Il mio Salento Valerio Casalini
Copyright Š 2017 Edizioni Milella - Lecce ISBN 978 - 88 - 942837 - 0 - 9
Edizioni Milella - Lecce Viale M. De Pietro, 9 - 73100 Lecce Tel. e fax 0832/241131 Sito internet: www.milellalecce.it email: edizionimilellalecce@gmail.com Copertina ed impaginazione: Emanuele Augieri
Valerio Casalini
Il mio Salento
Indice Prologo pag. 7 Rapporto annuale ISTAT 2015
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Piano Paesaggistico della Regione Puglia
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I Luoghi
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Le Coste Porto Cesareo - Gallipoli Gallipoli - Leuca - Otranto Torre San Gennaro - Otranto
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Brindisi Taranto Lecce
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136 146 154
Il Barocco Avvenimenti storici Epilogo Indice dei luoghi Bibliografia
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San Pietro Vernotico - Chiesa Matrice
Prologo Sono nato nel Salento e, come gli indiani d’America di pascarelliana memoria, manco lo sapevo. Oppure no. San Pietro Vernotico, il mio paese natale, si trova a cinque chilometri dall’ultimo avamposto nordico di quello che per la quasi totalità dei Leccesi è il Salento. Era ed è un paese essenzialmente agricolo, nato intorno al 1100 in una zona che fu ricca di insediamenti messapici, quando le popolazioni si arretrarono dalle coste. Si difendevano in qualche modo dalle scorribande turche. Quando ero ragazzo l’agricoltura lo rendeva ricco. Un contadino con tre-cinque ettari di terra di proprietà era in grado non solo di togliere dall’indigenza la propria famiglia, ma soprattutto si poteva permettere il lusso di man7
dare i propri figli a scuola. Durante la vendemmia e la raccolta delle olive, da più parti arrivavano i contadini “stranieri”. Senza di loro l’uva sarebbe rimasta sulle piante, il mosto sarebbe diventato aceto e le olive sarebbero marcite a terra senza mai diventare olio. I braccianti locali, cioè quelli che erano disposti a lavorare nei campi altrui, erano veramente pochi, perché quasi tutti, avendo un pezzo di terra di proprietà, grande o piccolo che fosse, erano gelosi della propria individualità e amavano considerarsi padroncini. Ad arrivare con regolarità annuale erano principalmente quelli che noi chiamavamo “li ppoppiti”, i “Post Oppidum”, quelli cioè che venivano dai luoghi dopo la città di Lecce, e che noi consideravamo luoghi di miseria, da dove la gente doveva scappare per trovare lavoro. Provenivano principalmente da Tricase e da Sanarica. Questi ultimi addirittura avevano costruito una piccola chiesa sulla via del mare, ancora esistente, dedicata alla Madonna di Sanarica. Ancora oggi sono ormai sanpietrani, mi verrebbe da dire “santipitrari”, i loro discendenti. Avevano la loro povertà cucita addosso, negli sguardi e nel fare dimesso ed erano sempre molto educati e miti. I paesani li trattavano con sufficienza, ne prendevano le distanze, quasi ad allontanare scaramanticamente quel triste destino che come niente sarebbe potuto capitare a loro. Erano cantinieri e trappitari (operai dei frantoi) provetti, ma soprattutto grandi nagghiri (capi dei trappitari). Ho avuto modo di stare spesso con loro, soprattutto con quelli della mia età, quando, fra i quindici e i diciotto anni, al termine di una giornata di vendemmia, dopo aver fatto il pesatore d’uva in campagna, tornavo nello stabilimento per rendicontare al padrone. Mi fermavo con loro per qualche piccolo gioco, a rincorrerci intorno alle botti o semplicemente per osservarli nelle pratiche lavorative. Capitava anche che si uscisse la sera per lo struscio in via Brindisi: ragazzi e ragazze rigorosamente separati sui lati opposti della strada. Non spendevano una lira per vivere. Dormivano nei luoghi di lavoro, mangiavano quello che capitava e con la laboriosità e la parsimonia delle formichine riuscivano a mettere da parte quasi tutto quello che guadagnavano. Così come avviene oggi per la maggior parte delle badanti, anch’esse straniere. E proprio questa laboriosità, questa parsimonia, questa tenacia, unite alla riscoperta della passata tradizione culturale, come mi dicono gli esperti locali, sono state l’incipit per il moderno Salento Leccese. All’epoca, San Pietro Vernotico era per me il centro dell’Universo, anzi era l’Universo intero. A Sud miseria e povertà; a Nord luoghi in8
distinti e senza storia, luoghi da attraversare ad occhi chiusi per raggiungere Milano o Torino, mitiche città per continuare gli studi universitari, se mai ci fossi arrivato. Distinguevi le stagioni dalle attività agricole che si succedevano, diverse, nel corso dell’anno. Un acre odore di zolfo e di verderame era sparso nelle strade dai contadini che su robuste biciclette traballanti per la fatica e per l’enorme peso e ingombro di zappa, secchi, pompa di rame, corde e sacchetti, tornavano a casa a passo lento, colorati di grigio o di verde, pregustando l’accoglienza devota delle mogli e dei figli opportunamente istruiti dalle madri. Quell’odore non se ne andava neanche dopo abbondanti lavaggi, sicché anche la piazza, luogo d’incontro serale per un minimo di svago o anche per organizzare i lavori dei giorni successivi, benché avessero smesso i panni di campagna per i più gentili pantaloni e camicia, la sentivi da lontano prima ancora di vederla. E che dire delle lunghissime teorie di traini con il loro prezioso carico di mosto e uva in coda per il parmento (spiazzo sovrastante la pigiatrice in cui veniva scaricata l’uva). Era una frenesia di attività, le più diverse, di voci, di racconti di fatti vicini e lontani, scanditi al ritmo costante, quasi a segnare il tempo della pompa carolla che a ciclo continuo liberava la pigiatrice dal mosto per far posto ad altra uva e altro mosto. Lo depositava nei fermentini, da dove tutt’intorSan Pietro Vernotico - Costa
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no si diffondeva nell’aria l’odore della cantina, che l’anidride solforosa, usata per governare la fermentazione, emanava. Restava persistente nelle strade e nelle case fin quasi sotto Natale. Anche alle medie tutti i miei amici erano legati alla campagna; e i nostri giochi di strada erano le corse con i cavalli, o battaglie di eroi omerici sui loro agili cocchi, trainati da possenti animali. I cocchi, diremmo oggi, erano virtuali e i cavalli eravamo sempre noi che facevamo a gara per impersonarli. Poi, alla fine della scuola media, tutti i miei compagni hanno scelto di abbandonare gli studi per dedicarsi con i loro padri alla campagna; così sono rimasto solo. Con i nuovi compagni di scuola, al liceo classico di Brindisi, non è stato più possibile ricostruire neanche un minimo di intimità. Erano troppo lontani. Figli di ingegneri, magistrati, professionisti non capivano il mio mondo, né io il loro. Nel frattempo in paese hanno cominciato ad asfaltare le strade, l’odore del catrame ha preso il sopravvento su tutto, sono scomparsi i solchi dei carretti, e anche i carretti, poco alla volta, ma inesorabilmente. Sono finiti anche i mestieri ad essi collegati: falegnami, carpentieri, fabbri, sellai hanno dovuto riciclarsi e spesso sono rimasti disoccupati e morti di fame o hanno dovuto emigrare. Ma anche la terra non ha più prodotto il reddito di una volta. Benché affrancati dai mercanti del Nord grazie alla nascita delle Cantine Sociali, dopo il primo entusiasmo si sono trovati a ricavare dalla terra sempre meno profitto, fino ad arrivare ai nostri giorni quando, ed è ormai da molti anni, da un ettaro di vigna non si riesce a recuperare neanche le spese per i coltivi. Le Cantine Sociali, purtroppo, non sono riuscite a stare al passo con i tempi e con il mercato globale del vino. Da qualche anno qualcuna ci sta provando e anche con buon profitto, ma è molto lontana dai risultati di altre Cantine del Nord: San Michele Appiano, la cantina di Caldaro, Terlano, per citarne solo alcune, nate nello stesso periodo delle nostre, oggi sono rinomate in tutto il mondo e distribuiscono dividendi ai soci anche cinque volte superiori alle spese necessarie per i coltivi. Ho lasciato San Pietro nel 1961; non era più lo stesso dei primi anni, non c’era più la poesia o forse la poesia non era più in me. Non c’era nessuna prospettiva futura di lavoro al di fuori del precario bracciantato, né di sviluppo per la piccola proprietà terriera. Sono andato via con molto dispiacere, ma anche senza rimpianti. 10
Ho sentito la parola Salento per la prima volta, o almeno così credo, verso la metà degli anni 90 quando, nel 1995 (allora mi interessavo di vini) venne approvata la IGT Salento. Poi è stato un crescendo continuo tanto che oggi non passa giorno senza che sui giornali o in televisione sia pronunciata, quasi fosse una parola magica o il passe-partout del vivere felice. Si parla di Salento, ma quali siano i suoi confini geografici è cosa di difficile definizione. Per la IGT, oggi IGP, è tutto il territorio che appartiene alle provincie di Taranto, Brindisi e Lecce; per i Leccesi è solo la provincia di Lecce; per la storia è la parte della Puglia bagnata dai due mari, l’Adriatico e lo Ionio. A complicare le cose, poi, intervengono le iniziative di alcuni luoghi intese a evidenziare la propria identità: ed ecco che compare la Grecia Salentina, la Valle d’Itria, l’Arco Ionico Salentino, …La discriminante maggiore rimane tuttavia la visione dei leccesi che, escludendo tutta la parte a Nord di Squinzano, limitano il Salento alla parte più estrema della penisola. Ne ho chiesto le ragioni agli esperti. Sono emerse due posizioni nette e inconciliabili: Per alcuni «parlare del Salento e circoscriverlo entro i confini dell’attuale provincia di Lecce non è soltanto una necessità di ordine pratico. La storia ha quasi imposto questa delimitazione di ordine politico e culturale innanzitutto. Per esempio, nel periodo medievale l’attuale provincia di Lecce è stata più MARTA - Zeus di Ugento
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interessante di quella di Taranto nonostante questa fosse un principato. Il Salento attuale ha sempre catalizzato una particolare attenzione soprattutto di ordine culturale per una certa ricchezza legata allo sviluppo del Barocco. Mentre nel resto di Terra d’Otranto pascolavano le pecore, nell’antico Salento fiorivano scuole prestigiose (si pensi a Casole o a Nardò). E gli altri attuali centri di provincia come Brindisi e Taranto, dopo un periodo fulgido in epoca preellenica, ellenica e romana, insieme non hanno saputo reinventarsi e ombreggiare il citato Salento». Secondo altri «… Che quando si parla di Salento ci si riferisca, sul piano storico come su quello amministrativo, alle tre province di BR, LE e TA è incontestabile e solo miserande (anche se comprensibili) gelosie di campanile possono contestarlo. Le tre province in questione sono nate dalla precedente e antica (almeno dal XIII sec.) unica provincia di Terra d’Otranto (o Iapigia) solo meno di un secolo fa, tra il 1925 e il 1927, a seguito 12
Brindisi - Colonna via Appia
di una riforma degli assetti istituzionali e territoriali promossa dal fascismo che mirava in parte a razionalizzare l’assetto deliberato subito dopo l’Unità, in parte a dare una diversa immagine della “potenza” demografica dell’Italia (moltiplicare il numero delle province ed accorpare ai capoluoghi i piccoli centri vicini per creare grandi aree metropolitane: si pensi ad esempio, a Napoli). È una vicenda nazionale, ormai più che ampiamente ricostruita sul piano storico … Nella attuale fase storica le preferenze non sono univoche. Umori e preferenze variano in continuazione in rapporto agli interessi contingenti delle varie componenti del ceto politico e amministrativo; … perenni campanilismi, …, creano confusione e di norma non hanno mai voglia di confrontarsi seriamente con le ragioni della storia e della geografia. Del resto è destino della storia (ma anche della geografia politica ed amministrativa), come disciplina e come “senso comune” della gente, avere rapporti conflittuali con la politica (intesa in senso molto ampio e “nobile”). La politica cerca sempre di subordinare a sé la storia e questa tenta di sfuggirle, ma spesso senza successo…. Per concludere, il Salento è l’antica Terra d’Otranto, ma come qualsiasi altra realtà politico-amministrativa è molto articolata al suo interno e questo spiega ed in parte autorizza (ma non giustifica e non rende per ciò stesso più “vere”) le opinioni e pretese più diverse». A questo punto giunti, come soleva ripetere un mio compagno di Bridge ogni qual volta si trovava in difficoltà, non mi resta che interrogare la Storia. L’ho integrata con lo studio del Barocco, del Rapporto annuale 2015 dell’ISTAT e del Piano Paesaggistico della Regione Puglia. Questi ultimi due non solo mi hanno portato preziosi elementi di valutazione sul piano economico-sociale e territoriale ai fini del nostro problema, ma mi hanno consentito soprattutto di acquisire una visione globale, che definirei di base, per la comprensione di ciascun luogo. 13 MARTA - Cratere in Carparo IV-III Sec.a.C.
Se è vero che sarà la bellezza a salvare il nostro mondo, un utile contributo alla salvezza potrà certamente essere fornito da questo libro, grazie a quanto vi viene illustrato delle bellezze salentine, con accurate descrizioni ed una miriade di splendide fotograae scattate dall’autore stesso. Ma non si tratta solo di una dotta e piacevole guida alle località più suggestive che costellano il “tacco” dello Stivale. Vi si trovano anche pertinenti notizie storiche n dalla preistoria, reminiscenze della civiltà contadina, racconti di esperienze personali, qualche consiglio gastronomico, qualche accenno a vini celeberrimi, l’indicazione delle coste più suggestive e di itinerari irrinunciabili, oltre a due appendici monograache sul Barocco e sulla storia della Penisola Salentina. Di tale area geograaca, ben delimitata dal mare, vengono anche indicati i connni terrestri più coerenti con l’intreccio dei fattori storici, orograaci, etnograaci e sentimentali. Alla lettura, il testo risulta complessivamente piacevole, anche se è tutt’altro che apologetico o mieloso: l’autore, infatti, pur conferendo il giusto risalto al bello ed a ogni altro pregio riscontrato, non trascura di additare svariati aspetti negativi, quali il deturpamento della campagna dagli impianti eolici e fotovoltaici, lo sviluppo caotico ed incontrollato di cer abitati, l’inquinamento, il caporalato, il danneggiamento delle dune costiere e della Posidonia, la salinizzazione della falda freatica, e così via, con giudizi taglienti e talvolta n troppo severi. Ciò nonostante, o forse proprio per questo, il libro rappresenta comunque un inequivocabile atto d’amore dell’autore nei confronti della propria terra, il cui fascino non mancherà di invogliare il lettore ad approfondirne la conoscenza de visu. Ammiraglio Domenico Carro
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€ 15.00