amplificati dal diluvio universale, mentre Milano navigava a vista. Il tardo pomeriggio era cupo e i lampioni di Corso XXII Marzo si riflettevano a fatica sull’asfalto bagnato. Conosceva bene la zona perché vi aveva lavorato parecchie volte. Pedinava la giovane Anna da ore. In quel momento la ragazza salì in casa e lui riparò nella sua auto. Da quel punto riusciva a scorgere le finestre del quinto piano dove viveva la figlia del suo cliente. Abbassò un finestrino e attese paziente. Quella parte del suo lavoro lo snervava e al contempo gli lasciava la possibilità di stare solo a pensare. Restò in compagnia di un senso di incomprensibile agitazione, fino a quando un tipo losco si fermò davanti allo stabile. Lo inquadrò in fretta e furia con l’obbiettivo della macchina fotografica. Scattò un paio di foto e notò che gli mancavano molti denti. I capelli gli si appoggiavano come corde lerce sulle spalle e anche la felpa che indossava non se la passava meglio. Doveva essere uno di quegli spacciatori di mezza tacca che consumano più di quello che vendono. Uno che aveva deciso da solo di cosa crepare. Non era affar suo, ma lo divenne quando quel relitto si intrufolò nell’androne e dopo un breve istante, le finestre dell’appartamento della giovane donna si illuminarono. Due figure iniziarono a muoversi in modo concitato, a giudicare dalle ombre che si dipingevano sui tendaggi spessi. Quella danza di compravendita a domicilio confermò che la ragazza aveva problemi con la droga. Le luci si spensero e il capellone di prima tornò in strada con le mani piene di soldi. Una trattativa spiccia, tipica di chi si fa servire a casa e non manca di mezzi. Scattò qualche altra foto mentre lo spacciatore lasciava la piazza. Inviperito scese dall’auto e si mise a seguirlo. Il tizio camminava con l’andatura nervosa tipica di chi fa uso di sostanze stupefacenti e lo condusse in una via secondaria fatta di casette basse che ricordavano le piccole strade di alcune capitali nordeuropee. Quella zona era contraddittoria. Dopo l’accorpamento che il comune aveva disposto anni addietro, quartieri diversi per forme ed estrazione si erano ritrovati allo stesso tavolo, con le conseguenti difficoltà di comprensione. Non sapeva se fosse un bene o un male, a volte l’integrazio-
ne parte dallo scontro, ma sicuramente riteneva un azzardo assimilare centro e periferia senza preparare adeguatamente il terreno. In breve chi stava a nemmeno mezzo chilometro da lì, pigiato negli edifici dell’Istituto a masticare invidia e sconfitte, doveva anche fare i conti con quelle belle case. Non era un urbanista e nemmeno un sociologo, ma leggeva in quella discriminazione consapevole una tragica ingiustizia. Infilò le mani ancora più profondamente nelle tasche e cercò di mimetizzarsi in un civico alla propria destra, mentre il suo uomo si girava con aria circospetta. Sbucarono alle spalle di quella che era stata per anni la stazione di Porta Vittoria. Lo spacciatore attraversò viale Umbria di corsa; lui invece rimase all’angolo opposto con gli occhi aperti. C’era del movimento. Due tizi se ne stavano appoggiati al muretto che costeggiava i giardini di Largo Marinai d’Italia e non sembravano curarsi né della pioggia né della sua presenza. Il tipo si fermò a un paio di metri dalle due sentinelle, mentre un autobus sfrecciò sul pavè bagnato e gli impedì di cogliere lo scambio. Subito dopo i due se ne andarono verso il parco, mentre quello che stava seguendo si ributtò dall’altra parte del viale. Lo spacciatore riprese la marcia e svoltò in una via poco più avanti. Lui aspettò che quello sparisse dalla sua vista e si mise a correre per recuperare il terreno perduto. Lo riagganciò quando aveva già raggiunto la fine di via Arconati e si stava immettendo in una grande piazza. Il piazzale era direttamente collegato con il viale che portava alla zona dell’ortomercato mentre da una direttrice inserita fra due schiere di case popolari si intravedeva la sagoma oscura di piazza Insubria. Lo spacciatore si infilò in una strada laterale. Dopo qualche istante si ritrovarono in via Tommei. I racconti che si erano occupati di quel quartiere a dire il vero erano ormai vecchi di dieci anni, e le facciate delle case non erano così decrepite come se le sarebbe aspettate. Il fatto strano era che, sebbene un numero sempre crescente di persone credesse nel riscatto sociale delle periferie, i delinquenti continuavano a seguire gli stereotipi e si scambiavano di padre in figlio le consuetudini criminali, con luoghi e cantine compresi. In pieno stile milanese. Il rattone intanto si era cacciato in una delle cantine di una casa per fare rifornimento. Dalle finestre
circostanti si sentivano profumi deliziosi. Nonostante tutto quello che aveva letto e sentito in merito a quei luoghi, non riusciva a non trovare nelle luci e nelle voci di quelle abitazioni un infinito senso di potenza e di possibilità. Gli riconosceva il diritto di essere il ventre pulsante della città, che non aveva ancora compreso bene da che parte stare e come convogliare tanta inconsapevole forza. Improvvisamente vide sfrecciare fuori da uno dei cortili lo spacciatore di prima con alle costole due figure minacciose. L’uomo che aveva seguito per tutto il pomeriggio zigzagava fra le auto e si stava dirigendo verso viale Molise, mentre le due ombre che aveva alle calcagna ringhiavano feroci. Lui correva cercando dove possibile di non dare nell’occhio, mentre il quartiere si voltava dall’altra parte stufo di quella rappresentazione grottesca. Arrivarono di volata mentre la 93 stava partendo. Il pusher l’aveva fatta franca per il momento. I due inseguitori imprecarono e senza darsi per vinti scomparvero in una via laterale. Lui invece era fermo e non sapeva come avrebbe potuto raggiungere il suo uomo. Un’auto uscì sgommando all’impazzata da una via perpendicolare al viale e superò l’angolo con le case rosso marcio in direzione di piazzale Cuoco. Erano i due tizi di prima. L’unico senza possibilità di riprenderli era lui. Dietro di sé sentì il rombo di un altro autobus, mandato come scorta per ovviare ai problemi del traffico. Vi salì e si sentì stanco. La pioggia continuava battente. A metà del ponte scorse l’auto degli inseguitori impantanata in un ingorgo che si arrotolava intorno a piazzale Bologna. Quando l’auto si fu liberata, l’autobus riuscì a recuperare un po’di terreno. Arrivato a Corvetto fece caso ad alcune persone che si infilavano in una macchina con il chiaro intento di passarci la notte. A destra iniziava il quartiere Mazzini, un blocco di case popolari che non ricordavano più i loro trascorsi operai. In lontananza, vide scendere dall’autobus il suo uomo. Lui scese per ultimo e corse dietro a quegli uomini fino a quando i due cani da caccia frenarono bruscamente tagliando la strada allo spacciatore. Il pestaggio iniziò subito. Nessuno dalle case sembrava fare una piega. Si nascose fra due auto per vedere come sarebbe andata a finire e rimase sorpreso dall’arrivo della madama. Due foto e lavoro finito.
Lo spazio pubblico, oggi, non è più luogo di incontro, scambio e crescita, viene abbandonato, violato da pubblicità invasive che aumentano l’esigenza di bisogni fittizi e soccombe alla politica del terrore e della sicurezza che conduce alla deriva sociale e culturale del Paese. Oggi più che mai l’arte e la cultura devono rimpadronirsi dell’Agorà, la piazza pubblica, per cercare un contatto con le persone, aiutarle a riappropriarsi del loro senso critico, scardinare le sicurezze e i mondi prefabbricati che invadono il cervello. In questo contesto, Omer e Nemo’s di The Bag Art Factory hanno presentato degli interventi di arte pubblica in concomitanza con il Fuori Salone2010. The Bag è una Factory artistica dinamica aperta a qualunque linguaggio estetico che attraverso la sua “produzione” vuole essere metro di analisi della società moderna e del territorio in cui si sviluppa. I lavori dei due artisti, accumunati dal titolo “Giudizio Universale” affrontano il tema in un contesto contemporaneo in cui i peccati capitali che tanto hanno ispirato i grandi autori del passato sono (cito dal comunicato): “Quasi delle barzellette davanti ai crimini e alla ingiustizie –legalizzate – che ci circondano”. Uno spunto per shakerare le coscienze e cercare di abbattere i moduli prestabiliti che generano mostruosità sociali. Il primo intervento di street art, “Angeli di strada”, - in via Bruni - presenta un angelo dalle cui mani volano dei soldi, pippati da un losco figuro. Iconografie classiche interagiscono con tematiche attuali e danno vita alla “La Creazione di Adamo”, in viale Jenner, in cui un dio-Maurizio Costanzo crea l’Homo-Televisivus emaciata evoluzione dell’Homo-Sapiens di cui abbiamo perso le tracce. In porta Genova, accanto al delirio mediatico del Fuori Salone, la madonna della pietà michelangiolesca tiene in braccio il figlio morto con al posto della testa uno schermo su cui è impresso il logo del Grande Fratello, un telecomando in una mano e nell’altra una bottiglia di Campari che cola sul pavimento, come sangue versato. In via Bovisasca, un papa benedicente, regge la flebo al “Cristo morto” del Mantegna, oramai impossibile da resuscitare! Soldi, lobotomia televisiva, droghe pesanti, cristi alcolizzati e morti nella Milano da bere…tematiche che accostate a immagini dell’arte storicizzata creano uno slittamento del senso, in cui la percezione rileva un contrasto tra un’iconografia digerita come “sicura” e la ri-lettura critica proposta da Omer e Nemo’s (coautori dei lavori). Piace pensare che l’arte pubblica possa far parte di quel percorso verso un risveglio delle coscienze. Vi invitiamo ad andare a vedere nei luoghi segnalati se ancora sono rimaste tracce delle installazioni e a passare da via Cevedale al 5, sede di The Bag.
Saranno passati tanti anni, ma non ci sono dubbi che la band londinese sia ancora in grado di scuotere il pubblico con il giusto mix di ska e follia. Curiosità: ‘One step beyond’ è stato uno dei pezzi più suonati dai carri della MayDay la scorsa settimana incontrando invariabilmente il responso entusiastico del pubblico precario ; una prova in più di come reggano la prova dei tempi. Qualità senza risparmio invece al Blue Note. Per chi può permettersi di strisciare la carta di credito a cuor più o meno leggero sabato tocca al quartetto Chris Potter Underground, guidato da uno dei più grandi sassofonisti in circolazione nel mondo, mentre da mercoledì 12 arriva addirittura il grande vecchio del piano McCoy Tyner.
Ingredienti: - 1 kg di riso (sarebbe proprio meglio carnaroli, arborio o comunque uno di quei prodotti a filiera abbastanza corta) - 1 kg di arselle (o vongolette piccine che già costano abbastanza) fresche. Se in vasetto/congelate considerate almeno 400 g - 3 mazzi di asparagi - 1 bella cipolla (oppure non ci stanno per nulla male anche 3 scalogni) - 2 spicchi d’aglio & 1 peperoncino abbastanza piccante - olio (extra vergine d’oliva ma sembra quasi inutile ricordarlo), sale, pepe qb - un bel bicchiere di vino bianco secco - un mazzetto consistente di prezzemolo - un po’ di maggiorana e di semi di finocchio o di anice e qualche bacca di ginepro
Questo giro recensisco per voi due cd prodotti in bassa tiratura, che potete ordinare tramite mail o, se siete fortunati, trovare nei peggiori squat della città.
ARSELLE innanzitutto le mettiamo in ammollo in acqua un po’ salata possibilmente per almeno un paio d’ore, meglio ancora sostituendo l’acqua un paio di volte per togliere la sabbia. alla fine di tutto ciò sciacquiamo ben bene sotto l’acqua corrente. ci dotiamo di una bella pentola NON di teflon e ci mettiamo dentro le arselle, gli spicchi d’aglio schiacciati, un po’ di prezzemolo, il peperoncino spezzetato ed un filo d’olio. a questo punto mettiamo tutto sul fuoco abbastanza vivace e lo teniamo coperto finchè tutte le vongole saranno aperte. quando la temperatura sarà accettabile avremo cura di separare la maggior parte dei molluschi dal loro guscio bivalve e di filtrare il liquido di cottura tenendolo da parte.
Scum from the sun - la caduta prima del distacco - Afe/Decimo pianeta (CD) La prima volta che ho sentito un pezzo degli Scum from the sun, collettivo brianzolo dedito alla sperimentazione sonora e video, pensavo di ascoltare uno dei primi pezzi dei Nine Inch Nails. Le atmosfere tenebrose, il suono freddo e “bianco”, l’incedere inesorabile e melanconico rimandano in effetti all’industrial post rockettaro di Trent Reznor e compagni. Finalmente ora, dopo aver assistito a due notevoli performance live, riesco ad ascoltare un cd loro per intero così da inquadrare meglio l’alchimia sonora che si cela dietro al progetto Scum from the sun. In questo interessante lavoro composto da quattro lunghe tracce si passa dalle atmosfere post rock/doom (“La caduta prima del distacco”) alle forse troppo ambiziose sperimentazioni ambientali (“Eris”), a tracce che vedrei bene come titoli di testa o coda per un film decisamente apocalittico (“Il Sorriso Della Regina Bianca e Il Sonno Del Re Rosso” e “Caput corvi”). Oggi che le polveri di silicio oscurano il cielo, non vedo colonna sonora più azzeccata. Per avere il cd, racchiuso in un orgininale box metallico: scumsounds@decimopianeta.com
ASPARAGI li puliamo bene tagliando i culetti fino a dove smettono di essere legnosi, poi li mettiamo a sbollentare dopo avere tolto le punte. appena si ammorbidiscono abbastanza li togliamo con una schiumarola e li tritiamo (o li sminuzziamo a coltello se non abbiamo a disposizione un ritrovato tecnologico utile per frullare). diamo una micro sbollentata anche alle punte, spegniamo l’acqua e teniamo pure lei da parte il risotto facciamo un soffritto in una gran bella pentola con le cipolle o gli scalogni e quando ci sembra dorato a puntino ci aggiungiamo gli asparagi tritati. quando soffritto e asparagi saranno abbastanza amalgamati mettiamo il riso e lo facciamo tostare per bene. poi sfumiamo con il bianco e lo facciamo assorbire. A questo punto aggiungiamo le spezie e bagniamo progressivamente con l’acqua delle arselle e degli asparagi fino a 3/4 della cottura del riso. ora è giunto il momento di mettere le arselle e basta solo aggiungere liquido fino a cottura completa, regolare sale e pepe e spargere una generosa spruzzata di prezzemolo tritato (magari nei singoli piatti che fa più scena)
Uxo - Uxo1 - Queenspectra (CD) Marco Acquaviva, aka Uxo, non è imparentato con John, il famoso producer americano! La precisazione è doverosa perché, a sentire quel che combina con strumenti vari e laptop potrebbe (illegittimamente) venirvi qualche sospetto. Il nostro Marco è invece un ex giovane milanese (classe 1975) che dopo un’adolescenza punkettara si è poi perso definitivamente nell’eresia elettronica. Uxo1, il suo ultimo lavoro, è un patchwork musicale di 48 minuti in cui 22 brevi tracks si legano con fluidità e naturalezza. Il sound è decisamente black e sta a metà strada tra Berlino e Kingston. Inserisco il cd e le vibre dub, wonky, r’n’b, hip hop, funky, cool, ambient risuonano dalle casse, invadono la mia bettola, mi smuovono le viscere e mi portano a spasso in un paesaggio genuino e senza fronzoli, perché Marco in fondo è un punk, brutto sporco e cattivo, mica un “intellettuale”. Echecazzo! Ordini e booking: queenspectra@hotmail.com
I meteorologi dicono che quest’autunno posticipato ci succhierà via quasi tutta la prima metà di maggio. Le nubi islandesi continuano a far sentire i loro effetti sui tour di queste settimane. E la primavera che non comincia ributta la città-parcheggio nelle sue cupe atmosfere autunnali. Sarebbe stata la settimana che girava intorno all’arrivo in italia di Daniel Johnston, e invece si scopre che le date sono annullate, nemmeno “rinviate”. E allora la settimana che si apre è degna del clima, povera nei numeri ma con occasioni succose tra le poche offerte. Si parte venerdì 7 all’Arci Bitte, quando la presentazione del nuovo cd di Pablito El Drito sarà accompagnata dall’aggressività dei live set di Manual Destruction e A034. Dubstep, IDM, 8-bit, dark ambient... ce n’è per tutti i gusti. Sabato 8 il passaggio da Soundmetak è più raccomandato del solito, perché l’”electrophysic sax solo” di Gianni Gebbia from Palermo non è roba che si incontri ogni settimana. Prima di lui tocca a Paul Beauchamp con un live di solo sintetizzatore. La serata è per i danarosi. Il Palasharp o come diavolo si chiama ora l’ex Palatrussardi offre un viaggio nel tempo a cura di Skiantos e soprattutto Madness: sfoderate scarpe comode da ballo e state attenti ai cattivi incontri (che di questi tempi a Milano non si sa mai..).
Il miglior veleno però arriva ovviamente in coda, con l’accoppiata Liars + Runi sul palco (quale?) del Magnolia di Segrate mercoledì 12, ovvero come può variare il funk tra NYC, Berlino e Cologno Monzese. Da una parte il trio americano (ma tedesco d’adozione) che ha saputo evolvere il proprio sound dal postpunk dei fulminanti dischi d’esordio a una dimensione quasi psichedelica. forse un po’ troppo ripetitiva; dall’altra parte i nostri eroi locali con il loro “stronzopop” immortalato nel nuovo, splendido, e quasi omonimo album. Ci sarà da divertirsi comunque. Pioggia, freddo e uggia permettendo.
BILANCIA - Garbo e sensibilità e garbo scandiranno le vostre giornate. Affetti e lavoro in perfetta sintonia con la vostra modulazione di frequenza. Innamoramenti e cambiamenti vari non vi distrarranno però dagli obiettivi per una buona qualità della vostra vita. ARIETE - Esigenze di tipo privato in vista. Ultimamente state trascurando un po’ gli affetti. Abbiatene invece particolare cura. Svago e relax mentale predominanti nei vostri pensieri. Potendo, coccolatevi facendo solo ciò che vi fa bene.
SCORPIONE - Preoccupazioni che saprete risolvere senza scomporvi più di tanto. Ormai siete navigati per genere di avversità. Qualche evento inaspettato e risolutivo scenderà come la manna dal cielo a rischiarare un periodo non proprio esaltante.
TORO - Vi rifugerete nel vostro clan, prestando attenzione alle esigenze di chi vi sta intorno. I malumori di genere lavorativo, stranamente, finiranno in secondo piano. Vi sentirete affettuosi e idealmente uniti alle persone amate. Che hanno tanto bisogno di voi.
SAGITTARIO - Rigurgiti di saccenteria vi renderanno impopolari tra gli amici. Sul fronte familiare performance ostinate e quanto irragionevoli. Sforzatevi di essere più tolleranti con chi vi vuol bene. Ma soprattutto di comunicare con voi stessi.
GEMELLI - Svolazzerete, com’è vostro solito, da un interesse all’altro. Impegni lavorativi portati avanti senza pesantezza, contatti sociali ricchi di simpatia e comunicativa. Parlantina sciolta, anche per mettere qualche puntino sulle i. Con una certa verve però.
CAPRICORNO - Ripiegate in voi stessi, covate i vostri timori in gran segreto, pensando che condividerli sia debolezza: cazzata! Qualcuno vi vuole un po’ più aperti, empatici. E senza quelle riserve che spesso vi limitano.
CANCRO - Il sostegno di Giove vi dà fiducia nelle scelte. Potete affrontare qualsiasi rottura di palle senza perdere la pazienza. Comportamenti trasparenti e nessuna no ambiguità testimonieranno la stima che riscuotete nel vostro team e col partner.
ACQUARIO - Di pessimo umore occhio a non prendervela con chi non c’entra niente. Recalcitrate, ritenendovi vittime di chissà quali ingiustizie. Calmatevi e se è il caso isolatevi, almeno eviterete di fare altri danni. Il cuore è latitante. E anche gli amici.
LEONE - Ben attrezzati da Venere e Marte stimolanti riscuotete i successi che meritate. Seducenti e fascinosi non ce n’è per nessuno. Alcune riprese sentimentali vi consentiranno di auto-celebrarvi con scioltezza e levità. Ego appagato.
PESCI - Vorreste essere già in vacanza , invece, vi tocca occuparvi delle solite scocciature di tutti mi giorni. Portate pazienza. Pensate che avete superato momenti peggiori. E comunque l’amore vi accoglie, cullandovi con tenerezza.
VERGINE - Mercurio vi regala una lucida e puntigliosa disamina del circostante. Non esagerate con analisi e verifiche. Arrovellarvi sempre e solo sullo stesso argomento potrebbero logorarvi un minimo. Mollate il colpo prima di scoppiare dallo stress.
Venere 7
Sabbath 8
Domingo 9
Lune 10
Marte 11
Mercole 12
Giove 13
Alba
Mercato @Pagano
Mercato @PortaNuova
Antiquari @LidoMilano
Mercato @Cesariano
Mercato @Gratosoglio Sud
Mercato @VleMonza
Mercato @Catalafimi
10:00
Telefilm Festival @Apollo SpazioCinema
Piante & Fiori @OrtoTrotter
Mercato Agricolo @Cesano Boscone
Elezioni per CNSU @UniMi
La Forza delle Idee @UniBicocca
11:00
Questioni sul corpo @UniBicocca
David Hernandez @DiD-Studio
Pulci @Buccinasco
12:00
Pranzo @Mado
Primavera di Jenin @Bloom
Pranzo @Massawa
Pranzo @CasaLoca
13:00
Break in Jazz @PzzaMercanti
Pranzo @Tettuccio
Pranzo @Jubin
Interplay @PzzaMercanti
Opera @PzzaMercanti
14:00
Docucity @PoloUniMi (SestoSG)
Santo & Stecco @Sinigallia
Branz @Frida
Corteo Barattolo @Pavia
Battle Band @ExMacello (Monza)
Ambulatorio Medico Popolare @ViaTransiti
Cruising @Flexo
In Full Bloom @Kaleidoscope
Green Zone @CinemaMexico
16:00
Ciclofficina RuotaLibera @ViaCeloria2
World Press Photo @CarlaSozzani
Silent Rave @Cordusio
Sciopero Scrutini
Assemblea
Colors Tattoo @VialeCorsica
Proiezioni Future @AreaOdeon
Tour @LibreriaBabele
17:00
Tom Porta @ViaCorrenti14
Ciclofficina Stecca @DeCastillia
Veleni che Respiriamo @AMP
Doposcuola Popolare @Micene
Erasmus Conservatory @UniBicocca
Don Durito @Cantiere
Sportello Legale @AMP
18:00
Ape @Triennale
Milano Mixtape @ARCI-Bitte
Alexandr Nevskj @SpazioOberdan
Tour @Supergulp!
Consultorio @AMP
Micropop @AngelArt Gallery
B/N @Luciana Malaton
19:00
Milano Mixtape @ARCI-Bellezza
Beauchamp + Gebbia @SoundMetak
Ape @CompanyClub
Polpetta @Rattazzo
Cineape @PoliBovisa
Festa dell’Acqua @ScPolitiche
Sosaku Miyazaki @RojoArtSpace
20:00
Officina Italia @Palazzina Liberty
Happy Bday 2 U @ARCI-Scighera
Registi sul divano @ARCI-Scighera
Cesare Basile @ARCI-Bellezza
Il Venditore di Sigari @TeatroLitta
Liquid Soft @HangarBicocca
Lo Sguardo Pericoloso @La Scheggia
21:00
Black Rebel Motorcycle Club @Magazzini
Madness + Skiantos @Palasharp
La Molli @SosFornace
Hic Sunt Leones @ARCI Simonetta
Open Mic @ARCI Metissage
Black Eyed Peas @Forum Assago
Mark Lanegan @Magazzini
22:00
Lasciare andare @Torchiera
Alkaline Trio @Magazzini
Il BauBau @ARCI-Blob
The Chap @ARCI-Casa139
And So I Watch U @ARCI-Magnolia
Storie di Scrittori e Anarchie @ARCI-Scighera
Lou Rhodes @Salumeria dellaMusica
23:00
Dome La Muerte @COX18
Hardcore Nite @Vittoria
Calamari @ARCI-Magnolia
The Infarto @VillaVegan
Freaky Tuesday @Surfer’s Den
Liars + R.U.N.I. @ARCI-Magnolia
Jamaica Original Sound @Leoncavallo
00:00
Motel Connection @Leoncavallo
Roboterie @SosFornace
Mondane senza pretese @Amigdala
Buffet Underground @Moonshine
Midnite @Birrificio Lambrate
Mercoleweed @Molotov
Orgia Party @X-Club
Notte
Manual Destruction @ARCI-Bitte
ElectroSaturday @Sottomarino
Match à Paris @Plastic
Messa Nera @CasaLaRussa
Rock it Hard @Rocket
Whatever! @Atomic
Beat Box Party @Tunnel
15:00
Asportazione Giudizio
@FatebeneFratelli
Pranzo @Govinda
Pizza @DaMartino
Bass On Top @PzzaMercanti
@UnioneFemministe