La comunicazione possibile di Tiziano Margiotta

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Copyright Š 2017 Edizioni Milella - Lecce ISBN 978 - 88 -3329 - 006 - 5

Edizioni Milella Viale M. De Pietro, 9 - 73100 Lecce Tel. e fax 0832/241131 Sito internet: www.milellalecce.it email: edizionimilellalecce@gmail.com Impaginazione e copertina: Emanuele Augieri


T i z i a n o M a r g i o tta

La comunicazione possibile Idee per una fenomenologia della comunicazione, fra modello e istanze Volume Primo Dalla semiologia alla fenomenologia



‌.a Monica e Giuseppe e a Noi ‌che non ci siamo lasciati disperdere



… Nei sogni agitati io camminavo solo attraverso strade strette e ciottolose nell'alone della luce dei lampioni sollevando il bavero contro il freddo e l'umidità quando i miei occhi furono colpiti dal flash di una luce al neon che attraversò la notte e toccò il suono del silenzio. E nella luce pura vidi migliaia di persone, o forse più persone che parlavano senza emettere suoni persone che ascoltavano senza udire persone che scrivevano canzoni che le voci non avrebbero mai cantato e nessuno osava disturbare il suono del silenzio […] … e la gente si inchinava e pregava al Dio neon che avevano creato. E l'insegna proiettò il suo avvertimento, tra le parole che stava delineando… e l'insegna disse: "le parole dei profeti sono scritte sui muri delle metropolitane e delle case popolari… e sussurrate nel suono del silenzio" P. Simon & A. Garfunkel



INDICE

INTRODUZIONE pag. 13

Capitolo I

Comunicare l’identico e l’altro, dalla prae-sentazione alla de-presentazione 1. Comunicazione del senso e dell’identità tra soggetto e oggetto 2. Comunicazione e intesa fenomenologica 3. Il presente della comunicazione 4. Il soggetto e la comunicazione 5. L’“oggetto” nella comunicazione: dalla presentazione alla condivisione 6. Comunicare la Traccia

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1. Relazioni comunicative e istanze » 1.1. Referenze e Linguaggi » 1.2. Intermediari preziosi: messaggi e funzioni persuasive » 2. Il divenire nella semantica della comunicazione, tra effettuazione ed evento »

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Capitolo II

Comunicare il dicibile e l’indicibile, dalla Parola parlata alla Parola parlante

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3. La comunicazione, dall’intenzione del parlante al contenuto del messaggio 4. Comunicazione, rappresentazione e manifestazione dell’indicibile 4.1. Il linguaggio e-motivo e la comunicazione non verbale

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1. Lingua, informazione e comunicazione » 2. Paradigmi teorici della comunicazione » 2.1. La comunicazione come relazione » 2.2. Paradigma informazionale: la comunicazione come trasferimento di informazioni » 3. Comunicazione come classificazione di informazioni » 3.1. L’approccio matematico-cibernetico » 3.2. La prospettiva cibernetica » 4. La prospettiva semiotica: un modello tra paradigma informazionale e relazionale » 5. Comunicazione umana e funzioni relazionali in Jakobson » 6. Il modello semiotico informazionale di U. Eco e P. Fabbri » 7. L’approccio ermeneutico » 8. La comunicazione come condivisione » 8.1. Alterità, condivisione e intersoggetività »

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Capitolo III

Funzioni e paradigmi della comunicazione

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8.2. La condivisione come rapporto, tra interpsichico, interpersonale e intersoggettivo 8.3. Condivisione e approccio relazionale 9. Modello ostensivo inferenziale 10. L’approccio semio-antropologico

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Capitolo IV

Comunicazione e adattamento: informazioni e sistemi

Capitolo V

ALCUNE CONCLUSIONI

BIBLIOGRAFIA



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INTRODUZIONE

Lo sviluppo di questo studio riproduce lo schema del litigio primordiale fra modello e aspirazione; si tratta, come vedremo, della continua “lotta” fra ambiente e natura, fra corpo e anima, fra struttura ed evento. Infatti, la prima parte di questo lavoro, sviluppa una riflessione su alcuni modelli di comunicazione, mentre la seconda parte sviluppa una riflessione sulla fenomenologia della comunicazione come aspirazione dell’Essere in quanto possibilità. Nella prima parte, dunque, si tenderà a rappresentare la comunicazione in quanto foriera degli elementi che caratterizzano un modello comunicativo: una sorta di classificazione di format efficaci a scopo relazionale nell’ambito della costruzione di una società. L’adozione di un modello, infatti, esprime la necessità dell’individuo di costituirsi in società, attraverso la condivisione di strumenti e codici che consentano a ciascuno dei suoi membri di modellarsi all’ambiente1. Ma l’adozione di un modello condiviso, tuttavia, comporta un adattamento, come una sorta di sacrificio di alcune parti della natura selvaggia dell’essere, a vantaggio dell’utilità riveniente dalla prospet-

H. Bergson, Il Riso, p. 100: “Ogni piccola società che viene a formarsi in seno alla grande, ha così la tendenza, per un vago istinto, a inventare un modo per correggere e ammorbidire le abitudini contratte altrove e che devono essere modificate. La società propriamente detta procede in modo analogo. È necessario che ciascuno dei suoi membri sia attento a quel che lo circonda, si modelli su quell’ambiente…”. 1


14 tiva di rendere possibile la comunicazione dell’essere e del mondo. Infatti, nell’agone comunicativa il soggetto (l’essere venuto al mondo) che esiste come carne del mondo2, interviene con il suo bisogno di essere riconosciuto in quanto corpo del mondo e, pertanto, si sforza di promuovere l’ordine attraverso la costruzione di strutture e codici efficaci, all’insegna della ragione e dell’utilità. Tuttavia, proprio la necessità di adottare dinamiche all’insegna dell’utilità, comporta il sacrificio di una parte del proprio essere-aspirazione (dell’essere grezzo, del pensiero selvaggio), poiché nella comunicazione utile prevale la tendenza a utilizzare solo le qualità primarie3 (quelle più evidenti, quelle più immediate) e a lasciare da parte i residui, considerandoli scarti. Da questo confronto tra il bisogno del corpo comunicante (funzione comunicativa-informativa della comunicazione) di costruire modelli comunicativi efficaci, e l’essere comunicante (funzione cognitiva e poietica della comunicazione), resta sul campo di battaglia della comunicazione, il sacrificio della parte più profonda dell’uomo e dell’essere – come residuo di una costruzione – in quanto portatore di qualità sprovviste di necessità – ovvero provviste di una necessità a posteriori4. Sarà nella seconda parte che cercheremo di individuare come, nella comunicazione, l’essere tenda a valorizzare tanto Circa il concetto di “carne del mondo” si parlerà nel secondo volume di questo lavoro. Cfr. M. Merleau-Ponty, Il visibile e l’invisibile. 3 Cfr. C. Levi-Strauss, Il pensiero selvaggio, pp. 30-35. 4 C. Levi-Strauss, Il Pensiero selvaggio, p. 48. “Come qualità sprovviste di necessità – ovvero provviste di una necessità a posteriori”, in quanto una qualità è definita primaria, solo in funzione della condizione storico-culturale in cui si dà l’“oggetto”. Come vedremo più avanti, Merleau-Ponty dirà che i migliori libri (e le intuizioni in essi contenute) talvolta, sono quelli custoditi nelle bilbioteche polverose, che aspettano di essere scoperti e utilizzati a distanza di secoli. 2


15 le qualità primarie del corpo del mondo (intervenendo secondo i modelli della scienza moderna ed “esatta” e dell’“ingegnere”), quanto e soprattutto l’anima del mondo – la carne del mondo –, attraverso la valorizzazione della riserva d’essere che dimora negli scarti e nei residui di costruzioni e distruzioni precedenti (intervenendo secondo i “modelli” della “scienza primitiva” e del bricoleur)5. Nella seconda parte, dunque, lo studio procederà sul piano fenomenologico, lungo il continuum che va dal modello e dal corpo e dal reale della comunicazione, fino all’anima e al possibile della comunicazione come aspirazione dell’essere. La comunicazione, dunque, come campo di battaglia del litigio primordiale6 fra pensiero utile7 (modello) e pensiero selvaggio8 (aspirazione), sul quale si affrontano il divenuto e il divenire, attraverso il linguaggio-strutturato in nominazione fatta di ordine e modelli e parola parlata del corpo, e attraverso il linguaggio de-strutturato originario della chora e della parola parlante della carne del mondo che “parla” dell’essere nel silenzio dell’attesa dell’anima. Ibid. Come specificheremo più avanti (“La comunicazione possibile”, volume 2, “comunicazione e individuazione”), la comunicazione ri-suscita il litigio primordiale fra aspirazione (spazio liscio an-archico) e modello (spazio striato modellato e archetipico), fra volontà di conservazione e volontà di potenza: ovvero favorire il divenire seguendo il modello collaudato del pensiero intelligente e utile e sfruttando solo la qualità primaria, oppure favorire il divenire seguendo l’evento, il pensiero selvaggio e “L’aspirazione a credere che in qualche suo aspetto il mondo sia uguale al buon vecchio Dio, illimitatamente creatore, che in qualche luogo “il vecchio Dio vive ancora” – quell’aspirazione di Spinoza che si esprime nelle parole di “deus sive natura”. F. Nietzsche, La volontà di potenza, 1062, p. 558 7 H. Bergson, Materia e Memoria, p. 4. 8 M. Merleau.Ponty, Il visibile e l’invisibile. 5 6


16 Sarà lungo questo continuum che vedremo le modalità di sviluppo del litigio primordiale, attraverso una comunicazione che emergerà in tutto il suo valore totemico (archetipico-primordiale-doxastico), tanto quale pratica che valica i semplici confini del linguaggio-esecuzione per fondare un’etica9 (lanciando messaggi di ammonimento, divieto e prescrizione), quanto quale praxis sincronica di integrazione degli scarti differenziali10, “la cui funzione è quella di garantire la convertibilità ideale dei diversi livelli della realtà sociale”11, e quale poiesis diacronica di recupero degli scarti-ritagli-residui-scampoli-riserve d’essere innominabile, che costituisce i puntelli della piramide di tempo su cui ci cogliamo (puntelli che si costituiscono come pietre miliari di ogni esistenza, ogni qualvolta recuperiamo – nella comunicazione – la riserva d’essere altrimenti dispersa fra le macerie del pensiero utile quotidiano). Ecco che, allora, si vedrà come la comunicazione, tanto attraverso l’utilizzo delle qualità primarie dell’“oggetto” seguendo un modello/struttura/archetipo (un’architettura di segni e relazioni), quanto attraverso il recupero degli scarti-riserve (ri-utilizzo della parte eccedente l’oggetto e il linguaggio, ritenuta superflua e non funzionale all’utilità immediata) – seguendo l’aspirazione a divenire-al-mondo in autenticità an-archica (ciò che l’essere ritiene di essere) – sia un’incessante operazione di ri-costituzione dell’essere, per com-posizione di residui di fatti di comunicazione, in cui i significanti si trasformano in significati e viceversa, attraverso la quale la riserva d’essere dell’uomo e dell’“oggetto” – come

C. Levi-Strauss, Il Pensiero selvaggio, p. 111. Ibid., p. 85. 11 Ibid., pp. 89-90. 9

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17 eccedenza di significante (originario) nel significato12, viene inserita nel circuito dell’espressione – quale esistenza in atto dello spirito13. Inoltre, come detto, guarderemo alla comunicazione quale esercizio di integrazione degli scarti differenziali fra differenti culture, vissuti, percetti e concetti, attraverso il quale si producono sistemi concettuali, strutture intellettuali ed eventi-esperienze, che assolvono una funzione, rispettivamente: comunicativa, intellettiva e poietica. Ne verrà fuori una comunicazione come funzione dell’essere, in grado di connettere il corpo all’anima e al mondo-della-vita, secondo una tripartizione14 di funzioni: una funzione Vedremo come la comunicazione si autoalimenti, causa la percezione di un residuo di significazione possibile: come se anche la più completa espressione, non avesse potuto com-prendere tutto l’essere che si voleva esprimere, dando luogo a una eccedenza di significante (eidetico) inespresso. Il significante si costituisce nello scarto dell’esperienza, dall’incontro fra il fatto e il principio: fra l’“oggetto” come fatto e l’oggetto come principio eidetico, fra l’immagine ideale dell’oggetto distinto (che attiene l’idea dell’oggetto-fatto per come esperito nel contatto) e l’immaginario dell’oggetto indistinto (che attiene all’eidos e all’indifferenziato per come vissuto), esiste uno scarto; questo scarto è l’eccedenza di significante. Più avanti, nella seconda parte di questo lavoro, si dirà che “l’immagine che fonda il significante originario è più vicina all’eidos che all’idea: l’immagine potrà coabitare in un segno con l’idea – C. Levi-Strauss, Il pensiero selvaggio, p.33 – ma l’eidos e l’immaginario residueranno un “senso” secondo - un non-senso che appartiene alla dimensione affettiva - che non sarà mai del tutto com-preso nel segno in quanto esecuzione empirica concreta”. 13 M.M.-Ponty, Segni, p. 98. 14 Una tripartizione di funzioni della comunicazione che, piace immaginare, possa riprodurre una tripartizione dell’essere: una tripartizione dell’anima di platoniana memoria (Repubblica), secondo la quale l’anima, come principio vitale ed eterno, può essere scomposta in tre parti: un’anima razionale, una irascibile e una concupiscibile. 12


18 comunicativa, che esprime una esigenza di farsi comprendere in quanto “valore-essere”, attraverso un atto che è praxis agita come arbeit dell’homo faber (della dimensione della fabbricazione – di Heidegger); una funzione intellettiva, in quanto esprime una esigenza di pensarsi come valore-essere, attraverso un atto pensato come beruf dell’homo loquens; una funzione poietica, riveniente dal continuo creare strutture del vissuto a partire da residui di eventi, a partire dagli scarti e dalla riserva d’essere “non individuata”, attraverso un atto vissuto che si “concretizza” nella dinamica (spesso parossistica) di continuo recupero e integrazione di residui di costruzioni e distruzioni precedenti, come un bricolage15 esistenziale, da parte di un

Evidente come Platone non volesse sostenere la presenza, all’interno dell’uomo, di tre diverse anime, ma intendesse sottolineare quello che oggi potrebbe essere definito – passi la semplificazione – come rapporto di forze psichiche. 15 “Ci sono due modalità di costruire il mondo: quella della scienza e quella del bricolage. La prima crea eventi a partire da strutture, la seconda crea strutture a partire da eventi (esperienze-contingenze). In questa seconda modalità, si riparte da residui di essere, dell’evento grezzo-originario, non attualizzato, per dare vita a una rappresentazione di mondo e di Sé. I residui linguistici lasciati dal sistema in via di regresso. – Una volta che la struttura dell’espressione ha perso parte della sua espressività – vengono riutilizzati (e con essi il senso residuo, ovvero ciò che si voleva dire/percepire intenzionalmente) per ristrutturare l’enunciato, nel tentativo di dare completezza al dire non ancora detto. In altre parole: i residui (la riserva d’Essere inespresso) sono ciò che nella modalità del bricoleur, rappresentano la riserva d’Essere inespressa che resta sul campo della comunicazione e annuncia che c’è qualcosa di sé e dell’altro inespressa, e che si può ancora comunicare, in una nuova pronuncia (anche silente) o in un nuovo enunciato. Ciò dimostra che a seconda del valore d’impiego, con i residui si può dare vita a nuove possibilità; ecco che, allora, come dirà M.-Ponty (Segni), una espressione - così come una lingua può essere pensata come “un insieme di segni linguistici convergenti, ciascuno dei quali sarà definito più da un valore d’impiego che da una


19 essere che ricostruisce significati a partire da un significante originario che risiede nella riserva d’essere di cui è portatore potenziale ogni residuo, ogni traccia, ogni tessera, ogni frammento altrimenti considerato in-utile. Da quest’ultima funzione della comunicazione l’essere emerge come soggetto. La prima funzione della comunicazione si regge sui sistemi concettuali e sui codici condivisi, agenti attraverso il pensiero intelligente (vigile-presente-sincronico), che assume il valore di mezzo mnemotecnico finalizzato anche alla storicizzazione del pensiero (piramide di tempo M. M.-Ponty); la seconda e terza funzione della comunicazione si reggono sui sistemi percettivo-intenzionali-emotivi che intervengono attraverso il pensiero selvaggio-latente-diacronico-immaginario, con valore di mezzo speculativo16. Ad ogni buon fine, attraverso questo lavoro vogliamo fornire elementi per dimostrare come la comunicazione intervenga quale tentativo di cogliere l’intesa17 col mondo-della-vita, di rilevarne le melodie e le armonie (rispettivamente equilibrio di accenti-note-parole ed equilibrio di spazi-intervalli-silenzi). Una intesa quale momento di approdo a una coscienza collettiva passando per una sub-coscienza collettiva (un originario preindividuale), innescata da una reciprocità che non significazione”. Cfr. C. Levi-Strauss, Il pensiero selvaggio. 16 Nel paragrafo dedicato alla comunicazione totemica, verrà chiarito questo passaggio, attraverso la citazione di Levi-Strauss a proposito delle classificazioni totemiche. Cfr. Claude Levi-Strauss, Il Pensiero selvaggio, pp. 78-79. 17 Con Husserl, più avanti vedremo come “la coscienza integra e corregge costantemente le proprie rappresentazioni empiriche e convinzioni teoriche attraverso quelle degli altri, e il ‘mondo vero’, quale correlato ideale della scienza, è in tutto un’opera collettiva prodotta e resa possibile dalla comunicazione reciproca”. […] In quanto essere umano io sono e mi scopro in un rapporto di intesa con gli altri esseri umani che mi sono dati nell’esperienza”. E. Husserl, Esperienza e giudizio, p. 209.


20 appartiene alla dimensione del decidibile. Una intesa che, tuttavia, comporta la disponibilità a farsi abitare da uno spirito diverso dal proprio e, con esso, dalla sorpresa dello straordinario potere creativo della comunicazione, come conseguenza che oltrepassa l’essere-al mondo. Comunicare, dunque, sarà ospitalità, conversione, confessione, fratellanza e testimonianza: sarà accogliere l’Altro come testimonianza del sé mancante18, “lasciarlo essere al di là dell’essere-qualche-cosa”, perchè, come dirà J. Derridà, “lasciare il passaggio all’altro, ad ogni altro, è ospitalità”19. Accogliere un Altro da sé che ci appartiene come un “significante originario”20, come un sapere da sempre che appartiene alla dimensione dell’indicibile e che ci abita come un sapere bucato21 traumatizzante. Comunicare sarà, talvolta, trovare la “…l’essenziale della confessione o della testimonianza non consiste in un’esperienza di conoscenza. Il suo atto non si riduce ad informare, ad insegnare, a far sapere. Estranea al sapere, dunque ad ogni determinazione o ad ogni attribuzione predicativa, la confessione divide questo destino con il movimento apofatico. La risposta di Agostino si inscrive sin dall’inizio nell’ordine cristiano dell’amore e della carità: come fraternità”. Cfr. J. Derridà, Il segreto del nome, Jaca Book, Milano, 2005, p. 132. 19 Ibid., pp. 169-171. 20 Di “significante originario” si parlerà nel secondo volume de “La comunicazione possibile”: significante originario della dimensione dell’Indecidibile, cfr. J. Derridà, Il segreto del nome, Jaca Book, Milano, 2005, pp. 45-50, in quanto si manifesta nella visione spontanea (e non nell’intellezione come atto di sintesi associativa di uguaglianza assoggettato a volontà) come genio e modalità di esistenza di un attributo di “Natura”: un genio che ci abita come “pensiero selvaggio” (C. Levi-Strauss), il quale si sviluppa non “a patire” ma “seguendo” un sentire originario in quanto intuizione e visione geniale del significante originario. 21 Più avanti, approfondiremo concetti come “Il sapere bucato” di Lacan, il “Simbolo” e il “Mito” di Lévi-Strauss. Appresso, infatti, le istanze della comunicazione saranno sviluppate in rapporto a occorrenze quali l’Istanza paradossale di G. Deleuze, intesa come il terzo elemento della comunicazione, il rinvio al simbolico che tende 18


21 forza di superare questo trauma del vuoto di significanti che si esperisce nel “qui e ora” della relazione al presente (trauma che invoca il rifugio nella fuga dalla comunicazione), per affidarsi (abbandonarsi) a un “senso” di là da venire (da di-venire). Accettare un senso in di-venire, tuttavia, comporta una sorta di Epochè, una sospensione del giudizio (pre-giudizio) su base informativa, per affidarsi a un “giudizio” sul gesto emozionale attraverso cui l’altro si presenta come “qualcos’altro”22 che rispecchia il mondo intero e rispecchia noi stessi: una monade23. a colmare il difetto nel riempimento di senso, che tende a riempire “la casella vuota”, l’indicibile di Lacan, che si crea nello scarto tra significante originario (l’integrità significante di Lévi-Strauss) e il significato esprimibile. L’istanza paradossale, come vedremo, è il rinvio-riferimento al simbolico, attraverso cui l’uomo tende a mitizzare l’inesprimibile (e lo fa soprattutto attraverso l’arte, la musica, la poesia e perfino attraverso il proprio corpo – nei “Segni indelebili” di Betty Marenco, che diventano mitizzazione di sé stessi – nel momento in cui l’uomo prende coscienza della immensità, della profondità e della solitudine dell’indicibile. n Levi-Strauss, il “pensiero selvaggio” è una modalità del pensare umano che, peculiare a tutti gli uomini di tutte le culture, caratterizza, per ragioni storiche e strutturali, alcuni settori della nostra società e, soprattutto, le culture non occidentali. Si tratta di una forma logica di pensiero che, piuttosto che agire per astrazione, classificazione e sublimazione di qualità, o per gerarchizzazione logica di classi ideali, opera, partendo da una particolare attenzione alle qualità sensibili del reale considerate nella loro capacità di fungere da segni, per produrre una continua rete di simboli e di significati. http://www.treccani.it/enciclopedia/claude-levi-strauss/. 22 Approfondiremo, in seguito, come la comunicazione diventi mezzo di costruzione di mondi possibili, attraverso la conoscenza di sé in rapporto alla conoscenza dell’altro diverso da sé e degli altri. Come dirà Husserl in “Esperienza e giudizio”, “ciò che si manifesta è dato alla coscienza non solo genericamente, come una cosa che si manifesta, ma in un particolare modo di coscienza, quello di un’“immagine di qualcos’altro” di ciò che si presenta in modo figurato nella cosa, in un vissuto. 23 “… il mondo custodisce in sé e genera sempre nuovamente da sé


22 Ed è in questa dimensione in cui le conseguenze della comunicazione oltrepassano l’essere-al mondo come premessa e come presenza, che, forse, la comunicazione apre all’infinito dell’eterno ritorno dell’aspirazione a liberare l’Essere nel gesto: un gesto esistenziale che annunci la conversione dell’essere-al mondo nella accettazione della trasgressione intenzionale “dalla quale ri-emergo – senza sapere chi parla e chi ascolta – come unità che si ricrea incessantemente, in una dimensione del “senza nome”24, del “pensiero senza titolare” e della visione25 che restituisce l’assoluto di ogni altro – come in una visione continua dell’aurora e del crepuscolo, come la nascita di una nuova foglia che cresce in silenzio e che in silenzio cade e ritorna alla terra (a fermentare la terra) – in cui troviamo la “verità” ultima dell’Essere e la risposta all’eterno interrogativo su “che cosa siamo”. Vorrei che questo lavoro, in sintonia con la tradizione fenomenologica, fosse considerato un’opera incompiuta. Infatti, il presente studio intende fornire solo alcuni spunti di riflessiostesso (nel divenire organico) degli esseri animali, segnatamente degli uomini, che conoscono il mondo. Sparse nel mondo ci sono cioè delle cose fisiche con le proprietà di ‘corpi animati’, a cui sono connessi dei soggetti psichici o, come potremmo dire, delle ‘monadi’, la cui prodigiosa proprietà sta nel rispecchiare il mondo intero e nel rispecchiarsi vicendevolmente l’una con l’altra per mezzo delle loro rappresentazioni, dei loro vissuti conoscitivi. E. Husserl, Esperienza e giudizio, p. 205. 24 M. Merleau-Ponty, Fenomenologia della percezione, p. 233: “Io posso sì assentarmi dal mondo umano e abbandonare l’esistenza personale, ma solo per ritrovare nel mio corpo la medesima potenza, questa volta senza nome, dalla quale sono condannato all’essere. Si può dire che il corpo è ‘la forma nascosta dell’essere se stessi’” 25 “La visione realizza qualcosa che la riflessione non comprenderà mai: essa fa sì che a volte il combattimento sia senza vincitore, e il pensiero, da questo momento, senza titolare”. M. Merleau-Ponty, Segni, p. 35.


23 ne, allo scopo di promuovere la disseminazione dell’embrione di una riflessione critica attorno alla comunicazione. Il compimento di quest’opera (se mai un’opera si potesse considerare “finita”), è affidato all’altro, al fuori di sé e al lettore, poiché nelle mie ricerche e in ciò che qui ho detto, sento di non riuscire ad abbracciare il “tutto” del dire. Questo lavoro (nella sua miseria) – come scriveva Wittgenstein nella lettera a Ludwig von Ficker, del 1919, a proposito del suo Tractatus – si compone di due parti: “di ciò che ho scritto, e di tutto ciò che non ho scritto. E proprio questa seconda è quella più importante”, e lo è tanto più in quanto questo scritto fonda la sua “forma di raffigurazione”26 a partire dal non detto: dal dire27 verso il detto e dal vuoto da riempire – come dirà Husserl – verso l’attesa, per dare significato al detto nel tentativo di com-prendere e “pro-curarsi” l’altro28.

Ringraziamenti Per avermi trasferito intuizioni profonde, senza le quali non avrei potuto iniziare il presente studio, ringrazio: Carlo A. Augieri, professore ordinario di Critica Letteraria e Letterature comparate - Università del Salento; Raffaele De Giorgi, professore ordinario di Filosofia del Diritto, già preside della Facoltà di Giurisprudenza - Università del Salento

Ciò che fonda la significazione quotidiana del detto – Wittgenstein nel Tractatus la chiama “forma di raffigurazione” – non sta nel detto e tuttavia è verso di esso che sempre si orienta la comprensione. Proprio questa seconda parte è, insomma, quella più importante. R. Ronchi, Teoria critica della comunicazione, p. 103. 27 Sulla differenza fra dire e detto, incontreremo l’“altrimenti che essere” di E. Levinas. 28 Pro-curarsi l’altro, nel senso Heideggeriano di prendersi cura dell’all’altro. 26


Questo saggio si inserisce nel solco della riflessione fenomenologica portata avanti da quanti hanno inteso problematizzare la comprensione dei processi umani, sociali e naturali, spesso assimilati in maniera indistinta, a fenomeni comunicativi di “superficie”, fra medium e messaggio. Nel contatto col mondo, ognuno coglie dei segni e lancia dei messaggi. Ogni “cosa” che entra nella sfera della percezione di ognuno, contribuisce alla definizione di una noosfera, sia in quanto impronta sensibile, sia come traccia percepibile. Infatti, al di qua del mondo popolato da segni - e altrove rispetto al mondano impegnato a trasmettere messaggi all’insegna del pensiero intelligente - insiste una dimensione del comunicare all’insegna di un “pensiero selvaggio”, che intercetta l’eccedenza di un “voler dire” rispetto al “detto”. Il dubbio che sottende questo studio, si alimenta delle più tradizionali tra le domande circa “come comunichiamo?”, e “che cosa comunichiamo?”: comunicare è tentativo di “intenzionare” e in-formare il “reale”, oppure è tentativo di “individuare” il possibile? Si vedrà come in alcune circostanze comunicare possa essere il tentativo di rendere un significato attraverso un significante coerente, e quanto in altre condizioni, comunicare sia esercizio in-coerente di un divenire “altro”. In un percorso attraverso i territori della linguistica di E. Benveniste e della semiotica di U. Eco e P. Fabbri, passando per le funzioni di Jakobson e per la fenomenologia di J.C. Coquet, si approda alla dimensione fenomenologica della comunicazione, grazie alle intuizioni dell’Esperienza e giudizio, delle Ricerche Logiche e della Fenomenologia della percezione di Husserl. Su questo sfondo emergono alcune idee che riferiscono di una comunicazione che insiste come dif-ferenza e fenditura di Derridà, come “modalità attualizzata e modalità potenzializzata” di N. Luhmann, ma anche come linguaggio del Sapere bucato di Lacan, come “parola parlante” dell’Essere grezzo di Merleau-Ponty, in una dimensione del pensiero meditante di Heidegger che consente di approdare a quella Gelassenheit grazie alla quale “toccare” il Dire e l’alterità di Levinas, lasciandosi abitare dalla comunicazione dell’attesa nel tempo sospeso del silenzio. Tiziano Margiotta docente a contratto di Metodologie e tecniche della comunicazione presso l’Accademia di belle arti di Lecce. Dal 2015 al 2017 ha collaborato con l’Università del Salento come docente di Comunicazione interpersonale nei progetti di Servizio Civile Nazionale. Professore invitato presso l’Università di Pechino e Hongyu International School di Pechino. Nel 2004 ha pubblicato La società dei cattivi Il rapporto tra percorsi devianti e processi comunicativi. Alcuni suoi lavori sono stati pubblicati in Enciclopedia momentanea di Stefano Cristante (a cura di) AA.VV., Arcana, Roma, 2002; Comunicazione e Urbanistica: sviluppo sostenibile del turismo nel territorio di Vernole, Edizioni Minigraf, Lecce, 2013.

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