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Con Astarea alla scoperta di un nuovo anno.

Tanti cari auguri di Buon Natale 2010 e Buon Anno 2011.

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“....Il battello attracca nel porticciolo di Arwad, modeste case di pescatori si affacciano sulla darsena, un intrico di strette viuzze permeate dei profumi tipici dei porti d’oriente e, più in fondo, nella piana boscosa pascola un branco di candidi orici e si intravede quel che rimane delle mura che proteggevano la città; isolati anche i resti di un castello crociato, oggi sede del piccolo museo locale. Arwad, unica isola della Siria, deriva il suo nome dal termine fenicio che significa “rifugio”. Fondata dai Fenici intorno alla metà del III millennio a.C. e costruita secondo un preciso progetto architettonico, come testimoniano le dettagliate descrizioni di Strabone dei suoi “alti Palazzi”, è stata caratterizzata nel tempo da eventi straordinari che ne hanno segnato la storia: nel suo ruolo di “fortezza naturale”, diviene uno strategico centro commerciale in grado di esercitare il controllo sui vasti territori della fertile regione circostante, fino al 333 a.C. quando, con la conquista di Alessandro Magno di tutto l’Oriente, inizia la sua decadenza, causa lo spostamento delle vie del commercio e la costruzione di numerosi porti artificiali alternativi. Ora non è visibile quasi nulla dei monumenti che hanno caratterizzato la storia di Arwad nel corso dei secoli, come il santuario di Zeus di età romana o i luoghi di culto di dei Fenici: Melqart, Eshmun e Astarte (Astarea per i romani). Chiudo gli occhi, inspiro il profumo delle ginestre, e d’incanto... il porto si popola di marinai fenici e commercianti di rossa porpora, la porta del tempio di Astarte appare nella sua maestosa imponenza, le colonne del colore dell’ambra si stagliano nel cielo di Siria e, in fondo, la cella sacra. È bastato un piccolo altare votivo in un angolo del museo per far rivivere tutta l’antica grandezza di questa potente città. Resti che tuttavia reclamano ancora la presenza della loro regina: imponenti e orgogliosi non si arrendono al tempo proprio come Astarte... In copertina la stilizzazione di un’ara votiva ad Astarte, dea protettrice della città di Arwad


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Costruire sull’identità . Orientarsi tra i segni.

Laura Cantoni Giorgio Villa

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Introduzione Logopolis: Heritage... Logopolis: Contemporaneità... Logopolis: Progetto...

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nche quest’anno intendiamo offrire ai nostri amici un piccolo pensiero augurale, frutto delle nostre osservazioni sul cambiamento socio-culturale e sulle sue ricadute nel mondo dei consumi. Ci siamo soffermati sulla trasformazione che stanno affrontando alcune città nel mondo. È ben conosciuto il processo di urbanizzazione nel pianeta: per la prima volta nella storia, metà della popolazione globale risiede nelle città; entro il 2050, le persone che abiteranno in aree urbane saranno 7 su 10.

La gravitazione verso i nuclei urbani che a livello macro riguarda soprattutto i vasti flussi migratori verso le megalopoli dei paesi emergenti, pare interessare in modo specifico le città medio-piccole che, per caratteristiche proprie, ubicazione, fattibilità dei piani strategici, distribuzione sul territorio, si propongono come alternativa quanto ad opportunità professionali e qualità della vita. Il fulcro della nostra osservazione consiste però nella particolare cifra assunta da alcune città nei loro processi di trasformazione: stanno lavorando in chiave di Branding. L’idea della Logopolis bene trasferisce, a nostro parere, il concetto: città che crescono come se fossero marche. Questa lettura, atipica nel parlare dello sviluppo urbano, si fonda sul parallelismo tra gli indirizzi evolutivi delle città e i comportamenti delle imprese marketing oriented. Il nucleo dell’affinità consiste nella messa in opera di posizionamenti distintivi, che consentono riconoscibilità e desiderabilità – un lavoro che integra risorse economiche, intelligenza strategica, sguardo prospettico e sensibilità alle esigenze espresse dalla popolazione –.


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In questa integrazione cambiano di volta in volta i pesi del rapporto tra pianificazione e crescita organica, cioè tra scelte di sistema e l’intento di assecondare la crescita fisiologica attraverso un controllo debole da parte della Pubblica Amministrazione. Così come, nel marketing più evoluto, sempre di più si tende a connettere le esigenze della strategia con l’attenzione alle tensioni spontanee circolanti nel sociale e nel locale. Studiando questi casi, viene quindi spontanea una lettura ispirata ai criteri interpretativi che utilizziamo nel nostro lavoro quotidiano di ricerca e consulenza di marketing, quali elementi chiave di rafforzamento della marca: l’ancoraggio alla Heritage e l’aggancio alla Contemporaneità.


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L’ancoraggio alla Heritage

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gni marca possiede elementi identitari storicamente fondati, e questo vale non solo per le grandi marche industriali e internazionali, ma anche per le imprese medio-piccole che costituiscono l’ossatura di molte economie locali e sicuramente della struttura produttiva italiana nel suo complesso.

L’ Heritage della marca sono le sue componenti fondative tangibili e intangibili, quelle che ne hanno permesso la nascita, ne hanno informato la crescita, anche se sono rimaste sovente sottotraccia. Il criterio dell’Heritage è tenuto in ampia considerazione nello sviluppo delle città Branding. Diversamente rispetto a molte megalopoli che hanno tentato scarti rispetto alla tradizione lavorando per accumulo di elementi totalmente nuovi soprattutto sul piano architettonico, queste città medie hanno lavorato per coordinazione, ridefinendo il loro assetto su elementi costitutivi dell’identità originaria: tener conto delle radici risulta funzionale a capitalizzare competenze e risorse, garantendo la possibilità di riconoscersi nel nuovo. L’Heritage della città ha quindi costituito il nucleo portante, poi declinato su altri fattori, e cioè quelli della Contemporaneità.


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L’aggancio alla Contemporaneità

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Heritage delle città Branding scivola sui valori della Contemporaneità che consentono di costruire progetti concreti in risposta ai nuovi bisogni della comunità, ai fattori dello sviluppo economico, all’esigenza della città di porsi come polo di attrazione per i diversi interlocutori nazionali e internazionali (dalle comunità scientifiche alle istituzioni politiche, economiche e sociali). L’aggancio alla Contemporaneità funge da deterrente alla fissazione sulla “urbanizzazione della memoria” e quindi consente l’apertura nei confronti di nuove estetiche, esigenze di funzionalità, relazioni tra i soggetti pubblici e privati.

L’aggancio alla Contemporaneità offre gli stimoli-chiave per definire territori di sviluppo innovativi nel disegno architettonico, nella ri-definizione degli spazi, nella allocazione delle attività, nella organizzazione delle infrastrutture. L’aggancio alla Contemporaneità fornisce anche le coordinate in cui inscrivere questi territori, come ad esempio la conciliazione tra produzione di ricchezza e qualità della vita; la creazione di reti di sistema atte a convogliare i saperi di attori diversi su scopi comuni; l’applicazione delle tecnologie in funzione di obiettivi strategici; l’interazione tra i cittadini, le loro rappresentanze, l’Amministrazione locale, il Governo centrale e quello plurinazionale.


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La via al Progetto

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ncoraggio all’Heritage e aggancio alla Contemporaneità consentono a queste città di identificare posizionamenti rilevanti e distintivi. Parliamo ad esempio di sostenibilità, di cultura, di connettività, di ricerca, di tecnologie, di qualità della vita, di integrazione sociale eccetera.

Le città trovano quindi aree di significazione caratterizzanti che tendono a permearne lo sviluppo nella sua complessità. Beninteso, non si tratta di un impegno univoco su un unico asset. Il pensiero strategico applicato ad un agglomerato urbano che si considera evoluto lavora ormai trasversalmente su più fronti: l’architettura, gli spazi per la socialità, la viabilità, le strutture per l’educazione/l’istruzione, i quartieri, le politiche energetiche – giusto per citare alcuni fattori ricorrenti –. La specificità di queste città, che hanno sollecitato la nostra attenzione, è l’avere assunto un terreno di lavoro prioritario, sul quale sono state declinate le altre diverse istanze della ridefinizione del territorio e delle attività urbane. E l’interesse di questa operazione consiste proprio nella capacità di non dimenticare ed anzi di valorizzare i “fondamenti” della identità cittadina, per traghettarli su fronti innovativi e per molti aspetti inediti.


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Freiburg in Breisgau: la città solare

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l confine tra Francia e Svizzera, Freiburg è una tranquilla cittadina di oltre duecentomila abitanti ai margini della Foresta Nera, immersa nel verde e circondata di montagne, sede di una università antica e meta di una vivace popolazione giovanile. Freiburg vive da sempre un atteggiamento protettivo nei confronti della natura, che è il suo Heritage forse più profondo.

Negli anni ’70 la prospettiva della costruzione di una centrale nucleare genera un movimento di opinione trasversale ai diversi ceti economici e sociali, che si traduce nel rifiuto, condiviso ed interiorizzato sia dai cittadini che dall’Amministrazione locale. L’Heritage naturalistico interpreta quindi una contingenza contemporanea e suggerisce una scelta strategica di sostenibilità ambientale che oggi è diventata il posizionamento competitivo della città. Pilastri della politica cittadina, il risparmio energetico e l’attenzione alle energie di fonte rinnovabile nel ferreo rispetto del protocollo di Kyoto, a cominciare dal risanamento del centro storico e la costruzione di quartieri modello come Vauban e Riesenfeld. La scelta della sostenibilità diventa un asset distintivo che permea le scelte economiche, architettoniche, infrastrutturali, sociali, culturali: alla base, l’utilizzo e la produzione di un ampio spettro di energie (biomasse, eolica, idroelettrica e, soprattutto, solare) guidati da centri di progettazione e da istituti di ricerca specializzati. Di qui: le “case passive”, edifici che grazie ad adeguate tecnologie costruttive (pannelli fotovoltaici, per il solare ter-


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mico, etc...), riescono a produrre una quantità di energia superiore a quella utilizzata; lo stadio “solare”, primo impianto di questo genere in Germania, dotato di pannelli fotovoltaici che permettono un risparmio di tonnellate di biossido di carbonio; la “Solar Fabrik”, costruita rispettando rigorosamente i principi della bio-climatica; mobilità integrata (500 km di piste ciclabili, 2.000 km di tram e a Vauban 60 auto ogni 1000 abitanti). E tutto questo ha generato anche un mercato turistico green – dagli hotel ecologici, ai Solartur, percorsi didattici e formativi a tema organizzati da Aiforia, l’agenzia per lo sviluppo sostenibile di Freiburg –. Giustamente si parla di sistema friburghese: una città-marca capace di unificare la gamma dei suoi prodotti, i diversi ambiti della struttura urbana, all’insegna della protezione ambientale. I prodotti/ambiti a loro volta rafforzano il sistema-marca grazie alla produzione di valore guidata da una forte Vision.


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Lille métropole: la piazza glocale

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iù che una città, Lille métropole è un vasto tessuto urbano che si estende anche oltre il vicino confine belga, a forte carattere policentrico, protagonista di un esemplare sviluppo pianificato e sostenuto dalle Istituzioni francesi e dall’Unione Europea ma, soprattutto, ampiamente condiviso dalla comunità dei cittadini.

Quest’area nasce strategica per la sua collocazione di confine e per la presenza di risorse minerarie; lo sviluppo del settore tessile ne consente la vigorosa industrializzazione nell’800, rendendola punto di richiamo dei ceti operai da tutta Europa. La combinazione delle tradizioni, fiamminga e francese, rafforza la sua vocazione di città aperta ma anche ancorata al patrimonio culturale locale. Pure in questo caso, da metà degli anni ’60 la crisi del tessile, settore chiave della regione, unita alla successiva crisi petrolifera sanciscono il declino economico della regione e della città. Ma alla fine degli anni ’80 si avvia una decisa riconversione, basata da un lato su corposi investimenti e progetti istituzionali, dall’altro sulla forte delega dell’Amministrazione centrale a quella locale, e dall’altro ancora sulle strategie di cooperazione transfrontaliera tra i comuni limitrofi gravitanti nell’area. Nel contesto delle politiche europee, ed in particolare dalla cooperazione tra Francia, Belgio, Olanda e Germania, Lille viene valorizzata dallo sviluppo di infrastrutture come il TGV che unisce Parigi alla Renania, dall’apertura nel ’94 della stazione Lille Europe e del terminal Eurotunnel; dal finanziamento congiunto della Municipalità, Stato francese, Re-


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gno Unito, del centro di affari internazionali Euralille; dall’inserimento di alcuni quartieri nell’ambito del programma di riqualificazione urbana creativa e partecipativa Urban 1. Al tempo stesso vengono avviati poderosi progetti focalizzati sulla transizione ai servizi e all’economia della conoscenza. Alcuni esempi: il centro Eurosantè, finalizzato alla biologia e alla sanità, che integra università, ospedali, scuole ed imprese specializzate; il Site de l’Union, che si impegna a rinverdire la sua vocazione industriale come polo tessile integrando le imprese manifatturiere e artigianali con quelle del terziario – grafica ed imaging in primo luogo –, e in particolare Le Fresnoy, polo per la formazione artistica ed audiovisiva. L’attribuzione nel 2004 del titolo di Capitale Europea della cultura non solo a Lille ma a tutto il distretto, ha sancito il riconoscimento ad una particolare “via” alla ricostruzione urbana e territoriale: valorizzazione della connettività per stimolare lo scambio e la rielaborazione culturale attraverso un modello di sviluppo supportato a livello globale (Amministrazione centrale, Ue), ma fortemente partecipato e gestito a livello locale.


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Liverpool: il palcoscenico urbano

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na città con un’antica vocazione commerciale, il più grande porto dell’occidente nel trasporto dei passeggeri e delle merci con New York e gli altri porti del Nord America. Nel dopoguerra subisce decenni di declino, punita dall’arrivo dei container che dirotta le navi su altri porti come Rotterdam ed Amburgo e, come e più di altre città del Paese, dalla subalternità alla potente egemonia londinese. Ciò nonostante, a partire dalla seconda metà degli anni ’90, la città si rilancia con uno scatto che punta sul mix di arte ed architettura contemporanea, sapientemente inserite nell’Heritage della tradizione portuale unita al prestigio dei suoi palazzi edoardiani: si posiziona come un polo attrattivo di terziario e cultura, strategicamente orientato a ristrutturare il centro storico e a riqualificare le periferie.

La città lavora alacremente sulla produzione culturale con istituzioni come la Fact (Foundation of Art and Creative Technology), e la Tate Liverpool; con la musica e lo sport che trovano sedi ardite nella Liverpool Eco Arena e nel BT convention Centre dall’ avveniristico design a forma di granchio-nave; con la Biennale, uno dei più importanti festival di arti visive che proprio nella edizione 2010 ha proposto oltre cento opere di artisti provenienti da tutto il mondo disseminate per le strade e negli spazi pubblici. Permane, come memoria del passato, ma con una forte capacità di richiamo turistico, la leggenda dei Beatles, che marcano svariati siti oggetto di mete: dall’ Hard Day's Night Hotel, completamente decorato a tema Beatles, con ovvie suite intitolate a John Lennon piuttosto che a Paul Mc Cartney; al Magical Mistery Tour, un circuito sulla «via dei Beatles» in una trentina di tappe; al locale (la «Cavern»)


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dove hanno suonato centinaia di volte in due anni; ed ovviamente il museo dei Beatles, che traccia i momenti e i luoghi salienti della loro vita e carriera. La città lavora creativamente anche sulla riorganizzazione urbana recuperando le aree depresse del riverside, con una duplice scelta: integrazione – un nuovo polo fieristico, strutture residenziali ed aree commerciali nei pressi del centro storico – e riconversione della identità marginale del King’s Waterfront in cuore pulsante della città e suo landmark: area caleidoscopica in cui architetture masterpiece si mischiano agli edifici antichi creando spazifunzione inusuali e di forte impatto. Nasce un palcoscenico urbano dalle multiformi e sorprendenti prospettive che materializza il ricordo del passato e insieme le esigenze di un sviluppo all’insegna della bellezza e della cultura.


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Pittsburgh: il rinascimento high-tech

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ra la “Steel City”, per antonomasia: una delle capitali mondiali dell’acciaio, con il suo incredibile take off a fine ‘800 grazie ai giacimenti di carbone limitrofi e ad una felice collocazione fluviale, quarantamila abitanti nel 1860, oltre mezzo milione dopo le guerre mondiali che avevano ulteriormente incrementato la produzione siderurgica. Protagonisti del successo, una borghesia da sempre orientata alla innovazione e alla ricerca, pronta ad investire in sviluppo di nuovi prodotti così come nelle università, ed un ceto operaio semplice e solido, entrambi con un forte senso della comunità: un Heritage sociale potente, che ha governato le sorti della città anche negli ultimi decenni.

Infatti negli anni ’70 il crollo dell’ industria pesante mina il suo “core-business”, e la crisi si radicalizza all’inizio degli anni ’80 con la deregulation delle Compagnie aeree e le ristrutturazioni della Grande Distribuzione. A fronte di decine di migliaia posti di lavoro persi, l’abbandono degli abitanti, e una economia a brandelli, Pittsburgh si lancia velocemente in un piano di riconversione che intercetta nelle nuove tecnologie l’asset della ripresa. La contemporaneità dell’high-tech incontra la storica propensione delle grandi famiglie a finanziare università e fondazioni culturali, che con la loro progettualità diventano attrattori di fondi pubblici e capitali privati. Si attiva una pianificazione a lungo termine, basata su piani di investimento ed una business strategy concertati tra gli organismi amministrativi a livello centrale e locale, le università, le imprese. La nuova identità produttiva di Pittsburgh si riorganizza intorno ai sistemi informatici avanzati, alle nanotecnolo-


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gie, alla bioingegneria e alla ricerca medica universitaria che rende l’hub ospedaliero di Pittsburgh un centro di eccellenza. La città ridisegna il suo look: l’atmosfera viene ripulita dall’inquinamento quasi-centenario, nascono aree verdi e spazi aperti, vecchie architetture rinnovate si intersecano con le nuove, si espandono gli edifici universitari e fioriscono i quartieri limitrofi; si ristrutturano vecchi insediamenti come il South Side Works, uno degli emblemi della nuova architettura urbana, e il Waterfront dove si installano ristoranti, centri commerciali, un grande cineama-teatro; l’archeologia industriale si trasforma in distretto artistico, con il Museo Andy Wharol, il Mattress Factory per l’arte contemporanea, il Tom Museum dedicato all’arte sperimentale, e il New Hazlett Theater, noto per gli spettacoli teatrali di avanguardia. La vita urbana acquista nuova vitalità con la valorizzazione del turismo e una nuova dotazione di risorse ricreative e culturali. Si è parlato di una città rebranding: ovvero, in termini di marketing, come uscire da una crisi di struttura inventandosi un nuovo posizionamento, sulla base di un solido DNA.


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“Bolgheri shire”

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n Italia ci è sembrato significativo il caso di un’area in Toscana che ha vissuto negli ultimi anni uno sviluppo socio-economico notevole, guidato da un sapiente marketing territoriale. Si tratta di Bolgheri, in Alta Maremma, comune Castagneto Carducci. Il sito vanta storicamente il nobile dominio dei conti della Gherardesca, con il loro castello oggetto nel medioevo di vari attacchi di fiorentini e di imperiali. All’inizio del XVIII secolo il castello con i suoi possedimenti risorge per opera dei Conti, che diedero un impulso alle attività agricole, oltreché ad opere sociali e civili come la bonifica di alcune zone paludose, la costruzione di un orfanotrofio e di un acquedotto che rifornì di acqua potabile. Il paese Bolgheri si è sviluppato attorno al castello, e immediatamente a ridosso della costa: un lembo di terra pressoché intatto di natura preservata, di opere d'arte, di prodotti genuini e di buona gastronomia, di botteghe dai sapori antichi. Sulla base di questo Heritage – cultura antica del territorio ed imprenditoria nobiliare – ora Bolgheri e gli altri piccoli paesi della Costa degli Etruschi hanno rilanciato in modo nuovo attività antiche: caso paradigmatico di intervento delle Amministrazioni pubbliche locali con il coinvolgimento delle nobili famiglie, possidenti ed imprenditori. Tutto comincia a metà degli anni sessanta con la produzione del Sassicaia del marchese Incisa della Rocchetta, diventato in breve uno dei vini Top al mondo. Poi arrivarono gli Antinori – con Ornellaia – quindi i Rothschild di Château Lafite, con la tenuta Rocca di Frassinello.


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Oggi, in queste terre di confine tra le colline minerarie e il mar Tirreno, operano oltre duecento produttori di vini di qualità con molte giovani aziende, che hanno saputo conquistare mercati e riconoscimenti. Dopo il vino, è arrivata la produzione di olio, e la valorizzazione dell’enogastronomia locale nel suo complesso. Questo volano ha innescato la crescita di altri settori, come l’edilizia, con la ristrutturazione di vecchie cantine, ville e casali da parte delle maggiori archistar nazionali ed internazionali; il mercato immobiliare, cresciuto notevolmente in valore; il turismo di qualità nazionale ed internazionale. L’impulso alla economia locale si è integrato con interventi per la protezione del territorio (dall’oasi WWF “Padule di Bolgheri” all’arenile delle Cioccaie), e con iniziative culturali tra cui da ultimo, proprio quest’anno, la prima edizione del Bolgheri Melody, festival estivo di musica, cinema e teatro. Radici antiche, modelli marketing oriented e, come nelle città più avanzate di Europa, la collaborazione tra i diversi soggetti privati ed istituzionali hanno quindi generato un potenziamento del territorio a 360° che può considerarsi un posizionamento forse non necessariamente pianificato come tale, ma fortemente espressivo di una identità di marca.


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Branding brands...

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ochi esempi, ma potrebbero essercene molti altri: città che si comportano come marche perché lavorano su un patrimonio di identità per proiettarsi nel futuro definendo asset simbolici e funzionali, che ne caratterizzano – diremmo in gergo – la distintività nel quadro competitivo. Probabilmente non sono processi totalmente pianificati e di cui gli attori siano completamente consapevoli, ma le logiche del Branding sono molto riconoscibili. Come può accadere ad una marca – ed alla impresa che la sostiene – per queste città sono molteplici i driver che hanno scatenato la necessità di lavorare sistematicamente e prospetticamente su se stesse: minacce che mettono a rischio l’identità profonda (Freiburg), un quadro competitivo agguerrito che rende obsoleto il proprio prodotto (Liverpool), una particolare reattività a crisi globali che hanno intaccato il proprio core-business (Lille, Pittsburg), o anche solo l’identificazione di opportunità di diversificazione del proprio portfolio prodotti (Bolgheri). Non solo: quella che chiamiamo la “struttura narrativa” della marca può illuminare il percorso che le città hanno praticato sullo stimolo di queste crisi, di struttura o di crescita a seconda dei casi. Si sono date una nuova mission, potenziale perché colta nelle opportunità che offre la Contemporaneità, su territori che incrociano bisogni pregnanti (sostenibilità, cultura, connettività, ricerca, tecnologia, qualità della vita, eccetera). Si sono basate su proprie competenze consolidate, quelle cognitive e simboliche radicate nell’Heritage, e si sono


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dotate di nuove risorse acquisite anche grazie alla capacità di attivare modalità relazionali anche nuove con e tra i diversi stakeholder dell’impresa. Si sono mobilitate per performare e non solo progettare, ottenendo risultati visibili ed anche una crescita della reputazione. Ma in particolare ci interessa questo paradosso: mentre le città si muovono in una prospettiva di Branding quasi da manuale, molte marche, quelle dei prodotti e dei servizi, stanno venendo meno al loro compito istituzionale. La crisi sembra avere inchiodato molti uomini di marketing su tattiche a breve, stretti tra le pressioni degli azionisti e il minore potere di acquisto dei consumatori. Il rischio del progressivo impoverimento della desiderabilità della propria offerta è facilmente intuibile: i consumatori comprano concretamente prodotti, ma continuano a relazionarsi con le marche, anche in tempi di crisi, se pure in modo diverso rispetto al passato. E non dimentichiamo che le marche più capaci di lavorare ed investire sul loro capitale simbolico ed emozionale hanno incrementato proprio in questi anni di crisi la loro forza, contribuendo alla equity delle proprie società. Ma soprattutto, come si è visto, il lavoro di Branding è stato quello che ha permesso alle città di uscire dalla crisi e a volte, di non entrarci neppure. Come si vede, l’attuale contingenza economica può provocare danni irreversibili: ma, come da più parti si sta dicendo, il coraggio di investire, anche in termini di Branding, può consentire di uscirne anche più forti.


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Astarea srl via Col Moschin 10 20136 Milano t. +39 02 89423927 f. +39 02 83390294 www.astarea.it infoastarea@astarea.it

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