Augurale 2013

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Verso il 2014



Con Astarea alla scoperta di un nuovo anno.

Tanti cari auguri di Buon Natale 2013 e Buon Anno 2014


Tra le numerose invenzioni che si attribuiscono ai Fenici, dal vetro alla tintura con la porpora, dall’ancora allo scafo in legno, quella dell’alfabeto è senza dubbio la più importante. Furono loro infatti a inventare il codice di scrittura da cui derivò direttamente l’alfabeto greco che poi, dall’alfabeto etrusco a quello latino, contribuì a creare il nostro. Scriveva Plinio il Vecchio: “La gente dei Fenici ha la grande gloria di aver inventato le lettere dell’alfabeto”, mostrando di condividere un’opinione antica, espressa già dallo storico greco Erodoto: “Questi Fenici venuti in Grecia con Cadmo vi introdussero anche l’alfabeto che precedentemente, i Greci non possedevano”. Due le principali scritture utilizzate nell’anticità: quella egizia, chiamata “geroglifica”, basata su centinaia di segni pittografici, con valore soltanto ideografico, di difficile apprendimento e interpretazione. In Mesopotamia si usava un sistema strutturalmente analogo, con la differenza che i segni pittografici si erano schematizzati in fitti reticoli di tratti a cuneo, facili da scrivere, ma sempre complessi da interpretare e troppo numerosi: diverse centinaia. Per ovviare alle difficoltà di lettura e utilizzo di queste scritture, l’alfabeto fenicio eliminò gli ideogrammi sostituendoli con segni fonetici puri (scrittura “cuneiforme”), graficamente semplici, immediatamente leggibili e memorizzabili da tutti e, soprattuto, ridotti ad un numero esiguo: solo 22. Creato da un popolo di mercanti, con intenti essenzialmente pratici, l’alfabeto si diffuse senza difficoltà, facilitando la scrittura (prima patrimonio di pochi) e diventando il maggiore veicolo di civilizzazione: l’alfabeto rappresenta infatti la prima tappa di quel processo di diffusione della cultura che culminò con quello della stampa. In copertina la rappresentazione della A, prima lettera dell’alfabeto fenicio.


Cult-me. Orientarsi tra i segni.

Laura Cantoni Giorgio Villa


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Introduzione Cult-me: il valore sociale della Cultura... Cult-me: la cultura fattore economico... Cult-me: branding con la Cultura...

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nche quest’anno intendiamo offrire ai nostri amici un piccolo pensiero augurale, frutto delle nostre osservazioni sul cambiamento socio-culturale e sulle ricadute nel mondo dei consumi.

Ci siamo soffermati sulla Cultura: un tema apparentemente generico, che invece può essere avvicinato in modo molto concreto, perché la Cultura ha vissuto negli ultimi decenni cambiamenti di significati e di ruolo diventando parte integrante della vita quotidiana di tutti, cittadini, consumatori, imprese, e potenziale fattore di sviluppo per il Paese. Noi di Astarea ce ne occupiamo da parecchi anni, attraverso il nostro Osservatorio sul cambiamento Andare a Tempo® e con ricerche ad hoc che riguardano il rapporto tra Cultura, Imprese, Operatori culturali. In questo Augurale desideriamo condividere sinteticamente le nostre conoscenze, anche considerando l’ “Emergenza-Cultura” che si è sviluppata negli ultimi due anni come tema di dibattito pubblico in ragione della crescente consapevolezza del suo valore e, al tempo stesso, della precarietà nelle risorse e negli strumenti professionali atti a svilupparne il potenziale. Fondamentale ricordare il lancio da parte de Il Sole 24 Ore, il 19 Febbraio 2012, del manifesto “Per una Costituente della Cultura”, che ha posto – seguitissimo da critica e pubblico – la questione del passaggio dalla percezione della Cultura quale bene improduttivo, ed eventualmente alimento intellettuale per il singolo individuo, a volano per lo sviluppo civile, la crescita economica e il rilancio dell’occupazione.


Cult-me. Orientarsi tra i segni.

La Cultura non è solo libri da leggere, mostre e musei da visitare, beni archeologici da preservare: è in realtà un sistema produttivo con fatturato significativo – secondo quanto dice anche la Commissione Europea. Questo sistema si articola in molteplici settori che costituiscono asset attuali e soprattutto potenziali dell’economia italiana, perchè legati al design, all’artigianato e al manifatturiero di qualità, all’enogastronomia, per non parlare del turismo: tutti settori convergenti nella valorizzazione del Made in Italy e del prodotto locale territoriale, come si sa forti driver della domanda interna, ma soprattutto estera. Nel mondo, sia le economie tradizionali, ma soprattutto quelle emergenti come il Brasile, la Cina, l’Australia e anche l’Africa stanno potentemente investendo nel settore della Cultura e della Creatività, consapevoli di quanto gli asset intangibili di un Paese (che poi diventano tangibilissimi in termini di fatturato) siano effettivi fattori di sviluppo. In effetti, appare abbastanza bizzarro che l’Italia non stia cogliendo queste opportunità, dati i giacimenti culturali di cui è storicamente fornita, e considerando anche il suo capitale creativo che costituisce una risorsa consolidata e riconosciuta nel mondo. Si pone ovviamente in maniera drastica la questione delle risorse e del finanziamento di questo sistema. Il dibattito del rapporto tra pubblico e privato è cruciale, e per questo costituisce il punto focale di queste riflessioni anche per il ruolo che possono svolgervi le nostre competenze di ricerca, marketing e comunicazione.


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La Cultura per il benessere

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a anni nel mondo occidentale si sta lavorando al superamento dei soli indicatori economici per la misurazione dello “stato di salute” di un Paese, con un ampissimo dibattito sull’inserimento di indicatori del benessere. In Italia, a Marzo di quest’anno, CNEL e ISTAT hanno presentato il “Rapporto Bes 2013: il benessere equo e sostenibile in Italia”, un’iniziativa all’avanguardia a livello internazionale. In un’ottica partecipata tra parti sociali e della società civile sono state identificate 12 dimensioni del benessere, tra cui compare il “Paesaggio e patrimonio culturale”. La rilevanza di questo criterio è stata confermata da un’ampia consultazione campionaria con i cittadini, che associano massicciamente la qualità della vita con istruzione e formazione (92.4%) e una maggiore attenzione al patrimonio culturale (77.8%). Di fatto, la fruizione della Cultura coinvolge fasce sempre più ampie della popolazione: secondo Federculture, la spesa per la Cultura in Italia è stata in tendenziale crescita negli ultimi 10 anni (+25.4% dal 2002 al 2011), se pure ha subito un calo nel 2012, presumibilmente associabile alla contingenza economica, anche perché l’incidenza della spesa per Cultura sulla spesa totale rimane sostanzialmente stabile. E comunque non tutto appare negativo, dato che alcune situazioni si muovono in controtendenza, come Torino ed il Piemonte che, grazie a strategie facilitanti la fruizione della Cultura, come l’abbonamento alla carta musei, già nel 2013 hanno visto una crescita di presenze a due cifre, peraltro con ricadute positive sulle visite alle altre mostre nella Regione. Certo che, complessivamente, in Italia non siamo al top nella fruizione di Cultura, collocandoci al 21° posto


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per spesa delle famiglie in Europa. Guardando in positivo, questo dato, penalizzante per noi, tuttavia rassicura sul ruolo della Cultura in generale, dato che la spesa delle famiglie per ricreazione e cultura in circa metà dei 27 paesi UE supera il 9% della spesa totale. E se nella classifica generale del Country Brand Index 2013 l’Italia perde posizioni rispetto al 2011 per l’attrattività in generale, evidente espressione della fatica del Sistema Paese, nella medesima classifica mantiene il primato riguardo all’attrattività determinata dalla Cultura. Studi di diversa natura sottolineano gli effetti positivi della Cultura sul benessere dei cittadini, come quelli riportati in uno studio del Journal of Happiness Studies nel 2011, che dimostrano l’interazione positiva tra l’accesso alla cultura e il benessere psicologico. In particolare, si dimostra che la frequentazione di attività culturali costituisce il secondo fattore del benessere, immediatamente successivo all’assenza di malattie e di altri fattori oggettivi come il lavoro, l’età, il reddito, lo stato civile. Un’altra ricerca svedese, se pure più datata, riportata dal BMJ rileva anch’essa una correlazione positiva addirittura tra la partecipazione ad eventi culturali e l’aspettativa di vita e che, al contrario, una scarsa fruizione di eventi culturali si associa a un rischio di mortalità molto più alto rispetto ad una frequentazione assidua.


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Cultura come sistema produttivo

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a questione di come l’Italia saprà rilanciare l’economia non può non tenere conto del ruolo economico della Cultura quale motore della crescita.

Il rapporto 2013 Fondazione Symbola - Unioncamere in collaborazione con la Regione Marche, racconta la capacità di tenuta, e anche reattiva, del sistema della produzione culturale in Italia. In questo “sistema”, i ricercatori non includono solo le Imprese rappresentative dell’espressione culturale o artistica “pura”, ma anche quelle che pur appartenendo ad altri ambiti, manifattura o servizi, appaiono complementari all’attività culturale per la loro forte caratterizzazione creativa. Le imprese considerate nel Rapporto sono quindi le Industrie Culturali (la cinematografia, la televisione, l’editoria e l’industria musicale); le Industrie Creative (l’architettura, la comunicazione e il branding); le attività tipiche del made in Italy in forma per lo più artigianale; il Patrimonio storico-architettonico (musei, mostre, biblioteche, archivi, gestione di monumenti); l’area delle Performing arts e arti visive, di fatto non organizzate a livello industriale. Secondo il Rapporto, le Imprese del comparto sono quasi 460.000, quindi il 7.5% delle attività economiche nazionali, e in crescita del 3.3% sul 2011 – con un incremento superiore per le imprese connesse al Patrimonio storico-architettonico (+18.4%), o le Performing arts e arti visive (+13.4%), cioè quelle che costituiscono il “core” della Cultura in senso stretto. Il valore aggiunto prodotto dal sistema, incluse le attività della Pubblica Amministrazione e non profit arriva


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a 80.8 miliardi di euro, il 5.8% del totale; gli addetti: 1.5 milioni di persone, +0.5% in un anno a fronte del – 0.3% nell’economia complessiva. Altro dato interessante del Rapporto: è stato calcolato un effetto moltiplicatore del sistema produttivo culturale sul resto dell’economia di 1.7, che porta all’attivazione di altri 133.4 milioni di euro, per arrivare a un valore di filiera globale di 214.2 miliardi. In altri termini, l’incidenza del comparto cultura sull’economia passa così dal 5.8 al 15.3%. Il turismo sembra beneficiare in modo particolare delle attività e della produzione culturale, come si sa molto radicate nel territorio e per questo capaci di contribuire all’attrattività delle attività turistiche. Secondo le analisi di Unioncamere-Isnart per l’Osservatorio del Turismo, su una stima di spesa turistica sul territorio italiano di 72.2 miliardi di euro nel 2012, 26.4 miliardi di euro, quindi un terzo del totale appare attivato dalle industrie culturali. Se questi dati illustrano il dinamismo e il potenziale del comparto, tuttavia sappiamo che queste Imprese sono in genere piccole, carenti nel marketing e nella comunicazione, con scarsa integrazione orizzontale e difficile accesso a fonti di finanziamento. Il punto cruciale sembra quindi la necessità di sviluppare per le ICC (Imprese Culturali e Creative) effettive strutture di Impresa. Per questo, si esige la possibilità di creare sinergie con soggetti diversi, connessi a livello territoriale, pubblico e privato, imprenditoriale e universitario: in pratica, portatori di contributi e obiettivi coerenti con le proprie specifiche mission, che siano di politiche sociali, di welfare culturale o aziendale, di profit, ma che possano interagire su progetti comuni.


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Cultura Sostenibile?

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n questo contesto ci interessa focalizzare il “core” del comparto culturale, quello cioè più legato alla espressione diretta della Cultura, e le sue necessità per lo sviluppo.

L’Europa, con la programmazione Europa Creativa 2014-2020, ha recentemente stanziato 1.46 miliardi di euro dedicati al finanziamento di prodotti culturali (film, documentari, fiction, prodotti multimediali o di animazione). L’Italia si avvantaggerà ovviamente di questi finanziamenti mirati, ma si tratta di fondi parziali e limitati rispetto all’articolazione del comparto, che esige ben altri interventi strutturali. D’altra parte, se consideriamo la spesa pubblica diretta ai beni culturali, secondo uno studio Eurostat che confronta la spesa pubblica dei Paesi europei, l’Italia appare alquanto deficitaria: viene erogato l’1.1% delle risorse pubbliche contro la media europea del 2.2%. A fronte di un intervento pubblico diretto in decrescita (e che se comunque non lo fosse, comporterebbe in ogni caso il drenaggio di risorse da altre fonti di spesa sociale), il tema all’ordine del giorno è come garantire alle Istituzioni Culturali possibilità di sopravvivenza e sviluppo tendenzialmente autonome. Tra gli addetti ai lavori sta emergendo il concetto della “Sostenibilità”, cioè la capacità di acquisire e gestire risorse in grado di garantire all’Istituzione Culturale la massima autosufficienza possibile. Mediando il concetto dalla Blue Economy, coniato nel 2010 da Gunter Pauli, si tratterebbe proprio di creare circuiti virtuosi che si appoggino alla capacità creativa di intercettare e organizzare le adeguate risorse in maniera il più possibile efficiente.


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Un esempio di questa filosofia è il MUVE di Venezia, la Fondazione dei Musei Civici, che ha adottato tutte le possibili leve di sviluppo prodotto e marketing per garantirsi la massima autosufficienza: servizi dei Musei aperti ai non fruitori, politiche di prezzo differenziate nei diversi Musei, creazione di un punto MUVE nell’aeroporto di Venezia. Altro caso in quest’ambito è la Triennale di Milano, che già molti anni fa ha scelto la formula della Fondazione in Partecipazione. Si sono differenziate in maniera significativa le modalità di ricavo, raggiungendo un’alta quota di autofinanziamento grazie alla moltiplicazione dell’offerta di servizi e prodotti. Il concetto di Sostenibilità della Cultura difficilmente può comunque escludere l’intervento del Privato, con modalità di partecipazione diverse in funzione di Mission e obiettivi specifici. A nostro parere, si stanno aprendo in Italia enormi opportunità ancora sottovalutate: il sistema arte-cultura-turismo-enogastronomia costituirà uno dei settori più potenziali per nuove opportunità di business, grazie alla domanda interna, ma soprattutto worldwide. Pensiamo, ad esempio, a forme di project financing che implichino l’intervento congiunto del settore pubblico, con quello del non profit o meglio del privato sociale e del profit. Pensiamo anche alla Sponsorizzazione della Cultura, leva di marketing con una propria dignità in molti Paesi, soprattutto anglosassoni. In Italia è sempre stata considerata fanalino di coda e fattore residuale nel marketing communication mix. In realtà, offre molti vantaggi per le Imprese, anche se il contesto relazionale ed organizzativo in cui può attuarsi presenta luci ed ombre.


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Cultura e Impresa

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a anni ci occupiamo dei rapporti fra Imprese e Cultura con ricerche e sondaggi ad-hoc in collaborazione con The Round Table – un esempio di sinergia tra capacità tecnico-metodologiche ed esperienza del mondo culturale, che ha generato una competenza integrata abbastanza unica in Italia.

Intervistando e parlando negli anni con le Imprese che investono in Cultura, alcuni temi ricorrono, anche se ultimamente sono emerse esigenze che prefigurano nuovi modelli d’intervento dell’Impresa rispetto alla Sponsorizzazione culturale classicamente intesa. Perché investire in Cultura, cioè affiancare la propria immagine a Istituzioni o Eventi culturali? Le strategie di comunicazione Corporate sembrano integrare la Cultura in quanto valore qualificante soprattutto nei confronti dei pubblici Istituzionali o BtoB, ma anche dell’opinione pubblica. Il tema dei “Valori” associabili alla Cultura svolge una rilevanza cruciale per spiegare l’interesse delle Imprese: la Cultura, come si è visto, assume un valore in sé ampiamente riconosciuto dalla popolazione; e soprattutto nella contingenza attuale, l’intervento delle Imprese a tutelarla attribuisce alle Imprese stesse una funzione anche sociale. D’altra parte, la logica della Sponsorizzazione attiva valori specifici, collegati al Progetto/Evento: sono i “valori bridge” tra i desideri e le passioni del pubblico, e la Mission dell’Impresa. Altro motivo per investire in Cultura: la Prossimità territoriale. La presenza dell’Impresa a beneficio di una comunità può rafforzarla nella relazione con i diversi sog-


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getti del territorio in cui l’Impresa è insediata, o in cui si sta per insediare. Alcune Imprese che abbiamo incontrato sottolineano l’utilità dell’intervento in Cultura anche per promuovere o rafforzare specifici Brand, al di là della Corporate Communication. In questo caso la Mission e i valori specifici della Marca sono associati con particolare attenzione alla strategia e ai contenuti dell’evento culturale, perché vengono messi in gioco i valori funzionali e simbolici di un Brand che produce un suo immaginario, ma che ha anche “sotto” un prodotto con cui fare i conti. La Cultura in questa logica è assimilabile a un canale di comunicazione che come tale esige le condizioni tipiche del Marketing: nel nostro Osservatorio emerge con chiarezza che in un Progetto culturale le relazioni – commerciali, organizzative, tecniche, sempre di più strategiche – tra Sponsor e Evento/Istituzione, assumono una rilevanza anche maggiore rispetto alla tipologia dell’evento sponsorizzato, al fine di rendere l’intervento efficace. In questo contesto l’intervento dell’Impresa si allontana sempre più da un’ottica di erogazione liberale e si avvicina alle attività di market communication che esigono competenze, anche esterne, capaci di coniugare i consueti tool professionali con la conoscenza specifica delle logiche e delle dinamiche del settore Cultura. E su questo fronte le Imprese lamentano carenze da parte degli operatori culturali: soprattutto il retaggio di un’ideologia filantropica che attribuisce all’Impresa finalità eminentemente erogative al di là di ritorni sull’investimento, un approccio poco marketing oriented, cioè poco mirato ai bisogni dell’Impresa, un’offerta ancora standardizzata.


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Collaborative Business

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uale soluzione? Con la produzione culturale che può costituire un volano di sviluppo economico del Paese, con il crescente interesse per la Cultura da parte della popolazione, perché espressivo dell’evoluzione sociale che procede dai valori tangibili a quelli intangibili; con la capacità della Cultura di creare identificazione tra i valori dell’Impresa sponsor e i valori e le passioni del cittadino; bene: quali strade per garantire lo sviluppo delle attività culturali, e nel contesto l’incontro tra questi due mondi, Istituzioni/Eventi Culturali e Imprese? Da sottolineare, innanzitutto, che molte Imprese hanno avviato e stanno avviando progetti culturali autoriali, che cioè producono e gestiscono in prima persona bypassando l’intervento delle singole istituzioni, ma coinvolgendo consulenti esperti dei diversi settori oltre che, direttamente, gli artisti. Pochi esempi per tutti: la Fondazione Prada, da decenni a Milano e ora sbarcata in Qatar, con installazioni pop-up in collaborazione con i Musei del Quatar; Edison, con l’iniziativa di Piano City, dove i pianoforti ‘occupano’ Milano e le case dei milanesi per un Week End; Brunello Cucinelli, che sulla cultura fonda il Welfare dei propri dipendenti e concittadini; ENI, con le iniziative di fruizione gratuita di grandi capolavori artistici a Palazzo Marino, che sono ormai un ‘must’ per il Natale dei milanesi. In realtà, nell’ottica della Sostenibilità dell’Intervento culturale, che implichi l’intervento delle Imprese a favore di Progetti generati dalle Istituzioni Culturali, si stanno profilando nuovi modelli strategici e operativi orientati al superamento della sponsorizzazione come viene classicamente intesa.


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Questo implica, sostanzialmente, una condivisione Progettuale che annulli la logica dei Pacchetti uguali per tutti e controvalori cash definiti genericamente e non in base al raggiungimento di obiettivi condivisibili. Per questo parliamo di Collaborative Business: una cooperazione win-to-win che non preveda né l’appropriazione dei contenuti dell’evento da parte dell’Impresa, ma, se mai, una loro declinazione in funzione degli asset che intende esprimere, né l’appiattimento del ruolo dell’Impresa a mero cash dispenser. In quest’ottica si esige innanzitutto lo sviluppo di una formazione professionale e manageriale da parte delle Istituzioni Culturali: migliore conoscenza dell’Impresa, della sua specifica identità, mission e storia; il trasferimento di informazioni più complete e pertinenti riguardo l’offerta culturale dell’Istituzione e dei suoi pubblici diretti ed indiretti; la riduzione della sovrapposizione tra le diverse attività orientate alla sponsorizzazione, per mantenere così la peculiarità dell’intervento della singola Impresa. Ma, soprattutto, si richiedono cambiamenti attitudinali: maggiore Propositività – capacità di coinvolgere l’Impresa sulla base di una più credibile valorizzazione della propria offerta; Flessibilità – disponibilità a modificare, anche se ovviamente non stravolgere, la propria offerta di Cultura in funzione delle necessità specifiche dell’interlocutore; Creatività – capacità di combinare l’identità dell’evento con gli specifici obiettivi e necessità di distintività dell’Impresa stessa, per la quale il “Personal Branding” nell’investimento in Cultura assume una rilevanza assolutamente chiave; Trasparenza – volontà di lavorare in una logica di chiarezza e reciprocità dei benefici.


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Nuova progettualità

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n questa direzione in Italia si stanno profilando iniziative innovative: il Comitato Cultura+Impresa, fondato da The Round Table e Federculture - quindi un mix di competenze di Comunicazione d’Impresa e Produzione culturale – sta lavorando a BorsaCultura, un market place on-line e off-line per rendere più efficaci le Partnership e le Sponsorizzazioni culturali. BorsaCultura, format nazionale, ma declinato a livello Regionale, sarà una piattaforma dove si raccolgono i progetti culturali dei diversi operatori e istituzioni, pubblici e privati, organizzati in schede informative adeguate alle esigenze della comunicazione di Impresa. I progetti vengono periodicamente inviati al Data Base delle Imprese già sensibilizzate agli investimenti in cultura, piuttosto che agli sponsor potenziali. Intanto il Comitato già fornisce strumenti di lavoro strategici e operativi, come Informazioni periodiche, Ricerche (realizzate in collaborazione con Astarea), Workshop e il Premio Cultura + Impresa, avviato nel 2013 per valorizzare i benchmark di questo settore. Le Camere di Commercio di Milano e Monza Brianza stanno sperimentando ‘sportelli per le Sponsorizzazioni Culturali’ segno dell’esigenza avvertita di far incontrare in qualche modo il ‘Sistema Cultura’ con il ‘Sistema Impresa’. E sono sempre più numerosi gli studi commissionati dai ‘Sistemi Territorio’ per valutare l’impatto economico e sociale degli eventi culturali organizzati e finanziati da alleanze pubblico-privato, con questo schema: il Comune promuove o patrocina fornendo l’endorsement; le locali Fondazioni Bancarie e di Impresa o le Camere di Commercio apportano contributi economici dando vita a progetti


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non occasionali che creano visibilità, occupazione diretta, indotto economico. Altro esempio di particolare interesse è l’iniziativa nata all’interno del Consiglio Nazionale della Green Economy che, recependo un’istanza di Planet Life Economy Foundation, ha sottoposto ai Ministeri dell’Ambiente e dello Sviluppo Economico il progetto di costituzione di una rete di Centri Permanenti del Territorio che, collocati in contesti omogenei, per caratteristiche pedogeoclimatiche e culturali, valorizzino le Imprese e le Comunità di riferimento tutelandole dalle vulnerabilità e promuovendone le potenzialità, con competenze trasmesse da enti come Enea ed Ispra per l’ambiente e da ICOM per la Cultura. In questo modo si integrano nelle strategie delle Amministrazioni locali e delle Imprese i patrimoni naturali e culturali ad oggi intangibili, totalmente dimenticati nei bilanci. La priorità in Italia all’approccio territoriale viene d’altra parte affermata anche da Giuseppe De Rita nell’ultimo rapporto CENSIS, parlando di Piano Orizzontale per la Cultura: quello cioè che non usa settori o soggetti in competizione tra loro, ma la molteplicità partecipata dei nostri “campanili” – un’apparente debolezza che diventa una forza perchè si dimostra durevole nel tempo e duttile alle nuove tecnologie.


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