Capitolo 2 Ho resistito venti minuti. Con il terreno accidentato del bosco, il vivace vento di novembre, e il ragazzo accanto a me, non potevo farcela. Lasciandolo a metà strada, mi incamminai per tornare a casa. Daemon mi chiamò un paio di volte, ma io lo ignorai. Nel giro di pochi minuti raggiunsi il bagno e vomitai, piangendo. Fu così brutto che svegliai mia mamma. Si sbrigò a venire in bagno a tirarmi indietro i capelli. «Da quanto ti senti male, tesoro?» La mamma, infermiera a tempo pieno. «Più o meno da tutto il giorno, va e viene.» Mi lamentai, appoggiando la testa contro la vasca. Mi mise una mano sulla fronte. «Tesoro, stai bruciando.» Prese un asciugamano e lo mise sotto il rubinetto. «Probabilmente dovrei chiamare a lavoro...» «No, sto bene.» Presi l'asciugamano che mi tendeva, mettendolo contro la fronte. Il contatto era meraviglioso. «È solo un po' di febbre, e sto già meglio.» Mi feci una doccia e poi andai a letto. Aspettai che la mamma tornasse con il termometro. «Ecco il tuo telefono e un po' d'acqua.» Li mise entrambi sul tavolo e si sedette accanto a me. «Apri.» Socchiudendo un occhio vidi che mi stava infilando il termometro in bocca. Io, obbediente, aprii la bocca. «Se hai la febbre tanto alta starò a casa.» Mi disse. «Mmm.» Gemetti.
Mi guardò storto e aspettò che il termometro suonasse. «37 e 3. Prendi queste.» Mi passò due pillole, che io ingoiai senza fare domande. «La temperatura non è tanto alta, ma voglio che tu stia a letto a riposarti. Verrò a controllarti ogni tanto, okay?» Annuii e poi mi rannicchiai. Dormire era tutto ciò di cui avevo bisogno. Lei prese un'altra coperta e me la mise sopra. Io chiusi gli occhi, certa di avere un'infezione da zombie. Una strana nebbia mi offuscò i pensieri. Dormii, svegliandomi quando mia mamma veniva a controllare e poi verso mezzanotte. La camicia da notte era umida, appiccicata alla mia pelle febbricitante. Feci per scostarmi le coperte, ma mi accorsi che erano appoggiate alla scrivania del mio computer. Sudore freddo mi imperlò la fronte appena mi sedetti. Il mio cuore batteva forte, echeggiando nella mia testa, irregolare. Due battiti in uno, sembrava. La mia pelle era tesa sui miei muscoli. Le mie viscere sembravano poltiglia. Ero molto calda e mi sentivo bruciare dall'interno. I miei pensieri si susseguivano l'un l'altro. Tutto ciò che sapevo era che avevo bisogno di raffreddarmi. Aprii la porta, non sapevo dove stavo andando, ma scesi le scale andando verso l'ingresso. La porta era come un faro, che prometteva sollievo. Fuori era freddo. Io volevo stare al freddo. Non era abbastanza. Uscii dal portico, il vento mosse la mia camicia da notte e i miei capelli. Le stelle in fila illuminavano il cielo notturno. Abbassai lo sguardo e la linea degli alberi cambiava colore. Giallo. Oro. Rosso. Poi sfumarono verso il marrone.
Stavo sognando. In uno stato di intontimento mi spinsi ancora più in là. Pezzi di ghiaia pungevano i miei piedi, ma io continuai a camminare, la luce della luna sopra la testa. Parecchie volte sembrava che il mondo venisse capovolto, ma io proseguii. Non mi ci volle molto per raggiungere il lago. Sotto la luce pallida, l'acqua color onice si increspava. Mi fermai quando le dita dei miei piedi affondarono nella sporcizia. Un formicolio lacerante mi bruciava la pelle. Soffocante. «Kat?» Lentamente, mi girai. Il vento sferzava attorno a me, mente ammiravo l'apparizione. La luce lunare affettava il suo volto in ombra, riflettendosi nei suoi occhi selvaggi e brillanti. Non poteva essere reale. «Cosa fai Kitty?» Mi chiese Daemon. Sembrava confuso. Daemon non era mai confuso. Veloce e sfuocato a volte. Ma mai confuso. «Avevo bisogno di raffreddarmi.» In un lampo capì. «Non ti azzardare a mettere piede in acqua.» Indietreggiai. L'acqua ghiacciata mi lambiva prima le caviglie e poi le ginocchia. «È troppo fredda. Kitty, non farmi venire lì a prenderti.» La mia testa pulsava. I miei neuroni si stavano sicuramente sciogliendo. Affondai ancora un po'. L'acqua fredda calmò il bruciore della mia pelle. Mi bagnai la testa, lavando il mio respiro e il fuoco. Il bruciore stava svanendo. Starei lì per sempre. Forse lo farò. Forti e solide braccia mi circondarono, riportandomi verso la superficie. Aria gelida mi sferzò, ma i miei polmoni
bruciavano. Bevvi sorsi profondi, per spegnere le fiamme. Daemon mi tirò fuori dall'acqua, muovendosi così veloce che ero in acqua un secondo e in piedi all'asciutto quello dopo. «Cos'hai che non va?» Mi domandò, afferrando le mie spalle e scuotendomi leggermente. «Hai perso la testa?» «Smettila.» Lo spinsi via. «Sono così calda.» Il suo sguardo intenso si spostò verso le mie dita dei piedi. «Si lo sei. Tutta la camicia bagnata... Ma un bagno di mezzanotte a novembre? È un po' audace, non credi?» Quello che diceva non aveva senso. La tregua era finita e la pelle bruciava ancora. Mi divincolai dalle sue braccia, per tornare in acqua. Le sue braccia mi furono attorno ancora prima di fare un passo. «Kat, non puoi andare in acqua. È troppo freddo. Ti ammalerai.» Mi spostò i capelli appiccicati alle guance. «Merda. Più malata di quanto non sia già. Stai bruciando.» Qualcosa di quello che disse schiarì un po' i miei pensieri. Mi chinai verso di lui, appoggiando la guancia sul suo petto. Profumava di buono. Da spezie e uomo. «Non ti voglio.» «Oh, non è il momento per ricominciare questa discussione.» Era solo un sogno. Sospirai, avvolgendo le mie braccia intorno alla sua vita. «Ma io ti voglio.» Le braccia di Daemon si strinsero intorno a me. «Lo so Kitty. Non prendi in giro nessuno.» Lasciandolo andare, le mie braccia pendevano molli lungo i fianchi. «Non... mi sento bene.» «Kat.» Si tirò indietro, entrambe le mani erano sul mio viso, tenendomi la testa alta. «Kat. Guardami.»
Non lo stavo guardando? Le mie gambe cedettero. E non ci fu più nulla. Non più Daemon. Non più pensieri. Non più fuoco. Non più Katy. … Le cose erano confuse, sfuocate. Braccia calde mi tenevano i capelli lontano dal viso. Dita lisce mi sfioravano le guance. Una voce profonda mi parlò in una lingua musicale e dolce. Come una canzone, ma... Più bella e confortante. Mi persi in quel suono. Sentii una voce. Per un momento, pensai di aver sentito Dee. «Non puoi. Peggiorerai solo la sua traccia.» Mi mossi. I vestiti bagnati erano stati cambiati con qualcosa di caldo e soffice. Provai a parlare, e forse ci riuscii. Ma non ne sono sicura. Ad un certo punto, venni avvolta in una coperta e portata altrove. Un battito cardiaco costante sotto la mia guancia, che mi cullava e mani fredde rimpiazzarono quelle calde. Diverse voci irruppero nella stanza. Mamma? La mamma sembrava preoccupata. Stava parlando con... qualcuno. Qualcuno che non riconoscevo. Aveva le mani fredde. Sentii una puntura sul braccio, un dolore lieve che si irradiava fino alle dita. Altre voci confuse, e poi più nulla. Non distinguevo il giorno dalla notte, ma questa strana via di mezzo che irradiava fuoco direttamente nelle mie vene. Tornarono le mani fredde, togliendo le mie braccia da sotto le coperte. Non sentii la mamma, ma avvertii ancora la puntura sulla pelle. Il calore mi travolse. Annaspando, inarcai la schiena sul letto, e un suono strozzato uscì dal profondo della mia gola. Tutto bruciava. Un fuoco
infuriava dentro di me dieci volte peggio di prima, sapevo che stavo morendo. Dovevo... Qualcosa di fresco mi percorse le vene, come una folata di aria invernale. Si mosse velocemente, domando le fiamme e lasciando una traccia ghiacciata lungo la via. Le mani si spostarono sul mio collo, tirando qualcosa. Una catena... la mia collana? Le mani sparirono, ma sentii il ronzio dell'ossidiana, vibrante sopra di me. Dormii per quasi un’eternità, insicura se mi sarei svegliata oppure no. … Quattro giorni passati in ospedale, ed io non me ne ricordavo neanche un momento. Mi sono svegliata mercoledì in un letto scomodo, fissando il soffitto bianco. Stavo bene. Alla grande, addirittura. La mamma era al mio fianco, e ci volle una notevole quantità di lamentele per essere rilasciata dopo aver passato tutto giovedì a dire a chiunque veniva che volevo andare a casa. Avevo avuto un brutto caso di influenza, niente di serio. La mamma mi guardava con occhi ombreggianti mentre prendevo un bicchiere di succo dal frigo. Indossava jeans e un maglione leggero. Era strano non vederla indossare il camice da infermiera. «Tesoro, sei sicura di sentirti bene per tornare a scuola? Puoi stare a casa anche oggi e tornare lunedì.» Scossi la testa. L'aver perso tre giorni mi aveva già fatto guadagnare una valanga di compiti che Dee mi aveva portato a casa la sera precedente. «Sto bene.» «Tesoro, sei stata in ospedale. Dovresti andarci piano.» Lavai la tazza. «Sto bene, davvero.»
«So che pensi che è così.» Mi sistemò il cardigan che a quanto pare avevo abbottonato male. «Il dottor Micheal ti avrà anche lasciato tornare a casa, ma mi hai spaventato. Non ti avevo mai visto stare così male. Perché non gli fai una chiamata veloce e vedi se può farti una visita prima che cominci a lavorare?» La cosa più strana era che mia mamma, adesso, si riferiva al mio dottore con il nome proprio. La loro relazione, apparentemente, aveva preso una piega seria. Dopo aver preso lo zaino mi fermai. «Mamma?» «Si?» «Sei tornata a casa a metà del tuo turno lunedì, prima della fine del turno, giusto?» Quando fece segno di si con la testa, ero ancora più confusa. «Come sono arrivata in ospedale?» «Sei sicura di sentirti bene?» Mi mise una mano sulla fronte. «Non hai la febbre, ma... Comunque il tuo amico ti ha portato in ospedale.» «Il mio amico?» «Sì, Daemon ti ha portato lì. E tra l'altro, ero curiosa di sapere come mai lui sapeva che eri così malata alle tre del mattino.» I suoi occhi si strinsero. «Anzi, molto curiosa.» Oh, merda. «Anche io.»