Focus Storia 207 - Gennaio 2024

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Storia SCOPRIRE IL PASSATO, CAPIRE IL PRESENTE

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19 DICEMBRE 2023 GENNAIO 2024

Sovrani violenti, fanatismi, torture di Stato: quando a dettare legge è il peggio di noi

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SPIETATI ENRICO VIII, IL RE INGLESE EMBLEMA DELLA CRUDELTÀ, E GLI ALTRI “CATTIVISSIMI” AL POTERE

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GIALLI & MISTERI

UN PRANZO A PALAZZO

Con i loro sfarzosi banchetti papi e prìncipi sfoggiavano ricchezza, status, potere.

PARADISO SAMOA

R. L. Stevenson scrisse L’isola del tesoro e poi... andò a viverci.

KASPAR HAUSER Lo strano caso del ragazzo comparso dal nulla che commosse l’Europa dell’Ottocento.


Dicembre 2023

focusstoria.it

Storia

Q

uando abbiamo deciso di dedicare la copertina di questo numero agli spietati – ispirandoci, tra l’altro, all’uscita del film Firebrand su Enrico VIII, vera icona del male – ci siamo imbattuti in un problema di selezione: la Storia ha prodotto così tanti “cattivi” che decidere chi includere e chi no nel nostro Primo piano è stato un vero dilemma (e amaro spunto di riflessione). Così, abbiamo escluso i quattro più famosi del Novecento – Hitler, Stalin, Mussolini, Mao – sui quali si è scritto tantissimo, per focalizzarci su dittatori “minori” se non per spietatezza, per risonanza storica. Poi abbiamo seguito il filone del fanatismo – religioso o politico – che ha prodotto e continua a produrre le peggiori anime nere, e quello dei torturatori “per professione”. A proposito di tortura: vi siete mai chiesti com’è possibile che per secoli sia stato considerato giusto e normale sottoporre a indicibili supplizi i sospettati di un reato per estorcere loro una confessione? La tolleranza verso la violenza è una di quelle dinamiche dell’animo umano difficili da comprendere con la sensibilità di oggi. Ma noi ci abbiamo provato. Buona lettura. Emanuela Cruciano caporedattrice

CREDITO COPERTINA: TONY BAGGETT - STOCK.ADOBE.COM

RUBRICHE 4 LA PAGINA DEI LETTORI 6 NOVITÀ & SCOPERTE 8 TRAPASSATI ALLA STORIA 10 UNA GIORNATA DA... 12 NEL PIATTO 64 COMPITO IN CLASSE 66 PITTORACCONTI 68 CURIOSO PER CASO 98 AGENDA

CREDITO CREDITO

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CI TROVI ANCHE SU:

In copertina: Enrico VIII Tudor, re d’Inghilterra.

IN PIÙ... QUOTIDIANA 14 VITA Un pranzo da re A tavola con prìncipi e sovrani durante i fastosi banchetti, allestiti per stupire.

GIALLO STORICO 20 Principe o

impostore?

Il papa e l’inquisitore, di Jean-Paul Laurens (1882).

Chi era davvero Kaspar Hauser, il misterioso ragazzo tedesco famoso nell’800 come “il fanciullo d’Europa”?

I CRUDELI DELLA STORIA 26 Una bestiaccia di re

Un’antica profezia aveva previsto l’avvento di un sovrano diabolico. E il popolo inglese si convinse che fosse Enrico VIII.

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Sterminio culturale

Nel 1966 gli studenti cinesi furono chiamati da Mao a una violenta epurazione di ogni “elemento reazionario”.

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Secondo tortura

L’uso sistematico e istituzionale dei supplizi corporali è uno dei capitoli più lunghi e oscuri dell’umanità.

40 Un caffè con Berija

Fu il braccio destro di Stalin e per il dittatore sovietico svolse il lavoro sporco, torturando e facendo morire milioni di persone.

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Terrore di Stato

Otto dittatori che hanno governato con la ferocia i loro Paesi, in nome della “sicurezza nazionale”.

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Durissima lex

Le pene e i supplizi inflitti a chi violava la legge romana (o quella divina) erano un campionario di torture.

58 Il sonno della ragione

Da Torquemada al Ku Klux Klan fino ai talebani: i fanatici del terrore.

70 LaNOVECENTO guerra

delle donne

Teresa Guerrato Nardini, la “madrina di guerra” che aiutò i soldati delle trincee nella Grande guerra.

COSTUME 75 Buon

compleanno

La festa come oggi la conosciamo è nata nell’Ottocento. Ma alcuni usi, come la torta, sono più antichi.

80 IlANNIVERSARI padre

degli Hobbit

La vita di J.R.R. Tolkien, filologo e scrittore, creatore di mondi e divenuto, suo malgrado, autore di culto.

BATTAGLIE 85 Accerchiate

Gaeta

La caduta dell’ultima roccaforte dei Borbone segnò anche la fine della lunga lotta fratricida tra italiani.

ARTE 92 Ritratto infinito

Ingres ci mise 12 anni per dipingere Madame Moitessier. Intanto il mondo cambiava. 3

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SPECIALE

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l 22 novembre 1963 venne assassinato il presidente americano John Fitzgerald Kennedy. Uno shock così intenso per gli Usa, che la sua eco non si è spenta a distanza di decenni. Non c’è dubbio infatti che sia stata la modalità della sua morte, più che la sua presidenza,

a contribuire alla fama, che dura ancora oggi, del 35° presidente degli Stati Uniti, in carica dal 20 gennaio 1961 fino alla morte. Su Storia in podcast, Mario Del Pero, illustre americanista e professore di Storia internazionale presso l’Université SciencesPo di

primo personal computer della Storia, realizzato da Pier Giorgio Perotto con soli tre aiutanti. Per farlo funzionare veniva inserito un programma, manualmente o attraverso un’apposita schedina, che eseguiva i calcoli molto più rapidamente dei computer dell’epoca. La P101 funzionava talmente bene che fu usata dagli scienziati della Nasa per calcolare le rotte dei razzi del programma Apollo. Andrea Bertone, Cuneo

Ancora sulle invenzioni

Volevo segnalare che nell’articolo “Visioni digitali”, pubblicato su Focus Storia n° 205, vengono indicati Jobs e Wozniak come coloro che lanciarono il

Parigi, racconta la vita di Jfk prima della presidenza, la famiglia Kennedy, così ricca e potente, la politica estera e il suo assassinio. Buon ascolto! Per ascoltare i nostri podcast (le puntate online sono ormai più di 500): dalle biografie di personaggi agli

primo Pc nel 1976. Per la verità il primo personal computer della Storia fu la Olivetti Programma 101 creata dal gruppo di ricerca guidato dall’ingegnere Pier Giorgio Perotto, quindi un’invenzione italiana. Fu presentata alla Fiera mondiale di New York nell’ottobre del 1965, ben 11 anni prima della nascita del computer Apple 1. Olivetti Programma 101 utilizzava la scheda magnetica perforata come supporto di memorizzazione esterno, un’innovazione assoluta per quei tempi. Spero vorrete dedicare un ampio servizio a questo prodigio tecnologico italiano. Una delle tante invenzioni di cui dobbiamo essere orgogliosi. Stefano Marini, Porto Garibaldi (Fe)

approfondimenti sui grandi eventi storici basta collegarsi al sito della nostra audioteca storiainpodcast.focus.it. Gli episodi, che sono disponibili gratuitamente anche sulle principali piattaforme online di podcast, sono a cura del giornalista Francesco De Leo.

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GETTYIMAGES

I NOSTRI ERRORI

Steve Wozniak e Steve Jobs.

Focus Storia n° 204, pag. 7 abbiamo scritto erroneamente che Napoleone morì a 46 anni, ma a quell’età invece venne esiliato a Sant’Elena. Focus Storia n° 205, a pag. 53 abbiamo scritto che lo storico Plutarco era latino, invece che greco. Focus Storia n° 204, a pag. 38 abbiamo scritto erroneamente che Luigi

XVI era il pronipote di Luigi XV, invece era il nipote abiatico (figlio del figlio). Focus Storia n° 206, a pag. 56 nella cartina sulle battaglie di Napoleone, abbiamo invertito la colorazione dei richiami che indicano le sconfitte (che avrebbero dovuto essere segnalate in giallo, e invece sono segnalate in rosso) e le vittorie (viceversa).

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VITA QUOTIDIANA

UN PRAN A tavola con prìncipi e sovrani durante i banchetti

di Biagio Picardi

CONSORZIO RESIDENZE REALI SABAUDE (9)

Invito a nozze

Il banchetto nuziale di Ferdinando di Toscana e Cristina di Lorena, nel 1589, dipinto da Domenico Cresti detto il Passignano. ©KHMMuseumsverband

A

capotavola c’è il re e al suo fianco la regina. Tutt’attorno prìncipi, prelati, nobili e dame. Ognuno impegnato a mangiare a più non posso, sommerso da selvaggina, frutta e vino a fiumi tra risate, sprechi e pose oscene. Così romanzi, film e serie tv ci hanno raccontato gli antichi banchetti di corte: eventi dissoluti caratterizzati da vizi e ingordigia. Uno stereotipo però spesso lontano dalla realtà, perché dal Medioevo a fine Ottocento

gli usi dei sovrani a tavola sono molto cambiati, grazie all’Illuminismo e all’arrivo da mondi lontani di cibi che hanno modificato persino il modo di apparecchiare. Lo raccontano, più o meno sinceramente, i dipinti a tema arrivati ai giorni nostri ed esposti alla mostra Sovrani a tavola. Pranzi imbanditi nelle corti italiane, in programma alla Reggia di Venaria (v. riquadro nelle pagine successive). «È probabile che i pittori  venissero ammessi ai banchetti e facessero


ZO DA RE ufficiali, allestiti per stupire e celebrare il proprio casato.

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ra le molte invenzioni che l’aneddotica attribuisce a Leonardo da Vinci – che fu cerimoniere delle feste degli Sforza – c’è anche il tovagliolo. Secondo la trascrizione, di dubbia attendibilità, del cosiddetto “Codice Romanoff” (un presunto taccuino culinario leonardesco, mai trovato), dopo aver notato la poca pulizia dei commensali di Ludovico il Moro e la scarsa efficacia delle ciotole con l’acqua di rose, nel 1491 Leonardo avrebbe pensato di mettere accanto a ogni posto una piccola tovaglia, la “truccabocca”, per pulirsi. Funzione che prima era svolta dalle molliche di pane, dai lembi della tovaglia, dalle maniche dei vestiti e addirittura dal pelo dei cani che stavano sotto al desco in attesa degli avanzi. In lavanderia. In effetti, tra ’400 e ’500 i tovaglioli cominciarono a diffondersi nelle corti. E c’è chi ritiene che certi disegni di Leonardo prefigurino prototipi di macchine per lavarli e piegarli.

Scenografici

Saliera di fine XVI secolo, opera delle Botteghe granducali (Firenze, Gallerie degli Uffizi-Palazzo Pitti, Tesoro dei granduchi). A destra, Il pranzo reale (Il banchetto degli Asburgo), circa 1599, Varsavia, Museo Nazionale.

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SUA MAESTÀ L’ARROSTO. A dominare gli speziati banchetti del 1500 era l’arrosto: maiali, pollame e soprattutto cervi, cinghiali e volatili. E poi zuppe, riso, salse e frutta (altro status symbol), mentre il formaggio era sospettato d’essere nemico della salute. A un ricevimento prestigioso non mancava mai lo zucchero, chiamato “polvere di Cipro” e indice di ricchezza. Questi e altri cibi nel Rinascimento venivano offerti ai commensali attraverso due tipi di servizi. Il primo era quello “di credenza”, con piatti freddi preparati in anticipo e posizionati su un mobile che alla fine del XVI secolo comincerà a chiamarsi buffet, dal nome del cuoco del re di Francia Pierre Buffet. Il secondo servizio, invece, “di cucina”, prevedeva pietanze calde, poggiate tutte insieme in tavola dai camerieri dentro vassoi comuni dai cui ognuno poteva servirsi. A disposizione, poi, piccoli contenitori per lavarsi le mani con acqua di rose, anche se a fine Quattrocento si diffusero i tovaglioli (v. riquadro). Stare a tavola era un momento fondamentale della vita di corte e l’importanza della persona dipendeva dal sedersi più o meno vicino al re, che però spesso se ne stava a un tavolo esclusivo, leggermente rialzato e visibile a

tutti. Matrimoni, nascite, vittorie militari, ospiti importanti: ogni occasione era buona per un sontuoso banchetto, che si trasformava in uno spettacolo grazie agli “intermezzi” con musicanti, giocolieri, fuochi d’artificio. Il pubblico poteva assistere a distanza (e a stomaco vuoto) omaggiando la magnificenza del re. E il tutto veniva ritratto in ogni dettaglio. «Certo, perché nella cultura del 1500 e del 1600, e poi anche del 1700, la tavola reale rappresenta lo Stato», spiega Merlotti. «Se è ricca, dà l’idea di uno Stato ricco che produce tanti cibi e altrettanti ne fa arrivare da tutto il mondo. Ugualmente, la compostezza con cui il sovrano e i cortigiani mangiano indica come viene governato il regno».

L’ARTE DEL BEL SERVIRE. La diffusione delle regole del galateo di monsignor Giovanni Della Casa, pubblicate nel 1558, impose le buone maniere e l’arte del bel servire, curata dal cosiddetto “ufficio di bocca”, composto dallo scalco, che dirigeva la servitù, dal trinciante addetto al taglio della carne e dal coppiere, impegnato a versare il vino. C’erano poi gli assaggiatori che testavano ogni cibo prima che venisse servito al sovrano. Grazie ai commerci delle Compagnie delle

La scenografia era ©NATIONAL MUSEUM IN WARSAW - PHOTO: PIOTR LIGIER

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schizzi di quello che vedevano, terminando poi il lavoro in un secondo momento», spiega lo storico Andrea Merlotti, direttore del Centro Studi delle Residenze reali sabaude e curatore dell’esposizione. «Bisogna però considerare che molti dipinti sono di fantasia, dettati da un’idea politica. Non a caso abbiamo soltanto raffigurazioni di occasioni speciali e non del pranzo quotidiano del re».

©GABINETTO FOTOGRAFICO DELLE GALLERIE DEGLI UFFIZI – FOTO: ANTONIO QUATTRONE

Il tovagliolo di Leonardo


ARRIVA LA PASTA! Anche se i sovrani mangiavano sempre più spesso nei propri appartamenti, i ricevimenti del Seicento furono tra i più sfarzosi, con piatti d’argento e maiolica e finissimi tovaglioli piegati a forma di conigli, cani e altri animali. I pranzi di corte si diradarono nel Settecento ed erano meno sfarzosi di come li vediamo raffigurati. Quello per le nozze tra Filippo V di Spagna ed Elisabetta Farnese (1714) fu dipinto su commissione dallo Spolverini come

© SU CONCESSIONE DEL MIC

Indie, nel XVII secolo fecero capolino nuovi cibi esotici provenienti dall’America: tacchino, patate e fagioli, ma anche caffè e cioccolato. Questo poi si trasformò in gelati e altri dessert di fine pasto. Alla corte francese del Re Sole era la regina madre Anna d’Austria ad andar pazza per la cioccolata calda, che beveva in raffinati tête-à-tête (servizi composti da due tazzine e vassoio) d’argento, ben presto di moda a Parigi. E francesi erano anche l’abate Dom Pierre Pérignon (1639-1715), inventore dello champagne, nuovo vino delle grandi occasioni, e lo studioso Denis Papin (1647-1714), inventore del “digestore”, antenato della pentola a pressione. Uno strumento perfetto, come lui stesso scrisse, per “rendere digeribili molte quantità di cibi, tra cui le carni più dure”.

un viavai di paggi in livrea rossa che portano i piatti sulla tavola dominata su due troni dalla sposa e dalla duchessa madre, mentre ospiti e cortigiani assistono in fondo alla sala. Una scena che, spiega ancora il curatore della mostra, «è inventata, perché non c’era neppure una sala come quella del quadro, nel Palazzo ducale di  Parma, e tutto lo sfarzo è molto caricato».

Bella Napoli

Il Servizio delle vedute napolitane (circa 1793), della Real Fabbrica Ferdinandea (Napoli, Museo e Real Bosco di Capodimonte).

importante quanto l’esclusività dei cibi proposti

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Il menu con l’elenco delle portate nasce a inizio ’800, quando arriva il servizio “alla russa”: a tavola si serve un piatto alla volta Cibo di classe

Nella vignetta Gargantua (Parigi, 1831) l’ingordigia di re Luigi Filippo divora il popolo. A sinistra, A little man with a great appetite sitting down to dinner (Londra 1806) ironizza sull’ambizione di Napoleone. Sopra, Mise en place con porcellane del Servizio “dell’Oca”.

Eppure l’eleganza francese era contagiosa e gli articoli da tavola si moltiplicarono: saliere, oliere, brocche di eccelsa qualità. Nel 1743 a Napoli il re Carlo di Borbone decise di produrre una porcellana tutta sua, aprendo sulla collina di Capodimonte la Real Fabbrica e inaugurando così una tradizione manifatturiera famosa nei secoli. In quei raffinati piatti la selvaggina continuava a esserci, ma furono bandite frattaglie e cervella, ritenute cibo barbaro e povero, mentre spopolavano tartufi e gelatine. Furoreggiava invece la pasta, col cacio più che col pomodoro, che dovrà aspettare l’Ottocento per prendersi la scena.

CARICATURE E MENU. Lo sfarzo dei banchetti non fece breccia nel cuore di Napoleone, austero a tavola. I pranzi ufficiali per lui erano più che altro occasioni di trattative politiche o modi per “fare gruppo”. Come fece a Napoli, nel 1809, Gioacchino Murat offrendo un pranzo a oltre 3mila ufficiali dell’esercito. Nonostante lo scarso entusiasmo culinario, 18

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Bonaparte divenne bersaglio di caricature satiriche incentrate sul cibo come metafora del potere. Nella vignetta A little man with a great appetite sitting down to dinner del 1806 (qui sopra), il condottiero viene raffigurato circondato da pietanze che altro non sono che gli Stati conquistati. È triste però per la mancanza del roast beef, la desiderata Inghilterra. «Nell’800 torniamo ad avere molte raffigurazioni di pranzi reali», spiega Merlotti. «Sebbene il sovrano di turno sia ritratto per lo più composto in piedi, mentre brinda solennemente coi suoi pari, si diffondono queste caricature. D’altro canto anche nel ’700 alcuni re venivano rappresentati con metafore che facevano riferimento al cibo. Per esempio, Giorgio III d’Inghilterra è disegnato intento a mangiare con la moglie e il figlio il tesoro della Corona e il francese Luigi XVIII è immaginato dal popolo come un mangione nonostante il suo aspetto fosse in realtà dovuto a una disfunzione e non all’ingordigia».

Servizi unici

Sotto, servizio da gelato per i duchi di Parma (Manifattura reale di Sèvres, 1760-66), dal Palazzo del Quirinale. In alto a destra, Un tè a Evian, di L. Guttenbrunn (1787).


La mostra è servita

©SEGRETARIATO GENERALE DELLA PRESIDENZA DELLA REPUBBLICA /FOTO: MAURIZIO NECCI-AZIMUT, ROMA

L

Le stamperie sfornavano intanto un nuovo elemento chiave dei pranzi ufficiali: il menu con l’elenco delle portate. Era la conseguenza di un moderno tipo di servizio: non più “alla francese” con tutto il cibo servito all’inizio, bensì “alla russa”. Un’innovazione introdotta dal principe Alexander Borisovich Kurakin, nel 1808 inviato dallo zar Alessandro I a Parigi. Da allora i commensali si siedono e vengono serviti dai camerieri con una pietanza alla volta, secondo una successione di piatti prestabilita.

BANCHETTI ITALIANI. Le novità si moltiplicavano, ma in Italia i Borbone preferivano proseguire la tradizione dei generosi banchetti cinquecenteschi, con pranzi da 60 portate (dalle zuppe al paté di maccheroni, fino agli

apprezzatissimi fagiani) servite tutte insieme in due imbandigioni, col dessert benevolmente offerto al pubblico. Più contemporanei furono i Savoia. Soprattutto la regina Margherita e Umberto I che al Quirinale (dal 1871 nuova sede del re d’Italia), organizzavano banchetti per ospiti illustri, militari e capi di Stato applicando le nuove regole del mangiare. E se alla regina Margherita fu dedicata la pizza omonima, suo figlio Vittorio Emanuele III era un noto amante del pollo arrosto. Il sovrano, però, raccontano i menu dell’epoca, offriva ai suoi ospiti internazionali pietanze inglesi e francesi. «Era una scelta sociale e politica», conclude Merlotti. «Tant’è vero che mentre i Borbone si erano isolati sempre di più, i Savoia si erano aperti alla • modernità. Anche a tavola».

a mostra Sovrani a tavola. Pranzi imbanditi nelle corti italiane, in corso alla Venaria Reale, presso Torino, attraverso oltre 200 dipinti, arredi, servizi di porcellana e d’argento, maioliche, caricature e menu racconta abitudini e pietanze dei re dal 1500 alla fine dell’Ottocento grazie alla collaborazione di tutte le ex residenze dinastiche reali e di importanti musei. Pezzi rari. Le tre sezioni distribuite su 14 sale offrono ai visitatori, tra le tante meraviglie esposte, dipinti rari come il Banchetto di nozze di Ferdinando di Toscana e Cristina di Lorena di Domenico Cresti detto il Passignano (1589) e Un tè a Evian con Carlo Emanuele di Savoia e Maria Clotilde di Borbone realizzato da Ludwig Guttenbrunn (1787) e la ricostruzione della mise en place in uso al Palazzo reale di Napoli ai tempi di Ferdinando IV, con pezzi provenienti anche da Capodimonte.

Dove, come, quando. Reggia di Venaria, Sale delle Arti, Venaria Reale (Torino), fino al 28 gennaio 2024. Info: tel. 011.4992333, lavenaria.it

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PHOTO © FINE ART IMAGES / BRIDGEMAN IMAGES/ MONDADORI PORTFOLIO

PRIMO PIANO

Sulla croce

Il campo dannato, olio su tela realizzato nel 1878 dal pittore russo Fëdor Andreevich Bronnikov. La crocifissione era una pena riservata agli stanieri e agli schiavi, non ai cittadini romani. L’uso dei chiodi per mani e piedi era la regola. 52

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Le PENE e i SUPPLIZI inflitti a chi violava la legge romana (o quella divina) erano un campionario di torture.

Durissima

LEX di Matteo Liberti

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più fortunati venivano decapitati, scaraventati giù da una rupe o strangolati. Altri finivano invece annegati, arsi sul rogo, crocifissi, fustigati, lapidati, divorati dalle belve o murati vivi... Era questo il macabro campionario delle pene di morte in uso nell’antica Roma, dove a ogni crimine corrispondeva una specifica punizione. Non tutte le condanne capitali erano stabilite da apposite leggi, ma quasi tutte avevano in comune una tetra fantasia. «I supplizi romani non si limitavano a dare una morte più o meno dolorosa, ma implicavano riti misteriosi dietro a cui vi erano credenze magiche o religiose», conferma Eva Cantarella nel suo saggio ormai classico I supplizi capitali. Origine e funzioni delle pene di morte in Grecia e a Roma (Feltrinelli). «Le pene rispondevano inoltre a tre esigenze: infliggere un castigo a chi non aveva rispettato l’autorità familiare o politica; espiare un comportamento che aveva offeso una divinità; soddisfare il desiderio di vendetta di chi era stato vittima di un torto». All’origine delle più antiche punizioni, l’indissolubile unione di sacralità e vita quotidiana nel mondo romano.

MORTE LENTA. Tra le più antiche istituzioni della città c’era quella delle vestali, giovani sacerdotesse vergini che avevano il compito di tenere sempre acceso il fuoco sacro alla dea Vesta (simbolo della vita eterna dell’Urbe). Proprio a loro, nel caso in cui avessero infranto il voto di castità o avessero lasciato spegnere il sacro fuoco, era destinato uno dei supplizi più crudeli:

essere murate vive. Dopo una lugubre cerimonia, la colpevole veniva condotta nel cosiddetto “campo scellerato” (oggi presso Porta Collina, lungo le Mura Serviane) e fatta entrare in una camera sotterranea dove erano presenti un letto, pochi viveri e una fiaccola. Veniva quindi chiusa all’interno della sua futura tomba e abbandonata a morire di inedia. A livello simbolico, la camera tombale rappresentava la casa, la dimensione domestica, così come i compiti quotidiani delle vestali ricalcavano le mansioni delle donne comuni. Non a caso, queste ultime andavano incontro a una morte analoga a quella delle sacerdotesse in caso di adulterio o se si davano al vino: solo che a eseguire la condanna non era il pontefice massimo (capo di tutti i sacerdoti), bensì il pater familias, titolare della patria potestas. I motivi per cui venivano puniti adulterio e ubriachezza sono da ricercare nella cultura del tempo. «A Roma, una delle prime preoccupazioni era quella di garantire un’ordinata riproduzione dei cittadini, controllando di conseguenza il comportamento femminile», spiega Eva Cantarella. In quest’ottica non potevano essere ammessi rapporti sessuali illeciti e il vino era vietato poiché portava le donne a “perdere il controllo” distraendole dai propri doveri.

PRESI PER IL COLLO. Rispetto alla sorte delle vestali, una pena considerata “privilegiata” era lo strangolamento, a cui ricorrevano molti aspiranti  suicidi (spesso condannati a morte, 53

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DAGLI ALBERI ALLE CROCI. Ai colpevoli di perduellio era destinata anche la pena dell’arbor infelix (“albero infelice”). Secondo lo storico Tito Livio (59 a.C.-17) il supplizio prevedeva che il reo, con il capo coperto, fosse “sospeso con una corda all’albero” e poi frustato. Alcuni hanno interpretato questa descrizione pensando a un rituale di impiccagione, ma l’ipotesi è da scartare. «Per i Romani, impiccagione e pena capitale erano inconciliabili, poiché si credeva che le anime degli impiccati, avendo esalato l’ultimo respiro sospesi in aria, non riuscissero a tornare a terra, nel regno dei defunti, e vagassero tra i vivi, terrorizzandoli», spiega la storica. L’arbor infelix era invece assimilabile alla più nota crocifissione: il condannato veniva legato a un tronco con una corda e lasciato al suo destino. Questa pena (come molte altre nel mondo antico) aveva inoltre caratteri sacrificali. Ai condannati veniva coperta 54

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Flagellata

Scena di flagellazione da un affresco di Pompei. Era una punizione riservata a servi e schiavi insubordinati (o agli amanti delle vestali). Sopra, La tortura di una vestale, di Henri-Pierre Danloux (1753-1809).

CORBIS VIA GETTY IMAGES

Le DONNE non erano processate in pubblico. E la condanna era eseguita dai familiari, tra le mura domestiche

DE AGOSTINI VIA GETTY IMAGES

ma intenzionati a evitare il disonore di un supplizio pubblico). «Quando un romano decideva di mettere fine ai suoi giorni, ricorreva in parecchi casi al laqueum, un laccio che, stretto al collo, toglieva il respiro in pochi secondi, risultando indolore», afferma l’esperta. «Peraltro per i Romani togliersi la vita non era un atto di codardia, ma un gesto di libertà». In tal senso, il suicidio più “onorevole” era considerato quello con la spada, l’arma virile per eccellenza. Tornando alle pene capitali, una delle più frequenti era la fustigazione, riservata sia agli amanti delle vestali, sia, in ambito domestico, agli schiavi insubordinati o ai figli che avessero tradito i princìpi della civitas (la cittadinanza): venivano uccisi a colpi di verghe. E rimanendo in tema di traditori, i colpevoli di crimini contro lo Stato (il reato si chiamava perduellio) incorrevano spesso nella securi percussio: la decapitazione con la scure, strumento storicamente associato al potere dei re di Roma. Seguito da un folto pubblico, il rito di morte era preceduto da una processione nota come “passeggiata ignominiosa”. «Con le mani legate, il condannato veniva fustigato, pungolato, insultato e preso a sassate», dice l’esperta. «Fino a quando, al suono di una tromba, la scure cadeva sul suo collo ponendo fine a ogni sofferenza».


la testa, proprio come avveniva quando si consacrava una vittima agli dèi. La crocifissione vera e propria, destinata soprattutto a schiavi e stranieri, implicava però uno specifico strumento, costituito da un’asse verticale detta stipes e da una orizzontale nota come patibulum, unita alla prima dopo che il condannato l’aveva faticosamente trasportata sulle proprie spalle. Come i Vangeli raccontano sia accaduto a Gesù. Non è però vero che i chiodi furono usati per Cristo in un eccesso di disprezzo e crudeltà: i resti di un condannato alla crocifissione, ritrovati presso Gerusalemme, hanno confermato che questa era la regola, non l’eccezione. Il malcapitato, appeso alla croce, veniva torturato con ferri roventi e colpito alle gambe fino a spezzargli le ossa. La morte sopraggiungeva per

Sconfitto

Un legionario romano di età imperiale con un prigioniero dacio. Spesso ai prigionieri veniva risparmiata la vita, per farli schiavi.

arresto cardiaco, blocco respiratorio o emorragia. A metà tra l’“albero infelice” e la croce si collocava la furca: a forma di Y, vi si poggiava il collo del condannato, che moriva per soffocamento.

AL ROGO. Molte esecuzioni capitali erano eventi pubblici altamente scenografici, come nel caso della damnatio ad bestias, o condanna alle belve, introdotta nel II secolo a.C. e riservata soprattutto agli schiavi. Per consentire lo svolgimento dello spettacolo mortale, i cui protagonisti erano leo­ni e tigri, furono costruiti gli anfiteatri. Un atroce impatto scenografico lo avevano anche le condanne al rogo, eseguite in particolare per i crimini religiosi e usate durante le persecuzioni dei cristiani (v. riquadro nelle pagine seguenti). Legati a un palo rivestito di legni ai quali si dava fuoco, era un supplizio capitale tra i più terribili. Per aumentare l’effetto dei roghi veniva fatta indossare la tunica molesta, una veste intrisa di pece e zolfo che contribuiva a far divampare le fiamme. Oltre ai cristiani, tra i destinatari della pena del rogo c’era chi dava fuoco ai campi coltivati: così, il condannato si trasformava in sacrificio umano alla dea della fertilità, Cerere. «Nel 390, l’imperatore Teodosio I (quello che rese il cristianesimo religione di Stato, ndr) stabilì che venissero arsi vivi tutti quelli che commettevano “l’infamia di condannare il corpo virile [...] a sopportare pratiche riservate all’altro sesso”», aggiunge Cantarella. «In altri termini, tutti gli omosessuali passivi». GIÙ DALLA RUPE. Preferibile al rogo era il destino che attendeva disertori e doppiogiochisti, condannati alla precipitazione, ovvero a essere gettati dall’alto della Rupe Tarpea. Si trattava di uno sperone di roccia del Campidoglio dove, secondo la leggenda, era morta una giovane (Tarpea) dopo essersi venduta ai Sabini. Tra le morti più appariscenti c’era infine la lapidazione, ossia il lancio di pietre contro il colpevole di turno. Era una pratica diffusa soprattutto in ambito privato: la usavano i parenti delle vittime di omicidio, autorizzati – secondo l’arcaica legge del taglione – a  uccidere l’assassino.

Tra mito e Storia

Il toro di Falaride (tiranno di Agrigento).

Anche i Greci non scherzavano

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ome a Roma, anche nell’antica Grecia erano in uso diversi tipi di pena capitale, alcuni dei quali adottati poi nell’Urbe.

CROCIFISSIONE GRECA Chiamata apotympanismos (“bastonatura”) prevedeva che il condannato fosse incatenato a un palo e percosso con bastoni per poi essere abbandonato a una lunga agonia in preda a fame, sete, intemperie e morsi degli animali. BARATHRON Il Barathron era una fossa profondissima situata secondo Platone lungo la strada tra Atene e l’Epiro. Qui venivano gettati i criminali condannati. CICUTA Dal kóneion, o pianta della cicuta, veniva estratto un potentissimo veleno che intorpidiva corpo e mente, poi bloccava il respiro. Tra le vittime celebri, Socrate. IMPALAMENTO A provocare la morte da impalamento era la lacerazione degli organi, ma se questi non venivano lesi immediatamente e in modo letale l’agonia poteva durare giorni. IMPICCAGIONE Riservata alle donne, ricalcava la punizione imposta da Ulisse (una volta tornato a Itaca) alle ancelle infedeli durante la sua assenza. Si moriva per asfissia. TORO DI FALARIDE Era una struttura in bronzo a forma di toro, cava all’interno e con una porticina per farvi entrare il condannato di turno. Il suo destino? Essere arrostito vivo, a causa del calore proveniente da un fuoco acceso sotto la pancia del finto animale. 55

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ALBUM / FINE ART IMAGES / MONDADORI PORTFOLIO

Mosaico romano di età imperiale, da El Djem (Tunisia), con una damnatio ad bestias, condanna pubblica che consisteva nell’essere divorati vivi dalle belve.

Qualsiasi patibolo in legno affisso nel terreno veniva genericamente chiamato CRUX, ovvero “croce” NEL SACCO. Dato il valore, per i Romani, dell’istituzione familiare, il reato peggiore era il parricidio. Il relativo supplizio era tra i più elaborati e crudeli: la pena del sacco (poena cullei). «Al parricida venivano fatti indossare degli zoccoli di legno e un cappuccio di pelle di lupo», riprende Cantarella. «Poi, dopo essere stato

percosso, il condannato veniva cucito dentro a un sacco con un cane, un gallo, una vipera e una scimmia, quindi gettato in mare o nel più vicino corso d’acqua». Si moriva per mancanza d’aria o per le ferite inferte dagli animali, la cui presenza aveva un valore simbolico: il cane godeva di pessima fama per la parentela con i lupi, il gallo

IL CATALOGO DEI SUPPLIZI

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DE AGOSTINI VIA GETTY IMAGES

Ad bestias!

era sinonimo di violenza, la scimmia era un “uomo mostruoso” e della vipera si diceva che i piccoli fossero soliti uccidere la madre. La pelle di lupo alludeva alla ferocia del parricida, mentre gli zoccoli erano legati alla credenza che il legno avesse la capacità di “isolare” gli influssi malefici del condannato. A finire trucidato e gettato in acqua (ma senza sacco), fu anche un imperatore: Aulo Vitellio, deposto con la forza da Vespasiano. Come narra Svetonio, fu trascinato nel Foro con una corda al collo mentre la folla “gli gettava addosso dello sterco e del

Le principali pene previste dal diritto romano

ALBERO INFELICE

CROCIFISSIONE

DAMNATIO AD BESTIAS

DECAPITAZIONE

FUSTIGAZIONE

CONDANNATI Colpevoli di delitti contro lo Stato.

CONDANNATI Schiavi ribelli e altri criminali.

CONDANNATI Schiavi ribelli e altri criminali.

CONDANNATI Colpevoli di delitti contro lo Stato.

ESECUZIONE Il condannato veniva legato a un albero, fustigato e abbandonato.

ESECUZIONE Il condannato era prima flagellato, poi appeso alla croce.

ESECUZIONE Divoramento da parte delle fiere (a volte legati sulle stesse).

ESECUZIONE Decapitazione con la scure.

CONDANNATI Schiavi insubordinati, amanti delle vestali.

MORTE Emorragie, infarto, soffocamento.

MORTE Soffocamento, emorragie, infarto.

MORTE Lesioni interne, emorragie, infarto.

MORTE Rapida, per mancato afflusso del sangue al cervello.

ESECUZIONE Il condannato veniva colpito con verghe. MORTE Lesioni interne, emorragia.


Pronti a morire

Il quadro L’ultima preghiera dei martiri cristiani, del pittore francese Jean-Léon Gérôme (1824-1904).

fango”, finché “scarnificato, fu ucciso e trascinato con l’uncino nel Tevere”. Scene da film horror, dunque. «Sarebbe però ingiustificato e anacronistico pensare che i Romani avessero una particolare tendenza alla crudeltà», avverte la storica. A riprova di ciò, il fatto che alcuni supplizi dell’antica Roma sono tuttora in auge in Paesi dove vige la pena capitale, mentre altrove ne sono stati escogitati di nuovi. In molti casi, oggi come ieri, è prevista la presenza di un piccolo pubblico in cerca di giustizia, di castigo o forse • soltanto di vendetta.

I cristiani nel mirino di Roma

“E

coloro che morivano furono pure scherniti: coperti di pelli di bestie perché morissero dilaniati dai cani oppure affissi alle croci e dati alle fiamme perché, caduto il giorno, bruciassero come fiaccole notturne”. Così Tacito, negli Annali, descrive la condanna “creativa” riservata da Nerone ai cristiani, durante una delle prime persecuzioni contro i seguaci del nuovo culto, seguita al grande incendio di Roma del 64 d.C. Sediziosi. A far finire i cristiani nel mirino della repressione furono le accuse di sedizione e la confusione tra i seguaci di Gesù e quelli di altre sette (in particolare gli Zeloti). Ma fu soltanto quando il

loro numero crebbe tra gli aristocratici, minando l’antico legame tra paganesimo e organizzazione statale, che i cristiani divennero nemici di Roma, oltre che un perfetto capro espiatorio in tempi di crisi. Molti subirono la condanna ad bestias: i Romani non erano tipi da guerre di religione, ma non offrire sacrifici agli dèi o all’Augusto equivaleva a un tradimento. Emanarono leggi ad hoc Decio e Valeriano (III secolo), ma l’ultima grande ondata di persecuzioni fu ordinata da Diocleziano e Galerio, all’inizio del IV secolo. Poi, nel 313, Costantino I “depenalizzò” quel culto ormai parte della società romana.

e dalla tradizione, e le colpe alle quali erano associate. LAPIDAZIONE

ROGO

SEPOLTURA DA VIVI

RUPE TARPEA

PENA DEL SACCO

CONDANNATI Disertori e omicidi.

CONDANNATI Rei di crimini religiosi, incendiari, omosessuali passivi.

CONDANNATI Vestali infedeli, donne adultere o che si dedicavano al vino.

CONDANNATI Traditori della patria.

CONDANNATI Parricidi.

ESECUZIONE Legato a un palo e arso vivo.

ESECUZIONE Rinchiusa per sempre in una camera.

ESECUZIONE Lancio di pietre contro il condannato. MORTE Emorragia, traumi, lesione degli organi.

MORTE Soffocamento, ustioni, infarto.

MORTE Per fame e inedia.

ESECUZIONE Condannato a essere gettato vivo da un dirupo. MORTE Lesioni interne, traumi alla spina dorsale.

ESECUZIONE Lanciato in acqua in un sacco con 4 animali: cane, gallo, scimmia e vipera. MORTE Ferite e annegamento.

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