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PREMESSA
TUTTO COMINCIÒ IL PRIMO DI SETTEMBRE DEL 1965…
Quando, il primo settembre 1965, mi sono presentato all’ingresso della Ferrari in via Abetone a Maranello, dopo la visita medica e la consueta burocrazia, pensavo di essere accompagnato a Modena, sede dell’Assistenza Tecnica dove mi aspettavo di essere assegnato a un ufficio con un bel po’ di manuali sulla scrivania.
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Ero un po’ stordito mentre seguivo chi mi accompagnava, passando attraverso il Reparto Corse: mi guardavo attorno senza capire bene cosa mi stesse accadendo, forse stavo facendo un giro per prendere conoscenza dell’azienda.
Ho attraversato la zona dove venivano preparate le F1 e i prototipi e poi il reparto di montaggio dei motori, infine ho salito i tre gradini che separavano l’officina dall’ufficio tecnico del Reparto Corse e sono stato presentato a due signori che, sulla destra, occupavano la prima fila dei tavoli dei progettisti. Franco Rocchi e Walter Salvarani.
Rocchi si rivolse a tutti i componenti dell’ufficio tecnico che mi guardavano con curiosità: «Vi presento l’ing. Iacoponi, da oggi viene con noi», poi mi accompagnò a un tecnigrafo libero e, indicando il mio vicino di scrivania, disse: «Le presento Marchetti, segua le sue indicazioni».
Il capo del personale mi aveva accompagnato, senza dirmi nulla, nell’ufficio tecnico della Gestione Sportiva!
Ero così frastornato che incominciai a capire qualcosa quando mi ritrovai seduto di fronte al tecnigrafo, a fianco di Angiolino Marchetti, in seconda fila dietro alla prima costituita dai personaggi mitici della Formula 1: Forghieri, Rocchi, De Angelis e Salvarani, i signori che conoscevo per nome dalla lettura di “Auto Italiana” e dalle discussioni con i miei amici, che rappresentavano lo stereotipo ideale di corse, telaio, motore, calcoli e cambio.
Non conoscevo il nome di Marchetti, ma fu grande fortuna essere al suo fianco. Da lui ho imparato, anzi, mi ha insegnato, tutto quello che si può sul disegno dei motori e non solo.
Ho passato quattro anni intensi alla Ferrari, intensi per i progetti, i viaggi, le gare. Ho conosciuto tecnici, aziende, piloti. Ho conosciuto Ferrari. Da tutti ho imparato qualcosa, perché Ferrari mi ha dato la possibilità di fare di tutto.
Ho avuto una vita felice. Sicuramente è stata la Fortuna, la dea bendata del caso e del destino, ma forse anche la fortuna di aver potuto affrontare momenti difficili e decisioni complesse, situazioni piacevoli e obiettivi raggiunti, delusioni e grandi dolori con realismo e ironia, e con creatività, fantasia e ottimismo, con gli strumenti di un progettista.
Tutti noi, nel corso dell’avventura della nostra vita, abbiamo preso decisioni e abbiamo tenuto comportamenti che hanno influito su come si è svolta. Le decisioni e i comportamenti possono essere stati adottati sulla base di un movimento istintivo o di un ragionamento che ha tenuto conto delle possibili conseguenze.
Quanto più questo ragionamento è stato creativo, immaginando diverse azioni con le loro conseguenze e possibili sviluppi, tanto più si è operato come un progettista.
Divenuto ormai diversamente giovane ho ritenuto che la narrazione di alcuni episodi della mia vita, mescolando aneddoti, esempi e consigli, potesse essere uno strumento non pedante per illustrare le caratteristiche personali, i comportamenti e le competenze che aiutano a essere un buon progettista, cercando di rendere la lettura istruttiva senza essere didascalica.
Se ci limitiamo al campo della tecnica si può definire progettista chi è capace di rappresentare un oggetto o un sistema, che prima del suo pensiero e della sua azione creativa non esisteva, in modo che possa essere realizzato, oppure perché, con le sue doti di competenza e creatività, può far divenire un oggetto o sistema più leggero, più economico, più efficiente, più bello o perché semplicemente quell’oggetto viene concepito in modo tecnologicamente fattibile per svolgere la funzione richiesta.
La progettazione, una volta concepito l’obiettivo da raggiungere, si esplica attraverso la risoluzione di problemi successivi ognuno dei quali richiede la decisione sulla scelta di una soluzione che avverrà tra le molte possibili immaginate, tanto più numerose e diverse tra di loro quanto maggiori sono la competenza, l’esperienza e la creatività del progettista.
Io ho avuto l’opportunità e la fortuna di avere un percorso professionale che ha fatto di me un progettista e ho concepito questo racconto con l’obiettivo di far sì che, chi vuole, possa trovarvi dei suggerimenti per poter più facilmente cimentarsi nella progettazione, superando la fase del “disegnatore” cioè di chi produce la documentazione o utilizza degli strumenti per realizzare una qualsiasi cosa senza partecipazione, contributo o consapevolezza delle motivazioni che hanno portato a quella soluzione.
Il mestiere del progettista è un mestiere impegnativo e coinvolgente, richiede dedizione, studio e passione ma è un mestiere generoso che, se vissuto correttamente, re- stituisce soddisfazione per i risultati raggiunti, entusiasmo per l’attività da svolgere e, sempre, il piacere di vivere in un ambiente che guarda al futuro.
Naturalmente, come dicevo all’inizio, la figura del progettista può essere attribuita non solo a chi opera con il “mestiere”, ma si può allargare a tutte le attività che compiamo quotidianamente. Sono convinto che una forma di progettazione preceda qualsiasi altra attività e quindi al concetto di progettista può essere attribuito un significato ampio, perché anche colui che definiamo “manager”, un gestore di uomini o di situazioni, un utilizzatore di opportunità, è in realtà un progettista.
La mia vita da progettista è passata attraverso un periodo molto intenso di evoluzione tecnica dell’automobile alla quale ho partecipato e contribuito dandomi così la possibilità di avere una parte attiva in molti avvenimenti e di entrare in relazione con personaggi che sulla progettazione hanno avuto una grande influenza.
Per lungo tempo Fiat, direttamente o indirettamente, ha rappresentato l’automobile in Italia e io ho vissuto la mia storia aziendale dentro o molto vicino a essa. Parlerò quindi anche di Fiat e di alcuni uomini del suo vertice con i quali ho avuto contatti diretti, ma senza entrare nel mondo della gestione del Gruppo dal punto di vista delle strategie globali, sia finanziare che industriali, ammesso che quest’ultime ci siano state. Questo mondo, che mi ha sfiorato ma non coinvolto, si trova ben descritto, a mio avviso, nel libro di Giorgio Garuzzo Fiat: I segreti di un’epoca.