LA SCRITTURA POSSIBILE Letteratura critica teoria
Collana diretta da Carlo A. Augieri e Giuseppe Zaccaria 31
Carlo A. Augieri
Metafora ed eccesso di senso
su Letteratura ed esplorazione nel dissimile
Milella Lecce
Volume pubblicato con il contributo erogato dal Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università del Salento. È vietata la riproduzione, anche parziale o ad uso interno o didattico, con qualsiasi mezzo effettuata, non autorizzata.
© 2016 by Edizioni Milella di Lecce Spazio Vivo s.r.l. ISBN 978 - 88 - 7048 - 619 - 3
Edizioni Milella di Lecce Spazio Vivo s.r.l. Viale M. De Pietro, 9 - 73100 Lecce Tel e fax 0832/241131 Sito internet: www.milellalecce.it Email: leccespaziovivo@tiscali.it Impaginazione: Emanuele Augieri
Noi ci facciamo immagini dei fatti L’immagine è un modello della realtà L’immagine è un fatto (L. Wittgenstein)
Sommario
Introduzione
p.
11
Scopre ciò che crea, inventa ciò che trova: P. Ricoeur e l’invenzione metaforica
p.
19
Metafora e narrazione: l’intreccio come trasformazione del dissimile
p.
43
L’oggetto ci definisce più di quanto noi non lo definiamo: G. Bachelard e la materia come matrice metaforica
p.
71
Estraneità linguistica ed identità evocatrice: J.P. Sartre e la somiglianza come logica di riconoscimento
p.
99
Come le cose si fanno cose, e il mondo mondo: M. Merleau-Ponty e la metafora come visione dallo scorgere per cenni p.
125
Per una somiglianza ospitante: la traduzione tra rifrazione semantica e prestito linguistico
p.
161
Espressività fonosimbolica e somiglianza tra parola, suono e colore: sulla semantica profonda dell’immagine poetica p.
179
Bibliografia
p.
205
Indice dei nomi
p.
211
Introduzione
La metafora non descrive, né costata un’identità, ma la scopre non sufficiente, la struttura in modo altrimenti, la costruisce in relazione con la differenza e la conferma al di là del suo limite di senso, ponendo una relazione di coerenza attinente ed inerente tra confini diversi, come tra astratto e concreto, animato ed inanimato, tra idea e mondo sensibile. Essa rappresenta un’enérgheia interna al linguaggio, un’azione entro il dire, grazie alla quale si personifica il mondo delle cose; si umanizza l’oggetto senza assoggettarlo ad alcuna cosalità chiusa nella sua sufficienza di senso identitario; si conosce per somiglianza ciò che non è possibile ravvisare direttamente, perché molto differente. Pure ciò che non è possibile determinare in modo univoco ed appropriato, perché la sua eccedenza “epifanica” (in senso debenedettiano) invoca una pluralità semantica, contestatrice di ogni senso dominante e monologico. La metafora rende, in effetti, simile ad altro il proprio, mette in forma la relazione di somiglianza, attivando o attualizzando una percezione per la prima volta provata, oppure affiorata da un’involontaria emersione di memoria, cogliendo un atto possibile, avventurandosi verso un’esplorazione di senso entro i campi semantici della diversità, della differenza, insomma della dissomiglianza. Una riflessione sulla metafora non riguarda soltanto una questione ‘particolare’ di linguistica o di retorica, ma di ermeneutica complessiva del senso interna ai modi di significare delle culture e dei testi, soprattutto poetici e narrativi, creati in risposta alle domande che un sistema culturale si pone o sottintende, oppure emessi come interrogativi al significare problematico ed a volte elusivo, non corrispondente, delle modellazioni culturali, entro cui il testo letterario si pone come ‘scena’ del senso inquieto e supplementare. In effetti, la metafora affonda il ‘fare’, l’‘agire’ con le parole nelle basi stesse della conoscenza, nel punto focale d’intersecazione in cui significare risponde all’esigenza di nominare in relazione ad un atto di mimesi, somiglianza, di identificazione, di analogia, da cui nasce l’empatia con l’altro, la simpatia, la proiezione emozionale oppure l’antipatia, la distinzione, che è risposta di dissomiglianza nella 11
ricerca del significare partecipe, implicato, con ciò che è inerente rispetto al senso familiare, appaesante, in quanto evocatore di un sentimento risvegliato, ritrovato, perduto per la coscienza volontaria, ma non per il corpo vissuto, ritrovato nelle pieghe del tempo interiore. La metafora sposta i bordi, le distinzioni, le divisioni, gli accordi tra segno e referente entro le identità intrecciate e coerenti del senso: essa slega, devia, apre, traspone, ospita l’altro entro l’in sé stesso del riferimento designativo del nome alla cosa nominata. La metafora scioglie il compiuto del senso, liberando il linguaggio dal definito, al fine di far prevalere l’altro ancora da dire, perché la verità è sempre ulteriore, eccedente, rispetto all’appropriazione di un senso proprio, attuato e determinato come verità univoca, monologica, di cui appropriarsi. L’immagine metaforica immette l’indeterminazione in ciò che viene significato, in modo inequivocabile, come preciso nel senza percorso-processo semantico: l’indeterminazione palesa la disposizione di un altro senso possibile rispetto al senso proprio; di un altro senso ‘supplente’ per ciò di cui ancora non è disponibile il nome; di un senso ‘in prestito’, più che sostituito, con cui vivificare il significato proprio, esattamente inteso come appropriato, quindi univoco. La figurazione del significato è un processo semantico di tensione del senso, di pluralità contraria ad ogni dominanza di un senso usuale, identificabile, promosso per consuetudine, a causa della sua familiarità fruitiva, ad appropriatezza nota specifica, ad essenza definibile: l’immagine è la messa in crisi del nome proprio, del sensosostantivo, pertanto dell’unità di senso e del senso coincidente con il suo nome, ‘proprio’ perché espressivo della sua inseparabilità dall’essenza che nomina e designa. La metafora trasforma le proprietà-essenze in proprietà attributive, messe in rapporto di somiglianza con le proprietà di altre essenze-sostanze molteplici: nella parola metaforica il senso si affaccia ‘fuori’ dei bordi, dei confini, del proprio campo semantico, cogliendo il suo ‘esterno’, verso cui deviare, estendersi e ritornare contagiato, arricchito, nel circuito ormai aperto del ‘proprio’ significare. In questo affacciarsi oltre il senso proprio, attraverso la ricerca, l’esplorazione, la migrazione semantica del simile entro il dissimile, è da cogliere la funzione di traduzione, per proiezione, dell’immagine entro il processo ermeneutico dei testi all’interno delle culture: 12
là dove altri confini vengono superati, tra visibile ed invisibile, sensibile e spirituale, concreto ed astratto, fisico-oggettivo ed intelligibile, percezione ed intuizione, physis e segno, tra intimità interna e profondità esterna. Nell’oltrepassamento di ogni confine identitario di senso, l’affaccio semantico della metafora supera il significare sostantivo, sostanziale, in favore di quello relazionale: in effetti, per l’immagine metaforica non esiste significato completo, immobile, modellato in sé, ma senso in movimento, in azione verso lo scambio mutuale di ‘questo’ con ‘quello’: con la metafora non si forma un’ontologia di un significare atemporale, ma un senso metamorfico, in divenire verso nuove efflorescenze immaginative, le cui motivazioni costituiscono la scrittura dei testi. Con cui scoprire la profondità semantica di ogni fenomeno, inserito nella trama, nell’unità rapportata o familiarità relazionale della somiglianza, entro dove scoprire le connessioni tra le cose, la loro congiunzione non di superficie. Insomma, con la metafora il senso diventa connettivo e non definitivo, in quanto aperto sempre a nuove congiunzioni con cui scoprire gli attributi di un tipo di cosa, nei cui termini comprendere per prestito, per contagio, per irradiazione estensiva, il già compreso di un altro tipo di cosa. Se la profondità semantica completa il significato di un referente, congiungendolo con la sua diversità ‘agita’ come rassomigliante, ne consegue pure una forte intimità di senso, in quanto la relazione di similarità con cui schiudere la linea liminare, il se stesso significante di ogni determinato, deve essere considerata come implicativa ed intrinseca. Si tratta di una implicazione motivata, in quanto la somiglianza va riconosciuta, scoperta, effettivamente percepita, resa visibile, direbbe Merleau- Ponty, pure nell’invisibile, che è la latenza con cui segnare il rapporto tra mondo e Essere, lo stesso che tra possibile ed assente1. La motivazione di somiglianza è da intendere come effetto di un’azione di ricerca da parte del parlante, che diventa autore (poeta o narratore) quando l’osservazione supera la semplice costatazione, derivata da una evidente mimesi contenuta di fatto nella superficie delle cose. Cfr. M. Merleau-Ponty, Il visibile e l’invisibile, testo stabilito da C. Lefort, nuova ediz. ital., a cura di M. Carbone, tr. di A. Bonomi, Bompiani, Milano 2007. 1
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In ogni metafora è sottintesa un’indagine di senso somigliante, da cui attuare un prestito ed un’ospitalità ermeneutici, al fine di aggiungere al significato di un dato un attributo altro; di connettere il proprio di un oggetto con il differente di un altro referente, percepito, sentito, ricomposto creativamente come simile. L’altro simile non diventa nella metafora senso assimilato nel proprio, ma prestito connotativo, con cui riconoscere ‘altrimenti’ il già conosciuto: ne consegue una dimensione oltre che estetica, pure etica della connotazione metaforica, in quanto si tratta di caratterizzare un’identità significata con un prestito semantico, con cui avvalorare, focalizzare, oppure sfumare, disvalorare il tema metaforizzato. La responsabilità etica del significare metaforico è implicita nella scelta del vettore metaforizzante, da cui deriva la ‘messa a fuoco’ di una certa caratteristica semantica, con cui ri-significare quanto già conosciuto, magari rivedendo in senso mimetico oppure difforme quanto ormai avvalorato o disprezzato nella propria identità culturale. Si accresce la responsabilità in riferimento soprattutto al fatto che la metaforizzazione del senso è alla base della mutazione semantica dei testi, entro il sistema concettuale delle culture: dalla trasformazione implicativa di una similarità non comune, difforme oppure rovesciata, si crea la crisi, il non riconoscimento, la deculturazione, lo sradicamento, l’alienazione, il turbamento d’identità di una cultura, la sua “apocalisse”, direbbe Ernesto de Martino, manifestatasi nell’arte, nella poesia, nella filosofia, nel costume dell’Occidente contemporaneo, ad esempio, avente come rappresentativa proprio la crisi della relazione di somiglianza, che si configura nel significato compositivo dei testi come “lotta contro il ‘normale’, il ‘domestico’, il ‘familiare’, l’‘abituale’ […] L’anormale, lo spaesato, l’estraneo, il mostruoso, il gratuito senza senso attuale, il convenzionale e il meccanico stanno come argomento centrale della cultura in tutte le sue manifestazioni”2. La capacità della metafora di alienare un’identità culturale, con il suo potere di creare dissomiglianze entro il normale e somiglianze inedite entro il campo ‘di fuori’, comprensivo del dissimile di una cultura, è dovuta al fatto che la strutturazione di ogni complesso culturaE. de Martino, La fine del mondo. Contributo all’analisi delle apocalissi culturali, a c. di C. Gallini, Einaudi, Torino 1977, pp. 474-5. 2
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le è costruita, appunto, su base metaforica: lo chiariscono molto bene George Lakoff e Mark Johnson3, a proposito, ad esempio, dei processi di ontologizzazione, di antropomorfizzazione e spazializzazione del senso, responsabili metaforici, i primi, del diventare gli eventi sostanze, addirittura entità, con cui dare valore nominale alle cose; i secondi, di rendersi garanti del divenire persone i fenomeni e gli oggetti; i terzi di porsi come artefici nell’orientarci a partire dal nostro corpo nello spazio, nei cui termini significhiamo valori e qualità morali. Confermare, da parte di un testo o di un insieme di testi, la tipologia di somiglianza già inscritta in un modello culturale, ossia confermare il sistema metaforico coerente con i valori significanti di una cultura, significa rapportarsi entro la sistematicità, la strutturazione antropologica della stessa: emettere nuovo senso in modo continuativo ed organico, inserendo l’insolito nell’esperienza, nella tradizione simbolica, analogica di una cultura, nei cui confronti il testo è conferma di un legame configurativo di valori condivisi e mantenimento coerente di una determinata visione del mondo, di una identitaria Weltanschauung. Il conflitto ‘interno’, anche intimo, tra testi, esperienza e modello culturale avviene, in modo profondo, a livello delle metafore, quando nella scrittura letteraria ne vengono proposte di originali, inedite, inattese, che aprono l’abitudinario episteme della somiglianza a riconoscere altre somiglianze, con le quali si allarga il campo dell’analogia, coinvolgendo spazi di senso dove la stessa cultura non notava che dissomiglianza ostile ed estraneità. Nel tempo successivo le metafore nuove possono essere incluse nell’esperienza culturale di base, che viene, di conseguenza, allargata nei suoi confini e limiti analogici tramandati dalla tradizione. In questa operazione di apertura dei limiti della somiglianza è da riconoscere il contributo innovativo, a volte rivoluzionario, della letteratura, il suo aspetto sensibile e critico, quasi profetico, comunque non conformista all’interno di una tradizione culturale: dipende dal tipo di disancoraggio propositivo dell’insieme testuale metaforico nei confronti dell’esperienza semantica interna alla cultura formatrice; deriva, insomma, per usare un’immagine molto pertinente di V. B. Šklovskij, da come si accorda o contrasta la canna tesa dalla Cfr. G. Lakoff-M. Johnson, Metafora e vita quotidiana, a cura di P. Violi, Bompiani, Milano 2007. 3
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corda con l’arco della lira, per creare consonanza o dissonanza, accordo o contraddizione rispetto all’armonia di base sottesa nel suono condiviso4. Ebbene, i saggi raccolti nel presente volume intendono offrire una riflessione non univoca sulla relazione di somiglianza nel suo coinvolgimento con il campo semantico del non simile, a partire da una esigenza ermeneutica di fondo: attraversare i percorsi riflessivi di autori ‘verosimilmente’ in dialogo tra loro, per profondità di analisi e per affinità non uniforme di metodo, quali G. Bachelard, M. Merleau-Ponty, P. Ricoeur, J.-P.Sartre, L. Wittgenstein, messi a confronto sulla somiglianza narrativa, a cominciare dall’epica; sulla comunanza della testualità interartistica, che collega entro un similare modus espressivo poesia, musica, pittura. A confronto con l’ermeneutica, la fenomenologia, l’estetica mitopoetica e la filosofia della narratività, la visione della somiglianza metaforica risulta composita e comunicante attraverso vari saperi contigui, entro cui cogliere all’interno della scrittura letteraria la tensione verso il senso molteplice, l’impertinenza semantica, il dinamismo esplorativo nel dissimile, entro cui scorgere comunque evocatività diffusa e percezione del simile. Esigenza del senso-immagine, che, a differenza di quello concettuale, connette e non distingue, apre e non delimita, ospita e non oppone: addirittura, fa conoscere una cosa non arginandola nella sua medesimezza. La metafora come spazio logico dell’incontro semico tra referenze differenti, in conclusione: all’incontro tra significati contribuisce il contatto entro la stessa coscienza della ragione con l’immaginazione, della mente con le tensioni del sentire emozionale. Non scissione della coscienza, ma suo intreccio compositivo, pertanto, come è intreccio di senso il nucleo immaginante della metafora: questa vichiana “picciola favoletta”, genesi di ogni mitologia poetica, come di ogni speculazione filosofica, di ogni metafisica, da considerare nientemeno “mitologia bianca”, per la quale il logos equivale al mythos, che l’uomo bianco prende per “la forma universale di ciò che egli deve ancora voler chiamare la Ragione”5. Cfr. V. B. Šklovskij, Simile e dissimile. Saggi di poetica, Mursia, Milano 1982. J. Derrida, La mitologia bianca. La metafora nel testo filosofico, in Id., Margini della filosofia, a cura di M. Iofrida, Einaudi, Torino 1997, p. 280. 4 5
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In effetti, come scrive Derrida, è da tenere presente la “sedimentazione metaforica dei concetti”6, a tal punto che “addirittura l’unica tesi della filosofia [è] quella che costituisce il concetto di metafora, l’opposizione di proprio e non-proprio, di essenza e accidente, di intuizione e discorso, di pensiero e linguaggio, di intelligibile e sensibile, ecc.”7. Riflettere sulla relazione di somiglianza, grazie alle sollecitazioni critiche degli autori prima nominati, significa soprattutto soffermarsi su motivi teorici coinvolgenti il ‘proprio’ della letteratura nel ruolo ermeneutico di allargare i limiti conoscitivi di una cultura, per quanto riguarda l’ambito umanistico del sapere, ma pure quello scientifico, in cui la metafora spinge alla conoscenza del dissimile, magari scoperto per la prima volta, tramite il richiamo al simile che esso comunque segretamente evoca. Del resto, approfondire la dialettica del simile e del dissimile nella costituzione del senso, come proposta in modo pioneristico dai testi letterari più sensibili sul piano estetico, può essere avvertito come un impegno di studio richiesto dalla stessa storia intellettuale ed antropologica dei nostri anni: le singole identità si aprono all’incontro sempre più stretto e quotidiano con altre culture; così come, per quanto riguarda la conoscenza, gli specialismi dialogano tra loro al fine di conoscere insieme gli intrecci oggettivi delle realtà che si vogliono approfondire. Nel dialogare con l’altro, oltre che apprendere la sua lingua è opportuno rivisitare in primo luogo la propria modellazione mentale, costruita in modo identitario sulla coerenza tra significati, valori ed immagini, all’interno della relazione logica tra simile e dissimile, da cui deriva l’ordine discorsivo di ciascun modello culturale, con cui comprendere e significare in modo chiuso o aperto, limitato oppure ospitante, l’alterità della differenza; con il quale non rischiare di sentire e simbolizzare, di conseguenza, l’altro come il dissimile opposto, espressione di “un modo di vita radicalmente sconosciuto”, come apparve, ad esempio, all’Europa durante il Medioevo l’Islam, nemico invasore, devastante, “barbaro e crudele, con cui non si può venire a patti”8. Ivi, p. 281. Ivi, p. 298. 8 E. W. Said, Orientalismo. L’immagine europea dell’Oriente, tr. di S. Galli, Fel6 7
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La letteratura aiuta la storia a farsi coscienza utopica, affidando all’enérgheia semantica del linguaggio artistico, poetico e narrativo, il compito di significare l’eccesso di senso da scoprire in ogni altro, pure inanimato, che la metafora anima con il suo percorso tensivo tra logica ed analogica. Per meta non la normalizzazione del senso, non la sua riduzione, dunque, entro il confine tracciato all’interno del corto circuito tra il simile, l’identico ed il determinato, ma l’esplorazione di un senso dissomigliante, per orizzonte comuni evocazioni più profonde, ritrovate oltre lo spostamento del limite, al fine di scoprire in ogni immagine letteraria un intreccio di emozioni, ragioni, volizioni, intenzioni, desideri. In effetti, ogni testo letterario rappresenta il percorso semantico di un viaggio ‘oltre Itaca’, verso lo spostamento di ogni linea circoscritta come confine identitario di senso. Premessa di indeterminazione, realizzata ogni qualvolta, per dirla con Baudelaire, i coloristi prevalgono sui disegnatori: sfumare il contorno ed il modellato della linea con l’intervento del colore, “fatto di masse cromatiche, costituite da un’infinità di toni, la cui armonia crea l’unità”9, configura, in effetti, l’atto pittorico-poetico per eccellenza, perché sfumare significa “rappresentare lo sbocciare dell’apparire”10. Il fine è di esprimere l’“esistenza viva”, tramite una parola in risonanza con la vocazione simmetrica dell’animo, con l’evocazione della prossimità richiamata dalla parola poetica, dall’immagine metaforica: per la quale è senso veritativo quello che fa corrispondere ad una differenza una somiglianza; fa rispondere alla presenza dell’alterità la voce del simile. C. A. A. Università del Salento, maggio 2016
trinelli, Milano 2006, p. 66. 9 C. Baudelaire, Opere, a cura di G. Raboni e G. Montesano, intr. di G. Macchia, Mondadori, Milano 1996, p. 1054. 10 P. Ricoeur, La metafora viva. Dalla retorica alla poetica: per un linguaggio di rivelazione, tr. di G. Grampa, Jaca Book, Milano 1981, p. 410. 18
Scopre ciò che crea, inventa ciò che trova: P. Ricoeur e l’invenzione metaforica
Se nei confronti dello stile di uno scrittore, non certo come Flaubert, ad esempio, nella cui opera “non c’è forse una sola bella metafora”, la metafora soltanto, secondo Proust, può “conferire una sorta d’eternità”1, per quanto riguarda lo stile linguistico e semantico di un modello culturale, invece, si può dire con Ricoeur che soltanto la metafora dona relatività al discorso con cui significa e comunica una cultura: l’“eternità” dello stile di un testo letterario, in effetti, non può coincidere con un’improbabile eternità dell’argomentazione significante e configurante di una particolare tipologia di cultura, entro dove il testo si inserisce senza però rifletterla, bensì rifrangendola. Il testo creativo ricrea e ripropone le modalità di senso di una cultura, a tal punto che le sue significazioni sopravvivono oltre le modellazioni semantiche dello stesso codice significante nella cui lingua e mentalità esse pur si formano: insomma, il testo letterario, come ogni opera profondamente estetica-artistica, eccede il ‘definito’ di un’identità culturale, il quale nella sua stessa storia intrinseca subisce un processo relativizzante di sfocamento extra-identitario, che non sempre va considerato come effetto negativo di crisi simbolica, fruita come deficit elaborativo di “crisi di presenza” da parte del soggetto-uomo che vi vive. Addirittura, a volte, ci apre ad una significazione più profonda l’indeterminazione del senso, rispetto alla sua esattezza ‘messa in forma’ dal discorso concettuale; trovo pertinente, a tal proposito, la seguente riflessione di Wittgenstein: Si può dire che il concetto di ‘giuoco’ è un concetto dai contorni sfumati. ‘Ma un concetto sfumato è davvero un concetto?’ Una fotografia sfocata è davvero il ritratto di una persona? È sempre possibile sostituire vantaggiosamente un’immagine sfocata con una nitida? Spesso non è proprio l’immagine sfocata ciò di cui abbiamo bisogno?2 M. Proust, Scritti mondani e letterari, a c. di M. Bongiovanni Bertini, Einaudi, Torino 1984, p. 539. 2 L. Wittgenstein, Ricerche filosofiche, a c. di M. Trinchero, Einaudi, Torino 1967, p. 49. 1
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