Prefazione di Carlo Alberto Augieri
Copyright Š 2016 Edizioni Milella di Lecce Spazio Vivo s.r.l. ISBN 978 - 88 - 7048 - 586 - 8
Edizioni Milella di Lecce Spazio Vivo s.r.l.
Viale M. De Pietro, 9 - 73100 Lecce - Tel. e fax 0832/241131 Sito internet: www.milellalecce.it email: leccespaziovivo@tiscali.it Immagine di copertina di Eleonora Arcuri Realizzazione grafica della copertina a cura di Eleonora Arcuri
La verità della vita si coglie nell’intensità di alcuni momenti di totale smarrimento: amore… gioia… sesso… dolore… fede… creatività… felicità… morte… Perseguirla è il senso più riposto della Poesia, credo! Significa, però, voler dimensionare ciò che non ha, per sua natura dimensione e ridurre in termini di umano ciò che ci fa misteriosamente dei, quando ancora si è uomini, maledettamente piccoli e meschini.
«La leggenda narra di un uccello che canta una sola volta nella vita, più soavemente di ogni altra creatura al mondo. Da quando lascia il nido, cerca e cerca un grande rovo e non riposa finché non lo abbia trovato. Poi cantando tra i rami crudeli, si precipita sulla spina più lunga e affilata. E mentre muore con la spina nel petto vince il tormento superando nel canto l’allodola e l’usignolo. Una melodia suprema il cui scotto è la vita. Ma il mondo intero tace per ascoltare, e Dio, nel Paradiso, sorride. Al meglio si perviene soltanto con grande dolore… O così dice la leggenda». (COLLEEN McCULLOUGH, Uccelli di rovo)
Prefazione
Umanesimo di un altro amore: per chi muore Costanza?
Può un’anima mediterranea essere ‘veramente’ nichilista, anche quando gli eventi del vivere approdano nella notte di Euridice? Probabilmente, non dipende dall’uomo che abita nella geografia del Mediterraneo essere o non essere ispirato dal senso del nulla. Esiste una derivazione empatica, non consequenziale, tra linguaggio e natura: chi vive nel paesaggio mediterraneo è protetto dal riverberìo, dal sussurrìo, dall’epifania in cui si menifesta la natura, che è luce, con cui ogni cosa non si colora soltanto, ma diventa colore essenzializzante, che chiama ad essere, evoca per esistere. Il colore come azione che fa diventare, insomma: la luce come verbo che fa in-essere verità ogni cosa. Verità di cosa? Verità non è realtà: è sua trasformazione in relazione con l’animo. L’animo è un traduttore, è un nucleo di senso implicito, intrinseco, immanente, con cui ogni cosa parla la lingua dell’immagine. E nell’immagine ogni limite con cui conosciamo per distinguere approda nell’indeterminazione di essere altro: la cosa perde i suoi contorni e diventa implicazione, connessione, richiamo, continuazione, apprensione, essere là da ogni qui che ci determina: essere nell’ancora di ogni momento, passato per il tempo del calendario, ma non per la temporalità dell’animo. In cui avviene l’accadente nel solo giorno del nostro riconoscerci: vi si concentra, emigra, vola l’essere esso di ogni cosa nell’essere tu dell’animo, cioè dell’animazione, dell’animato, del vivente che vive nel soffiare percettivo ed interpretante del nostro conoscere. E così la morte diventa un vivere nel sempre, l’accaduto di una volta entra o si apre al ‘c’era di più volte’ del non poter solo accadere, perché l’Eternità, il tempo di sempre che non dona tempo
7
d’esistenza al nulla, accoglie, assorbe, unisce e fa riesplodere nel big bang dell’animo sempre memore e nuovo, dove nulla passa perché ogni cosa re-esiste e rinasce. Così avviene per le matrioske: bambole di donne materne e fertili, che contengono le loro simili nella loro cavità, nel loro vuoto: linearità non di un destino; similitudine non di una medesimezza, continuità di una forma che continua a donare forma, a ripetere la grammatica sostanziale di altre forme nuove e stesse, che permangono. Il vuoto come incastro entro dove poter mettere altro di sé: vuoto materno nel cui grembo ospitare altre matrioske. Matrioska come metafora di un codice comune nella continuità, che nell’analogia trova non la statica somiglianza, neppure la cieca trasformazione, ma la composizione del ripresentificarsi senza essere monotona ripetizione, perché nulla finisce nella radice (la forma che in-forma), ma tutto diventa presente nell’alba del giorno dopo, nella primavera dell’anno dopo. L’erba che Attila calpestò rinasce ancora a cominciare dalla prossima primavera del suo passaggio inutile; l’Ade dove Euridice ritorna dopo il voltarsi proibito di Orfeo non annerisce il luogo di vita dove Lei non muore, la parola del poeta, che, libera di guardare, permette di voltarsi, perché dal ricordo possa accadere la presentificazione con cui il fu viene a vivere nell’è del poter essere altrimenti. Come Costanza, la donna amata da Michelino Fistetto, che continua ad essere, matrioska che ritorna da dentro il suo stesso vuoto, perché si ripete nel ricordo, continua ad apparire nella trasformazione in immagine di ogni realtà di richiamo. Non nella ripetizione, dunque, altrimenti avremmo in questi testi parole di schizofrenia sentimentale, impossibile a rendersi espressione poetica, ma nella presenza presente matrioskamente, coè metaforicamente, tramite il simile verso cui condurre le diversità somiglianti, oppure verso dove estendere, espandere, le somiglianze da ritrovare in ciò che è singolarmente diverso ed in tensione verso il richiamo evocativo. Costanza, insomma, diventa come un sostantivo aggettivale, con cui colorare la natura che richiama lei, luce di simmetria aperta nell’essere mare, cielo, firmamento; oppure un paradigma di
8
qualità ritornante, con cui riconoscere altre individualità simili alla singolarità di Costanza: Cara compagna mia, ti cerco nella freschezza di Tiziana, nella serenità di Marisa, nella dolcezza di Monica, nello sguardo appassionato di Iole, nella carezza di Ornella. L’assenza viene recuperata dalla parola poetica sin nella forma grammaticale del suo esprimersi: in effetti, il genitivo riferito ai nomi propri non riduce le qualità (freschezza, serenità, dolcezza, sguardo appasionato, carezza) delle persone nominate (Tiziana, Marisa, Monica, Iole, Ornella), ma rende esse partecipi di più qualità condivise, attribuzioni diffuse e non distinte, in cui includere soprattutto Costanza. Si tratta di un genitivo dalla determinazione plurale, con specificazione non univoca, entro dove cercare Costanza, donna-matrioska omologa in forma simpatetica all’altro di sé, non estranea a nessuno, neppure straniera dopo l’uscita da sé con il morire. Un dettaglio di stile con cui comprendere la peculiarità della poesia di Fistetto, che entra sì nella tradizione poetica della donna amata assente, soggetto poetico della poesia di tutti i tempi e di tutte le letterature nazionali, con esito però eterodosso, sintomo di una modernità inscritta nelle stesse pieghe del farsi immagine del senso. Le proiezioni metaforiche fin dove raggiungere la presenza di Costanza spingono fino a rintracciarla nella natura, anche nell’acronotopica eternità di Dio: ma, natura e Dio non sono motivi lontani, soggetti metafisici verso dove perdersi, facendo diradare l’umanità della relazione amorosa, la certezza della singolarità condivisa. Altra peculiarità stilistica di Michelino, in effetti, riguarda la connotazione gestuale dell’oltre umano, entro dove il contatto della relazione tra l’io e il tu d’amore si conserva come carezza, sorriso, sguardo, a cui corrispondono le emozioni di malinconia,
9
nostalgia, solitudine, memoria non distanziata dal ricordo: ecco un dettaglio poetico degno di considerazione critica, dipendendo da esso il modo emozionalmente umano del non astrarre del tutto la trascendenza del configurare lirico. Se nella proposta poetica di Michelino avanza una metafisica del tempo (l’eternità di Dio) ed una fisica metaumana della natura, la meta rimane sempre la conservazione umana dell’estremo, che si raggiunge anche nell’assenza del morire. Insomma, dopo la morte la vita per una continuazione permanente del vivere nel non poter morire del sentimento e pure nel non poter morire delle qualità umane, le quali formano nel loro insieme un umanesimo comparato, distribuito nel molteplice essere di caratteri similari distribuiti nell’umano essere soggetto d’amore. Un umanesimo alla matrioska, basato su una comune radice umana di valori, che trascende l’individuo (Costanza), per farsi costanza di un’umanità da amare: di un amore pure matrioskesco, secondo il quale si amano le qualità di cui siamo incarnazioni, non il contrario. Ecco perché anche il morire è donare; il morire è da assomigliare a un canto di festa: chi muore vive nell’altro con cui condivide le qualità che trascendono l’individuo, ma non la pluralità rassomigliante dei soggetti. Come la matrioska che contiene in sé i suoi doppi, non i suoi medesimi: ogni cosa diventa riflessa e rifrangente nel reale stesso visitato dalla poesia. Ne consegue che pure il KDMs (Karcinoma Duttale alla Mammella sinistra), ad esempio, impiantatosi barbaramente nel corpo amato di Costanza, che non permise a me Orfeo di trarre Euridice – ineludibilmente – all’Erebo rivolta. Ade sa trionfare prepotente sul dolce volto sconfitto
10
dopo averlo – con malvagia costanza – Distrutto (p. 22) non annulla del tutto l’umana singolarità del vivere: il poeta ha in sé un cielo non fisico, non astronomico, entro il quale ospitare eternamente Costanza come soggetto emittente di luminosità: a tanto riporta l’umana fragilità: Tu, perenne stella del mio cielo. Certo, si tratta di un cielo ‘di carta’, che ospita una metafora, Costanza divenuta una stella: ma, la carta tracciata dalla scrittura non è più carta, come la scrittura poetica non è semplice graffito di forma e di inchiostro su un foglio di carta. La poesia è datrice di energia semantica alle parole che evoca: è da questa enérgheia, dinamys, che le civiltà significano, le culture riconoscono, l’animo traduce l’è così in un desiderante voler essere altrimenti. Lingua peculiare dell’animo è la parola che racchiude il senso come desiderio: in mancanza del quale la vita reale è solo passaggio ed evento, attesa della meta involontaria del morire a cui approda il vivente come cieco effetto di un destino. Nel desiderio l’accidente, il transeunte diventa perenne, perché il segno è tradotto in traccia, in impronta di un volere non addomesticato dalla necessità; in seme, direbbe Shelley, entro il cui presente è contenuto il futuro della pianta: dura il tempo del soggetto che ama. Dura il tempo del lettore che legge il sentire di un amore: dura il tempo della scrittura e della lettura, entro cui chi passa non trascorre. Rimane come traccia di un desiderio meritevole di un cielo di carta, per il quale il cielo di nuvole non conosce neppure il buio nero della notte. Che assomiglia al nulla, ma è pausa d’attesa dell’alba che viene. Carlo A. Augieri
11
Al lettore
Ne ho sempre subito il fascino: devo confessarlo! Fin da quando fanciullo me ne fu regalata una (e su mia richiesta), attratto dai suoi vivaci colori sul legno lucido, ma soprattutto dalla sua, per me magica, capacità di assorbire e contenere (assorbire senza eliminare, contenere senza annullare). Sono sempre stato fortemente innamorato del suo mistero. Forse perché la matrioska è un oggetto semplice, ma che si presta concretamente a possibilità varie e diverse di combinazioni ed assume concettualmente significati polisemici. Per esempio mi viene in mente l’uso della memoria nel nostro cervello e quindi la sua capacità di ordinare files diversi e sparsi nel tempo e combinarli incommensurabilmente, per l’intervento del cuore, nei più svariati sentimenti e insospettate reazioni, che molte volte meravigliano anzitutto noi stessi. O molto più semplicemente e intrinsecamente affascinato dall’oggetto in sé, efficace rappresentazione della famiglia, di cui essa è un totem chiaro ed assai rappresentativo, con colori sgargianti che accendono soprattutto la fantasia del fanciullino pascoliano che vive in noi. O la Poesia… Certo è che con molta naturalezza mi è venuto alla mente il titolo di questa raccolta, che comprende sentimenti, idee, pensieri, che non oso chiamare poesia, per il sacro rispetto reverenziale che incute nel mio animo tale definizione e che forse, proprio per questo mi ha spinto a scrivere e pubblicare solo in tarda età, frammenti esistenziali legati a tempi, momenti ed epoche (alla mia veneranda età è giusto dirlo!) diverse della mia vita: dall’adolescenza alla senilità. Ovviamente la stragrande maggioranza delle composizioni della prima fase, e che oggi (non certo allora!) definisco mero esercizio retorico, influenzato da pesanti reminiscenze lette-
13
rarie, è stata pietosamente eliminata, accompagnando, però, tale gesto da un moto d’animo di grande tenerezza. Del resto credo che ogni giovane sensibile produca variazioni poetiche anche ai nostri giorni (e spero anzi fermamente che di questi giovani ne esistano, perché sono la linfa della vita che riemerge), nonostante la piatta materialità consumistica. Tuttavia, ritengo, che questa delicata e, secondo me, bellissima fragilità poetica, si estrinsechi – il più delle volte per fortuna – in quel sacro pudore reverenziale di cui ho parlato sopra, che spinge poi a ripudiare a suo tempo e luogo, senza nulla rinnegare il tutto o una sua parte. Infatti, si sa, a un certo punto (per me, come ognun vede, giunto molto dopo!) sopraggiunge la sfrontata impudicizia di chi vuol fare sentire comunque la sua voce e lasciare una parola, montalianamente non chiesta e che forse è impossibile dare, se non come dono gratuito della propria esperienza esistenziale. Che vale che può! Provo a concretizzare in immagini la mia poetica. Quando incombe nella vita un’ombra ossessiva, perseguitante, uggiosa, come un triste e lungo giorno d’autunno senza amore; quando ci si sente incalzati e rabbiosamente respinti da essa fino ad odiarla; quando non si riesce a diradar la tenebra dell’incomunicabilità e dell’incomprensione e tutto sembra compiuto ma si riesce in un magico momento a scoprire quella cortina di nebbia incombente che impediva di vedere; quando si sente avanzare verso di noi malefica l’ombra nera… allora compare la Poesia che aiuta a vivere. Allora ci si accorge di sé, di voler vivere, anzi di voler esistere, si sente un irresistibile bisogno di amare e di credere, tendendo la mano al fratello per scoprire insieme i sentieri inediti della speranza e insieme percorrerli e vangarli fin nel profondo, fino a toccare la roccia sicura della vita che li vede insieme e accanto. Poesia è atto di fede, di speranza, di amore: vuol dire creare, continuare, perché la vita è sempre nuova, come nuovo – quando è autentico e vero – è sempre l’amore.
14
La poesia è come un lago che si raccoglie nei cieli della purezza tra le cime alte dell’indifferenza: il poeta fa fatica a scalare quelle vette, ma quando giunge e si specchia, vi immerge la nudità del suo corpo e della sua anima. Improvvisamente si popola quel lago di umanità e una nuvola si squarcia per lasciar trasparire un cielo limpido che si anima di azzurre visioni. L’umanità tutta gode, in differente misura, dell’acqua pura e sussultante che, con fremiti e messaggi di eternità, la scuote interamente. Ma solo quando sente, palpita e vive quei magici momenti – che pure a tutti son dati di cogliere – solo allora la divina umanità si celebra, il mistero si compie, nasce la Poesia. L’uomo scopre allora se stesso e l’alter ego, il fratello che gli vive accanto, perché vuol dire che ha riso, ha pianto, ha amato insieme con lui. Tutto questo sommuove e anima i miei versi. Ne facciano i lettori l’uso o il non-uso che più opportunamente crederanno. Laicamente francescano e fraternamente vostro. Michelino Fistetto
Manduria, ………2015
15