Anno VI • n 11 • 2016
MILELLA
Anno VI/Nuova Serie, n. 11, giugno 2016 Direttore responsabile: Giorgio Rizzo Vicedirettori: Francesco Ciriolo, Giuseppe Varnier Proprietà: Lecce Spazio Vivo S.r.l. Via delle Benedettine, 5 73100 Lecce Iscrizione Tribunale di Lecce: n. 666 del 14.10.2011 • Semestrale Direzione, redazione e amministrazione della rivista hanno sede presso il Monastero delle Benedettine Via delle Benedettine, 5 • 73100 Lecce
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Idee SEMESTRALE DI FILOSOFIA E SCIENZE SOCIALI ED ECONOMICHE Nuova serie Anno VI - n. 11 - 2016
Direttore: Giorgio Rizzo Vicedirettori: Francesco Ciriolo, Giuseppe Varnier Comitato scientifico: Stefano Adamo (Università del Salento), Luigi Alici (Università di Macerata), Carlo Alberto Augieri (Università del Salento), Ferdinando Boero (Università del Salento), Francesco Botturi (Università Cattolica di Milano), Virgilio Cesarone (Università di Chieti), Claudio Ciancio (Università del Piemonte Orientale), Vincenzo Costa (Università del Molise), Zachary Davis (St. John’s University New York), Ivo De Gennaro (Università di Bolzano), Pietro De Vitiis (Università di Roma “Tor Vergata”), Guglielmo Forges Davanzati (Università del Salento), Pasquale Frascolla (Università della Basilicata), Vito A. Gioia (Università del Salento), Alberto Granese (Università di Cagliari), Michele lndellicato (Università di Bari), Florian Lempa (Uniwersytet w Białymstoku), Alberto Nave (Università di Cassino), Raffaele Persico (IBAM-CNR Lecce), Antonio Pieretti (Università di Perugia), Armando Rigobello (Università di Roma), Giorgio Rizzo (Università del Salento), Riccardo Roni (Università di Urbino), Christian Smekal (Universität Innsbruck), David Woodruff Smith (University of California Irvine), Rainer Thurner (Universität Innsbruck), Franco Totaro (Università di Macerata), Giuseppe Varnier (Università di Siena), Lorenzo Vasanelli (Università del Salento), Wilhelm Vossenkuhl (Universität München), Stefano Zamagni (Università di Bologna).
Comitato di redazione: Antonio Aresta, Lidia Caputo, Giovanni Carrozzini, Daniele Chiffi, Francesco Ciriolo, Flora Colavito, Luca Cucurachi, Maurizio Daggiano, Daniela D’Attis, Alessio Dell’Anna, Carla Fabiani, Elena Licchelli, Tommaso Perrone, Adriana Valente. Segretaria di redazione: Elena Conca Progetto grafico della copertina: Yukiko Tanaka
Semestrale di Filosofia, scienze sociali ed economiche aperto alla collaborazione di specialisti italiani e stranieri. Si raccomanda agli studiosi e agli appassionati di una cultura del confronto e della ricerca libera e propositiva. Accoglie contributi di orientamento multidisciplinare raccolti in miscellanee, anche se sono previsti fascicoli monotematici.
Sommario
Editoriale (G. Rizzo)
p.
7
Francesco Ciriolo, Giorgio Rizzo Interview with Dan Zahavi
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Sandro Nannini Consciousness Naturalised
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21
Giuseppe Varnier Self-Consciousness and Language II: What Can be Learned from de se Attitudes
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41
Francesco Ciriolo L’estetica naturalizzata
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89
Antonio Cimino Filosofie della mente all’origine delle localizzazioni cerebrali: il caso Gall, Flourens, Jackson
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103
Michele Farisco The relevance of neuroscience for conceptualizing human nature »
121
Saggi
Note e recensioni Daniela D’Attis Empatia: uno specchio per essere umani
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137
Alessio Dell’Anna Il mentale. Tra neuroscienze e fenomenologia
p.
149
Luca Cucurachi Recensione a Sergio Salvatore, L’intervento psicologico
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181
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Editoriale Il numero 11 di “Idee” è dedicato, in modo particolare, al rapporto tra filosofia e neuroscienze in molte delle loro declinazioni. Si apre con una lunga intervista ad uno dei più importanti filosofi contemporanei, il fenomenologo Dan Zahavi, direttore del “Center for Subjectivity Research” di Copenhagen. Per il filosofo danese una integrazione reciproca nel senso di un “mutual enlightment” tra filosofia e neuroscienze non solo è possibile, ma anche auspicabile al netto però del rispetto delle differenze reciproche: la riduzione cioè della ricerca transcendentalfenomenologica a quella empirica non può essere ammessa. Con ciò tuttavia, Zahavi non intende riproporre, in chiave contemporanea, quel dualismo metafisico che la filosofia contemporanea ha mostrato in tutte le sue aporie teoretiche oltre che empiriche. La coscienza fenomenica, ovvero il suo aspetto soggettivo ed esperienziale, rimane ancora uno hard problem per le neuroscienze che, come in un circolo vizioso, non possono “risolvere” se non appellandosi, almeno fino adesso, al punto di vista in prima persona. Esiste tra coscienza e cervello un gap fenomenologico, cognitivo e ontologico? E, nel caso esistesse, non porrebbe ciò seri problemi al principio di chiusura causale del mondo fisico, introducendo furtivamente un rinnovato dualismo? Il saggio di Nannini non solo mette in discussione un gap ontologico tra mente e corpo, ma, con argomentazioni più raffinate, depone a favore anche di un’assenza di qualsivoglia gap cognitivo che, fatto proprio dai cosiddetti “liberalized naturalists”, metterebbe in pericolo non solo l’idea dell’“unità della scienza”, ma anche quella della unitarietà del reale. Ogni eventuale gap proposto dagli antiriduzionisti può essere “gestito” teoreticamente da un realista o da un naturalista riduzionista facendo presa sull’assunzione che l’impenetrabilità della vita in prima persona è un dato empirico, spiegabile scientificamente e quindi lontano dall’essere un mistero metafisico.
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Che dire poi del rapporto tra linguaggio, vita mentale ed evoluzione della specie? Il linguaggio, si dice nel contributo di Varnier, non è inteso solo come mezzo di comunicazione, ma, in modo più profondo, anche come espressione e manifestazione della soggettività così come attestato da quell’universale dell’umano che sono le attitudini de se su cui in parte si fonda quell’aspetto della sintassi e della semantica dei linguaggi naturali chiamata “egoforicità”. La tesi di Varnier acquista profondità esplicativa allorché stabilisce una precisa gerarchia tra enunciati dichiarativi (cheproposizioni) e autoreferenziali (stati mentali ed altro) sulla base di presupposti evolutivi: per dirla in breve, il fatto che un individuo sia in grado di pensare o sentire privatamente (utilizzando forme indessicali o quasi indessicali) senza con ciò precludersi la possibilità di poter, in qualche modo, interpretare la vita privata degli altri, presenterebbe un maggior vantaggio evolutivo rispetto ad un individuo che facesse uso di un dispositivo linguistico poggiante su “che-enunciati” in terza persona. Come dire: se nascondo il mio interno mentre allo stesso tempo mi occupo di scoprire il tuo, allora posso giocare un jolly nel poker evolutivo. Lungo questa linea di pensiero, che fa riferimento al lavoro di Bermudez, The Paradox of Self-Consciousness, l’autocoscienza può essere vista come il risultato evolutivo di una coscienza che, originariamente compatta e chiusa, si apre a se stessa ed al mondo dopo aver ricevuto i doni sintattico-semantici della indessicalità. Lungi dal promuovere un approccio meramente linguistico all’autocoscienza, come una delle forme in cui la indessicalità opera, il saggio di Varnier ammonisce, al contrario, a prender sul serio, come realtà fondamentali, i vissuti con cui si evolvono, sulla base di una sorta di “gerarchia di animazione”, le figure autoreferenziali. Le forme indessicali – in modo particolare le attitudini “de se” – risulterebbero sempre “eccedenti” rispetto al loro significato linguistico. Qualunque sia la tesi proposta relativamente al rapporto tra neuroscienze e filosofia, è indubbio che questa, à la Kuhn, non è mai calata dall’alto come se il background culturale, sociale e perfino economico non avesse alcun peso. Da questo punto di vista, sottolinea acutamente Farisco, il “neuro-naturalismo” oggi così in voga, soprattutto
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tra i profani, non è il frutto solo della sua forza esplicativa nel “risolvere” alcune questioni molto radicate nella storia della cultura occidentale, bensì, molto più “subdolamente”, il risultato di un riduzionismo che ben si adatta allo scenario tecno-economico del presente.Un riduzionismo che prende la forma, nella vulgata relativa alle neuroscienze, del motto “noi siamo solo cervello” (si pensi solo a quanto su ciò scrive Alva Noë). Farisco invece ci propone nel suo pregevole saggio una sorta di “esternalismo” neuroscientifico in accordo con la rilevanza che egli sembra attribuire al contesto nel “plasmare” il cervello. Natura e cultura insomma riproposte in una chiave differente rispetto a quella classicamente dicotomica. Nel saggio di Cimino, invece, i case studies rappresentati da tre scienziati dell’Ottocento: Gall, Flourens e Jackson, mostrerebbero quanto alcune prospettive filosofiche sul mind-body problem abbiano influenzato, come popperiane “metafisiche influenti” o bachelardiani “ostacoli epistemologici”, la ricerca neurofisologica. Gall, per esempio, contestualizzò il problema del rapporto tra mente e corpo all’interno di un quadro materialistico fondato sulla distinzione tra organo e funzioni e sull’idea delle localizzazioni cerebrali. Un quadro che presto si mostrò alquanto velleitario non senza vantaggi però per una più precisa caratterizzazione anatomica del cervello. Anche la ricerca dello scienziato francese Flourens si pone lungo quel solco che, da una parte, delimita quello spazio di approfondimento della neurofisiologia – la dipendenza cioè delle funzioni mentali dalla corteccia cerebrale – di cui sapranno avvalersi con successo le neuroscienze del XX secolo, dall’altro invece si configura come un ostacolo epistemologico al superamento del dualismo cartesiano in chiave vitalistica. I contributi poi dei giovani studiosi che compongono la sezione Note e recensioni di questo volume sono un valido aiuto ermeneutico a comprendere le ragioni di un possibile “avvicinamento” tra l’ottica fenomenologica e quella neurobiologica: più in dettaglio, tra il punto di vista in prima persona e quello in terza persona, tra mente e corpo, tra Leib e Körper, tra ragione ed emozione, tra neuroni specchio ed empatia. Ciononostante rimangono soglie non ancora valicabili dall’un campo come dall’altro. E questo per motivi epistemici, logico-grammaticali e
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fenomenologici. Tali difficoltà tuttavia non possono indurci a ritentare la strada già segnata del ritorno ad un dualismo d’antan, ma neanche a immaginare che lo scarto tra immagine manifesta e scientifica del mondo sia stato colmato o possa essere riempito de jure. Che una forma ancora più raffinata di monismo anomalo possa, allo stadio attuale della ricerca filosofica e neuroscientifica, essere una risposta soddisfacente alle difficoltà teoretiche sopra presentate è ancora da definire. Giorgio Rizzo