Mirino 03 - Giugno 2016

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i l b i a nc o e i l ne r o


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TAVOLA

DEI C O N T E N U T I

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È così romantico. Vade retro, con commenti così potrei decidere

di abbandonare la fotografia per sempre. Il bianco e nero (BN per gli amici) è stato ed è una tecnica fotografica, un tempo era l’unica, poi i tedeschi, con l’Agfa, riuscirono per primi a produrre pellicole a colori. I tedeschi persero la guerra e i brevetti divennero ricompense per i danni di guerra.


Quando nella fotografia non esisteva il colore, i fotografi (non i photographers) utilizzavano il mezzo tecnico al meglio: non desaturavano la realtà, al contrario, la interpretavano e mostravano al meglio. Il preambolo, stucchevole per alcuni, è doveroso. Chi non ha conosciuto il bianco e nero (BN per gli amici) di una volta, difficilmente capirà il BN digitale. Non sono nostalgico, voglio solo evidenziare l’ovvio: un’immagine monocromatica non è senza colore. Chi sa cosa significa pancromatico, ortocromatico? Ok, il solito saputello alza la mano. Non ti faccio rispondere, i ruoli son chiari: io parlo tu ascolti. Chiariti i ruoli, immergiamoci nella tecnica spiegata a voi ignoranti. La luce che attraversa l’obiettivo giunge alla pellicola per impressionarla. Questa luce, lo spettro del visibile, che noi vediamo bianca, è in realtà composta da varie lunghezze d’onda, corrispondenti a varie radiazioni luminose: i colori.


La sintesi additiva di questi colori ci da il bianco, così come lo vediamo. La pellicola è un po’ più schizzinosa, è più sensibile ad alcune radiazioni, piuttosto che ad altre. Le prime pellicole erano ortocromatiche, in parole povere non erano sensibili a tutte le radiazioni luminose, soprattutto al rosso. Le carte per la stampa in BN sono ortocromatiche, per questo motivo si usava la luce rossa in camera oscura. Fate la faccia stupita.


Con l’evoluzione della tecnologia le pellicole divennero pancromatiche, la loro sensibilità era estesa a tutto lo spettro del visibile. I più intelligenti tra voi avranno notato una cosa, non l’avete notata? Vi facevo più intelligenti, pazienza. Se uso una pellicola ortocromatica la riproduzione, in scala di grigio, che ottengo non sarà la stessa di una pancromatica, chiaro? Per aumentare la sensibilità delle pellicole (in BN) verso un dato colore si utilizzavano i filtri: rosso, blu, verde, e giallo/arancio. Questi filtri enfatizzavano il loro colore e bloccavano il complementare. Un cielo scuro? Filtro rosso; vegetazione più chiara? Filtro verde; una resa tonale più equilibrata? Filtro giallo/arancio. Gli effetti opposti: un incarnato senza difetti, pelle diafana: filtro rosso, un incarnato più scuro e segnato: filtro blu, e così via. Il BN, per farla breve, riproduceva i colori con determinate scale di grigio, che l’abilità o la creatività del fotografo (non il photographer) dosava sulla base delle sue abilità espressive o la propria visione della realtà.


Chi non ha visto un vero bianco e nero, non è in grado di imitarlo digitalmente. I sensori digitali nascono sensibili sono alle variazioni luminose, degli appositi filtri (i filtri bayer), trasformano i livelli luminosi in livelli cromatici. Tale artificio ci impedisce di avere un BN nativo, tranne a chi si può permettere una Leica Monochrom, ma credo siano davvero in pochi. Il genio della fotografia, il nuovo maestro indiscusso ci dirà: che problema c’è, desaturo con Photoshop e ho il BN che mi serve. Bravo, risposta esatta, per te non c’è problema, per chi, come noi, vuol esprimere qualcosa con la fotografia e si mette in discussione ogni giorno, questo è un grosso problema.

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Ci son svariate tecniche per trasformare in BN le foto digitali, su internet troverete milioni di tutorial, nessuna è migliore di un’altra, la sensibilità individuale, la capacità di cogliere le sfumature e di vedere in bianco e nero, non si insegnano con un tutorial, la fotografia non è solo tecnica: è cuore,

immaginazione, vedere la realtà con il nostro punto di vista, non sempre popolare. Ricordate sempre che il nero è nero e il bianco è bianco. In mezzo ci son i grigi e il vostro unico, irripetibile stile, sempre che la

visione del pattume imperante non vi abbia fatto regredire ad un livello di visione da primate.


Quando visitate il solito forum del solito guru chiedendovi su quale corpo macchina le vostre finanze vi permetteranno di buttarvi, la prima cosa che vi viene detta è che la reflex è superiore alla compatta.

Fesserie. Esiste una sola regola, per l'acquisto di una macchina fotografica, e quella regola siete voi.


1. C he c i do vet e f a re? Paesaggio, ritratto, foto di viaggio, usarla come arma impropria per autodifesa (questa è una buona idea per la fotografia notturna).

2 . Q u a n t o p e s o p o t e t e s o p p o r t a r e nel lungo periodo. Sempre valido il tutorial del brick di latte: tenere un cartone del latte (pieno, ovviamente) sul braccio teso, per un quarto d'ora. Vi servirĂ da allenamento per: fotografia di scena, eventi, concerti. Nel reportage naturalistico, infatti a volte capita di ritrovarsi nel bel mezzo di una pozza di fango e dover nuotare con il braccio libero (non mi venite a dire che per il safari in Kenya vi portate appresso il cavalletto).

3 . S c e g l i e t e s e m p re quella che per voi è piÚ maneggevole: lasciate perdere le mode.


4. Adesso andiamo sul tecnico: motorizzata o meno? Dipende da quanto vi ritrovate in tasca: di solito la motorizzata conviene sempre, per il semplice fatto che gli obiettivi senza motore costano meno. 100 euro spesi in più, valgono migliaia di euro risparmiati? A voi la scelta.

5. Uso del flash: sì/no, professionale, non professionale, flash servo. Questa del flash è una questione vecchia: quando si sa illuminare e sfuttare la luce a disposizione, la presenza del flash servo è relativa.

6. Compatibilità obiettivi: dipende sempre dalle vostre tasche. Tutti iniziano con lo zoom, anche se il vero fotografo dovrebbe avere gambe allenate per inseguire il soggetto, specialmente nella foto di reportage e viaggio.


7. Sensore: qui realmente vale la pena fare a gara a chi ce l'ha più grosso. Inutile dire che un sensore migliore vi darà una compressione dei pixel inferiore, esaltando la qualità dello scatto.

8. Reparto hardware: ricordatevi che 50 Mb di file da processare non sono uno scherzo. Se si scatta in RAW, questi triplicano in postproduzione (qualsiasi programma usiate). Quindi per iniziare, conviene abbinare il corpo macchina alle proprie tasche. Solo successivamente, quando il firmamento dei fotografi vi avrà elevati a nuovi maestri, potrete farci il pensierino.

9. Reflex, perché? Se non siete degli hipster ignoranti come pietre, saprete già che sul mercato esistono: - mirrorless: la tecnologia senza specchio permette una maggiore nitidezza dell'immagine, dovuta all'assenza di vibrazioni prodotte dal movimento interno alla fotocamera.

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- Compatte: a medio-alta risoluzione e peso ridotto. - Quattro terzi e micro quattro terzi: stessa cosa delle compatte, con angolo di campo e sensore ridotti. Prestanti in ogni situazione. - 6X6: dovete avere proprio tanti soldi a portata di mano, producono fotogrammi quadrati, non tutti apprezzano Giugno 2016 ­

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(e sono degli stolti).

10. Per chi ha già fotografato qualche volta in vita sua: è sempre il corpo macchina a dover essere accoppiato al corredo degli obiettivi, non viceversa. Meglio avere una visione d'insieme, piuttosto che pentirsi dell'acquisto.



Anche se non te ne sei mai accorto, è la Nikon che deve servire a te, non sei tu a servire alla Nikon.

gni forum o blog di fotografia che si rispetti commenta così l’uscita di una nuova fotocamera: come si comporta agli alti ISO? Bella domanda, direi, la mia risposta è di solito: ma che mi frega. Esattamente, che mi frega degli alti ISO, sono una pippa

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mentale per persone ossessionate dal nulla. Domande oziose da pseudo esperti che non capiscono nulla di fotografia e che si masturbano con i dati tecnici, ottimi consumatori, perfetti per l’industria, ma fotograficamente incompetenti.



Quante volte nella nostra attività fotografica ci capiterà di utilizzare alti ISO? Due, tre, esageriamo, quattro. Qualora fossero di più domandiamoci se stiamo fotografando o cercando di catturare fotoni sparsi, come degli scienziati catturano i neutrini sottoterra. Questi poveri fotoni stanchi aspirano ad un meritato riposo, noi spietati li costringiamo a depositarsi sul sensore, loro, stancamente, mortificano il nostro meraviglioso sensore da x milioni di pixel regalandoci un rumore assordante. Proprio così, il limite dei sensori, e delle pellicole, è questo: più sensibilità, più grana, ma non quella bella grana casuale delle pellicole tirate, che aveva un sapore artistico, no quella dura e regolare grana digitale che sa tanto di tv analogica. C’è un limite invalicabile, ogni tecnologia nuova porta dei miglioramenti, ma non si può, allo stato attuale della tecnologia, pretendere l’impossibile.


Il limite tecnico ha in sé dei vantaggi: aguzza l’ingegno, i fotografi dei bei tempi che furono impressionavano le pellicole, anche di giorno, con esposizioni di minuti; questo non ha impedito loro di fare fotografie anche a soggetti animati, non solo panorami. Sento già l’obiezione: ma non siamo nel 1800 (quasi 1900). È vero, loro erano più bravi e creativi di noi, non praticavano l’onanismo mentale della tecnica, la fotografia era giovane, tutta da scoprire. Oggi, dopo centinaia di anni abbiamo perso il senso di stupore di fronte al soggetto e l’abbiamo sostituito con domande oziose e inutili: come si comporterà agli alti ISO? Ma che ci importa, la fotografia è dentro di noi, non dobbiamo stupire nessuno, l’unico limite non è tecnico, ma creativo. Se un giorno vi troverete al chiaro di luna con la vostra bella, e spingendo gli ISO oltre l’impossibile, sarete tentati di fotografarla a mano libera con tempi umani, fate così: respirate, contate sino a tre e baciatela, è l’unica cosa da fare al chiaro di luna. Giugno 2016 ­

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l'illusione al potere: l'HDR

Se vi state chiedendo cos'è

l'HDR, immaginatevi un viso i cui difetti e pregi vengano aumentati drasticamente. Ecco. Ogni poro, vena, pelo. Ogni ruga. Tutto iper-visibile: all'inverosimile. Perché l'HDR è proprio questo: inverosimile. Già su un paesaggio è poco accettabile, perché aprendo le ombre e attenuando i contrasti,

appiattisce ogni profondità. Ma l'abbiamo visto – e subìto – anche su volti di donne, persino sui bambini. Come si fa, ad esempio, a sottoporre a trattamento HDR una sposa? E anche qui, l'ultimo guru, fa tendenza. Non tutti sono nati Lee Jeffries, che ha comunque imposto uno stile: il suo.


HDR: acronimo inglese che sta a significare alta gamma dinamica tra luci e ombre.

Il mantra è il solito: Lee Jeffries, che fotografa persone svantaggiate come i senzatetto di Manchester, ha più di una ragione, per insistere sulla drammaticità di uno sguardo, di un paio di mani invecchiate dal tempo e dagli stenti. Ma noialtri? HDR sta per high dynamic range, cioè alta gamma dinamica. Di cosa? Di luminosità e di dettaglio, nel momento in cui facciamo a meno di luci ed ombre. Il risultato sarà artificiale e banale: come tendenza insegna; ma tutto a fuoco nitido

e definito. Prova ne sia, che per un HDR che si rispetti, sono necessari almeno 3 scatti. Viste le premesse possiamo anche chiamarla iper-foto. Rimane un quesito: cosa significa, perché si è imposta come tendenza? A un certo punto, l'occhio umano, deve essersi annoiato della realtà che lo circondava. Quindi, i sedicenti fotografi di tutto il mondo con ben sei mesi di “carriera” alle spalle, devono aver deciso all'unisono di ubriacare tutti noi.


Ed ecco la foto iper-saturata: talmente eccessiva, da far rimpiangere i ritratti seppia delle nostre nonne. In definitiva, sembra che all'occhio umano, ciò che vede, non basti più. Eppure il trend è in crescita costante. Forse dovuto al fatto che un fotografo, ormai, per vendere qualcosa è costretto a stupire a tutti i costi la propria clientela. Paradossalmente, però.. troppo HDR non vi fa

vendere le foto. Nel senso che: certamente riuscirete a stupire la vicina di casa, mostrandole la vostra collezione di tramonti; ma l'agenzia a cui tenterete di vendere le vostre prodezze vi dirà di no. Perché? Semplice: il pastrocchio artificioso sta diventando il discrimine tra il fotografo professionista e il dilettante.




Sorridi, click. Il ritratto è terminato: un soggetto e il suo fotografo (non photographer). Quello che dico potrà apparire banale, ma in fondo è così. Il rapporto tra soggetto e fotografo crea il ritratto, senza artifici. Volevate una guida per fare ritratti da urlo? Non esiste, esiste solo la capacità di creare un rapporto tra chi sta dietro alla reflex e chi sta di fronte.

Quante volte avrete sentito dire: io non sono fotogenico/a, credete che la fotogenia esista? Ebbene sì, esiste, quindi fatevene una ragione. La fotogenia è collegata ad un uso, cosciente o incosciente, dei muscoli che creano la nostra espressività, sin qui tutti d’accordo. Ciò che troviamo gradevole in una persona mentre la osserviamo, è il frutto di tante micro-espressioni che nella visione “a velocità normale” non cogliamo separatamente, ma in un insieme, spesso gradevole.


Quando scattiamo la classica istantanea, spesso cogliamo espressioni non proprio carine: occhi chiusi, bocche storte, insomma, il classico ritratto che fa arrabbiare il soggetto. Riprendete una persona e controllate a passo uno tutte le espressioni e capirete perché. Dalla prima fila il solito saputello mi chiede: e le modelle, le attrici? Sapevo che avresti fatto questa domanda. Chi usa il corpo per professione (non parlo delle prostitute) ha esercitato la propria espressività, quando vede una macchina da presa si mette in posa, è un riflesso condizionato. Allora che dobbiamo fare (sempre il saputello della prima fila)? Innanzitutto dobbiamo osservare chi fotografiamo, sapendo che lo scatto rubato al 99 per cento sarà una schifezza, cercare la luce migliore che migliori l’incarnato e non crei ombre e fare tanti scatti, chiedendo, cortesemente, al soggetto di mantenere l’espressione il più possibile. Se lo mettiamo a proprio agio dopo qualche centinaio di scatti otterremo dei risultati decenti.


Ma io non ho tempo per 100 scatti, direte. Trovatelo, osservate, guardate la luce, createla se non è quella giusta. La luce è una bella bestia, non penserete di usare il flash di fronte al soggetto e fare un ritratto decente? Folli! Vi sono tanti schemi di illuminazione, per lo più ripresi dalla pittura classica, provate, sperimentate. Il classico schema a tre luci, quello del ritratto di una volta, per intenderci, con luce di chiave, luce di riempimento e controluce, trova la sua applicazione in studio. Ma se non avete un set di luci a disposizione ci son tanti strumenti a costo zero da utilizzare: pannelli di polistirolo, rotoli di alluminio, lampade led comprate in negozi cinesi, la creatività va esercitata. Il vostro amico con la reflex da milioni di pixel ha comprato dei pannelli riflettenti professionali con flash e servo comandi? Ma che ci importa, la gara non è sul saldo del conto corrente.

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Non consiglierei il fai da te ad un professionista (come ti mostri è importante), ma un appassionato creativo, che ha voglia di imparare e usa quello che trova in casa, può imparare a costo zero.Il ritocco del ritratto esiste da quando esiste la fotografia, non prendiamoci in giro.


la luce diffusa, il velatino e il ritocco del negativo venivano usati dai fotografi di un tempo, quindi il ritocco con un software non è negativo, ovviamente c’è un limite a tutto. Volti eterei in tuta da ginnastica non sono credibili, occhi azzurri e altre buzzurrate non depongono a vostro favore, trasformare la fidanzata o moglie in una modella da copertina, stile patinato, creando una foto nella quale manca solo il marchio dell’azienda, non vi trasforma in grandi fotografi (photographers). Dimostra solo quello che siete, dei creatori inconsapevoli di inquinamento visivo, o meglio, creatori di spazzatura visiva.


Cosa può farci uscire di galera, meglio dell'immaginazione? Deve esserselo chiesto, François Truffaut, critico cinematografico prestato al cinema, in quello che rimarrà il capolavoro e seconda opera del regista: I 400 Colpi. Che si può dire di una pellicola sulla quale son state già spese migliaia di pagine? Iniziamo col fatto che la fuga, in Truffaut non si limita alla ribellione. Il protagonista, Antoine, figlio e scolaro dalla vita turbolenta, infatti non fugge per trovare il proprio destino.

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Sono elementari, spesso, i desideri di un ragazzo di dodici anni. Forse tra questi c'è la famiglia. Forse. Per tutto il film, il regista insegue il piccolo protagonista nelle sue gesta, spesso goffe, che lo conducono a un epilogo irrisolto. Non sbaglia chi attribuisce tratti autobiografici all'opera di Truffaut, il cui protagonista entra ed esce di prigione: la storia di Antoine, il suo rapporto con dei non-genitori, l'ossessione per la parola scritta, delineano i primi anni di vita dell'autore stesso. Spesso, durante il film ci chiediamo a cosa stia pensando Antoine, rinchiuso in riformatorio, quando, per l'ennesima volta, tenta la fuga.


Antoine sogna di vedere il mare. Un sogno che gli è precluso e che si realizza in maniera banale negli ultimi fotogrammi. Il mare è lo stesso che vediamo ingabbiato nella foto del mese. Una spiaggia, luogo di giochi d'infanzia, ci viene mostrata rinchiusa da una rete per polli. Proprio il mare, elemento iconografico presente in ogni

cultura, in questo scatto sembra richiamarci a sé, a un gesto di fuga e di libertà: per il bambino che risiede dentro di noi e che la nostra esistenza ci ha fatto accantonare. La cinepresa segue lo sguardo di Antoine dietro la grata della galera, ma al di là delle sbarre c'è il mare: lo vede Antoine, lo vediamo noi.


Ed ecco il motivo per il quale abbiamo deciso di accostare queste due immagini. Da un lato, il sogno proibito, dall'altro il sognatore si fondono in un unico insieme: il giardino di un'infanzia alla quale è negata la normalità. La fuga di Antoine, appunto, non è da intendersi come ricerca del sé adulto. Al contrario, è la conquista della vera infanzia, quella fatta di spensieratezza e corse a perdifiato in riva al mare: che solo gli stolti possono tentare di rinchiudere dietro una rete per polli.





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