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GIOVANNI

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PEDALARE INSIEME

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Valetti Il Campione Dimenticato

Classe 1913, Giovanni Valetti è uno dei campioni del ciclismo italiano quasi sconosciuto ai più. Quinto al suo primo Giro d’Italia nel 1936, come capitano della Frejus, fu una fastidiosa quanto insidiosa spina nel fianco di un grande di tutti i tempi come Gino Bartali, un anno più giovane di lui, diventato professionista l’anno precedente.

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Bartali vinse quel Giro del ’36 in cui esordì Valetti sorprendendo tutti. Era una matricola fra i professionisti, ma si impose nelle varie tappe dando filo da torcere e pensiero a molti.

L’anno successivo la maglia rosa fu ancora di Bartali, ma Valetti lo aveva tampinato molto da vicino laureandosi vice-campione ad appena 24 anni.

Nel 1938 toccò al ragazzo di Vinovo conquistare il gradino più alto del podio, non solo al Giro d’Italia ma anche al Giro di Svizzera.

Quella italiana fu una vittoria un po’ più facile del previsto, perché il regime fascista aveva obbligato Bartali a correre il Tour de France – che vinse – insieme ad altri 11 italiani di prestigio, fra cui due romagnoli: il cesenate Mario Vicini (Gaibéra) e il forlivese Glauco Servadei. Della squadra italiana facevano parte anche Vasco Bergamaschi, Aldo Bini, Enrico Mollo, Jules Rossi, Giordano Cottur, Augusto Introzzi, Giuseppe Martano, Settimio Simonini e Nello Trogi. Valletti concluse il Giro in 112 ore, 49 minuti e 28 secondi.

Il ciclista torinese era in grande spolvero, la sua preparazione atletica era in progressione, come pure la forma fisica e la condizione psicologica: anche il Giro del 1939 lo vide vincitore e questa volta davanti a Bartali e Mario Vicini, che concluse al terzo posto. Fu la sua consacrazione.

A causa di una brutta caduta, Giovanni era stato costretto a saltare la Milano-Sanremo, vinta da Bartali; al Giro di Toscana aveva sofferto pesantemente sul passo del Sugame e Bartali lo aveva superato conquistandosi nove minuti di vantaggio. Ma in quel Giro del ’39 le cose andarono diversamente.

I cronisti dell’epoca raccontarono con diversi entusiasmi la lotta in testa al gruppo, che vide protagonisti Giùanin e Ginaccio, ovviamente il grande favorito: Bartali indossò la maglia rosa già alla seconda tappa, ma il giorno dopo Valetti accorciò le distanze recuperando due minuti, a cui si aggiunsero 28 secondi nella cronometro del Terminillo. Quella montagna e quella gara a cronometro stavano diventando il simbolo dello scontro sportivo fra i due. Nel Giro del ’37 Bartali aveva soffiato la maglia rosa a Valetti, ma questa volta il piemontese la strappò al toscanaccio.

Nella cronometro di Gorizia Bartali perse solo 2’09” sul suo rivale e passò dal 3° al 2°, posto ma il vantaggio di Valetti aumentò a 3’59”. Tutto sembrava pronto per il tripudio sulle Dolomiti. Sul passo Rolle, Bartali scattò con prepotenza staccando i suoi rivali nella tappa Cortina d’Ampezzo-Trento e arrivò al traguardo con otto minuti di vantaggio su Valetti.

Cos’è Bartali – scriveva Orio Vergani sul “Corriere della Sera” del 16 maggio 1939 (nda) – adesso sulla strada che sale sulle abetaie vegliate dai Giganti della Montagna? Una piccola macchia verde che la folla affacciata agli spalti riconosce da lontano ogni volta che la strada gira fra gli abeti. Bartali non si vede più. Va su, come un più leggero dell’aria, a conquistare il traguardo di Passo Rolle fra gli abbaglianti nevai che spingono le loro labbra candide sin sulla strada a baciargli la ruota.

Ma Giovannino Valetti non intendeva mollare e sul passo del Tonale decise che quello sarebbe stato il momento di salutare tutti. Scattò inseguito da Bartali e accompagnato dal suo prezioso compagno di squadra: Gino Brizzi. I tre staccarono il gruppo di un minuto e mezzo. Bartali forò e si attardò a cambiare la ruota, ma poco dopo anche Valetti ebbe la stessa disavventura. I due si diedero battaglia fra discese e salite. Sul Tonale Giùanin aveva oltre 5 minuti su Bartali, che recuperò in discesa ma perse ancora terreno all’Aprica, dove il distacco salì a 6’45”. Il Ginaccio si consolò con l’arrivo in volata a Milano, nell’ultima tappa, ma il Giro era di Valetti che si confermò il più forte degli scalatori.

Pochi mesi dopo lasciò la Frejus per passare alla Bianchi insieme ai compagni di squadra Gino Brizzi e Cino Cinelli, con l’intento di vincere il suo terzo il Giro d’Italia. Le cose non andarono però come sperato e la “corsa” del 1940 la vinse un giovanissimo Fausto Coppi; lui fu costretto ad accontentarsi di un mortificante 17° posto.

La Bianchi lo licenziò l’anno successivo e lui si accasò alla Olmo, dove restò fino al 1943, ma del Valetti dei duelli epici

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