Capitolo 3 Non ero mai stata così desiderosa di arrivare il prima possibile a trigonometria in vita mia. Come cavolo faceva Daemon a sapere che ero malata? Il sogno del lago non poteva essere reale. Assolutamente. Se lo fosse... Io stavo per... Non sapevo cosa avevo fatto, ma di sicuro le mie guance color porpora erano coinvolte. Lesa fu la prima ad arrivare. «Yeah! Sei tornata! Come ti senti? Meglio?» «Si, sto bene.» I miei occhi tornarono a fissare ansiosi la porta. Pochi secondi dopo Carissa entrò. Mi tirò una ciocca di capelli, mentre mi passava accanto, sorridendo. «Sono contenta che tu ti senta meglio. Eravamo tutti preoccupati! Specialmente quando siamo venuti a trovarti ed eri fuori di te.» Mi chiedevo cosa avessi fatto davanti a loro, che non riuscivo a ricordare. «Voglio saperlo?» Lesa ridacchiò, tirando fuori il suo libro di testo. «Mormoravi molto. E continuavi a chiamare qualcuno.» Oh, no. «Davvero?»
Avendo pietà di me, Carissa tenne la voce bassa. «Continuavi a chiamare Daemon.» Lasciai cadere la mia testa sulle mie mani e gemetti. «Oh, Dio.» Lesa ridacchiò. «È stata una scena molto dolce.» Un minuto prima che la campanella suonasse, sentii il molto più che familiare formicolio alla nuca e alzai lo sguardo. Daemon stava entrando in classe. Senza libri, come al solito. Aveva un quaderno, ma non penso ci abbia mai scritto niente lì dentro. Cominciavo a sospettare che la nostra insegnante fosse un alieno, altrimenti perché Daemon riusciva sempre a cavarsela, non facendo mai nulla in classe? Mi passò di fianco senza nemmeno uno sguardo. Girai la mia sedia verso di lui. «Devo parlarti.» Si lasciò scivolare sulla sedia. «Okay.» «In privato.» Sussurrai. La sua espressione non cambiò mentre si sistemava sulla sedia. «Vediamoci in biblioteca a pranzo. Non ci va nessuno lì, sai per tutti i libri e il resto.» Gli feci una smorfia e mi girai verso la cattedra. Circa cinque secondi dopo, sentii la sua penna che ticchettava sulla mia spalla. Prendendo un profondo e paziente respiro, mi girai.
Daemon aveva spostato il suo banco in avanti. Ormai solo pochi centimetri ci separavano. «Si?» Sorrise. «Stai molto meglio dell'ultima volta che ci siamo visti.» «Grazie.» Brontolai. Il suo sguardo osservò l'aria attorno a me, ed io sapevo cosa stava facendo. Stava guardando la traccia. «Sai una cosa?» Inclinai la testa di lato. In attesa. «Non stai più brillando.» Bisbigliò. Sorpresa la mia mascella si spalancò. Lunedì brillavo come una palla da discoteca e adesso non avevo più la traccia? «Tipo, niente?» Annuì, dopo di che l'insegnante cominciò la lezione, ma io non le prestavo attenzione. La mia mente era ferma al fatto che non brillavo più. Avrei dovuto essere contenta, anzi ero in estasi, ma la connessione era ancora lì. La mia speranza era che sarebbe svanita con il passare del tempo come la traccia. Dopo la lezione dissi alle ragazze di comunicare a Dee che avrei fatto tardi a pranzo. Visto che avevano origliato parte della conversazione, Carissa non la smetteva di ridacchiare e Lesa si era lanciata nelle sue fantasie di farlo in biblioteca. Qualcosa a cui non avevo pensato, ma adesso, non riuscivo a
togliermi della testa delle immagini di Daemon e me impegnati in quel genere di cose. La mattinata si trascinò lenta. Mr. Garrison mi diede il solito sguardo infido per tutta l'ora di biologia. Lui era come il guardiano non ufficiale dei Luxen. La versione non luminosa di me, però, sembrava attirare la sua attenzione come la versione luminosa. Probabilmente aveva a che fare con il fatto che non era troppo felice che io sapessi che cos'erano realmente. La porta si aprì quando il professore andò a prendere il proiettore, lasciando entrare un ragazzo con la maglietta di Pacman vintage, che era stupenda. Un lieve mormorio si diffuse nella classe quando lo straniero diede a Mr. Garrison un biglietto. Era nuovo, ovviamente. I suoi capelli castani era spettinati con maestria, come se li avesse acconciati così di proposito. Era di bell'aspetto, con la pelle dorata e un sorriso fiducioso sul suo volto. «Sembra che abbiamo un nuovo studente.» Disse Mr. Garrison, lasciando cadere il foglietto sul tavolo. «Blake Saunders da...?» «California.» Rispose il ragazzo. «Santa Monica.» Molti oooh e aaah seguirono in risposta. Lesa si raddrizzò sulla sedia. Evviva. Non sarò più la ragazza nuova.
«Bene, Blake da Santa Monica.» Mr. Garrison scansionò la classe e il suo sguardo si fermò sul posto libero accanto a me. «Lì c'è il tuo posto e il tuo compagno di laboratorio. Divertiti.» I miei occhi si strinsero su Mr. Garrison. Non ero sicura se “divertiti” fosse un velato insulto nei miei confronti oppure una speranza segreta che il nuovo ragazzo non alieno mi distraesse dagli effettivi alieni. Apparentemente incurante degli sguardi curiosi, Blake si sedette accanto a me e sorrise. «Ciao.» «Ciao, io sono Katy dalla Florida.» Sorrisi in risposta. «Recentemente conosciuta come non più la ragazza nuova.» «Ah, capisco.» Diede un’occhiata veloce verso Mr. Garrison che stava montando il proiettore nel mezzo della classe. «Piccola città, non molte facce, tutti guardano questo genere di cose?» «Esatto.» Rise piano. «Bene. Cominciavo a credere che qualcosa in me non andasse.» Tirò fuori il quaderno e il suo braccio sfiorò il mio. Una scarica di energia statica mi diede la scossa. «Scusa.» «Tutto okay.» Gli risposi.
Blake mi rivolse un ultimo breve sorriso prima di tornare con lo sguardo verso la cattedra. Tastando la catenina al mio collo, lanciai un'occhiata al ragazzo nuovo. Bene, almeno adesso a biologia c'era qualcuno con cui rifarsi gli occhi. Niente in contrario. … Daemon non mi stava aspettando vicino alla doppia porta della biblioteca.
Scrollando
le
spalle,
entrai.
Un
giovane
bibliotecario mi fissò e sorrise mentre io mi guardavo attorno. La mia nuca era calda, ma non lo vedevo. Conoscendo Daemon, si stava probabilmente nascondendo così che nessuno potesse vedere sua altezza in biblioteca. Sorpassai un paio di secchioni che mangiavano al tavolo dei computer, fino ad arrivare alla sezione cultura orientale europea. Praticamente la terra di nessuno. Lui stava oziando accanto ad un cubicolo di un computer obsoleto. Le mani nelle tasche dei jeans sbiaditi. Un ciuffo ribelle di capelli gli copriva la fronte. Le sue labbra curvate in un mezzo sorriso. «Mi stavo giusto chiedendo se saresti riuscita a trovarmi.» Non si mosse di un millimetro per farmi spazio nel piccolo cubicolo. Buttai lo zaino appena fuori e mi sedetti sul banco.
«Ti imbarazza se qualcuno ti vedesse e penasse che sei capace di leggere?» «Devo mantenere una certa reputazione.» «E che bella reputazione!» Allungò i suoi piedi, così che fossero sotto i miei. «Allora, di cosa volevi parlare...» La sua voce si ridusse in un profondo e sexy sussurro. «...in privato?» Rabbrividii, ma non aveva niente a che fare con la temperatura. «Non quello che stai sperando.» Daemon mi fece un sorriso sexy. «Okay.» Afferrai il bordo del banco. «Come facevi a sapere che stavo male, nel bel mezzo della notte?» Daemon mi fissò per un momento. «Non ti ricordi?» Le sue iridi erano così intense. Mi cadde lo sguardo... sulla sua bocca. Mossa sbagliata. Fissai allora la mappa dell'Europa sopra le sue spalle. Meglio. «No, non esattamente.» «Beh, probabilmente è colpa della febbre, stavi bruciando.» I miei occhi scattarono verso i suoi. «Mi hai toccato?» «Si, ti ho toccata... e tu non indossavi molti vestiti.» La smorfia compiaciuta sulla sua faccia si allargò. «Eri tutta bagnata... con la maglietta bianca. Ottimo look. Davvero ottimo.» Il calore mi colorò le guance. «Il lago... Non era un sogno?»
Daemon scosse la testa. «Oh mio Dio, quindi sono andata a nuotare al lago?» Si alzò dal banco e fece un passo avanti, mettendosi esattamente di fronte a me, nel mio stesso spazio di respiro... come se avesse bisogno di respirare. «Si. Niente che potevo aspettarmi di lunedì sera, ma non mi lamento. Ho visto molto.» «Zitto!» Sibilai. «Non sentirti in imbarazzo.» Si allungò, tirando su la manica del mio cardigan. Spinsi via la mano. «Non è che non abbia mai visto la parte superiore prima, e ho dato anche una bella occhiata a quella inferiore...» Scesi dal banco oscillando. Le mie nocche sfiorarono solo il suo viso prima che afferrasse la mia mano. Cavolo se era veloce. Daemon mi schiacciò contro il suo petto e abbassò la sua testa. Gli occhi scattarono con rabbia. «Non colpire Kitty. Non è carino.» «Tu non sei carino!» Cercai di spingerlo via, ma lui teneva il mio polso tra le sue mani. «Lasciami andare.» «Non sono sicuro di poterlo fare. Devo proteggermi.» Ma lasciò andare la mia mano. «Oh davvero, è questa la tua ragione per... maltrattarmi?»
«Maltrattarti?» Premette ancora di più il suo corpo contro il mio, fino a che la mia schiena non fosse completamente appoggiata al muro del cubicolo. «Questo non è maltrattarti.» Delle visioni di me e Daemon contro il muro di casa mia che mi baciava ballavano nella mia testa. Il mio corpo tremava. Oh, non un buon segno. «Daemon, qualcuno ci vedrà.» «Quindi?» Lui gentilmente mi prese la mano. «Tanto nessuno avrà il coraggio di venire a dire qualcosa a me.» Presi un bel respiro. Il suo profumo era sulla mia lingua. I nostri petti si toccavano. Il corpo diceva si. Ma Katy diceva no. Non era colpa mia, ma di quanto vicini fossimo e di come le sue dita scivolavano sotto il mio cardigan. «Quindi la mia traccia se n'è andata, ma la stupida connessione no?» «No.» Contrariata, scossi la testa. «Quindi? Cosa significa?» «Non lo so.» Le sue dita erano completamente sotto la manica, accarezzando il mio avambraccio. La sua pelle ronzava come l'elettricità. «Perché continui a toccarmi?» Chiesi, frustata. «Perché mi piace.» Dio, piace anche a me, e non dovrebbe. «Daemon...» «Ma tornando alla traccia. Sai cosa significa.» «Che non dovrò più vedere la tua faccia fuori da scuola?»
Lui rise, e la sua risata risuonò dentro di me. «Che non sei più a rischio.» Non so come, e davvero non ne ho idea, la mia mano libera fu contro il suo petto. Il suo battito cardiaco era forte e veloce, come il mio. «Penso che la parte non-devo-più-vedere-la-tuafaccia, sia superiore alla parte sulla sicurezza.» «Continua a ripetertelo…» Il suo mento spazzolò i miei capelli e poi si strofinò sulle mie guance. Rabbrividii. Una scintilla passò dalla sua pelle alla mia, scaldando l'aria intorno a noi. «…se ti fa stare meglio, ma sappiamo entrambi che è una bugia.» «Non è una bugia.» Allontanai la mia testa indietro. Il suo respiro era un colpo caldo contro le mie labbra. «Rischiamo ancora di farci vedere insieme.» Mormorò. «E non mentirmi. So che ti rende felice. Me l'hai detto tu che mi vuoi.» Fermate i cavalli. «Quando?» «Al lago.» inclinò la testa. Le sue labbra curve consapevoli contro le mie. Mi lasciò andare il polso. «Hai detto che mi vuoi.» Entrambe le mie mani ora erano sul suo petto. Prive di ogni controllo. Non per volere mio. «Avevo la febbre. Stavo delirando.»
«Come vuoi, Kitty.» Daemon afferrò i miei fianchi sollevandomi sulla scrivania con una facilità inquietante. «Tanto so la verità.» Il mio respiro si stava facendo affannoso. «Tu non sai niente.» «Sì sì. Ma tu sai, che ero preoccupato per te.» Ammise lui, facendosi avanti divaricando le mie gambe. «Hai continuato a chiamare il mio nome, ed io continuavo a risponderti, ma era come se non riuscissi a sentirmi.» Di cosa stava parlando? Le mie mani intanto si erano spostate sopra il suo stomaco. I suoi muscoli duri spingevano da sotto il maglione. Feci scivolare le mani lungo i suoi fianchi con l'intenzione di spingerlo via. Invece, lo afferrai e lo tirai verso di me. «Wow, dovevo davvero essere fuori di me.» «Mi ha... spaventato.» Prima che potessi rispondergli o che potessi anche solo rendermi conto che la mia malattia lo aveva veramente spaventato, le nostre labbra si trovarono. Il mio cervello si spense mentre le mie dita scavavano attraverso il suo maglione, e... oh, Dio, i suoi baci erano profondi, cocenti sulle mie labbra, mentre le sue mani mi stringevano la vita, tirandomi contro di lui. Daemon mi baciò come se fosse un uomo affamato per l'acqua, prendendo lunghe boccate d'aria. I suoi denti
afferrarono il mio labbro inferiore mentre si staccava, solo per poi tornare con più bramosia. Un mix inebriante di emozioni lottavano dentro di me. Io non volevo questo, perché si trattava solo della connessione che c'era tra noi. Continuavo a ripetermelo, anche quando feci scivolare le mie mani sul suo petto per mettergliele intorno al collo. Quando le sue mani raggiunsero la pelle sotto la mia camicia, era come se lui avesse raggiunto la parte più profonda di me, scaldando ogni cellula, riempiendo ogni spazio buio in me con il calore della sua pelle. Toccandolo, baciandolo, era come avere di nuovo la febbre. Ero di fuoco. Il mio corpo bruciava. Il mondo bruciava. Scintille, contro la sua bocca. Gemetti. Ci fu un POP! E un CRACK! L'odore di plastica bruciata riempì il cubicolo. Ci separammo, respirando affannosamente. Sopra la sua spalla vidi rivoli di fumo sollevarsi dal vecchio monitor. Buon Dio, sarebbe successo ogni volta che ci baciavamo? E che cavolo stavo facendo? Avevo deciso che non avrei lasciato che ciò accadesse con Daemon, cosa che includeva niente baci... o toccarsi. Il modo in cui mi aveva trattata quando
ci incontrammo la prima volta, mi tormentava ancora. Il dolore e l'imbarazzo aleggiavano in me. Lo spinsi. Forte. Daemon mi lasciò e mi fissò come se avessi calciato il suo cucciolo in mezzo al traffico. Guardando altrove mi strofinai il dorso della mano sulle labbra. Non funzionò. Tutto di lui era ancora in me. «Dio, nemmeno mi piace questo... Baciarti.» Daemon si raddrizzò, mostrandosi in tutta la sua altezza. «Mi permetto di dissentire. E credo che anche questo computer la pensi diversamente.» Lo guardai male. «Questo... Questo non accadrà mai più.» «E mi pare che tu l'abbia già detto prima.» Mi ricordò. Quando vide la mia espressione sospirò. «Kat, hai goduto anche tu, proprio come me. Perché mentire?» «Perché niente di tutto questo è reale.» Dissi. «Non mi hai mai voluta prima.» «Non è vero io...» «Non ti azzardare a dire il contrario, perché mi hai trattato come se fossi l'Anticristo! Non puoi semplicemente cancellarlo perché c'è questa stupida connessione tra di noi.» Tirai un respiro
affrettato,
sentendo
una
sensazione
di
freddo
pervadermi il petto. «Mi hai davvero ferita. Credo che
nemmeno te ne rendessi conto. Mi hai umiliata di fronte all'intera scuola in mensa!» Daemon distolse lo sguardo. Passandosi le dita fra i capelli. Il muscolo della mascella si irrigidì. «Lo so. Io... Mi dispiace per come ti ho trattata, Kat.» Scioccata, rimasi a fissarlo. Daemon non si scusava. Mai. Forse lui veramente... Scossi la testa. Le sue scuse non erano abbastanza. «Anche adesso, tu che hai fatto tutto il possibile per restare nascosto, come se non volessi che le persone sapessero che hai fato un errore quel giorno a comportarti da idiota. E dovrebbe starmi bene tutto questo?» I suoi occhi si spalancarono. «Kat...» «Non sto dicendo che non possiamo essere amici, perché lo voglio. Mi piace quando...» Mi interruppi prima di dire troppo. «Senti, questo non è accaduto. Darò la colpa ai postumi dell'influenza o che qualche zombie mi ha mangiato il cervello.» Le sopracciglia si aggrottarono. «Cosa?» «Non voglio questo con te.» Feci per girarmi, ma lui mi afferrò le braccia. Lo fulminai. «Daemon...» Lui mi guardò dritto negli occhi. «Sei una terribile bugiarda. Tu vuoi questo. Tanto quanto lo voglio io.»
La mia bocca si aprì, ma non uscirono parole. «Lo vuoi tanto quanto vuoi andare all'ALA quest'inverno.» Adesso la mia mascella era sul pavimento. «Non sai nemmeno cos'è l'ALA!» «Associazione dei librari americani, l'evento a metà inverno.» Disse, sorridendo fiero. «Ho visto la tua ossessione per quello sul tuo blog prima che ti ammalassi. Sono più che sicuro che tu abbia detto che daresti via il tuo primogenito pur di andarci.» Si, più ho meno era quello che avevo detto. Gli occhi di Daemon si illuminarono. «In ogni caso, tornando alla parte in cui tu mi vuoi.» Scossi la testa, sconvolta. «Tu mi vuoi.» Prendendo un bel respiro, lottai contro il mio umore e il divertimento. «Sei un po' troppo fiducioso.» «Lo sono abbastanza da permettermi di scommettere.» «Non puoi essere serio.» Lui sorrise. «Scommetto che entro il nuovo anno, tu ammetterai
di
essere
terribilmente,
profondamente
ed
irrevocabilmente...» «Wow. Vuoi aggiungere qualche altro avverbio?» Le mie guance erano in fiamme.
«Che ne dici di irresistibilmente?» Alzai gli occhi al cielo. «Sono sorpresa che tu sappia che cos'è un avverbio.» «Smettila di distrarmi Kitty. Tornando alla mia scommessa... Entro il nuovo anno, tu ammetterai di essere terribilmente, profondamente,
irrevocabilmente
ed
irresistibilmente
innamorata di me.» Stordita, quasi mi strozzai ridendo. «E che mi sogni.» Mi liberò le braccia e incrociò le sue al petto,
rilassando
le
sopracciglia.
«Scommetto
che
lo
ammetterai. Probabilmente mostrandomi il tuo quaderno con il mio nome circondato da cuoricini...» «Oh, per l'amor di Dio...» Daemon ammiccò. «È fatta.» Girando attorno presi il mio zaino e mi sbrigai verso l'uscita, lasciando Daemon nel cubicolo prima che facessi qualcosa di stupido. Come buttare il buon senso da parte e correre da lui fingendo che tutto ciò che aveva fatto e detto durante questi mesi non avessero lasciato un segno crudo sul mio cuore. Perché sarei finta, giusto? Non rallentai finché non fui davanti al mio armadietto dall'altra parte della scuola. Presi il mio zaino e lo svuotai di tutta la roba di arte. Che giornata del
cavolo. Volevo abbagliare chiunque, farlo con Daemon e far esplodere un altro computer. Seriamente. Sarei dovuta rimanere a casa. Feci per prendere la maniglia dell'armadietto, ma prima di sfiorarlo questo si spalancò. Annaspando saltai indietro, facendo cadere la cartellina di arte. Oh mio Dio, cos'è successo? Non poteva essere... Il battito del mio cuore si avvicinò pericolosamente all'arresto cardiaco. Daemon? Poteva manipolare gli oggetti. Aprire un lucchetto con la mente sarebbe una sciocchezza per lui, considerando che poteva sradicare alberi... Mi guardai intorno nel corridoio quasi deserto. Ma io già sapevo che non c'era. Non sentivo la nostra strana e inquietante connessione aliena. Mi allontanai dall'armadietto. «Hey, attenta a dove vai.» Si intromise una voce. Sussultando, mi voltai di scatto. Simon Cutters era in piedi davanti a me, stringendo uno zaino lacero nel grosso pugno. «Scusa.»
Gracchiai,
indietreggiando
fino
all'armadietto.
L'aveva visto accadere? Mi inginocchiai per raccogliere la mia opera d'arte, ma lui mi batté sul tempo. Una goffaggine epica
seguì il nostro gesto di raccogliere le carte nello stesso momento, toccandoci. Simon mi consegnò un plico di fogli con dei fiori orribili disegnati. Non avevo talento artistico. «Ecco a te.» «Grazie.» Dissi, in piedi, mettendo la cartellina nell'armadietto pronta a fuggire. «Aspetta un secondo.» Mi afferrò il braccio. «Voglio parlarti.» I miei occhi fissarono la sua mano. Aveva cinque secondi prima che la punta della mia scarpa gli finisse tra le gambe. Sembrò come avvertirlo, perché lasciò cadere la mano. «Volevo solo scusarmi per tutto quello che è successo al ballo. Ero ubriaco e... Faccio cose stupide quando sono ubriaco.» Lo fissai. «Allora forse dovresti smetterla di bere.» «Sì, forse dovrei.» Si passò la mano tra i capelli rasati. La luce riflessa illuminò il suo orologio blu e oro che aveva al polso. C'era qualcosa inciso sulla fascia, ma non riuscivo a vedere bene. «Comunque, io non...» «Hey Simon, che fai?» Billy Crump, un giocatore di football che sembrò notare solo le mie tette quando si girò nella mia direzione, si avvicinò a Simon. Era subito seguito dagli altri
compagni di squadra. Billy sorrise mentre il suo sguardo si concentrò su di me. «Hey, che cosa abbiamo qui?» Simon aprì la bocca, ma uno dei ragazzi fu più veloce. «Lasciami indovinare, lei sta cercando di tornare nelle grazie di Simon di nuovo?» Molti ragazzi ridacchiarono e si tirarono gomitate l'un l'altro. Battei le palpebre a Simon? «Scusa?» Le guance di Simon si colorarono non appena Billy, lanciandosi in avanti, mi mise un braccio sulle spalle. La scia della sua colonia a momenti non mi fece svenire. «Senti tesoro, Simon non è interessato a te.» Uno dei ragazzi rise. «Come dice sempre mia mamma, perché comprare la mucca, quando puoi avere il latte gratis?» Una lenta scarica di rabbia mi percorse nelle vene. Cosa cavolo stava dicendo Simon a questi idioti? Mi scrollai di dosso il braccio soffocante di Billy. «Il latte non è gratis, né in vendita.» «Non è ciò che abbiamo sentito.» Disse Billy a Simon. «Non è vero, Cutters?» Tutti gli occhi degli amici di Simon furono su di lui. Soffocò una risata e, facendo un passo indietro, si spostò lo zaino nell'altra spalla. «Sì, esatto, non sono interessato a un secondo
bicchiere. Stavo cercando di dirglielo ma non mi vuole stare a sentire.» La mia bocca si spalancò. «Tu maledetto bugiardo figlio di...» «Che succede qui?» Urlò il coach Vincent dalle fine del corridoio. «Non dovreste essere in classe ragazzi?» Ridendo, i ragazzi si separarono andando a lezione. Uno di loro mi girò attorno facendomi segno di chiamarlo con la mano mentre un altro fece un gesto osceno con la mano e la bocca. Volevo tirare un pugno a qualcosa. Ma Simon non era il mio più grande problema. Affrontai di nuovo il mio armadietto, sussultando. Si era aperto da solo.