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PEDALARE INSIEME

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LA BICICLETTA

LA BICICLETTA

Non ero il solo, ovviamente, a coltivare questa passione, tanti come me trovavano nella bicicletta lo strumento per liberarsi dagli stress quotidiani, per godersi qualche momento di solitudine, per lasciar scorrere i pensieri, per incontrare gli amici, insomma per godere di tutti quei benefici che derivano da una sana pedalata su strade poco trafficate. La bicicletta come strumento di libertà, come a inizio secolo scriveva il faentino Alfredo Oriani:

Il piacere della bicicletta è quello stesso della libertà, forse meglio di una liberazione andarsene ovunque, ad ogni momento, arrestandosi alla prima velleità di capriccio, senza preoccupazioni come per un cavallo. La bicicletta siamo ancora noi, che vinciamo lo spazio e il tempo; stiamo in bilico e quindi nella indecisione di un giuoco colla tranquilla sicurezza di vincere; siamo soli senza nemmeno il contatto colla terra, che le nostre ruote sfiorano appena, quasi in balia del vento, contro il quale lottiamo come un uccello. Non è il viaggio o la sua economia nel compierlo che ci soddisfa, ma la facoltà appunto di interromperlo o mutarlo, quella poesia istintiva di una improvvisazione spensierata, mentre una forza orgogliosa ci gonfia il cuore di sentirci così liberi…

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Una passione, la nostra, rafforzata dalle gesta epiche di alcuni campioni e miti del ciclismo.

Due fra tutti – oltre al nostro caro e mai dimenticato Marco Pantani che resterà per sempre nei nostri cuori di tifosi e di concittadini – i grandi Gino Bartali e Fausto Coppi: atleti indomabili e infaticabili ma anche uomini straordinari, capaci di farci sognare per le epiche gesta sulle impervie salite del Giro e di regalarci pregevoli esempi di umanità, di lealtà, di sportività e rispetto. Nel 1947 “l’Airone” – come avevano soprannominato Fausto – vinse anche il Giro di Romagna, facendocelo sentire ancora più vicino.

Nel 1965, cinque anni dopo la sua prematura scomparsa, decidemmo di costituire un gruppo sportivo che mantenesse vivo il suo ricordo e che si ispirasse a quei valori profondi di lealtà che lui aveva saputo trasmetterci.

Dapprima facevamo brevi pedalate in pianura, spendendo più tempo a parlare di ciclismo piuttosto che a praticarlo. Poi, visto che le gambe ci seguivano e l’allenamento ci consentiva di osare ogni fine settimana di più, cominciammo ad affrontare le dolci salite attorno a Cesenatico, e già arrivare a Longiano, Sogliano o Montetiffi diventava una sfida che ci esaltava ogni volta che riuscivamo a scollinare.

E al ritorno, giù a vantarci dell’eroica conquista:

«Dì, burdell, oggi sono arrivato a Roncofreddo. Mi dovevate vedere. Andavo su per la salita di Santa Paola che non sudavo neanche!»

Le esagerazioni, si sa, non sono solo una prerogativa dei pescatori, anche noi ciclisti non scherziamo affatto.

«Cosa vuoi che sia arrivare a Roncofreddo! Non c’è bisogno che ti vanti tanto. E io, che sono arrivato su, fino a Sogliano, che cosa dovrei dire?»

Da notare che Roncofreddo è a 314 metri di altitudine, Sogliano a 362.

I più temerari, il sabato mattina partivano decisi a scalare il più impegnativo percorso per Montetiffi, a 428 metri sul livello del mare. Ma in quell’occasione la “gita” prevedeva un fuori programma, che ormai era diventato invece una tappa fissa: un piatto di tagliatelle al ragù, come Dio comanda, alla Locanda di Nonna Maria, l’unico ristorante di quella piccola località.

Ovviamente a bagnare quelle tagliatelle fumanti sarebbe servito anche qualche bicchiere di buon Sangiovese: «Bevete e mangiate, ragazzi – ci diceva la signora che portava quei piatti invitanti – tanto in discesa non vi batte nessuno!».

E così, in realtà, stavano le cose. Dopo la fatica della salita, il ristoro abbondante e un riposino post prandiale, in discesa andavamo come dei fulmini, e a Cesenatico si arrivava nel tardo pomeriggio con la mente sgombra e la pancia piena.

Il “club” dei ciclisti della Fausto Coppi andava piano piano allargandosi.

Sarà stato per la passione della bicicletta che cresceva coinvolgendo anche chi su una sella non era mai salito (complici le telecronache al Giro d’Italia di Adriano De Zan o il Processo alla tappa di Sergio Zavoli e Gianni Brera), sarà perché si era sparsa la voce della “pausa tagliatella”, ma il gruppetto sparuto del sabato mattina si stava via via infoltendo.

Avevamo bisogno di una sede, un luogo dove riunirci, pianificare le uscite, discutere sulle nuove tecnologie applicate alle biciclette, confrontarci sulle varie esperienze… ma i soldi erano pochi e di prendere appositamente un locale in affitto non se ne poteva nemmeno parlare.

Anche riunirsi a turno a casa di uno o dell’altro ci sembrava cosa inopportuna: avremmo dovuto fare i conti con la prevedibile irritazione delle nostre signore e solo il pensiero ci suggeriva di evitare il rischio di scatenare rimbrotti o discussioni.

L’unica possibilità restava quella del Bar del Corso.

Era lì che ci trovavamo ogni domenica mattina, verso le sei, prima di partire per una pedalata sulle strade della provincia.

A quell’ora le saracinesche del bar erano ancora abbassate e i pescherecci che affollavano le banchine del Porto Canale erano già usciti in mare. L’atmosfera era serena, la vista straordinaria per la bellezza di questo angolo della città.

Giubbini leggeri per ripararsi dal freddo, la prospettiva di affrontare le dolci pendenze delle prime colline e poi i riposanti declivi con il vento a sferzarti il viso, qualche sosta nelle osterie di campagna per rifocillarsi e magari riposarsi un po’ prima di ripartire con le gambe leggermente più pesanti per quel bicchiere di vino che avremmo dovuto evitare… Insomma, una domenica mattina di straordinaria pace e tranquillità.

Al ritorno poi, un caldo caffè del Bar del Corso avrebbe favorito i commenti del dopo giro, seduti ai tavolini che si affacciavano sul Porto Canale, a quell’ora oramai scaldato dal sole e riempito dal vociare e dalle imbarcazioni dei marinai che erano rientrati dalla lunga notte di pesca.

Che cosa avremmo potuto chiedere di più?

A fondare quel sodalizio ciclistico, in cui ovviamente sarei subito entrato a far parte anche io, furono in otto: Gaeta- no Freschi, Tarcisio Pedulli, Vito Pagan, Gianfranco Casali, Guerrino Ciani, Giovanni Berlati, Domenico Razzani e Gianpietro Stignani, a cui via via si aggiunsero altri amanti della bicicletta.

Di tutti noi, Gaetano Freschi era quello più legato a Fausto Coppi, quello che più di altri aveva subìto il fascino delle sue imprese e della sua sportività.

Per una serie di fortuite coincidenze era entrato in contatto e poi diventato amico, con il mitico Giuseppe De Grandi, meglio noto come “Pinella”, il più apprezzato meccanico del ciclismo del dopoguerra, che aveva avviato la sua carriera come corridore.

Era lui il meccanico di fiducia di Fausto Coppi, dopo esserlo stato per Martano e Cipriani, Gino Brizzi, Giovanni Valetti, il celebre Costante Girardengo e lo stesso Gino Bartali.

Nel 1952 passò alla Bianchi e nacque il sodalizio con il mitico Coppi.

Per lui gestì tutte le biciclette costruite su misura del campione: settanta, in totale, ovvero cinquantatré da corsa e diciassette da pista.

È proprio una di queste biciclette, costruite per il “Campionissimo”, che Gaetano Freschi riuscì ad acquistare grazie all’intercessione di Pinella De Grandi. Era infatti consuetudine della Bianchi mettere in vendita le biciclette dei suoi atleti una volta concluso il loro utilizzo per le gare.

Freschi acquistò la bici di Coppi per la cifra di novantaduemila lire e in sella a quel gioiello iniziò orgogliosamente a sfrecciare su tutte le strade, non solo della Romagna, suscitando in tutti i ciclisti ammirazione e un poco di malcelata invidia.

Novantaduemila lire, a quei tempi, non erano certo poca cosa ma Gaetano, con un po’ di sacrifici e mettendo mano ai risparmi di una vita, riuscì a entrare in possesso di quel prezioso gioiello, l’equivalente di una filante Ferrari, che in quegli anni aveva già vinto le corse più prestigiose guidata da piloti del calibro di Alberto Ascari o Juan Manuel Fangio: Mille Miglia, 24 Ore di Le Mans, Gran Premio di Gran Bretagna, di Germania e d’Italia a Monza.

La rossa Gran Turismo, disegnata da Pininfarina, era il sogno di ogni appassionato di automobili, un oggetto del desiderio alla pari della Bianchi di Fausto Coppi per i ciclisti.

Fu proprio in sella a quella preziosa bicicletta che nell’agosto del 1955 affrontò una trasferta a Roma, per assistere al mondiale di ciclismo su strada e incontrare l’amico De Grandi e il grande campione: il suo idolo Fausto Coppi. Con lui c’era un giovanissimo Gianfranco Casali, appena quindicenne, che in seguito sarebbe diventato un inseparabile compagno di pedalate.

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