Le Case e i Rom a cura del SICET
Cifre nomadi. Parlare di numeri e di censimenti sui rom è sempre difficile e lo è a maggior ragione a Milano, dove ci sono stati quasi cinquanta sgomberi di accampamenti più o meno abusivi in pochi mesi. Il dato di tre-quattromila persone che risiedono sul territorio è dunque da ritenersi variabile e in continuo mutamento. Quel che è certo, invece, è che quasi tutte le famiglie vivono in condizioni abitative disastrose, in baracche, tende, roulotte e nel migliore dei casi container. Il nomadismo non è una scelta ma una costrizione e la precarietà della dimora è la conseguenza della caccia al rom scatenata dalle istituzioni, esempio lampante di politica escludente. La criminalizzazione di un’etnia si sovrappone, nelle metropoli globalizzate, alla criminalizzazione della povertà in generale ed è perseguita con strumenti di legge e di repressione. Gli sgomberi dei campi vengono eseguiti senza fornire la benché minima soluzione alternativa alla famiglie, proprio come avviene nella maggior parte dei casi si sfratti per morosità. L’emergenza prodotta dopo uno sgombero si somma, dunque, invariabilmente alla drammatica emergenza abitativa di Milano. Le ventimila famiglie in graduatoria per avere una casa popolare sono, infatti, solo la punta visibile di un iceberg che ha come dato complessivo riconosciuto quello di un fabbisogno in città di oltre 60.000 alloggi a canoni sociali e sostenibili. Una graduatoria che, oltre a escludere chi ha meno di cinque anni di residenza o chi ha occupato per necessità, richiede anni di permanenza in condizioni di sovraffollamento e coabitazione. L’obbligo poi di avere un lavoro in regola per i cittadini stranieri, in un momento di generale crisi occupazionale, impedisce a una fetta consistente di popolazione, spesso la più bisognosa, di accedere al patrimonio pubblico. E’ in questo contesto che si inserisce la questione dei Rom. La gestione dei campi, sia regolari che abusivi, è stata trattata solo a livello di ordine pubblico. A comandare sono stati sempre gli interessi della rendita, su cui la politica si appiattisce attraverso piani di evacuazione sempre più radicali. La stessa vicenda dell’Expo, contrabbandata come un’opportunità per la città, rischia di subordinare ancora una volta le scelte urbanistiche agli interessi economici, ridefinendo gerarchicamente e ancora una volta al rialzo i prezzi immobiliari. La vicenda del campo comunale di via Triboniano, sito appunto in prossimità delle aree interessate dall’Expo, è la dimostrazione più lampante di queste politiche. Gestito fino a qualche mese fa dalla Casa della carità di Don Colmegna, prima di essere abbandonato al suo destino, cioè lo sgombero, vive queste ore in uno stato di anarchia e abbandono. Alle oltre cento famiglie residenti era stata proposta una deportazione “assistita” con incentivi economici per favorire il ritorno ai paesi d’origine, mentre agli altri era stata promessa una sistemazione in 25 alloggi pubblici lasciati in comodato alla Casa della Carità. Tutti gli abitanti, con l’aiuto dei sindacati degli inquilini, avevano allora partecipato ai bandi di concorso per le case popolari e tutti avevano i requisiti per l’assegnazione ma l’opposizione del Consiglio comunale, che ha rispolverato il mai sopito rancore razzista contro gli zingari, ha annullato con un colpo di mano la scorciatoia dei 25 alloggi in comodato. Che su cinquemila alloggi sfitti nel patrimonio pubblico non se ne potessero assegnare 25 ai rom è difficile da credere. La posta in gioco è evidentemente altra. Sulla pelle dei rom si saggia la resistenza della fascia più debole della popolazione, con continue riduzioni di welfare e servizi. Il taglio della spesa pubblica inizia proprio dai cittadini più poveri e indifesi e non può che passare da una gestione della forza pubblica come strumento di controllo e repressione. La negazione del diritto alla casa come quello alla salute, all’istruzione, al lavoro viene imposta anche attraverso la sospensione dei diritti costituzionali, in uno stato di continua emergenza. La questione abitativa dei rom non è quindi un elemento marginale da trattare come il problema di un’infima minoranza ma uno scontro sul riconoscimento e la difesa dei nostri diritti di cittadinanza; diritti che devono essere di tutti e non solo di un ceto privilegiato legato agli interessi della rendita.
Free Festival dei bambini e delle bambine: Scuola Bene Comune.
Rom Story
Triboniano: l’infinita storia delle promesse tradite dal Comune, Giorgio Salvetti Qualche anno fa don Virginio Colmegna della Casa della Carità, in accordo con Palazzo Marino, accettò di far firmare ai rom del campo di via Triboniano un patto di legalità. Un tentativo di divisione tra zingari “buoni” che rigano dritto e zingari “cattivi” che non si mettono in riga. I primi avrebbero dovuto essere premiati, gli altri no. Quel patto ha ricevuto forti critiche perché stabiliva una specie di legislazione speciale su base etnica. Una critica più che legittima sul piano di principio cui però la Casa della Carità rispondeva con i fatti: l’importante doveva essere il risultato, ovvero garantire a queste persone una vita migliore e possibilmente il superamento della logica dei campi e degli sgomberi infiniti. Tutti si aspettavano che a non rispettare quel patto sarebbero stati i rom, e invece - chi l’avrebbe detto - fuori dalla legalità c’è finito Palazzo Marino e il sindaco Letizia Moratti. Via Triboniano, il più grande campo regolare della città, in cui vivono in modo disumano 600 rom, deve esser sgomberato per lasciare posto alla strada che collegherà la città all’area destinata a ospitare Expo2015. Per questo il Comune e l’assessore Moioli avevano stipulato un accordo con i rom e con la Casa della Carità che prevedeva anche l’assegnazione di 25 case popolari dell’Aler. Ma siccome è iniziata la campagna elettorale per le comunali è partita la solita campagna xenofoba. La Lega ha tuonato, e il ministro Maroni ha ordinato: “Mai case popolari agli zingari” (e
donna Letizia ha fatto la riverenza). A difendere i diritti di queste persone è rimasta la Curia e il cardinale Tettamanzi, mentre la Casa della Carità si è detta pronta ad andare per vie legali. Già 11 alloggi sono stati assegnati e persino il prefetto di Milano, Gian Valerio Lombardi, ha ammesso che non ci si può rimangiare gli accordi presi. In una città dove ci sono 40 mila persone in attesa di una casa popolare, lo slogan “mai case ai rom” fa prendere voti. “Che se li prenda in casa il cardinale”, ha rilanciato De Corato il quale ogni giorno comanda nuovi sgomberi e si vanta per averne fatti 355 dal 2007 ad oggi. Ma proviamo a lasciare da parte la propaganda leghista, e anche i nobili principi antirazzisti, e persino la legge che impone il rispetto di patti e contratti. Provate a immaginare che per far passare una strada decidessero di abbattere il vostro palazzo. Alcuni condomini verrebbero mandati via con quattro soldi, voi siete tra i pochi fortunati che invece andranno a vivere in case popolari riservate a casi di emergenza. La vostra è un’emergenza. Accettate, e firmate il contratto. A un mese dalla demolizione della vostra casa, però, vi dicono che quei contratti sono carta straccia. Che fareste? Per i rom ci sono due aggravanti, loro non vivono in un palazzo ma in container fatiscenti. E non gli viene data la casa cui hanno diritto solo perché sono rom. Da che parte state?
Il coordinamento delle scuole della Zona 5, insieme all’Archivio Primo Moroni, alla Calusca e al centro sociale Cox18, organizzano la seconda edizione del “Free Festival dei bambini e delle bambine - Scuola bene comune”. Si tratta di una fitta serie di incontri, durante tutta questa settimana, per bambini e grandi a supporto del lavoro dei comitati e per una riflessione più generale. I consistenti tagli alle risorse hanno infatti imposto a lavoratori della scuola pubblica ed alla sua utenza una riflessione più generale sul senso di fare scuola. La fatica a far quadrare gli orari, lo sforzo di garantire presenze e quando possibile compresenze, la necessità di ricorrere agli aiuti economici e materiali delle famiglie propone più di un interrogativo sul senso del fare scuola. Che senso ha, infatti, una scuola che fa sempre più fatica ad aiutare i più deboli, che fatica a produrre una positiva interazione tra diversi, che non riesce a calarsi tra la famiglia e il territorio per aiutare la crescita dei ragazzi in una città come Milano dove gli spazi comuni sono pochi e spesso resi più inaccessibili dalle strade trafficate e da vite congestionate? Ha senso limitare la funzione della scuola all’erogazione di un “servizio” fatto di lezioni frontali e misurato sulla base di parametri di apprendimento astratti o piuttosto la scuola dovrebbe insistere nel voler difendere la sua funzione di supporto all’integrazione sociale che è una misura ben più complessa che non il “semplice” aumento delle conoscenze? Ha senso chiedere denaro per far funzionare i progetti scolastici e se lo ha quali progetti è il caso di privilegiare? Quando la coperta si fa corta da qualche parte bisogna tagliare, e di fronte ad un interlocutore che si è dimostrato del tutto indisponibile all’ascolto delle esigenze di utenti, lavoratori, dirigenti ed esperti, la coperta si è inevitabilmente fatta corta. Per questa ragione le scuole della Zona 5 affiancano alla continua rivendicazione di quelle risorse che ogni anno vengono progressivamente ridotte, un lavoro di riflessione più generale sul senso di fare scuola. Sulla scuola che vorremmo. Programma: http://www.inventati.org/apm/ scuola/festa2010/
DISPACCI DAL COMUNE by Vulturnia Fondo anticrisi C’è tempo fino al 25 ottobre per presentare domanda al Fondo Anticrisi del Comune di Milano: 5 milioni di euro messi a disposizione dei cittadini che dimostrano di aver perso il posto di lavoro a partire dal 2009. Requisito fondamentale è il certificato ISEE, un documento che ogni centro di assistenza fiscale deve compilare gratuitamente su richiesta dei cittadini. Altre info su www.comune.milano.it cliccando ‘Fondo anticrisi’ nello spazio vuoto di ‘cerca’ sulla prima pagina del sito o mandando una mail di richiesta a liberamilano@libero.it.
Tra i due litiganti il terzo gode… ovvero il ritorno di Turi Ligresti “Expo: abbiano trovato la soluzione!” Ci avevate creduto? Peccato. Forte dei nuovi superpoteri di Commissario per Expo, Wonder Letizia pensava di averla spuntata su San Formigoni nella partita legata alle aree del sito di Expo. Era un ritorno alle origini quello che sognava il sindaco, all’Accordo di Programma del 2007, prima dell’assegnazione dell’evento a Milano. Prevedeva, per i proprietari privati delle aree su cui sorgeranno le opere per Expo, la trasformazione delle stesse da agricole a edificabili a fronte del prestito non oneroso al Comune di Milano e la cessione di una parte a fine rassegna per aree verdi. L’accordo, però, è durato il tempo di un Tg, perché Formigoni ha già fatto capire di non condividere e di adeguarsi ancor meno volentieri, preferendo la sua società ad hoc e l’acquisto dei terreni dai proprietari (Fiera e Cabassi). Dove sta il trucco? Apparentemente da nessuna parte, o meglio per noi comuni mortali, è il classico passaggio dalla padella alla brace: da un lato lo sfacciato regalo che la Moratti fa ai proprietari privati delle aree, liberi tra sei anni di fare quello che vogliono (grazie al PGT, alla perequazione, alla densificazione, insomma al trionfo dei diritti edificatori e al governo del territorio affidato alle immobiliari), con profitti enormi sul valore delle aree. Dall’altro Formigoni, che non avversa tanto lo sbocco finale in sé, magari con la bufala dell’housing sociale che piace tanto anche al PD, ma vuole semmai decidere chi e quanto può partecipare alla divisione della torta. In realtà il trucco c’è, e sta nell’intreccio inscindibile tra il PGT di Milano e i destini delle aree Expo. Sarà infatti il PGT a risolvere la partita degli scontenti, la camera di compensazione dove far banchettare chi resterà escluso dal business sui terreni del dopo Expo. E chi è che si è già seduto, ovviamente a capotavola? Don Turi Ligresti, l’uomo buono per tutte le stagioni, forte del legame di ferro con La Russa e bisognoso di nuova linfa per le sue società. C’è poco da stupirsi, quindi, per l’annuncio dell’assessore Masseroli, fatto proprio nei giorni decisivi per la vicenda delle aree Expo, che in zona StephensonVialba sorgerà il quartiere del futuro, cinquanta grattacieli a 300 mt da Expo su aree, guarda caso, di Ligresti.
Comunali: dieta forzata
Formazione Truffa
Il business della formazione: 40M nelle tasche di tutti tranne che dei precari La crisi economica che sta colpendo Milanocity non è sempre una tragedia. C’è chi, nell’ombra, zitto zitto si frega le mani. Anche ora, mentre aumentano i disoccupati e la precarietà azzanna ormai la maggioranza dei cittadini del milanese. Sono gli ‘Enti di Formazione’ una realtà poco conosciuta che si divide una torta da ben 45,8 milioni di euro nella sola Lombardia. Fondi europei, comunali, provinciali, regionali finiscono nei loro progetti/associazioni/società/consorzi che come denunciato dall’ultimo rapporto Isfol: ‘Creano una sovrastruttura sganciata dalle esigenze reali del mercato del lavoro’. Non stiamo parlando di corsi per disabili o per minori in difficoltà ma di formazione per la maggioranza di inoccupati, disoccupati e precari di Milano. Armando Rinaldi, presidente dell’Atdal, un’associazione che tutela i diritti di disoccupati e precari ultra 40enni è più esplicito: ‘La media dei disoccupati lombardi ha più ore di formazione che di lavoro vero’. In pratica cercano lavoro e gli vengono offerti corsi e rimborsi spese. Gli unici che riescono a trovare un’occupazione, spesso, è grazie a conoscenze personali. Su 10mila euro di fondi pubblici 3 mila vanno a disoccupati e precari mentre 7mila vengono ‘filtrati’ da chi organizza e gestisce i corsi. I dati sembrano dar ragione ai critici. Nonostante l’entità dei fondi solo 168 allievi in tutta la Regione sono riusciti a realizzare una micro-impresa, ancora più sconfortanti i numeri di chi ha trovato un’occupazione vera’. Intanto, il prossimo novembre si apre a Roma il processo che vede coinvolto Giorgio Simeoni, assessore PDL alla scuola, accusato di aver intascato una tangente per corsi di formazione inesistenti. Le inchieste riguardano entrambi gli schieramenti politici in Liguria (Giancarlo Cassini e Vito Vattuone del PD) Veneto, Puglia, Campania e Sicilia. E dopo le denunce e le indagini delle Procure di mezza Italia che hanno visto l’incriminazione di ‘pezzi grossi’ della formazione, come il presidente dell’Enaip Sarda Tonino Tidu, anche a Milano la puzza inizia a farsi pesante. Le richieste d’intervento arrivate allo Sportello San Precario, gestito dai gruppi che organizzano la May day Parade, parlano di una crescente precarizzazione di formatori e tutor, gli insegnanti dei corsi, costretti ad aprirsi la
partita iva per lavorare. In alcuni casi poi, formatrici in gravidanza, hanno visto il proprio contratto a tempo determinato non rinnovato dopo il parto. Nulla di illegale certo, ma quando a non rinnovare è un sindacato che dovrebbe difenderti, l’odore di marcio inizia a diventare insopportabile. Senza parlare di firme false sui registri, di educatori schifati, di direttori di progetto e coordinatori interessati più al ‘found raising (leggi i soldi) piuttosto che di pedagogia, budget al posto di ‘vero’ insegnamento. Nessuno sporge denuncia, guai a metterci la faccia. I precari lo sanno. Chi parla non lavora più visti i meccanismi che stanno alla base di accreditamenti e progetti, corsi di formazione e iniziative di riqualificazione lavorativa. Il paradosso è che in Lombardia, e a Milano in particolare, i corsi vengono gestiti soprattutto da enti legati ai sindacati. Tra i più attivi spicca lo Ial della Cisl, una delle realtà che gestisce i corsi più importanti insieme a Obiettivo Lavoro e Enaip Nel 2009 solo di Fondi Sociali Europei lo Ial ha incassato ben 726mila euro senza contare gli ulteriori finanziamenti erogati da Comune, Provincia e regione Lombardia. Tra le società accreditate spiccano le ex agenzie interinali, come la Quanta risorse umane spa, mentre la Provincia garantisce 380mila euro a progetto per il ‘Servizio Crisi’, dedicato alle aziende in difficoltà. Il bilancio provinciale nel 2009 ha visto lo stanziamento di 4,3 milioni di euro in politiche di welfare, e di 29 milioni di euro in politiche di welfare community. I risultati ottenuti da un così ingente dispiegamento di forze e fondi sono insufficienti. E’ sotto gli occhi di tutti che garantiscono ammortizzatori sociali a un numero troppo esiguo di cittadini in difficoltà, senza dare continuità di reddito alla totalità dei precari Milanesi. Oggi solo il 25% delle persone che perdono il lavoro riesce a ottenere, a stento, i soldi della Cassa Integrazione Ordinaria e in deroga. Il panorama e le cifre parlano chiaro: non è la mancanza di soldi che impedisce l’erogazione di un reddito minimo ai precari ma una precisa volontà politica che vede forti interessi trasversali. Una constatazione oggettiva da tenere ben presente in tutti i percorsi di rivendicazione di continuità di reddito: come può opporsi all’instabilità lavorativa chi si finanzia con la formazione dei precari?
Nonostante il piglio da maestra severa assunto dal Sindaco davanti alle telecamere del TG3, i rischi del taglio mensa sono seri. La tariffa di 6.60 euro ferma da più di 5 anni non basta più a pagare la pappa ai 15mila comunali, che contribuiscono quotidianamente alla somma con 2,15 euro. In molti ristoranti e bar convenzionati, a partire dal 1 gennaio 2011, non sarà più garantito il pasto completo ma un solo piatto a scelta tra il primo e il secondo.–– Elezioni RSU a novembre Il prossimo mese di novembre si terranno le elezioni dei rappresentanti sindacali del Comune di Milano. Oltre 70 colleghi verranno eletti nell’importante carica che ha il compito di rappresentare i lavoratori davanti all’amministrazione. Saranno in carica per 5 anni, anche se nell’ultimo quinquennio la loro attività è stata fortemente inficiata da ritardi e divisioni endemiche. Si ricorda che CGIL-CISL e UIL partono da un 33% di voti garantiti automaticamente da una legge sulle rappresentanze sindacali unitarie. Fiera Milano Spa: rob de matt! Prima erano solo 85 i dipendenti di Fiera Milano messi in cassa integrazione in deroga dall’azienda controllata da Regione, Provincia e Comune di Milano. A gennaio, secondo indiscrezioni certe, i quasi esuberi dovrebbero salire a 150, circa la metà dell’intera azienda. Ma come? La Fiera non ha firmato un’intesa per ospitare a Rho parte dei convegni di Expo 2015? E l’Expo non doveva portare migliaia di posti di lavoro? I nostri saggi nonni avrebbero detto: “Rob de matt!” Notai Gratis per tutti Non capita tutti i giorni, specie per noi moderni Renzo della plebe meneghina, di poter parlare gratuitamente per una mezz’ora con un azzeccagarbugli. Il potente Consiglio Notarile di Milano, conscio del drastico calo delle consulenze, prova la carta della promozione gratuita. Dal 27 ottobre sono decine gli studi notarili che ricevono la ‘marmaglia’ per consigli, delucidazioni, illuminazioni. Guarda sul sito www.comune.milano.it lo studio più vicino a casa che aderisce all’iniziativa. Trasparenza sì ma… quanto ci costi! Da due settimane il Consiglio Comunale ha votato il nuovo Regolamento per l’accesso agli atti, leggi documenti, planimetrie, atti conservati negli archivi. Va bene la procedura semplificata, ottima la richiesta verbale ma se conosci gli estremi del documento. Prima pagavi 18 euro oggi 25. Le tariffe si impennano se non si conoscono gli estremi, leggi numero di protocollo del documento o i suoi dati principali: in questo caso il municipio si ciuccia 75 neuri.
BICICRAZIA di Elisatron
Perché hai paura? Non sarà mica per quel piccolo topo che si appoggia sulle mie dita, spero. Ah, gli occhialini onion goggles ricordano l’uomo-mascherato. Ma fendono l’aria da dio. Sarà forse che non è Carnevale. Comunque sia, non c’è niente da ridere. E ho capito che non ti fidi, signor pedone. Mi temi. Eppure le conosco bene le ciclo-regole segrete del marciapiede: veloci di notte, lenti di giorno. La sera, dipende. Guarda viale Montagrappa per esempio. Ai lati, macchine in sosta e pavé. In mezzo, un asfalto liscio che ti attira a sé: “Ehi, tu che ti muovi senza appoggiare i piedi per terra. Raggiungimi”. Una goduria per le ruote delle bici. Ma il campo è invaso da rotaie nemiche, che si stagliano sulla via come rette parallele. Certo che puoi sfidarle. Basta piazzarsi con coraggio esattamente a metà strada, ricordando le parole dello psycoartista Guarnaccia: “dare le spalle alle automobili è un vero atto di fede affrontato dal nostro guerriero interiore”. Ci son giorni, però, che non te la senti di sfidare il mondo. E allora, forse, meglio l’odio di qualche pedone, piuttosto che farsi stirare da un autobabbione. Che poi, tornando a Montegrappa, metti anche che il ciclista audace decidesse di accettare il rischio d’imbattersi nella temutissima portiera-che-si-spalanca-all’improvviso; dovrebbe comunque pedalare sul pavé. Non ha senso. Sogno i sellini da bicicletta fatti di arcobaleni e imbottiti di nuvole di Jerome Klapka Jerome e salgo sul marciapiede, spesso vuoto di sera. Ma questo ha un’infinità di sali-scendi che snervano. Semaforo tra Montesanto e Galileo Galilei: meglio rispettarlo, anche se sembra non passi nessuno. Spuntano macchine da ogni dove. Sul serio, è pericolosissimo. Piazza Repubblica, ti giro intorno ed entro in via Pisani. Grande, imponente, se pur breve. E mi viene in mente l’immensa e infinita Karl-Marx-Allee berlinese. Le pedalate sulle sue lunghe piste ciclabili. Tutta Berlino è ciclabile. Dopo esserci stata, ho scoperto che in bici si può anche andare a ritmi sostenuti. È che a Smogville non succede mai, a meno che non sia notte. Ma ho trovato un marciapiede in cui si può andare veloci anche di giorno. Non si vede anima viva e poi, più in là, c’è anche uno spazio con qualche albero, piccole piazzole e tante panchine. Te le ricordi le panchine? Quei divanetti di legno verde scuro. Non se ne vedono più in giro. Comunque, vuoi sapere dov’è questo posto fantastico, dove pedalare a occhi chiusi e far finta di essere a Berlino? Ebbene, è la strada che costeggia il cimitero. Bergson diceva che ridiamo davanti a quello che ci sembra rigido e poco elastico. Osservo questa città, le macchine veloci, il muro che circonda il cimitero. E scoppio a ridere.
Rivolta a Stoccarda
L’intera città insorge contro la demolizione della stazione e vince, Diana Santini La sospensione parziale del progetto è stata annunciata la scorsa settimana dalle autorità del Land, il BadenWuerttemberg. La Cancelliera tedesca Angela Merkel ha ora nominato un mediatore per dialogare con i cittadini ma, a questo punto, sembra che ogni tentativo di conciliazione sia diventato impossibile. Stiamo parlando del controverso progetto Stuttgart 21, la mega infrastruttura che dovrebbe andare a sostituire la vecchia stazione della città di Stoccarda: oltre il 50% dei cittadini manifesta da settimane contro il progetto. I comitati avevano anche occupato il parco del castello nel centro della città, il Mittlerer Schlossgarten, che verrà sacrificato a Stoccarda 21, incatenandosi agli alberi. Per sgomberarli la polizia ha usato nella notte di giovedì scorso cannoni ad acqua, spray al pepe e manganelli: risultato, centinaia di feriti, tra cui soprattutto scolari e pensionati. Tra questi c’è Dietrich Wagner, un ingegnere in pensione di 66 anni che ha subito lesioni agli occhi durante gli scontri: le sue palpebre sono lacerate e sembra che le ferite abbiano addirittura raggiunto la retina. I medici hanno già appurato che il cristallino è andato distrutto e, in futuro, dovrà essere sostituito con uno artificiale. Il giorno successivo allo sgombero 100 mila persone hanno manifestato pacificamente per l’ennesima volta davanti alla stazione di Stoccarda. E la stessa cancelliera tedesca Angela Merkel ha dovuto lanciare un appello alla calma. I politici stanno tentando in tutti i modi di convincere i loro cittadini della convenienza di Stoccarda 21, ma la spaccatura sembra destinata a non rimarginarsi: le immagini del pensionato sanguinante, e di molti come lui, hanno procurato imbarazzo e offesa anche a chi prima non si interessava della questione. “Attenzione, confine
tedesco-tedesco tra popolo e politici” avverte un cartellone appeso sopra i sigilli della polizia presso il cantiere nel cuore dello Schlossgarten. Stoccarda 21 prevede la costruzione da zero di un’enorme stazione iperfuturistica nel parco di Mittlerer Schlossgarten, il cuore verde di Stoccarda. Oltre al consueto edificio esterno, la stazione dovrebbe svilupparsi soprattutto nel sottosuolo: i binari principali del raccordo attuale verranno spostati sottoterra e, secondo le rosee prospettive di politici e ingegneri, lo spazio risparmiato alla superficie permetterà uno sviluppo più armonico della città attualmente divisa dalle vie ferrate. Dalla nuova stazione partirà inoltre una nuova linea metropolitana simile alla S-Bahn di Berlino, un treno di superficie che collegherà la città direttamente all’aeroporto. Da un punto di vista internazionale, la stazione servirà ad agevolare la comunicazione ferroviaria tra Parigi e Budapest. Ma i cittadini di Stoccarda non sembrano aver accolto con entusiasmo l’idea e si oppongono con tutte le loro forze a un progetto a loro dire inutile e certamente costoso, circa 10 milioni di euro. Stoccarda 21 costituirebbe, innanzitutto, uno shock ecologico enorme per la città. Per far spazio alla stazione si dovrà cementare buona parte dello Schlossgarten e si renderà necessario l’abbattimento di centinaia di vecchissimi alberi al suo interno. Alcuni studi dimostrano perfino l’esistenza di insicurezze a livello tecnico, che rendererebbero pericolosa la costruzione del tunnel di circa 60 Km. Senza contare l’inquinamento che comporterebbero gli innumerevoli anni di cantiere previsti: i lavori per la costruzione della stazione lascerebbero tracce di deterioramento indelebili sulla parte di verde rimanente e nella vita quotidiana dei cittadini.
Hard core, nocciolo duro. Con le stagioni miti sono capaci tutti di fare i giardinieri in città. Ma adesso che l’inverno è alle porte? Le piante sono creature delicate. E cosa sta nel cuore profondo del giardiniere di città? Risposta: la bicicletta, mezzo leggero e flessibile e elemento fondamentale dell’immaginario dell’ecologista urbano, dotabile di carrellino per il trasporto di piante. Ecco perché, pensando a come proteggere le nuove semine invernali di insalate e spinaci e pensando ai materiali da recuperare per fare un tunnel coperto per mantenere temperatura e umidità, qui ai Giardini del sole ci è venuta un’idea: al posto degli archetti, per sostenere la plastica, mettiamo vecchi cerchioni. Detto e fatto. Siamo passati alla ciclofficina di agraria, dove siamo stati accolti come salvatori: i cerchioni sono materiale in eccesso, da smaltire, formano orrende cataste. Nelle aiuole i cerchioni sono stati interrati per circa un terzo, e messi a una distanza di 40 centimetri l’uno dall’altro. A poco a poco è nata così la prima serra ciclica ad alto grado di serendipità, procedimento usato per risolvere questioni sulle quali nessuno, prima, aveva le idee chiare. Questo è il diario di un work in progress. Alle domande si risponde con le mani. Il telo in caso di pioggia violenta può crollare? Proviamo. Abbiamo fretta. Di notte le temperature scendono ormai spesso sotto i 10 gradi, il limite oltre il quale la primavera si arresta. A quanto pare siamo salvi. In cima agli archetti vengono fissati dei pali di bambù e legno. Anche questo è materiale di recupero, risorse, per così dire, accumulate sotto il portico dell’ex fattoria. Poi viene stesa la plastica. Manco a dirlo anche questa è stata recuperata, a fornircela è stata la scuola rinnovata Pizzigoni. I bordi ricadono abbondanti sui lati. E adesso? Interrare o fermare a terra con le pietre? Si decide di avvolgere il telo su quattro pali di legno a sezione rettangolare: un sistema reversibile, che consentirà di poter aprire comodamente la serra quando sarà necessario lavorare sulle piantine, o semplicemente sbirciare come se la passano.
NEUROPA di Alex Foti
Si parla molto di lavoro, ma poco di lavoratori e lavoratrici. E non importa se stai in fabbrica o nel centro commerciale, in ufficio o nel call center e nemmeno se sei precario, fisso o cassintegrato, perché comunque sei invisibile. A meno che, ovviamente, tu non salga su una gru, non tiri un uovo contro una sede Cisl o non vada ad ingrossare le statistiche sugli incidenti sul lavoro, perché in quel caso ti viene concessa una fugace apparizione al Tg. Ne sanno qualcosa i dipendenti della Wagner Colora di Gessate e Burago Molgora, che dal 6 ottobre scorso occupano l’azienda, in mezzo al più totale disinteressamento mediatico, contro 37 licenziamenti. Eppure, la loro vicenda avrebbe tutti i requisiti per finire su qualche giornale che conta. La Wagner Colora, azienda che produce impianti per la verniciatura, è una multinazionale tedesca che ha deciso di delocalizzare, non in Cina, ma in Svizzera. E poi ci sarebbe pure l’infame ricatto della proprietà, che si oppone alla cassa integrazione in deroga, pagata dai bilanci pubblici, perché pretende di liberarsi dai lavoratori subito. Ma quelli e quelle della Wagner Colora non fanno notizia. Sulle prime pagine nazionali il 6 ottobre loro non c’erano. C’erano, invece, altri operai, che stavano 15 chilometri più a nord, a Merate (Lc) per la precisione, grazie all’immaginario “assalto Fiom alla sede Cisl”. Non era vero niente, perché in realtà si trattava soltanto di due (2) operai, entrati nella sede Cisl per consegnare un volantino e mandare a quel paese i contratti separati. Ma chi se ne frega, perché la fandonia di Merate serviva per dire che quelli della Fiom sono violenti e cattivi, mentre la storia vera di Burago ricordava piuttosto le miserie dell’imprenditoria contemporanea. E così, nessuno saprà mai di Ombretta, impiegata di 45 anni, che dopo 21 anni di lavoro alla Wagner si ritrova con un calcio nel sedere, oppure di Luigi, operaio di 49 anni, due figli piccoli e il solito mutuo da pagare, che sperava almeno nei due denari della cassa integrazione. Insomma, se non avete ancora trovato un motivo valido per manifestare insieme alla Fiom a Roma, sabato 16 ottobre, allora cercatelo tra Burago e Merate.
Stati di Precarietà
I fedeli di San Precario si ritrovano a Milano da tutta Italia ed Europa, Faber Pare che sia stato avvistato vicino al Parco Ravizza, i più informati parlano dell’Arci Bellezza. Ancora lui. Ancora a Milano. Ancora San Precario! I devoti del Santo più amato dai precari si sono dati appuntamento il fine settimana scorso (9-10 ottobre) agli Stati Generali della Precarietà. Il richiamo del Santo a varcato i confini nazionali arrivando fino alla Svizzera, la Spagna, la Francia, la Germania, il Belgio, la Finlandia e l’Inghilterra attivando la rete Euromayday. Dieci workshop, il secondo incontro nazionale della rete “Uniti contro la crisi” e un’assemblea plenaria conclusiva: questo il menù proposto. Alle 10 di sabato mattina i primi attivisti delle reti precarie cominciano ad arrivare all’Arci Bellezza. Molti arrivano da diverse città d’Italia e d’Europa: nello zaino poche ore di sonno e molti km, ma l’aspettativa e il morale sono alti. Si comincia con una breve introduzione del network Intelligence Precaria che mette subito le carte in tavola: la crisi è il contesto in cui ci si muove e se da una parte si sente l’esigenza della ripresa del protagonismo precario su scala nazionale ed europeo, dall’altra ci si pone la questione di come allargare le alleanze in vista della battaglia sul welfare metropolitano.
I workshop si svolgono durante la giornata di sabato e la domenica mattina parlando dei più svariati temi: dal reddito al lavoro, dalla difesa dei territori alle diverse declinazioni del welfare, dalle tematiche gender ai saperi. Tra i workshop più seguiti sicuramente quello del Punto San Precario che confrontava la sua esperienza di agenzia per il conflitto con le tecniche comunicative del Popolo Viola e dei nuovi media. Nonostante le biografie precarie raccontino provenienze differenti il linguaggio è comune e il dibattito prosegue volentieri davanti ad una birra o ad un caffè in un momento di pausa. In molti concordano sul fatto che un incontro di questo tipo non si vedeva da tempo nella metropoli meneghina, miracoli del Santo! La domenica pomeriggio è tempo dell’assemblea plenaria conclusiva: la partecipazione è ancora alta (più di 250 persone). Dopo un paio di ore di discussione ci si accorda nel proporre una settimana di azioni precarie declinate a livello locale in tutta Italia a fine novembre e un secondo incontro a metà dicembre da tenere a Roma per poter rilanciare una grande mobilitazione nazionale nei primi mesi del 2011. L’Unità di Crisi è partita. Allacciate le cinture.
Prove di sciopero generale europeo. Forse, retrospettivamente, il 29 settembre segnerà il momento in cui una coscienza sociale europea ha cominciato a prendere corpo, anche se la giornata ha avuto luci e ombre. Annunciati dallo sciopero selvaggio dei controllori di volo belgi che ha paralizzato gli aeroporti, lo sciopero generale in Spagna e la giornata di agitazione europei dei sindacati della CES a Bruxelles hanno posto il rifiuto dell’austerità imposta da Merkel e Barroso, una politica economica irrazionale oltre che iniqua, che getta l’Europa in deflazione e getta benzina sul fuoco xenofobo che divampa da nord a sud dell’Unione, con Berlusconi e Sarkozy che fanno a gara a chi odia più gli zingari e partiti razzisti in forte crescita dalla Padania alla Scandinavia. Contro la paranoia securitaria bianca e cristiana che attanaglia i paesi europei, la rete noglobal d’ispirazione libertaria ha dato vita nella capitale europea al noborder camp (http://www.noborderbxl.eu.org), per protestare contro i campi di identificazione e detenzione, la militarizzazione grazie a frontex dei confini dell’Unione, la deportazione di sans papiers e discriminazione cui sono sottoposti i figli d’immigrati negli stati-nazione europei. La settimana noborder si è intersecata con la mobilitazione sindacale e la rete EuroMayDay, sotto la sigla Precarious United (http://precarious-united.eu), ha cercato di fare un trait d’union fra i due eventi politici a Bruxelles, organizzando un blocco anti/postcapitalista che, con un camion che brandiva la bandiera pirata dell’eurocannibale (una critica feroce della politica monetaria restrittiva di Trichet), ha dato appuntamento agli attivisti di tutta Europa alla Gare du Midi. La polizia belga, che aveva già effettuato numerosi arresti all’uscita del campo soprattutto ai danni dei clown in rosa, ha circondato il blocco, in palese violazione della libertà di manifestare, un diritto fondamentale per la Carta UE. Diversa è stata la situazione spagnola: il paese è stato paralizzato, centinaia sono stati i picchetti in tutto il paese, il consumo di energia elettrica è crollato e giovani precari e disoccupati hanno dato vita a un riot a Barcellona occupando una banca ed erigendo barricate contro la polizia. I sindacati belgi per bocca dei loro segretari avevano dato assicurazioni a Precarious United che avrebbero potuto partecipare alla manifestazione sindacale senza dover subire gli arresti preventivi in serie che avevano gettato un’ombra sinistra sulle proteste al Climate Summit di Copenhagen a fine 2009. Ma dopo aver faticosamente raggiunto il corpo della manifestazione, il blocco ormai stremato di Precarious U è stato caricato a freddo selvaggiamente in Porte de Hal (tante le ragazze colpite), in un episodio stigmatizzato dalla Lega dei Diritti Umani sui media belgi. I delegati metalmeccanici valloni sono giunti a cercare di dare manforte agli attivisti no border no precarity, ma dopo una breve baruffa sono stati richiamati all’ordine dai dirigenti sindacali secondo l’assai discutibile tesi per cui “i poliziotti sono solo lavoratori che stanno facendo il loro lavoro”. Il risultato sono stati quasi 400 arresti “amministrativi”, con gran parte dei fermati rilasciati nella notte. L’episodio vergognoso è stato ripreso da un video dei mediattivisti noborder che ha fatto il giro d’Europa (http://www.youtube.com/ watch?v=-IU7PIk6kV4). L’atmosfera gioiosa e solidale sotto l’enorme opificio d’antan che ospitava cinema, tende media, cucina vegana e decine e decine di workshop sulle politiche dell’immigrazione in Europa, faceva da contrasto al grigiore della repressione poliziesca fatta per conto di signori in grisaglia dell’Ecofin, che nello stesso momento in cui i sindacati sfilavano a margine del Quartiere Europeo, rendevano il Trattato di Maastricht, il marchingegno monetarista che ha reso l’Europa più vulnerabile alla crisi, ancor più punitivo per la spesa sociale.
LA FORNACE NON SI SGOMBERA di Tenko
E’ Lunedì 4 agosto, lo stesso giorno della condanna dell’ingiunzione del tribunale a Conchetta di uscire dai suoi locali, quando apprendiamo dell’imminente sgombero dell’SOS Fornace. Sono passati solo 3 giorni dalla visita di Maroni nella capitale della finanza e della mafia.....E come un disco rotto DeCorato ha già tuonato contro Bottiglieria e tutti gli spazi liberi di Milano. Parte trepidante il tam tam tra di noi; subito allertiamo le realtà di movimento milanesi, le forze politiche e sociali locali e i tanti che abbiamo incrociato in 5 anni di attività, di conflitto e denuncia del progressivo esaurirsi di spazi pubblici in un territorio privatizzato dalle mire speculative delle grandi immobiliari e pervaso da commistioni mafiose. Lanciamo l’assemblea pubblica contro lo sgombero: è grande la gioia quando vediamo che la solidarietà è tanta, che il mutuo soccorso si è attivato; Rho non è periferia, Rho è parte della città metropolitana anche dal punto di vista delle insorgenze sociali! Chi tocca Fornace tocca tutto il movimento! E lanciamo il presidio permanente anti sgombero: i compagni portano i sacchi a pelo per dormire dentro lo spazio mentre dalle 5 arrivano i singoli e le realtà solidali per preparare la risposta: sono mattine fredde fatte di attese snervanti,di sigarette e briosches ma così calde e cariche di determinazione, per dire che noi siamo qui e qui vogliamo restare. Per continuare a denunciare un sindaco che impedisce la costruzione di una scuola per portarne le fondamenta sui suoi terreni e compiere un’operazione immobiliare milionaria; per contrastare,unici in città, le politiche xenofobe della Lega che hanno sgomberato i Rom di via Sesia in nome della legalità; per ribadire la nostra ferma opposizione alla speculazione di Expo sulle aree di Rho Pero, la nostra contrarietà all’insediamento di centri commerciali e alberghi in favore della rendita; per smascherare le favole di una Fiera come portatrice di benessere e lavoro, per essere ancora agenzia del conflitto con lo sportello san precario a difesa di tutti i precari del territorio; per rivendicare reddito e nuovo welfare. A Formigoni,a De corato,a Fiera SpA, al sindaco Ciellino, alla Lega del cons.reg.Cecchetti dopo una settimana di mobilitazione questo mandiamo a dire: chi vuole mettere a tacere tutto questo non lo potrà fare facilmente e la nostra risposta non si farà attendere. La Fornace in questi anni è stato un limpido esempio di riqualificazione dal basso di un’area dismessa, un pezzo di Rho sottratto alla speculazione e all’abbandono. A una settimana dall’inizio della mobilitazione intanto in città sale la tensione per la discussione e la votazione definitiva sul Piano Alfa di stasera (12/10/10), che prevede un centro commerciale, alberghi, residenziale e nuove strade nelle ultime aree verdi rimaste e l’ opposizione sociale sarà di nuovo sotto il municipio a far pesare le ragioni della difesa del territorio e dei beni comuni... la storia non è finita qui. La Fornace Resiste! To be continued...
Torrenti di Studenti
Due anni dopo l’Onda da Milano riparte il movimento contro la Gelmini, Teo LA CRONACA: Oltre 10 mila tra studenti, precari, genitori e insegnanti hanno invaso e bloccato le strade della città di Milano e di tutta Italia. Il corteo partito da largo Cairoli, compatto, si è poi diviso in due blocchi: uno si è diretto verso il provveditorato, il secondo è andato verso la statale. Davanti al provveditorato al grido di ‘’make school not war’’ il coordinamento dei collettivi studenteschi e Rete Scuole hanno simbolicamente recintato il provveditorato come ‘’zona militare’’ per protestare contro i fondi destinati alle lezioni “Allenati per la vita”: corsi paramilitari e lezioni di guerra nelle scuole voluti dall’accordo Gelmini-LaRussa, che porta nelle scuole le nostalgie da Ventennio, compresi gli esercizi ginnico-militari. Il secondo troncone di corteo, quello più numeroso, ha invece deviato verso la Statale, con l’intenzione di andare nell’ateneo a fare un assemblea per poi uscire a bloccare il centrocittà. Nel mentre un gruppo numeroso di ragazzi allontana i dirigenti della questura dall’università. La tensione si alza e la polizia inizia, in maniera molto concitata, a schierarsi in assetto antisommossa lungo tutte le vie adiacenti all’università. Il corteo si dimezza, la scontro è imminente e sono molti gli studenti che abbandonano la piazza. La massa di persone rimasta (1500 in tutto) si divide ancora in due blocchi, uno, guidato dalla rete studenti, va verso largo Treves, all’assessorato comunale dell’istruzione dove sta la Moioli, responsabile della chiusura del liceo serale Gandhi, l’altro, guidato dagli universitari, prova a dirigersi verso la stazione centrale. Viene presto bloccato e caricato all’altezza della Torre Velasca. Le 600 persone rimaste, non si disperdono e ritornano incazzate in Statale. Nel frattempo migliaia di stu-
denti sono davanti al provveditorato in via Ripamonti, centinana davanti all’assessorato all’istruzione in Moscova: Milano è stata paralizzata dagli studenti nel No Gelmini Day. VALUTAZIONI: Quello che ci siamo trovati di fronte venerdì scorso è una nuova mareggiata, una mareggiata fatta di studenti delle periferie, collettivi di tutte le scuole e tanti immigrati di seconda generazione. La rabbia della piazza si è percepita dalle prime ore del mattino, quando centinaia di studenti sono giunti in piazza dopo aver picchettato gli ingressi delle scuole e dato vita a cortei spontanei che hanno bloccato le arterie principali della città, violando la‘’famosa’’ ordinanza anticortei che prevede l’impossibilità di sfilare in centrocittà. L’autunno caldo è iniziato, decine di assemblee, iniziative e cortei stanno nuovamente invadendo tutte le città d’Italia. Gli studenti medi a differenza di quelli universitari, stanno raccogliendo il lavoro fatto in questi anni dopo l’onda, i collettivi vedono la partecipazione di centinaia di studenti e studentesse. L’università milanese invece è più lenta a muoversi e organizzarsi. I disordini del corteo di venerdì 8 ha sicuramente creato dubbi e perplessità in molti studenti. Le assemblee e i dibattiti, si stanno nuovamente ponendo il problema di come praticare obiettivi politici superando la contrapposizione militare con le forze di polizia che risulta troppo spesso fine a se stessa, come è capitato venerdì. Si sta però riaprendo il dibattito sulla questione della formazione intesa come bene comune e non solo. Si sta aprendo un nuovo spazio comune nel quale ricercare nuove forme di resistenza alla crisi e alle leggi securitarie e razziste del governo attuale.
Come diceva lo spot? C’è baruffa nell’aria... A Milano il clima è frizzante e non si tratta di questioni atmosferiche. In un periodo in cui due uova e un fumogeno su una sede Cisl fanno guadagnare l’accusa di terrorismo il nostro amato vice-sindaco Riccardo Sceriffo De Corato non poteva certo sottrarsi dal dire la sua. I ripetuti allarmi sulla sicurezza che il ministro Maroni sta lanciando da giorni paventando nuove azioni terroristiche cozzano con la situazione di Milano dove esistono autentiche zone franche rappresentate dai centri sociali». Ve ne eravate accorti? Anche voi vi sentite in pericolo in città a causa dei centri sociali? Ma di che allarme si parla? Collusioni tra i centri sociali e l’estremismo islamico? Terrorismo locale o internazionale? Forse De Corato si riferiva al “botellon” che venerdì scorso ha finalmente e pacificamente invaso Piazza Duomo? Aveva in mente occupazioni di stabili che ci sono sfuggite? Macchè, lo sceriffo aveva nel suo mirino incontri e presentazioni di libri a suo dire di terroristi e puntava il dito contro i siti web, chiedendo che la polizia postale li chiuda come misura di sicurezza pubblica. Mentre scriviamo è in corso il tentativo di sgombero della Fornace di Rho, in una città in cui il sindaco traballa, la proprietà non fa pressioni per ottenere lo sgombero ma il bussines Expo la fa da padrone e governa su tutto e tutti. È di pochi giorni fa la notizia che in sede di tribunale s’è deciso che lo stabile di Via Conchetta (sissignori, parliamo di Cox 18, sgomberato l’anno scorso e rioccupato dopo un mese di mobilitazioni enormi) deve essere abbandonato. Anzi, gli occupanti dovrebbero pure risarcire un bel po’ di euro al comune, a sentire il tribunale. Come si dice, cornuti e mazziati? Ma che succede nel mondo degli spazi sociali milanesi? Beh succedono parecchie cose e ancor di più sono lì da venire... Allora, diciamo le cose chiaramente: un periodo (troppo) lungo per gli spazi sociali della città sta per finire e una fase diversa è in arrivo. Dopo anni di sgomberi, delusioni, arretramenti vari da qualche tempo a questa parte ci sono piccoli impercettibili segnali che il vento inizia a girare... C’è un’intera generazione, forse addirittura due, che è cresciuta in un panorama cittadino in cui lo spazio occupato e autogestito, salvo poche eccezioni, non esisteva, o al massimo era solo luogo di intrattenimento serale. Ma la mancanza d’abitudine non ha creato disamore. Anzi, ha semplicemente fatto covare voglia e desideri sotto le ceneri, rendendole meno visibili agli osservatori disattenti che rischiamo ora di sbruciacchiarsi il viso con fiammate inaspettate. Come sempre, la scommessa è d’obbligo: sarà solo un fuoco di paglia, ad una vampata che brucia veloce e non dura, o siamo di fronte ad un vero e proprio incendio che raderà al suolo il grigiore securitario dell’ultimo decennio? Da queste pagine seguiremo gli sviluppi, certi però di una cosa: lo scarto tra le due eventualità è dato dai processi partecipativi. Ovvero: andrà come vorrete che vada! Dipende solo da voi...
VERBA MANENT di Giacomo 5stelle
PES 2011 vs FIFA 11 LE PRIMARIE DEI GAMES DI CALCIO A Ottobre cadono le ultime foglie, sulla tavola è il momento della zucca e sul computer appre il calcio virtuale. In questa stagione escono i due principali titoli dedicati alla vera religione nazionale. Bisogna scegliere, le posizioni da prima repubblica non sono accettate, Da che parti stai con Fifa o Pes? Partiamo da Pro Evolution Soccer 11, il gioco targato Konami e firmato da Shingo Seabass Takatsuka, torna ogni anno con la scommessa di superare i limiti dell’edizione precedente. Il confronto con il passato è obbligatorio: con una serie di innovazioni il sistema dei passaggi è rivoluzionato e dopo un primo spaesamento risulta essere ottimo. La grande innovazione sta tutta nella barra di potenza che regola i passaggi. La caoticità del movimento del pallone continua a funzionare perfettamente, pur essendo ancora presenti i fastidiosi binari, la percezione di gioco è di maggiore libertà. Ci sono tutti i classici elementi del gioco, dai campionati alle coppe, dalla master league allo modalità di gioco diventa un mito che prevede l’utilizzo di un solo giocatore. Si può giocare anche in multiplayer. Il risultato è un passo avanti nella serie, ma non ancora lo scatto vincente che tutti si aspettano da questo classico dei videogame. Per quanto riguarda Fifa 11, soprattutto nelle versioni consolle, visto che sul pc quasi si equivalgono, il discorso è diverso. Il titolo è stato decisamente aggiornato in questi anni, non solo dal punto di vista a delle licenze o altri feticci simili, ma proprio di vista del contenuto di gioco: gameplay, passaggi, tiri, il portiere, e pure l’aspetto manageriale. La Ea ha trasformato Fifa da un gioco arcade per fare le rovesciate spettacolari ad una simulazione decisamente più impegnativa. Un altro punto di forza di Fifa è il sistema di gioco in multiplayer che permette di fare partite con 22 giocatori virtuali, compresi i portieri. Un delirio. Entrambi i titoli sono buoni, gli stadi sono belli, i movimenti di giocatori ben riprodotti. Niente di rivoluzionario per carità. Le solite uscite stagionali che venderanno tonnellate di copie. Se si deve dare un parere a malincuore bisogna ammettere che Fifa è un po’ meglio di Pro Evolution Soccer. Insomma al calcio elettronico il Canada (fifa) batte il Giappone (pes), per due a a uno. Per la rivincita bisogna aspettare un altro anno.
Cheek 2 Cheek
Il Peer to Peer di prossimità che si fa tutti nella stessa stanza, Lavinia Lindsee Il Cheek to Cheek si fa in banda, ci si incontra a casa di un amico, si portano con sé tradizionalmente: ciabatte elettriche, switch a 8 porte, cavi di rete e portatili con alimentazione, si sbarazza un tavolo e si mettono i computer in rete. Ma basta anche un computer acceso e a quello si attaccano tutti a turno con dischi USB. Un’etichetta ci vuole: copiare un file (o due, o tre, o N) alla volta da un disco all’altro, e lasciar terminare il trasferimento prima di iniziarne un altro. Va benissimo vedere qualcosa mentre si copia, ma far partire nuove sessioni prima che finisca la prima rallenta il processo e usura i dischi. Se il computer si impalla si finisce tutti a fare discorsi fessi. Dunque, specialmente quando si è ospiti o alle prime conoscenze, scaricare un file (o due, tre, N) alla volta e lasciar finire il trasferimento prima di inizarne un altro. Il Cheek to Cheek è pratico per scambiarsi i film preferiti, hai scaricato e visto un bel documentario o un bel film? ne hai adesso una raccolta? hai fatto bene, è la tua cultura. A proposito del discorso -ma agli artisti non ci pensi?- la retorica del -povero artista- viene propagandata con un megafono tenuto in mano non dagli artisti ma da coloro che ne detengono i diritti. I film e la musica sono cultura, la possibilità di trasmetterla con modi nuovi ed efficaci è un cambiamento eccezionale delle modalità di fruizione che permette di raggiungere un maggior numero di persone con minor sforzo. Una novità che deve essere sperimentata e che non limitata a priori dalle lagnanze dei già ricchissimi detentori del copyright (RIAA ed MPAA) che tentano di imporre colla forza l’obbedienza a normative create per la loro unica tutela, leggi vetuste e inadatte a raffrontarsi ai cambiamenti sociali e tecnologici odierni e che di conseguenza osteggiano la diffusione delle conoscenze. Meglio dunque che il computer sia Debian o Ubuntu. I PC Windows o Mac contengono dei sistemi di proibizione coercitivi (Digital Rights Management) e a meno di non saperli eludere, non ti lasciano fare tutto quello che vuoi. In una serata di condivisione
raccogli come niente 10 Giga di video. E’ cortesia portare qualcosa da offrire. Il video è più ambito, dunque porta film, i tuoi preferiti vanno bene. Passali. Falli girare. Guarda cosa prendi, illustra quello che dai. Vale tutto quello che sai dello zen e della cerimonia del tè. Se il PC è GNU/Linux i dischi potranno essere in formato vfat, ntfs o hfs+ e li legge tutti (vfat nativo, ntfs col pacchetto ntfs-3g e hfs+ col pacchetto hfsplus, e intendo apt-get). Attenzione che il formato mac/ hfs+ GNU/Linux lo vede in sola lettura. Ad esempio se hai un disco esterno formattato default da un Mac non ci potrai copiar nulla. So sad. Allora facciamo che i dischi siano formattati vfat come le pennine USB di default. Non portare con te dati personali che non intendi condividere. E’ una festa dello scambio e la gente farà del suo meglio per copiare i file che trova, non per proteggere la tua privacy. Procurati un disco apposta per lo share. Magari una cosa che poi attacchi direttamente a dove-vedi-tu-i-film. Così facendo vedrai western antichi, saprai perché dei sette samurai, vedrai le ultime novità che non escono in Italia e cose che non passano in TV, ed eviterai di andare a vedere quel brutto film solo perché ne fanno tanta pubblicità. Lo vedrai andando veloce, comodo, pieno di scelte, libero nel giudizio e ricco di alternative (5, per una chiavetta USB di 4GB da 10 euro nei supermercati dell’hardware). Alcuni film ti faranno pensare, altri ti faranno ridere. Quest’ultimi mettili entrambi nel disco che porterai con te al prossimo Cheek to Cheek, di campagna o di città, all’Hackmeeting o al pranzo di domenica. Regalagli un hard disk alla sua festa, dillo con un disco pieno di colorate espressioni del tuo amore e della tua fantasia. Mi raccomando i sottotitoli, sono benvenuti in formato .SRT. Suddividi in cartelle i tuoi argomenti, organizzali per lo scambio, crea percorsi. Fai tua l’arte del C2C. Il Cheek to Cheek è una festicciola pagana. La condivisione da vicino, col tuo vicino. Gente che conosci e gente da conoscere.
“Verba Manent” significa che tutto ciò che è stato detto pubblicamente dai cosiddetti rappresentanti dei cittadini o in conversazioni private tra personalità pubbliche può essere una prova in più per il cittadino che, a differenza della magistratura, non deve presumere l’innocenza fino al timbro della cassazione, sempre che questo arrivi viste la lentezza dei processi ed i brevi tempi di prescrizione. Con la legge bavaglio si vorrebbe tra le altre cose, vietare la pubblicazione di intercettazioni ed atti NON segreti riguardanti procedure penali in corso, mentre i mezzi di informazione dovrebbero avere in pratica l’obbligo di pubblicarli. Ciò comunque nella maggioranza dei casi non avviene perché in realtà c’è già un AUTOBAVAGLIO in vigore da molti anni ormai, in particolare dopo l’editto bulgaro e, proprio perché “verba manent”, non c’è stata bisogno di una legge scritta, ma è bastato ciò che è stato detto dal presidente per far epurare giornalisti ed autori scomodi e per educare tutti gli altri alla regola dell’autocensura, per paura di esporsi troppo, di perdere il posto. Per questo abbiamo deciso che con il gruppo di Qui Milano Libera, insieme alla redazione di Milano X faremo un’opera settimanale di disobbedienza civile pubblicando stralci di intercettazioni, dichiarazioni, documenti utili a ricostruire parte del mosaico delle verità nascoste, insabbiate, sepolte in questo limbo temporale comunemente chiamato seconda repubblica, sorta dal sangue delle stragi di stato del 1992-93. Utilizzeremo questa rubrica, un apposito blog ed altri strumenti informatici come punto di raccolta ed archiviazione di documenti scritti, audio e video. Un archivio cartaceo consultabile sarà invece allestito allo spazio Kronos di via Borsieri 12 (MM2 Garibaldi FS). Solo la nostra azione quotidiana, nelle piazze, sul web, sulle pubblicazioni libere, può arginare gli effetti di questa operazione di distruzione ed affossamento della memoria collettiva degna del ministero della verità di orwelliana memoria. Per cui “Verba Manent” vuole diventare anche una formula per piccole azioni, pillole di contro-informazione nella metropoli coinvolgendo attivisti attori, musicisti, artisti di strada per recitarle, poetarle e metterle in musica, con coreografie e flash mob sui tram, nelle stazioni, nelle isole pedonali, nel traffico o presso istituzioni e sedi di società. verbamanent-milanox.blogspot.com “Nel tempo dell’inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario” (G. Orwell)
KOOL HOP
di Pablito el drito
Yo! Nelle sue oltre 450 pagine e con uno stile brillante, il libro di Jeff Chang ci racconta come è nato e si è evoluto il fenomeno hip hop. Ci porta indietro negli anni settanta, nel Bronx, dove un manipolo di mitici dj neri (Kool Herc, Grandmaster Flash, Afrika Bambaataa e altri) partendo dalle feste in strada e da scalcinati basement hanno portato ad una vera propria rivoluzione del linguaggio musicale e dello stile a livello planetario. Ma il libro è ben più di una storia del djing underground, o delle altre tre discipline che costituiscono l’hip hop (graffitismo, breakdance, MCing). E’ una narrazione che inevitabilmente, visto che la cultura hip hop è un fenomeno nato nei ghetti e principalmente nero, ci immerge nel dibattito sull’identità delle minoranze d’America, e quindi si interseca con la lotta per i diritti civili, con il radicalismo e il nazionalismo black. Le radici di questa cultura sono ancora più importanti da indagare, soprattutto a oltre 30 anni dalla sua nascita. Negli anni ottanta, infatti, l’hip hop è diventata un’industria con un fatturato a molti zeri e, nella sua versione meno radicale, viene cooptato (e quindi depotenziato della sua carica rivoluzionaria) dai media mainstream e dalla corporations, da sempre a caccia di novità davendere al grande pubblico. Se da un lato l’hip hop globalizzato dei nostri tempi accomuna neri, bianchi, ispanici e asiatici (e questo è un fatto positivo) dall’altra non si può negare che i kids allevati a Coca Cola, Nike e Mtv probabilmente abbiano perso di vista i valori che muovevano le prime crew, che ragionavano con un approccio sociale e culturale forte e prospettive talvolta politiche. Basti pensare a Afrika Bambaataa, ex capo di un’agguerrita gang newyorkese che inventa un movimento, la Zulu Nation (ora diffuso a livello globale) per creare la pace tra le bande che insanguinavano i ghetti d’AmeriKKKa. O a Chuck D, leader dei mitici Public Enemy, che usa il rap, il look in stile black panther party e le potenti basi di derivazione funk di Terminator X come strumento di lotta per affermare l’orgoglio e la potenza della nazione nera. O ad Ice T, esponente della scena gangsta losangelina, che denuncia nelle sue liriche violente (censurate dal democratico Bill Clinton) gli abusi polizieschi. Consiglio le lettura del libro non solo ai fan dell’hip hop, ma anche agli attivisti di ogni età, perché non è solo una miniera di preziossime informazioni storiche, musicali e culturali, ma anche di intelligenti riflessioni sul rapporto tra movimenti e industria culturale. Check it out!
Punk forever!
Gli antecedenti della no generation che popola le strade della metropoli, Philopat Le culture di strada hanno un profondo rapporto con il desiderio di negare la società così come è organizzata. Un desiderio elementare, prepolitico, che però innesta un meccanismo assai complesso nel quale scoppia fragorosa l’esigenza di vivere non come oggetto ma come soggetto della storia. Per tutti coloro che s’identificano in qualche attitudine di strada si tratta di vivere come se gli avvenimenti dipendessero dalle azioni di ogni singolo. Attaccando senza compromessi Dio e lo stato, la famiglia, la scuola e il lavoro, ci si rende conto prima o poi delle costruzioni ideologiche con cui sono stati edificati questi modelli. Modelli inconsistenti che possono essere tranquillamente superati. Diventa perciò possibile considerare la realtà un incubo o uno scherzo di cattivo gusto e la cultura di strada che si è scelta, un occasione unica per uscire fuori come individuo pensante. Ma dove si rintraccia il fondamentale passaggio successivo? Negli anni sessanta le culture di strada s’intrecciarono fortemente con la musica e con le rivolte sociali, ma nel decennio dopo, con la ristrutturazione del mercato del lavoro, furono lasciate sole dallo sgretolarsi del movimento operaio. Nell’impossibilità di crearsi spazi di libertà collettiva nacquero le band musicali di strada, dapprima a New York, per esempio con i Ramones, e in breve si diffusero in tutto il mondo occidentale. Una punkzine americana, Sniffin’ Glue, aveva in copertina due disegni rudimentali che ritraevano il manico di una chitarra con i pallini neri a segna-
re le due note fondamentali. “Questo è un accordo, questo è un altro. Adesso fatti una band.” A Londra, Johnny Rotten cantava Anarchy in the UK raccontando di un vecchio straccione che inneggiava all’anticristo gridando di voler far fuori i passanti. Quella dichiarazione spinse migliaia di ragazzini e ragazzine a sproloquiare sulle debolezze del sistema e a scrivere assurde poesie di rivendicazione esistenziale che magari un giorno avrebbero potuto diventare testi di canzoni o al limite venire pubblicate su riviste fotocopiate. Più avanti i Crass, una delle bande più politicizzate del periodo, scrissero: “Punk è stata la risposta ad anni di schifo, una maniera di dire no! Quando avevamo sempre detto sì!” Oltre a rifiutare ogni logica di inclusione della ribellione giovanile all’interno delle strutture del mercato, i Crass intendevano lasciare una traccia militante, aldilà di qualsiasi banale considerazione. Il no! era vissuto non più solamente come sinonimo di libertà ma anche come un veicolo che avrebbe potuto unire tutti i kids per conquistarne altra. Dopo trent’anni, questa frase ha forse trovato una sua più chiara connotazione. Oggi, con la rottura della coesione sociale, le culture di strada sono le uniche che possono rompere la stabilità dei codici e costringere l’ordine simbolico e disertare i valori del conformismo, tradire le forme e le discipline della vita rispettosa delle regole e oltrepassare continuamente i confini della legge.
CINEMAPERTO by Nic Quante volte l’abbiamo detto? Milano è una città morta, non ci merita, non valorizza la nostra creatività e gli sforzi per migliorarla. Chiude, sgombera, reprime. Dove prima c’erano spazi di socialità e cultura oggi assistiamo inermi all’avanzare di cantieri che innalzano enormi falli di cemento a celebrare il bisogno di protagonismo di chi governa la città. E’ surreale, quasi visionario, come il primo cinema di Lynch. A pensarci non ci si crede, ma sono proprio loro, questi politici miopi, questi architetti arrivisti, questa melmosa combriccola di affaristi che dobbiamo ringraziare se oggi si moltiplicano le esperienze di riappropriazione dello spazio pubblico. Perché è li che ci incontriamo, possiamo confrontarci apertamente, e mettere in vista quelli che sono i nostri bisogni e le nostre tensioni. L’idea di proiettare all’aperto, per strada, senza rapporti con le istituzioni nasce nel 2009, il 20 luglio. Nel cuore dell’Isola, all’ombra del mausoleo di Formigoni e a pochi metri dai cantieri di quello sfregio al quartiere che si ostinano a chiamare “parco verticale” inizia un’avventura che sembra un gioco ma è una rivendicazione politica. E’ così che nasce Cinemaperto: un esperimento urbano di diffusione di manufatti del cinema del nuovo millennio, una zona temporaneamente autonoma in cui dare visibilità ad un’altra città. Il modello è semplice, un appuntamento vago in città, uno spazio pubblico buio da squattare, una cinquantina di sedie a delimitare la sala di proiezione e lo sbarco di decine di videomaker, a svelare la Milano che ci piace. Una città che non ci si immagina restando seduti davanti alla TV, fatta di ciclisti che sfidano il rombo dei SUV, di orti urbani incastonati nel grigiore... Abbiamo fame di spazio, abbiamo un sacco di idee e la cosa più bella è che non siamo soli. Forse Milano non è ancora morta. Forse. *foto by Andrea Vittone
E adesso? Ora che finalmente è arrivato l’outing di Tiziano Ferro, bisognerà riaggiornare la categoria per Immanuel Casto, quello che fino a pochi giorni fa veniva definito come la sua versione dichiarata e incensurata? Forse sì, e il “casto divo” non potrà che guadagnarne. Immanuel Casto è un progetto, più che un artista; un progetto molto più arguto di quanto possa apparira a prima vista. Il Casto è l’auto-proclamatosi (ma ne ha tutti i titoli) “re del porn groove”, le sue canzoni sono un viaggio electro-pop attraverso tutte le perversioni erotiche del cattolico bel paese, dai grandi classici del sesso e del porno sino alle pagine più oscure, arrivando a coinvolgere anche gli immancabili preti pedofili (in “Come è bella la cappella”, una delle sue prime hit) o, è il caso dell’ultimo singolo “Crash”, la tecnopornografia che renderà felici tutti i nerd all’ascolto. Sabato 16 porta il suo show, con tanto di ballerine, sul palco ai Magazzini Generali. Da vedere dopo essersi spogliati di ogni moralismo. Se è vero che il porn groove non è roba da rockers capelloni, gli adepti del metallo non si spaventino, ché la settima-
na che arriva è tanto densa che va fatta una selezione abbastanza brutale. Venerdì 15 ad esempio, ce n’è davvero per tutti i gusti e le latitudini, da Hundebiss (con Lasse Marhaug e Lorenzo Senni) a Dauntaun (Crop Circles e Brutal Knights), passando per l’accoppiata di rock oscuro Bachi da Pietra / Uncode Duello al Bloom (Mezzago) o per il gradito ritorno post-estivo di due rassegne di ottima fattura: Cox18 ricomincia le sue “Nights for the Deaf” con Farflung e Black Rainbows, mentre alla Scighera torna “Musica in forma libera”, ouverture affidata al quartetto eRRe2 di Pepe Ragonese. Uno che le forme musicali libere le ha sempre amate e interpretate è Cristiano Calcagnile, che domenica 17 presente il suo ennesimo progetto (due voce + percussioni) al GheroArtè di Corsico. In apertura di settimana prossima arrivano due dinosauri della chitarra: Santana al Forum di Assago mar 19 e John Scofield al Blue Note la sera successiva. La serata del 20 è però destinata anche al punk degli Anti-Flag (al Tunnel), una di quelle band in grado di sopperire ai propri limiti tecnici con la furia sul palco. La chiusura è affidata ad una serata a due facce, entrambe interessanti, giovedì 21: si inizia al tramonto al Dal Verme, quando il terzo appuntamento dell’ottima rassegna Music Club vede protagonista Steve Wynn, il folk rocker californiano che diede vita, 30 anni fa, all’esperienza dei Dream Syndicate. Tempo di uno spuntino e ci si sposta alla Fondazione Pomodoro, dove l’anteprima meneghina della rassegna torinese Club to Club ospita il Moritz Von Oswald Trio, un incontro tra il dub, la techno, il jazz e la psichedelia tedesca orchestrato da un grandissimo costrutture di suoni.
SALVADOR DALì @ PALAZZO REALE 22/09-30/01 - € 9
PENSIERO FLUIDO @ SPAZIO OBERDAN 07/10-07/11 - gratis
Korpiklaani @ magazzini generali 19/10 - H 20:00 - € 23
FRANCA VALERI @ TEATRO DELLA COOPERATIVA 20/10 - € 20
4/4 by cauz.
BICYCLE FILM FESTIVAL @ TRIENNALE DI MILANO 15-17/10 - € 6
BABAMAN @ JAHMEKYA, Lambertenghi 20 16/10 - h 17:30
PIOTTA @ ALCATRAZ, V Valtellina 21 15/10 - H 21:00
SHANTY TOWN @ARCI BITTE, V WATT 37 16/10 - H 22:00 - € 5
HERBADELICI @ Arci Groove, v Monte Penice 16/10 - h 22:30 - € 5
NIGHT FOR THE DEAF @ COX 18, V CONCHETTA 18 15/10 - H 23:00
Città Multietnica di Milano X Pisapia
LA POLITICA DELLA PAURA
di Giuliano Pisapia
È da tempo che Milano è diventata una città multietnica. Nella nostra città vivono duecento mila stranieri. Siamo ormai alla terza generazione di figli di immigrati che studiano sui banchi di scuola insieme ai nostri figli. È impensabile cercare di bloccare lo sviluppo di una società che è già, nei fatti, multiculturale. Questa realtà ci accomuna alle più importanti città del mondo e ed è una realtà che non può che arricchire Milano e i milanesi. Ancora una volta questo centrodestra ha dimostrato di non essere all’altezza del momento che la città sta attraversando e di valorizzarne l’importanza, anzi, come sempre, sta andando esattamente nella direzione opposta. La giunta Moratti, in particolare, ha insistito nel costruire quartieri ghetto, nello sgombero dei campi rom e nell’ottusa opposizione a qualsiasi forma di politica per l’ integrazione. L’inadeguatezza delle risposte su questo tema, è un problema che non riguarda solo Milano, ma l’intero Paese. L’Italia, come la nostra città, è ostaggio degli slogan beceri e volgari della Lega e di parte del centrodestra, che spesso sfociano in vero e proprio razzismo. L’arretratezza culturale della politica penalizza la crescita e l’emancipazione delle diverse comunità che da trent’anni popolano i nostri quartieri. Tutto questo, inevitabilmente, non fa che inasprire i rapporti tra italiani e stranieri che si vedono costantemente contrapposti e non riescono a vedersi parte integrante dello stesso contesto sociale. La strada da percorrere è lunga e tortuosa, ma parte da decisioni che non hanno nulla di rivoluzionario. Penso al fatto che, ancora oggi, un figlio di immigrati nato in Italia possa acquisire la cittadinanza italiana solo con il compimento della maggiore età. In un Paese civile non può essere accettato che vengano lasciate per strada donne e bambini Rom. In un Paese civile non può essere permesso che esponenti politici di primo piano paventino l’idea che i posti a sedere sui mezzi pubblici siano riservati ai milanesi. La destra ha strumentalizzato l’argomento sicurezza giocando con le paure dei cittadini. Chi ci ha governato fino a oggi rende la vita impossibile a quelle persone cui affidiamo la cura dei nostri cari e delle nostre case: i nostri beni più preziosi. Penso ai tanti lavori che in molti rifiutano di fare perché ritenuti poco dignitosi, quegli stessi lavori indispensabili che vengono svolti proprio dagli immigrati. Come è possibile che questa gente riesca a sentirsi parte del nostro Paese? Lavorano e contribuiscono alla crescita economica di Milano e dell’Italia ma noi non facciamo altro che imporgli doveri. È evidente che le diversità si accentuino e che a farne le spese siamo noi tutti. Il centrodestra, con le sue politiche, ha alimentato le paure e l’insicurezza delle nostra città. C’è una frase, del Cardinale Carlo Maria Martini, che racchiude e sintetizza quella che ritengo debba essere la stella polare di qualsiasi tipo di politica sociale: “Chi è orfano della casa dei diritti, difficilmente sarà figlio della casa dei doveri”.
Giovane Europa
Perché corro alle primarie come sindaco di Milano, Giuliano Pisapia Uno dei motivi principali che mi hanno indotto a prendere la decisione di partecipare alle primarie del centrosinistra è il disagio che provo ogni volta che penso che Milano potrebbe essere una delle più importanti città universitarie del mondo ma non lo è. Questa città ha tutti i numeri per essere un centro d’attrazione di livello internazionale per gli studenti. Tra l’Università degli Studi, il Politecnico, la Bicocca, la Cattolica, lo IED, lo IULM e la Bocconi, le ragazze e i ragazzi che frequentano gli atenei milanesi sono più di centottanta mila. Nonostante questi dati Milano, in questi anni, non ha mai dimostrato di voler investire su questa ricchezza e su questa vivacità. I giovani vengono respinti dalla nostra città. Per chi ci è nato è quasi impossibile ottenere la propria indipendenza e andare a vivere fuori di casa. Chi viene in città dall’hinterland, per studiare o per lavoro, non ha alcun interesse a trasferircisi. Il motivo è lo stesso in entrambi i casi: il prezzo degli affitti. I giovani che vogliono soddisfare l’esigenza della conquista della propria autonomia vengono immediatamente scoraggiati da offerte, si fa fatica a chiamarle così, che partono da 350 euro al mese per la condivisione di una stanza. Il prezzo per una stanza singola non è mai inferiore ai 400 – 450 euro mensili. Cifre assurde e profondamente ingiuste che aumentano la precarietà del presente dei nostri ragazzi e, di conseguenza, del futuro di tutti noi. Le ragioni per cui Milano non è una città universitaria non si fermano ai soli numeri degli studenti o alla quota degli affitti. Anche dal punto di vista tecnologico, dell’innovazione e dei servizi per il turismo, viviamo in una città che non tiene il passo delle metropoli più importanti
d’Europa. A Milano non esiste ancora un accesso a internet con una rete wifi pubblica e gratuita. In tutto il mondo è possibile viaggiare limitando al minimo la spesa per il pernottamento, ogni città che si rispetti è piena di ostelli nei quali per una notte non si spende più di venticinque euro. In questa città di ostelli ne esistono solo quattro, il più grande di questi, lo storico ostello della gioventù di via Salmoiraghi, avrebbe come ottimo collegamento la fermata della MM1 di Lampugnano ma nei fine settimana - momento in cui si intensifica il turismo giovanile – la metropolitana fa un numero irrisorio di viaggi e chiude prestissimo. Milano ha la fortuna di avere a pochi chilometri di distanza Orio al Serio, un aeroporto in cui arrivano centinaia di voli low cost al giorno. Non riuscire a sfruttare o, peggio, ignorare un tale patrimonio turistico, economico e d’immagine della nostra città è vergognoso. Spesso non si fa altro che ripetere che ci vogliono i grandi eventi per rendere Milano, o l’Italia, protagoniste sulla scena internazionale. A volte basterebbe saper valorizzare le tante risorse che già esistono ma che restano inutilizzate. I ragazzi sono stanchi di parole e promesse mai realizzate. La Moratti e la sua Giunta hanno completamente ignorato le loro esigenze, le loro istanze. È necessaria la realizzazione di una politica ad hoc di affitti per gli studenti, con misure che permettano costi sostenibili. Bisogna estendere gli orari di apertura delle biblioteche comunali e luoghi di studio per favorire in particolare gli studenti lavoratori portando l’apertura – oltre che al sabato – anche alla domenica. Voglio che Milano torni ad essere una città viva, accogliente, che possa garantire opportunità.
La sistematica repressione adottata dalla giunta Moratti è una delle cose che più mi inquietano del modo di amministrare questa città. Per qualsiasi cosa, che si tratti della sicurezza dei cittadini o dei disagi che, in alcune zone, genera la vita notturna, la risposta è sempre e solo una: il divieto. Il sistema, aggressivo e ottuso, comincia con il sindaco Albertini. È con lui che Milano ha iniziato a conoscere cancelli, barriere e proibizioni. D’altronde, non ci si può aspettare molto da un centrodestra che per quindici anni ha affidato a Riccardo De Corato un incarico importante come quello di vicesindaco. Uno sceriffo, più che un amministratore. In questi ultimi anni abbiamo subìto la recinzione di Piazza Vetra, le transenne attorno alle Colonne e al sagrato della Basilica di San Lorenzo, la “chiusura” della collinetta del Mom di viale Montenero. Tutti luoghi in cui diverse generazioni di giovani hanno amato incontrarsi e conoscersi. Centri di aggregazione all’aria aperta che si ritrovano in tutte le più grandi città d’Europa. Luoghi che la destra sta tentando di cancellare dalla nostra città. Dopo le due di notte di un qualsiasi sabato sera i ragazzi non sanno dove andare perché trovano tutto chiuso. C’è il coprifuoco. Questo è indegno di una città che conta quasi duecentomila studenti affamati di vita. Il problema della cosiddetta “movida” esiste, è innegabile. I cittadini che abitano nelle zone più frequentate nelle ore notturne hanno il diritto di vivere serenamente nei propri quartieri, e un’amministrazione comunale seria ha il dovere di garantirglielo. Il punto è che le giunte che si sono succedute in questi ultimi 17 anni, non hanno mai coinvolto e valorizzato le tante zone di Milano che possono trovare una concreta alternativa ai quartieri in cui si affollano bar e locali. Le giunte di centrodestra, come spesso avviene, hanno evitato di affrontare la questione, isolando i quartieri che potrebbero garantire una maggiore diversificazione, e ghettizzando e limitando le aree in cui i giovani confluiscono per distrarsi e stare in compagnia. La destra non è mai riuscita a fare proposte diverse, non ha investito in eventi culturali, non ha investito nello sport, non ha sfruttato le enormi potenzialità che Milano ha e deve poter esprimere. Mi piacerebbe che i milanesi possano essere fieri della propria città, che i turisti rimangano conquistati dalla sua bellezza. Milano merita molto di più dei vent’anni di politiche deprimenti del centrodestra.
Ingredienti per una decina di persone 1 kg di cozze 750 g di riso (parboiled è più paraculo e si rischia meno di fare effetto pappa ma ovviamente è sempre meglio qualcosa tipo arborio, s.andrea o carnaroli) 750 g di patate 1 grossa cipolla (ma anche 2 non ci stanno male) un bel mazzetto di prezzemolo 3 o 4 pomodori maturi (in mancanza van bene pelati) 150 g di pecorino stagionato grattugiato olio evo, sale e pepe qb
Vicino al palazzo del ghiaccio in zona est città studi, di fronte al palazzo di via lomellina che esplose per il gas, sta un’antica cooperativa di svago e ristoro cui è stato dato di recente un nuovo impulso.
In realtà questo è un piatto che come la cugina paella è estremamente flessibile e ha almeno tante ricette quante sono le mamme baresi! Per cominciare si puliscono bene le cozze e le si lascia in abbondante acqua. Si pelano le patate, le si tagliano a fette sottili ma non trasparenti e le si mette in ammollo. Se il riso non è parboiled è il caso di sciacquarlo bene e lasciare pure lui almeno 10 minuti sott’acqua (senza però esagerare che se no poi cuoce in troppo poco tempo). A questo punto viene la parte più sbattimento che consiste nell’aprire le cozze con un coltello eliminando da ciascuna una valva (mezza conchiglia). Per velocizzare l’operazione si possono mettere le cozze sul fuoco come per fare un impepata e spegnere quando cominciano ad aprirsi. In entrambi i casi bisogna fare attenzione a recuperare tutto il liquido che esce dai simpatici molluschi. Una volta che tutto è pronto tritiamo la cipolla e ne depositiamo un po’ sul fondo di una grossa teglia (la tiella del nome della ricetta). Poi mettiamo uno strato di patate, poi uno di riso, poi uno di cozze, un po’ di pomodoro, prezzemolo e cipolla, poi del pecorino grattato. A questo punto si riparte con un altro strato, finendo il tutto con pomodoro, prezzemolo e pecorino (l’unico tricolore che mi commovue sempre). Si olia e si sala man mano che si fanno gli strati facendo attenzione a non eccedere col sale visto che cozze e pecorino fanno la loro parte. Per finire si filtra l’acqua delle cozze e la si versa, si copre tutto con acqua fredda e si inforna ad almeno 180 gradi per 45 minuti. a questo punto bisogna avere solo un po’ di pazienza. Col primo boccone è caldamente consigliato un brindisi ai pittori, alle orche baresi e ai veri cavalieri...
Aperta tutti i giorni, tranne la domenica, la coop alterna aperitivi giovanili di massa a iniziative culturali e politiche, tutte ben organizzate e mai stantie in questo locale composto da un bar vintage con un banco solido, birre crude e vini nostrani, un corridoio-vestibolo con poltrone che sbocca nell’ampia sala tinta di rosso, con pavimenti in marmo, tavoli di legno scuro e un dispensario che ha cent’anni e che contiene le posate.
Stiamo parlando della Cooperativa La Liberazione, fondata dai partigiani in quel turbinoso e radioso aprile 1945 e arrivata sino a noi inalterata nello spirito battagliero e garibaldino. Grazie alla nuova gestione di tre amici noglobal, oggi la cooperativa attira gli impiegati in cerca di un pranzo a buon mercato e di un break dalla routine dell’ufficio e gli amanti della buona forchetta, della buona chiacchiera e del buon vino all’aperitivo come alla cena.
Mentre gli altri spazi della sinistra a Milano o appartengono agli under40 della cultura alternativa o a pensionati che non sanno far di meglio che giocare a scopa e a bocce, qui le generazioni si mescolano e incanutiti militanti scambiano flussi di opinione con ironici attivisti sopravvissuti a decorato. Non a caso è qui che Pisapia ha fatto una delle sue prime apparizioni durante la campagna delle primarie. Con 10 euro a pranzo si mangia bene, con 20 euro a cena si ha un banchetto luculliano. Il martedì e i giovedì accorrono moltitudini giovanili, tanto che i soliti vicini rompicoglioni si sono lamentati. Ricordate che il lunedì c’è il pranzo e l’aperitivo ma non il ristorante per cena. La Liberazione. Sì, dalla fuffa fredda e fighetta che ci assedia a Milano. Cooperativa La Liberazione, via Lomellina, 14 (+39) 0270123341
KRITIKAL by Cauz
Troppi tacchi a spillo hanno affollato questa edizione di MiTo, e non è una questione di puzza sotto il naso, ma di costruzione di un ambiente adeguato. La serata conclusiva milanese, quella più interessante grazie alla presenza del geniale Señor Coconut, era ribattezzata “Music meets fashion”, con sponsorizzazioni di moda ovunque, red carpet per i buttafuori e distribuzione di prosecco del discount (ma su questo non ci si lamenta). Se poi il tutto va ad accompagnare un live distrutto da tal Argenis Brito, l’unico cantante che riesce ad abbinare mancanza di voce a stonature e pessima presenza scenica, il castello vacilla sempre più. Era necessario? Non ci siamo già dovuti sorbire anni di Esterni e fiere varie in cui la musica ha dovuto incontrare (e sottomettersi) qualsiasi porcata dal design alle automobili? Non sarebbe ora di pensare, finalmente, a una semplice “music meets listeners”? E non è MiTo ad avere la giusta autorevolezza per questa piccola prova di forza? Probabilmente no, ed eccoli i compromessi, quelli di una città in cui per sfuggire ad una piovra bisogna abbracciarsi ad un polpo, dove servono gli showroom degli stilisti per uscire dalla muffa dei teatri. È un segnale di debolezza per MiTo, ma anche la sfida per il suo futuro. Milano non è il mortorio che vediamo, sotto sotto batte ancora un cuore desiderante. Nella città delle feste dell’electro berlinese, arriva il boom dei concerti jazz, per i dervisci rotanti, ma pure per l’omaggio a Donatoni al Conservatorio o addirittura per il live di Phill Niblock, 3 ore di drone-music atonale, in cui va detto che il pubblico si va riducendo da 300 a 30 persone, ma c’è. E diventa curioso osservare come ad operare questa cesura sia una rassegna su cui il Comune investe parecchio (e se ne vanta ancora di più); quella stessa amministrazione che può essere considerata in buona parte responsabile dell’immobilismo milanese. La sfida non è solo per la crew di MiTo quindi, quanto per il Comune stesso: la sfida è quella di apprendere dalla lezione di questo tentativo vincente, e riportare lo spirito di MiTo (sperando in una crescita nella qualità a tutto tondo) nella quotidianità di Milano. Un “MiTo diffuso”, in grado di valorizzare le esperienze virtuose che già esistono in questa città, ma si trovano soffocate dalla dittatura burocratica e dai coprifuoco. O ci sarà qualcuno in grado di raccoglierla, questa sfida, oppure, come ogni mitologia, diventerà noiosa leggenda e nulla più.
LIMITS OF CONTROL by Led
“¿Usted no habla Español, verdad?” L’ultimo film di Jim Jarmusch, The Limits of Control, non ha inspiegabilmente distribuzione in Italia ma fortunatamente è reperibile in rete. Il film ha aperto l’ultima edizione del Milano Film Festival ma per chi che non l’avesse visto in quell’occasione vale la pena fare una ricerca sui propri canali peer-to-peer di fiducia. E’ un film politico che racconta la storia di un killer americano in missione in Spagna per conto di un’organizzazione internazionale. Il suo obiettivo è un pezzo grosso, talmente grosso da essere un simbolo del potere che esercita e rappresenta, per questa ragione vive blindato sottoterra e protetto da ogni tipo di sofisticata tecnologia e come un simbolo va eliminato. E’ la storia dell’ossessione: ognuno dei personaggi che il killer incontra e con cui viene in contatto ha come elemento salvifico una propria fissa: che sia la musica, il cinema, la fisica molecolare o gli allucinogeni. Ed ossessessiva è anche la ripetitività circolare della struttura del film, per cui il killer prima di ogni incontro si reca al museo Reina Sofía a contemplare un quadro che è anticipazione del prossimo incontro. A un tavolino di un bar egli prenderà due tazzine di caffè e scambierà un pacchetto di fiammiferi con il suo interlocutore, e via così di fissazione in fissazione. Il film è un inno alla fantasia al potere: ogni costruzione minuziosa viene stravolta da elementi incontrollabili. Come ci anticipa una delle scene iniziali, quando il killer si prepara meticolosamente tramite esercizi di meditazione e cercando un abbigliamento il più anonimo possibile ma appena arriva in Spagna un gruppo di ragazzini lo ferma e gli chiede: “Ma tu sei un killer americano?”. The Limits of Control è un film composto da referenti e citazioni, le inquadrature dipendono dai quadri, metacinema e allusioni alle altre arti. Sono presenti diversi elementi del cinema di Jarmusch: l’uomo con la valigia, gli oggetti che parlano di noi, in questo caso il furgoncino con su scritto “La vita no vale nada”. Nessuno ha un nome ma solo soprannomi, il protagonista si chiama LoneMan e i personaggi che incontra sono la Bionda, la Nuda, e l’Uomo con la Chitarra. La fotografia è di Christopher Doyle (il DP di Wong Kar Way) e si può quindi dire che The Limits of Control è un film su uso e linguaggio dei colori freddi. Tanto per concludere in bellezza. No Limits, No Control.
Il Carroponte che è stato
QUESTA SETTIMANA
GIOVEDI’
PARCO TROTTER via Giacosa 46
CASA 139 via Ripamonti 139, ore 21,30
Al Parco Trotter sono partiti, come ogni anno, i corsi: musica, circo e danza per bambini dai 9 ai 14 anni per formare l’ ORCHESTRILLA DI VIA PADOVA. L’Obiettivo è quello di costituire un’orchestra musical-circense ovviamente multietnica per la festa di via Padova 211. info@orchestradiviapadova.it
Golden Stage Night con MIMES OF WINE. «Una Pj Harvey italiana», come la definiscono siti e riviste di musica indie. Tra languori noir e spersa irrequietudine il songwriting di Laura Loriga dall’apporto di musicisti come Enzo Cimino, Adriano Modica, i due Juniper Band, Francesco e Zeus (5 euro+tessera).
Siamo partiti a giugno con la promessa di far riscoprire alla cittadinanza un gioiello di architettura industriale come il Carroponte e di diffondere cultura a prezzi accessibili, scommettendo sulle potenzialità di un luogo unico per atmosfera e valore storico e ora, a quattro mesi di distanza, possiamo affermare di essere riusciti nell’intento. Grazie ad un’offerta culturale di alto livello (si sono alternati sul palco artisti come Afterhours, Baustelle, Gogol Bordello, Elio e le Storie Tese, Yann Tiersen e Roy Paci) e ad una politica di prezzi accessibili (64 serate ad ingresso gratuito su 103 serate di apertura; prezzi contenuti, massimo 15€, per i nomi di richiamo), in soli quattro mesi Carroponte è diventato uno dei più interessanti poli di aggregazione di Sesto e dell’area metropolitana milanese imponendosi, in un tempo brevissimo, come uno dei luoghi più frequentati della Provincia. Carroponte in numeri: oltre 100.000 presenze di pubblico, 76 serate di musica dal vivo, 120 gruppi musicali che hanno suonato dal vivo, 60 dj set, 22.000 litri di birra venduti. Per questo Carroponte ha meritato la Targa Mei 2010, il premio per il miglior live club assegnato ogni anno dal Meeting degli Indipendenti, che quest’anno raduna le migliori produzioni indies italiane a Faenza dal 26 al 28 novembre.
Il Carroponte che sarà
Tracciato un bilancio della stagione estiva, stiamo mettendo a punto il programma relativo alla stagione invernale e alla stagione 2011, insieme al Comune di Sesto. Tra gli spunti di riflessione: riorganizzare gli spazi nella prospettiva di un Carroponte che non diventi “eventificio”-come dice Emanuele Patti, presidente di Arci Milano- ma un luogo di aggregazione e di fruizione aperto alla musica, ma anche alle performance teatrali, alla danza, alle esposizioni d’arte, alle videoproeizioni. Un luogo attento al territorio, alla sua storia e alle sue risorse, che sia anche luogo di aggregazione. “Se è vero che in molti dai giovani alle famiglie hanno frequentato il Carroponte senza sapere bene cosa si proponesse quella sera, vuol dire che abbiamo colto nel segno- sottolinea Patti- e dobbiamo proseguire per questa strada”. In secondo luogo, ci proponiamo di dedicare un’attenzione maggiore alla ristorazione con uno sguardo alla produzione biologica e di qualità, e infine stiamo lavorando su un’idea di accessibilità al Carroponte che privilegi la sostenibilità ambientale e favorisca una mobilità più pulita. (Arci Milano)
SABATO, MILAN NOEUVA, via Pascoli 4: stage di danza afro con Ismail Bangoura (30/50 euro) + CENA (5 euro+tessera).
DOMENICA, BITTE, via Watt, ore 21: DUB TRIO live. Elettrosound psichedelico, heavy metal, jazz, punk, heavy rock, dub.
LUNEDI’, CASA 139, via Ripamonti 139, ore 21,30: Debora Petrina, cantante, pianista, autrice (5 euro+tesera).
La Settimana Arcimilanese GIOVEDI’ 14 BITTE, via Watt, ore 22: “Il barbecue del panda” presentazione del nuovo libro di Giovanni Robertini (solo tessera Arci). MARTIRI DI TURRO, via Rovetta, ore 21,30: all’interno della rassegna “I GIOVEDI’ DI TURRO” MADDALENA CAPALBI presenta le sue poesie e il laboratorio di poesia che coordina presso il carcere di Bollate (solo tessera). VENERDI’ 15 BITTE, via Watt, ore 21: REALCORE, La rivoluzione del porno digitale. Presentazione del libro di Sergio Messina (solo tessera). CASA 139, via Ripamonti 139, ore 21,30: CANADIANS. Fall Of 1960’s. Nuovo nella scrittura e registrazione dei brani, nuovo negli arrangiamenti (mandolino, banjo, violini, pianoforti, glockenspiel, chitarre acustiche). Il disco della piena maturità artistica (5 euro+tessera). METISSAGE, via Borsieri 2, ore 22: Davide Genco & Progetto Luogo Comune, chitarra elettrica e acustica, loop station. SABATO 16 METISSAGE, dalle 8 alle 12: Mercatino biologico. BLOB, via Arcore: “Gli Imbroglioni”, Davide Genco, Il cantautore psichedelico Dario Antonetti e l’inossidabile Orchestra Valsecchi al vostro servizio BERZO SAN FERMO (Bg), Biblioteca civica, ore 16: “La Fantastica storia di Laviniam”, spettacolo di Narrazione animata in musica con Carla Taino, Graziano Gatti e Roberto Frassini Moneta, all’interno del FESTIVAL “FIATO AI LIBRI”. DOMENICA 17 BLOB, ARCORE, via Arcore, ore 14-17: ballo liscio e aperitango. MERCOLEDì 20 CASA 139, via Ripamonti 139, ore 21,30: INDI(E)AVOLATO NIGHT con MAMBASSA, opening act FILIPPO SABATINI (6 euro+tessera) METISSAGE, via Borsieri, ore 21: READING@METISSAGE, presentazione del libro di Andrea Monti (solo tessera).
VENERDI’, TEATRO LA SCALA DELLA VITA, via P. De Bianchi 43, ore 21: SHISHI GAMI, “Danza il teatro”(10/15 euro+tessera)
Alba
Venerdì 15
Sabato 16
@ SOS Fornace
@ Papiniano Mercato zona 1
Rho v S. martino 20 colazione antisgombero
10:00
@ Palazzo Reale pza duomo Salvador Dalì
11:00
@ Uni Cattolica v necchi 9 CIclomobile
12:00 13:00
@ Govinda v valpetrosa 5 Pranzo
14:00 15:00 16:00 17:00 18:00 19:00 20:00 21:00 22:00 23:00 00:00 Notte
@ Ecomuseo Urbano v Cesari 17
@ Ciclofficina ex stecca v castillia 21 11.00/19.00
Domenica 17
Lunedì 18
@ SOS Fornace
@ Palmi Mercato zona 7
Rho v S. martino 20 colazione antisgombero
@ Leoncavallo v watteau 7 Torneo Bike Polo @ Circo di Mosca piazzale cuoco viale puglie
Martedì 19 @ SOS Fornace
Rho v S. martino 20 colazione antisgombero
@ Frida v pollaiuolo Brunz
@ Rattazzo v vetere Spritz
@ Margyburger pza S. Stefano Panino
@Biomercato Torchiera Pranzo
@ Mongolian v monte nero 62 Barbecue
@ Spazio FORMA Robert Doisneau pza Tito Lucrezio Caro 1 @ Dai Burini v poggi bonsi 14 Pizza
@ Senigallia @ Spazio Oberdan @ statale Banchetto vittorio Veneto 2 v festa perdono Fumetti Il Dubbio kubrick L’urlo del Giullare Stecco e Santo Franca Valeri @ Cox18 @ Ambulatorio @ Scuola scuola dei pirati medico popolare v Branucci festa bimbi v dei transiti 28 concerto con merenda 15.30/19.00 The Sonic @ Jahmekya @ Ciclofficina @ Arci Bellezza @ Ambulatorio Babaman Unza Fondata medico popolare Raggasonico niguarda sul lavoro v dei transiti 28 incontro con i fan 16.00/19.00 mostra collettiva 16.30/19.00
@ Triennale @ Spazio Oberdan @ Circo di Mosca v alemagna 6 Alda Merini Bicycle Una donna sul Film Festival palcoscenico @ Forum Assago @ Libreria Utopia @ Teatro PimOff @ There is no Think Tank Presentazione v selvanesco 75 place like home Music Festival della raccolta Milano Oltre v coldilana 4 ‘Primo Maggio’ citofon 28c @ Triennale @ Spazio Oberdan @ Triennale @ Bitte @ Leoncavallo v alemagna 6 film Bicycle assemblea Aula studio Bicycle Il corridoio della Film Festival cittadina con aperta la sera Film Festival paura 19.30/21.30 Valerio Onida 19.30/23.30 @ Polpetta da @ Biblioteca @ Cox18 @ Leoncavallo @ Magazzini Rattazzo Chiesa Rossa scuola Scuola di italiano Generali incontro con bene comune per migranti Korpiklaani + EluFamiglie Rom aperitivo cena 20.30/22.30 veitie + guest @ Spazio Oberdan @ Gheroartè film Corsico Due o tre cose Blastula che so di lei Experimental @ Bitte @ Bitte concerto concerto Shanty Town Dub trio another ska-rocksteady sound is dying! @ Cox18 @ Zoom Bar concerto + dj v p castaldi 26 I Maniaci dei Reggae Night dischi
@ Freak Bar v bertani 16 Psyco Disco a Park Party @ Alcatraz v valtellina 25 2nd Hip Hop Birthday Party
@ Arci Groove Rozzano concerto HERBADELICI @ Spazio Antologico Urban Velodrome Party
@ Conservatorio concerto Piotr Anderszewski @ Torchiera Odio i lunedì Banda degli Ottoni + giocoleria
Giovedì 21
@ Vespri Siciliani @ SOS Fornace Rho v S. martino 20 Mercato colazione zona 6 antisgombero
@ Museo Arte e @ Amy-D Arte @ NABA Scienza Spazio v C. darwin 20 ingresso gratuito Economia libidica Caffè ott/nov 2010 l’arte di amare NABAR @ PoliBovisa @ Statale @ Bicocca v durando 10 v celoria 26 pza ateneo nuovo CIclomobile CIclomobile Ciclomobile
@ Parco Trenno Taichi
@ Leoncavallo Iniziativa antimafia + concerto A67 @ Pini v ippocrate 45 Four by Art in concert @ Cox18 concerto + dj NIGHT FOR THE DEAF
Mercoledì 20
@ PAC FRANKO B. I STILL LOVE museo @ Politecnico v carlo pascal Ciclomobile
@ Massawa v sirtori 6 Pranzo @ Osteria vecchi sapori v carmagnola 3
@ Parco Sempione Pic Nic
@ Ciclofficina ex stecca v castillia 21 15.00/20.00 @ Ciclofficina Ruota Libera v celoria Facoltà Agraria @ Ambulatorio medico popolare v dei transiti 28 17.30/19.30 @ Magafurla aperitivo v Roberto Cozzi 48 @ Tunnel concerto Pulled Apart By Horses
@ Cantinetta pza archinto Birra @ Arci Bellezza v bellezza 16 cena
@ Forum Assago @ Tunnel concerto v sanmartini Carlos Santana ANTI-FLUG @ Salumeria v pasinetti 4 Luca Gemma Folkadelic Live @ Rocket v pezzotti 52 Fresh! party universitario @ Zoom Bar v p castaldi 26 Reggae Night
@ LaCasa139 v ripamonti 139 SORRY OK YES concerto @ Ligera v padova 133 Come sono buoni i bianchi @ Atomic bar Razzputin Rules v casati 24 @ Leoncavallo Hempy Thursday
@ Toilet Club v lodovico il Moro Lorenzo Lsp House e disco
@ Cost v speri 8 Popstarz
Questa volta i metalmeccanici non ballano da soli. Ne parliamo con Maria Sciancati, segretaria generale della Fiom di Milano, a due giorni dalla grande manifestazione nazionale di Roma. Sarà un banco di prova per tutti coloro che, orfani della politica, cercheranno di sperimentare una piazza nuova e diversa che si oppone alla cancellazione dei diritti, e che ormai va ben oltre la sacrosanta difesa del contratto nazionale di lavoro. Purtoppo, anche gli avvoltoi ne sono consapevoli. Molti ormai riconoscono che la Fiom, dopo la vicenda Pomigliano, è l’unica forza organizzata del paese capace di fare da argine alla mortificazione della democrazia, questo anche grazie o per colpa del vuoto pneumatico della politica. Un ruolo delicato e anche difficile da gestire. Come ci si ritrova in compagnia di persone che non necessariamente hanno a cuore solo le sorti delle tute blu? Ci troviamo molto bene in questo ruolo, anche perché da due anni stiamo lavorando proprio per ricoprirlo. Siamo nel pieno di uno scontro gravissimo e il tentativo di far saltare il contratto nazionale di lavoro serve proprio a portare un attacco ai diritti di tutti e alla democrazia di questo paese. Far saltare il regolatore della mediazione, che è il contratto nazionale, significa portare un attacco a tutta la società, significa voler imporre un modello sociale che costringe tutti alla precarietà, e non solo chi lavora nelle fabbriche. Sono convinta l’abbiano compreso anche molti soggetti che per troppo tempo ci hanno guardato come estranei, se non addirittura con ostilità. Dunque ragazzi e ragazze precarie, studenti, una variegatà umanità di sfruttati che non hanno mai visto un contratto, si stanno accorgendo che la Fiom è viva e vegeta. Questo per il sindacato potrebbe essere il momento giusto per uscire dall’angolo ed evitare che certe rivendicazioni agli occhi dei più significhino poco altro che conservazione dello status quo: ci sono persone che non possono nemmeno sognarsi di scioperare per non perdere il diritto di sciopero... Come si fa? Come si aggiornano linguaggi e strumenti per uscire dalle fabbriche? C’è di più, la Fiom ha anche la necessità di unire tutte le lotte che sono in corso in Italia, penso agli studenti, agli insegnanti che sono rimasti senza lavoro, alla scuola che è sotto attacco ed è il perno di un paese che si vuole democratico. Come tenere questi soggetti tutti insieme? Credo che la parola chiave sia dignità, dobbiamo lottare affinché alle persone venga ridata dignità. Nella Fiom da almeno due anni abbiamo individuato la necessità di parlare anche d’altro, di interrogarci su un nuovo modello di sviluppo, di domandarci quale paese vogliamo. Bisogna ragionare su un modello di sviluppo che sia compatibile con l’ambiente e con i diritti
solo un caso particolare. La verità è che la situazione è molto complicata, anche perché c’è una totale assenza di azione dal punto di vista politico contro questo governo. Ora, siccome lei dice che siamo arrivati al punto in cui la democrazia è messa in discussione, con quali forze e in che modo è oggi possibile resistere a tutto ciò? Alla sistematica violenza non solo verbale di un sindaco che sfregia la scuola o di un ministro degli Interni che calpesta il diritto dei bambini di andare a scuola, o di centinaia di migliaia di persone che non troveranno mai un lavoro degno di questo nome?
“Sfidiamo la politica” delle persone, e in questo modo credo che la Fiom possa farsi sentire anche fuori dalle fabbriche. Ho fatto decine di riunioni... noi parliamo con i disoccupati, con gli studenti, tutti sono interessati a ragionare su come uscire da questa crisi, credo proprio che moltissimi abbiano compreso di cosa stiamo parlando. Cosa si sta muovendo da Milano in vista della manifestazione di dopodomani a Roma? Tantissime persone verranno con noi. Il nostro treno è già pieno e sono 900 posti, dieci pullman sono già tutti prenotati e so che altre categorie della Cgil si stanno attrezzando per raggiungere Roma. In più, molti si organizzeranno per conto loro, so di spezzoni che provengono dal mondo della scuola. Sono segnali rassicuranti e poco consueti, Milano è una città difficile. Credo proprio che dovremmo tutti quanti ringraziare i lavoratori di Pomigliano, la loro grande manifestazione di dignità – aver risposto “no” al 40% al diktat della Fiat – è stata una lezione per tutti. In queste settimane, dal Corriere della Sera a la Repubblica, gli avvoltoi hanno cominciato a volare alto. Sembra che il rischio terrorismo sia dietro l’angolo e dentro ogni uovo spiaccicato. Siete consapevoli che dopodomani a Roma non sarete gli unici a scendere in piazza?
Lo sappiamo perfettamente. Ovviamente in questi giorni stiamo facendo di tutto e di più – anche mobilitando il nostro servizio d’ordine – per cercare di spiegare che non abbiamo bisogno di sentirci dire che nel nostro corteo “c’erano i terroristi”. Ma so bene l’aria che tira. Cisl e Uil hanno appena manifestato a Roma dicendo che erano in 100 mila... ma questa volta non ho mica sentito le cifre della questura dire che era una balla! Ma sono ottimista, i nostri sono pronti. Ovvio che la nostra manifestazione è aperta e tutti, e noi cercheremo di impedire che qualcuno ci danneggi. Non trovi incredibile che dopo decenni di totale abbandono delle pratiche violente da parte dei movimenti, questi ultimi, ancorché agonizzanti, si trovino ogni volta a dover rispondere all’accusa di terrorismo a mezzo stampa? Sì, è vergognoso. Sia ben chiaro, io non andrei mai a tirare le uova o a fischiare a un comizio, ma bisogna che tutti sappiano una cosa: le persone sono veramente incazzate. Dopodiché io invito tutti a ragionare sul fatto che anche il più piccolo incidente giova a chi vuole impedire ogni tipo di contestazione. Quanto a me, io non ho dubbi: credo che rispetto a un uovo sia molto più violento un Bonanni quando grida uno-cento-mille Pomigliano dopo aver detto che quello sarebbe stato
Difficile rispondere in poche battute... Molti dicono che la Fiom vuole sostituirsi alla politica, io dico invece che noi stiamo sfidando la politica. Chi si candida a mandare a casa Berlusconi ha il dovere di dire se ha un progetto di società alternativo al suo. E deve essere chiara una cosa: in questo paese non si può rappresentare tutti, bisogna scegliere. I lavoratori sono sconsolati e ci dicono meno male che ci siete voi. La Fiom non sta solo resistendo, sta proponendo. Il Pd, per esempio, invece di andare a Busto Arsizio per scoprirsi leghista, o di darci dei violenti, si interroghi su queste questioni fondamentali. Dopodomani, a Roma, potrebbe non essere una passeggiata. La Fiom ha le spalle abbastanza larghe per non farsi sopraffarre da questa scandalosa contrapposizione tra “violenze”, oppure c’è il rischio ancora una volta di finire all’angolo per un uovo o un fumogeno? Se uno tira un uovo cosa devo dire? Che non fa male, e al massimo ti sporca. Comunque noi sapremo vigilare. Conosciamo il rischio e le strumentalizzazioni fatte ad arte. Non ci metteranno all’angolo.
MARIA SCIANCATI è nata a Conselve (Pd) il 28 novembre 1951. A 17 anni entra come operaia alla Borletti e si iscrive alla Fiom. Dal 2000 è sindacalista e dal 2005 è segretaria generale della Fiom Cgil di Milano.