Verso il 2010
Con Astarea alla scoperta di un nuovo anno.
Tanti cari auguri di Buon Natale 2009 e Buon Anno 2010.
In copertina il simbolo della divinità fenicia Chusor, il dio fabbro e artigiano. Questa figura è espressione essenziale del mondo fenicio, popolo di abili commercianti ma ancor più di sofisticati produttori. Erano specializzati nei manufatti in vetro, rame e porpora, estratta dalle conchiglie delle murici. Erano alla costante ricerca di oro, argento, stagno, per piegarli alla loro arte orafa. Erano artigiani abili nella lavorazione del legno, delle stoffe, dell’avorio, del bronzo. Erano esperti nel dare valore alla materia, trasformandola in oggetti pregiati.
Ripartire dall’Essenziale. Orientarsi tra i segni.
Scarsi di risorse naturali, attraversavano i mari per procurarsi materia prima atta a forgiare oggetti conosciuti ovunque per le loro qualità, pratiche ed estetiche. Per navigare, usavano una imbarcazione molto semplice, snella ed agile, e avevano inventato la chiglia per una maggiore sicurezza. Mercanti puri, in giro per il Mediterraneo ed oltre, scambiavano merci in maniera silenziosa e leggera, con poche mosse eloquenti, in attesa che l’acquirente rispondesse alle loro richieste. L’invenzione di una scrittura semplice, agile e snella come le loro barche era diventata strumento necessario ad un popolo di individui che avevano bisogno di rendersi autonomi per svolgere al meglio le loro attività. Chusor è, tra le divinità fenice legate ad attività umane, quella che simboleggia la produzione e la trasformazione: inventore e lavoratore del ferro, è l’emblema del legame tra qualità e funzione – e per questo espressione significativa di un popolo che ha generato ricchezza attraverso modalità del fare semplici ma raffinate –. Per questo, per il 2010, nel corso di tempi ancora incerti, Chusor è stato scelto come simbolo di positività fattiva per continuare la tradizione beneaugurale di Astarea.
Laura Cantoni Giorgio Villa
Ripartire dall’ Essenziale. Orientarsi tra i segni.
Introduzione Acquisti Essenziali... Lifestyle Essenziali... Estetiche Essenziali...
A
nche quest’anno intendiamo offrire ai nostri amici un piccolo pensiero augurale, frutto delle nostre osservazioni sul cambiamento socio-culturale e sulle ricadute nel mondo dei consumi. Ci siamo soffermati sull’Essenziale come tendenza. Etimologicamente, dice il vocabolario, “essenziale” costituisce l’essenza, si riferisce all’essenza di qualche cosa: gli elementi essenziali di un ragionamento; un requisito, una condizione essenziale. Per estensione, essenziale è il necessario, l’utile, l’opportuno, l’indispensabile. La crisi ci ha abituato a pensare e a comportarci seguendo queste idee regolative. Certamente attraverso -più o meno sapienti- strategie di riduzione delle spese, con la ridefinizione dell’idea di bene necessario. Ma la tendenza al risparmio è solo un’espressione di tensioni più profonde, e cioè cambiamenti nelle “posture” di acquisto e di consumo che hanno trovato nella recessione di questi tempi un percorso quasi obbligatorio. Il sentiero però era già segnato dalle meno eclatanti fratture degli ordini economici e sociali dell’ultimo decennio: con la revisione dei modelli aspirazionali propri agli ultimi anni del XX secolo; con la ridefinizione delle modalità di gratificazione individuale e di improvement del self; con l’impatto sempre più radente delle nuove tecnologie; con le preoccupazioni per la salvaguardia del pianeta. L’Essenziale, in quest’ottica non economicistica, assume un significato meno riduttivo. Da approccio survivalist alla crisi attuale diventa un atteggiamento probabilmente di lungo periodo; da modalità saving delle risorse si trasforma in arricchimento delle possibilità;
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L’Essenziale
da espressione dei limiti individuali in veicolo di cambiamenti nelle modalità collettive del vivere, del produrre, dell’abitare, del consumare. Per questo, L’Essenziale non può essere considerato un elemento di contingenza, né tanto meno un vincolo penalizzante per l’economia ed in particolare per il marketing delle imprese. In questo concetto navigano una pluralità di stimoli e di opportunità che senza voler essere totalizzanti, né esaustivi, possono fornire nuovi spunti, offerte e modelli di business, per ripartire.
C
i piace quindi cercare dentro l’idea dell’essenziale, oltre le implicazioni della stretta economica così come è stata ed è vissuta da un mondo occidentale comunque refrattario alla rinuncia. In questo contesto, essenzialità significa rimandare a tempi migliori alcuni consumi, la ricerca del low-cost e l’acquisto intelligente, la valorizzazione del rapporto qualità-prezzo, ma anche il rifiuto di privarsi della “qualità”, ora intesa come valore privo di over-cost ormai poco investiti sul piano non solo economico, ma anche culturale e simbolico. In realtà l’Essenziale nasce con e nella razionalizzazione critica a fronte delle problematiche economiche (o del sentiment negativo sul futuro), ma si esprime anche nella richiesta della massima qualità in prodotti marcati dalla rarità e dalla raffinatezza tecnologica; si insinua nelle modalità di gratificazione e di indulgence generando una nuova idea di comfort e di lusso, per certi aspetti frugalista, ma senza declinazioni nostalgiche ed anzi focalizzata sulla espressività di un self creativo e poliedrico; valorizza il local e soprattutto la cultura del territorio; nutre il bisogno di concretezza e di valori solidi (famiglia, tradizione, natura); guida la riconciliazione tra la sensibilità economica e quella sociale. Ed ancora, l’Essenziale qualifica i codici visivi, formali, materici degli oggetti e degli ambienti che, a partire dal principio della riduzione, riformulano il minimalismo freddo degli anni passati in sapienti sintesi di semplicità, funzionalità, tecnologia evoluta, human-touch.
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Acquisti essenziali
L’
estremo essenzialista del consumo risiede nel “costnothing”: l’abbassamento delle soglie di prezzo è esplosa in questa recessione, ma risale già a parecchi anni orsono e tenderà a consolidarsi. La cultura del cosiddetto “Freesumerism” si concretizza in diverse tipologie di consumo: dai media (Free-Press), ai servizi gratuiti di download dal web o dai cellulari, allo sviluppo dei mercati della moda supereconomici, ai voli prezzo quasi zero, allo scambio tra prodotti delle aziende ed informazioni da parte dei consumatori. Il trend, da tattica di marketing sta diventando un effettivo business model, rafforzato dal decrescente costo delle tecnologie, dal potere del net, nonché dalle ormai crescenti aspettative dei consumatori nella direzione del BOGOF (Buy One &Get One Free), come sostiene David Shaw di View. Il che comporterà uno slittamento nella valorizzazione dei prodotti verso offerte effettivamente premium, personalizzate, a forte connotazione emozionale ed esperienziale, che le imprese dovranno ingaggiarsi ad offrire in modalità sempre più creative ed effettivamente mirate. La deriva essenzialista, al di là del no-cost, ingloba comunque la più generale razionalizzazione dei processi di acquisto a scapito della indifferenza al prezzo nella assai superata equazione high-price/high quality. Paradossalmente, il superfluo non viene escluso ma risemantizzato in una più oculata gerarchia di acquisto che “punta” alla massimizzazione del beneficio. L’attenzione all’ambiente entra a fare parte integrante di questo schema: più raramente come motivazione ideologica, per lo meno in Italia, con sempre più forza come fattore di saving, sia per risparmio nel prezzo, sia
per economie di costo, di spazio, di tempo. La riduzione del packaging, l’offerta di prodotto sfuso, i prodotti multifunzionali e all in one, ma anche i nuovi negozi anti-recessione con offerte mixate e mirate a esigenze primarie (dal riparare una bicicletta alla consulenza finanziaria), il ripristino delle micro sartorie urbane a supporto del riciclo, rientrano felicemente in questa logica. L’essenzialità integrante di benefit diversi non riguarda solo le commodities: nell’housing si moltiplicano i progetti di case prefabbricate, economiche ed eco-compatibili, o complementi di arredo ad alto risparmio energetico e salva spazio – ad esempio i bagni Roca, che saldano in un unico corpo lavandino e toilet sfruttando, per questo, l’acqua utilizzata in quell’altro. – E, a proposito di acqua, stavolta bevibile, un’eloquente iniziativa a livello amministrativo: entro pochi anni la nuova società municipalizzata per la rete idrica di Parigi fornirà ai cittadini un servizio di acqua corrente dal rubinetto, ma gasata – massima essenzialità “sostenibile” del canale e qualità gratificante nel contenuto –. I consumi alto di gamma si svestono di orpelli puntando all’essenziale, che significa in questo caso qualità superiore con connotazioni non convenzionali, eccezionali, fuori dall’ordinario, arricchite da valori di fungibilità e accessibilità. Emblematica la ristorazione, con la moltiplicazione dei ristoranti “No Frills”, né sinonimo di low-cost né di rinuncia alla ricercatezza gastronomica, ma più semplicemente “luoghi del gusto”, a volte spazi mobili, mutanti, ma dove l’esperienza emozionale trova il suo punto essenziale nell’esaltazione dei sapori. E’ il caso del Dessert Truck di Jerome Chang, che si muove up&down Manhattan offendo ai clienti dessert a 5 stelle da gustare on the road o da portare nel proprio salotto; o di “Skittle-evolved cuisine”, altra cucina itinerante dedicata agli appassionati del cibo stagionale e locale; o del De Kas di
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LifeStyle essenziali
Amsterdam, ristorante nato in una serra del 1926 destinata alla demolizione, che utilizza ingredienti semplicissimi ma di grande valore. Nell’industria della bellezza si punta alla purezza, anche qui con l’utilizzo di prodotti essenziali e purissimi basati su formule arcaiche, come le ricette degli sciamani del Sud America, o l’acqua sacra di Kirishima di origine vulcanica e conosciuta in Giappone dal 1600; ed ormai, l’essenzialità del “bio” si può trovare nella offerta dei profumi. Anche nella vita quotidiana serpeggiano esempi di alleggerimento dei consumi in funzione del mix risparmio/compatibilità ambientale, in cui si inseriscono culture di tipo naturalistico. Esempio eclatante, i prodotti per l’infanzia, tra cui spicca il rifiuto (ancora molto limitato ma significativo) del pannolino. Gli esperimenti in atto anche in Italia ci parlano di un trade-off positivo tra risparmio per la famiglia, diminuizione dei rifiuti domestici, e (l’inevitabile) tempo impiegato nel lavaggio del cotone. Ma questo si inserisce in comportamenti “essenzialisti” più generali sull’infanzia: dalla abolizione del ciuccio, alla riedizione del parto in casa, all’allattamento prolungato. Non si impensieriscano, comunque le imprese che si occupano dell’infanzia: mai come oggi il baby factor comporta crescenti investimenti delle famiglie, che tanto più intensi saranno, quanto più potranno soddisfare nuovi bisogni con soluzioni razionali senza sprechi.
I
n questo periodo di recessione economica si è sedimentata un’attitudine con cui coabitiamo da decenni, per caso o per necessità: la convivenza degli opposti, high & low,in cui prevale il gusto della mescolanza. Qui ora la ricerca dell’essenziale significa rafforzare i fattori di originalità che sottolineano la personalità di un prodotto o di un progetto: in cui assume un ruolo importante la ripresa delle abilità manuali in modo estensivo, come espressione di una cultura metropolitana che interpreta la penuria in maniera creativa e sostenibile, integrando elementi della tradizione o dell’ambiente naturale/rurale per arricchirne i contenuti. Per Li Edelkort, nel design e nella moda l’handcraft è addirittura il “più grande cambiamento degli ultimi anni”: i ricami, le rifiniture artistiche, tessuti e trame preziose. In Italia, alla XX Biennale dell’artigianato sardo, 32 designer a livello internazionale collaborano con 60 laboratori artigiani dell’isola per la reinterpretazione dello spazio domestico tradizionale secondo nuove modalità di confezionare il fatto a mano: materiali come corallo, ceramica, sughero, giunco, asfodelo, per oggetti dal linguaggio cosmopolita. L’impronta creativa del singolo definisce in modo nuovo il concetto di mescolanza, in cui l’abilità ed il piacere consistono nel combinare e selezionare in base ai gusti personali. Un esempio: Marteen Baas, designer emergente, parla del suo concetto di casa come di “armonia casuale” : le modalità di arredo sono equiparate alle proprie modalità di preparazione del cibo, con la combinazione di elementi diversi che alla fine regalano un effetto che “sa di buono”. Nel beauty, ma anche in altre merceologie, il desiderio di mix mediato dalla soggettività individuale si esprime nell’interesse dimostrato all’offerta di range tendenti all’in-
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finito, capaci di sintetizzare componenti ludiche e funzionali – come le 250 nuances della nuova gamma trucco di Fred Farrugia organizzate in un packaging less, modulare, maneggevole, funzionale, semplice nella realizzazione pur nella ricchezza del concept che lo informa – . Questo rinnovato senso della identità personale – non diretta da modelli “altri”, sempre comunque praticata con l’adesione al consumo, purchè filtrato e ricomposto secondo il senso del proprio self e delle nuove compatibilità – trova riscontro sociale nella riscoperta del valore del territorio. Il contatto e la riscoperta del territorio riguarda sempre più le abitudini di vita quotidiane, i progetti metropolitani, sociali, familiari. Rispecchia esigenze di prossimità, socializzazione solidale, economizzazione delle risorse comuni, recupero del rapporto con la terra, i ritmi della natura, i sapori originari – essenziali. Si parla molto di “città rurale”: idea base, il riavvicinamento dei due contesti, città e campagna. Da un lato, con la rivitalizzazione delle campagne che grazie alle possibilità di interconnessione tecnologica, nonché all’utilizzo di energie ecocompatibili, si renderanno sempre più appetibili per transfughi urbani (li chiamano rural chic); dall’altra, con il recupero dell’“anima verde” nelle metropoli: ripristino di zone abbandonate, salvaguardia di terreni agricoli suburbani e dentro la città; crescita di una nuova agricoltura domestica urbana che utilizza il “fai da te” supportato da strumenti e tecniche innovative. Sempre inseguendo il filone del “vicino”, nella vita di tutti i giorni avanza la filosofia “small”. In senso funzionale, affettivo, simbolico, significa offrire nuovi significati agli oggetti quotidiani, valorizzare le attività semplici, scoprire il “picco-
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lo”, e le micro-emozioni che sollecita. Il design contemporaneo si applica con sempre maggiore dedizione agli oggetti di uso quotidiano, premiando la semplicità, l’accessibilità, la modularità, la capacità di spiegare la loro funzione in maniera intuitiva, ovviamente l’ergonomia e la sostenibilità nella scelta dei materiali, delle forme, dei colori: il negozio di Jasper Morrison seleziona per lo più prodotti semplici e anonimi ma utili e funzionale, destinati a durare nel tempo; nei “Piatti ritratti”, Bob Noto, riempie la sua arte astratta con la sostanza di materie prime raffigurate in modo realistico e senza artifici, in una visione naturalistica in contrasto con il food design di qualche anno fa; e anche il Reader’s Choice Award di Wallpaper premia quest’anno solo oggetti pratici, funzionali, ma eleganti. Probabilmente si tratta di una tendenza di lungo periodo, che vedrà ingaggiati i designer nella soluzione delle microesigenze della vita quotidiana. Non solo i designer, a dir la verità, si occupano dello “small”, ma anche le Amministrazioni Pubbliche: a Chiaverano, un paese del Piemonte è stato recentemente istituito un Assessorato alle “piccole cose”: servizio sempre aperto al pubblico per risolvere i problemi quotidiani dei cittadini. Dopo un primo momento di sconcerto per la funzione considerata un po’ riduttiva, ora l’Amministratore in carica appare abbastanza compiaciuto dal successo della iniziativa: sommerso dalle richieste.
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Estetiche essenziali
È
l’estetica del meno, della sottrazione, della riduzione, della pulizia formale. La ricerca di codici alleggeriti pervade molti settori merceologici, nella struttura dei prodotti e nei linguaggi comunicativi, anche se a volte mascherata da una ricchezza espressiva che altro non è se non l’incrocio tra geometrie variabili. I codici del less sono i volumi ben definiti, l’assenza di discontinuità nelle superfici, la riduzione degli eccessi decorativi, i materiali iper-performanti e flessibili, ricchi come il Corian o il vetroresina, poveri come la carta ed il cartone. Si tratta di una essenzialità parlante e significativa, non formalista e glaciale, che tiene conto di bisogni e desideri diffusi ed integra il concetto di armonia con la persona e l’ambiente circostante. Per la haute couture del prossimo anno circolano parole d’ordine come “look quieto” e “understated”, la valorizzazione dei capi per tutti i giorni; la sobrietà alla portata di molti; l’equilibrio nella simmetria, precisione dei tagli, o, a bilanciamento, un’assenza totale di struttura che consente al corpo la libertà di disegnare forme sciolte; la sartorialità come richiesta di un abbigliamento elegante, pulito, ben fatto. I colori sono l’assenza di colore, le nuance, i pastelli smorzati, gli scuri che si sublimano prendendo come spunto le palette degli artisti. Ma soprattutto il recupero della classicità sembra una delle declinazione più significative dell’estetica essenziale. Se ne fa espressione la Maison Gucci, che si distanzia dalle espressioni di ostentazione per reinterpretare gli anni 70’, quelli della crisi del petrolio, che hanno generato canoni vestimentali all’insegna della linearità e per questo sempreverdi. Ed al tempo la stessa casa sviluppa, nella nuova boutique allo Shangai International Shopping Center, una nuova estetica architetto-
nica basata sull’illuminazione naturale, l’uso di strutture ed elementi lineari, di materiali naturali e classici, come marmo e vetro, che crea un effetto di minimalismo in nuova versione per il gioco di contrasti. Sulla stessa lunghezza d’onda sembrano le release di nuovi profumi che si focalizzano sul concetto di “tempo” come massima espressione del lusso essenziale: Scent One: Hinoki, rimanda all’armonia tra tempo e natura tipica dei giardini orientali; “l’Essenza del tempo” di Trussardi, inclina alla “slow fragrance” concentrata in una bottiglia linear-concettuale. Nella molteplicità delle espressioni del nuovo minimalismo, colpiscono alcuni oggetti molto particolari: come l’orologio digitale di Vadim Kirbadim, costruito con solo quattro cifre appoggiate al muro, che si autoalimenta con la scansione delle ore e muta il colore dei numeri in funzione della luce esterna; o gli arredi rigorosamente in cartone per inventarsi mobili che si montano, si smontano e si stoccano in microspazi, per case nomadi e trasformiste. Al polo opposto dell’offerta, quella mass market, l’essenzialità “sostanziale” interviene nelle funzioni dei prodotti e nel loro packaging. Negli USA già da qualche anno sta galoppando il trend della semplificazione negli ingredienti e nelle etichette dei cibi (2005-2008: l’uso della parola “semplice” aumenta del 64.7%). Ma la semplificazione acquista valore soprattutto all’insegna della praticità, che significa facilità nell’uso, fungibilità, trasportabilità, conservazione, e che sempre di più dovrà esprimersi ed essere comunicata attraverso le diverse componenti della confezione. Ne sono un esempio recente i farmaci di Help Remedies, con un packaging appunto
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essenziale in quanto focalizzato sulla semplificazione del layout, e sull’evidenza delle applicazioni, l’utilizzo di materiali bio-degradabili. Ed invece su fronti ancora poco evidenti, con manifestazioni striscianti, il codice che forse più ci intriga sul quadrante della essenzialità: il “raw”, l’organico, la crudezza di materiali imperfetti e puliti, combinati con tecnologie sofisticate e performanti. Per noi, ben chiude questi pensieri, come estrema sintesi delle estetiche essenziali, che oggi combinano elementi strutturalmente diversi tra di loro ma rispondenti alla stessa logica: l’uso della pietra grezza o del legno in oggetti e costruzioni tecnicamente molto evoluti, i supporti “touch” senza sistemi di regolazione evidenti, - superfici materiche “pure” animate da superfunzioni - , tessuti naturali come lino o cotone mischiati con materiali bioplastici o sintetici rigenerati, chimica eco-friendly al servizio della espressività immaginativa, del comfort, della sostenibilità: una fonte inesauribile di innovazione per riportare benessere nella vita quotidiana. Ripartire dalla essenzialità.
Astarea srl via Col Moschin 10 20136 Milano t. +39 02 89423927 f. +39 02 83390294 www.astarea.it infoastarea@astarea.it