MilanoX_22

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La bicicletta nuda, calda, liscia, con l’incarnato colore del vino, bella, docile o scattante, dolce o ultimativa come una vipera che scappa via mordendo la strada. Perché spogliata di tutti gli orpelli la bicicletta è uno degli oggetti più sexy su cui l’uomo (e la donna) abbiamo mai messo le mani, e appoggiato il sedere. Paolo Bellino, in arte Rotafixa, ne ha spogliate e fatte di tutti i colori, e adesso, visto che selle, telai, pedali e pignogni se li sogna anche di notte – e devono essere dolcissime discese notturne – ha deciso di togliere una dimensione alle sue creature. La terza. Ecco perché, senza appiattirsi, è approdato all’arte figurativa. Dipinge. Naturalmente biciclette, e adesso i suoi quadri sono esposti nei locali dell’Erberia di via Maddalena, fino al 27 novembre.

Da cosa lo riconosci? Dalla pedalata. E’ rotonda e quando frena alza leggermente il culo, in parte perché non è capace. Girano biciclette molto belle, li vedo i ciclisti urbani con lo sguardo fiero, pedalano e si sentono eroi della strada, aggressivi... insomma adesso non mi dirai mica che sono tutti figli miei? Beh, insomma... la degenerazione della specie.

Perché la mostra si intitola BikeseXual? L’idea di dipingere mi è venuta quando mi hanno rubato una mia storica bicicletta, la adoravo, l’avevo fatta nuda, essenziale, nella logica dell’estetica a scatto fisso, come dite voi a Milano (a Roma diciamo ruota fissa), che poi è il frutto di una continua sottrazione. Mi avevano tolto la bici e allora mi sono detto che io avrei potuto togliere una dimensione, la terza: ecco perché sono arrivato alla pittura. Secondo me la bicicletta si presta tantissimo ad essere dipinta su una tela, è un oggetto sensuale e sensualizza chi la usa, pedali e riesci a stare bene e ad essere costantemente caldo. Per me la bicicletta è erotismo puro. A proposito di eros. A Milano, con il boom delle bici a scatto fisso, ormai si vedono tante ragazze in sella che pedalano come per affermare un principio che a occhio ha ben poco a che fare con la mobilità urbana. Sono toste, pedalano da sole (ovvio), sembrano inavvicinabili, insomma noi poveri sfigati eterosessuali ci siamo capiti... Sì, è vero, anche a Roma, ma vedo che a Milano attorno alla bicicletta si stanno sprigionando energie pazzesche, incredibili. Le ragazze sono meravigliose, alcune le vedi e rischi di cascare per terra. Vedere una ragazza che mulinella le gambe con regolarità e grinta è una sensazione molto piacevole, molto più esaltante che incrociare una tipa inscatolata in una Smart che magari ti fa il dito medio dal finestrino. Lo ammetto, io sono un ciclista hard-core e per me le ragazze che pedalano sono come un’apparizione, spero solo che per loro sia la stessa cosa quando guardano noi. Nel nostro piccolo del resto è anche facile incontrarsi, a volte i fan dello scatto fisso si ritrovano in qualche città, non si sono mai visti prima ma sanno tutto uno degli altri grazie agli scambi con la rete, facciamo tribù, ci si riconosce al volo e non è che poi finiamo sempre a parlare solo di traffico... magari di nuove tecniche per costruire le bici, insomma siamo un po’ fissati. Davvero sei tu l’inventore della scatto (o ruota) fissa? Inventore è una definizione impropria, però... insomma il primo a rompere le palle a tutti con la scatto fisso sono stato io. Direi che questo lo posso rivendicare.

Ma no, chiamiamole bambinate. Ci sono anche aspetti positivi. Una volta un ragazzo che voleva fare il figo sognava di farsi il decapottabile, se oggi si fa una fissa in fondo è un passo avanti. E poi la bici fa bene. Pedalando si sta meglio. Io ho sempre fatto sport ma da quando vado in bici la mia pressione si è abbassata, mica male quando arrivi intorno ai quaranta: era 120/80 è 120/60. Cosa vuoi di più? Comunque quello che sto facendo non è lo sfruttamento di una moda, non ho dipinto biciclette perché è un prodotto che tira. Io mi definisco un bike-minded, io la notte sogno biciclette.

Sella di Notte Qual è la bicicletta della tua vita? Le più importanti sono tre. Una l’ho fatta semplice semplice, praticamente nuda. Si chiama Lucia Zen, ha un telaio Olmo verniciato di bianco con microfibre sparse di vetro. L’anno successivo, nel 2003, è scattata la scintilla, la prima scatto fisso. Non sapendo cosa togliere per restituire essenzialità alla bicicletta ho deciso di fare a meno del freno a espansione. All’inizio ero perplesso, perché avevo eliminato qualcosa ma nello stesso tempo per frenare ero costretto a fare più fatica. Ricordo ancora che la prima pedalata è stata una frustata al cuore, ma di felicità. Il telaio era ferro a vista con una punta di lucido mescolato col vino, per la diluizione ho usato un dolcetto del 2001. Poi la terza, la mia preferita. Si chiama Ferro d’Agosto, perché l’ho costruita a ferragosto. Quella è la bici perfetta, per me. L’ho calibrata sulle mie misure ed esigenze, è piccolissima, compatta. In strada è una vipera, fai una pedalata e ti schizza via la pelle. Lei è il mio amore definitivo. Nel farsi la bicicletta da sé non intravedi il tentativo giocoso di riappropiarsi di una manualità troppo a lungo repressa? E’ una tendenza che non riguarda solo le bici. Direi che tutto ciò è molto umano, per troppo tempo abbiamo usato solo il cervello e il pensiero è stato preponderante, così abbiamo perso la manualità e credo che oggi usare le mani significhi proprio ritornare ad una sanità mentale che ci sta venendo a mancare. Costruirsi una bici è un processo creativo molto po-

tente, farsela da sé è un’azione che porta gioia, non è come ideare una lampada. In bicicletta ci vai, la bici vive con te, ci sali sopra... e poi è un mezzo che oltre a farti stare meglio contribuisce a farti risparmiare denaro. E’ il mezzo più economico. Che significato attribuisci a questo ritorno all’essenzialità del mezzo meccanico, alla ricerca di funzioni sempre più ridotte all’osso? E’ un segnale in qualche modo politico? La bicicletta, intanto, nasce dall’opera collettiva degli uomini, non esiste un inventore della bicicletta. Ed è un’invenzione molto semplice, direi semplicissima. Credo che la ricerca della semplicità sia il frutto, o l’esito finale, del frenetico lavoro del nostro cervello. Alla fine di un processo si arriva sempre lì, alla semplicità. Guarda il barocco, per esempio, oggi l’idea del barocco rimanda a qualcosa di esteticamente poco apprezzato, è quasi sinonimo di kitsch. Obiezione di un ciclista che non si convertirà mai alla scatto fisso. Soprattutto qui a Milano è troppo di moda, i nuovi ciclisti urbani se la tirano di brutto e la ricerca ossessiva dell’estetica è diventata preponderante, come tutto quello che si muove in questa città. Che dici? Allora fatti una scatto fissa anonima, senza tanti fronzoli. Magari non come a Milano, ma li vedo anche a Roma quelli che se la tirano quando pedalano. Infatti adesso giro con una bici poco appariscente. Il modaiolo lo riconosco al volo, mi basta dargli un’occhiata al semaforo.

Lo sai che sei un po’ fuori? Si, lo so. Ma non faccio male e nessuno. In fondo sto parlando di un utensile che ci porta a spasso. E’ in corso una guerricciola piuttosto meschina contro i ciclisti maleducati. Da una parte i giornali continuano a pubblicare lettere di presunti pedoni infuriati, e dall’altra il sistema sta cercando di normare uno stile di mobilità urbana che fin dai tempi di Lombroso è stato guardato con molto sospetto. Cosa ne pensi? Questo paese, ed è la storia d’Italia, è stato governato per un secolo dalla cultura dell’automobile (targata Fiat). Credo che istintivamente ci sia qualcuno che non vuole l’indipendenza delle persone, anche quando si mettono semplicemente in sella a una bici. Perché siamo pericolosi, la ciclistizzazione del paese è vista come un pericolo e così cercano di mettere i deboli contro i deboli, cioé i pedoni contro i ciclisti. C’è stato anche un tentativo maldestro (magari in buona fede) di utilizzare il codice della strada a tutela di noi ciclisti che invece andava nella direzione opposta. Volevano farci mettere il caso obbligatorio anche in città, e persino la Fiab si è opposta. In città non sono le biciclette che si devono difendere, sono le automobili che devono rallentare.

PAOLO BELLINO Nato a Roma l’8 aprile 1964. Giornalista, attivista e costruttore di biciclette soprannominato Rotafixa. info: www.movimentofisso.it


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