Tanti cari auguri di Buon Natale 2005 e Buon Anno 2006
In copertina è riprodotta una divinità emblematica della cultura fenicia, sintesi tra figura umana ed animale.
I fenici, popolo inventore degli scambi commerciali, erano eclettici e versatili, sensibili all’influenza delle altre culture e capaci di integrarle nella propria; creativi nella produzione degli oggetti, poliedrici nella lavorazione dei materiali, sempre orientati alle esigenze pratiche, superbi nel combinare semplicità e raffinatezza di stile.
Erano grandi esploratori e grandi navigatori esperti nell’orientarsi usando le stelle. Così, diffusero i loro prodotti e quelli di altri in tutto il Mediterraneo, dal vicino Oriente alla Grecia, all’Africa, alla Spagna, alla Sicilia, alla Sardegna, all’Italia Tirrenica.
La loro cultura ci sembra metafora intrigante per chi, come noi, deve aiutare a produrre e distribuire, adottando strumenti molteplici in forme originali, sempre con l’attenzione alla operatività, ma anche con la capacità di guardare oltre.
Navigare con le stelle.
Orientarsi tra i segni.
Laura Cantoni Giorgio Villa
Introduzione
Una corrente... lo scorrere di un fluido
Una traiettoria... il moto di un corpo
Una metamorfosi... cambiamenti di forma
3immagini per definire il concetto di mutamento nei fenomeni sociali e di consumo. Ad un primo sguardo, nella complessità di questi tempi il mutamento può apparire un coacervo di micro o macro cambiamenti nel loro insieme caotici. Ma ad una osservazione più attenta, esprime invece un senso ed una direzionalità decifrabili attraverso una molteplicità di segni: le tendenze.
Preferiamo chiamarle, più modestamente ma forse più concretamente, “mindset”: cioè stili e modelli in evoluzione che non riproducono fotograficamente atteggiamenti e comportamenti già consolidati, né rappresentano il punto di vista di alcune fasce evolute ma esili della popolazione, i trend setter. I mindset sono il luogo di incontro e di incrocio tra domanda ed offerta: tra quello che le imprese ed i media stanno proponendo ed i bisogni latenti di consumatori e cittadini. I mindset si intravedono da segnali molteplici apparentemente isolati ma in realtà collegati da nessi di significazione sottili.
In queste pagine che desiderano accompagnare il nuovo anno, restituiamo con piacere il risultato delle nostre recenti osservazioni sul mutamento, nelle sue espressioni più attinenti al mondo dei consumi, e nelle ricadute su alcune categorie merceologiche.
Non si tratta di uno scenario onnicomprensivo, bensì di uno sguardo “informato” alimentato dalla nostra esperienza di ricercatori e di osservatori dei media, del sociale, e della realtà che ci circonda.
Con la speranza che possa fornire qualche orientamento per il lavoro quotidiano sui vostri prodotti, servizi, marche, processi di innovazione.
Condivisione
Le incertezze dell’oggi, invece di produrre separazione e isolamento hanno accentuato il bisogno di interazione e di condivisione. I poli della condivisione sono, da una parte, la città/metropoli, che sta riacquistando un suo ruolo come centro di eventi culturali, come intersezione di esperienze e focolaio di nuove forme di consumo.
Dall’altra, i piccoli centri – soprattutto le città d’arte ma non solo – assumono nuove valenze socializzanti anche grazie al recupero delle identità tradizionali e grazie all’effetto sostegno più praticabile nella vita comunitaria.
Allora la socialità, circoscritta od estesa che sia, non è più solo luogo di rifugio, ma uno spazio che può catalizzare energie per nuovi slanci. La socialità diventa il punto da cui sviluppare forme di consumo che invece di segmentare e dividere, mettono insieme ed attraversano generi ed età anagrafiche differenti. Pure l’attrazione per il virtuale, un tempo socializzazione volatile e immateriale, ora si trasforma in uno strumento per strategie di incontro materialmente inteso tra le persone.
La cucina è tra gli spazi elettivi della condivisione: nelle case si amplifica lo spazio dedicato al food making per una nuova socializzazione gastronomica; nella metropoli fioriscono iniziative di ristorazione che cercano di inventare formule inusuali di “foodtainment” (mix tra food ed entertainment). Cambia il concetto dei ristoranti alto di gamma, che da luoghi focalizzati sulla fisionomia sociale del pubblico, sul prezzo e sulla preziosità del layout, trovano ora l’asset più significativo nella figura del cuoco, che condivide il suo sapere e si avvicina fisicamente ai clienti. Il Cuoco assume ruoli un tempo impensabili.
Il “cuoco-mercato”: cuochi contesi; cuochi che passano da un grande ristorante ad un altro; giovani promesse che si formano all’ombra di guru e poi si autonomizzano, creando ristoranti propri; cuochi/imprenditori.
Il “cuoco in affitto”: in USA i cuochi vengono assunti al servizio stabile di famiglie top. Rispondono al desiderio di cibo pronto, buono e sano. A servizio dai privati i cuochi si trovano meglio che nella ressa delle cucine industriali.
Il “cuoco-star”: in TV, su internet, in libreria, diventa personaggio mediatico capace di decretare il successo di un programma e modificare i gusti di milioni di persone.
Il “cuoco globale”: la grande cucina è sicuramente contaminata, ma anche rispettosa delle identità locali, e capace di coinvolgere tutti i sensi.
Il “cuoco scienziato”: Andria, il leader maximo della ristorazione, lavora nella sua cucina-laboratorio con docenti di chimica e maestri profumieri, fisici e designer.
Il “cuoco etico”: Senderens, proprietario di Lucas-Carton, rifiuta le gratificazioni dalle grandi guide di cucina perché assume altri criteri produttivi e di servizio: menù più agili e leggeri, creativi, semplici, interetnici, e prezzi non astronomici.
Il “cuoco democratico”: grandi cuochi diversificano l’offerta e si offrono a strutture alberghiere, rinnovano bar di quartiere, propongono all’ora di colazione un menù a prezzo fisso.
Etica e critica Memoria e neo-tradizione
Un nuovo mindset, sta integrando due modelli ideologici e di consumo un tempo separati: l’atteggiamento etico, come richiesta di trasparenza nei prodotti e nei processi, e l’aspetto critico –centrato sulla prudenza negli acquisti e sulla attenzione al prezzo–.
Sembra che il senso di responsabilità e solidarismo proiettato su scala planetaria stia combinandosi con il diritto ad una spesa non predatoria –della salute e del portafoglio–. I propri bisogni di consumatore singolo si accompagnano alla consapevolezza che sia necessario uno sviluppo sostenibile, rispettoso dell’ambiente, del lavoro, delle identità culturali.
Nel mondo dell’auto, ad esempio, la sicurezza è un valore sempre più presente nella comunicazione e nei parametri di decisione e d’acquisto. L’auto “ecologica” trova ora nuove possibilità di realizzazione con l’ibrido – alimentazione elettrica+benzina–. Le due modalità si integrano funzionalmente inducendo, in prospettiva, un cambiamento nella percezione della ecologia che supera il vissuto di “sottrazione” – di performance e di funzionalità – verso quello di alternativa trendy a costo 0 (o quasi).
Anche la cosmesi esprime esigenze più “strutturali”: non è più solo promessa di recupero o mantenimento della bellezza, ma ingaggia il consumatore su proposte concettuali ad alto potere terapeutico-curativo.
La valorizzazione dell’arcaico – di ciò che era, nella nostra cultura e di ciò che è ora in culture diverse – è radicata nel sentiment sociale da almeno 4/5 anni, con il declino dell’illusione che l’economia virtuale rendesse possibile uno sviluppo progressivo delle condizioni materiali e l’apertura di possibilità di lavoro ed arricchimento pressoché illimitate.
Ora però il recupero della memoria non si declina in chiave nostalgica: il retro trend nella sua componente più evoluta è sempre rivisitazione.
Il richiamo alla famiglia si esprime in nuove forme di aggregazione affettiva; il rinnovato interesse per la natura valorizza una natura “mediata”: il biomorfismo in architettura; la cosmesi che mixa sapientemente elementi naturali e processi altamente tecnologizzati; in gastronomia, la tradizione locale viene rivisitata in modalità sofisticate, anche sul piano estetico; gli ingredienti di altri territori vengono integrati in forma meditata.
La moda esprime questo mindset con il recupero memoriale di preziose texture tradizionali, raso e chiffon, tessuti a mano, pizzi e merletti; gli stilisti parlano il linguaggio della loro terra o mobilitano echi trasculturali dal Giappone, dalla Cina, dalla Russia, dall’Africa, dalle nostre isole italiane...
Tangibile esperenziale Comfort
Di polisensorialità si parla da molto tempo. Già dagli anni 80, nelle nostre ricerche, emergeva il bisogno di una integrazione olistica nell’uso dei diversi sensi. La differenza dell’oggi rispetto a ieri è l’estensione del multisensoriale ad ambiti merceologici sempre più dilatati, che generano intrecci di esperienze soggettive e sociali inedite.
Il mercato della bellezza costruisce in maniera massiccia prodotti atti a stimolare i 5 sensi: con il suono nell’apertura di un astuccio, con formule olfattive rassicuranti, con texture che ricordano la morbidezza ed il valore simbolico dei prodotti alimentari.
Gli stilisti focalizzano l’innovazione sui materiali, inventando tessuti sonori, crocchianti, caldi, vivi, utilizzando elementi di derivazione naturale o comunque riciclabili, con soluzioni tecnologiche al servizio della versatilità e della portabilità.
Il design non è più solo da vedere: nella nuova hotellerie chic, le fragranze diffuse risvegliano, facilitano il sonno, energizzano, stimolano la concentrazione, favoriscono la seduzione.
I profumi invadono anche i fitness center, integrati alle macchine. Alcuni sistemi tecnologici per le palestre prevedono la stimolazione di vista ed udito con la wellness TV, l’olfatto con l’aromaterapia, il tatto con materiali piacevoli.
Il bisogno di comfort catalizza diversi segmenti della vita individuale e sociale. Significa attenzione più all’essere che all’apparire, e ad un essere fatto di corpo e psiche insieme; implica l’estensione del concetto di qualità della vita ad un’auto-indulgenza che non è solo fisica ma anche mentale.
Comfort, allora, è più silenzio che rumore; più semplicità che complessità; è spazio dilatato ed esteso e tempo lento, che stanno diventando le icone del nuovo lusso. Nella moda, la portabilità è la nuova parola chiave che esprime il mindset del comfort: significa vestibilità e versatilità.
Nelle pratiche del benessere, la valorizzazione del selfness rispetto al wellness sottolinea la combinazione delle competenze tecniche, con la psicologia e la filosofia.
Il mindset del comfort invade anche il rapporto tra cibo e mente: una nuova offerta di alimenti punta sui concetti di meditazione, e si rafforza l’influenza delle religioni orientali, ma integrate da principi biologici attuali. Nelle pratiche outdoor, l’eco-turismo si fa “learning” con Birdwatching, Geenwatching, Fishing e ancora più “nature living” con il Boat Housing, nuovo fenomeno crescente in Italia.
Il mondo dell’auto enfatizza la rilevanza di un vissuto comfort dello spazio. L’appropriazione dello spazio diventa fondamentale sia in fase di progettazione sia in fase di commercializzazione e promozione. Lo spazio è una delle reinterpretate manifestazioni dell’agio connesso all’idea di comfort, di benessere e centralità della persona. L’auto diventa casa.
Soggettività camaleontiche Vitalismo ludico
Viviamo in uno scenario sempre più mobile, in cui i processi di identificazione non seguono più percorsi socialmente convezionati, né costruiscono strutture psico-sociali stabili nel tempo.
I modelli proposti dalla famiglia, dalle diverse “agenzie” di socializzazione, ma anche dalla moda e dalla pubblicità, vengono sempre meno assunti nella loro totalità: se di modelli si può ancora parlare, essi sono utilizzati per costruire identità fluide, che aggregano frammenti simbolici diversi e che sono soggetti a rapida sostituzione con l’affacciarsi di elementi identitari più attraenti.
Viviamo in uno shopping mall di stili e di ideologie, che provoca derive contrastanti: da una parte la polverizzazione delle modalità dell’essere, con il rischio di perdita di “senso” per l’assenza di punti di riferimento permanenti; dall’altra una maggiore consapevolezza del proprio “io” e della capacità espressiva individuale.
“I am what I am”, claim di una recente campagna pubblicitaria, bene rappresenta questo “sentiment”. Le innovazioni diventano allora difficilmente targettizzabili secondo i criteri classici: ognuno le interpreta e le gestisce secondo sensibilità che non sono più associabili a comportamenti di gruppi omogenei.
Nell’offerta di beni e di servizi la self expression si impone come parola chiave dell’uso degli oggetti, consentendo assemblaggi di stili ed accessori diversi, purché adeguati alla propria sensibilità soggettiva. Il mercato della cosmesi dilata la possibilità di personalizzare i prodotti; nella moda il pret a porter si contamina con il design ed i tessuti tecnici dello sportwear; l’auto diventa espressione della identità del singolo, e si allinea al sentire specifico di chi la possiede e/o di chi la guida.
La tensione alla espressione del self e della propria identità difficilmente acquisisce una prospettiva progettuale ampia. Assume la forma di uno slancio, di una spinta energetica che si proietta su tempi corti. Libera energie in forma tattica. Ma il tono è fortemente ludico. Il gioco serve a sdrammatizzare, a guardare con una visione giocosa che è rifugio (di combattimento) nella dimensione infantile. È il desiderio liberatorio di non prendersi troppo sul serio.
Il vitalismo ludico impatta sull’edonismo rendendolo meno ostentativo, – divertissement, distrazione, ricerca di emozioni–; ed informa la relazione con gli oggetti fondando la filosofia della contaminazione e del commuting, piegandoli ad un loro uso non consueto e creativamente “improprio”.
Il mondo della bellezza interseca pratiche iper-soggettive ( la nail art) con nuovi teatri “di consumo” (i nail bar, mix di relax, socializzazione, caring); con nuove estetiche del make up mediate dalle forme d’arte; con l’applicazione della tecnologia all’utilizzo di materiali inconsueti –fibre di seta ed estratti di cotone per le creme facial care–.
Il viaggiare continua ad essere una dimensione irrinunciabile, anche se al concetto di “tipi di viaggio”, subentra quello di “tipi umani” che compiono un viaggio. Ognuno si costruisce il proprio modo di viaggiare: cultural crossing: viaggiare per amore degli scambi culturali; experiental travelling: ricerca di esperienze ricche di emozioni.
Tanti cari auguri di Buon Natale 2006 e Buon Anno 2007
In copertina il Sacro Albero della Luna, emblema dedicato alla divinità fenicia Astarea.
I Fenici erano eclettici e versatili, ma anche profondamente religiosi e legati ai cicli naturali. Astarea è la Dea Luna, ma anche la Grande Madre; la Produttrice di Semi, Dea della Fertilità dalla quale proviene il potere della riproduzione e della crescita per i prodotti dei campi. Suo figlio Tammuz, il Verde, rappresenta la vegetazione di tutta la terra.
L’Ascera era un albero convenzionale che impersonificava Astarea stessa, glorificato con rituali nelle grotte, nei boschetti naturali o nei giardini durante le Lune Nuove e nei Sabbath. Spesso raffigurato ricoperto di frutta e luci, come il nostro albero di Natale, o di nastrini, rappresentava la casa della Potente Madre che passa attraverso il cielo, e si ritiene che intorno ad esso avesse luogo una danza sacra. Frutto dell’albero è la fonte da cui è estratta la bevanda dell’immortalità, il sapere segreto e l’ispirazione, apprezzati e custoditi dagli dei.
Il mito di Astarea e di suo figlio Tammuz ben rappresenta il potere significante della natura, che anche noi oggi leggiamo come elemento saliente dell’immaginario collettivo e delle pratiche di vita quotidiana di questi tempi.
Seminare idee nuove.
Orientarsi tra i segni.
Laura
Cantoni
Giorgio Villa
Introduzione
Il codice Green … La cultura del Green … Il consumo in Green …
Anche quest’anno intendiamo offrire ai nostri amici un piccolo pensiero augurale, frutto delle nostre osservazioni sul cambiamento socio-culturale e sulle sue ricadute nel mondo dei consumi.
Ci siamo soffermati sul Green come tendenza. Il Green sintetizza una molteplicità di tensioni, non tutte nuovissime, ma che negli ultimi tempi hanno assunto una densità di significati, una tale correlazione tra di loro, un’articolazione in sfere così numerose della vita sociale, economica, del costume, da potersi considerare una corrente culturale in sé.
Il Green è metafora della natura, ma non solo come luogo fisico in cui cercare rifugio: il Green è dentro le teste, dentro la casa, nei punti di incontro, nei laboratori scientifici, negli studi professionali, nei centri di eccellenza per l’innovazione tecnologica.
Il Green è anche un metalinguaggio, che interpreta e declina tutte le principali evidenze/tendenze emergenti. Il mondo parla green, parla di green, parla attraverso il green.
Il Green tra reale e immaginario è un elemento di globalizzazione positiva e di reale condivisione: unisce tutti ed è davvero alla portata di tutti, ma allo stesso tempo ciascuno lo può declinare in modo diverso, creando il proprio stile customizzato - dal più democratico al più lussuoso -.
Ma che cos’è c’è dietro e dentro il Green, al di là dell’appello alle proprietà benefiche della natura e alla esigenza di salvaguardarla? Il Green di fatto sottende un insieme di concept fortemente caratterizzanti le tendenze socio-culturali degli ultimi tempi: il Green significa decontrazione, distensione, dilatazione degli spazi fisici e mentali; rimanda al bisogno di comfort, come qualità della vita fortemente declinata sui piaceri slow e sulla rinnovata esigenza di ludico e di estetizzazione, sollecita itinerari corpo-mente con la sua capacità di fungere da key commuting tra la fisicità e la spiritualità del soggetto.
Ed il Green appare quindi una risposta chiave al consumatore “sensitive”, target sempre più corteggiato non solo dai piccoli produttori biologici o di nicchia, ma anche dalle grandi multinazionali (del food, della detergenza, dell’home-care, della toiletries&cosmetics). Il sensitive in associazione al Green assume codici espressivi propri, che fanno parte della costruzione del prodotto e della comunicazione: linee curve, forme morbide e arrotondate; una plasticità liquida, materiali “vivi” o “quasi-vivi” (legno, pietra, vetro, carta) che sembrano citare il divenire continuo della vita; l’avvolgenza, il rifiuto del contrasto e del conflitto; tonalità neutre e naturali come bianco, terra, giallo solare, azzurro cielo, sfocature calibrate sulla dimensione onirica, trasparenze; texture grezze, ruvide, materiali ricercatamente “poveri”, carichi di un passato, di una storia, ma anche densi di tecnologie soft; la valorizzazione del “non finito”, dell’imperfetto.
Il codice Green
Cioè il Green come colore. È il codice cromatico che attiva concetti connessi alla natura anche se nel mondo della comunicazione viene gestito con i trattamenti più diversi: realistici, surreali, iperreali.
Negli ultimi mesi, l’abbiamo visto pervasivamente usato nella comunicazione pubblicitaria , come sfondo della pagina o dei box, come viraggio cromatico, come colore dell’ abbigliamento del testimonial, come cifra del lettering, del claim o degli elementi figurativi allusivi alla natura: giardini, giungle, boschi. Ma il Green diventa anche colore portante della promessa di prodotto: sono scelti in Green i prodotti pubblicizzati. È una tendenza trasversale alle più svariate merceologie: informatica, banche e assicurazione, petfood , auto, telefonia cellulare, moda, intimo. Il Green come elemento comunicativo si vede molto nell’arredo, per l’allestimento di bagni e cucine: piante, fiori, erba, pareti botaniche e micro-giungle domestiche sostituiscono i trionfi di frutta e verdura del recente passato.
Immagini di incontri in zone all’aria aperta (parchi in particolare) invadono i magazine e molte campagne pubblicitarie o comunicazionali in genere, dove si fa evidente la tendenza ad usare la natura come momento di interazione/ cross sia in termini anagrafici, sia in termini di gender
Nella moda, il verde sta trovando un suo spazio tra l’usatissimo arancione ed il più recente viola, sia nel pretà-porter, sia nella haute-couture, sia nello sport dressing: solo con alcuni tocchi, con motivi floreali, in chiave naturalistica o come total look, e per tutti gli stili, in tante sfumature dal verde smeraldo al verde cupo al mela sfavillante.
Nell’arredo : il recupero del colore, tendenza ormai consolidata da qualche anno, apre al verde in tono acido o pisello nei divani, nelle sedie, negli oggetti per la tavola e per la casa; le figure floreali irrompono nei nuovi negozi e vengono offerte come decoro per pareti, pannelli, separé.
La cultura del Green
L’ecologia - la corrente culturale per definizione paladina del Green in quanto ecosistema - non è più solo ideologia ma stile di vita e modo concreto di approcciarsi al mondo. L’ecologia si espande-dilata sul concetto di sostenibilità, intesa come stile di vita a 360°.
Diventa valore sociale, oggetto di discorso e discriminante gli atteggiamenti. Le fiere a tema come Ecomondo di Rimini segnalano boom di presenze; sempre più diffusa socialmente la stigmatizzazione verso agenti inquinanti e “non sostenibili”.
Diventa modalità di apprendimento : il contatto permanente con la natura viene visto come contesto costruttivo e come veicolo di trasmissione del sapere più efficace delle mura urbane. Aprono scuole materne open air, nel bosco; nuove tecniche di allenamento corpo/mente usano la montagna come palestra all’aperto, per sviluppare ad un tempo le competenze sportive e la coscienza ambientale.
Diventa sempre più scelta di acquisto. Notizia a tema di questi giorni: in Italia decresce l’acquisto di alberi di Natale “veri” con motivazione ambientalista; crescono i consumi di prodotti biologici ed equosolidali -ma l’orientamento al biologico non è più un acquisto elitario, bensì si integra ad istanze di risparmio e spesa razionale: con lo sviluppo delle filiere “corte” per bypassare i costi di intermediazione, con i Gruppi di acquisto tra i consumatori, con i Gruppi di offerta tra i produttori-.
L’ecologia diventa ritorno (in chiave nostalgica, autoriferita, valoriale) o proiezione (in chiave propositiva, etero-riferita, dinamica) alla semplicità e all’essenza delle cose : valorizzazione delle origini e delle radici ; consolidamento dell’”etnopride”: la ricerca genealogica, il recupero
delle culture native, la valorizzazione delle risorse locali, la consapevolezza delle proprie specificità e diversità, la riappropriazione di un territorio, il rifiuto anche polemico della melting-pot phylosophy: sì accettazione della contaminazione come mescolanza di elementi diversi, però in cui ognuno mantiene la propria identità; rifiuto della fusione in cui le identità singole si perdono-.
L’attenzione per la vita secondo natura si esprime culturalmente in un nuovo ruolo della botanica: fiori e piante assumono un protagonismo inedito nella cultura sociale e nelle sue espressioni artistiche e scientifiche.La botanica murale è una delle tendenze emergenti nelle nuove filosofie del buildingdesign. Già da qualche tempo a Parigi artisti ed architetti si dedicano all’arredo botanico degli edifici invadendo di fiori e muschio le pareti verticali, trasformando il cemento di scuole uffici e case in selve di verde, palafitte, piantagioni di bambù. A Barcellona,un parco da poco progettato, sarà un trionfo di felci giganti e salici piangenti; a New York quest’anno i più famosi flower designer scelgono il verde totale per l’interior decor; ed anche in Italia fioriscono iniziative intorno alla cultura floreale: si moltiplicano le pubblicazioni sulle architetture dei giardini, nasce la prima università italiana dedicata al paesaggio. Gli orti botanici diventano luoghi di sperimentazione scientifica ed oggetto di investimenti da parte di imprese attive nel campo della ricerca farmaceutica.
Il consumo in verde
Il Green invade il mondo del consumo caratterizzando prodotti e servizi nelle più svariate merceologie. Qualche esempio.
Nella cosmesi ormai da anni si parla di principi attivi al naturale; ma ora è specificatamente la botanica, il cuore Green della natura, che entra nelle formulazioni per viso e corpo. Con due tendenze opposte: da un lato l’utilizzo – e non solo da parte delle marche con mission salutista e naturista –, di ingredienti rari e preziosi rintracciati nelle aree più nascoste del pianeta, identificati accuratamente tra numerosissime varietà erbacee, elaborati con tecnologie avanzate, sovente anch’esse “bio”; dall’altro, le pratiche home-made in nome dell’ estrema personalizzazione, del controllo sui contenuti, di un immaginario attratto dalle cose vicine familiari e conosciute. Ribes, fragole, mirtilli, olio di girasole, olio di argan, ma anche fiori di arancio amaro, radici di orchidee, alghe del Pacifico, varietà di vaniglia sono alcuni tra i “superingredienti” botanici per creme ad alta performance con promesse di azione rivitalizzante, rinforzante, astringente, nutriente, reintegrante, protettiva.
Da tempo nel design e nell’architettura materiali naturali e bio-edilizia impegnano il dibattito e declinano le tecniche costruttive. Ma il Green ora procede speditamente fino ad investire non solo la struttura delle abitazioni, ma anche le forme: il biomorfismo diffuso negli arredi in vendita, le dimore “nature” –case/nido- ispirano creazioni di architetti di avanguardia. Lo sport –uno dei settori a massima innovazione tecnologica– scopre materiali eco-compatibili come le nuove tavole per surfer in legno di balsa e resine naturali; il Green (in veste virtuale, questa volta), entra nelle case con tessuti in fibra di lana per pavimenti che suscitano le medesime sensazioni dell’erba naturale.
Green Food: dieta mediterranea e cucina vegetariana sono tendenze con vantaggi ormai riconosciuti da ampia parte dei cittadini, dai nutrizionisti e dalla medicina in generale. Ma anche in questo caso la tendenza al vegetale si radicalizza ed assume forme inedite. La kitchen-flower apre nuove possibilità poli-sensoriali con l’uso dei fiori come ingredienti e decoro. Per le proprietà salutistiche: emollienti, antinfiammatorie, antiossidanti, disintossicanti, depurative, tonificanti, digestive, lenitive, addizionanti. Per quelle gastronomiche: sapori delicati ma caratterizzanti, gusti freschi o piccanti, sostitutivi di altri ingredienti vegetali per le capacità di creare sinergie particolarissime con i piatti-base della cucina e per il contributo creativo alle architetture più sofisticate. Per quelle visive: cucina colorata, estetizzante, euforizzante. La gastronomia floreale sta girando il mondo, ma anche in Italia si moltiplicano le sue espressioni, dalle degustazioni di Euroflora alle organizzazione di eventi e laboratori in Alto Adige ed Emilia Romagna, alle declinazioni floreali di molte gastronomie locali, in zone del Piemonte, del Trentino, dell’Abruzzo.
Il trend vegetale innova anche nelle texture e nell’uso quotidiano di ingredienti normalmente considerati accessori. Basti pensare allo spazio che media, rubriche di cucina e di costume stanno dedicando ai menù a base rigorosamente Green: zuppe fredde, integrate con frutti al posto dei crostini; commistioni azzardate tra dolce e salato; ingredienti il cui ruolo attraversa in maniera disinvolta le tradizionali partizioni tra antipasto e dessert; i cibi “verdurosi” da bere; l’utilizzazione in funzione rigenerante, antiossidante ed anti-invecchiamento di spezie quali zenzero, curcuma, basilico; il boom degli integratori naturali.
Il Green è anche nel leisure, come dimostra il successo ormai non più tanto di nicchia del golf e degli sport naturistici: Golf non più come passatempo aspirazionale ed elitario, ma come gioco e come filosofia di vita, che esprime un legame quasi spirituale/olistico con la parte più profonda del selfness e di tutto ciò che circonda il soggetto.
Golf come piacere sottile e personale che si rinnova ed include le altre emozioni e passioni che rendono ricca la vita: la possibilità di trovarsi immersi nel verde, giocare, camminare, divertirsi, incontrare nuovi amici. Il boom del golf è sintomatico crocevia di una serie di stimoli/tendenze presenti nell’attuale panorama socio-culturale: Incontro, Lusso democraticizzato, Open air; Socializzazione.
Tanti cari auguri di Buon Natale 2007 e Buon Anno 2008
In copertina Bes, dio minore dell’Olimpo fenicio.
Quest’anno la famiglia di Astarea si allarga e si aggiunge questo nuovo personaggio.
I demoni nani erano abbastanza consueti nel periodo arcaico, con il compito di opporsi alle sciagure e agli spiriti maligni, e ricorrente la loro rappresentazione come piccoli, grassi, vecchi e deformi.
Nella cultura fenicia il culto di Bes corrisponde alla valorizzazione di quelle divinità più vicine ai bisogni dei fedeli, più lontani dai culti ufficiali ma capaci di garantire protezione contro i rischi della vita quotidiana. Ed infatti Bes popola la vita di tutti i giorni, con la presenza del suo viso e delle sue smorfie in molti oggetti di uso domestico, e con gli oggetti scaramantici con cui si addobba.
In fondo, questa divinità si presenta in Contro-Senso: dio minore, ma salvifico contro le sciagure; mostro deforme, ma capace di rappresentare contro ogni logica la fortuna e la felicità. In Contro-Senso noi, giocando con le divinità arcaiche, lo avviciniamo ad Astarea, la Produttrice di Semi e Dea della Fertilità, per esemplificare il potere dei diversi e degli opposti nella creazione di successo e innovazione.
Combinare le diversità.
Orientarsi tra i segni.
Laura
Cantoni Giorgio Villa
Introduzione
Contro Senso, il perchè…
Contro Senso, le logiche…
Contro Senso, i luoghi …
Anche quest’anno intendiamo offrire ai nostri amici ed interlocutori un piccolo pensiero augurale, frutto delle nostre osservazioni sul cambiamento socio-culturale e sulle sue ricadute nel mondo dei consumi.
Ci siamo soffermati sul Contro-Senso come tendenza. L’ordine delle cose a cui ci siamo abituati da decenni - ruoli, relazioni con gli oggetti, valori - sta da tempo assumendo forme e modalità più flessibili, contaminazioni, scambi e fusioni: basti pensare al rapporto maschile/femminile; all’alimentazione, alla moda, alla cosmesi, ai punti vendita ed alla distribuzione, che sempre di più integrano e ridefiniscono mission e funzioni.
In realtà quello che abbiamo chiamato “Contro-Senso” è una tendenza un po’ diversa, perché esaspera questi orientamenti con una logica differente: implica infatti una ridefinizione dei significati degli oggetti, delle funzioni, degli spazi, che va “contro” le abitudini e i luoghi non solo comuni, ma, semplicemente, correnti, per generare soluzioni completamente nuove, inedite, sorprendenti.
Il Contro-Senso è parente della logica della commutazione che, se usiamo il paradigma del linguaggio, significa il passaggio da un codice ad un altro, tra due soggetti che parlano una lingua comune, cioè che hanno in comune un sostrato culturale. Implicitamente il Contro-Senso utilizza questo schema, perché commuta i codici: per definire, descrivere, ma anche creare e generare qualche cosa, utilizza espressioni presenti in altri codici.
Contro-Senso
Nella meccanica profonda del Contro-Senso è insito quindi il concetto di estrazione e di passaggio: estrazione di un qualche “oggetto”/cosa dal suo contesto di riferimento che ne stabilisce il significato culturale, comprensibile quindi a tutti, e passaggio ad un altro contesto, diverso, inedito che inevitabilmente ne cambia, o può cambiarne, il significato originario.
Procedere Contro-Senso significa quindi sovvertire, in direzione opposta o diversa rispetto alle pratiche ed all’immaginario collettivo, cambiare le regole del gioco, passare da un uso corrente, da un colore, da una funzione abituale, per un oggetto, una attività, un pratica, ad un altra meno consueta, diversa, inedita.
Già nella vita quotidiana sperimentiamo il Contro-Senso: pensiamo al cotone indossato d’inverno, alla moda della pancia scoperta, alla rinuncia alle calze d’inverno, giusto per fare qualche esempio. Tutte situazioni Contro-Senso perché, se pure giustificabili sulla base di molteplici “emergenze” ambientali e culturali, vanno comunque “contro” abitudini, convenzioni e principi correnti di vario genere e tipo.
Ma il Contro-Senso come lo intendiamo noi ora, lavora in ambiti ovviamente più arditi, guidato dalla creatività degli artisti e dei trend setter, da invenzioni spontanee, da migliaia di attività ancora non codificabili, ma anche, in moltissimi casi, dal marketing e dai dipartimenti R&D delle imprese: il Contro-Senso è oggi, in realtà, una delle chiavi cruciali dell’innovazione nel sociale, nella cultura, nell’impresa. Sapere ragionare in termini di Contro-Senso è un driver fondamentale per rispondere a bisogni latenti ed essere al tempo stesso distintivi.
Il perché
Da dove nasce, quali motivazioni, il “senso” intimo del Contro-Senso?
La praticità: paradossalmente, molte delle innovazioni Contro-Senso nascono dall’esigenza di salvare spazio e tempo, o di rendere gli oggetti più efficienti: case sempre più piccole, bisogno di performance, richiesta di agilità negli spostamenti spingono ad innovazioni assolutamente inedite, che al di fuori del senso comune richiedono soluzioni iper-funzionali.
Il comfort: sentirsi comodi, in qualsiasi situazione si viva, ammorbidire le tensioni psico-fisiche, decontrarre il corpo, ma anche trovare ambienti piacevoli per svolgere attività un tempo relegate in ambiti obbligati, come l’ufficio, per esempio. Ed in quest’ottica, anche la micronizzazione degli oggetti contribuisce ad un uso più agevole, ad averli disponibi sempre e comunque.
Il piacere ludico-estetico: trovare il piacere, la bellezza, la gratificazione in oggetti normalmente considerati commodities, risemantizzarli, attribuirvi nuovi valori o valori prima associati a oggetti-prodotti diversi, estendere questi valori ad ambiti sempre più numerosi della vita quotidiana. Anche in una logica di gioco, di sorpresa, per stupire gli altri e se stessi. Il gioco, il divertimento sono tendenze ormai di lungo periodo che stanno invadendo sempre più il day-by-day: bonificano le tensioni, le fatiche, le frustrazioni e vicariano l’assenza di grandi progetti.
Le logiche
Del Contro-Senso ci siamo resi conto lentamente, negli ultimi anni: prima, girovagando nel mondo del Mobile e del Design, perché è lì che nascono le prime suggestioni del Contro-Senso; ma poi l’abbiamo seguito nei diversi ambiti della vita sociale, in alcuni specifici settori produttivi, anche nell’arte e nel cinema, ed allora abbiamo incominciato a comprendere la logica, o meglio le logiche del Contro-Senso, che man mano si materializzava in una infinità di situazioni e di oggetti.
La logica della dimensione
Il Contro-Senso si ha quando un oggetto passa da una dimensione fisica ad un’altra: dal liquido al solido, ad esempio; dal lungo al corto; dal piatto al fondo; dall’alto al basso; dall’interno all’esterno; dal duro al morbido; il che significa: un oggetto tradizionalmente duro, viene reso invece morbido, un prodotto tradizionalmente liquido, improvvisamente viene venduto in consistenza solida; un oggetto fondo ospita un prodotto che prima veniva associato ad un oggetto piatto.
La logica della valorizzazione
Incontriamo il Contro-Senso quando si invertono connotazioni e valori normalmente attribuiti a prodotti o servizi: il povero diventa ricco; l’artigianale diventa scientifico-tecnologico; il prezioso viene applicato alla commodity; il quotidiano diventa straordinario; il serio lascia posto al gioco; lo specifico si declina sul generale.
La logica dello spazio
Attività, pratiche, eventi, stili associati a specifici spazi si spostano ad altri luoghi: dall’indoor all’out-door, ma anche dalla vita reale a quella virtuale. Non si tratta solo di una estensione di luoghi – come i bar ed i ristoranti che hanno invaso i marciapiedi, muovendosi quindi per estensione – ma di un vero cambiamento logico nella utilizzazione degli spazi.
I luoghi
Il Contro-Senso non è univocamente associabile ad una specifica categoria merceologica o comportamento individuale o sociale, proprio perché, per sua definizione, implica uno spostamento da un’area all’altra, da un mood ad un altro, da un valore all’altro, in un continuo intreccio e rimando tra valorizzazione, usi ed oggetti.
L’abitare
Il mondo in cui forse si sono per prime viste le sperimentazioni Contro-Senso è quello legato all’abitare nella sua accezione più generale : la casa, emblema del radicamento in un luogo, della durata nel tempo, dell’inserimento in un contesto, diventa mobile, reversibile, a termine. Le avanguardie moderniste trasformano la casa in parallelepipedi che si costruiscono in 6 giorni e si appoggiano ovunque; in capsule in movimento da montare sui tetti; in case-albero o ruote di plastica riciclabile in funzione di un habitat che dura 10 anni; case pieghevoli, destrutturate, ricostruibili, case come bolle rotanti. In alcune sperimentazioni più estreme: volumetrie cilindriche, strutture circolari, assenza di porte e di spazi privati e nascosti.
Nell’habitat gioca potentemente anche la trasformazione casa-oggetto: case-sacche utili per l’emergenza; case in poliuretano che si trasformano in materassi, in giacconi, in piumini anti-gelo, ed ancora, per l’arredamento, diciamo così di interni – che poi interni sovente non sono più – nascono mobili non solo costruibili ad hoc, ma anche adattabili a qualsiasi ambiente, su ruote, fungibili per qualsiasi riutilizzo.
E se le soluzioni per trasformare e garantire mobilità agli arredi non sono nuovissime, nascono ora micro cucine compatte e autosufficienti, per abitanti nomadi o spazi veramente micro: in questo caso, sono le tecnologie degli impianti che consentono di passare dalle cucine “industriali” ed iperstrutturate, che è la tendenza degli ultimi tempi, al “contro senso” del micro-mobile.
La luce. È forse l’elemento che negli ultimi tempi ha vissuto più “spostamenti”: l’emissione di luce dalle fonti “normali” come le lampade – anche nelle loro soluzioni più evolute – si trasferisce in altri luoghi, dentro i muri, sui pavimenti, percorre i soffitti, ma soprattutto si inserisce in spazi che per defini-
zione ricevevano luce dall’esterno ed invece, ora, la emanano dall’interno: poltrone, divani, abiti, grazie a sofisticati intrecci di Led anche con cromie modificabili in funzione di ambienti o mood. La luce cambia ruolo: non solo per illuminare, ma per favorire il mood desiderato.
Come la non-luce, d’altronde: i ristoranti senza-luce che si sono moltiplicati in Europa (Francia, Inghilterra, anche in Italia) negli ultimi anni esasperano il Contro-Senso del non vedere, applicandolo ad ambienti nati anche per guardare – il cibo, il compagno di tavolo, quelli che stanno intorno - e, pure, per farsi guardare.
Cucina
Dalla casa-struttura alla cucina, un ambiente che da tempo sta mediando strumenti, pratiche e competenze lontani dalla artigianalità domestica: in Contro-Senso rispetto ai prodotti della terra e degli animali, la cucina molecolare utilizza elementi propri alle scienza. Enzimi e strumentazioni - dai sifoni ai montatori termici - sono più vicini al mondo della medicina e della chimica, e “contro-sensano” rispetto alla manualità e basicità di ingredienti ed attrezzi tipici della la “vecchia” gastronomia. Ma c’è di più: dall’alta ristorazione il cyberspazio sta migrando velocemente nelle cucine di casa. La corsa è cominciata grazie ad una offerta sempre più ricca da parte della distribuzione che ha immediatamente colto il trend del possesso della scienza nel “fai da” domestico.
Al polo opposto della scienza in cucina nella gastronomia si inserisce l’estetica, o meglio, l’arte. L’architettura nella presentazione dei piatti non è cosa nuova, dai timidi tentativi di estetizzazione della ormai datata Nouvelle Cuisine, alle più recenti costruzioni avveniristiche di molti ristoranti che, anche in Italia, invitano a divertenti congetture sul “contenuto” di “contenitori” assolutamente indecifrabili. Ma pensando a situazioni più familiari, come il cioccolato, l’atteggiamento Contro-Senso lo sta piegando a combinazioni organolettiche e forme inconsuete: ad esempio, nell’integrazione di latte e cacao con formaggio e verdure; con l’aggiunta di spezie e sapori Contro-Senso (il peperoncino piccante), con la creazione di packaging preziosi ed unici ideati da artisti; con la ideazione di strutture, forme e colori mediati dal mondo dei gioielli.
E che dire della dimensione di cibi, bevande e dei loro contenitori, per il consumo domestico ed extradomestico? Già parecchi anni fa il Contro-Senso aveva germinalmente lavorato riducendo la portata a quell’entità minima che ha vissuto i fasti di cene e cocktail per anni – il finger food –; ma ora il Contro-Senso supera il semplice rimpicciolimento, investendo
la logica semantica degli oggetti: il cibo tradizionalmente liquido si trasforma in solido (come il caffè); e a sua volta il cibo solido trova recipienti elettivi in tazze, ciotole e bicchieri, abbandonando i “banali” piatti piani; le lattine tipiche delle birre contengono invece innocenti bevande analcoliche.
La cucina, oltre che laboratorio chimico e contenitore di preziose architetture visive, si trasforma ora in SPA. Uno dei top Contro-Senso (non nuovo, ma in forte accelerazione), è lo switching dai prodotti di cosmesi “spalmata” a quella “ingerita”. I nutricosmetics sono veri e propri prodotti alimentari, quanto a gusto, forma, appetising appeal, ma contengono promise non nutrizionali in senso convenzionale: difendere e curare la pelle, le unghie, i capelli. Vere delicatessen che, ControSenso, procedono dall’interno all’esterno.
L’abbigliamento
L’abbigliamento vive emblematicamente il ControSenso: perché è uno degli ambiti a maggior valenza aspirazionale, e quindi ad alto investimento emotivo nella ricerca di innovazione da parte dei consumatori; perché è sufficientemente complesso da catalizzare competenze multiple; perché implica un livello di socializzazione molto intenso, e quindi ad alta ricettività per tutto quanto è sorpresa, meraviglia, gioco.
Il Contro-Senso si è guadagnato da tempo uno spazio ampio nel settore, ma pare che non ci siano veramente confini alle possibilità di stravolgere le convenzioni e le pratiche consolidate. Ad un livello più quotidiano, ad esempio, ecco il tessuto di cotone lanciato per la stagione invernale, prima territorio esclusivo di materiali più caldi; al contrario, i bikini ornati di visone sembrano il must per l’abbigliamento balneare; stoffe ‘seriose’ e classiche vengono utilizzate nelle ultime collezioni per gonne attillate e completi stretch.
L’utilizzo di tagli, fogge e materiali supera quindi gli ambiti di tradizionale applicazione – e sfocia su altri: materiali tecnici, un tempo limitati all’abbigliamento specialistico, ora invadono il casual-wear o addirittura il daily-wear; al contrario, i materiali “glam”, oro, argento, ma anche modelli di scarpe, scarponi, borse, vengono mediati dal fashion-style e trasferiti allo sport wear (la montagna e lo sci, in primo luogo, ma anche per altri sport): ed ovviamente le griffe intervengono firmando riccamente la nuova wave della estetizzazione ipertecnologica dello sport.
Conseguenza sul quotidiano, che ovviamente si impreziosisce: jeans e magliette, cioè i pezzi più semplici, vissuti, anche sdruciti per moda od usura, si illuminano con incastri di strass, platino ed oro; e, nella stessa logica, piumoni stile neve vengono rifoggiati ed adattati per le serate mondane metropolitane.
Gioielli e Accessori
Il Contro-Senso invade sensibilmente anche il mondo degli accessori e in particolare dei gioielli : in molti casi, se pure estremi per ora, le loro connotazioni tradizionali cambiano potentemente di senso.
Basti pensare a quanto il London Design Festival ha recentemente esibito: al posto di materiali costosi, materiali poverissimi; invece che materiali preziosi, materiali quotidiani e familiari, anche gastronomici come zucchero o cartapesta, carta, legno, che attraverso tecniche artigianali, ma sofisticate, generano oggetti dalle fogge originali e non convenzionali, ovviamente ad alta usurabilità; e proprio per questo diventano oggetti da salvaguardare per specifiche occasioni o, a seconda dei gusti, consumare lentamente.
L’utilizzo del materiale povero risponde ad una logica analoga, e non nuova, in verità: e cioè il riciclaggio di materiali di rifiuto per la creazione di nuovi oggetti. Ma anche in questo caso emerge un Contro-Senso : e l’out-put del rifiuto (anche industriale) non sono più solo commodities (sedie, panchine, etc..), o comunque oggetti familiari e consueti, ma anche oggetti d’arte, voluttuari o, comunque, oggetti di lusso perché ritagliati da designer di fama e, possibilmente, in pezzi unici e personalizzati.
In Contro-Senso alcune punte avanzate nella produzione degli accessori stanno, al contrario, integrando tecnologie di ultima generazione a borse, spille, scialli: ad esempio con l’inserimento nella stoffa di celle solari e Led che in ambiente scuro restituiscono la luce; oppure, di circuiti per registrare ed ascoltare messaggi; oppure, convertendo codici sonori in sistemi decorativi. Il Contro-Senso? Un oggetto passivo come un indumento si anima e interagisce.
Si tratterà di casi estremi, che non necessariamente vedremo sul mercato: ma il trend è inequivocabile. E investe oggetti che invece già sono a disposizione.
Techno-jewlery. L’applicazione del jewlery agli oggetti tecnologici è un esempio di Contro-Senso sotto gli occhi di tutti. Negli ultimi anni ci eravamo abituati ad un design tecnologico essenziale, sottrattivo nella forma anche se amplificato quanto a funzioni, sempre più pratico nella promessa di utilizzazione fast ed everywhere. Ora il lusso sta potentemente invadendo l’high-tech, ma non solo per le caratteristiche tecnologiche o i dispositivi sempre più performanti.
Il Contro-Senso sta nell’applicazione di materiali e decoro “prezioso”: flat TV tempestata di pietre preziose; chiavette USB in involucro perlato che si trasforma in pendaglio-gioiello; dischi fissi coperti di tracce d’oro; involucri per mouse come bomboniere, in elegante velluto nero.
E d’altra parte, oggi sono diventati luoghi comuni quello che sembrava Contro-Senso alcuni anni fa, come l’esplosione di pietre e strass non solo in una varietà di capi di abbigliamento, ma in moltissimi altri oggetti e superfici: scarpe, cinture, oggetti… corpi!
Lavoro out-door
In Contro-Senso si trasformano non solo gli oggetti, ma anche i luoghi del lavoro, del leisure, della socializzazione: dall’in-all’out, da una struttura ad un’altra, secondo soluzioni imprevedibili e che si reinventano in continuazione.
Per molte fasce di lavoratori – soprattutto i cosiddetti lavoratori intellettuali, e “creativi” in particolare, – l’attività professionale si svolge ovunque: nei caffè, nei parchi, nei ristoranti. Berlino è la città incubatrice di questa tendenza. Un Contro-Senso rispetto alla concezione convenzionale dell’ufficio, con il suo indirizzo, il suo spazio fisico, le sue strutture e sovrastrutture interne.
Certo che in qualche modo siamo già abituati al lavoro a distanza, ma nella forma del lavoro da casa o da situazioni occasionali e temporanee come treni o aeroporti. Qui il caso è diverso: i nuovi “digital bohémien” occupano strutturalmente gli spazi out-door per la loro daily working life: e naturalmente internet, community e forum sono le vere strutture che rendono possibile il lavoro libero e nomade svincolandolo da orari stabiliti e sede fissa, nonché dalla consueta – ai più – divaricazione tra spazio/tempo di lavoro e spazio/tempo di vita.
La metropoli
Sul recupero dello spazio urbano il Contro-Senso trova una delle sua espressioni elettive. Sappiamo da anni che la strada è diventata un luogo di spettacolo che sempre più ospita eventi una volta giocati negli interni; spazio per l’innovazione artistica, come insegnano l’hip-hop, ad esempio, o la graffiti art che invece, anche qui in Contro-Senso rispetto alle sue proprie premesse, nata anarchicamente sulla strada si sta ora spostando in spazi “interni” dedicati, mostre, gallerie, esposizioni. Ma non solo: lo spazio urbano diventa palestra, area di ardite performance per free climber o altri esercizi acrobatici; diventa spazio cinematografico informale, per “proiezioni- guerriglia” che aggregano gli spettatori attraverso il net; testimonia cambiamenti nei toni delle manifestazioni politiche che, sovente, “switchano” da seri e drammatici cortei ad allestimenti e camouflage tipici del folklore locale e delle maschere carnevalesche.
Nelle città, la riconversione di building inutilizzati per impieghi artistici non è cosa nuova: ma abbastanza nuova è la tipologia delle strutture che vengono ora utilizzate per funzioni non solo completamente diverse, ma apparentemente poco adatte. Dopo le officine, gli uffici postali e le banche, ora , ad esempio, anche centri sportivi in disuso diventano location teatrali, e pare con buoni risultati acustici nello sfruttare come base per l’orchestra la profondità di piscine olimpioniche (anche qui, Berlino insegna).
Anche l’hotellerie non è estranea al Contro-Senso : se in città gli ostelli della gioventù, un tempo tristi dimore quasi fatiscenti ora vengono ricavate da ville antiche, e, al contrario, per vacanze all’insegna di una “moderata” avventura i campi tendati offrono lusso e comfort forse irraggiungibili al coperto; se la pasta e fagioli (cibo storicamente povero) sta diventando un must nelle cene “in”; se per l’offerta del caviale si sceglie il contenitore più primitivo possibile: direttamente, la mano dell’ospite…
Ma forse il Contro-Senso più attuale (stando sempre in territorio artistico) è la bio-arte, arte transgenica o biotech –che tenta di riprodurre in provetta elementi organici e ibridazioni vegetali-: a scopo dimostrativo, ovviamente, per suscitare riflessione e dibattito, per sensibilizzare l’opinione pubblica su quanto avviene nei laboratori di genetica.
Negli ultimi anni si sono moltiplicati Festival ed Esibizioni di Art Biotech, a Nantes, a Barcellona, nel Massachusetts, ma anche a Milano, Parma e Napoli.
In sintesi: tentativi che intendono collegare l’arte con le neuroscienze, l’anatomia, la fisica, e la bioingegneria e che quindi sovvertono, Contro-Senso, le modalità (anche quelle più originali) dell’arte contemporanea. L’estetica come forma espressiva, gallerie e studi d’arte cedono il posto a laboratori scientifici, soluzioni chimiche, sensori, proteine.
Il Contro-Senso anima quindi le tendenze socio-culturali, l’mmaginario collettivo, i consumi nelle loro forme più o meno sofisticate. Ha un suo spazio nella innovazione d’impresa: insieme, od in alternativa, ad altri concept, questo lavora sull’abolizione, o meglio, sulla sospensione dei format consueti, radicandosi in needs profondi del consumatore di oggi (abbiamo visto: non solo alleggerimento ludico, piacere, scoperta, ma anche praticità, time saving, funzionalità).
È un’area con enormi potenzialità di cambiamento sempre se gestita razionalmente tenendo conto dei vincoli e delle opportunità aziendali.
È un’area che si presta all’innovazione dei prodotti, dei servizi, della comunicazione in senso lato.
È un’area che consente di superare l’ovvio, il tradizionale e il convenzionale, creando goodwill presso i consumatori.
Ed è un’area su cui si può lavorare anche facilmente, con metodo: esasperando, per trovare soluzioni possibili, gli opposti nelle dimensioni, nei valori, nelle funzioni, negli spazi. Eccetera.
È un’area che si presta a quel rinnovamento e creatività di cui abbiamo bisogno, un po’ tutti
Tanti cari auguri di Buon Natale 2008 e Buon Anno 2009
In copertina il simbolo della divinità fenicia Shamash o Samas o Baal Shamen, il dio del sole e della luce, una delle divinità astrali più potenti del “pantheon” fenicio.
I miti si rincorrono e si intrecciano nelle diverse e più antiche civiltà. Particolari che cambiano, ma la logica è la medesima… Così anche tra i Fenici l’origine del mondo nasce dal caos e dalle tenebre: “All’inizio c’era solo un caos oscuro e ventoso... questi ciechi venti si accavallarono uno sull’altro, formando una specie di nodo d’amore la cui natura era il desiderio… Durante un’eternità di tempo, Desiderio precipitò in un fango acquoso chiamato Mot, questo fango generò esseri viventi, semplici creature senza coscienza di se stesse; da loro nacquero, a loro volta, creature più complesse e così via… queste creature contemplavano il cielo e videro che c’era il sole, la luna e i pianeti.”
Nacquero anche le divinità tra cui una triade divina: il solare e luminoso Shamash, il lunare e oscuro dio della notte Isthtal e il malvagio e peccaminoso Nanar.
Shamash vince la lotta e viene incoronato dio del Sole e della Luce, dio benefico della guerra e della giustizia.
In una formella ritrovata in Mesopotamia Shamash è raffigurato assiso su un trono, con in mano il simbolo della giustizia e della rettitudine, il suo tempio è chiamato “Ebabbara” o “casa luminosa” con diretta allusione alla luminosità del sole-dio. In un prezioso e raro sigillo, conservato ora al Louvre, lo si ritrae regalmente seduto sopra un cerchio che racchiude quattro raggi che si irradiano e portano luce nel mondo e al mondo.
Sempre la luce, simbolo di chiarezza, trasparenza e limpidezza e pertanto di giustizia, pulizia e ordine anche morale. Per questo per il 2009, dopo un anno incerto, oscuro e poco chiaro, è stato scelto come simbolo per continuare la tradizione beneaugurale di Astarea.
Ricercare la chiarezza.
Orientarsi tra i segni.
Laura
Cantoni Giorgio Villa
Introduzione
Luce come materia… Luce come metafora… Luce come mood…
Anche quest’anno intendiamo offrire ai nostri amici un piccolo pensiero augurale, frutto delle nostre osservazioni sul cambiamento socio-culturale e sulle sue ricadute nel mondo dei consumi.
Ci siamo soffermati sulla luce come tendenza. Sono numerose, ampiamente codificate ed utilizzate le frasi nella nostra cultura: “dare alla luce”, “fare luce su”, “e luce fu”, “alla luce dei fatti”, “alla luce del sole”, “luce dei miei occhi…” che da sempre rendono evidente la valorizzazione intrinsecamente positiva di questo concept.
Un concept che dal dettato religioso è naturalmente scivolato nella cultura laica come metafora di un inizio, un incipit, una nascita, una positività emergente. E per questo – innanzitutto – ci piaceva porlo al centro tematico di questo opuscolo beneaugurante, a maggior ragione in un momento congiunturale particolarmente critico come quello che il Paese e il pianeta stanno affrontando.
Un concept che infatti emerge in ottica strutturale e differenziale per opposizione alle tenebre. Luce vs tenebre, inizio vs fine, il bene vs il male. Sono una serie di categorie semioantropologiche alla base della nostra cultura e del nostro modo di interpretare il mondo.
Nella sua declinazione fisica, luce è possibilità di vedere, è governatore dei bioritmi, componente vitale del benessere, strumento di interpretazione di quello che ci circonda.
Per queste sue profonde valenze, la luce assume implicazioni pregnanti nella contemporaneità, quando diventa possibile in innumerevoli modalità la sua riproducibilità tecnica, e
la sua ricchezza fisica e simbolica incontra bisogni profondi ed esigenze diffuse.
La luce si impone sempre più potentemente come elemento costruttivo negli ambienti, in-door e out-door; incrocia trasversalmente nuovi mindset socio-culturali, come il lusso, il gioco e la ricerca di emozioni; è protagonista delle issue di sopravvivenza – la sostenibilità ambientale – e delle nuove etiche: il bisogno di chiarezza e trasparenza nell’offerta di prodotti e servizi, nei comportamenti istituzionali, nelle relazioni Corporate; con le sue potenzialità espressive, sempre più si offre alla creatività, nelle forme artistiche individuali o nelle applicazioni industriali come il design.
I percorsi della luce
In queste pagine senza ambizioni di esaurire un tema così complesso e ricco di spunti, abbiamo identificato alcuni percorsi.
Il percorso più articolato riguarda la luce /illuminazione in senso materiale: nuovi utilizzi e nuove modalità di illuminazione negli ambienti, nell’architettura, nel design.
Un’altra strada riguarda la luce /illuminazione all’interno del marketing e della comunicazione : lo sviluppo dei prodotti e le piattaforme dell’advertising e nel packaging si risemantizzano a partire da un effetto luce o da una capacità risplendente che ne organizza la struttura fisica, le forme, le modalità espressive.
Infine consideriamo il rapporto tra luce naturale e luce artificiale, che incrocia la tematica saliente del consumo energetico e della sostenibilità.
Luce e illuminazione diventano benefit oggettivi e/o soggettivi o codici di comunicazione connotativi di valoriprodotto o marca.
Dalla lampada per illuminare alla luce-ambiente
Al di là della sua ovvia funzione illuminante, la luce oggi aiuta a creare ambienti e a definire lo spazio, per accogliere situazioni e momenti specifici della vita individuale e collettiva.
Da emissione diretta diventa diffusa ; sempre meno elemento aggiuntivo, e sempre più elemento integrato nel processo creativo della architettura contemporanea; tendenzialmente, la luce si libera dai suoi supporti materiali per diventare puro effetto; ma, dall’altra parte, si moltiplicano i luoghi in cui la luce si materializza e si esprime – dal cellulare al sistema hi-fi agli schermi audiovisivi ai display alla domotica – .
Ci raccontano queste evoluzioni i nuovi prodotti del lighting, sempre più oggetti di design pensati con tecnologie innovative: la luce non viene più fornita solo dalla energia elettrica, ma è la forma stessa della lampada, o i suoi materiali, che contribuiscono alla diffusione, alla modulazione, alla direzione, alla intensità ed agli effetti della luce ; le lampade si metamorfizzano e diventano sculture luminose; giocano sull’alleggerimento e sulla riduzione strutturale per esaltare il più possibile l’effetto luminosità; adottano un range ampissimo di materiali – vetro satinato o opalino, alluminio, le diverse sfumature dell’acciaio, tessuti, ceramiche, carta e cartone, plexiglas, cristallo – in duplice funzione: sensoriale – per ammorbidire la texture – e tecnica: per garantire la resa desiderata nel dosaggio tra uniformità e gioco di luce, in funzione delle diverse esigenze dell’utente.
Ma, quale cambiamento sostanziale, si passa da un supporto (lampada) che illumina un oggetto (o situazione) inerte, alla luce-ambiente : non più una luce puntuale, ma una progettazione del “sistema di illuminazione”, in connessione al design della casa, che punta più sulla emissione che
sulla sorgente. La luce lavora distribuendo i pieni e i vuoti, creando sinergie e distonie con i volumi. Giusto per fare un esempio, i progetti Flying Surface, tele distese come superfici fluttuanti che irradiano luce quando è buio, e rimangono tele bianche quando sono spente. Non un apparecchio ma un oggetto che esiste solo in relazione alla sua funzione. Oppure il Riddle, una sfera luminosa che emette raggi di luce, mobile, trasferibile dal pavimento al soffitto, in sospensione, fungibile per dare luce ad ambienti diversi in diversi momenti.
In questo contesto i cambiamenti di luce sottolineano, enfatizzano o addirittura modificano gli oggetti. E’ il caso dei dispositivi per la domotica, che in casa moltiplicano i segnali di luce offrendo qualità della vita e comfort personalizzato – come ad esempio i prodotti della BTicino che, grazie ai materiali rifrangenti con cui sono costruiti, assumono texture e cromatismi differenti a seconda della luce che ricevono.
La luce diventa stile di vita, elemento connotativo della personalità dell’individuo e del suo habitat.
Oggetti luminosi
L’ambiente domestico eleva la luce a protagonista cromatica: negli allestimenti dell’arredo design al Salone Internazionale del Mobile di Milano 2008 dominava quasi assoluto un abbagliante white. Le case produttrici –non solo degli imbottiti e del “Kitchen-system”, ma anche di sedie, tavoli e accessori per l’arredo – ci consegnano oggetti fortemente orientati al bianco, nonostante il tripudio della policromia anni ’70 che segna una delle altre tendenze del design contemporaneo.
La luce nella sua funzione strutturale invade la casa nelle forme più impensate: con i pavimenti luminosi, superfici lucide e riflettenti che generano la luce, come: il Luminar, designed by Light, o Jewel di Graniti Fiandre che traspone la luce su lastre grazie ad una particolare lavorazione del gres, o il CrystalPavè, ovviamente iper-luminoso e trasparente; le maniglie per porte, un tempo rigorosamente in metallo, ora cambiano non solo materiale ma anche funzione, diventando fonti di luce (Brighthandle) dai bagliori personalizzabili; i nuovi dispositivi per il risveglio: dal wake-up light della Philips che aumenta la luminosità dell’ambiente per un passaggio dolce e non rumoroso dal mondo della notte a quello del giorno, al Glo Pillow, cuscino che si illumina; gli specchi della Koh-i-noor che consentono, oltre al classico ingrandimento, anche una maggiore capacità illuminante; l’ombrello (“Electric Umbrella”) elettrico che si trasforma in una lampada capace di regolare l’intensità della luce con effetti diversi, a seconda delle necessità e dell’umore.
Nell’area terapeutica, grazie alla efficacia della fototerapia, l’esposizione a fonti di luce viene sfruttata grazie ad un cuscino luminoso che consente di curare i disturbi del sonno, acne, depressioni.
Per i momenti di relax, sedie in policarbonato trasparente o puff multiuso con luce incorporata dalle diverse declinazioni
cromatiche, l’altalena illuminata /fluorescente con funzione anche notturna ed una “baby looking” lampada luminosa a forma di casetta per poter riporre un libro ancora aperto.
Protagonisti dei nuovi oggetti luminosi, i Led, che per la loro capacità illuminante, basso consumo energetico, facile smaltimento, entrano comunque anche nei più consueti elettrodoemstici, come ad esempio nella colonna No Frost illuminante di recenti frigoriferi della Hoover.
Bianco luminoso è anche il “colore” di recenti innovazioni in campo hi-tech, dove alla preponderanza dei toni grigio-neri, comunque più scuri che chiari, si accompagna ora il bianco candido, quasi ad esprimere la “purezza” dell’offerta in termini di qualità e distintività, adattabilità agli ambienti ed alle situazioni d’uso, alla “friendly relationship”, al potenziamento delle performance – come la “nuova generazione” dei PC Asus, i TV della Sharp, della Sony, e della Philips (“Lasciati sedurre dalla luce”), i lettori/Hi-Fi della Samsung.
Nel campo del beverage alto di gamma il design sposa la luce: si celebra nel Veuve Cliquot Global Lighting, con il candelabro che diventa lampada e porta bottiglia isotermico; Moet & Chandon personalizza la sua bottiglia in maniera esclusiva usando preziosi cristalli per scrivere messaggi, nomi, date.
Swarovski, proprio in questi giorni di fine 2008, esprime la sua versatilità nell’iniziativa Crystallized – Swarovski Elements, in co-marketing con la Rinascente di Milano: 12 chilometri di tende di cristallo; e a ogni piano, una serie di prodotti, dei più disparati, cristallizzati con il bagliore Swarovski: nel beauty, nella cosmesi, negli accessori, nell’intimo, senza escludere, sempre vestita di cristallo, anche la “clooneyana” macchina Nepresso.
P.O.S. di luce
La luce diventa elemento sostantivo negli arredi dei locali out-door, parte integrante del loro mood, per coerenza o per contrasto. Lo esprimono potentemente i nuovi opening; basti citare le luci quasi-industriali del ristorante NOMA di Copenaghen, gli abat-jour capovolti e scompagnati tipo mercato delle pulci nell’S-Bar di Hollywood, il mix di bianco luminoso con il tutto vetrate sul fiume del Kogin‘s Club di Torino, il total white del Bianca di Milano, il Glass Bar di Tokio con banconi e panche totalmente trasparenti (e luminosi) a somiglianza di una cascata d’acqua.
Cambiando settore restano analoghe le logiche dei nuovi punti vendita di arredo o moda in Italia o all’Estero: gigantesche vetrate che si affacciano sulla strada per il nuovo showroom di arredo Tre-P&TrePiù : una formula per ridurre al massimo le barriere con il pubblico e valorizzare le strutture originali degli anni ’30; ancora pareti di vetro, questa volta ovviamente policrome nel nuovo showroom milanese di Seves glass block, costruttore di mattoni di vetro qui utilizzati come arredo-campionario anche sulle scale retro illuminate che portano all’interno.
Bianco anche il primo showroom in Italia di Paco Gil – marchio di scarpe spagnole – che usa la luminosità dell’ambiente per valorizzare sagome e colori (anche vivaci) dei prodotti quasi trasformando la boutique in un punto museale, o il secondo spazio Comptoir de Cotonniers giocato sul bianco con un mix di luci soffuse e mirate, così come la nuova boutique di Yamamoto a Parigi, anch’essa all’insegna del bianco, nonché, sempre a Parigi, l’atelier di cucina di Guy Martin dove il grande chef impartisce lezioni di cucina in un luminosissimo ex hotel particulier.
L’arredo urbano e gli esterni: la luce come fosse sempre notte
Nel plain air ecco che il lightening e il light design diventano strumenti per comunicare il morphing, il flusso, la mutevolezza in cui siamo immersi e allo stesso tempo il bisogno di trovare una propria dimensione positiva, illuminata, chiara.
La luce non è più un elemento lasciato al caso, puramente funzionale, mezzo per far vedere in modo semplice, per rendere evidenti gli oggetti al buio. Diventa uno strumento ampiamente pensato come focalizzazione: decide cosa mostrare e cosa nascondere, dona vita a oggetti inerti.
In questo senso la luce crea stupore e straniamento, esperienza del mai visto o dell’inusuale. Attraverso la progettazione della luce lo spettatore-fruitore urbano è guidato a una percezione diversa e nuova dell’oggetto che illumina: si racconta una storia.
Un esempio eloquente, le istallazioni create per la Ca’ Granda a Milano che inseguono sempre più il fascino della luce : dalla “Grande Nuvola” di Denis Santachiara, fonte di luce (idroelettrica, pulita e rinnovabile di A2A), in forme di cirri quasi animati da bagliori e movimento; al mega-biscione costruito da Jacopo Foggini: un’enorme sagoma luminescente che usa la luce coloratissima per esprimere la relazione tra uomo e natura – peraltro con un risparmio energetico del 70% grazie all’uso di materiale plastico riciclato –. L’opera “Light Trees” (Castagna Ravelli Studio) trasforma l’ingresso del Palazzo in un bosco metaforico, coprendolo totalmente di luci verdi all’esterno, e all’interno irrorando la scalinata di luce bianca e cangiante sui toni ambrati, rosa, celeste, etc, secondo lo scorrere della luce del giorno.
Ed infine l’istallazione “Gel-Bulb”, fluttuante nell’aria, cubica, morbida, luminosa e colorata (Lot-Ek) a simboleg-
giare il concetto di nomadismo culturale e approccio sostenibile all’edilizia.
In piena e speculare “successione” istituzionale, due eventi-luce in Europa: a Parigi, in questi giorni, “Dans le nuit, des images” nella Nef del Grand Palais, per la chiusura del semestre di Presidenza francese del Consiglio della UE: 10 anni di creazione artistica, installazioni, video, e l’opera commissionata per l’occasione – Manifesto di Charles Sandison che investe tutta la facciata del Grand Palais offrendone una nuova lettura grazie a proiezioni luminose in cui circolano ininterrottamente le parole della carta dei diritti fondamentali della UE.
Mentre a Praga, dal primo Gennaio, si accenderanno contemporaneamente una miriade di luci sulla città – un bagliore che si ripeterà ogni sera del semestre – per celebrare l’assunzione della Presidenza da parte della Repubblica Ceca.
Product development & marketing communication
Sempre più spesso, soprattutto nei settori cosmetico e toiletries, le promise e i benefit comunicati parlano di luce, lucentezza, luminosità. L’area semantica è ricchissima di sinonimi: brillante, scintillante, sfavillante, lucente, lucido, abbacinante, abbagliante, luminoso, rilucente, sfolgorante, splendente, gioioso, limpido, raggiante, stellante, vivido, vivo, fulgente, risplendente.
Sempre più la cosmesi utilizza il tema e il valore della luminosità come chiave di volta con cui parlare di bellezza (femminile, ma non solo): restituire luce al colorito come segno di naturalità e rigenerazione, a fronte del logorio da agenti atmosferici ed ore passate in spazi chiusi. Vengono messe in campo reason why che parlano di veri e propri “meccanismi generatori di luminosità”: ad esempio per Helena Rubinstein si citano linee di prodotto peeling enzimatico a funzione rigenerante e vitamina C per donare luminosità vitale in profondità.
Se tale è il ruolo della luce e della ricerca di luminosità nel trattamento, altrettanto e ancora di più per il trucco: nelle proposte dei diversi stilisti, il make-up si arricchisce di sostanze per fare splendere occhi, zigomi, décolleté, spalle, unghie; ed anche là dove si ripropone il “dark”, “smoky eye” bistrato con il classico nero si colora di bluemarin e si impreziosisce di brillantini, sempre o quasi in combinazione con toni rischiaranti per creare giochi di luci ed ombre – grazie alla capacità dei prodotti di “catturare” la luce, rifletterla, rifrangerla –.
Un esempio nella moda: lo stilista turco-cipriota Hussein Chalayan utilizza la luce come elemento per dare materia e spessore a forme puramente strutturali – e ha così dato vita a un immaginario fantascientifico, popolando le passerelle di bizzarre creature di luce ed inventando un nuovo modo di vestire che si esprime nella sintesi tra design e tecnologia, tra corpo e macchina. Gli abiti si muovono automaticamente si-
mulando l’effetto del vento, cappelli luminosi a forma di ufo, vestiti corti che non brillano di paiellettes ma si illuminano di luce propria con l’ausilio di tecnologie innovative: Led multicolore nei tessuti rendono i vestiti (ma potenzialmente anche qualunque altro oggetto) vere e proprie piattaforme di comunicazione. L’obiettivo è aggiungere una nuova dimensione (tanto in senso geometrico – la quadrimensionalità – quanto in senso valoriale) ai prodotti e agli ambienti.
Anche in altre merceologie la luminosità e la luce vengono utilizzate quali driver di comfort e lusso. Nelle auto – soprattutto alto di gamma, come nel caso della Jaguar FX –, la luce degli interni diventa soffusa, si allunga lungo le portiere e può essere modificata in toni ed intensità diversi conforme alle esigenze dell’autista e dei passeggeri. Le luci di cortesia, sul modello degli aerei, si focalizzano sui punti di utilizzazione. L’illuminazione del cruscotto è oggetto di studi per rendere il cromatismo sempre più adeguato alle diverse ore del giorno – e della notte – e impostato al minimo fastidio per chi guida.
Emblema della comunicazione commerciale a tema luce, la campagna Allianz: il mondo assicurativo entra nelle famiglie creando un bonding sulla base della promessa di trasparenza e facilitazione “salvifica”. E si potrebbe procedere oltre. In ogni caso, nella fotografia dell’advertising soprattutto a mezzo stampa notiamo un uso più versatile della luce: sia come gioco di luci ed ombre, coni di luce retro-illuminanti, sfocamenti di fondi scuri, quasi ad impreziosire l’immagine e quindi il prodotto – nel caso di beni luxury o comunque con l’intenzione di creare un upgrading in profili un po’ datati; oppure, riproducendo il mood del fashion look: un bianco totale che sembra voler confondere il prodotto nell’ambiente che lo sostiene, in chiave fortemente estetizzante ed emozionale.
Luce naturale e luce sostenibile
La luce naturale assume una rinnovata attualità. La sua pregnanza si lega innanzitutto a nuove forme di commistione tra ciò che è naturale e ciò che è artificiale/ elettrico, in ragione dell’imprescindibile concept di sostenibilità e di Green.
La luce naturale è sempre più cercata come elemento valorizzante: sia le case sia i luoghi aziendali sono sempre più luminosi, per sfruttare al massimo gli spazi e la naturalità della luce. Sempre più numerosi i progetti di case come grandi lanterne a vista, en plain air, dove si smussano i confini tra interno ed esterno, con materiali chiari, porcellanati ed ampie vetrate, con irraggiamento della luce solare in modo da integrare al meglio naturale e artificiale: strumento di sostenibilità ambientale e al tempo stesso creatore di nuove suggestioni.
Molti building si ampliano con aggiunte di piani tutto vetro; vetrate e trasparenze dominano nei progetti avveniristici degli archistar in giro per il mondo – non solo nelle grandi metropoli – un esempio per tutti: l’aeroporto di Shenzen di Fuksas, tutto di piastrelle trasparenti, ben 90.000 piccoli lucernari, una manta luminosa e fosforescente – ma anche in centri minori come Manchester o Bilbao.
Ed anche in Italia abbiamo esempi di piani per la riqualificazione architettonica di strutture di pubblica utilità informati agli stessi principi, come in Val D’Aosta. In questo caso i principi del recupero dell’esistente, della sostenibilità ambientale e della innovazione tecnologica giocano per integrare clima, orografia, paesaggio con le scelte architettoniche – forme, dimensioni, materiali. In questo progetto la luce svolge un ruolo focale: nel complesso Funiviario, con la copertura in zinco-titanio chiara e luminosa, ed un grande utilizzo di vetrate; nella sede della Comunità Montana, con facciate e lucernari quasi esclusivamente in vetro trasparente; nell’aeroporto con 8 torri collegate da 5 corpi trasparenti; nel parco archeologico, dove
il vetro e quindi la luce giocano un ruolo essenziale anche con scopi funzionali, per una perfetta visione dei reperti.
I nuovi progetti improntati alla sostenibilità usano ovviamente la luce come fonte energetica primaria. Ma sappiamo che il fotovoltaico ha limiti “oggettivi”, nel suo essere una fonte “ferma” (dopo il tramonto si esaurisce) anche se “catturabile” per usi extra-hour. In prospettiva, la luce immagazzinata durante il giorno può essere utilizzata sistemicamente per alimentare i dispositivi che utilizzano energia, elettrodomestici in primis.
Ma sappiamo che questa non è la realtà quotidiana, di oggi, in cui si pone il problema del saving energetico ed in particolare della gestione della luce. Le più recenti normative sulla luce sono orientate a controllarne la progettazione e l’utilizzo, perché la luce interagisce fisiologicamente con il corpo umano e può produrre conseguente negative (salute, vista, stanchezza) se utilizzata indiscriminatamente.
La luce è un bene prezioso: nel momento in cui la sua presenza della luce incarna valori positivi, quasi euforici, l’eccesso nell’uso rimanda a disequilibri sia soggettivi-individuali (abbaglia, scalda, appiattisce la visuale) sia ambientali.
L’uso sostenibile della luce implica quindi paradossalmente “una riduzione della luce” nel senso di potenza di emissione, ed al contempo una gestione più sapiente dei suoi effetti – una luce più misurata e diffusa può in alcune circostanze risultare più efficace rispetto ad una luce violenta e diretta.
Il futuro, quindi, è il mantenimento della capacità illuminante grazie all’utilizzo di tecnologie, ora in fase di ottimizzazione, capaci di calibrare l’effetto in funzione delle diverse esigenze dell’ambiente e soprattutto delle persone, delle loro relazioni e dei loro gesti nelle diverse situazioni quotidiane.
Un neoumanesimo etico per un futuro luminoso?
Una risposta, fatta di suggestioni ed evocazioni, è una vera e propria ideologia della luce come modus vivendi.
Un primato della luce sull’ombra e sull’ombrosità. Trasparenza come controllo, possibilità di dare l’accesso a tutti. Abolizione delle asimmetrie informative. Capacità di veicolare reciprocità e libertà per il cliente che può fare perché sa. Dare al cliente la responsabilità di sapere. Fare luce su un consumo e una produzione critica e consapevole.
Luce come valorizzazione dell’intelligenza: il valore degli illuminati. Ritorno a una logica meritocratica ed efficiente. Abbandono di clientelismi, commiserazioni, facili assistenzialismi e taken for granted. Nella crisi è il momento di rimboccarsi le maniche e lavorare per una ricostruzione.
Luce come minimalismo comunicativo che sa stupire: dal rumore, dall’urlo alla voce puntuale che centra l’obiettivo nella consapevolezza di una “less is more philosophy”.
Luce come speranza e neoumanesimo. Dal ritorno economico a breve termine a prospettive di lunga durata, progettualità, investimento nel futuro. Si tratta anche di totale cambiamento di paradigma, capace di valorizzare uno sviluppo sostenibile in termini di spazi e tempi: rallentamento e dilatazione vs tempi fast e concentrazione inumana.
È l’incarnazione della possibilità, della certezza che voler cambiare è già un segno del poterlo fare.
Tanti cari auguri di Buon Natale 2009 e Buon Anno 2010
In copertina il simbolo della divinità fenicia Chusor, il dio fabbro e artigiano.
Questa figura è espressione essenziale del mondo fenicio, popolo di abili commercianti ma ancor più di sofisticati produttori. Erano specializzati nei manufatti in vetro, rame e porpora, estratta dalle conchiglie delle murici. Erano alla costante ricerca di oro, argento, stagno, per piegarli alla loro arte orafa.
Erano artigiani abili nella lavorazione del legno, delle stoffe, dell’avorio, del bronzo.
Erano esperti nel dare valore alla materia, trasformandola in oggetti pregiati.
Scarsi di risorse naturali, attraversavano i mari per procurarsi materia prima atta a forgiare oggetti conosciuti ovunque per le loro qualità, pratiche ed estetiche.
Per navigare, usavano una imbarcazione molto semplice, snella ed agile, e avevano inventato la chiglia per una maggiore sicurezza.
Mercanti puri, in giro per il Mediterraneo ed oltre, scambiavano merci in maniera silenziosa e leggera, con poche mosse eloquenti, in attesa che l’acquirente rispondesse alle loro richieste.
L’invenzione di una scrittura semplice, agile e snella come le loro barche era diventata strumento necessario ad un popolo di individui che avevano bisogno di rendersi autonomi per svolgere al meglio le loro attività.
Chusor è, tra le divinità fenice legate ad attività umane, quella che simboleggia la produzione e la trasformazione: inventore e lavoratore del ferro, è l’emblema del legame tra qualità e funzione – e per questo espressione significativa di un popolo che ha generato ricchezza attraverso modalità del fare semplici ma raffinate –.
Per questo, per il 2010, nel corso di tempi ancora incerti, Chusor è stato scelto come simbolo di positività fattiva per continuare la tradizione beneaugurale di Astarea.
Ripartire dall’Essenziale.
Orientarsi tra i segni.
Laura Cantoni Giorgio Villa
Introduzione
Acquisti Essenziali...
Lifestyle Essenziali...
Estetiche Essenziali...
Anche quest’anno intendiamo offrire ai nostri amici un piccolo pensiero augurale, frutto delle nostre osservazioni sul cambiamento socio-culturale e sulle ricadute nel mondo dei consumi.
Ci siamo soffermati sull’ Essenziale come tendenza. Etimologicamente, dice il vocabolario, “essenziale” costituisce l’essenza, si riferisce all’essenza di qualche cosa: gli elementi essenziali di un ragionamento; un requisito, una condizione essenziale. Per estensione, essenziale è il necessario, l’utile, l’opportuno, l’indispensabile.
La crisi ci ha abituato a pensare e a comportarci seguendo queste idee regolative. Certamente attraverso -più o meno sapienti- strategie di riduzione delle spese, con la ridefinizione dell’idea di bene necessario.
Ma la tendenza al risparmio è solo un’espressione di tensioni più profonde, e cioè cambiamenti nelle “posture” di acquisto e di consumo che hanno trovato nella recessione di questi tempi un percorso quasi obbligatorio. Il sentiero però era già segnato dalle meno eclatanti fratture degli ordini economici e sociali dell’ultimo decennio: con la revisione dei modelli aspirazionali propri agli ultimi anni del XX secolo; con la ridefinizione delle modalità di gratificazione individuale e di improvement del self; con l’impatto sempre più radente delle nuove tecnologie; con le preoccupazioni per la salvaguardia del pianeta.
L’Essenziale, in quest’ottica non economicistica, assume un significato meno riduttivo . Da approccio survivalist alla crisi attuale diventa un atteggiamento probabilmente di lungo periodo; da modalità saving
delle risorse si trasforma in arricchimento delle possibilità; da espressione dei limiti individuali in veicolo di cambiamenti nelle modalità collettive del vivere, del produrre, dell’abitare, del consumare.
Per questo, L’Essenziale non può essere considerato un elemento di contingenza, né tanto meno un vincolo penalizzante per l’economia ed in particolare per il marketing delle imprese.
In questo concetto navigano una pluralità di stimoli e di opportunità che senza voler essere totalizzanti, né esaustivi, possono fornire nuovi spunti, offerte e modelli di business, per ripartire.
L’Essenziale
Ci piace quindi cercare dentro l’idea dell’essenziale, oltre le implicazioni della stretta economica così come è stata ed è vissuta da un mondo occidentale comunque refrattario alla rinuncia.
In questo contesto, essenzialità significa rimandare a tempi migliori alcuni consumi, la ricerca del low-cost e l’acquisto intelligente, la valorizzazione del rapporto qualitàprezzo, ma anche il rifiuto di privarsi della “qualità”, ora intesa come valore privo di over-cost ormai poco investiti sul piano non solo economico, ma anche culturale e simbolico.
In realtà l’Essenziale nasce con e nella razionalizzazione critica a fronte delle problematiche economiche (o del sentiment negativo sul futuro), ma si esprime anche nella richiesta della massima qualità in prodotti marcati dalla rarità e dalla raffinatezza tecnologica; si insinua nelle modalità di gratificazione e di indulgence generando una nuova idea di comfort e di lusso, per certi aspetti frugalista, ma senza declinazioni nostalgiche ed anzi focalizzata sulla espressività di un self creativo e poliedrico; valorizza il local e soprattutto la cultura del territorio ; nutre il bisogno di concretezza e di valori solidi (famiglia, tradizione, natura); guida la riconciliazione tra la sensibilità economica e quella sociale.
Ed ancora, l’Essenziale qualifica i codici visivi, formali, materici degli oggetti e degli ambienti che, a partire dal principio della riduzione, riformulano il minimalismo freddo degli anni passati in sapienti sintesi di semplicità, funzionalità, tecnologia evoluta, human-touch.
Acquisti essenziali
L’estremo essenzialista del consumo risiede nel “costnothing”: l’abbassamento delle soglie di prezzo è esplosa in questa recessione, ma risale già a parecchi anni orsono e tenderà a consolidarsi.
La cultura del cosiddetto “Freesumerism” si concretizza in diverse tipologie di consumo: dai media (FreePress), ai servizi gratuiti di download dal web o dai cellulari, allo sviluppo dei mercati della moda supereconomici, ai voli prezzo quasi zero, allo scambio tra prodotti delle aziende ed informazioni da parte dei consumatori. Il trend, da tattica di marketing sta diventando un effettivo business model , rafforzato dal decrescente costo delle tecnologie, dal potere del net, nonché dalle ormai crescenti aspettative dei consumatori nella direzione del BOGOF (Buy One &Get One Free), come sostiene David Shaw di View. Il che comporterà uno slittamento nella valorizzazione dei prodotti verso offerte effettivamente premium, personalizzate, a forte connotazione emozionale ed esperienziale, che le imprese dovranno ingaggiarsi ad offrire in modalità sempre più creative ed effettivamente mirate.
La deriva essenzialista, al di là del no-cost, ingloba comunque la più generale razionalizzazione dei processi di acquisto a scapito della indifferenza al prezzo nella assai superata equazione high-price/high quality. Paradossalmente, il superfluo non viene escluso ma risemantizzato in una più oculata gerarchia di acquisto che “punta” alla massimizzazione del beneficio.
L’attenzione all’ambiente entra a fare parte integrante di questo schema : più raramente come motivazione ideologica, per lo meno in Italia, con sempre più forza come fattore di saving, sia per risparmio nel prezzo, sia per economie di costo, di spazio, di tempo.
La riduzione del packaging, l’offerta di prodotto sfuso, i prodotti multifunzionali e all in one, ma anche i nuovi negozi anti-recessione con offerte mixate e mirate a esigenze primarie (dal riparare una bicicletta alla consulenza finanziaria), il ripristino delle micro sartorie urbane a supporto del riciclo, rientrano felicemente in questa logica.
L’essenzialità integrante di benefit diversi non riguarda solo le commodities : nell’housing si moltiplicano i progetti di case prefabbricate, economiche ed eco-compatibili, o complementi di arredo ad alto risparmio energetico e salva spazio – ad esempio i bagni Roca, che saldano in un unico corpo lavandino e toilet sfruttando, per questo, l’acqua utilizzata in quell’altro. – E, a proposito di acqua, stavolta bevibile, un’eloquente iniziativa a livello amministrativo: entro pochi anni la nuova società municipalizzata per la rete idrica di Parigi fornirà ai cittadini un servizio di acqua corrente dal rubinetto, ma gasata – massima essenzialità “sostenibile” del canale e qualità gratificante nel contenuto –.
I consumi alto di gamma si svestono di orpelli puntando all’essenziale, che significa in questo caso qualità superiore con connotazioni non convenzionali, eccezionali, fuori dall’ordinario, arricchite da valori di fungibilità e accessibilità.
Emblematica la ristorazione, con la moltiplicazione dei ristoranti “No Frills”, né sinonimo di low-cost né di rinuncia alla ricercatezza gastronomica, ma più semplicemente “luoghi del gusto”, a volte spazi mobili, mutanti, ma dove l’esperienza emozionale trova il suo punto essenziale nell’esaltazione dei sapori. E’ il caso del Dessert Truck di Jerome Chang, che si muove up&down Manhattan offendo ai clienti dessert a 5 stelle da gustare on the road o da portare nel proprio salotto; o di “Skittle-evolved cuisine”, altra cucina itinerante dedicata
agli appassionati del cibo stagionale e locale; o del De Kas di Amsterdam, ristorante nato in una serra del 1926 destinata alla demolizione, che utilizza ingredienti semplicissimi ma di grande valore.
Nell’industria della bellezza si punta alla purezza, anche qui con l’utilizzo di prodotti essenziali e purissimi basati su formule arcaiche, come le ricette degli sciamani del Sud America, o l’acqua sacra di Kirishima di origine vulcanica e conosciuta in Giappone dal 1600; ed ormai, l’essenzialità del “bio” si può trovare nella offerta dei profumi.
Anche nella vita quotidiana serpeggiano esempi di alleggerimento dei consumi in funzione del mix risparmio/compatibilità ambientale, in cui si inseriscono culture di tipo naturalistico. Esempio eclatante, i prodotti per l’infanzia, tra cui spicca il rifiuto (ancora molto limitato ma significativo) del pannolino. Gli esperimenti in atto anche in Italia ci parlano di un trade-off positivo tra risparmio per la famiglia, diminuizione dei rifiuti domestici, e (l’inevitabile) tempo impiegato nel lavaggio del cotone. Ma questo si inserisce in comportamenti “essenzialisti” più generali sull’infanzia: dalla abolizione del ciuccio, alla riedizione del parto in casa, all’allattamento prolungato. Non si impensieriscano, comunque le imprese che si occupano dell’infanzia: mai come oggi il baby factor comporta crescenti investimenti delle famiglie, che tanto più intensi saranno, quanto più potranno soddisfare nuovi bisogni con soluzioni razionali senza sprechi.
LifeStyle essenziali
In questo periodo di recessione economica si è sedimentata un’attitudine con cui coabitiamo da decenni, per caso o per necessità: la convivenza degli opposti, high & low,in cui prevale il gusto della mescolanza. Qui ora la ricerca dell’essenziale significa rafforzare i fattori di originalità che sottolineano la personalità di un prodotto o di un progetto: in cui assume un ruolo importante la ripresa delle abilità manuali in modo estensivo, come espressione di una cultura metropolitana che interpreta la penuria in maniera creativa e sostenibile, integrando elementi della tradizione o dell’ambiente naturale/rurale per arricchirne i contenuti. Per Li Edelkort, nel design e nella moda l’handcraft è addirittura il “più grande cambiamento degli ultimi anni”: i ricami, le rifiniture artistiche, tessuti e trame preziose.
In Italia, alla XX Biennale dell’artigianato sardo, 32 designer a livello internazionale collaborano con 60 laboratori artigiani dell’isola per la reinterpretazione dello spazio domestico tradizionale secondo nuove modalità di confezionare il fatto a mano : materiali come corallo, ceramica, sughero, giunco, asfodelo, per oggetti dal linguaggio cosmopolita.
L’impronta creativa del singolo definisce in modo nuovo il concetto di mescolanza, in cui l’abilità ed il piacere consistono nel combinare e selezionare in base ai gusti personali Un esempio: Marteen Baas, designer emergente, parla del suo concetto di casa come di “armonia casuale” : le modalità di arredo sono equiparate alle proprie modalità di preparazione del cibo, con la combinazione di elementi diversi che alla fine regalano un effetto che “sa di buono”.
Nel beauty, ma anche in altre merceologie, il desiderio di mix mediato dalla soggettività individuale si esprime nell’interesse dimostrato all’offerta di range ten-
denti all’infinito, capaci di sintetizzare componenti ludiche e funzionali – come le 250 nuances della nuova gamma trucco di Fred Farrugia organizzate in un packaging less, modulare, maneggevole, funzionale, semplice nella realizzazione pur nella ricchezza del concept che lo informa – .
Questo rinnovato senso della identità personale – non diretta da modelli “altri”, sempre comunque praticata con l’adesione al consumo, purchè filtrato e ricomposto secondo il senso del proprio self e delle nuove compatibilità – trova riscontro sociale nella riscoperta del valore del territorio.
Il contatto e la riscoperta del territorio riguarda sempre più le abitudini di vita quotidiane, i progetti metropolitani, sociali, familiari. Rispecchia esigenze di prossimità, socializzazione solidale, economizzazione delle risorse comuni, recupero del rapporto con la terra, i ritmi della natura, i sapori originari – essenziali.
Si parla molto di “città rurale”: idea base, il riavvicinamento dei due contesti, città e campagna. Da un lato, con la rivitalizzazione delle campagne che grazie alle possibilità di interconnessione tecnologica, nonché all’utilizzo di energie ecocompatibili, si renderanno sempre più appetibili per transfughi urbani (li chiamano rural chic ); dall’altra, con il recupero dell’“anima verde” nelle metropoli: ripristino di zone abbandonate, salvaguardia di terreni agricoli suburbani e dentro la città; crescita di una nuova agricoltura domestica urbana che utilizza il “fai da te” supportato da strumenti e tecniche innovative.
Sempre inseguendo il filone del “vicino”, nella vita di tutti i giorni avanza la filosofia “small”. In senso funzionale, affettivo, simbolico, significa offrire nuovi significati
agli oggetti quotidiani, valorizzare le attività semplici, scoprire il “piccolo”, e le micro-emozioni che sollecita.
Il design contemporaneo si applica con sempre maggiore dedizione agli oggetti di uso quotidiano, premiando la semplicità, l’accessibilità, la modularità, la capacità di spiegare la loro funzione in maniera intuitiva, ovviamente l’ergonomia e la sostenibilità nella scelta dei materiali, delle forme, dei colori: il negozio di Jasper Morrison seleziona per lo più prodotti semplici e anonimi ma utili e funzionale, destinati a durare nel tempo; nei “Piatti ritratti”, Bob Noto, riempie la sua arte astratta con la sostanza di materie prime raffigurate in modo realistico e senza artifici, in una visione naturalistica in contrasto con il food design di qualche anno fa; e anche il Reader’s Choice Award di Wallpaper premia quest’anno solo oggetti pratici, funzionali, ma eleganti.
Probabilmente si tratta di una tendenza di lungo periodo, che vedrà ingaggiati i designer nella soluzione delle micro-esigenze della vita quotidiana.
Non solo i designer, a dir la verità, si occupano dello “small”, ma anche le Amministrazioni Pubbliche: a Chiaverano, un paese del Piemonte è stato recentemente istituito un Assessorato alle “piccole cose”: servizio sempre aperto al pubblico per risolvere i problemi quotidiani dei cittadini. Dopo un primo momento di sconcerto per la funzione considerata un po’ riduttiva, ora l’Amministratore in carica appare abbastanza compiaciuto dal successo della iniziativa: sommerso dalle richieste.
Estetiche essenziali
Èl’estetica del meno, della sottrazione, della riduzione, della pulizia formale. La ricerca di codici alleggeriti pervade molti settori merceologici, nella struttura dei prodotti e nei linguaggi comunicativi, anche se a volte mascherata da una ricchezza espressiva che altro non è se non l’incrocio tra geometrie variabili.
I codici del less sono i volumi ben definiti, l’assenza di discontinuità nelle superfici, la riduzione degli eccessi decorativi, i materiali iper-performanti e flessibili, ricchi come il Corian o il vetroresina, poveri come la carta ed il cartone.
Si tratta di una essenzialità parlante e significativa, non formalista e glaciale, che tiene conto di bisogni e desideri diffusi ed integra il concetto di armonia con la persona e l’ambiente circostante.
Per la haute couture del prossimo anno circolano parole d’ordine come “look quieto” e “understated”, la valorizzazione dei capi per tutti i giorni; la sobrietà alla portata di molti ; l’equilibrio nella simmetria, precisione dei tagli, o, a bilanciamento, un’assenza totale di struttura che consente al corpo la libertà di disegnare forme sciolte ; la sartorialità come richiesta di un abbigliamento elegante, pulito, ben fatto. I colori sono l’assenza di colore, le nuance, i pastelli smorzati, gli scuri che si sublimano prendendo come spunto le palette degli artisti.
Ma soprattutto il recupero della classicità sembra una delle declinazione più significative dell’estetica essenziale. Se ne fa espressione la Maison Gucci, che si distanzia dalle espressioni di ostentazione per reinterpretare gli anni 70’, quelli della crisi del petrolio, che hanno generato canoni vestimentali all’insegna della linearità e per questo sempreverdi. Ed al tempo la stessa casa sviluppa, nella nuova boutique
allo Shangai International Shopping Center, una nuova estetica architettonica basata sull’illuminazione naturale, l’uso di strutture ed elementi lineari, di materiali naturali e classici, come marmo e vetro, che crea un effetto di minimalismo in nuova versione per il gioco di contrasti. Sulla stessa lunghezza d’onda sembrano le release di nuovi profumi che si focalizzano sul concetto di “tempo” come massima espressione del lusso essenziale: Scent One: Hinoki, rimanda all’armonia tra tempo e natura tipica dei giardini orientali; “l’Essenza del tempo” di Trussardi, inclina alla “slow fragrance” concentrata in una bottiglia linear-concettuale.
Nella molteplicità delle espressioni del nuovo minimalismo, colpiscono alcuni oggetti molto particolari: come l’orologio digitale di Vadim Kirbadim, costruito con solo quattro cifre appoggiate al muro, che si autoalimenta con la scansione delle ore e muta il colore dei numeri in funzione della luce esterna; o gli arredi rigorosamente in cartone per inventarsi mobili che si montano, si smontano e si stoccano in microspazi, per case nomadi e trasformiste.
Al polo opposto dell’offerta, quella mass market, l’essenzialità “sostanziale” interviene nelle funzioni dei prodotti e nel loro packaging.
Negli USA già da qualche anno sta galoppando il trend della semplificazione negli ingredienti e nelle etichette dei cibi (2005-2008: l’uso della parola “semplice” aumenta del 64.7%).
Ma la semplificazione acquista valore soprattutto all’insegna della praticità, che significa facilità nell’uso, fungibilità, trasportabilità, conservazione, e che sempre di più dovrà esprimersi ed essere comunicata attraverso le diverse componenti della confezione. Ne sono un esempio re-
cente i farmaci di Help Remedies, con un packaging appunto essenziale in quanto focalizzato sulla semplificazione del layout, e sull’evidenza delle applicazioni, l’utilizzo di materiali bio-degradabili.
Ed invece su fronti ancora poco evidenti, con manifestazioni striscianti, il codice che forse più ci intriga sul quadrante della essenzialità: il “raw”, l’organico, la crudezza di materiali imperfetti e puliti, combinati con tecnologie sofisticate e performanti.
Per noi, ben chiude questi pensieri, come estrema sintesi delle estetiche essenziali, che oggi combinano elementi strutturalmente diversi tra di loro ma rispondenti alla stessa logica: l’uso della pietra grezza o del legno in oggetti e costruzioni tecnicamente molto evoluti, i supporti “touch” senza sistemi di regolazione evidenti, - superfici materiche “pure” animate da superfunzioni - , tessuti naturali come lino o cotone mischiati con materiali bioplastici o sintetici rigenerati, chimica eco-friendly al servizio della espressività immaginativa, del comfort, della sostenibilità: una fonte inesauribile di innovazione per riportare benessere nella vita quotidiana.
Tanti cari auguri di Buon Natale 2010 e Buon Anno 2011
“....Il battello attracca nel porticciolo di Arwad, modeste case di pescatori si affacciano sulla darsena, un intrico di strette viuzze permeate dei profumi tipici dei porti d’oriente e, più in fondo, nella piana boscosa pascola un branco di candidi orici e si intravede quel che rimane delle mura che proteggevano la città; isolati anche i resti di un castello crociato, oggi sede del piccolo museo locale.
Arwad, unica isola della Siria, deriva il suo nome dal termine fenicio che significa “rifugio”.
Fondata dai Fenici intorno alla metà del III millennio a.C. e costruita secondo un preciso progetto architettonico, come testimoniano le dettagliate descrizioni di Strabone dei suoi “alti Palazzi”, è stata caratterizzata nel tempo da eventi straordinari che ne hanno segnato la storia: nel suo ruolo di “fortezza naturale”, diviene uno strategico centro commerciale in grado di esercitare il controllo sui vasti territori della fertile regione circostante, fino al 333 a.C. quando, con la conquista di Alessandro Magno di tutto l’Oriente, inizia la sua decadenza, causa lo spostamento delle vie del commercio e la costruzione di numerosi porti artificiali alternativi.
Ora non è visibile quasi nulla dei monumenti che hanno caratterizzato la storia di Arwad nel corso dei secoli, come il santuario di Zeus di età romana o i luoghi di culto di dei Fenici: Melqart, Eshmun e Astarte (Astarea per i romani).
Chiudo gli occhi, inspiro il profumo delle ginestre, e d’incanto... il porto si popola di marinai fenici e commercianti di rossa porpora, la porta del tempio di Astarte appare nella sua maestosa imponenza, le colonne del colore dell’ambra si stagliano nel cielo di Siria e, in fondo, la cella sacra.
È bastato un piccolo altare votivo in un angolo del museo per far rivivere tutta l’antica grandezza di questa potente città.
Resti che tuttavia reclamano ancora la presenza della loro regina: imponenti e orgogliosi non si arrendono al tempo proprio come Astarte...
In copertina la stilizzazione di un’ara votiva ad Astarte, dea protettrice della città di Arwad
Costruire sull'identità.
Orientarsi tra i segni.
Laura Cantoni Giorgio Villa
Introduzione
Logopolis: Heritage...
Logopolis: Contemporaneità...
Logopolis: Progetto...
Anche quest’anno intendiamo offrire ai nostri amici un piccolo pensiero augurale, frutto delle nostre osservazioni sul cambiamento socio-culturale e sulle sue ricadute nel mondo dei consumi.
Ci siamo soffermati sulla trasformazione che stanno affrontando alcune città nel mondo
È ben conosciuto il processo di urbanizzazione nel pianeta: per la prima volta nella storia, metà della popolazione globale risiede nelle città; entro il 2050, le persone che abiteranno in aree urbane saranno 7 su 10.
La gravitazione verso i nuclei urbani che a livello macro riguarda soprattutto i vasti flussi migratori verso le megalopoli dei paesi emergenti, pare interessare in modo specifico le città medio-piccole che, per caratteristiche proprie, ubicazione, fattibilità dei piani strategici, distribuzione sul territorio, si propongono come alternativa quanto ad opportunità professionali e qualità della vita. Il fulcro della nostra osservazione consiste però nella particolare cifra assunta da alcune città nei loro processi di trasformazione: stanno lavorando in chiave di Branding.
L’idea della Logopolis bene trasferisce, a nostro parere, il concetto: città che crescono come se fossero marche. Questa lettura, atipica nel parlare dello sviluppo urbano, si fonda sul parallelismo tra gli indirizzi evolutivi delle città e i comportamenti delle imprese marketing oriented.
Il nucleo dell’affinità consiste nella messa in opera di posizionamenti distintivi, che consentono riconoscibilità e desiderabilità – un lavoro che integra risorse economiche, intelligenza strategica, sguardo prospettico e sensibilità alle esigenze espresse dalla popolazione –.
In questa integrazione cambiano di volta in volta i pesi del rapporto tra pianificazione e crescita organica, cioè tra scelte di sistema e l’intento di assecondare la crescita fisiologica attraverso un controllo debole da parte della Pubblica Amministrazione.
Così come, nel marketing più evoluto, sempre di più si tende a connettere le esigenze della strategia con l’attenzione alle tensioni spontanee circolanti nel sociale e nel locale.
Studiando questi casi, viene quindi spontanea una lettura ispirata ai criteri interpretativi che utilizziamo nel nostro lavoro quotidiano di ricerca e consulenza di marketing, quali elementi chiave di rafforzamento della marca: l’ancoraggio alla Heritage e l’aggancio alla Contemporaneità.
L’ancoraggio alla Heritage
Ogni marca possiede elementi identitari storicamente fondati, e questo vale non solo per le grandi marche industriali e internazionali, ma anche per le imprese medio-piccole che costituiscono l’ossatura di molte economie locali e sicuramente della struttura produttiva italiana nel suo complesso.
L’ Heritage della marca sono le sue componenti fondative tangibili e intangibili, quelle che ne hanno permesso la nascita, ne hanno informato la crescita, anche se sono rimaste sovente sottotraccia.
Il criterio dell’Heritage è tenuto in ampia considerazione nello sviluppo delle città Branding. Diversamente rispetto a molte megalopoli che hanno tentato scarti rispetto alla tradizione lavorando per accumulo di elementi totalmente nuovi soprattutto sul piano architettonico, queste città medie hanno lavorato per coordinazione, ridefinendo il loro assetto su elementi costitutivi dell’identità originaria : tener conto delle radici risulta funzionale a capitalizzare competenze e risorse, garantendo la possibilità di riconoscersi nel nuovo.
L’Heritage della città ha quindi costituito il nucleo portante, poi declinato su altri fattori, e cioè quelli della Contemporaneità.
L’aggancio alla Contemporaneità
L’Heritage delle città Branding scivola sui valori della Contemporaneità che consentono di costruire progetti concreti in risposta ai nuovi bisogni della comunità, ai fattori dello sviluppo economico, all’esigenza della città di porsi come polo di attrazione per i diversi interlocutori nazionali e internazionali (dalle comunità scientifiche alle istituzioni politiche, economiche e sociali).
L’aggancio alla Contemporaneità funge da deterrente alla fissazione sulla “urbanizzazione della memoria” e quindi consente l’apertura nei confronti di nuove estetiche, esigenze di funzionalità, relazioni tra i soggetti pubblici e privati.
L’aggancio alla Contemporaneità offre gli stimolichiave per definire territori di sviluppo innovativi nel disegno architettonico, nella ri-definizione degli spazi, nella allocazione delle attività, nella organizzazione delle infrastrutture.
L’aggancio alla Contemporaneità fornisce anche le coordinate in cui inscrivere questi territori, come ad esempio la conciliazione tra produzione di ricchezza e qualità della vita; la creazione di reti di sistema atte a convogliare i saperi di attori diversi su scopi comuni; l’applicazione delle tecnologie in funzione di obiettivi strategici; l’interazione tra i cittadini, le loro rappresentanze, l’Amministrazione locale, il Governo centrale e quello plurinazionale.
La via al Progetto
Ancoraggio all’Heritage e aggancio alla Contemporaneità consentono a queste città di identificare posizionamenti rilevanti e distintivi. Parliamo ad esempio di sostenibilità, di cultura, di connettività, di ricerca, di tecnologie, di qualità della vita, di integrazione sociale eccetera.
Le città trovano quindi aree di significazione caratterizzanti che tendono a permearne lo sviluppo nella sua complessità.
Beninteso, non si tratta di un impegno univoco su un unico asset. Il pensiero strategico applicato ad un agglomerato urbano che si considera evoluto lavora ormai trasversalmente su più fronti: l’architettura, gli spazi per la socialità, la viabilità, le strutture per l’educazione/l’istruzione, i quartieri, le politiche energetiche – giusto per citare alcuni fattori ricorrenti –.
La specificità di queste città, che hanno sollecitato la nostra attenzione, è l’avere assunto un terreno di lavoro prioritario, sul quale sono state declinate le altre diverse istanze della ridefinizione del territorio e delle attività urbane.
E l’interesse di questa operazione consiste proprio nella capacità di non dimenticare ed anzi di valorizzare i “fondamenti” della identità cittadina, per traghettarli su fronti innovativi e per molti aspetti inediti.
Freiburg in Breisgau: la città solare
Al confine tra Francia e Svizzera, Freiburg è una tranquilla cittadina di oltre duecentomila abitanti ai margini della Foresta Nera, immersa nel verde e circondata di montagne, sede di una università antica e meta di una vivace popolazione giovanile.
Freiburg vive da sempre un atteggiamento protettivo nei confronti della natura, che è il suo Heritage forse più profondo.
Negli anni ’70 la prospettiva della costruzione di una centrale nucleare genera un movimento di opinione trasversale ai diversi ceti economici e sociali, che si traduce nel rifiuto, condiviso ed interiorizzato sia dai cittadini che dall’Amministrazione locale.
L’Heritage naturalistico interpreta quindi una contingenza contemporanea e suggerisce una scelta strategica di sostenibilità ambientale che oggi è diventata il posizionamento competitivo della città.
Pilastri della politica cittadina, il risparmio energetico e l’attenzione alle energie di fonte rinnovabile nel ferreo rispetto del protocollo di Kyoto, a cominciare dal risanamento del centro storico e la costruzione di quartieri modello come Vauban e Riesenfeld.
La scelta della sostenibilità diventa un asset distintivo che permea le scelte economiche, architettoniche, infrastrutturali, sociali, culturali: alla base, l’utilizzo e la produzione di un ampio spettro di energie (biomasse, eolica, idroelettrica e, soprattutto, solare) guidati da centri di progettazione e da istituti di ricerca specializzati.
Di qui: le “case passive”, edifici che grazie ad adeguate tecnologie costruttive (pannelli fotovoltaici, per il solare termico, etc...), riescono a produrre una quantità di energia superiore a quella utilizzata; lo stadio “solare”, primo impianto di questo genere in Germania, dotato di pannelli fotovoltaici che permettono un risparmio di tonnellate di biossido di carbonio; la “Solar Fabrik”, costruita rispettando rigorosamente i principi della bio-climatica; mobilità integrata (500 km di piste ciclabili, 2.000 km di tram e a Vauban 60 auto ogni 1000 abitanti). E tutto questo ha generato anche un mercato turistico green – dagli hotel ecologici, ai Solartur, percorsi didattici e formativi a tema organizzati da Aiforia, l’agenzia per lo sviluppo sostenibile di Freiburg –.
Giustamente si parla di sistema friburghese : una città-marca capace di unificare la gamma dei suoi prodotti, i diversi ambiti della struttura urbana, all’insegna della protezione ambientale.
I prodotti/ambiti a loro volta rafforzano il sistema-marca grazie alla produzione di valore guidata da una forte Vision.
Lille métropole: la piazza glocale
Più che una città, Lille métropole è un vasto tessuto urbano che si estende anche oltre il vicino confine belga, a forte carattere policentrico, protagonista di un esemplare sviluppo pianificato e sostenuto dalle Istituzioni francesi e dall’Unione Europea ma, soprattutto, ampiamente condiviso dalla comunità dei cittadini.
Quest’area nasce strategica per la sua collocazione di confine e per la presenza di risorse minerarie; lo sviluppo del settore tessile ne consente la vigorosa industrializzazione nell’800, rendendola punto di richiamo dei ceti operai da tutta Europa.
La combinazione delle tradizioni, fiamminga e francese, rafforza la sua vocazione di città aperta ma anche ancorata al patrimonio culturale locale.
Pure in questo caso, da metà degli anni ’60 la crisi del tessile, settore chiave della regione, unita alla successiva crisi petrolifera sanciscono il declino economico della regione e della città.
Ma alla fine degli anni ’80 si avvia una decisa riconversione, basata da un lato su corposi investimenti e progetti istituzionali, dall’altro sulla forte delega dell’Amministrazione centrale a quella locale, e dall’altro ancora sulle strategie di cooperazione transfrontaliera tra i comuni limitrofi gravitanti nell’area.
Nel contesto delle politiche europee, ed in particolare dalla cooperazione tra Francia, Belgio, Olanda e Germania, Lille viene valorizzata dallo sviluppo di infrastrutture come il TGV che unisce Parigi alla Renania, dall’apertura nel ’94 della stazione Lille Europe e del terminal Eurotunnel; dal finanziamento congiunto della Municipa-
lità, Stato francese, Regno Unito, del centro di affari internazionali Euralille; dall’inserimento di alcuni quartieri nell’ambito del programma di riqualificazione urbana creativa e partecipativa Urban 1.
Al tempo stesso vengono avviati poderosi progetti focalizzati sulla transizione ai servizi e all’economia della conoscenza. Alcuni esempi: il centro Eurosantè, finalizzato alla biologia e alla sanità, che integra università, ospedali, scuole ed imprese specializzate; il Site de l’Union, che si impegna a rinverdire la sua vocazione industriale come polo tessile integrando le imprese manifatturiere e artigianali con quelle del terziario – grafica ed imaging in primo luogo –, e in particolare Le Fresnoy, polo per la formazione artistica ed audiovisiva.
L’attribuzione nel 2004 del titolo di Capitale Europea della cultura non solo a Lille ma a tutto il distretto, ha sancito il riconoscimento ad una particolare “via” alla ricostruzione urbana e territoriale: valorizzazione della connettività per stimolare lo scambio e la rielaborazione culturale attraverso un modello di sviluppo supportato a livello globale (Amministrazione centrale, Ue), ma fortemente partecipato e gestito a livello locale.
Liverpool: il palcoscenico urbano
Una città con un’antica vocazione commerciale, il più grande porto dell’occidente nel trasporto dei passeggeri e delle merci con New York e gli altri porti del Nord America.
Nel dopoguerra subisce decenni di declino, punita dall’arrivo dei container che dirotta le navi su altri porti come Rotterdam ed Amburgo e, come e più di altre città del Paese, dalla subalternità alla potente egemonia londinese.
Ciò nonostante, a partire dalla seconda metà degli anni ’90, la città si rilancia con uno scatto che punta sul mix di arte ed architettura contemporanea, sapientemente inserite nell’Heritage della tradizione portuale unita al prestigio dei suoi palazzi edoardiani: si posiziona come un polo attrattivo di terziario e cultura, strategicamente orientato a ristrutturare il centro storico e a riqualificare le periferie.
La città lavora alacremente sulla produzione culturale con istituzioni come la Fact (Foundation of Art and Creative Technology), e la Tate Liverpool; con la musica e lo sport che trovano sedi ardite nella Liverpool Eco Arena e nel BT convention Centre dall’ avveniristico design a forma di granchio-nave; con la Biennale, uno dei più importanti festival di arti visive che proprio nella edizione 2010 ha proposto oltre cento opere di artisti provenienti da tutto il mondo disseminate per le strade e negli spazi pubblici.
Permane, come memoria del passato, ma con una forte capacità di richiamo turistico, la leggenda dei Beatles, che marcano svariati siti oggetto di mete: dall’ Hard Day's Night Hotel, completamente decorato a tema Beatles, con ovvie suite intitolate a John Lennon piuttosto che a Paul Mc Cartney; al Magical Mistery Tour, un circuito sulla
«via dei Beatles» in una trentina di tappe; al locale (la «Cavern») dove hanno suonato centinaia di volte in due anni; ed ovviamente il museo dei Beatles, che traccia i momenti e i luoghi salienti della loro vita e carriera.
La città lavora creativamente anche sulla riorganizzazione urbana recuperando le aree depresse del riverside, con una duplice scelta: integrazione – un nuovo polo fieristico, strutture residenziali ed aree commerciali nei pressi del centro storico – e riconversione della identità marginale del King’s Waterfront in cuore pulsante della città e suo landmark : area caleidoscopica in cui architetture masterpiece si mischiano agli edifici antichi creando spazi-funzione inusuali e di forte impatto.
Nasce un palcoscenico urbano dalle multiformi e sorprendenti prospettive che materializza il ricordo del passato e insieme le esigenze di un sviluppo all’insegna della bellezza e della cultura
Pittsburgh: il rinascimento high-tech
Era la “Steel City”, per antonomasia: una delle capitali mondiali dell’acciaio, con il suo incredibile take off a fine ’800 grazie ai giacimenti di carbone limitrofi e ad una felice collocazione fluviale, quarantamila abitanti nel 1860, oltre mezzo milione dopo le guerre mondiali che avevano ulteriormente incrementato la produzione siderurgica.
Protagonisti del successo, una borghesia da sempre orientata alla innovazione e alla ricerca , pronta ad investire in sviluppo di nuovi prodotti così come nelle università, ed un ceto operaio semplice e solido, entrambi con un forte senso della comunità: un Heritage sociale potente, che ha governato le sorti della città anche negli ultimi decenni.
Infatti negli anni ’70 il crollo dell’ industria pesante mina il suo “core-business”, e la crisi si radicalizza all’inizio degli anni ’80 con la deregulation delle Compagnie aeree e le ristrutturazioni della Grande Distribuzione.
A fronte di decine di migliaia posti di lavoro persi, l’abbandono degli abitanti, e una economia a brandelli, Pittsburgh si lancia velocemente in un piano di riconversione che intercetta nelle nuove tecnologie l’asset della ripresa
La contemporaneità dell’high-tech incontra la storica propensione delle grandi famiglie a finanziare università e fondazioni culturali, che con la loro progettualità diventano attrattori di fondi pubblici e capitali privati. Si attiva una pianificazione a lungo termine, basata su piani di investimento ed una business strategy concertati tra gli organismi amministrativi a livello centrale e locale, le università, le imprese.
La nuova identità produttiva di Pittsburgh si riorganizza intorno ai sistemi informatici avanzati, alle nanotecnologie, alla bioingegneria e alla ricerca medica universitaria che rende l’hub ospedaliero di Pittsburgh un centro di eccellenza.
La città ridisegna il suo look: l’atmosfera viene ripulita dall’inquinamento quasi-centenario, nascono aree verdi e spazi aperti, vecchie architetture rinnovate si intersecano con le nuove, si espandono gli edifici universitari e fioriscono i quartieri limitrofi; si ristrutturano vecchi insediamenti come il South Side Works, uno degli emblemi della nuova architettura urbana, e il Waterfront dove si installano ristoranti, centri commerciali, un grande cineama-teatro; l’archeologia industriale si trasforma in distretto artistico, con il Museo Andy Wharol, il Mattress Factory per l’arte contemporanea, il Tom Museum dedicato all’arte sperimentale, e il New Hazlett Theater, noto per gli spettacoli teatrali di avanguardia.
La vita urbana acquista nuova vitalità con la valorizzazione del turismo e una nuova dotazione di risorse ricreative e culturali.
Si è parlato di una città rebranding : ovvero, in termini di marketing, come uscire da una crisi di struttura inventandosi un nuovo posizionamento, sulla base di un solido DNA.
“Bolgheri
shire”
n Italia ci è sembrato significativo il caso di un’area in Toscana che ha vissuto negli ultimi anni uno sviluppo socio-economico notevole, guidato da un sapiente marketing territoriale
Si tratta di Bolgheri, in Alta Maremma, comune Castagneto Carducci. Il sito vanta storicamente il nobile dominio dei conti della Gherardesca, con il loro castello oggetto nel medioevo di vari attacchi di fiorentini e di imperiali. All’inizio del XVIII secolo il castello con i suoi possedimenti risorge per opera dei Conti, che diedero un impulso alle attività agricole, oltreché ad opere sociali e civili come la bonifica di alcune zone paludose, la costruzione di un orfanotrofio e di un acquedotto che rifornì di acqua potabile.
Il paese Bolgheri si è sviluppato attorno al castello, e immediatamente a ridosso della costa: un lembo di terra pressoché intatto di natura preservata, di opere d'arte, di prodotti genuini e di buona gastronomia, di botteghe dai sapori antichi.
Sulla base di questo Heritage – cultura antica del territorio ed imprenditoria nobiliare – ora Bolgheri e gli altri piccoli paesi della Costa degli Etruschi hanno rilanciato in modo nuovo attività antiche : caso paradigmatico di intervento delle Amministrazioni pubbliche locali con il coinvolgimento delle nobili famiglie, possidenti ed imprenditori.
Tutto comincia a metà degli anni sessanta con la produzione del Sassicaia del marchese Incisa della Rocchetta, diventato in breve uno dei vini Top al mondo. Poi arrivarono gli Antinori – con Ornellaia – quindi i Rothschild di Château Lafite, con la tenuta Rocca di Frassinello.
Oggi, in queste terre di confine tra le colline minerarie e il mar Tirreno, operano oltre duecento produttori di vini di qualità con molte giovani aziende, che hanno saputo conquistare mercati e riconoscimenti. Dopo il vino, è arrivata la produzione di olio, e la valorizzazione dell’enogastronomia locale nel suo complesso.
Questo volano ha innescato la crescita di altri settori, come l’edilizia, con la ristrutturazione di vecchie cantine, ville e casali da parte delle maggiori archistar nazionali ed internazionali; il mercato immobiliare, cresciuto notevolmente in valore; il turismo di qualità nazionale ed internazionale.
L’impulso alla economia locale si è integrato con interventi per la protezione del territorio (dall’oasi WWF “Padule di Bolgheri” all’arenile delle Cioccaie), e con iniziative culturali tra cui da ultimo, proprio quest’anno, la prima edizione del Bolgheri Melody, festival estivo di musica, cinema e teatro.
Radici antiche, modelli marketing oriented e, come nelle città più avanzate di Europa, la collaborazione tra i diversi soggetti privati ed istituzionali hanno quindi generato un potenziamento del territorio a 360° che può considerarsi un posizionamento forse non necessariamente pianificato come tale, ma fortemente espressivo di una identità di marca.
Branding brands...
Pochi esempi, ma potrebbero essercene molti altri: città che si comportano come marche perché lavorano su un patrimonio di identità per proiettarsi nel futuro definendo asset simbolici e funzionali, che ne caratterizzano – diremmo in gergo – la distintività nel quadro competitivo.
Probabilmente non sono processi totalmente pianificati e di cui gli attori siano completamente consapevoli, ma le logiche del Branding sono molto riconoscibili.
Come può accadere ad una marca – ed alla impresa che la sostiene – per queste città sono molteplici i driver che hanno scatenato la necessità di lavorare sistematicamente e prospetticamente su se stesse: minacce che mettono a rischio l’identità profonda (Freiburg), un quadro competitivo agguerrito che rende obsoleto il proprio prodotto (Liverpool), una particolare reattività a crisi globali che hanno intaccato il proprio core-business (Lille, Pittsburg), o anche solo l’identificazione di opportunità di diversificazione del proprio portfolio prodotti (Bolgheri).
Non solo: quella che chiamiamo la “struttura narrativa” della marca può illuminare il percorso che le città hanno praticato sullo stimolo di queste crisi, di struttura o di crescita a seconda dei casi.
Si sono date una nuova mission, potenziale perché colta nelle opportunità che offre la Contemporaneità, su territori che incrociano bisogni pregnanti (sostenibilità, cultura, connettività, ricerca, tecnologia, qualità della vita, eccetera).
Si sono basate su proprie competenze consolidate, quelle cognitive e simboliche radicate nell’Heritage, e si sono dotate di nuove risorse acquisite anche grazie alla ca-
pacità di attivare modalità relazionali anche nuove con e tra i diversi stakeholder dell’impresa.
Si sono mobilitate per performare e non solo progettare, ottenendo risultati visibili ed anche una crescita della reputazione.
Ma in particolare ci interessa questo paradosso : mentre le città si muovono in una prospettiva di Branding quasi da manuale, molte marche, quelle dei prodotti e dei servizi, stanno venendo meno al loro compito istituzionale.
La crisi sembra avere inchiodato molti uomini di marketing su tattiche a breve, stretti tra le pressioni degli azionisti e il minore potere di acquisto dei consumatori.
Il rischio del progressivo impoverimento della desiderabilità della propria offerta è facilmente intuibile: i consumatori comprano concretamente prodotti, ma continuano a relazionarsi con le marche, anche in tempi di crisi, se pure in modo diverso rispetto al passato. E non dimentichiamo che le marche più capaci di lavorare ed investire sul loro capitale simbolico ed emozionale hanno incrementato proprio in questi anni di crisi la loro forza, contribuendo alla equity delle proprie società.
Ma soprattutto, come si è visto, il lavoro di Branding è stato quello che ha permesso alle città di uscire dalla crisi e a volte, di non entrarci neppure.
Come si vede, l’attuale contingenza economica può provocare danni irreversibili: ma, come da più parti si sta dicendo, il coraggio di investire, anche in termini di Branding, può consentire di uscirne anche più forti.
Tanti cari auguri di Buon Natale 2011 e Buon Anno 2012
In copertina il simbolo della divinità fenicia Melqart, figlio del dio Baal e di Astarte.
Melqart è il Dio del Mare per i Fenici, poi definito Poseidon dai Greci e Nettuno dai Romani. Lo si collega anche ad Eracle, con le sue leggendarie fatiche e i suoi numerosi e avventurosi viaggi oltre l’attuale stretto di Gibilterra, ai confini del mondo conosciuto.
Melqart insegnò ai Fenici l’arte della navigazione e li guidò in quella che fu una vera e propria espansione coloniale. Da navigatore e imprenditore-mercante viaggiò in lungo e in largo tutto il Mar Mediterraneo, spingendosi anche nei territori dell’entroterra, alla ricerca di materie prime e beni da acquistare, e parimenti di mercati che potessero accettare i suoi prodotti.
In ogni tappa degli approdi fenici sono rimaste tracce dei vari templi a lui dedicati. Le rotte navali dei Fenici attraversarono 18 Paesi del Mediterraneo ed essi approdarono in ben 80 città tra Europa, Asia e Africa.
Il sapere pratico e “senso marino” sono fin dall’antichità gli strumenti indispensabili dei naviganti: riconoscere i venti, le correnti, l’evoluzione del tempo meteorologico e tutti i possibili segnali provenienti dall’ambiente marino.
Per questo il dio Melqart rappresenta la capacità di intercettare tendenze e segnali volubili, e di adattarsi a loro flessibilmente.
L’effige è una statuetta fenicia rinvenuta nel mare di fronte a Selinunte e conservata nel Museo Archeologico Regionale di Palermo.
Aprire nuove piste.
Orientarsi tra i segni.
Laura Cantoni Giorgio Villa
Introduzione
Il valore del Viaggio...
L’immaginario del Viaggio...
L’unicità del Viaggio...
Anche quest’anno intendiamo offrire ai nostri amici un piccolo pensiero augurale, frutto delle nostre osservazioni sul cambiamento socio-culturale e sulle ricadute nel mondo dei consumi.
Ci siamo soffermati sulle vacanze, ed in particolare su quel tipo di vacanza che sono i viaggi
Vacans, dal verbo vacare, significa essere sgombro, libero, senza occupazioni, prendersi un periodo di riposo, sospendere le attività quotidiane. Questo stato di relax è sinonimo di una condizione di libertà e assenza di prescrizioni che è ricca di nuove opportunità per l’individuo. Il viaggio amplifica quest’ultima componente della vacanza e la sua ragion d’essere, proprio nell’attesa di esperienze diverse dai rituali quotidiani.
Il piacere del viaggio è uno dei principali trend socio-culturali degli ultimi tempi, anche se la crisi ha obbligato a notevoli tagli delle spese per le vacanze, e non è possibile prevedere al momento quanto le attuali criticità economico-finanziarie potranno impattare sul settore.
Tuttavia dati tendenziali a livello planetario parlano di una nuova crescita, guidata dai paesi emergenti sia come area di provenienza sia come destinazione, ma anche sostenuta da positive previsioni di viaggi tra i consumatori americani e quelli europei. L’Italia pare avvantaggiarsi di questa tendenza, con un discreto incremento nel 2011 del traffico turistico internazionale incoming.
Lo sviluppo del turismo si accompagna a cambiamenti profondi nell’esperienza di viaggio, che sintetizzano i bisogni emergenti dei consumatori e le offerte innovative da parte degli operatori. I nuovi concept di viaggio
in effetti rispecchiano le tendenze nella vita degli individui e delle comunità rispetto al modo di vivere il denaro, la socialità, i luoghi, il tempo, gli ambienti, il corpo.
Dalla nostra mappa Andare a tempo®, i trend più coerenti con il mondo del viaggio attuale : Downsizing – low-cost non rinunciatario; Caring – benessere unito al miglioramento del self; Socialetics – sostenibilità nei comportamenti quotidiani dei singoli e delle collettività; Sensation seeking – la ricerca di emozioni a livello percettivo, psicologico, culturale.
Il viaggio, in queste sue nuove modalità espressive, si connette così profondamente all’immaginario collettivo, da generare notevoli potenzialità. Per i territori, in quanto il turismo dovrà sempre più essere considerato una risorsa prioritaria delle economie nazionali, e l’Italia si trova in pole position se ben governata al riguardo; per le Amministrazioni Pubbliche, come potenziali fornitori di servizi legati alle comunità; per le imprese di settore, che già da ora stanno assecondando e anticipando con creatività i nuovi trend; per le imprese extra-settore (ad esempio la cosmesi, l’alimentare, l’abbigliamento, anche i beni durevoli), che possono intercettare delle opportunità nella produzione di nuovi prodotti o servizi ad hoc o in politiche di co-branding
Downsizing: oculatezza
e valore
In questo periodo di crisi il consumatore è costretto a notevoli cut nei viaggi: i dati parlano di una diminuzione della frequenza, sicuramente per l’Italia ma anche per altri Paesi, con l’orientamento a tagliare le vacanze brevi e ad accorciare la durata media.
Tuttavia le aspettative nei confronti del viaggio non calano, fondate in una sempre maggiore attesa di valore, varietà e ricchezza di esperienze che peraltro riscontriamo in numerosi altri comportamenti di consumo, crisi nonostante.
Si moltiplicano le occasioni e i motivi per concedersi un viaggio: lo straordinario impulso e le opportunità offerte dalla Rete fanno parlare di acquisti non pianificati, flash deals anche in questo settore, legati a Gruppi di Acquisto e promozioni temporanee, secondo una logica che riguarda ormai tutte le aree del consumo, dai prodotti mass market alle griffes.
Le restrizioni di budget delle famiglie si combinano con le strategie degli operatori che, anche grazie alle nuove tecnologie, rinnovano le politiche di pricing ma non solo, per rispondere a un consumatore attento al value for money ma anche orientato a massimizzare i benefici soggettivi ed oggettivi, come standard di comfort nella mobilità e un’ offerta che non trascuri valore del prodotto, qualità del servizio e delle strutture.
Si consolidano nuovi comportamenti e tendenze probabilmente irreversibili, se pure in previsione di un alleggerimento dell’attuale tensione finanziaria.
Un esempio: su impulso del low-cost (che si è sviluppato del 18% all’anno dal 2004 al 2009), aumentano
i viaggi in aereo. Alle richieste degli utenti di una maggiore accuratezza del servizio a bordo e nei processi di prenotazione, le compagnie americane rispondono con un up-grading dell’offerta, come wifi a basso costo o free, bonus per i gruppi, possibilità di scelta del posto.
L’on-line soddisfa le esigenze di saving, per la possibilità di prenotare viaggi in Rete spesso con risparmi sulle tariffe, ma anche con un nuovo scambio: ad esempio, tra risparmio sul prezzo dell’hotel e la valutazione di strutture e servizi di accoglienza – insomma un mistery guest a vantaggio di tutti.
L’esigenza di incorporare valore nel low-cost viene assecondata dallo stop over, cioè l’offerta da parte di alcuni tour operator e compagnie aeree di una sosta volontaria in una città di scalo nell’ambito di un itinerario di volo. L’ottica promozionale del due al prezzo di uno, con un piccolo sovrapprezzo per servizi come l’assistenza aeroportuale o tour organizzati o l’airport transfer, assume una duplice utilità: da un lato ottimizza il servizio per il Cliente, dall’altro sostiene altri soggetti minori che operano su tratte internazionali, catene alberghiere, enti del turismo e tour operator locali. Il budget constraint diventa occasione per fare rete ed avvantaggiare al tempo stesso i diversi Operatori.
Se l’ospitalità low-cost da anni vede lo sviluppo dei bed&breakfast, effettiva opportunità per l’offerta e la domanda e ora in crescita esponenziale anche in Italia, sul tema si diffonde a macchia d’olio il couch-surfing. Progetto software nato nel 2003, da modalità di saving si trasforma ora in un potenziatore di relazioni , offrendo la possibilità di conoscere in modo diretto persone, luoghi e culture in tutto il mondo.
Caring: le nuove vie del
benessere
Al di là della ben nota origine nelle spa, il turismo del benessere assume ora un approccio più integrato, che comprende diverse tipologie e finalità: migliorare il corpo, cercare uno stile di vita più bilanciato, imparare a vivere in modo sano, ad alimentarsi correttamente, a gestire lo stress, a ripristinare il proprio stato di salute, ad allungare le prospettive di vita. Alle cure di bellezza si aggiungono altre attività.
Crescente l’interesse per le vacanze “attive”, centrate sulla consapevolezza del rapporto stretto tra benessere e sport. In un’ottica più moderata, il turismo sportivo, motivato dall’esigenza di mantenersi in forma, combina il relax con attività come il golf o lo sci. In una prospettiva più dinamica, la cosiddetta rugged relaxation, duro relax, spinge nell’attività sportiva ad una prova con se stessi attraverso programmi che includono discipline orientate al massimo sforzo, come escursionismo, alpinismo, gite in kayak. La spa diventa di giorno un campo di addestramento e la sera un luogo di relax.
Recenti i “Centri di longevità” connessi con l’antiaging, creati allo scopo di predisporre una migliore qualità di vita man mano che il tempo passa, preservando la salute mentale, emozionale, affettiva dell’individuo. Offrono programmi completi di ginnastica mirata, alimentazione sana, cura della pelle, controllo medico.
I “Centri nutrizionali” si focalizzano invece sull’alimentazione, offrendo sani e speciali programmi dietetici, vegetariani, vegani, organici e crudità, con l’obiettivo di fare dimagrire/detossinare, meglio se in località esotiche, sempre secondo il principio, ormai un must e non solo nel turismo, di combinare l’utile con il dilettevole, il funzionale con il ludico.
Il “Turismo Medicale”, nato come micro-business, sta crescendo, prevedendo un flusso di 1.6 milioni di turisti solo negli USA. Le motivazioni sono molteplici: cure ad un costo inferiore, maggiore accessibilità e analoga professionalità. Gli interventi più richiesti sono quelli di chirurgia dentale o estetica, o terapie non disponibili altrimenti.
In molti Paesi, come ad esempio quelli scandinavi o asiatici, la finalità medicale si declina in una cultura del benessere locale che utilizza non solo prodotti del luogo, ma anche modelli di cura millenari integrati con trattamenti come bagni termali, talassoterapie, yoga o massaggi ayurvedici. In questa direzione si stanno promuovendo investimenti per sfruttare le risorse naturali del Paese, come in Corea, le acque profonde dell’oceano ricche di principi attivi.
In sviluppo anche le vacanze per gruppi familiari, con innovativi servizi family friendly, oltre ai tradizionali sconti e promozioni.
Le ferrovie svizzere hanno dedicato un ampio programma ai bambini, dalle carrozze treno dedicate e sicure per permettere loro di muoversi e giocare in libertà alle apps con fiabe e giochi per intrattenerli.
I TGV francesi ora mettono a disposizione delle famiglie una carrozza con animatori che coinvolgono genitori e bambini in giochi di società, laboratori interattivi, creativi, kit di colori, spettacoli, set di trucco, rendendo il transito in treno un’esperienza piacevole e rilassante.
Sensation seeking: il primato dell’emozione
L’interesse per la lunghezza del viaggio, in parte compromessa dai cut di budget, tende a cedere il posto alla richiesta di una maggior ricchezza di esperienze, con valenze emozionali.
Il “Geo-travel” implica un’esperienza di viaggio vissuta come unica ed autentica, con forti valenze esistenziali: viaggi slow, alla scoperta di itinerari inusuali e prima inaccessibili sia nelle città che sul territorio. E’ una tendenza particolarmente orientata agli oggetti, al cibo ed alle pratiche, culture e relazioni locali, che alcuni operatori incentivano con proposte inedite, come il Brasile, il Messico, la Bolivia, il Cile.
I Viaggi avventurosi, un tempo sinonimo di autogestione e improvvisazione nella definizione dei percorsi e nella ricerca degli alloggi, oggi diventano iper-organizzati, strettamente finalizzati a esperienze da brivido, che sovente ma non necessariamente implicano attività sportive come passeggiate sui ghiacciai, trail running, corsa sui sentieri impervi, canyoning, discesa a piedi di corsi d’acqua, freestyle con lo snowboard. Qui l’importante è provare emozioni forti, tra sfida e divertimento.
All’estremo opposto, il turismo che sollecita interessi e passioni, spesso da condividere: il Turismo culturale ed artistico. Anche in Italia aumentano le visite ai musei, il turismo archeologico trova sempre nuovi seguaci, emergente il turismo genealogico, sulle tracce dei propri antenati, attraverso percorsi alla ricerca di luoghi e persone capaci di dare notizie.
La forza delle origini, nella carenza di prospettive certe per il futuro, motiva l’esperienza conoscitiva a livello sociale e individuale.
A questa modalità di vivere il territorio si lega la tendenza, già consolidata ma in ulteriore espansione, del “City break”, vacanze brevi nelle città d’arte italiane ed europee. Negli ultimi tempi le città italiane sono state premiate da record di afflussi, grazie soprattutto alle presenze straniere – con americani, ma anche brasiliani e cinesi – che nei primi nove mesi di quest’anno sono aumentate del 4.7% rispetto allo scorso anno.
Il “City break” viene considerata una formula vincente perché permette di concentrare in pochi giorni e a costi ridotti più esperienze e interessi, nell’ottica, anche qui, di ottimizzare risorse scarse (economiche, di tempo), con una forte aggiunta di valore – mostre d’arte, festival letterali, filosofici, eventi musicali, saloni e fiere.
Dal punto di vista delle economie locali, città secondarie mai valorizzate possono acquistare nuova rilevanza nella rete dei circuiti che sempre più tenderanno a spostare un gran numero di persone: da qui i vantaggi per l’indotto, ma anche opportunità non da poco per le attività di sponsorizzazione culturale di imprese che non appartengono al comparto.
Il rapporto con il territorio diventa occasione di relazione per i fautori del Turismo sentimentale, che utilizzano la bicicletta come mediatore di incontri affettivi grazie a percorsi dedicati.
Si moltiplicano le Bike Love Lane, corsie preferenziali segnalate dal profilo di una bicicletta e di un cuore, nascono siti dedicati a promuovere relazioni con persone di gusti simili come Cyclingsingle, o Urbansocial.com che vanta più di 5000 biker alla ricerca del partner ideale, o il brasiliano DuVine Adventures, cicloturismo per single di lusso.
Socialetics: la sostenibilità
diffusa
E’stato coniato il concetto di LOHAS (Lifestyles of Health and Sustainability) per descrivere un mercato di beni e servizi eco-friendly, cioè focalizzati sulla salute, l’ambiente, la giustizia sociale (circa 290 mld di dollari).
LOHAS consumer è l’espressione usata per indicare quel 19% degli americani, ed una quota che va dal 5% al 30% della popolazione adulta negli altri Paesi occidentali, con riferimento particolare alla Germania, che adottano questo tipo di consumi.
Il viaggiatore LOHAS si orienta verso comportamenti sostenibili anche in viaggio: scelte basate sul calcolo della quota di emissione di anidride carbonica, consumo di prodotti locali, di alimenti organici e cosmetici di origine naturale e minerale, destinazioni e strutture che rispettano l’ambiente e le comunità locali. Il solo mercato dell’ecoturismo in USA è stimato da The Natural Marketing Institute intorno ai 42miliardi di dollari.
Il mercato risponde con nuove iniziative: molte catene alberghiere stanno attuando pratiche sostenibili a tutto tondo – trasparenza, sensibilizzazione dei clienti sul turismo responsabile, condizioni dei lavoratori, controllo della filiera, politica ambientale – con tentativi di contribuire ad accrescere la biodiversità.
In Europa (soprattutto a Edimburgo, a Zurigo e in Irlanda) si moltiplicano gli ostelli ecologici , che integrano la sostenibilità ambientale con l’aspetto ludico e l’accessibilità dei prezzi; o gli alberghi che consentono ai clienti di produrre energia elettrica rinnovabile usando una cyclette in cambio di un pasto gratis; o le “capsule hotel”, microcamere che si spostano accompagnando il turista lungo fiumi
e canali, con tutti i comfort e ovviamente prodotte con materiale di riciclo.
Il turismo sostenibile trova nella mobilità uno dei suoi ambiti elettivi : Green taxi a l’Aja in Olanda è un nuovo servizio di taxi elettrici che può essere affittato dai turisti a costi contenuti per un’intera giornata, con tour organizzati per conoscere i monumenti storici della città oppure Green tour per esplorare i numerosi parchi di una delle città più verdi in Europa.
Più ambizioso un progetto nella zona della Ruhr in Germania, ad altissima densità di traffico, dove verrà costruita un’ autostrada interamente ciclabile lungo 85 chilometri, collegando otto città del distretto: senza curve, pendenze e incroci per incentivarne l’uso da parte dei guidatori.
Anche il “Baby Factor” – una tendenza orientata a promuovere prodotti e servizi dedicati alla infanzia in molteplici settori merceologici, non solo quindi nel food o nell’abbigliamento – si declina in modalità sostenibili.
Il nuovo portale del WWF attiva un’offerta segmentata nelle diverse fasce di età: per i più piccoli fattorie didattiche, dove prendere contatto con la vita rurale, o campi scuola dove imparare tecniche come campeggio o vela; per i più grandi invece, visite ad aree protette e riserve ambientali situate anche in paesi lontani e collegate a progetti di cooperazione allo sviluppo di comunità locali.
Dai tourism trend
alle strategie
Imprese, Associazioni, ed Enti Pubblici stanno lavorando a nuove strategie non solo per rispondere alla crisi, ma soprattutto per sfruttare le potenzialità di un settore con crescente richiesta di valore, varietà, ricchezza di esperienze, facilitazioni da parte dei consumatori.
Dalla Standardizzazione alla Personalizzazione: si moltiplicano i viaggi tailor made, anche con pacchetti da gestirsi autonomamente via Internet o attraverso l’agenzia, o grazie a consulenti dedicati.
Anche le infrastrutture si adeguano a bisogni di nicchia: come le “carrozze del silenzio” di Trenitalia dedicate a viaggiatori slow, dove sono banditi cellulari, chiacchiere ad alta voce, annunci degli altoparlanti.
“Room Obsession” premia la possibilità di organizzarsi on–line la stanza di albergo secondo i propri gusti, nei minimi dettagli, assecondando i desideri più particolari.
Dal Globale al Territoriale : già numerosi i casi di iniziative Branded per connotare l’offerta di paesi con caratteristiche comuni. Il “Nordic Wellbeing” sta diventando uno dei marchi del turismo dei Paesi Nordici , focalizzato su aree di lifestyle come il design, la gastronomia, erbe medicinali e giardini, vita all’aria aperta e relax. L’idea di wellbeing viene così volutamente distinta dall’idea di wellness per lo spirito naturalistico e rurale di queste popolazioni, che associano al wellness un modo di gratificarsi passivo ed estetizzante più tipico del mondo del lusso.
Analogamente, l’ “Alpine Wellness” riunisce una serie di alberghi in Baviera, Austria e Svizzera per sviluppare un’ offerta di qualità legata alle caratteristiche tipiche della regione alpina, del suo clima, della sua cuci-
na, dei suoi materiali per l’architettura d’interni.
L’offerta adotta complessivamente un approccio marketing oriented, con l’istituzione di relativi subbrand e prodotti come l’Alpine Relaxing, l’Alpine Fitness, l’Alpine Health, l’Alpine Character.
Dal Generalismo a nuove Segmentazioni : i cambiamenti nella struttura delle famiglie e nei rapporti tra i sessi sollecitano proposte mirate a target con bisogni propri. In enorme crescita il turismo omosessuale, che ormai raggiunge il 10% del fatturato complessivo a livello mondiale, con un allettante profilo di high spender e trend setter.
Pullulano siti di turismo per single ed iniziative al femminile, per citarne una vicina: le giornate dedicate alle donne in Val d’Aosta, con piste scontate in giorni infrasettimanali e relative facilities per lezioni private di sci, ingressi in terme e spa.
Dai Luoghi-Destinazione alla Mobilità Flessibile : l’espansione della Tecnologia on-line ha sviluppato l’offerta dei diversi operatori modificando radicalmente le modalità di informazione, di organizzazione dei viaggi, ed esperienziali.
Si spazia dalle guide per smartphone di Lonely Planet, ai servizi di prenotazioni multiple (acquisto di volo, prenotazione auto e hotel, invio sul cellulare della carta di imbarco ecc...) di Lufthansa e Ryanair, a Wikihood, la nuova applicazione con mappe geolocalizzate per tour virtuali ovunque, alle apps in augmented reality di Enti del Turismo locali e di Amministrazioni Pubbliche che forniscono informazioni contestualizzate in tempo reale tramite sistemi di geo-localizzazione.
Dal Core-Business
La relazione tra industria manifatturiera, imprese di servizi e turismo si declina in diversi ambiti di cui alcuni potenziali per il futuro.
Il tema riguarda sia il prodotto sia la Marca: quindi parliamo di offerta commerciale ma anche di costruzione di valore.
Azienda e Territorio : in quest’ambito si collocano le attività mirate a radicare l’azienda nel suo territorio o in un territorio a forte vocazione turistica, caso più recente la progettazione di musei e gallerie d’arte come il Museo Gucci a Firenze o la creazione della seconda sede della Fondazione Pinault a Punta della Dogana a Venezia, su progetto di Tadao Ando.
Il potenziamento del prodotto locale come quelli a sistema IGP non è certo cosa nuova. Più recente è l’estensione dell’origine territoriale a referenze non alimentari come la cosmetica in Toscana, con le linee di Fragranze Acqua dell’Elba o Acqua di Bolgheri.
Active e Leisure : molti prodotti e alcune categorie di successo nascono dal mondo del viaggio e delle attività outdoor per poi trasferirsi nell’uso quotidiano. Tipici i mercati dell’abbigliamento da viaggio e sportivo, con le innovazioni nella tecnologia dei tessuti poi applicata all’urbanwear; dell’alimentare (barrette energetiche, confezioni monodose ecc), diventate poi consumi quotidiani; degli accessori con zaini e valigerie di ogni tipo e dimensione adattate alle esigenze dei daily commuter.
In questa direzione il viaggio si presta alle aziende come terreno da cui attingere altre idee da estendere a diverse occasioni d’uso ed eventualmente generare dimensioni di mercato più ampie.
Quotidiano e viaggio: vale la permeabilità anche in senso inverso. La riconversione in funzione travel della valigeria top di gamma è ben nota, ma forse meno evidenti se pure ormai molto utilizzati i kit da viaggio per cosmetici estremamente low-cost e adattabili al trasporto secondo le proprie specifiche esigenze, ed in generale l’offerta di minisize ed accessori astucciati e pieghevoli. Designer di elettrodomestici stanno lavorando sperimentalmente alla produzione di articoli elettrici micro per facilitare la cura della persona durante il viaggio.
Product placement: sempre più numerose le iniziative di Brand che si legano agli hotel per promuovere al tempo stesso prodotti ed immagine. Dalla costruzione di momenti esperienziali all’interno del resort in cui la marca genera situazioni emozionali per i turisti, all’adozione di prodotti cosmetici di grandi marche possibilmente con punti vendita nel quartiere, alle politiche di co-branding per l’offerta ai clienti di abbigliamento ad hoc per la pratica delle diverse attività, quelle sportive in primo luogo.
Sono solo esempi sporadici, ma probabilmente non da sottovalutare le opportunità – di notorietà, vendita e comunicazione – che il turismo può generare per le imprese di comparti diversi.
Pensando soprattutto all’Italia, che in questo momento richiede una visione prospettica ed ottimismo, il settore è probabilmente uno di quelli più in grado di produrre ricchezza, sviluppando se stesso ma anche trainandone altri.
Tanti cari auguri di Buon Natale 2012 e Buon Anno 2013
Quest’anno il protagonista della copertina dell’Augurale raffigura un piccolo e semplice oggetto fenicio.
Nei siti archeologici fenici, disseminati su tutte le coste del Mediterraneo, sono stati rinvenuti numerosi manufatti a testimonianza della grande abilità di questo popolo nella creazione di strumenti funzionali in moltissimi campi: asce e martelli per lavorare i metalli, cannule per soffiare il vetro, oggetti preziosi e umili, rituali e quotidiani come anfore, boccali e coppe, incensieri, aratri per coltivare la terra, arnesi per pescare, cacciare e coltivare, tessere e tingere oltre che per navigare.
Il simbolo in copertina rappresenta uno stampo per la preparazione del pane sacro, abilmente scolpito e ricavato da un piccolo pezzo di pietra tufica.
Pensate ai moderni stampi per torte dai più svariati disegni, per il Natale, le feste dei bambini, anniversari e compleanni.
Così già i Fenici allo scopo di onorare le loro numerose potenze supreme dalle personalità più varie, preparavano appositi stampi per personalizzare il pane sacro da portare sugli altari delle divinità, con la raffigurazione dei simboli a loro collegati: un cane per AGROTES, un dio minore della terra, della caccia e degli indovini; uno scudo per ANAT, dea maggiore della battaglia e della caccia; un albero o palo sacro, per la dea della vegetazione ASHERAH; quattro occhi per onorare TAAUT, il dio della sapienza, inventore della scrittura, delle arti e delle scienze e, infine, per la dea lunare TANIT, moglie di Baal e protettrice della città di Cartagine, il simbolo sulla copertina, e cioè un triangolo sormontato da una sbarra orizzontale al cui centro è appoggiato un cerchio, forse una figura umana che solleva le braccia, forse il sole o la luna crescente ad augurare la buona fortuna.
L’effige è una matrice per pani sacri col simbolo di Tanit, da Tharros, necropoli punica, sec V-IV a.C.; Cagliari, Museo Nazionale
Trovare le giuste
dimensioni.
Orientarsi tra i segni.
Laura Cantoni
Giorgio Villa
Introduzione
Il senso del Piccolo...
I mondi del Piccolo...
Il futuro del Piccolo...
Anche quest’anno intendiamo offrire ai nostri amici un piccolo pensiero augurale, frutto delle nostre osservazioni sul cambiamento socio-culturale e sulle ricadute nel mondo dei consumi.
Ci siamo soffermati sul Piccolo come tendenza.
La prospettiva del piccolo rappresenta oggi una sfida al cambiamento negli stili di vita e una spinta all’innovazione nei processi ideativi e produttivi, nell’ offerta di beni e servizi, nella distribuzione.
La diminuzione della capacità di spesa orienta inevitabilmente verso acquisti ridotti non solo quantitativamente ma anche nelle modalità, in un’ottica di controllo dei consumi; la crescente mobilità e la necessità di ottimizzare tempi, spazi e spostamenti inducono la ricerca di soluzioni e prodotti più flessibili e versatili , e in quanto tali micro; la sostenibilità, guida regolativa sempre più cogente per individui e imprese, suggerisce e obbliga a gestire risorse scarse anche in chiave creativa.
Il potere del piccolo ha d’altra parte una rilevanza antropologica radicata nel significato antinomico sul piano lessicale : etimologicamente, ciò che è piccolo è inferiore alla misura ordinaria per dimensione, volume, durata, quantità o intensità. Di conseguenza il termine implica, in senso proprio o figurato, il concetto di “scarso, insufficiente, limitato, esiguo, trascurabile”, il contrario di “importante, rilevante, notevole”.
Al contrario, lo si usa anche per connotare un oggetto o un soggetto in un’accezione positiva: “una piccola star, celebrità”, una “piccola opera d’arte”, un “piccolo Leonardo, Einstein”, una “piccola Venezia”.
Secondo una codificazione del gusto di matrice classica e rinascimentale, il piccolo ed equilibrato nella misura e nelle dimensioni sottolinea armonia, rigore, eleganza nelle proporzioni, forza morale: “Il buono è sempre poco per destino/sempre nel poco gran valor si serra...” (Giambattista Marino), “Terribile è la potenza del piccino...”, “Molti sono creati dalla natura piccoli di persona e di fattezze, che hanno l’animo pieno di tanta grandezza...” (Giorgio Vasari, Le vite de’ più eccellenti architetti, pittori et scultori italiani...).
Nella contemporaneità, la tecnologia e la scienza ci hanno abituato a ragionare in termini di rimpicciolimento e riduzione di scala, piuttosto che il contrario. Dalla telefonia mobile agli strumenti digitali fino all’elettronica di consumo, dal cibo all’architettura, dall’arte al design, il piccolo è il frutto della ricerca di soluzioni più avanzate sia dal punto di vista delle tecnologie che del design e dello stile.
L’attualità del concetto di piccolo è stata approfondita per questo Augurale osservando le traiettorie di sviluppo dei consumi e socio-culturali, così come emergono dall’ultima edizione del nostro Mapping sulle tendenze, Andare a Tempo®.
In particolare alcuni dei 16 “Market Driver” che scandiscono il Mapping bene intercettano il tema del piccolo : dal food al design all’abbigliamento, fino all’entertainment e all’advertising, la mappa Andare a Tempo® suggerisce percorsi di interpretazione del piccolo che evidenziano anche come sia possibile aggiornare costantemente i codici dei propri brand, prodotti, servizi in relazione a quel che il mercato dei consumi dice, sta per dire o dirà.
Piccolo e Market Driver
Reducing : il piccolo come orizzonte di consumo in cui inquadrare da un lato il desiderio di acquisti in misura o formato ridotto, dei quali si valorizza a un tempo la convenienza e la qualità superiore; dall’altro, le proposte anti-spreco e più responsabili, centrate sul principio del no frills. L’offerta di prodotti si focalizza su pochi benefit chiari: in sintesi, la proposta del piccolo come scelta non solo più conveniente ma qualitativamente migliore, sotto vari punti di vista.
Soft Indulgence : la gratificazione a piccole dosi, filtrata dall’autocontrollo per un piacere distillato e un edonismo misurato. Rimpicciolimento degli oggetti per valorizzarne l’aspetto ludico e infantile, enfasi su forme e colori, creatività, design negli oggetti di uso quotidiano per renderli straordinari, la domesticità come territorio di entertainment, l’accessorio distintivo come piccolo lusso.
Lightening : il piccolo si declina in multifunzionalità unita a ricerca di stile e sobrietà. Una sorta di ecologia della mente con la tensione a racchiudere più funzioni in un unico oggetto, all’alleggerimento strutturale e formale, quasi una tupperwarizzazione della quotidianità: la piccola dimensione si integra nel portabile, wireless, leggero e iper-funzionale.
Flexibility: il concetto di pop up transita dalle iniziative di marketing ai micro business, temporanei e sperimentali, con l’uso creativo di piccoli spazi interstiziali. L’ibridazione contamina i mondi, dal retail con proposte inedite e inattese, al fashion, dove lo shopping mette a fuoco una ricerca di effimero, implicito, nascosto: un viaggio negli stati d’animo.
Eco-superiority: la riduzione delle dimensioni è funzionale alla riduzione degli sprechi e al minore impatto
sull’ambiente durante tutto il ciclo di vita del prodotto. Dal guerrilla gardening al roof gardening fino ai veg pots da terrazzo, nella progettazione di zone verdi in piccoli spazi, ma anche nella ricerca sull’organico che caratterizza la haute couture, si ridefinisce un concetto di green che recupera l’idea di naturale come archetipo, una natura “parcellizzata”, a portata di mano, assimilata al vivere quotidiano. La biomimicry indaga l’infinitesimale nei processi naturali per trarre nuove ispirazioni grazie al supporto delle tecnologie d’avanguardia.
Hypercare : la nuova tendenza alla diffusione del tailor made è per sua natura attenzione al piccolo, all’individuo come unico, al dettaglio sartoriale che determina una differenza sostanziale nella percezione del valore. Il concetto di dettaglio differenziante si sposta dal prodotto al servizio, creando esperienze di valore aggiunto personalizzato, individuale (ciò che ha valore per me è contingente, particolare, unico). Dall’alto di gamma, il tailor made estende l’approccio “piccolo” al mass market, configurando un mercato di soggettività uniche e peculiari, più che target clusterizzabili.
Unplug : nella tendenza che interpreta la volontà di disconnessione dell’individuo dalla routine hypertech e iperconnessa, il piccolo assume la dimensione dell’intimità, del nido, del rifugio unplugged : una privacy ideale che nel “piccolo” traduce e individua la ricerca di intimità e di qualità del tempo, dai viaggi all’arredo, dalla ristorazione all’advertising.
Piccolo Acquistare
Il retail si sta dimostrando uno dei settori più sensibili alle tendenze emergenti negli acquisti, a cui risponde non solo con la razionalizzazione degli assortimenti, ma anche con il ridimensionamento della superficie di vendita.
I grandi Gruppi acquisiscono piccole-medie superfici , rivelatesi un format vincente per la loro capacità di orientare a volumi di acquisto quantitativamente più contenuti e consentire una maggiore agilità nella spesa.
Uno studio Coop su dati Nielsen ha rilevato, in particolare nei punti vendita di minore dimensione, un 10% di nuove aperture e il 30% di cambio di insegne e organizzazione di vendita dal 2007 al 2011: espressione di precarietà, ma anche della necessità di rendere i punti vendita più competitivi.
In questo contesto appare interessante il format di prossimità. Sia in Italia che all’estero le principali catene di retail si stanno attrezzando con brand e un’offerta sempre più focalizzati al tempo stesso su convenienza e servizio.
E in effetti nelle piccole superfici proprio il servizio si afferma in maniera sostantiva. In Italia la catena Simply Market, ad esempio, lavora sull’esigenza di semplificazione, di acquisti rapidi e quotidiani, arricchendo la possibilità di una spesa veloce grazie alla selezione dei freschissimi a marchio commerciale, alla organizzazione di percorsi distinti ( Spendo Meno, Sapori di casa, Benessere, Verde Natura Eco Bio ), alla esposizione di superfici touch screen e informazioni supplementari: “Con Simply ti senti a casa”, recita infatti il claim della campagna autunno 2012.
Il piccolo nel retail facilita la congiunzione di mondi un tempo e normalmente separati, ad esempio vendita e ristorazione. I punti di leva: la percezione di genuinità, l’offerta di prodotti locali, tipici e artigianali, non da ultimo l’innovazione nei modelli di business, più partecipativi: dalla Drogheria Plinio a Milano, con negozio al dettaglio, enoteca, distribuzione di articoli enogastronomici da produzioni di nicchia/stagionali, menù per i più piccoli; a The People’s Supermarket a Londra, negozio specializzato di quartiere a base cooperativa del gruppo Spar (Despar), basato sul concetto di alternative food buying network tra i soci che si occupano al tempo stesso della gestione, della preparazione dei piatti, del servizio.
Anche negli Stati Uniti spiccano nuove esperienze di piccolo commercio al dettaglio: micro-esercizi tra punto-vendita fisico e commercio online, come negozi gourmand con un’offerta più ridotta e selettiva di referenze e piatti confezionati giorno per giorno, o produzioni artigianali con orari flessibili che chiudono i battenti quando la merce è esaurita, o torrefazioni aperte solo in occasione dell’arrivo delle nuove miscele, previa tempestiva informazione via Facebook.
Il piccolo commercio ambulante cambia pelle e diventa glam : una tendenza non recentissima, ma che ora evolve qualitativamente con layout curati, posizionamento nel pieno centro città, servizio post-vendita come ricettario, numero verde per informazioni o consegna a domicilio, offerta stellata: in testa alla tendenza, Parigi e i suoi ormai consolidati “Le Camion à Glaces-Glazed” e “Le Camion Qui Fume”, ma anche il nuovo Couleurs Café, nato sulla base di un concetto di maggiore scambio e interazione con e tra i clienti sulla scia di viaggi del patron in Thailandia, Perù e India.
Piccolo Mangiare
La ricerca di eccellenza nelle materie prime e nelle ricette si sposa alle nuove abitudini per un concetto di alimentazione più flessibile, per cibi da consumare velocemente senza sacrificare il gusto e la qualità degli ingredienti: la Gourmandise entra potentemente nello snack.
Il take away cambia volto e si vende e consuma sia in locali, nuove tipologie di fast food talvolta specializzati in una tipologia di prodotto -dal panino al tramezzino, ultimamente la polpetta- piuttosto che a casa propria. È un comparto in crescita: Just Eat Italy stima uno sviluppo del mercato dell’asporto del 25% per il 2012 grazie anche all’uso di tablet e smartphone.
“Identità golose” ha organizzato a Milano al Dopolavoro dell’Hangar Bicocca “Grande cucina, piccoli piatti”, un evento gastronomico per celebrare il “rubitt”, dal dialetto milanese “robetta”, versione locale e tradizionale delle tapas spagnole. Rubitt in senso letterale significa qualcosa di piccolo, buono e prezioso, un gioiellino. In realtà si tratta di piatti di alta cucina in miniatura, un modo per valorizzare i giovani chef e comunque diversa dall’ormai un po’ datato finger food proprio per il superamento della praticità meramente utilitaristica del bocconcino.
Dalla promozione del gusto a quella dell’estetica. Bento è il nome di un contenitore d’asporto giapponese, molto ben strutturato nel suo resistente packaging in legno per pranzi preconfezionati e assaggio di diverse pietanze rigorosamente incartate e suddivise in aree separate. Nella tradizione giapponese l’estetica del Bento significa non solo ritualità, ma anche l’affetto che si vuole trasmettere con la preparazione. Ora anche in Italia alcuni ristoranti giapponesi offrono Bento da asporto, in linea con le
molteplici richieste – facilità, flessibilità, ma anche e sempre di più estetica – per le commodities della quotidianità.
Nella snackizzazione del cibo, da gustare a “piccoli bocconi”, a piccoli morsi, al cucchiaio, la contaminazione tra piatti gourmet e tradizionali è crescente. A Bologna è stato inventato recentemente il tortellino da asporto che può essere consumato per strada, versando il brodo in un apposito contenitore.
Sulla stessa linea, da uno studio del Food designer catalano Martí Guixé sul trasferimento di nuove caratteristiche di mobilità al buon cibo da tavola è nato un sistema di cottura della pasta che permette di mangiarla con le mani, trasformando gli spaghetti in piccoli snack.
La proposta del piccolo declina sempre più anche i concept del piatto pronto fresco venduto nella GDO – un mercato in crescita in linea con le note tendenze: la destrutturazione dei pasti, le minori competenze culinarie e la contrazione del tempo disponibile per la preparazione.
In Francia e nel Regno Unito, cresce in particolare la gastronomia a libero servizio che propone una gamma di soluzioni ready meals competitive per qualità e convenience rispetto alla più tradizionale ristorazione. Anche in Italia, dove questo trend di crescita è più cauto, aumentano le nuove proposte packaged di fresco – come Viva la Mamma Beretta Box - che integra un insieme di benefit all’insegna del “gusto tupperwarizzato”, cioè portabile e fruibile in maniera flessibile e nomade : piatto monoporzionato, posata annessa, fresco, regionale, scaldabile nel microonde insieme alla confezione.
Piccolo Vestire
Nella moda e nel lusso l’interesse per piccoli pezzi iconici e ben fatti, accessori e capi di abbigliamento, corrisponde a motivazioni molteplici: dalla praticità e versatilità in ogni situazione, alla ricerca di un tipo di eleganza meno ostentata ed essenziale.
D’altra parte, anche nel sentiment comune cresce l’interesse per prodotti originali e inconsueti, con valori di manualità e affidabilità lungo tutta la filiera di produzione. Si diffonde un’attenzione al dettaglio capace di connotare in senso prezioso lo stile di abiti e accessori comuni , come piccoli inserti e ricami o tacchi scultura nel design delle calzature. Si conferma il successo di capi aderenti al corpo che valorizzano la silhouette, minigiacche o il celebre tubino nero, protagonista di questa stagione autunnale 2012/2013.
Il piccolo in questo contesto è sinonimo di praticità, essenzialità, libertà di movimento, quindi anche di un concetto più interiorizzato di eleganza.
La Little Black Jacket, giacchetta nera sartoriale creata da Coco Chanel, è protagonista del libro fotografico di Karl Lagerfeld, che l’ha fatta indossare a modelle e celebrità dello star system per sottolineare la contemporaneità e versatilità di questo semplice piccolo capo unico, trasversale a persone e occasioni.
Nelle ultime stagioni anche la borsa si riduce di dimensione, sottolineando la scelta di linee sempre più pulite e chic. It bag, clutch sono i diversi nomi per borse a tracolla mini nelle versioni più sofisticate e preziose, crafted, create dalle principali Maison di moda, da Lanvin alla Knot-clutch di Bottega Veneta alla Lego Clutch di Karl Lagerfeld alla nuova Berline Mini di Hermès.
La tracollina segnala il bisogno di sobrietà e l’idea di un’eleganza semplice che suggerisce di portarsi dietro l’essenziale rinunciando al superfluo.
Negli Stati Uniti le trend setter preferiscono addirittura la power pouch, una pochette munita di zip che è un’evoluzione dei primi astucci per Ipad, accessorio ideale per spostarsi con disinvoltura da una riunione di lavoro a un party o una cena.
Il piccolo nel vestire risponde anche ai vincoli del bagaglio nei voli low cost, croce e delizia dei viaggi business e vacanze che siano: di matrice USA una valigia vestito che permette di portarsi addosso – ma in modalità totalmente ergonomiche - 10 chili di peso. Si tratta di un giaccone multitasche dove inserire un gran numero di indumenti e oggetti personali, utilizzabile come borsone, una volta terminato il viaggio.
Dall’abito all’accessorio, la declinazione in piccolo può apparire consueta: ma nelle nuove release anche l’integrazione tra profumo-vestito si giova di nuovi concept e soluzioni, come l’idea di osmotico nei Perfume Tools di Jody Kocken, una collezione di profumi anallergici perché indossabili come gioielli che rilasciano l’essenza in modo delicato, evitando il contatto diretto tra il liquido e la pelle.
L’idea del piccolo di misura sembra lasciare spazio a una maggiore possibilità di personalizzazione. Nello styling per i capelli, per la stagione Autunno/Inverno torna di moda il caschetto alla garçonne, detto anche Bob, Pixie Cut, un taglio che ha attraversato le diverse epoche dagli anni Venti agli anni Sessanta e Settanta che, a detta degli esperti, offre maggiori possibilità di interpretazione di personalità rispetto al lungo.
Piccolo Abitare
La scelta di piccoli spazi e strutture non appare più una soluzione riduttiva e squalificante, ma un’ opportunità per sperimentare nuove frontiere. Numerosi i progetti di “cellule” abitative, non concepite come monadi, ma comunicanti con l’ambiente esterno e tra di loro, e con una maggiore interazione tra spazi individuali (dormire, cucinare, lavarsi) e spazi collettivi.
La iper-riduzione e razionalizzazione degli spazi incontra innanzitutto la crescente tendenza al temporary living, meno vissuta in Italia ma inevitabilmente in crescita. Emblematico il concorso Instant House promosso da Federlegno con la collaborazione del Politecnico di Milano in occasione di MADEexpo, per la progettazione di strutture residenziali in grado di accogliere la domanda di unità abitative temporanee da parte di city users, un nuovo target a elevata mobilità territoriale che richiede concept abitativi basati su spazi piccoli e allo stesso tempo sostenibili dal punto di vista architettonico e urbanistico.
D’altra parte l’orientamento verso le case urbane small size appare ineluttabile per rispondere alle esigenze di nuclei familiari nuovi e/o con risorse scarse, di single più o meno giovani e delle neo-coppie: abitazioni pensate come unità autonome e potenzialmente autosufficienti sul piano energetico, in cui si massimizza lo sfruttamento degli spazi interstiziali, le funzioni si frammentano disponendosi in aree non consuete, gli ambienti si riprogettano (separatori e non pareti), si mimetizzano (cucina a scomparsa), si ampliano visivamente (uso di pareti riflettenti e di trasparenze).
Nel turismo, il piccolo si pone al servizio dello slow living e porta ad inventare strutture ricettive archetipiche e adattabili a contesti diversi.
Ecco allora rifugi per l’outdoor come la Cocoon tree, una tenda di forma sferica da utilizzare in sospensione potenzialmente autonoma dal punto di vista energetico e sufficiente per un nucleo familiare.
Analogamente, nuovi hotel luxury design scelgono location insolite e spazi micro per vacanze all’insegna dello stacco totale e di totale immersione nella natura: dal Cile al Messico alla Finlandia, all’arco alpino si diffondono micro hotel dotati di ogni servizio ad imitazione di capanne, palafitte, nidi, igloo.
I mobili, oggetti e complementi d’arredo sono anch’essi pensati in un’ottica di alleggerimento strutturale e di semplificazione, oltre che di multifunzionalità, ergonomia e risparmio di spazio. Questa tendenza riguarda in modo pervasivo oggetti dotati di strutture variabili - Tandem di Roche-Bobois o Mortaise di Ligne Roset, tavolini e portalibri allo stesso tempo- ma anche altri che siamo meno abituati a vedere diversi dal consueto: come la linea di interruttori disegnati da Inga Sempé per Legrand, che inglobano funzioni decorative per mimetizzarsi meglio con porte e infissi, ed altri dispositivi o meccanismi di sicurezza a scomparsa, a prova di bambino.
Il concetto del salvaspazio invade l’arredo bagno non solo grazie alla riduzione dimensionale, ma soprattutto con soluzioni che alleggeriscono l’ingombro : dal lavabo Agape con portasapone incorporato, ai lavabi superleggeri di Dedalo, che in quanto tali possono essere installati su qualsiasi superficie, alla cabina sauna Duravit da posizionarsi in qualsiasi angolo della casa grazie alla sua forma compatta e al suo comfort design.
Piccola Mobilità
La mobilità è uno dei terreni chiave dei prossimi anni nella sfida all’inquinamento, alla scarsezza di risorse, per incrementare la qualità della vita soprattutto nelle grandi città congestionate ma non solo.
Dalla Macro mobilità – tante automobili, grosse cilindrate – poco sostenibile, rumorosa, ingombrante, si fa spazio un concetto di micro-mobilità che implica una maggiore flessibilità negli spostamenti, un maggiore risparmio di tempo ed energetico, una maggiore salubrità dell’ambiente.
Le soluzioni di micro-mobilità impattano sia sulle scelte dei singoli individui – i trasporti privati, sia su quelle delle amministrazioni locali – i trasporti pubblici.
Per le persone si prevede in netta crescita l’uso di mini auto e veicoli a due, tre o quattro ruote in prevalenza elettrici, di scooter e di biciclette smart o ibride, dotate di un motore elettrico che si attiva supportando la pedalata del ciclista con batterie che si ricaricano automaticamente. Secondo una ricerca presentata da Frost&Sullivan, entro il 2015 saranno già disponibili sul mercato circa 50 tipi di veicoli per lo più elettrici, progettati dai principali marchi Ford, Hyundai, Piaggio, Segway, General Motors, Volkswagen. Per il 2018 si prevede che saranno circa 500.000 i mezzi di questo genere venduti, perlopiù in Europa (64%) contro le 25mila unità del 2011.
Il concept di una motorizzazione più piccola e meno inquinante vuole rivolgersi in particolare alle nuove generazioni , più sensibili alle tematiche ambientali. Un esempio recente di mini-auto è il Concept Smart Insect per Toyota. La piccola utilitaria, che ha preso questo nome per il suo design simile alle ali di un insetto, è
dotata di tecnologie wireless all’avanguardia e di sistemi intelligenti di cloud computing.
O anche Qugo, un veicolo personale a tre ruote elettrico, piccolo, flessibile, leggero e soprattutto... pieghevole!, progettato da un’azienda olandese, Urban Mobility Europe, con la promessa di spostamenti rapidissimi nel traffico cittadino.
Proprio nelle città più affaticate dal traffico si stanno avviando nuovi progetti di micro-mobilità pubblica : a Milano sarà prossimamente implementato Make a cube, il nuovo incubatore di Telecom Italia che curerà il finanziamento di start up e idee imprenditoriali per la realizzazione di servizi destinati a migliorare la vivibilità della città di Milano nel corso del prossimo Expo 2015.
I piccoli viaggi, di due, tre, quattro giorni sono come sappiamo la nuova frontiera della mobilità turistica. Alla esigenza di informazioni mirate per questi spostamenti rapidi ma intensi, i media rispondono. 36 Hours è la rubrica di viaggi del NY Times che offre informazioni dettagliate e consigli utili per spostamenti brevi nelle principali città del mondo. Ora disponibile anche in formato cartaceo nelle edizioni Taschen, la guida 36 Hours: 125 weekends in Europe è di pratica consultazione per chi ha un interesse specifico. Per un turismo interessato alla formula del city break i contenuti della guida sono organizzati in modo da offrire sia consigli e indirizzi per una visita di “36 ore” che la rapida visualizzazione di itinerari tematici segmentati per differenti tipologie di viaggiatori nelle città maggiori, Barcellona per gli amanti d’arte o Londra per gli appassionati di letteratura.
Tanti cari auguri di Buon Natale 2013 e Buon Anno 2014
Tra le numerose invenzioni che si attribuiscono ai Fenici, dal vetro alla tintura con la porpora, dall’ancora allo scafo in legno, quella dell’alfabeto è senza dubbio la più importante.
Furono loro infatti a inventare il codice di scrittura da cui derivò direttamente l’alfabeto greco che poi, dall’alfabeto etrusco a quello latino, contribuì a creare il nostro.
Scriveva Plinio il Vecchio: “La gente dei Fenici ha la grande gloria di aver inventato le lettere dell’alfabeto”, mostrando di condividere un’opinione antica, espressa già dallo storico greco Erodoto: “Questi Fenici venuti in Grecia con Cadmo vi introdussero anche l’alfabeto che precedentemente, i Greci non possedevano”.
Due le principali scritture utilizzate nell’anticità: quella egizia, chiamata “geroglifica”, basata su centinaia di segni pittografici, con valore soltanto ideografico, di difficile apprendimento e interpretazione. In Mesopotamia si usava un sistema strutturalmente analogo, con la differenza che i segni pittografici si erano schematizzati in fitti reticoli di tratti a cuneo, facili da scrivere, ma sempre complessi da interpretare e troppo numerosi: diverse centinaia.
Per ovviare alle difficoltà di lettura e utilizzo di queste scritture, l’alfabeto fenicio eliminò gli ideogrammi sostituendoli con segni fonetici puri (scrittura “cuneiforme”), graficamente semplici, immediatamente leggibili e memorizzabili da tutti e, soprattuto, ridotti ad un numero esiguo: solo 22.
Creato da un popolo di mercanti, con intenti essenzialmente pratici, l’alfabeto si diffuse senza difficoltà, facilitando la scrittura (prima patrimonio di pochi) e diventando il maggiore veicolo di civilizzazione: l’alfabeto rappresenta infatti la prima tappa di quel processo di diffusione della cultura che culminò con quello della stampa.
In copertina la rappresentazione della A, prima lettera dell’alfabeto fenicio.
Cult-me.
Orientarsi tra i segni.
Laura Cantoni
Giorgio Villa
Introduzione
Cult-me: il valore sociale della Cultura...
Cult-me: la Cultura fattore economico...
Cult-me: branding con la Cultura...
Anche quest’anno intendiamo offrire ai nostri amici un piccolo pensiero augurale, frutto delle nostre osservazioni sul cambiamento socio-culturale e sulle ricadute nel mondo dei consumi.
Ci siamo soffermati sulla Cultura: un tema apparentemente generico, che invece può essere avvicinato in modo molto concreto, perché la Cultura ha vissuto negli ultimi decenni cambiamenti di significati e di ruolo diventando parte integrante della vita quotidiana di tutti, cittadini, consumatori, imprese, e potenziale fattore di sviluppo per il Paese.
Noi di Astarea ce ne occupiamo da parecchi anni, attraverso il nostro Osservatorio sul cambiamento Andare a Tempo® e con ricerche ad hoc che riguardano il rapporto tra Cultura, Imprese, Operatori culturali.
In questo Augurale desideriamo condividere sinteticamente le nostre conoscenze, anche considerando l’ “Emergenza-Cultura” che si è sviluppata negli ultimi due anni come tema di dibattito pubblico in ragione della crescente consapevolezza del suo valore e, al tempo stesso, della precarietà nelle risorse e negli strumenti professionali atti a svilupparne il potenziale.
Fondamentale ricordare il lancio da parte de Il Sole 24 Ore, il 19 Febbraio 2012, del manifesto “Per una Costituente della Cultura”, che ha posto – seguitissimo da critica e pubblico – la questione del passaggio dalla percezione della Cultura quale bene improduttivo, ed eventualmente alimento intellettuale per il singolo individuo, a volano per lo sviluppo civile, la crescita economica e il rilancio dell’occupazione.
La Cultura non è solo libri da leggere, mostre e musei da visitare, beni archeologici da preservare: è in realtà un sistema produttivo con fatturato significativo – secondo quanto dice anche la Commissione Europea.
Questo sistema si articola in molteplici settori che costituiscono asset attuali e soprattutto potenziali dell’economia italiana, perchè legati al design, all’artigianato e al manifatturiero di qualità, all’enogastronomia, per non parlare del turismo: tutti settori convergenti nella valorizzazione del Made in Italy e del prodotto locale territoriale, come si sa forti driver della domanda interna, ma soprattutto estera.
Nel mondo, sia le economie tradizionali, ma soprattutto quelle emergenti come il Brasile, la Cina, l’Australia e anche l’Africa stanno potentemente investendo nel settore della Cultura e della Creatività, consapevoli di quanto gli asset intangibili di un Paese (che poi diventano tangibilissimi in termini di fatturato) siano effettivi fattori di sviluppo.
In effetti, appare abbastanza bizzarro che l’Italia non stia cogliendo queste opportunità, dati i giacimenti culturali di cui è storicamente fornita, e considerando anche il suo capitale creativo che costituisce una risorsa consolidata e riconosciuta nel mondo.
Si pone ovviamente in maniera drastica la questione delle risorse e del finanziamento di questo sistema. Il dibattito del rapporto tra pubblico e privato è cruciale, e per questo costituisce il punto focale di queste riflessioni anche per il ruolo che possono svolgervi le nostre competenze di ricerca, marketing e comunicazione.
La Cultura
per il benessere
Da anni nel mondo occidentale si sta lavorando al superamento dei soli indicatori economici per la misurazione dello “stato di salute” di un Paese, con un ampissimo dibattito sull’inserimento di indicatori del benessere. In Italia, a Marzo di quest’anno, CNEL e ISTAT hanno presentato il “Rapporto Bes 2013: il benessere equo e sostenibile in Italia”, un’iniziativa all’avanguardia a livello internazionale. In un’ottica partecipata tra parti sociali e della società civile sono state identificate 12 dimensioni del benessere, tra cui compare il “Paesaggio e patrimonio culturale”. La rilevanza di questo criterio è stata confermata da un’ampia consultazione campionaria con i cittadini, che associano massicciamente la qualità della vita con istruzione e formazione (92.4%) e una maggiore attenzione al patrimonio culturale (77.8%).
Di fatto, la fruizione della Cultura coinvolge fasce sempre più ampie della popolazione: secondo Federculture, la spesa per la Cultura in Italia è stata in tendenziale crescita negli ultimi 10 anni (+25.4% dal 2002 al 2011), se pure ha subito un calo nel 2012, presumibilmente associabile alla contingenza economica, anche perché l’incidenza della spesa per Cultura sulla spesa totale rimane sostanzialmente stabile.
E comunque non tutto appare negativo, dato che alcune situazioni si muovono in controtendenza, come Torino ed il Piemonte che, grazie a strategie facilitanti la fruizione della Cultura, come l’abbonamento alla carta musei, già nel 2013 hanno visto una crescita di presenze a due cifre, peraltro con ricadute positive sulle visite alle altre mostre nella Regione.
Certo che, complessivamente, in Italia non siamo al top nella fruizione di Cultura, collocandoci al 21° posto
per spesa delle famiglie in Europa. Guardando in positivo, questo dato, penalizzante per noi, tuttavia rassicura sul ruolo della Cultura in generale, dato che la spesa delle famiglie per ricreazione e cultura in circa metà dei 27 paesi UE supera il 9% della spesa totale.
E se nella classifica generale del Country Brand Index 2013 l’Italia perde posizioni rispetto al 2011 per l’attrattività in generale, evidente espressione della fatica del Sistema Paese, nella medesima classifica mantiene il primato riguardo all’attrattività determinata dalla Cultura.
Studi di diversa natura sottolineano gli effetti positivi della Cultura sul benessere dei cittadini, come quelli riportati in uno studio del Journal of Happiness Studies nel 2011, che dimostrano l’interazione positiva tra l’accesso alla cultura e il benessere psicologico. In particolare, si dimostra che la frequentazione di attività culturali costituisce il secondo fattore del benessere, immediatamente successivo all’assenza di malattie e di altri fattori oggettivi come il lavoro, l’età, il reddito, lo stato civile. Un’altra ricerca svedese, se pure più datata, riportata dal BMJ rileva anch’essa una correlazione positiva addirittura tra la partecipazione ad eventi culturali e l’aspettativa di vita e che, al contrario, una scarsa fruizione di eventi culturali si associa a un rischio di mortalità molto più alto rispetto ad una frequentazione assidua.
Cultura come sistema
produttivo
La questione di come l’Italia saprà rilanciare l’economia non può non tenere conto del ruolo economico della Cultura quale motore della crescita.
Il rapporto 2013 Fondazione Symbola - Unioncamere in collaborazione con la Regione Marche, racconta la capacità di tenuta, e anche reattiva, del sistema della produzione culturale in Italia.
In questo “sistema”, i ricercatori non includono solo le Imprese rappresentative dell’espressione culturale o artistica “pura”, ma anche quelle che pur appartenendo ad altri ambiti, manifattura o servizi, appaiono complementari all’attività culturale per la loro forte caratterizzazione creativa.
Le imprese considerate nel Rapporto sono quindi le Industrie Culturali (la cinematografia, la televisione, l’editoria e l’industria musicale); le Industrie Creative (l’architettura, la comunicazione e il branding); le attività tipiche del made in Italy in forma per lo più artigianale; il Patrimonio storico-architettonico (musei, mostre, biblioteche, archivi, gestione di monumenti); l’area delle Performing arts e arti visive, di fatto non organizzate a livello industriale.
Secondo il Rapporto, le Imprese del comparto sono quasi 460.000, quindi il 7.5% delle attività economiche nazionali, e in crescita del 3.3% sul 2011 – con un incremento superiore per le imprese connesse al Patrimonio storico-architettonico (+18.4%), o le Performing arts e arti visive (+13.4%), cioè quelle che costituiscono il “core” della Cultura in senso stretto.
Il valore aggiunto prodotto dal sistema, incluse le attività della Pubblica Amministrazione e non profit arriva
a 80.8 miliardi di euro, il 5.8% del totale; gli addetti: 1.5 milioni di persone, +0.5% in un anno a fronte del – 0.3% nell’economia complessiva.
Altro dato interessante del Rapporto: è stato calcolato un effetto moltiplicatore del sistema produttivo culturale sul resto dell’economia di 1.7, che porta all’attivazione di altri 133.4 milioni di euro, per arrivare a un valore di filiera globale di 214.2 miliardi. In altri termini, l’incidenza del comparto cultura sull’economia passa così dal 5.8 al 15.3%.
Il turismo sembra beneficiare in modo particolare delle attività e della produzione culturale, come si sa molto radicate nel territorio e per questo capaci di contribuire all’attrattività delle attività turistiche. Secondo le analisi di Unioncamere-Isnart per l’Osservatorio del Turismo, su una stima di spesa turistica sul territorio italiano di 72.2 miliardi di euro nel 2012, 26.4 miliardi di euro, quindi un terzo del totale appare attivato dalle industrie culturali.
Se questi dati illustrano il dinamismo e il potenziale del comparto, tuttavia sappiamo che queste Imprese sono in genere piccole, carenti nel marketing e nella comunicazione, con scarsa integrazione orizzontale e difficile accesso a fonti di finanziamento. Il punto cruciale sembra quindi la necessità di sviluppare per le ICC (Imprese Culturali e Creative) effettive strutture di Impresa.
Per questo, si esige la possibilità di creare sinergie con soggetti diversi, connessi a livello territoriale, pubblico e privato, imprenditoriale e universitario: in pratica, portatori di contributi e obiettivi coerenti con le proprie specifiche mission, che siano di politiche sociali, di welfare culturale o aziendale, di profit, ma che possano interagire su progetti comuni.
Cultura Sostenibile?
In questo contesto ci interessa focalizzare il “core” del comparto culturale, quello cioè più legato alla espressione diretta della Cultura, e le sue necessità per lo sviluppo.
L’Europa, con la programmazione Europa Creativa 2014-2020, ha recentemente stanziato 1.46 miliardi di euro dedicati al finanziamento di prodotti culturali (film, documentari, fiction, prodotti multimediali o di animazione). L’Italia si avvantaggerà ovviamente di questi finanziamenti mirati, ma si tratta di fondi parziali e limitati rispetto all’articolazione del comparto, che esige ben altri interventi strutturali.
D’altra parte, se consideriamo la spesa pubblica diretta ai beni culturali, secondo uno studio Eurostat che confronta la spesa pubblica dei Paesi europei, l’Italia appare alquanto deficitaria: viene erogato l’1.1% delle risorse pubbliche contro la media europea del 2.2%.
A fronte di un intervento pubblico diretto in decrescita (e che se comunque non lo fosse, comporterebbe in ogni caso il drenaggio di risorse da altre fonti di spesa sociale), il tema all’ordine del giorno è come garantire alle Istituzioni Culturali possibilità di sopravvivenza e sviluppo tendenzialmente autonome.
Tra gli addetti ai lavori sta emergendo il concetto della “Sostenibilità”, cioè la capacità di acquisire e gestire risorse in grado di garantire all’Istituzione Culturale la massima autosufficienza possibile. Mediando il concetto dalla Blue Economy , coniato nel 2010 da Gunter Pauli, si tratterebbe proprio di creare circuiti virtuosi che si appoggino alla capacità creativa di intercettare e organizzare le adeguate risorse in maniera il più possibile efficiente.
Un esempio di questa filosofia è il MUVE di Venezia, la Fondazione dei Musei Civici, che ha adottato tutte le possibili leve di sviluppo prodotto e marketing per garantirsi la massima autosufficienza: servizi dei Musei aperti ai non fruitori, politiche di prezzo differenziate nei diversi Musei, creazione di un punto MUVE nell’aeroporto di Venezia.
Altro caso in quest’ambito è la Triennale di Milano, che già molti anni fa ha scelto la formula della Fondazione in Partecipazione. Si sono differenziate in maniera significativa le modalità di ricavo, raggiungendo un’alta quota di autofinanziamento grazie alla moltiplicazione dell’offerta di servizi e prodotti.
Il concetto di Sostenibilità della Cultura difficilmente può comunque escludere l’intervento del Privato, con modalità di partecipazione diverse in funzione di Mission e obiettivi specifici. A nostro parere, si stanno aprendo in Italia enormi opportunità ancora sottovalutate: il sistema arte-cultura-turismo-enogastronomia costituirà uno dei settori più potenziali per nuove opportunità di business, grazie alla domanda interna, ma soprattutto worldwide.
Pensiamo, ad esempio, a forme di project financing che implichino l’intervento congiunto del settore pubblico, con quello del non profit o meglio del privato sociale e del profit.
Pensiamo anche alla Sponsorizzazione della Cultura, leva di marketing con una propria dignità in molti Paesi, soprattutto anglosassoni. In Italia è sempre stata considerata fanalino di coda e fattore residuale nel marketing communication mix. In realtà, offre molti vantaggi per le Imprese, anche se il contesto relazionale ed organizzativo in cui può attuarsi presenta luci ed ombre.
Cultura e Impresa
Da anni ci occupiamo dei rapporti fra Imprese e Cultura con ricerche e sondaggi ad-hoc in collaborazione con The Round Table – un esempio di sinergia tra capacità tecnico-metodologiche ed esperienza del mondo culturale, che ha generato una competenza integrata abbastanza unica in Italia.
Intervistando e parlando negli anni con le Imprese che investono in Cultura, alcuni temi ricorrono, anche se ultimamente sono emerse esigenze che prefigurano nuovi modelli d’intervento dell’Impresa rispetto alla Sponsorizzazione culturale classicamente intesa.
Perché investire in Cultura, cioè affiancare la propria immagine a Istituzioni o Eventi culturali?
Le strategie di comunicazione Corporate sembrano integrare la Cultura in quanto valore qualificante soprattutto nei confronti dei pubblici Istituzionali o BtoB, ma anche dell’opinione pubblica.
Il tema dei “Valori” associabili alla Cultura svolge una rilevanza cruciale per spiegare l’interesse delle Imprese: la Cultura, come si è visto, assume un valore in sé ampiamente riconosciuto dalla popolazione; e soprattutto nella contingenza attuale, l’intervento delle Imprese a tutelarla attribuisce alle Imprese stesse una funzione anche sociale. D’altra parte, la logica della Sponsorizzazione attiva valori specifici, collegati al Progetto/Evento : sono i “valori bridge” tra i desideri e le passioni del pubblico, e la Mission dell’Impresa.
Altro motivo per investire in Cultura: la Prossimità territoriale. La presenza dell’Impresa a beneficio di una comunità può rafforzarla nella relazione con i diversi sog-
getti del territorio in cui l’Impresa è insediata, o in cui si sta per insediare.
Alcune Imprese che abbiamo incontrato sottolineano l’utilità dell’intervento in Cultura anche per promuovere o rafforzare specifici Brand, al di là della Corporate Communication. In questo caso la Mission e i valori specifici della Marca sono associati con particolare attenzione alla strategia e ai contenuti dell’evento culturale, perché vengono messi in gioco i valori funzionali e simbolici di un Brand che produce un suo immaginario, ma che ha anche “sotto” un prodotto con cui fare i conti.
La Cultura in questa logica è assimilabile a un canale di comunicazione che come tale esige le condizioni tipiche del Marketing: nel nostro Osservatorio emerge con chiarezza che in un Progetto culturale le relazioni – commerciali, organizzative, tecniche, sempre di più strategiche – tra Sponsor e Evento/Istituzione, assumono una rilevanza anche maggiore rispetto alla tipologia dell’evento sponsorizzato, al fine di rendere l’intervento efficace.
In questo contesto l’intervento dell’Impresa si allontana sempre più da un’ottica di erogazione liberale e si avvicina alle attività di market communication che esigono competenze, anche esterne, capaci di coniugare i consueti tool professionali con la conoscenza specifica delle logiche e delle dinamiche del settore Cultura.
E su questo fronte le Imprese lamentano carenze da parte degli operatori culturali: soprattutto il retaggio di un’ideologia filantropica che attribuisce all’Impresa finalità eminentemente erogative al di là di ritorni sull’investimento, un approccio poco marketing oriented, cioè poco mirato ai bisogni dell’Impresa, un’offerta ancora standardizzata.
Collaborative Business
Quale soluzione? Con la produzione culturale che può costituire un volano di sviluppo economico del Paese, con il crescente interesse per la Cultura da parte della popolazione, perché espressivo dell’evoluzione sociale che procede dai valori tangibili a quelli intangibili; con la capacità della Cultura di creare identificazione tra i valori dell’Impresa sponsor e i valori e le passioni del cittadino; bene: quali strade per garantire lo sviluppo delle attività culturali, e nel contesto l’incontro tra questi due mondi, Istituzioni/Eventi Culturali e Imprese?
Da sottolineare, innanzitutto, che molte Imprese hanno avviato e stanno avviando progetti culturali autoriali, che cioè producono e gestiscono in prima persona bypassando l’intervento delle singole istituzioni, ma coinvolgendo consulenti esperti dei diversi settori oltre che, direttamente, gli artisti.
Pochi esempi per tutti: la Fondazione Prada, da decenni a Milano e ora sbarcata in Qatar, con installazioni pop-up in collaborazione con i Musei del Quatar; Edison, con l’iniziativa di Piano City, dove i pianoforti ‘occupano’ Milano e le case dei milanesi per un Week End; Brunello Cucinelli, che sulla cultura fonda il Welfare dei propri dipendenti e concittadini; ENI, con le iniziative di fruizione gratuita di grandi capolavori artistici a Palazzo Marino, che sono ormai un ‘must’ per il Natale dei milanesi.
In realtà, nell’ottica della Sostenibilità dell’Intervento culturale, che implichi l’intervento delle Imprese a favore di Progetti generati dalle Istituzioni Culturali, si stanno profilando nuovi modelli strategici e operativi orientati al superamento della sponsorizzazione come viene classicamente intesa.
Questo implica, sostanzialmente, una condivisione Progettuale che annulli la logica dei Pacchetti uguali per tutti e controvalori cash definiti genericamente e non in base al raggiungimento di obiettivi condivisibili.
Per questo parliamo di Collaborative Business: una cooperazione win-to-win che non preveda né l’appropriazione dei contenuti dell’evento da parte dell’Impresa, ma, se mai, una loro declinazione in funzione degli asset che intende esprimere, né l’appiattimento del ruolo dell’Impresa a mero cash dispenser.
In quest’ottica si esige innanzitutto lo sviluppo di una formazione professionale e manageriale da parte delle Istituzioni Culturali : migliore conoscenza dell’Impresa, della sua specifica identità, mission e storia; il trasferimento di informazioni più complete e pertinenti riguardo l’offerta culturale dell’Istituzione e dei suoi pubblici diretti ed indiretti; la riduzione della sovrapposizione tra le diverse attività orientate alla sponsorizzazione, per mantenere così la peculiarità dell’intervento della singola Impresa.
Ma, soprattutto, si richiedono cambiamenti attitudinali: maggiore Propositività – capacità di coinvolgere l’Impresa sulla base di una più credibile valorizzazione della propria offerta; Flessibilità – disponibilità a modificare, anche se ovviamente non stravolgere, la propria offerta di Cultura in funzione delle necessità specifiche dell’interlocutore; Creatività – capacità di combinare l’identità dell’evento con gli specifici obiettivi e necessità di distintività dell’Impresa stessa, per la quale il “Personal Branding” nell’investimento in Cultura assume una rilevanza assolutamente chiave; Trasparenza – volontà di lavorare in una logica di chiarezza e reciprocità dei benefici.
Nuova progettualità
In questa direzione in Italia si stanno profilando iniziative innovative : il Comitato Cultura+Impresa, fondato da The Round Table e Federculture - quindi un mix di competenze di Comunicazione d’Impresa e Produzione culturale – sta lavorando a BorsaCultura, un market place on-line e off-line per rendere più efficaci le Partnership e le Sponsorizzazioni culturali.
BorsaCultura, format nazionale, ma declinato a livello Regionale, sarà una piattaforma dove si raccolgono i progetti culturali dei diversi operatori e istituzioni, pubblici e privati, organizzati in schede informative adeguate alle esigenze della comunicazione di Impresa. I progetti vengono periodicamente inviati al Data Base delle Imprese già sensibilizzate agli investimenti in cultura, piuttosto che agli sponsor potenziali.
Intanto il Comitato già fornisce strumenti di lavoro strategici e operativi, come Informazioni periodiche, Ricerche (realizzate in collaborazione con Astarea), Workshop e il Premio Cultura + Impresa, avviato nel 2013 per valorizzare i benchmark di questo settore.
Le Camere di Commercio di Milano e Monza Brianza stanno sperimentando ‘sportelli per le Sponsorizzazioni Culturali’ segno dell’esigenza avvertita di far incontrare in qualche modo il ‘Sistema Cultura’ con il ‘Sistema Impresa’.
E sono sempre più numerosi gli studi commissionati dai ‘Sistemi Territorio’ per valutare l’impatto economico e sociale degli eventi culturali organizzati e finanziati da alleanze pubblico-privato, con questo schema: il Comune promuove o patrocina fornendo l’endorsement; le locali Fondazioni Bancarie e di Impresa o le Camere di Commercio apportano contributi economici dando vita a progetti
non occasionali che creano visibilità, occupazione diretta, indotto economico.
Altro esempio di particolare interesse è l’iniziativa nata all’interno del Consiglio Nazionale della Green Economy che, recependo un’istanza di Planet Life Economy Foundation, ha sottoposto ai Ministeri dell’Ambiente e dello Sviluppo Economico il progetto di costituzione di una rete di Centri Permanenti del Territorio che, collocati in contesti omogenei, per caratteristiche pedogeoclimatiche e culturali, valorizzino le Imprese e le Comunità di riferimento tutelandole dalle vulnerabilità e promuovendone le potenzialità, con competenze trasmesse da enti come Enea ed Ispra per l’ambiente e da ICOM per la Cultura.
In questo modo si integrano nelle strategie delle Amministrazioni locali e delle Imprese i patrimoni naturali e culturali ad oggi intangibili, totalmente dimenticati nei bilanci.
La priorità in Italia all’approccio territoriale viene d’altra parte affermata anche da Giuseppe De Rita nell’ultimo rapporto CENSIS, parlando di Piano Orizzontale per la Cultura: quello cioè che non usa settori o soggetti in competizione tra loro, ma la molteplicità partecipata dei nostri “campanili” – un’apparente debolezza che diventa una forza perchè si dimostra durevole nel tempo e duttile alle nuove tecnologie.
Tanti cari auguri di Buon Natale 2014 e Buon Anno 2015.
Dieci anni fa abbiamo identificato nei Fenici e nella loro capacità di guardare avanti il nostro territorio di comunicazione – navigatori ingegnosi nell’orientarsi, abili commercianti e raffinati produttori di manufatti.
La riflessione, in questo Augurale, sui nostri studi che riguardano le tendenze socio-culturali e di consumo ci riporta simbolicamente alle loro abilità. Qualche esempio.
La capacità e la lungimiranza di avventurarsi per primi nel Mediterraneo occidentale e fin oltre le Colonne d’Ercole, aprendo empori sulle coste atlantiche d’Africa ed Europa.
La capacità di navigare tatticamente lungo la costa o strategicamente in mare aperto, ove gli obiettivi e le contingenze lo richiedessero.
La capacità di intercettare la giusta rotta – anche scoprendo la costellazione dell’Orsa Minore e la sua stella/coda Polaris, chiamata infatti dagli antichi la Stella Fenicia.
La capacità di utilizzare le risorse dei territori, come ferro, rame e argento in maniera profittevole e mirata alla soddisfazione della domanda mediterranea.
La capacità di approdare in territori estranei instaurando relazioni di scambio, di interazione tra le persone e di confluenza con la popolazione locale nella costruzione di oggetti funzionali, originali e di alto valore estetico.
La Storia della Sardegna fenicia inizia nel IX secolo a.C., con il pacifico approdo sull’isola dei primi mercanti fenici e l’integrazione con la Civiltà locale apportandovi nuove conoscenze e tecnologie. Nell’isola l’incontro con il mondo fenicio avviene soprattutto in luoghi di attiva presenza nuragica, che evidenzia il ruolo delle aree di culto come luoghi di interazione e trasmissione di ricchezze e di cultura, in un andamento bidirezionale.
In copertina, un esempio di manufatto fenicio riscoperto in Sardegna. Torciere in bronzo proveniente dal nuraghe s’Uraki di San Vero Milis (Oristano) - Museo Archeologico di Cagliari.
Sguardi sul futuro.
Orientarsi tra i segni
Laura Cantoni
Giorgio Villa
Introduzione
Andare a tempo: gli elementi dinamici del cambiamento
Andare a tempo: ricerche di marketing con lungimiranza
Andare a tempo: innovazione con metodo e immaginazione
Anche quest’anno intendiamo offrire ai nostri amici un piccolo pensiero augurale, frutto delle nostre osservazioni sul cambiamento socio-culturale e sulle ricadute nel mondo dei consumi.
Dalle tre edizioni del nostro mapping Andare a tempo®, a partire dal 2005, abbiamo selezionato 6 percorsi che inquadrano le evoluzioni di sei tendenze che da seme, trend in nuce, si sono affermate, evolute o modificate, sviluppando i tratti distintivi che ci avevano suggerito di metterle a fuoco.
Il primo: l’evoluzione dello shopping, da cambiamento di postura del consumatore che diventa più attento e autonomo, a un maggiore orientamento verso il valore d’uso e l’essenzialità no frill, fino alle più recenti strategie di autodifesa a fronte della crisi, attraverso l’applicazione alla spesa di tattiche opportunistiche e calcolo.
Il secondo: dall’offerta di prodotti e servizi che soddisfino un nuovo (più saggio) edonismo a 360°, al tentativo di fornire piccole gratificazioni con una qualificazione verso l’alto di prodotti basici, fino alla cristallizzazione del trend in un’ideologia positiva che rivitalizza la penuria: beni e servizi di buona e ottima qualità offerti a prezzi accessibili per garantire un minimo di comfort life e uno standard di vita possibilmente migliore.
Il terzo: modi di essere e comportamenti di consumo camaleontici in virtù di una rinnovata enfasi sulla soggettività (tailor made, made to measure, ibridazione), si arricchiscono poi con nuove contaminazioni (culture, competenze, glocalismo) fino ad attivare quella flessibilità necessaria ad ottimizzare le risorse scarse con mood sperimentali e risposte attive alla crisi.
Il quarto: dalla riscoperta della memoria come ritorno attualizzato alle origini, alla radicalizzazione del trend nella celebrazione del raw e dell’originario quasi in versione integralista, alla più recente affermazione del concetto di “sintesi tra passato e futuro”, dove il passato funge da base per la proiezione produttiva nel domani.
Un altro passo di questo “rewind” è paradigmatico: la condivisione, tendenza già in fieri nei primi anni del 2000, e in piena affermazione nel 2005 anche grazie al nascente boom dei social si traduce nella consapevolezza della convergenza sistemica, un “noi” che sempre più guida gli sviluppi sia economici sia sociali.
La cultura Green è parte imprescindibile del cambiamento culturale degli ultimi 10 anni. L’ orientamento alla natura e protezione dell’ambiente si attualizza nel corso del tempo con comportamenti più estesi e attivi, fino all’attuale consapevolezza della Sostenibilità come guida regolativa in primo luogo nelle logiche di business delle Imprese.
Sei percorsi per sintetizzare da dove siamo venuti e che cosa ci ha portato a essere come siamo oggi, ma anche a intravedere qualche elemento di che cosa sarà domani, nei consumi e nelle corporate activities.
Pur nella difficoltà di sviluppare oggi scenari predittivi, cercheremo sempre di tenere sguardi sul futuro, cogliendo i segnali anche deboli di dinamismo che aiutino a tracciare traiettorie di sviluppo e a disegnare tratti su una tela, apparentemente bianca, che possono rappresentare il domani dei mercati.
Smart shopping, Downsizing, Reducing
Il percorso del consumo critico è già visibile nel 2005, nel cambiamento di postura del consumatore che diventa più consapevole e attento.
In quel periodo si sottolineava il passaggio (in atto già da qualche anno: ne cogliamo l’incipit intorno al 2000, ma in questi anni si manifesta con più evidenza) da un consumo cieco e compulsivo a una maggiore coscienza, orientata a acquisti più oculati, a un’attenzione un po’ furba ed astuta ai prezzi motivata da una ritrovata autoconsapevolezza e autonomia rispetto alle pressioni consumistiche, piuttosto che da criticità economiche. Si parlava, allora, di Smart shopping.
Nel 2009, siamo nella prima fase della crisi e le persone incominciano a fare i conti. I consumatori, che negli anni precedenti hanno affinato le loro capacità critiche, si trovano ora a recuperare i bisogni di base, a ridurre le mete aspirazionali, a resettarsi l’esistenza. Vige il pragmatismo, l’essenziale diventa paradigma di consumo, si cerca l’occasione di risparmio, negli acquisti e nella vita quotidiana – affitto di parti di casa propria o la glam formula staycation per dire vacanze in città; ma nonostante tutto, in questo momento il baluardo della qualità, per ampissima parte della popolazione, resta intoccabile.
Il Downsizing peraltro non è vissuto in maniera punitiva ma valorizzante, come espressione di maturità - rappresentato come sua onda estrema dal trend frugalismo, un mix tra consumo ecologico e risparmio in chiave “proud”.
In sintesi: una bandiera ideologica, che riguarda ora una nicchia di cittadini, orientata al valore di uso, al no frill, al fai da te domestico, con il recupero dell’home
made, dall’orto al pane in casa. Implicito, un forte potenziamento dell’espressività individuale, ma finalizzato alla realizzazione di qualche cosa di “materialmente” utile: un trend che, se in modalità e con motivazioni in parte diverse, proseguirà nel futuro.
Andare a tempo® del 2012 segnala un drastico giro di svolta - Reducing era la parola chiave - pur sempre maturato sulle condizioni degli ultimi tempi: la Crisi, che nell’estate del 2011 si radicalizza (nella testa oltre che nelle tasche degli italiani), con la bolla finanziaria impone sacrifici e l’adozione di un approccio agli acquisti che abbiamo chiamato war strategy.
Oltre la spesa intelligente, si mobilitano nuove tattiche e si sviluppano competenze che diventano un obbligo a sostegno di drastici tagli ai consumi.
Lo shopping non è più smart ma un severo calcolo delle possibilità, in cui si inseriscono l’acquisto sociale e la Rete come opportunità di risparmio, in una logica che implica interazione e per certi aspetti condivisione, solidale o funzionale che sia.
La perdurante criticità e la mancanza di una visione sulla “fine” della Crisi si saldano però con altre sensibilità emerse negli ultimi anni: l’iper-consumo riduce il suo valore psicologico e culturale, lo spreco incomincia a rappresentare un disvalore, emerge l’economia dello scambio, la domesticizzazione dei servizi si amplia (abbigliamento, utensili, pasti conviviali in casa, etc..), integrando necessità e gioco.
Lentamente ma inesorabilmente l’atteggiamento critico diventa un habitus, probabilmente destinato a durare nel tempo, per parte (ampia) della popolazione.
Comfort living, Upgrading, Living well on less
Nel 2005 il tema della qualità della vita, non certo nuovo, si amplia a tutti gli ambiti del consumo e delle abitudini, declinandosi in un’accezione di “comfort” living.
Le proposte delle aziende si focalizzano sull’offerta di benessere a 360° con l’obiettivo di mobilitare le esigenze di corpo e mente, di fisico e psiche, ma anche di stimolazione sensoriale e gioco.
Lo spettro è ampio, solo qualche esempio: dal boom delle spa e di tutti i loro riti, alle palestre con macchine che alleviano la fatica fisica attraverso una molteplicità di device ludici; alla cosmesi che incomincia ad adocchiare i benefici delle piante (esotiche e costosissime, in quel momento); a un’alimentazione terapeutizzata, “superfood e zerofood”; all’automotive, dove lo spazio diventa interpretazione del lusso connesso all’idea di comfort centrato sulla persona; alla nuova hotellerie che elabora la cultura delle fragranze diffuse; alla cucina che diventa art, il piatto architettura di ingredienti, una vera e propria opera di design.
Nel 2009 - siamo nei primi anni della Crisi- il concetto di comfort living incomincia a vacillare. Ciononostante, lo studio Andare a tempo® parla di una volontà da parte di tutti di tenere alta, nei limiti del possibile, la qualità del consumo: a vantaggio di un cittadino ormai ipercritico che avanza richieste non solo di generica qualità ma anche di personalizzazione, di facilitazione e di benefit rilevanti, e a vantaggio delle Imprese che incominciano ad affrontare le difficoltà della domanda.
La risposta geniale dei mercati si dimostrerà di permanente successo: l’Upgrading come reazione al Downsizing. Una parte dell’offerta di prodotti basici tende a
qualificarsi verso l’alto, proprio per stimolare il consumo fornendo gratificazioni low (o comunque non high) cost.
E’ il momento clou del fast fashion, con catene che mobilitano gli stilisti per garantire ai consumatori qualche momento di gloria, della qualificazione dello street food, dell’estetizzazione del quotidiano, con il design che plasma gli oggetti domestici per garantire micro lussi a prezzi ragionevoli – come il bagno e i suoi nuovi accessori che ne fanno un piccolo centro benessere.
Nel 2012 l’Upgrading si trova a fronteggiare risorse sempre più scarse. La polarizzazione dei consumi è un dato apparente che però cela un fenomeno (internazionale) diverso. Le Imprese e la Distribuzione si impegnano per garantire possibilità intermedie: l’accessibilità a beni e servizi a basso costo, ma di qualità accettabile o addirittura medio alta.
In pratica: occorre permettere alle persone non tanto di trasformare la penuria in ideologia positiva (“Less is more”), bensì di acquisire beni e servizi in grado di garantire uno standard di vita migliore (“More with less”).
Il movimento è duplice: per alcuni beni, si standardizzano soluzioni performanti a costi contenuti (es: auto); il mercato dei viaggi e del turismo modifica i paradigmi di vendita; alcune multinazionali creano e offrono ai mercati in crescita Brand ad hoc con prezzi abbordabili.
Dall’altra parte, si attivano risposte ai bisogni di sperimentazione, di gratificazione, di salute, con prodotti di alta o altissima qualità (freschi soprattutto) a prezzi accettabili nel grocery, ma anche nell’ambulantato di qualità o nei magazzini top di gamma.
Nel 2005 si esprime con la massima chiarezza un movimento latente da qualche anno, centrato sul rifiuto di modelli di comportamento stereotipati.
Ci si orienta a uno stile di consumo non più ostentativo e standardizzato : nel periodo, il total look viene bandito in nome di una costruzione di identità più personale, nomade, incurante di modelli stereotipati. I am what I am, si diceva.
Nelle modalità vestimentali: con il made to measure, con l’ibridazione di top e fast fashion nello stesso outfit, con l’avvicinamento di stile di strada e moda, con il trasferimento nel casual di stili sportivi e tessuti tecnici.
Nell’auto: con la garanzia di vetture tailor-made quanto a combinazioni cromatiche, a materiali di dettaglio, a tipo di abitacolo, con possibili modifiche anche in corso d’opera.
Nel food l’Italia si avvicina agli altri Paesi con incrementate possibilità di pasti outdoor (everywhere, everytime). Si moltiplicano le soluzioni pausa pranzo: prodotti monodose, freschi e surgelati, liofilizzati, con ricettazioni vicine alla tradizione, biologiche o in declinazioni etniche.
Nel 2009 Andare a tempo® il concept Multifacing conferma pienamente lo sviluppo di questa tendenza, però con una maggiore enfasi sull’incontro/contaminazione tra saperi, competenze, funzioni che generano nuove identità.
In questo contesto, si nota un’attitudine al sincretismo culturale, al mix di stili e culture, alla contaminazione, alla compresenza di esoticità e domesticità, all’idea di glocalismo che intende superare la negazione delle identità locali.
Nell’offerta dei produttori si radicalizza l’orientamento degli ultimi anni, molto promettente per il futuro, alla modularità nel design e nei complementi di arredo: le esigenze di risparmio di spazio nonchè di ottimizzazione delle risorse in senso lato, premiano le soluzioni all-in-one, la duplicità funzionale, la trasformazione di un oggetto in uno diverso, le estensioni, ma sempre in versione non certo punitiva e residuale, smart.
Nel 2012, il trend esprime nuove evidenze pur integrando quelle precedenti che diventano mainstream, e incorporando, ovviamente, le necessità dalla crisi: Flexibility
L’obiettivo funzionale è molto chiaro: ottimizzare le risorse scarse in funzione della sopravvivenza personale o del proprio business, esistente o start-up che sia, con un inevitabile mood sperimentale - una risposta attiva all’ incertezza.
Si mobilitano la creatività individuale e sociale per trovare soluzioni interstiziali, riorganizzando le coordinate spazio-temporali.
Il presente diventa allora condizione possibile per fare: il so what, business qui e ora; si creano nuovi format versatili con mescolanze inattese di ambienti e funzioni: dai container per small business start-up; alle app che mettono in contatto aziende e consumatore come temporary cool hunter; ai temporary store o restaurant, prima azioni di marketing e ora modelli di business; alle caffetterie-bar dove si può fare anche il bucato.
Memoria e neotradizione, Archè, Futurestretch
Già nel 2005 la tendenza era molto esplicita. In contrapposizione all’ubriacatura di futuro sollecitata dalla Rete, si torna alle tradizioni.
In realtà, la tendenza data da anni, dall’esplosione della bolla internet nel 2001 che poi incrocia la reazione sociale all’evento Torri Gemelle con le riflessioni che ha indotto su conflitto, integrazione, guerra e pacificazione.
Già nel 2005 il ritorno alle origini non è più nostalgico né passivo: si parla di un passato riattualizzato che fa i conti con le esigenze sociali, economiche e culturali del momento.
Il passato diventa retro-trend, rivisitato: nel beauty, con la valorizzazione della capacità narrante del corpo, e il recupero di bellezze ancestrali come ancoraggio al territorio e trait d’union tra passato e futuro; nel food, con la ripresa colta e chic della tradizione territoriale, piatti semplici dal sapore antico e memoriale, costruiti con ingredienti tipici della propria terra, oltre che ovviamente la scoperta dei prodotti locali; nella moda, con la ripresa di preziose texture tradizionali, raso, chiffon e seta, pizzi e merletti, oltre che dei tessuti etnici, gli stilisti parlano il linguaggio della loro origine, la Sicilia di D&G e la Sardegna di Antonio Marras.
Il trend prosegue, inesorabilmente: nel 2009, Andare a tempo® segnala il rafforzamento delle tradizioni locali, ma con un elemento nuovo, e cioè il recupero di elementi arcaici, materici, del raw, del crudo, della materialità pura : definiamo il trend Archè, in nome di un arcaismo che in quel momento si vuole puro e incontaminato.
Le Aziende incominciano a valorizzare il sapere consolidato: al Salone del Mobile di quell’anno, la teatralizza-
zione del processo produttivo è quasi un must nelle installazioni, soprattutto quando la sapienza artigiana si mixa con le nuove tecnologie. Segnali deboli, ma negli anni successivi la storia dell’Impresa diventerà asset competitivo e abitudine alla celebrazione di anniversari.
Nel 2012, un passo avanti: passato e locale si fondono in un’ottica generativa che valorizza le radici pensando al futuro. L’originarietà vale perché si proietta nel domani; le tradizioni acquistano senso non solo in quanto rassicuranti, ma perché generano valore per chi è in esse radicato: quindi, occorre ripartire da quanto è storico ma in chiave contemporanea, il passato è antinostalgico.
L’Heritage di un’Impresa diventa parte della sua identità ed espressione della sua capacità di mantenersi nel tempo attualizzandosi: è saper fare e peculiarità unica e distintiva.
Le risorse del territorio, non più icone pittoresche, diventano opportunità per fare ripartire le economie locali. Locavorism è l’espressione che avevamo coniato per esprimere la forza propulsiva delle forze produttive locali, soprattutto se proiettate in progetti che integrano le opportunità fornite dalle nuove tecnologie (bio e nano possibilmente), con la forza di tutte le risorse del territorio, da quelle imprenditive, a quelle amministrative a quelle naturali. E il tutto confluisce in un’espressione che per noi significa il passato “tirato” – o proiettato verso il futuro: Futurestretch.
Condivisione, Coinvolgimento, Confluenza
Da almeno 15 anni, le incertezze planetarie invece che produrre isolamento accentuano il bisogno di Condivisione.
Nel 2005 notiamo identità individuali sempre più costruite a partire dai network e l’appartenenza a gruppi anche informali e temporanei: la collettività è rifugio ma anche luogo di slancio esperienziale. Il contatto e la relazione vengono valorizzate più del possesso.
All’esterno, è il momento in cui le città si appropriano del ruolo di nuove “piazze”, per eventi culturali e luoghi di nuovi consumi; nell’ambiente domestico la cucina diventa spazio elettivo per la condivisione dedicato a una nuova socializzazione centrata sul food making condiviso.
La Rete, vissuta per anni come area di dispersione solipsistica, assume una funzione strategica per la socializzazione off-line, con le “chat”. Nella relazione tra prodotti-marca e consumatori, si incomincia a cercare un rapporto meno up-bottom e più interattivo.
Nel 2009, il concetto Condivisione slitta su quello di Coinvolgimento, assumendo una forte componente di creatività sociale. La rete diventa un formidabile fattore di socializzazione delle Best Practices, con l’istituzione di Hub per scambi di conoscenze, a livello universitario in primo luogo. Si iniziano a condividere contenuti sui Social Network, che diventano parte integrante della vita quotidiana. La gente comune assume un nuovo protagonismo ad esempio con lo street journalism. Coinvolgimento anche nelle nuove forme abitative, il Cohousing, comunità di riti e ritrovi, ma anche pratiche di funzionalità e risparmio, o nelle attività urbane come i Community Garden.
Il Mapping del 2012 intercetta un ulteriore rafforzamento del “NOI”, in chiave più sistemica: Confluenza. La necessità della sopravvivenza, in questo momento al suo apice, suggerisce il valore di pratiche partecipate; interdipendenza, cooperazione, reciprocità fondano i nuovi e più evoluti sistemi di sviluppo economico e sociale.
Consumatori e Marche si avvicinano, probabilmente non tanto in un’ottica di “Bonding” affettivo, ma di convenienza. Lo smartphone, che allora avevamo definito Multitasking Device, diventa protagonista di un’informazione in progress facilitante sia per gli acquisti, sia per la possibilità di marcare un consumatore sfuggente e mai come ora infedele.
L’esperienza delle risorse scarse, la complessità dei sistemi, la velocità del cambiamento, e la potenza della Rete contribuiscono allo sviluppo dello Sharing anche nel business, ad esempio con la crescita di piccole attività manufatturiere comunitarie, grazie alla rivoluzione del 3D.
Le nuove professioni e le competenze più avanzate stanno elaborando nuovi modelli che collegano orizzontalmente soggetti di Impresa diversi in un’ottica d’innovazione partecipata e di collaborative business, come le Reti di Impresa, protagoniste di numerose start-up.
Il protagonismo del sociale, quello che abbiamo chiamato Supersocietà, passa da una logica di Crowdsourcing al Crowdmaking: ad esempio con un ruolo attivo dei cittadini nelle attività dell’amministrazione locale, così come nei progetti nazionali - la nuova Costituzione islandese, è stata costruita in modalità net-interattive con tutta la cittadinanza.
Green, Socialethic, Eco-Corporate
Nel 2005 avevamo parlato del Green come tendenza centrata sulle proprietà benefiche della natura e sulla necessità di proteggerla.
In quel contesto, il Green assume una serie ampia di valenze: cultura ecologica, militanza, ritorno simbolico alla semplicità e all'essenza delle cose, offerta di prodotti, tipicamente del Bio nell’alimentare.
Nel Design e nell’architettura, da tempo impegnati sul campo, il Green invade le forme, con scelte biomorfiche nei complementi di arredo, o con la botanica murale, tendenza allora emergente nel building design ed ora presenza diffusa anche nei nostri skyline.
Con Andare a tempo® 2009, le tendenze si confermano, ma con un allargamento semantico che vira la cultura verde anche verso altre istanze, non solo legate al rapporto con il prodotto o l’immaginario della natura, ma all’idea della natura come cifra regolativa per attività e comportamenti più estesi. Abbiamo chiamato il trend Socialethic.
Le esigenze dei cittadini non sono più solo focalizzate sulle componenti naturali, ma si tende a richiedere trasparenza e sicurezza dalla filiera; per certi aspetti aumenta la sensibilità al commercio equo-solidale, anche se i consumatori si dimostrano molto consensuali sui valori ma non particolarmente reattivi nei comportamenti che nel periodo incominciano a fare i conti con le necessità del risparmio.
In pieno sviluppo, il dibattito e le pratiche che riguardano le energie a fonte rinnovabile, gli impianti eco, i prodotti a basso consumo: nel lighting, nell’elettronica, nei beni semidurevoli o durevoli.
Sempre più Imprese attivano strategie di CRS aziendale, per migliorare la propria reputazione in chiave di consenso, ma anche in funzione di un quadro istituzionale che sempre più richiede attenzione alle ricadute delle loro attività nel sociale.
Nel Mapping del 2012, infatti, il fuoco del discorso si sposta sulla Sostenibilità. Si intravvede una nuova prospettiva per le Imprese che chiamiamo Eco-Corporate.
Si sviluppa, se pure lentamente, fra le corporation internazionali ma non solo, la consapevolezza che l’innovazione deve integrare la Sostenibilità come asset strategico, a beneficio anche del profit dell’ Impresa – e questo anche indipendentemente dal sentiment attuale dei consumatori, oltre la Reputation e anche oltre la CSR.
Un anno dopo l’ultima edizione di Andare a tempo®, nei nostri workshop, grazie anche alla collaborazione con Plef (Planet Life Economy Foundation), i nostri trend si sono arricchiti di un modello di business pensato da Gunter Pauli: la Blue Economy.
Integrando la Green Economy, la teoria Blue si basa sul concetto di ottimizzazione delle enormi risorse naturali del Pianeta, ora sottoutilizzate, di adozione delle bio-nanotecnologie, e sulla biomimesi in quanto imitazione delle logiche della natura nei processi economici e industriali.
Nella prospettiva del passaggio dal Green della scarsità - impegnato soprattutto nella protezione dell’ambiente, al Blue dell’abbondanza - orientato soprattutto a creare sviluppo, profitti per l’Impresa, posti di lavoro, capitale sociale.
L’arte fenicia del primo millennio è influenzata da quelli precedenti, sempre con una forte impronta dei modelli egiziani. Tuttavia la fondazione di Cartagine permette una maggiore apertura internazionale e poliedricità di esperienze.
La produzione artistica fenicia intorno al 700ac pare inoltre influenzare molto le produzione locali del mediterraneo grazie alla migrazione di numerosi artisti , in particolare a Cartagine e in Spagna.
I Fenici erano attivi in diversi campi.
Nell’architettura, i monumenti di maggiore rilievo sono il
Ma’abed di Amrit, in Siria e il grande tempio con costruzioni annesse a Cipro, dedicato ad Astarte.
La scultura è conosciuta soprattutto grazie agli scavi nelle aree di culto, nei i tre siti Amrit, Umm el’Amed e Bostan es Saykh che contenevano statue di divinità e di adoranti.
La coroplastica fenicia è invece rappresenta da scene di genere, cioè lavori domestici, o soggetti religiosi o divinità in sembianze antropomorfiche, incinte o allattanti, dalle adoranti tipiche della regione di Tiro, da maschere e placche espressive della religiosità popolare.
La produzione dei gioielli fenici viene testimoniata soprattutto grazie alle collezioni di privati e dai ritrovamenti a Cartagine, Spagna e Sardegna. Alcuni esempi dalla Fenicia continentale testimoniano l'alta perfezione della produzione fenicia in questo campo attraverso l’adozione del cesello, della granulazione o della filigrana.
Metaforicamente, la storia dell’arte fenicia può essere associata all’evoluzione delle arti e dei nostri Musei. Così come essa ha vissuto di relazioni e di scambi tra popoli, così le nostre arti e i loro spazi potranno svilupparsi ed esprimere il segno dei tempi, attraverso l’ interattività, la multiculturalità e la contaminazione.
In copertina, collier in oro, Cultura Punica, 425,301 a.c. Peso 7,50 g. Necropoli di Puig des Molins, Ibiza, Spagna, Museo de Cadiz
Abitare le arti.
Orientarsi tra i segni
Laura Cantoni
Giorgio Villa
Introduzione
Musef... musei in corso
Musef... musei esperienziali
Musef... musei non solo
Anche quest’anno intendiamo offrire ai nostri amici un piccolo pensiero augurale, frutto delle nostre osservazioni sul cambiamento socio-culturale e sulle sue ricadute nel mondo dei consumi.
Il nostro Augurale è dedicato a una rivoluzione poco apparente ma molto consistente nel mondo della cultura e dell’arte.
Il Museo muta.
I Musei negli ultimi anni si sono fatti architetturali, integrati nel territorio, più aperti a target allargati, più didattici, multimediali, collocati in setting atipici.
Rispetto a questa evoluzione, Musef indica un cambiamento ancora più strutturale per il Museo del Futuro: il Museo sta diventando un soggetto dinamico e con cui interloquire da vicino e da lontano. L’interattività, già attuale, si radicalizza offrendo nuovi format all’informazione, alla fruizione, alla costruzione e all’organizzazione di un Museo; il Museo assume nuove funzioni.
Ne parliamo in questo momento anche pensando che nel 2016 a Milano si terrà la conferenza generale triennale dell’ICOM , un’istituzione - International Council of Museums - che raccoglie 28.000 professionisti del settore e 2000 musei in 130 Paesi. Milano è stata scelta in sede Unesco dai rappresentanti di ICOM battendo Mosca e Abu Dhabi.
L’area tematica della Conferenza, “Musei e paesaggi culturali” è stata scelta per sviluppare una riflessione sul ruolo dei Musei nella valorizzazione del patrimonio culturale e naturale e quindi sul rapporto fra musei e territorio.
Ci sembra un appuntamento significativo a seguito dell’EXPO, e non solo come riconoscimento della vitalità di Milano e del patrimonio artistico del nostro Paese in generale.
Di fatto, EXPO ha declinato il tema Nutrire il Pianeta in termini di sopravvivenza e salute ma al tempo stesso di qualità della vita. Paradossalmente, se la buona alimentazione costituisce un aspetto fondamentale del vivere bene, anche l’arte e la cultura vi giocano un ruolo non secondario, e in crescita.
Secondo l’Istat, fra la popolazione italiana nel 2014 è aumentata l’affluenza a musei, mostre, siti archeologici, e per il 2015, secondo un Comunicato Stampa del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, si sono superati con un mese di anticipo i numeri dell’intero 2014.
La spesa delle famiglie in cultura e ricreazione, d’altra parte, è rimasta più o meno stabile o in crescita negli ultimi 6/7 anni, a fronte di una diminuzione dei consumi in altri settori.
Un terreno quindi interessante non solo per analisi sociologiche ma anche per le strategie delle Imprese.
Musef infatti ci interessa non tanto come esperti della materia, ma soprattutto come ricercatori che si occupano di marketing e di comunicazione, e che studiano da molti anni il rapporto tra Impresa e Cultura. La rivoluzione Musef può creare nuovi spazi alle Imprese che investono e costruiscono partnership con le istituzioni culturali e con il territorio, come opportunità per lo sviluppo della Reputation, delle attività di Corporate Social Responsibility o di Sostenibilità, di Media Relationship ma anche di rafforzamento del Brand.
Di là dall’Arte
Il Museo estende la sua mission. Da casa dell’Arte propriamente detta, amplia i suoi soggetti ad ambiti tematici più differenziati che propongono soprattutto la cultura materiale, quotidiana, esperienziale.
I Musei di Impresa, ad esempio: Museimpresa, l’Associazione Italiana Archivi e Musei di Impresa promossa da Assolombarda e Confindustria con l’obiettivo di valorizzare le Imprese che organizzano il proprio patrimonio culturale promuovendolo nelle strategie di comunicazione.
La storia dell’Impresa, dei suoi prodotti, processi, uomini e donne è affidata a una documentazione organizzata in testi, immagini, macchine, etc., che rappresenta l’identità dell’Impresa, ne testimonia la sua heritage, esprime le eccellenze della cultura produttiva italiana e diventa veicolo di comunicazione verso i suoi diversi stakeholder.
A Museimpresa sono associate una cinquantina di Imprese, con una crescita costante di associati, negli ultimi anni, anche in periodo di crisi.
Un esempio: il Mumac di Binasco, vicino a Milano, Museo delle macchine per il caffè dedicato alla storia, alla tecnologia, al design e alla cultura della macchina espresso da bar, inaugurato dal Gruppo Cimbali nel 2012 per festeggiare i suoi 100 anni di attività.
Il cibo, come si sa, oltre che necessità alimentare e piacere psicofisico assume crescenti significati culturali - cultura del territorio, cultura storica, cultura tecnologica e scientifica, cultura del corpo - ed espressivi - nuova condivisione, affermazione della propria identità, sperimentazione, gioco, creatività -.
I musei, quindi, si appropriano del cibo. Negli ultimi anni la nascita dei Musei del Cibo è stata pervasiva nel mondo.
In Italia, ad esempio, il Museo del Pomodoro, alimento arrivato da lontano ma simbolo della cucina italiana, è stato fondato nel 2010 vicino a Parma per ripercorrere la storia del pomodoro, dalle tecniche di coltivazione alla conservazione.
Fuori Italia, a Berlino, nel Currywurst anche i divani, le lampade e tutti gli ambienti ricordano la forma e la consistenza del currywurst e delle salse che lo accompagnano.
In Virginia, USA, nel Museo del Cibo Bruciato (in genere nella cucina quotidiana) prende spazio e valore ciò che viene considerato quotidianamente una catastrofe non degna di nota, diventando oggetto di arte (involontaria).
Un’altra categoria: i Musei del tabù raccolgono oggetti e ambienti da mondi non convenzionali.
Alla separazione fra le coppie è dedicato il Museum of Broken Relationships, nato nel 2006 a Zagabria per raccogliere oggetti-feticcio di amori finiti. Un Museo con funzione psico-terapeutica, quindi, che promuove la liberazione da reminiscenze incombenti e disforiche.
Il MOBA - Museum of Bad Art’s - vicino a Boston, come ricorda il claim “Art too bad to be ignored” - è stato fondato nell’autunno del 1993 con un successo strepitoso per la formula: esporre l’arte peggiore, in tutti i suoi aspetti. Sembra un gioco, ma i curatori assumono questa missione molto seriamente...
Così lontano, così vicino
Come ci si informava finora (o meglio, fino a qualche tempo fa) per visitare un museo? Semplice: il Sito del Museo o il Sito dell’Arte e del Turismo della Località. Prima ancora, con le guide turistiche, ma quelle erano utili solo in un percorso più ampio, ridondanti nel caso di una visita mirata.
Le App scaricabili sono la naturale evoluzione del Web Site : contengono un’informazione più ricca, quantitativamente superiore, con una maggiore articolazione tematica, la contestualizzazione del Museo nel territorio, la possibilità di filtrare e localizzare le opere di interesse prima della visita.
I vantaggi, diretti e indiretti: immediatezza, maggiore consapevolezza sui contenuti, ottimizzazione della visita, potenziamento dell’informazione territoriale, ampliamento e differenziazione del pubblico.
ARTNEAR è una App per Blackberry e per iPhone geo-localizzante, che mappa le esposizioni vicino alla propria posizione e in luoghi limitrofi. La ricerca è estesa alle gallerie d’arte nella Regione. Il router funziona inserendo il nome di un artista per conoscere i luoghi dove sono esposte le sue opere in quel momento e anche inserendo il luogo o il nome dell’evento che si cerca. Disponibili due versioni: una gratuita con pubblicità, e una, con un costo (4.99 dollari), senza.
iMiBACT MUSEUM 2015: un grande contenitore con informazioni su più di 500 musei statali italiani, siti archeologici, percorsi storico-artistici, geo-localizzazione dei siti limitrofi.
MiC Roma : l’applicazione permette di consultare le
informazioni ufficiali e aggiornate in tempo reale su tutte le attività, mostre, eventi e didattica, in corso e in programma nei 21 Musei civici di Roma.
I 40 Musei dell’Alto-vicentino offrono un ampio spettro di contenuti, tra arte, patrimonio industriale, natura e scienza, etnografia, archeologia e storia che ora convergono sulla nuova App con informazioni per visitare i musei, orari di apertura, indirizzi, contatti, biglietti, mappa interattiva, video delle sale, suggerimenti su itinerari urbani ed extraurbani, illustrazione degli eventi in località limitrofe, e uno spazio dedicato ai 15 Comuni sostenitori dell’iniziativa.
La frontiera più avanzata del Digital per i musei, di là dalla informazione, consiste però nella la possibilità di fruire i contenuti di un Museo da remoto : una visione virtuale a tutti gli effetti.
ART ENVI, creata nel 2008 e in continuo aggiornamento, rende l’iPhone o l’iPad una gigante galleria d’arte che mostra le collezioni dei migliori artisti dal mondo, con la possibilità di consultare in modo facile e veloce milioni di opere classificate in base agli artisti, con informazioni riguardo l’artista e l’opera d’arte.
ART AUTHORITY, anch’essa del 2008 e totalmente aggiornata nel 2015, consente di visionare milioni di opere d’arte dall’antichità ad oggi del mondo occidentale classificandole secondo autore, location e periodo.
MOMA APP, 2014 fornisce informazioni e fruizione delle collezioni con la possibilità di mantenerle nel device e condividerle. Nella versione più recente sono ascoltabili gli audio-tour anche con lo screen chiuso del telefono in caso si stesse usando un’altra App.
Fruizione immersiva
Google Art Project del Google Cultural Institute
nasce dalla collaborazione con istituzioni di arte mondiali per consentire una visita virtuale ai musei dai dispositivi mobili e visualizzare online le opere d'arte a un livello di dettaglio molto profondo.
Al momento sono visitabili virtualmente 345 Musei di 40 Paesi, con una scelta tra 36.200 Gallerie pubbliche, 45.000 opere d’arte e 63.000 immagini di opere in alta risoluzione, insieme con i testi e le fonti audio.
L’ingresso nella piattaforma può effettuarsi in base al nome dell’artista, al titolo, al tipo di arte, al museo, alle collezioni. Facebook, Twitter, Google+ sono integrati nella piattaforma, consentendo la condivisione. “Le mie Gallerie” permette di salvare elementi per costruire il proprio archivio, mentre “Confronta” consente una visione comparativa, fianco a fianco, tra opere diverse.
Molte opere (circa un centinaio al momento) sono già state fotografate con la tecnologia gigapixel che consente di osservarle ad una risoluzione di 7 miliardi di pixel con una focalizzazione impossibile ad occhio nudo.
In Italia il Progetto coinvolge più di quaranta Istituzioni Culturali.
Nell’ambito dell’immersività si collocano altre esperienze, anche nate in Italia. Ad esempio, la proposta sperimentale del Museo dei Fori Imperiali di Roma - 14 Ottobre/14 Dicembre2015 -, per il progetto “Museo Glass Beacon: i musei del futuro”. È l’applicazione sviluppata da ETT S.p.A. in collaborazione con Mirko Di Ciaccio, vincitore del Bando “Cultura Futura” della Regione Lazio rivolto ai giovani creativi.
La visita combina la dimensione ludica ed emozionale con un surplus informativo - protagonisti, occhiali dotati di un display dove vengono trasferite informazioni testuali, riproduzioni audio-video, immagini proiezioni olografiche, animazioni in 3D, e un percorso virtuale in realtà aumentata tra quattordici punti di particolare interesse del complesso archeologico.
Fra le innovazioni di Torino, particolarmente attiva sul tema, per il Temporary Museum, la App temporarymuseum, potrà essere scaricata all’ingresso inquadrando un codice QR per approfondire la conoscenza degli oggetti esposti attraverso testi, fotografie e video in realtà aumentata, anche indossando i Google Glass messi a disposizione dal museo.
A Bologna, circa a metà del percorso di visita di Palazzo Pepoli Vecchio, è stata aperta e inaugurata all’inizio del 2012 una sala immersiva che ospita il filmato 3D di Apa, filmati stereoscopici e applicazioni in tempo reale dedicati alla storia di Bologna.
A Londra il Museo di Storia Naturale in collaborazione con Atlantic Productions e Samsung ha presentato il 19 Giugno 2015 il progetto per un'esperienza di visita dei fondali sottomarini in realtà virtuale, "First Life" di David Attenborough. Realizzato grazie alla partnership tra Samsung, Atlantic Productions e il suo studio di realtà virtuale Alchemy VR , First Life rivela l'alba della vita sulla terra 540 milioni di anni fa grazie alle recenti ricerche del museo. Per 15 minuti i visitatori si immergono nei fondali marini utilizzando la tecnologia portatile Samsung costituita da caschi in realtà virtuale VR Innovator collegati a smartphone Galaxy S6.
Multiculturalità
L’inserimento in rete dei musei esistenti e degli spazi espositivi può difficilmente esaurire la richiesta di format per nuovi concetti di arte e cultura, quella che viaggia in forma di bit o di installazioni interattive.
Impossibile rubricare queste forme espressive nel registro della conservazione dell’opera, pure se avvantaggiata dalle nuove tecnologie. L’esposizione passa da oggetto ad evento, il pubblico dialoga con opere interattive che gli permettono di connettersi al mondo esterno, le strutture si pongono l’obiettivo di creare opportunità di scambio e vengono quindi costruite in base ai concetti di interfaccia e del valore d’uso della tecnologia.
Tra i progetti più avanzati, il Zentrum für Kunst und Medientechnologie in Germania, il Media Arts in Canada, l’Ars Electronica Center in Austria, l’Inter Communication Center in Giappone
Quest’ultimo intende promuovere il dialogo tra Scienza, Tecnologia, Arte e Cultura, oltrepassando le barriere tra culture e sistemi e prefigurando per il futuro nuove capacità creative fondate su fusioni e scambi.
Ospita un’esibizione a lungo termine e una provvisoria, sempre con l’obbiettivo di mettere in comunicazione tecnologia e arte, quindi creando un collegamento tra artisti e comunità scientifica ovviamente utilizzando device elettronici e virtuali.
A Parigi, in Ottobre è stato riaperto il Musée de l’Homme, anch’esso centrato sulla integrazione tra collezioni (in questo caso su preistoria, antropologia biologica e culturale) e centro di ricerca, insegnamento,
formazione, spazio dibattiti e diffusione dei temi legati alla evoluzione dell’uomo e della società: accanto al Museo nazionale di Storia naturale, il Musée de l’Homme si trova al centro di una rete scientifica pluridisciplinare.
Nel 2017 nel distretto finanziario di Dubai, a ridosso del grattacielo Burj Khalifa, sorgerà il Museum of the Future (136 milioni di dollari previsti). Si posiziona sulla direttrice strategica dell’integrazione multidisciplinare, ma in questo caso l’ innovazione assume una declinazione più operativa : “testare, creare e commercializzare servizi e prototipi futuristici”. Vuole essere infatti un incubatore di idee volte ad alimentare l’innovazione locale, ma anche una destinazione naturale per imprenditori e innovatori provenienti dalla scena mondiale.
Ospiterà laboratori dedicati a educazione, salute, energia e smart cities, con sezioni permanenti e aree di sperimentazione per giganti dell’hi-tech, imprese di tutto il mondo, start-up, università e istituti di ricerca. In una struttura di sette piani con un design atipico nello skyline verticale di Dubai: una ciambella schiacciata con un’enorme spazio vuoto centrale, lasciato appositamente per le proiezioni olografiche all’esterno.
La tendenza alla multiculturalità, se pure in format diverso e più tradizionale quanto a setting museale, viene assunta dal MUDEC di Milano, che intende offrire un programma di mostre, approfondimenti, programmi di ricerca, laboratori e corsi dedicati a tutte le culture del mondo e ai diversi linguaggi delle loro espressioni. Contestualmente verrà aperto negli spazi della Stecca di fronte all’ingresso del Museo il MUDEC JUNIOR , uno spazio dedicato ai bambini concepito come luogo d’incontro e di conoscenza delle culture.
Spazio Eventi
Una nota finale su una modalità molto potenziale e già per certi aspetti attuale di valorizzare il Museo, e ora parliamo soprattutto dell’Italia.
Il dibattito nazionale sul tema della Conservazione e Valorizzazione dei nostri beni culturali sta cercando di dare una sveglia al ‘Sistema Cultura’ italiano più resistente al nuovo, arroccato negli anni sulla certezza che il primo e unico comandamento sia manutenere e conservare il patrimonio culturale e non anche potenziarne la fruizione, come fosse un capitale da tenere sotto il materasso e non far fruttare investendo nel nuovo.
Lo stato arretrato di molti Musei pubblici italiani è conseguenza di questo orientamento, che ci ha fatto perdere punti preziosi nella competizione globale sulla qualità della divulgazione e del servizio museale. Fa parte di questo confronto culturale anche quella che viene chiamata ‘eventizzazione’ dei Musei, ora considerata una necessità per consentire a queste istituzioni culturali, pubbliche e private, di sopravvivere e svilupparsi.
‘Creare Eventi’ nel Museo significa affiancare nuove iniziative e progetti culturali - spesso Mostre tematiche - alla convenzionale esposizione delle opere che costituiscono la dotazione artistica e culturale del Museo.
Il marketing culturale – ovvero la capacità di un’ Istituzione culturale di adempiere alla propria missione ottimizzando la fruizione di pubblici reali e virtuali – necessita più pubblico, e più sponsor che apportino risorse economiche, tecnologiche e professionali.
L’Evento rappresenta una delle soluzioni più efficaci, per diversi motivi.
L’evento nel Museo apporta il valore economico derivato dalla frequentazione continua dello spazio culturale, offrendo servizi, occasioni di shopping e convivialità; porta spesso al Museo pubblici nuovi, intercettati dalla specificità dell’Evento, che grazie a questa iniziativa temporanea hanno modo di conoscere anche il contesto più ampio nel quale è collocata; attira anche il pubblico del territorio, che altrimenti – visto il Museo una volta – potrebbe non trovare più motivo di tornarci.
A Milano, la Triennale e il Museo della Scienza e della Tecnica sono le realtà espositive permanenti che interpretano strategicamente il ruolo dell’ ‘Evento nell’Evento’.
Il Design Museum della Triennale è di fatto l’esposizione della dotazione culturale dell’Istituzione che due volte all’anno modifica tema, contenuti e allestimento, creando attesa e ogni volta rinnovato interesse.
Il Museo della Scienza affianca alla propria esposizione base una serie innumerevole di progetti e iniziative culturali spesso create con la collaborazione di Aziende singole o in pool.
Già oggi molti sistemi Museali – dal MART di Trento e Rovereto al MUVE di Venezia, dal Museo di Capodimonte a Napoli alla Reggia di Venaria di Torino – considerano l’Evento una componente naturale della propria programmazione.
Musef-Impresa
Nell’Augurale del 2013-2014, “Cult-me”, ci eravamo soffermati sul rapporto tra Impresa e Cultura, che si ipotizzava sempre meno centrato sul concetto di Sponsorizzazione, e più su quello di Partnership tra Impresa e Istituzione culturale.
La cessione di risorse all’Ente/Evento culturale in cambio della presenza del marchio aziendale o dei Brand negli anni sta diventando sempre più desueta sia quanto a resa dell’investimento, sia considerando l’evoluzione del rapporto tra l’Impresa e i suoi diversi Stakeholder in direzione di una maggiore interazione, partecipazione biunivoca, dialogo.
Una riflessione trasversale alle tendenze su cui ci siamo soffermati sembra invece porre opportunità inedite proprio in questo orientamento.
Luogo di eventi : offre nuove occasioni di comunicazione per le Imprese, anche perché l’Evento può essere costruito per diventare mediaticamente efficace. Consente di coinvolgere Aziende che potrebbero non considerare interessante la sponsorizzazione istituzionale del Museo, ma che trovano più efficace associarsi a una iniziativa di cui essere protagonisti.
Incremento e differenziazione dei fruitori : la fruizione da remoto dell’opera d’arte diventa, per definizione, no boundaries. In teoria, chiunque potrà visitare virtualmente i musei Italiani da qualsiasi parte del mondo. Misurazione e segmentazione dei fruitori saranno un compito di non poco conto, ma presumibilmente dotato di potenzialità non indifferenti per la comunicazione dei propri messaggi.
Moltiplicazione di hardware e software : si apre
un mercato sofisticato e necessariamente innovativo per la fornitura di tecnologie remote/virtual. Le aziende che vi investono o investiranno, diventeranno gioco forza partner delle istituzioni culturali, acquisendo visibilità mediatica e non solo.
Spazi mediatici : come si è visto, già alcune App integrano l’advertising delle Imprese. In prospettiva, si potrà presumibilmente attivare altri e molteplici contenuti relativi all’Impresa nel contesto del racconto sul Museo, cercando connessioni a livello di prodotti, di processi o di valori tra la espressione museale/artistica e le forme di identità dell’Impresa.
Presenza territoriale : l’identità e le attività delle istituzioni culturali, come recita il titolo dell’Assemblea dell’ICOM 2016, verterà sul rapporto tra Museo e Territorio. Per le Imprese, e non parliamo solo delle medio-piccole italiane, sarà sempre più utile per la loro comunicazione relazionarsi alle Istituzioni Culturali Territoriali per contribuire alla qualità della vita della popolazione da cui anche l’Impresa può trarre beneficio a vari livelli.
Presa sull’heritage : il Museo non è più, ma non da oggi, il luogo dell’Arte e della Cultura con la maiuscola. Sempre di più la vita materiale vuole essere valorizzata, comunicata, messa in scena: i cittadini, le persone amano ritrovarsi e identificarsi nell’hic et nunc, nelle situazioni di prossimità, anche con lo sguardo sul passato. L’interesse per un'Impresa di teatralizzare la propria identità, i propri manufatti e quelli della sua storia sembra quindi tendenzialmente in crescita, soprattutto considerando l’incremento della opportunity to see e l’utilizzabilità nei contesti di comunicazione più differenziati (e remoti).
Verso il 2017
Con Astarea alla scoperta di un nuovo anno.
Tanti cari auguri di Buon Natale 2016 e Buon Anno 2017
L’artigianato fenicio era conosciuto ovunque nel mondo antico e godeva di grande fama.
Le stoffe fenice di porpora erano ambitissime e costosissime, un vero prodotto di lusso, da iper-nicchia, a causa del processo produttivo ad alta intensità di lavoro: il color porpora si ricavava (a mano) dal secreto ghiandolare del murice, un mollusco, fatto poi cuocere e processato dai tintori e tessitori. Per 300grammi di lana occorrevano 60 gr di colorante presi da 1 kg di secrezione di murice.
I fenici erano riconosciuti anche per il cesello dell’avorio usato soprattutto nella decorazione dei mobili: quest’arte fenicia si diffuse in tutto il Mediterraneo grazie al loro attivissimo commercio, tanto che ebbe tra i principali acquirenti i re della Siria settentrionale. E proprio con il crescere dell’attività di esportazione, in questi manufatti si ridussero i motivi religiosi, in quanto poco comprensibili ad altre culture e quindi poco vendibili.
L’intenzione di rivolgersi a un ampio bacino di utenza potenziale guida anche la produzione dei recipienti in metallo cesellato, altri oggetti top dell’artigianato fenicio che narravano per immagini e in cerchi concentrici sequenze di azioni rappresentative di valori aristocratici transculturali come competizione guerra e trionfo.
I fenici eccellevano anche nella lavorazione del vetrocelebri le piccole maschere umane policrome, o dei gioielli - bracciali e anelli con pietre e oro, orecchini pendenti, collier, in cui gli orafi fenici esprimevano al meglio la tecnica della filigrana.
Dopo l’VII secolo a.C si diffondono nel Mediterraneo anche le anfore fenice e puniche, che avevano una destinazione funzionale o rituale, con forme molto diverse, anche di grandi dimensioni e capacità, tutte caratterizzate da anse attaccate all’orlo del collo.
Abbiamo usato l’esempio dell’artigianato fenicio perché il nuovo artigianato, per se stesso o in combinazione con l’industria manifatturiera, costituisce in questo momento uno dei fenomeni di tendenza più innovativi unendo, così come quello fenicio, creatività e manualità ad una forte marketorientation.
In copertina, anfora in argilla, cultura Fenicio-Punica, 800-601 a.C. , altezza 67cm, base 13 cm, bocca 17 cm, Cerro de Villar, Malaga
Percorrere nuove strade.
Orientarsi tra i segni.
Laura Cantoni
Giorgio Villa
Introduzione
Nuove strade per la crescita…
Nuove strade per l’innovazione…
Nuove strade per il benessere…
Anche quest’anno intendiamo offrire ai nostri amici un piccolo pensiero augurale, frutto delle nostre osservazioni sul cambiamento socio-culturale e sulle sue ricadute nel mondo dei consumi.
Il nostro Augurale è dedicato ad alcune riflessioni sui concept sviluppati nell’ultima edizione di Andare a Tempo 2016®, lo studio di Astarea sulle tendenze socioculturali e di consumo, che viene utilizzato come supporto allo sviluppo di Prodotti e Servizi e Territori di comunicazione.
Il Mapping attuale eredita alcuni mood dei macro-trend di Andare a Tempo 2012®, evolvendosi sulla base di fattori strutturali come il boost della tecnologia digitale, il permanere delle criticità economiche, l’aggravarsi della questione ambientale.
Sono stati sviluppati 4 Macro-Trend
Espansione. Indica una spinta al potenziamento delle opportunità per individui e organizzazioni, sostanzialmente connesse al Digital: facilitazione delle attività quotidiane con implicazioni time-saving e de-stressing; più spazio all’effetto sorpresa in chiave emozionale, e all’ educational in chiave ludica; incorporazione della informatività interattiva negli assetti produttivi e distributivi, nella mobilità urbana, nell’abitare.
Molteplicità. Indica la riconfigurazione, a volte il ribaltamento, di schemi consolidati attraverso l’ibridazione di elementi diversi (prodotti, funzioni, materie, oggetti) per creare opportunità di business, performance più soddisfacenti, una gestione del quotidiano destrutturata e veloce.
Concentrazione. Indica la valorizzazione di quanto è unico e personalizzato, del fare individuale nonché dell’ espressività personale.
Implica una più forte pregnanza della matericità, del contatto fisico, diretto, immediato e ravvicinato con l’esterno, la terra, gli oggetti. Le risorse e le culture del locale e dei territori tendono a diventare sempre più desiderabili dal consumatore e per le imprese, mentre si stanno configurando relazioni più sinergiche tra le istituzioni e nel rapporto tra pubblico e privato.
Circolarità. Questo trend viene rappresentato nel simbolo del Mapping Andare a Tempo 2016® (il cerchio) perché rispetto agli altri sembra più discriminante riguardo alle possibilità – o meno – di incrementare il benessere per le persone, così come la creazione di valore per le imprese. Si tratta dell’idea di integrare le componenti di un qualsiasi sistema al fine di generare efficienza ed efficacia non solo nel rispetto dell’ambiente e dei diritti umani, ma anche in una logica del “ciclo chiuso” / no waste.
L’incrocio tra i quattro Macro-Trend ha generato 16 concept di tendenza che raccontano i cambiamenti in atto e soprattutto prefigurano evoluzioni per il futuro offrendo spunti per uno sviluppo del marketing e della comunicazione di Impresa che si desiderino costanti e rilevanti.
Fra Espansione e Molteplicità
In questo contesto si collocano i concept più legati al Digital, nelle sue pressochè illimitate aree di applicazione.
L’idea dell’Outside-the-box allude all’incremento di opportunità esperienzali fuori dalle aspettative consuete, capaci di suscitare emozioni e stimoli a livello intellettuale: dalle esperienze immersive nel mondo della cultura ai nuovi digital store basati sul modello di business on-line, che però aprono siti off-line per colmare il gap legato a tatto, fitting, try-on, resa dal vivo.
L’industria automobilistica rappresenta una delle punte più avanzate della tendenza: l’autonomizzazione della macchina, l’incremento dell’interazione tra macchina ed esterno, la capacità della macchina di guidarci modificheranno in maniera sorprendente la pratica e l’esperienza del guidare.
In casa la sostituzione della presenza/fare dell’uomo nelle attività quotidiane prosegue con la generazione di programmi di azione prima inesistenti. I–Butler è il nuovo maggiordomo digitale, rappresentazione simbolica dell’Internet of Things: si inserisce in grandi o piccoli oggetti con device attivi prefigurando un nuovo scenario sistemico della casa con tutte le funzioni connesse, man mano che le applicazioni diventano più facili da impostare e immediate nell’interazione.
La questione i-Butler è in realtà anche la digitalizzazione (e conseguente one-to-one-izzazione) dei servizi e del concetto dei life-curator, dalle app di personal training, fino alla delivery di box-moda curata da personal shopper digitali che algoritmizzano le ricerche di outfit dell’utente nei vari siti e – su iscrizione mensile – mandano a casa box
contenenti selezioni dedicate all’utente sulla base delle informazioni ottenute attraverso interviste personalizzate, analytics, ricerche sull’online shopping.
Il Digital consente di incrementare l’accessibilità non tanto o non solo dal punto di vista economico ma anche in termini organizzativi moltiplicando le occasioni e gli ambienti di consumo: è la “Everywhere-culture”.
La presenza del cibo, ad esempio, invade ambienti apparentemente impropri come i punti vendita non di settore, con l’obiettivo di aumentare la presenza dei consumatori nei diversi retail point - dal fashion, ai concessionari, ai supermercati - oltre che di usare il cibo per ampliare l’offerta lifestyle dei Brand.
Il format “sulle ruote” si estende, con l’offerta di prodotti e servizi su mezzi itineranti, geolocalizzabili e attivabili anche on demand per saturare l’assenza di punti vendita, per facilitare e velocizzare l’acquisto.
Edugame : la vendita cambia pelle e si trasforma, innanzitutto nei supermercati Hub dove integrazioni interattive e game-ificanti moltiplicano informazioni, storytelling, soluzioni di layout, così come indica il profondo ripensamento del supermercato proposto da Coop a Expo 2015.
I prodotti raccontano sé stessi mutuando le logiche del gioco e piegandole all’informazione istruttiva; Beacon ultrasuonici vengono installati per avviare notifiche push di prossimità ai clienti, mentre le tecnologie vengono applicate direttamente al prodotto, dal sottovuoto per risparmiare energia sulla catena del freddo, alla stampa 3D per creare pacchetti e confezioni ad hoc.
Fra Molteplicità e Concentrazione
Èl’area dei Concept che premiano la Soggettività creativa in una logica comunque di performance.
Il Role-Playing indica l’inversione o al contrario l’appiattimento dei ruoli consolidati rispetto a schemi gerarchici, al rapporto tra i generi, ad abitudini consolidate in molteplici settori merceologici.
Il mondo del cibo restituisce segnali deboli ma significativi. Lo Street Food, ad esempio, amplia l’offerta con tipologie di alimenti tipicamente da tavola (pasta, messa però nel cono), bio, veg, gluten free.
Nell’abbigliamento, le distinzioni di genere si aprono a contaminazioni reciproche tra uomo e donna, o ancora di più collezioni unisex per concetti di collezioni ‘senza genere’ (ma anche: senza età o senza stagione).
Liquid Boundaries, idea anch’essa connessa all’evoluzione tecnologica, allude a identità specifiche le cui parti si smussano, si dividono, si ricostruiscono in altre forme dando luogo a nuovi oggetti, mai definitivi, mobili, adattabili.
La casa ne è l’ambiente più espressivo: da tempo la cucina apre alla socializzazione, ed ora il salotto acquisisce una funzionalità multiforme che integra entertainment, studio, lavoro; la casa si fonde con lo spazio dell’ufficio/desk, in accordo con il trend di crescita di freelance metropolitani e professioni creative.
Una tecnologia di pareti in movimento e mobili a scomparsa già pensati in fase di progettazione dell’appartamento, sono capaci di cambiare destinazione e riconfigurare
gli spazi ad un solo cenno degli abitanti grazie a rilevatori di movimento e sistemi tipo Arduino.
Nel concept Eclectic Mood abbiamo sintetizzato l’idea dell’ibrido, sincretismo di elementi diversi o opposti in funzione di maggiori performance, libertà, emozioni.
Il mondo della palestra, ad esempio, da luogo per l’esercizio fisico si trasforma in un concept articolato che prevede ristorante, sale bowling, aree di intrattenimento per incrementare la fruizione di più servizi: il leisure si mescola con il workout, il food, il benessere.
In molti servizi il basic si integra con il premium, come gli smart hotel: la nuova frontiera del low cost, da grandi catene o piccoli operatori, con una filosofia no-frills ma in location prestigiose e con un’ottimo rapporto qualità/ prezzo.
In crescita il bisogno di Excitement , un po’ come reazione ai vissuti depressivi degli ultimi anni, ma anche come effetto del nuovo, inusuale, inaspettato che avanza. E’ il recupero di una dimensione giocosa e euforica sostenuto dalle new technologies.
Il retail dell’abbigliamento ne è probabilmente aspetto emblematico: specchi intelligenti aumentano l’esperienza del camerino e della prova dei capi (riconoscimento capi tramite bar code, possibilità di modificare tramite specchio le luci per vedere l’outfit in diversi contesti); wifi connection con lo “shop assistant”; possibilità di memorizzare le sessioni di shopping, e di pagare tramite riconoscimento utente via mobile; pareti interattive permettono di snellire o rendere più vasta la scelta dei capi; App dedicate raccolgono e trattengono dati sugli utenti per esperienze di shopping sempre più personal e customizzate.
Fra Concentrazione e Circolarità
Quest’area strategica incrocia l’idea di una soggettività non individualista, attenta alla valorizzazione produttiva e gratificante delle identità.
L’eredità storica – di soggetti o di territori – assume modalità più contemporanee con l’intervento di nuovi player, attraverso la riconversione funzionale delle risorse, nella sinergia con altri mondi: è il concept Twisted Heritage.
Ad esempio, nella ricerca universitaria e negli hub di startup accelerator si sta molto lavorando per la digitalizzazione dei processi artigianali, trasferendo su digitale le competenze manuali degli artigiani quindi rendendole “connesse” e facilmente trasferibili alle nuove generazioni.
La focalizzazione sull’individualità si esprime nell’orientamento al fare manuale che coinvolge individui e organizzazioni: Personal Making. Riguarda sia le nuove forme di lavoro artigianale, sia i modelli di business che mixano manifattura e tailor-made puntando a una personalizzazione sempre più spinta, sia il ruolo della casa come luogo di produzione.
Nella vita domestica l’attitudine alla produzione in casa si aprirà ulteriormente dalla già diffusa produzione alimentare (pane, vegetali, birra), ad altre attività come la manutenzione degli oggetti, e soprattutto la produzione di oggetti nuovi grazie alle stampanti 3D.
Progressivo anche l’avvicinamento tra abitazione e vetrina in una tendenziale fusione tra vita e lavoro, vendita e consumo, che trovano il loro comune denominatore nel valore dell’experiential. La casa diventa showroom, superando la dimensione asettica o irreale del negozio grazie alla vita vissuta dei suoi abitanti.
Earth Existence è il revamping del contatto fisico con la natura e l’esterno in generale: investe l’attività sportiva, l’utilizzazione degli spazi urbani, il modo di vivere il turismo.
Spazi (quasi sempre brandizzati) per svolgere attività fisica, magari in attesa del treno, si aprono nei ground delle metropolitane; il work-out ibrida sempre di più attività in palestra e out-door fitness: al posto degli attrezzi si sfrutta l’accidentale e già esistente, sulla strada.
Germinale dal 2009, nel turismo si sta affermando la proposta di soggiorno in case o villaggi costruiti sugli alberi o sospesi nel vuoto, che si raggiungono con funi e carrucole volanti.
Il concetto di Smart Pleasure evoca ancora di più il bisogno di gratificazioni soprattutto fisiche o meglio psicofisiche in modo soft, non più solo legate alle vacanze o al mondo delle spa, ma presenti anche nell’esistenza domestica dove benessere è sempre di più generato da sensazioni tattili e visive.
Acqua e luce assumono un ruolo cruciale. Il concetto di bagno sensoriale si fonda su un piacere vicino al mondo della natura: in particolare l’attrazione per l’acqua esprime la riscoperta della vitalità intrinseca dell’elemento, tra soluzioni ad alta innovazione tecnologica e sistemi di risparmio idrico “i-design”.
Nella progettazione della luce il led si sta affermando come effettiva rivoluzione per la capacità di combinare sostenibilità e versatilità: dai nastri di luce o piccole bolle per la costruzione di architetture atipiche, fino alla possibilità di soluzioni mutevoli a seconda dell’umore e delle situazioni.
Tra Circolarità ed Espansione
In quest’area insistono i concept connessi a una progettualità consapevole dei “limiti dello sviluppo”, ma orientata a una logica di crescita, più che di mantenimento, più a una economy “blue” (scoperta di risorse nuove) che a una economy “green” (protezione delle risorse note).
L’idea di Up-Shaping indica la ridefinizione strutturale e formale di prodotti, oggetti, ambienti e processi atti a incrementarne o modificarne la performance anche integrando device interattivi.
Il concetto del riciclo (ad esempio del legno) vira dall’idea di una produzione che genera manufatti di secondo livello all’applicazione di materiali già usati per oggetti Design.
Nel food la possibilità di stampare cibo in 3D consentirà non solo una pressochè totale autonomia produttiva, ma genererà anche alimenti in forme poco immaginabili al momento.
New Social . Il Net sarà anche sempre di più generatore di nuove Reti Sociali confluenti su modalità di aggregazione valoriali o comportamenti semplicemente affini in misura più sostanziale rispetto ad ora.
AirBnb, ideatore delle nuove forme di house-hosting e house-renting, va oltre, e per il 2017 diventerà una sorta di piattaforma che crea valore nello scambio comunitario allargando l’offerta dall’home-hosting anche ai trasporti, ai tour nelle città, al turismo vero e proprio. Il principio della disintermediazione viene applicato a tutti i servizi connessi all’esperienza all’estero, sia per lunghi che per brevi periodi.
La questione delle risorse e del loro impiego è elemento chiave delle aree strategiche del quadrante.
Da una parte ci riferiamo all’orientamento verso l’ottimizzazione delle risorse energetiche/naturali esistenti: Energy Reload.
Le filosofie costruttive evolute prevedono l’utilizzo di materiali a basso impatto come biocemento, materiali naturali e poveri, che riciclati disegnano innovazione e sviluppano soluzioni di benessere, sostenibilità e valore estetico; analogamente, vengono applicati materiali locali e adottate componenti prefabbricate o facciate dinamiche che modificano l’esposizione per un maggiore risparmio, accessibilità, comfort.
Dall’abitare all’alimentare: sempre nella logica del recupero di risorse prima non (o meno) utilizzate, si sviluppano una molteplicità di alimenti al traino della cultura Veg, e non solo organici: pascoli bio, farine alternative, varietà di carne e pesce, fonti alternative ai carboidrati come quinoa, amaranto, semi di chia, lenticchie, ceci.
Il concept Energy rigeneration , apparentato a Energy reload, richiama ancora più pienamente l’idea base dell’economia circolare, applicabile non solo all’impresa manifatturiera ma anche distribuzione, e alla vita domestica.
Il ciclo delle risorse si chiude: l’obiettivo non è solo il riciclo delle risorse residue, ma l’assenza totale di spreco. Un esempio: il futuro degli elettrodomestici, in particolare della cucina, con tutti i suoi apparati dotati di un cervello con una spiccata predisposizione al riciclo - minimo uso di acqua, sua riutilizzazione, riuso degli scarti per creare pallottole di concime o eco-carburante.
Trend Concept & Development
Iconcept di tendenza ispirano alcuni spunti per i processi di sviluppo di nuovi prodotti e servizi.
L’offerta delle Imprese sarà inevitabilmente sempre più Digital, e trasversalmente ai mercati.
I prodotti potranno ampliare il loro valore includendo benefit quali l’informatività – prodotti e oggetti sempre più incorporanti informazioni sia riguardo sè stessi, sia sul mondo esterno; l’interazione – possibilità, di dialogo, di comando, di controllo a distanza –; l’accessibilità : ubiquità dei prodotti/servizi, loro immediata disponibilità e massima velocizzazione di prestazione e delivery –grazie anche alle piattaforme logistiche dei nuovi players completamente sganciati sia dalla produzione sia dalla distribuzione.
L’offerta delle Imprese dovrà tenere conto della caduta dei confini netti tra mercati e culture.
Il tema dell’ibridazione sarà key nei processi innovativi: come il trasferimento e l’uso dei materiali per la produzione da una industry all’altra (es:le fibre di carbonio che migrano dalla nautica all’automotive alla casa); la combinazione di prodotti e servizi diversi in un’unica offerta (caso emblematico, la trasformazione del retail che sta diventando sempre più trans-category); la trasversalità , con la proposta del medesimo format di prodotto a target diversi, per occasioni di uso diverse, per stagioni diverse.
L’offerta delle Imprese dovrà fare i conti con la necessità di prodotti e processi connessi alle identità.
Le implicazioni: l’estensione della personalizzazione ad ambiti prima fuori da questa logica, elettrodomestici o abbigliamento in primo luogo; l’integrazione nei processi manifatturieri di elementi di artigianato, più o meno digitalizzato, per proposte magari più di nicchia ma di alto valore aggiunto; l’assunzione del territorio come driver valoriale legato al saper fare tramandato, a uno specifico stile di vita, al riconoscimento di stabilità nel tempo. Questo vale sia per l’insediamento di un’impresa nel territorio, che può generare valore nel rapporto con i diversi stakeholder, sia per una produzione che si identifichi con quel territorio specifico, assorbendone le valenze positive.
Una delle sfide cruciali dei prossimi anni sarà comunque l’integrazione della Sostenibilità in tutte le fasi del processo produttivo, non tanto (o non solo) in funzione di Responsabilità Sociale, ma con l’obiettivo di creare valore per l’Impresa e al tempo stesso benessere sociale e preservazione dell’ambiente.
“La Sostenibilità fattura”, citava un articolo de Il Sole 24 Ore un po’ di tempo fa, perché i processi produttivi, ma anche il marketing e la comunicazione Sostenibili permettono una maggiore competitività in quanto aiutano a utilizzare al meglio le risorse e favoriscono una capacità innovativa tendenzialmente premiante.
Tracciabilità della filiera, ricorso a energie di fonte rinnovabile e identificazione di nuove fonti di energia, riuso o trasformazione degli oggetti per nuove funzioni, rispetto dei diritti e delle diversità, trasparenza delle informazioni sui prodotti, relazioni più inclusive con clienti e fornitori saranno i pillar della crescita nel futuro prossimo.
Trend Concept & Communication
Iconcept di tendenza ispirano alcuni spunti per la comunicazione.
Il concetto di Outside-the-box investe anche le strategie di comunicazione dove l’engagement come parola chiave detta le regole per intercettare la generazione più complicata e sfuggente di sempre, la generazione Z (i nati dal 95 in poi): da un lato trasformare la relazione con i clienti in esperienze e l’intero piano di comunicazione in una enabling experiences platform, dall’altro mutuare dal gaming e dalle meccaniche di rewarding per creare campagne che regalino elementi condivisibili sui social ( Edugame : integrazioni interattive e game-ificanti moltiplicano informazioni, storytelling e dinamiche di engagement).
La comunicazione può imparare anche dal concetto di I-Butler, la ‘maggiordom-izzazione’ dei servizi: il fare per, la gratuità, Brand che fanno (e mostrano di fare) come veicolo di comunicazione: una strada sempre più in linea con una tendenza in costante ascesa.
Non solo, ma le campagne di comunicazione posso essere basate su interfacce Digital con cui gli utenti dialogano e fungono sia da lead generation (e conseguente data gathering) sia da engagement / hook comunicativo.
Trasversalità e convergenza saranno un must, a maggior ragione con il superamento del mobile sul desktop e l’affermazione del second o third screening (la moltiplicazione degli schermi e interfacce fruite contemporaneamente dagli utenti): le campagne di comunicazione saranno sempre più pensate in ottica di inizio su un device e fine su un altro, passando dall’on all’off (line) in maniera fluida.
Al tempo stesso si aprono le opportunità della iper-
personalizzazione dei messaggi sul one-to-one: i big data e gli analytics informano e delineano in automatico il messaggio corretto per l’utente specifico in quel momento esatto.
Questo concetto di personalizzazione permette, anche attraverso lo sviluppo delle app come strumento di comunicazione, di profilare target specifici e acquisire dati estremamente precisi circa l’interazione degli utenti con i servizi e prodotti, e dunque proporre strategie di comunicazione con ‘code’ personalizzabili e customizzabili per un engagement maggiore e contenuti/dinamiche totalmente sartoriali.
La territorialità diventa un driver anche in comunicazione, e tra contenuti legati al luogo specifico, regionalità riscoperte e culture di nicchia, la dimensione del luogo assume connotati slow fortemente attuali: i brand riscoprono una loro dimensione di lentezza come pilastro comunicativo o come approccio strategico – analogico alla comunicazione, in un movimento controintuitivo ma autenticamente di tendenza. Il legame con un territorio si carica di valori buoni esprimendo stabilità, heritage, tradizione consolidata.
Anche in comunicazione il tema della sostenibilità diventa driver imprescindibile non più come side-feature ma come fattore centrale e costante: il futuro prevederà sempre di più brand impegnati in prima linea a favore di un attivismo da “make the world a better place”.
Dal benessere sociale alla preservazione dell’ambiente, la comunicazione sarà anche e soprattutto mostrare le attività concrete e l’impegno social-ambientale dei Brand nel quotidiano: generazione di contenuti, risultati tangibili e informazioni dettagliate per fact-checking saranno elementi imprescindibili degli snodi a venire della comunicazione di Impresa.
Verso il 2018
Con Astarea alla scoperta di un nuovo anno.
Tanti cari auguri di Buon Natale 2017 e Buon Anno 2018
I Fenici nel I millennio a.C. erano i più rinomati produttori di porpora. Esportavano questo colorante dovunque ve ne fosse richiesta, traendone grandi profitti. E pensare che all’origine la porpora è uno scarto alimentare. E’ un colorante prodotto dalla secrezione di alcuni molluschi gasteropodi (il murice) che nell’antichità erano reperibili in grande abbondanza nei bassi fondali di tutte le coste del Mediterraneo.
I molluschi, pescati probabilmente per mezzo di nasse (ceste di vimini) con esche, venivano deposti in grandi vasche, dove venivano tenuti a spurgare. Si procedeva quindi alla rottura e all’eliminazione delle conchiglie che li racchiudevano. I molluschi venivano allora fatti macerare a lungo nelle vasche con l’aggiunta di acqua e sale. La materia colorante che si andava formando veniva poi lavata con altra acqua, e quindi bollita a fuoco lento, per alcuni giorni, in grandi contenitori di piombo.
A seconda della quantità d’acqua impiegata per diluire il pigmento, si ottenevano tonalità di colore più o meno intenso: dal bruno al rosso cupo, al violaceo. Sfumature più chiare – come il color giacinto, il lilla e l’ametista – si creavano con l’aggiunta di altri elementi: urina, miele, farina di fave e licheni che crescevano sulle scogliere del Mediterraneo. I prezzi esorbitanti della stoffa derivavano da questo enorme lavoro necessario per produrla. Con la porpora si tingevano soprattutto tessuti di lana e qualche volta di seta, e si trattava di una tintura indelebile. Una espressione emblematica del contemporaneo concetto di “upcycling”: da uno scarto viene prodotto un genere di grande pregio funzionale ed estetico.
In copertina un'immagine del murice.
Chiudere il cerchio.
Orientarsi tra i segni.
Laura Cantoni
Giorgio Villa
Introduzione
Il cerchio per generare valore…. Il cerchio per creare sviluppo… Il cerchio per liberare risorse…
L’Augurale di quest’anno parte dalla chiusura dell’Augurale 2016, dove si accennava al concetto di Rigeneration (uno dei 16 concept dei Macro Trend nel Mapping Andare a Tempo®) per l’indicare la necessità di ottimizzare le risorse in un’ottica di riciclo/ riuso, nell’obiettivo di un’assenza totale di sprechi a livello sia economico, sia domestico.
L’idea di fondo è che i rifiuti devono tornare nel ciclo dell’economia e dei consumi: gli oggetti non arrivano mai a fine vita, ma rinascono in forma diversa per altri scopi; tutto si riutilizza e si valorizza per tornare nel tessuto economico e creare valore aggiunto, materiali e prodotti riutilizzabili a cascata, all’infinito. Il concetto è quello “dalla culla alla culla” di Michael Braungart, in direzione di una produzione già pensata per gestire a monte le risorse in modo da non creare spreco ma nuovo valore.
È alla base della economia circolare, che si discosta radicalmente dalla consueta economia lineare con la sua triade estrarre, produrre, gettare, disfunzionale in quanto conduce all’esaurimento delle risorse: nel 2050 ci saranno più bottiglie di plastica che pesci negli oceani; oggi si ricicla il 14% della plastica del pianeta, con una perdita tra gli 80 e i 120 ml di dollari l’anno; si gettano in mare circa 8 milioni di tonnellate di materiali artificiali che possono diventare 17.5 entro il 2025.
I 2° di innalzamento della temperatura potrebbero diventare 4°. Con i metodi di coltivazione ad alto impatto abbiamo perso il 52% delle specie negli ultimi 40 anni. L’impoverimento del suolo può costare 40 miliardi di dollari l’anno (Ellen Mac Arthur Foundation”).
In Europa si buttano circa 90 milioni di tonnellate
di cibo per un valore di 100 miliardi di euro. Il 53% proviene dalle famiglie e una parte consistente potrebbe essere ancora consumata.
In Italia ogni famiglia getta in discarica 700 grammi di alimenti la settimana e oltre 2 chili e mezzo al mese, metà dei quali ancora commestibili. Gli scarti domestici pesano il 77% sullo spreco totale di alimenti, per il valore di 12 miliardi l’anno.
Tali livelli di spreco sono inaccettabili, se consideriamo che secondo Eurostat 55 milioni di cittadini europei – poco meno del 10% della popolazione – nel 2014 non si potevano permettere un pasto di qualità nemmeno ogni due giorni. Al contrario, l’economia circolare implica che attività e produzione debbano essere strutturalmente pensate in chiave di riutilizzo, il che significa però cambiamenti nella complessiva catena del valore: dalla progettazione dei prodotti, ai modelli di business, ai modelli di consumo.
Questa logica di contrasto agli sprechi e rigenerazione delle risorse implica vantaggi indiscutibili come il risparmio di denaro (costi di estrazione, produzione e smaltimento), il consumo di una quantità inferiore di materie prime, la riduzione dell’impatto sull’ambiente, benefici duraturi.
Ovviamente le cose non accadono da sole e questi obiettivi implicano una serie di impegni da non sottovalutare, come il ricorso alle fonti rinnovabili per la produzione di energia elettrica, la condivisione delle tecnologie che consentono di abbattere le emissioni nocive all’ambiente, la progettazione dei prodotti in modo tale che possano essere un domani riciclati, la rimozione di ostacoli normativi e burocratici, la circolazione della conoscenza sulle opportunità per la eco-innovazione e l’eco-design.
L’Europa
Gli organismi di governo dell’Europa sono ampiamente schierati per favorire il modello economico della economia circolare, che viene associata ad una economia intelligente, innovativa, sostenibile e competitiva, capace di realizzare considerevoli risparmi di energia e benefici per l’ambiente, di creare posti di lavoro e opportunità di integrazione sociale.
Le azioni via via proposte intendono contribuire a chiudere il cerchio del ciclo di vita dei prodotti, incrementando il riciclaggio e il riutilizzo per portare vantaggi all’ambiente e all’economia, facendo il massimo uso delle materie prime, dei prodotti e dei rifiuti per ricavarne il massimo valore, favorendo i risparmi energetici e riducendo le emissioni di gas a effetto serra. Le proposte della Commissione, contenute nel Circular Economy Package, riguardano l’intero ciclo di vita dei prodotti: dalla produzione, al consumo, alla gestione dei rifiuti e al mercato delle materie prime secondarie. Si sviluppa in quattro dispositivi fondamentali.
La produzione: la fase di progettazione, così come i processi di produzione incidono notevolmente sull’approvvigionamento delle risorse. Di qui ad esempio, manovre per sostenere la riparabilità, la durabilità e la riciclabilità.
Il consumo: le scelte dei consumatori possono ampiamente influire sull’economia circolare. Di qui, ad esempio, l’obiettivo di sviluppare un’economia collaborativa con la condivisione di infrastrutture, di favorire il consumo di servizi anziché di prodotti, di incentivare l’utilizzo di piattaforme informatiche.
La Gestione dei rifiuti riveste un ruolo decisivo nell’economia circolare, per cui il pacchetto stabilisce un
ordine di priorità: al primo posto la prevenzione, quindi la preparazione per il riutilizzo, riciclaggio, recupero di energia, e infine smaltimento – con la definizioni di obiettivi quantitativi specifici.
La promozione dei mercati per le materie prime secondarie permette l’approvvigionamento di materie prime grazie alla reimmissione nel sistema di materiali riciclabili ad esempio attraverso la facilitazione del riutilizzo dell’acqua, o il riconoscimento dei concimi organici ricavati dai rifiuti.
Il progetto stanzia 1150 milioni di euro gestiti direttamente dalla UE e 5.5 miliardi di fondi strutturali a disposizione delle regioni. E nuovi ambiziosi obiettivi sono stati definiti per i paesi membri sul riciclo dei rifiuti. Per quelli complessivi si sale al 65% di riciclo nel 2025 e al 75% nel 2030; per quelli urbani (familiari o di piccole imprese) al 60%, e al 70%; per quelli degli imballaggi al 70%, e all’80%. In particolare, l’obiettivo del conferimento in discarica è del 25% di rifiuti al 2025 e al 5% nel 2030, con una riduzione dei rifiuti alimentari del 50% entro il 2030.
Raggiungere questi obiettivi significherebbe, secondo uno studio della Commissione europea, creare nei prossimi tredici anni 580mila posti di lavoro con un risparmio annuo di 72 miliardi per le imprese europee, derivante da una gestione più efficiente delle risorse e dalla riduzione della importazione di materie prime.
La nuova occupazione potrebbe aumentare a 867.000 posti di lavoro (190.000 in Italia entro il 2030) se al riciclaggio si aggiungessero misure per il riuso, in particolare nell’arredamento e nel tessile.
I vantaggi
Elementi fattuali definiscono con molta evidenza i vantaggi economici derivanti dalla economia circolare e in particolare dal riciclo dei materiali e delle risorse.
In Europa la bio-economia vale più di 2 miliardi di euro e dà lavoro a 22 milioni di persone. In Italia vale 254 miliardi di euro e 1.7 milioni di occupati (Centro Studi Intesa San Paolo).
Secondo statistiche europee, l’economia circolare nel suo complesso da qui al 2030 produrrà oltre il 7% di crescita del PIL e oltre 1 milione di posti di lavoro. Ogni euro investito nella bio-economia oggi genererà un valore aggiunto di 10 euro entro il 2025.
L’industria manifatturiera di beni durevoli, focalizzandosi su riciclo degli scarti, potrebbe risparmiare in Europa 630 miliardi di euro l’anno, e un quinto dei costi attuali per le materie prime. Per quanto riguarda l’Italia, secondo la “Relazione della green economy in Italia”, quasi metà delle imprese hanno un orientamento green.
Oltre 1/4 ha fatto della sostenibilità ambientale il fulcro della sua attività (produzione di beni e servizi di valenza ambientale): sono le aziende “Core Green”. Altrettanto interessante il 14% di imprese definite “Go Green”, che non producono beni e servizi con elevata valenza ambientale, ma si orientano ad un sistema di gestione che implica standard ambientali elevati sia nei processi sia nella progettazione.
I fatturati sono superiori per le imprese Green, che hanno visto un aumento del fatturato nel 21.7% delle imprese Core Green, e nel 22.1% delle imprese Go Green,
rispetto al 10.2% delle altre imprese, e un decremento del fatturato nel 31.1% nelle imprese Core Green, e nel 31.7% delle imprese Go Green, rispetto al 40.9% delle altre imprese.
Coerentemente, nel Maggio del 2017 le aspettative di crescita del fatturato, di ordini e di occupazione erano nel 29.8% delle imprese Core Green rispetto al 17.8% delle altre imprese.
Quello che permette ad una impresa di essere Green, con questi vantaggi, è anche una sapiente gestione delle energie e quindi del ciclo del riciclo.
Per queste attività in Italia abbiamo un modello virtuoso, il CONAI. Nell’ottica del riciclo dei rifiuti di imballaggio – in acciaio, alluminio, carta, legno, plastica -, dalla discarica si passa a processi di selezione e riciclo dei materiali da cui si ricavano altri oggetti.
Con i suoi Consorzi di filiera, in 20 anni il CONAI ha avviato a riciclo 50 milioni di tonnellate di rifiuti di imballaggio (e così non sono stati immessi nell’atmosfera 40milioni di tonnellate di CO2): dalle 190mila tonnellate nel 1998 fino ai 4 milioni nel 2016. In questo modo ha permesso il mancato smaltimento in discarica di 130 milioni di metri cubi di imballaggi.
Il riciclo degli imballaggi ha sviluppato un indotto industriale con 6mila nuove imprese, 901 milioni di euro di benefici nel solo 2016, a cui si possono aggiungere 104 milioni di euro di benefici indiretti derivanti dalla mancata emissione di 3.6 milioni di tonnellate di CO2. In totale: 99 miliardi di euro dal 2005 ad oggi.
Dal cibo a…
L’industria alimentare con la sua filiera producono 150 milioni di tonnellate di sottoprodotti e scarti ogni anno: un materiale prezioso perché da un sottoprodotto possiamo preparare ingredienti, nuovi prodotti alimentari, ma anche materie prime come carta, carburante e neoplastiche.
L’ingegnere altoatesino Alberto Volcan ha brevettato un sistema per trasformare gli scarti industriali delle mele in nuovi prodotti. Partendo dai residui della produzione di succhi di frutta, attraverso un procedimento di essicazione si ottiene una farina bianca ad alto contenuto di cellulosa che è alla base della produzione di carta e pelle ecologica (CartaMela e PelleMela).
L’università la Sapienza di Roma è riuscita a trasformare i fondi domestici del caffè in antiossidanti e in energia pulita – di là dal consueto utilizzo dei fondi di caffè per migliorare le condizioni del terriccio delle piante da vaso. Dai polifenoli presenti nei fondi si ottengono residui dotati di un forte potere calorico.
Alla Università di Udine i fondi del caffè sono diventati pallet, e nei laboratori dell’Istituto italiano di tecnologia si inizia a produrre bioplastica trattando i fondi con solventi che evaporano producendo polimeri biocompatibili.
Da siero e scotta di caseificazione si possono estrarre sostanze come proteine, amminoacidi e zuccheri per usarli in applicazioni zootecniche, produrre mangimi per animali, o energia sotto forma di biogas. Ma i mangimi per animali possono derivare anche da altri scarti organici come frutta e verdura.
Vinaccia e scarti della produzione di agrumi possono
generare il recupero di flavonoidi, polifenoli, pectine e essere impiegati in settori come la nutriceutica e la cosmesi.
Secondo il dipartimento Food Science della Università di Parma, il vantaggio competitivo del recupero si gioca con un processo a cascata, per cui dallo scarto si estraggono prima composti a maggiore valore aggiunto (utilizzabili ad esempio nella industria cosmetica o farmaceutica), e poi quelli a valore più ridotto (ingredienti alimentari), e quindi il residuo può essere utilizzato come mangime o fertilizzante.
Il CNR ha elaborato dei film edibili a partire dagli scarti della pectina dalla lavorazione degli agrumi e da chitosano ottenuto dai gamberetti prodotti in allevamento.
Sempre all’IST del CNR è in via di perfezionamento la produzione di oli vegetali potenzialmente utilizzabili dall’industria, a partire dalla lavorazione dei semi di uva, dal pomodoro, dalla zucca e, ancora, dai fondi del caffè.
E infine, una piccola azienda islandese, Kerecis, ha prodotto bendaggi speciali derivanti dal pesce (in particolare, dalla pelle di pesce). Questo prodotto serve a fare ricrescere i tessuti danneggiati da ulcere, piaghe e lesioni che normalmente faticano molto a rimarginarsi. La pelle di merluzzo, disidratata, ripulita e sterilizzata si trasforma in un medicamento performante e autonomo nella sua funzione, dato che è ricco di acidi grassi omega 3 antiinfiammatori naturali.
I vestiti da…
Le bottiglie di plastica sembrano la prossima frontiera della moda. Emma Watson sul red carpet del Met Gala ha indossato un abito costruito con tre filati derivanti da bottiglie riciclate.
Bionic Yarn produce un filato molto performante da plastica riciclata, sia per capi tecnici, sia per capi che puntano sulla estetica.
E ancora, Max Mara ha presentato una capsule collection che impiega il filo New Life, ricavato da bottiglie di plastica riciclate, e Laura Biagiotti ha prodotto una collezione di occhiali base la bioplastica M49 di Mazzucchelli. Adidas ha inaugurato una partnership con Parley for the Ocean per lo sviluppo di prodotti che impiegano plastica-rifiuto dei mari.
Esemplare, un marchio di moda della Pattern, che applicare l’economia circolare al 100%, presenta una collezione che riutilizza le bottiglie di plastica dell’acqua. Ne servono 10 per l’imbottitura, altrettante per il rivestimento esterno in nylon riciclato.
Timberland produce scarponcini con gomma e plastica e collabora con Omni United, produttore di pneumatici, per lo sviluppo di una linea di pneumatici riciclabili. I nuovi pneumatici saranno fabbricati negli Stati Uniti e utilizzeranno una speciale gomma pensata per diventare in un secondo momento una suola da scarpa, anziché finire in discarica.
Econyl è una fibra prodotta attraverso il nylon contenuto nelle reti da pesca, nell’abbigliamento sintetico in disuso, e nei vecchi tappeti, che viene rigenerato in materiale riutilizzabile infinite volte. Lo usano Arena, La Perla, Wave-0.
Orange Fiber è una Start-up di due ragazze italiane che producono fibre ecosostenibili partendo dalla buccia degli agrumi. I tessuti rilascerebbero vitamina C, utile all’organismo.
Gucci ha introdotto Re-verso™, un cashmere ottenuto dagli scarti dei filati e un nuovo approccio produttivo completamente integrato, tracciabile, made in Italy. È il marchio identificativo di una supply chain evoluta, composta da Green Line e Nuova Fratelli Boretti, alla quale si aggiungono partner selezionati per la trasformazione in filati, tessuti e maglieria che insieme danno vita ad un’offerta di re-engineered wool, cachemire e camel. Si basa sulla raccolta prima ed un processo poi di reingegnerizzazione di ritagli tessili di primissima qualità.
La svizzera Freitag ha lanciato con molto successo borse ricavate dai teloni di camion recuperati, offerte in un’ampia gamma di modelli: tracolle, shopper, zaini porta computer, borse da palestra e da viaggio, ma anche accessori vari come cover per tablet, portafogli, portachiavi.
Altra esperienza interessante nel mondo dei recycling è il Distretto Toscano (imprese conciarie) di Santa Croce sull’Arno: 500 imprese con 5.800 addetti e un fatturato di 1.4 miliardi nel 2016, in crescita. Dal 2020 i 6 milioni di metri cubi necessari alla produzione proverranno dal recupero dei reflui urbani dei 42 comuni della zona; in secondo luogo si lavora con l’obiettivo di riutilizzare tutti i rifiuti: viene recuperato e rimesso in produzione il cromo dei bagni di concia; l’impianto Ecoespanso trasforma i fanghi in inerti utilizzabili nei cementifici; la parte organica degli scarti di lavorazione della pelle viene usata per fertilizzanti e come grasso industriale.
Upcycling
Il concetto del riuso segna un passo avanti rispetto a quello del riciclo, perché implica una nobilitazione della materia riciclata e la trasformazione in un prodotto di maggiore valore estetico e funzionale rispetto al materiale di partenza.
Nell’ottica di premiare il riuso, Rilegno, il Consorzio Nazionale per la raccolta e il recupero degli imballaggi di legno, ha promosso qualche tempo fa il concorso “Legno di Ingegno”, e un libro sull’argomento, “Ricreazioni di legno”.
L’iniziativa intendeva offrire la possibilità a designer e artisti di creare oggetti funzionali e di valore estetico da realizzarsi con legno proveniente da riciclo.
Esito: decine di oggetti di estremo pregio che hanno testimoniato le infinite possibilità di rinascita del legno, in tutte le sue forme, e la sua flessibilità nel dare spazio alla creatività.
Da persiane a rullo, pezzi di manici di scopa, bobine, pallet, cassette della frutta, barrique di cantina, bastoni di tende, scarti di falegnameria e industrie edili sono nate sedute, scaffali multiuso, mobili bar, giochi di società, portariviste, cassettiere, cestini, bottiglie, fioriere di estrema originalità e valore artistico.
Si tratta ovviamente del lavoro di designer – produttori che lavorano a livello spontaneo e artigianale.
Ma non dimentichiamo che dietro il riciclo vive una vera e propria economia, se si considera che Rilegno porta all’industria del riciclo oltre 1 milione e mezzo di tonnellate di materie prime rinnovate, e che questo mondo del
riciclo è popolato da aziende sviluppatrici di ricerca, macchinari e processi tali da rendere l’Italia un punto di riferimento in materia di know how nella selezione del rifiuto.
L ’Upcycling creativo vive anche nella dimensione domestica. Si moltiplicano le guide e i suggerimenti su come fare tornare a nuova vita materiali o oggetti della vita quotidiana desueti e teoricamente condannati alla discarica: cassette VHS (per chi ancora le ha), per costruire sedie e mensole, i floppy disk pe realizzare bloc notes, borse, portapenne, i tappeti per rendere più confortevoli le casette degli animali domestici o farci borsette, i pneumatici per costruire altalene, le vaschette di polistirolo per creare imballaggi e c’è qualcuno che pensa anche di riutilizzare il vino andato a male.
Il recupero domestico di fatto, frutto della crisi in funzione di money saving, si sta trasformando in un atteggiamento culturale e pratica consueta.
Secondo dati Astarea, nell’ambito della seconda edizione della ricerca sul sentiment degli europei “Europa allo specchio” realizzata con Interactive-MR e il network Global NR, rispetto al 2014 aumentano gli italiani che si pongono la questione dell’anti-spreco in un’ottica di bricolage creativo. Ad esempio: il 50%, rispetto al 46% del 2014 prevedono di creare in casa prodotti di abbigliamento, arredo, cosmesi, piuttosto che acquistarli; il 70% (rispetto al 63%) di produrre alcuni alimenti come pane, pasta, birra, conserve; l’82% (rispetto al 78%) di aggiustare utensili/apparecchi domestici invece che comprarne di nuovi, e ben l’83% (rispetto al 63%), di riparare, trasformare, o modificare abiti, scarpe e borse vecchi o difettati.
Biomimesi
Quando parliamo di rigeneration uno dei campi di applicazione più promettenti proviene dalla biomimesi: una disciplina che studia i processi biologici e biomeccanici della natura come modello per i processi produttivi e tecnologici umani.
Alla base della biomimesi, l’attenta osservazione della natura e della sua capacità di integrare chimica, fisica e biologia in sistemi circolari che non producono rifiuti e in cui ciascun elemento della catena, anche il più piccolo e apparentemente debole, contribuisce all’equilibrio complessivo.
La biomimesi è alla base della blue economy, modello di business definito dall’economista e imprenditore Gunter Pauli. L’economia blu è un ecosistema sostenibile grazie alla trasformazione di sostanze inutilizzate, in risorse.
La biomimesi si propone di riprodurre l’efficienza materiale e funzionale degli ecosistemi e degli habitat naturali. È il risultato di un processo a “cascata” dove i nutrimenti e l’energia si propagano dalle specie di un regno biologico ad un altro, con vantaggi per tutti. I minerali assorbiti alimentano i microorganismi i quali cibano le piante, che offrono nutrimento alle altre specie, in un ciclo dove i rifiuti degli uni costituiscono nutrimento per gli altri. L’energia e i nutrimenti a “cascata” conducono alla sostenibilità eliminando l’inquinamento e l’utilizzo inefficace delle materie prime.
Un esempio in Italia: a Porto Torres la squadra di Novamont lavora alla conversione di un vecchio impianto petrolchimico di ENI in una bioraffineria che utilizzerà il cardo come materia prima. Il cardo è un erba invasiva
poco considerata se non come cascame agricolo ma è molto tenace, capace di crescere anche nelle zone più aride.
Qingyuan è la capitale cinese del fungo shiitake noto per il potere terapeutico e il valore nutrizionale. La produzione dei funghi da lavoro a 120.000 persone con un valore di mercato calcolato in oltre un miliardo di dollari. I funghi shiitake, nutriti con gli scarti vegetali, trasformano rifiuti da discarica in cibo ad alto contenuto proteico.
Nell’industria conserviera tradizionale le pelli dei pomodori finiscono nei rifiuti: tonnellate di scarti che trovano invece un riutilizzo nelle formule cosmetiche, sia come antiossidante o agente protettivo contro i raggi UV sia come pigmento rosso per colorare i prodotti di make up. Saranno così sostituiti ossidi di ferro e pigmenti sintetici derivati dal petrolio.
L’acqua salmastra è lo scarto di produzione nei processi di estrazione del petrolio e dei gas naturali. È anche una base ideale di coltura delle alghe. La capacità delle alghe di nutrirsi di CO2 e restituire ossigeno nell’aria le rendono un elemento chiave per rallentare il riscaldamento globale: i bacini di acqua salmastra si posso perciò trasformare in utile strumento per ridurre la CO2.
È in questo modo che la biomimesi e la sua trasposizione imprenditoriale nella blue economy modificano i paradigmi di riferimento. La sostenibilità non è più semplice conservazione. Lo scopo non è investire di più nella tutela dell’ambiente, ma spingersi verso il recupero e la rigenerazione della materia non in un’ottica pauperistica o di decrescita, ma di sviluppo e creazione di valore.
Verso il 2019
Con Astarea alla scoperta di un nuovo anno.
Tanti cari auguri di Buon Natale 2018 e Buon Anno 2019
Gli scavi del sito di Pitecussa, situato sull’isola di Ischia, sono uno dei più grandi successi dell’archeologia del mediterraneo occidentale. La straordinaria scoperta riguarda il rinvenimento di un sito datato intorno alla prima metà VIII a.C. condiviso tra una più antica comunità fenicia e una comunità di coloni greci euboici. L’archeologia ci rivela una situazione assolutamente inedita nel mondo antico, probabilmente motivata dalle ruolo di Pitecussa quale avamposto dei commerci verso i nuovi mercati dell’occidente.
Gli scavi archeologici hanno documentato il popolamento continuo, senza alcuna interruzione fino alla fine dell’VIII secolo. Alla fine prevalse la componente greca ma la colonia decadde rapidamente sopravanzata dalla concorrenza commerciale dei nuovi insediamenti continentali della Magna Grecia.
Non si tratta di una vera città, sebbene si noti un embrione di organizzazione urbana con quartieri artigiani. Soprattutto nessuna traccia di fortificazioni. Nella necropoli sono state rinvenute sepolture miste secondo i rispettivi culti tra greci e fenici, anche nello stesso sito, suggerendo la possibilità dell’incrocio di matrimoni e nuclei familiari tra le due etnie. Possiamo perciò immaginare lo straordinario esperimento di un emporio multietnico condiviso governato da una comunità commerciale di due diverse nazionalità in grado di attivare una fitta rete di scambi tra le due metà del Mediterraneo. A ricordare i fiorenti mercati con il vicino Oriente vi sono piccoli oggetti esotici come i sigilli scaraboidi, gli scarabei e diverse classi di ceramiche presenti nei corredi di alcune tombe. Ricco il materiale importato dalla Grecia, particolarmente da Corinto e dalla stessa Eubea. Un esempio quindi molto antico di socializzazione, che per quel periodo si configurava però come assolutamente “New”.
In copertina, l’isola di Ischia
New social.
Orientarsi tra i segni
Laura Cantoni Giorgio Villa
Introduzione
New social e nuove sensazioni
New social e nuovi valori
New social e nuove economie
Anche quest’anno intendiamo offrire ai nostri amici un piccolo pensiero augurale, frutto delle nostre osservazioni sul cambiamento socio-culturale e sulle ricadute nel mondo dei consumi.
L’Augurale di quest’anno è dedicato alle nuove forme di socializzazione. La socializzazione in Rete è un habitus ormai consueto nella nostra vita quotidiana, e di fatto quando si parla di condivisione immediatamente si pensa alle opportunità che offre la Rete.
In realtà nuovi modi di stare insieme da qualche anno stanno potentemente invadendo il mondo reale.
Si tratta di una evoluzione sociale rilevante che riguarda moltissimi ambiti della vita individuale e collettiva e che sta radicalmente cambiando le abitudini, i comportamenti, i modi di essere, per non parlare dei consumi.
Il trend si sta sviluppando, all’inizio impercettibilmente, da decenni. Avevamo incominciato a intercettare segni di una nuova socialità nel 2001, al tempo della tragedia delle Torri Gemelle a New York.
In quel momento la reazione a quel dramma non era stata di chiusura solipsistica, come ci si poteva immaginare. Le incertezze e le crisi precedenti avevano provocato il reinserramento delle persone in sé stesse, nel proprio intimo nucleo famigliare, nella ristretta cerchia di amici, nella propria abitazione.
Dopo le Torri Gemelle, invece, incomincia ad affermarsi il concetto della relazione. La condivisione e lo stare insieme sembrano la strada più praticabile per far fronte alle incertezze e alla precarietà.
La crisi economica introduce altri elementi di socializzazione guidati dalla necessità di salvaguardare le risorse individuali e collettive, mettendo in comune pratiche (servizi, saperi, luoghi materiali etc…) prima pensate, costruite e vissute per un utilizzo esclusivamente individuale (o familiare). La socializzazione diventa uno strumento di risparmio, ma anche una modalità alternativa per creare valore.
Infine un’altra trasformazione rafforza ulteriormente l’affermarsi di nuove forme di socializzazione: cambiano i valori sociali.
L’edonismo e il piacere dell’effimero tipici degli anni 80 scivolano via per lasciare spazio a una maggiore consapevolezza nei consumi, alla richiesta di essenzialità, alla percezione dei limiti delle risorse, al rafforzamento dei valori immateriali, la cultura in primo luogo.
Si vira su esperienze sostitutive, almeno in parte, di beni materiali che non ci si possono permettere come prima, ma che soprattutto esprimono ora una capacità sempre più esile di rispondere a nuove esigenze emotive, di conoscenza, di sviluppo della propria personalità, ludiche.
La virtualità, con i suoi indispensabili strumenti per la vita quotidiana, incomincia a mostrare i propri limiti rispetto alle esigenze di crescita individuale e anche di piacere.
La socialità scopre forme inedite ed entra pienamente in questo nuovo vissuto del mondo e della propria esistenza, permeando moltissimi ambiti di vita: l’abitare, il lavoro, l’alimentazione, la cultura, e in generale i luoghi della città.
New social&Home
Il cambiamento del vivere domestico è ben noto. Da anni la casa non è più solo luogo fisico e degli affetti, ma assume sempre più rilevanza come spazio di socializzazione, complice la necessità di portare in casa consumi prima fruiti all’esterno, ma anche l’emergere di nuove passioni come la gastronomia fai da te e la sua condivisione. Lo sforamento dell’ambiente cucina nel dining, e poi anche nel living, ne è uno degli effetti strutturali.
Tuttavia il New social vede il protagonismo dell’abitare in molte altre declinazioni.
Si moltiplicano condomini con servizi comuni , che da opportunità economica e organizzativa finiscono per creare contatto tra le persone, conoscenza, opportunità di relazione. Un esempio a Milano: il Cohousing di Chiaravalle, con il recupero di una cascina del 600 dove troveranno spazio, nell’enorme giardino, piscina, orti, frutteti e spazi relax; all’interno, una sala polifunzionale, una lavanderia-asciugheria, una foresteria, un’area giochi per i bambini, un deposito di biciclette, un’area per gli animali domestici.
Anche il “flat-sharing” nasce dalla necessità di condivide le spese di appartamenti diventati troppo costosi per le risorse non solo di studenti (non sarebbe una novità), ma anche di adulti ad esempio in situazione di pendolarismo lavorativo o di separazione/divorzio.
Ultimamente questa tendenza vede altri protagonisti e incroci di soggettività diverse : ad esempio, persone anziane che condividono il loro appartamento con giovani e studenti. Anche qui, la natura economica di questa soluzione si fonde con il bisogno di bonificare la solitudine, una condizione esistenziale crescente per la concomitanza
di invecchiamento della popolazione e caduta delle tradizionali reti di protezione familiare.
L’elemento forse ancora più evolutivo del trend riguarda l’interazione con il quartiere, dove stanno nascendo micro-community per l’erogazione di servizi e come spazi di socializzazione.
Un primo esempio: Portineria 14, via Troilo 14, a Milano. È di fatto un bar piacevole e raffinato, che al tempo stesso risolve molte emergenze quotidiane come il ritiro della posta o di un pacco, e che fornisce il contatto per un idraulico, falegname, baby sitter, elettricista, un imbianchino, una sarta, il ritiro delle medicine e della spesa, incrementando le opportunità di conoscenza e di ritrovo con aperitivi, presentazione di libri, mostre fotografiche.
Sempre a Milano, il quartiere NoLo tra Greco, Casoretto e Turro è un caso di riqualificazione urbana “dal basso” che sta generando un cambiamento radicale guidato creativamente da iniziative di aggregazione sociale e culturale.
A Bologna nasce la prima “social street” italiana fondata in via Fondazza nel 2013. L’obiettivo è scambiarsi professionalità, condividere necessità ma anche sviluppare progetti collettivi di interesse comune. Ad oggi si contano 59 casi analoghi nel territorio Bolognese.
Queste esperienze esprimono comunque una tendenza più ampia: la trasformazione di intere aree delle città con lo sviluppo di “villaggi” dentro la struttura urbana, vere e proprie comunità di persone che collaborano facendo rete.
New social&Work
Il Coworking ha un’origine lontana: nasce nel 2005 su idea di un programmatore informatico californiano, Brad Neuberg, che ha creato il “San Francisco Coworking Space”, un ambiente per condividere locali e servizi tra professionisti.
Anche in questo caso la compartecipazione di spazi e servizi nasce sul filo del risparmio economico, ma la sua identità si è presto trasformata in una nuova forma di socializzazione : un luogo di incontro per creare sinergie, fare networking, sviluppare relazioni personali.
Di fatto, è proprio questa l’evoluzione del Coworking iniziale. L’ambiente di lavoro (condiviso) si ibrida con altre funzioni, come il ristorante/caffetteria, la libreria, l’emeroteca, la palestra, da ultimo con l’hotellerie: nuove soluzioni che integrano ambienti privati e comuni, di lavoro e di divertimento. Stanze, caffetteria, sale riunione e uffici, tutti nella medesima location.
Questa evoluzione esprime non solo il progressivo superamento della separazione tra vita professionale e vita privata, ma anche le esigenze di nuovi target sempre più nomadi, che viaggiano all’estero e si spostano facilmente da un paese all’altro, sovente recando con sé l’intera famiglia.
Se il Coworking riguarda situazioni principalmente fisiche, il concetto ampliato porta al modello di una nuova economia: l’economia collaborativa.
Ne parlammo già nella edizione 2009 del nostro studio sulle tendenze Andare a Tempo®, quando prevedevamo il rafforzamento di collaborazioni di business tra soggetti diversi in modalità orizzontale.
Da allora il modello si è consolidato assumendo il format di piattaforme collaborative che mettono in contatto persone con persone e domanda con offerta, per promuovere lo scambio di prodotti/servizi, incrementare il bacino dei clienti, favorire la costruzione di filiere inedite anche in un’ottica di internazionalizzazione.
Un esempio sperimentale a Milano: il Cohub, spazio voluto dal Comune di Milano per promuovere l’economia collaborativa. Da luogo di formazione si è progressivamente evoluto in luogo ospitale per start-up, in spazio aperto ad organizzazioni ed associazioni, per poi coinvolgere gli abitanti della zona con la creazione di un teatro.
Alcune grandi imprese private si stanno muovendo in questa direzione al loro interno. Ad esempio Banca Intesa sta integrando la sua vocazione alla transazione con quella di luogo di relazione, dove mettere in comune progetti e idee.
Il progetto Sharingideas è un luogo di incontro assolutamente fisico dove le persone si possono scambiare esperienze e lavorare insieme su nuovi progetti. A supporto dell’iniziativa è stata creata una piattaforma: Palco.it, spazio informativo su eventi culturali di vario tipo a cui partecipare personalmente.
La rilevanza dell’economia della collaborazione viene sancita da numerosi eventi, primo tra tutti Sharitaly, che conferma l’aumento di interesse strategico presso gli imprenditori, oltre al forte slancio delle piattaforme di crowdfunding che nel 2017 hanno vissuto un incremento pari al 150% con una raccolta rivolta a start-up e PMI.
New social&Food
Il cibo esce dagli ambienti prima esclusivamente dedicati, casa e ristoranti o bar, per dilagare fuori, nella città, in situazioni impreviste.
Nell’ultima edizione di Andare a Tempo® avevamo parlato infatti di Food every where. In due anni la tendenza si è espansa e rafforzata con lo sviluppo di nuovi spazi di socializzazione legati al cibo.
Il cibo entra in punti vendita completamente estranei: da Saks a Lexus, da Porsche a Urban Outfitters vengono aperti bistrot e boutique food all’interno dei punti vendita; la filiale di Mercedenz Benz di Burlington ha inserito nei suoi locali una spa e un coffee shop.
Il doppio obiettivo di queste innovazioni: fare rimanere il consumatore all’interno del negozio ed ampliare l’offerta lifestyle dei brand.
In modo più estremo, alcuni punti vendita di prodotti alimentari si trasformano da luoghi di acquisto in spazi condivisi, connotandosi come mini-club culturali e ambienti di incontro. I business più dinamici sono quelli dedicati ai giovani metropolitani, ma il trend appare anche più trasversale. Un caso esemplare: il Whole Food di Austin, che ha ricevuto il primo premio per i suoi spazi di socializzazione.
Le palestre integrano questi nuovi format includendo non solo le spa, ma spazi di condivisione come il ristorante o sale bowling per favorire una socializzazione a 360°.
Il New social attraverso il cibo rientra nelle case in forme allargate rispetto all’utenza familiare. Già da anni si sta sviluppando un’ospitalità gastronomica do-
mestica offerta ad estranei: in Italia l’innovazione fu avviata dalle Cesarine.
Il social eating ora si basa su formule on-line, che raccolgono anche persone che non si conoscono offrendo la opportunità di conoscere nuove persone, fare amicizie o networking, oltre che di sperimentare il cibo locale nell’abitazione delle persone del posto.
Questo modello, che prevede la preparazione con carattere saltuario di pasti come pranzi o cene nel proprio domicilio a pagamento con persone sconosciute ed incontrate tramite una piattaforma software on line, ora si sta evolvendo verso l'Home restaurant, una vera e propria attività imprenditoriale, in fase di organizzazione normativa. Siti come Gnammo, Eatwith e Vizeat vedono crescere sempre di più iscritti e transazioni.
In questa direzione, ideata qualche tempo fa in Francia, e ora arrivata in Italia, la piattaforma geolocalizzata My Busy Meal è dedicata a professionisti che intendono incontrarne a pranzo altri colleghi con obiettivi di business.
Per entrare a far parte della community My Busy Meal bisogna registrarsi e creare un profilo visibile dagli altri componenti sulla piattaforma, i BusyPeople. Il social network, fruibile da pc, tablet e smartphone, è disponibile in cinque lingue (italiano, inglese, francese, tedesco e spagnolo) e dispone di un sistema di geolocalizzazione: gli utenti possono così identificare i BusyPeople e i BusyMeal in programma (o crearne di nuovi) per incontrare altri professionisti. Con My Busy Meal ristoranti, hotel e locali interessati possono diventare BusyPartner e farsi conoscere dalla community.
New social&Culture
Gli eventi culturali sono tradizionalmente occasioni di socializzazione: persone che si trovano in un medesimo ambiente (teatro, esposizioni d’arte, etc.) per coltivare i loro interessi e le loro passioni. Si tratta di modalità di socializzazione, tuttavia, in cui la relazione tra il soggetto e la performance pesa di più rispetto alla relazione tra i soggetti-utenti.
Da qualche tempo, e con trend in crescita, si sviluppano eventi culturali a maggiore intensità di socializzazione: sono i Festival tematici, disseminati in città grandi e piccole, e connotati da modalità di partecipazione fortemente condivise, sia per le dinamiche interattive tra i fruitori, sia per il coinvolgimento di spazi, siti e situazioni diffuse nella città. Si tratta di una delle forme più innovative della fruizione culturale in direzione della interazione tra player e pubblico, e nell’ambito del pubblico stesso, tra soggetti del territorio.
Esempio eclatante: Bookcity Milano. Con sette anni di storia, coinvolge l’intera filiera del libro e negli anni ha allargato la presenza dei cittadini offrendo sapere, informazione e partecipazione critica in una estrema varietà di location: teatri, scuole, università, palazzi storici, librerie, case private, mezzi pubblici, taxi.
Crescita esponenziale nel 2018: 1452 eventi contro i 437 del 2012, 354 sedi, tra le quali 72 tra i 135 Comuni della Grande Milano, 20% di vendita in più di libri alla libreria del Castello Sforzesco, sviluppo di follower rispetto alla edizione 2017: + 11% Facebook, + 7,3% Twitter, + 69% Instagram.
Il Festival della Mente di Sarzana, dedicato alla creatività e alla nascita delle idee, si sviluppa in rea-
ding, spettacoli, incontri, culturali e laboratori ogni anno centrati su una specifica tematica (2018: Comunità). La personalità di questo incontro consiste nell’ampia gamma di argomenti, dalla letteratura alla scienza alla società, all’arte e architettura, alla storia, agli spettacoli, inclusi appuntamenti per i bambini che estendono le opportunità di socializzazione alla fascia di età dai 4 ai 15 anni.
Analogo format per il Festival dell’Economia di Trento (ormai dal 2006) che ospita studiosi internazionali impegnati nel tradurre il loro linguaggio tecnico in dialogo e confronto con un ampio pubblico anche di non addetti ai lavori.
L’evento fa vivere la città insediandosi nei numerosi palazzi storici, nelle piazze, nei teatri. Questo caso è peraltro un esempio di evento glocal, grazie alle dirette Web che hanno permesso di seguire il Festival in tutto il mondo, garantendo una partecipazione allargata con oltre 50.000 connessioni alle dirette streaming.
Anche il Festival della Letteratura di Mantova è in costante sviluppo con il coinvolgimento di nuove zone della città, come l’Officina del Gas e il Cimitero Monumentale, e con nuove strategie mirate alla partecipazione di target specifici come i giovani, attraverso spazi dedicati (la casa del Mantegna, in questo caso).
Per non parlare di Piano City Milano, evento di importanza crescente per numerosità delle presenze e molteplicità degli eventi. Nel 2018, un pubblico di 100.000 persone, 500 artisti e 470 appuntamenti.
New social&Tourism
Il concetto di turismo sociale compare tra gli anni 40 e 50 per indicare le attività turistiche promosse da organizzazioni operanti senza fini di lucro a favore dei ceti popolari.
Se il turismo sociale risponde tuttora alla necessità di soddisfare i bisogni delle fasce più deboli della popolazione (terza età, bambini, disabili), attualmente si sta sempre più caratterizzando come promozione della socialità e del viaggiare in compagnia che si articolano, di là dalla proposta di un soggiorno, in iniziative culturali come visite a musei, a mostre, a luoghi di interesse storicopaesaggistico o di stampo educativo-sociale.
In un’accezione più specificatamente socio-economica si colloca un’altra tendenza del turismo contemporaneo: il recupero dei vecchi borghi italiani (ma non solo, se consideriamo che anche in Oman si sta sviluppando la medesima strategia di recupero dei villaggi storici).
La frequentazione dei borghi, con la loro architettura e la loro cultura, è già cosa attuale. Basti pensare al recente boom della frequentazione dei villaggi in occasione di eventi topici nella cultura locale come la transumanza, che sta suscitando una forte curiosità e interesse da parte di turisti per i quali diventa occasione e motivazione specifica di destinazione.
Tuttavia la valorizzazione di questi siti è ancora una partita aperta: diffuse infatti le condizioni di spopolamento, di invecchiamento della popolazione, di degrado urbano e di abbandono delle strutture abitative, che potrebbero invece trovare nel turismo una leva di sviluppo consistente.
Non solo: con il recupero – soprattutto da parte dei giovani - di aree agricole abbandonate si può prevedere una sinergia tra filiera agroalimentare e offerta enogastronomica, uno dei fattori più incrementali del turismo italiano.
Il valore turistico dei borghi risponde anche ad una effettiva esigenza di coinvolgimento del turista con la popolazione locale.
Questa categoria di turismo, abbastanza recente, che premia il contatto diretto tra turisti ed abitanti, non è ancora codificata nel mercato, ma si stanno avviando sperimentazioni interessanti: ad esempio il progetto Eurosen generato da un bando europeo vinto da PLEF (Planet Life Economy Foundation) a cui hanno aderito anche partner da Romania Slovenia Austria e Belgio.
Cuore dell’iniziativa: un turismo lento attento ai borghi, alla loro cultura ed ai valori intangibili del territorio.
Fattore distintivo: le associazioni locali di anziani hanno organizzato l’accoglienza nei villaggi, i minitour, il coinvolgimento della comunità locale per far parlare quartieri, case, famiglie, e la loro storia con i turisti.
Una declinazione evolutiva del turismo sociale è il turismo solidale, che permette al turista di partecipare alla cultura locale – soprattutto nei Paesi in via di sviluppo – sia contribuendo con il viaggio alla devoluzione di fondi per progetti solidali, sia sostando nelle località per toccare con mano l’andamento dei progetti, sia vivendo attività volontarie e stage diretti allo sviluppo delle comunità che si visitano.
New social&Places
La città si trasforma in palcoscenico per la vita sociale, che proprio nell’utilizzo di aree e strutture inusitate genera nuove forme di socializzazione dove, appunto, il contesto svolge un ruolo strutturale e creatore di valore.
Una prima direzione è il recupero di spazi infrastrutturali. Protagoniste di eccellenza, le aree abbandonate delle metropolitane.
A Parigi una stazione diventerà un nuovo polo di attrazione che prevede piscina, teatro, night club; a New York i rami dismessi saranno trasformati in reti sicure, utili a pedoni e biciclette; a Londra si prevede la riconversione di sezioni in disuso per creare negozi pop-up, iniziative culturali e di intrattenimento.
A Milano sono programmati interventi riguardo gli scali Ferroviari per restituirli ai cittadini come nuovi spazi per cultura, sport, design – prima fra tutti Porta Genova e a seguire Farini, Porta Romana, Greco-Breda.
Seconda: la città palestra diffusa. Recente la tendenza delle palestre di organizzare esercizi guidati all’esterno, usando gli oggetti casuali che si trovano in strada al posto delle macchine della palestra.
In questo contesto "Percorsi indysciplinati" è un’azione sperimentale supportata dagli operatori UISP, finalizzata a contrastare sedentarietà e abbandono dello sport fra i giovani. Si attivano processi di socializzazione su tutto il territorio nazionale per la pratica dello sport di strada, molto efficace per il target giovanile.
È una pratica destrutturata, centrata non sull’etica del
sacrificio e sul risultato ma sul coraggio, sull’estetica del talento, sulla creatività, sulle sensazioni, sul valore dell’esperienza di gruppo. La strada assume un ruolo inedito: spazio fisico utile e attività educativa.
Terza: ballo outdoor. La scorsa estate il ballerino Roberto Bolle si è esibito in Piazza della Scala insieme con il corpo dei ballerini del Teatro e a un gruppo di street dancer, scatenando un entusiasmo collettivo. A seguire, l’evento On Dance, una sette giorni dedicata alla danza in strada con tipi di ballo rivolti a tutti.
Sempre per restare in ambito milanese, sembra che non si tratti di un caso isolato.
La stazione del Metrò Venezia il Venerdì diventa una pista da ballo nel mezzanino o negli infiniti corridoi del passante dove performano compagnie di ballo sudamericane.
Per le serate “tango illegal”, un target prevalentemente di professionisti si ritrovano dopo mezzanotte in aree poco frequentate per ballare. Alla base, una mailing list segreta che informa sulla location con poco preavviso per evitare audience disturbanti oltre che l’intervento degli addetti del Comune, per non parlare della SIAE.
E ci sarebbe molto altro. Il New social, in generale, sancisce un nuovo modo di vivere e di consumare all’insegna della condivisione, che si arricchirà probabilmente di ulteriori esperienze. E le Aziende potrebbero riflettere sulle potenzialità per le loro politiche di marketing communication, della loro presenza in questi nuovi spazi.
Verso il 2020
Nelle società antiche le attività umane non innescavano ancora il processo di degrado ambientale come oggi: tuttavia non mancano esempi precoci di sensibilità nei confronti delle risorse della terra. Tra questi spicca il comportamento del popolo fenicio.
Essi abitavano il territorio in cui oggi si estende il Libano, una stretta lingua di terra fra l’Asia e l’Africa dove non era possibile dedicarsi all’agricoltura per mancanza di spazio. In compenso, l’entroterra montagnoso ricco di foreste di cedri consentiva di costruire le loro flotte di navi.
Nonostante l’utilizzo intensivo, riuscirono a preservare le loro foreste, diversamente da popoli in altri territori, come ad esempio nell’Attica ateniese che subì un disboscamento indiscriminato. Se ne duole, uno per tutti, lo stesso Platone in un ampio passo (Crizia, 110d ss.): «l’Attica, un tempo ricca di imponenti montagne coperte di foreste, di acque e di pascoli abbondanti, è ora divenuta per lo più brulla e arida, quasi del tutto priva di alberi d’alto fusto, e questo a causa principalmente dalla cattiva condotta dell’uomo».
Una migliore cura sembra essere stata invece profusa dai fenici al fine di garantire la rigenerazione delle foreste. Molti gli indizi, come ad esempio le norme di tutela che proteggevano alcune importanti aree sacre, simili a vere e proprie riserve naturali soggette a vincoli ambientali. Si riteneva che in questi spazi sacri l’interferenza dell’uomo con l’ambiente provocasse la reazione irata degli dei. Ma non si trattava solo di regole religiose: infatti in vari contratti di fitto di terre, sia private che pubbliche, si trova il divieto di tagliare gli alberi allo scopo di tutelare il terreno dato in concessione.
In copertina, nave fenicia da trasporto, pittura rupestre da Laja Alta (Imera della Frontera, provincia di Cadice)
Good for us, good for the planet.
Orientarsi tra i segni
Laura Cantoni Giorgio Villa
Introduzione
Good… consapevolezza
Good… pratiche
Good… comunicazione
L’Augurale di quest’anno affronta un tema epocale, e cioè il cambiamento del ruolo dell’Impresa da soggetto puramente economico a soggetto che, mantenendo l’obiettivo del profitto, dovrà integrare nella sua mission anche la salvaguardia delle risorse ambientali e dello sviluppo sociale.
Il percorso dell’affaccio al sociale delle Imprese ha origini molto lontane nei paesi occidentali (in Germania si parla di Bilancio Sociale addirittura alla fine degli anni ’30, e d’altra parte il sistema previdenziale in quel paese fu introdotto ai tempi di Bismark), ma anche se pensiamo a molte grandi Imprese italiane fin dal loro nascere, negli anni 50-60, queste hanno accompagnato la crescita economica ad una particolare attenzione rispetto al benessere dei dipendenti e del territorio, con attività di welfare ante-litteram che riprendevano le visioni di fabbrica-comunità sorte già all’inizio della rivoluzione industriale: si pensi solo al villaggio operaio Crespi, costruito da Cristoforo Benigno Crespi per le maestranze del settore tessile cotoniero già nel 1875.
Anche molte piccole e medie imprese, particolarmente integrate nella realtà di riferimento, hanno sempre assunto nel loro DNA investimenti utili alla comunità sul piano delle attività sportive o culturali: ad esempio la IGNIS di Borghi nello sport (con la pallacanestro soprattutto, ma anche il ciclismo, il pugilato, il canottaggio), o la Strega degli Alberti, nella cultura, con l’omonimo premio letterario.
In tutti i casi, si trattava di iniziative molto legate alla sensibilità dell’imprenditore, poco integrate in una vision e in una mission, guidate soprattutto da motivazioni di carattere benefico e mecenatesco, eventualmente con l’obiet-
tivo di fluidificare le relazioni con le Istituzioni o la comunità locale. Da una ventina d’anni, più o meno, e con differenze sostanziali nei diversi Paesi, la relazione tra l’Impresa e il resto del mondo sta cambiando drasticamente : si sviluppa cioè un concetto più sistemico di responsabilità sociale dell’Impresa, che poi si è declinato in quello più strutturale di Impresa sostenibile – tema diventato mainstream nei dibattiti, ma anche investito nelle pratiche da 5/6 anni.
Noi ricercatori di Astarea, prima della sua fondazione e quindi operando in altri istituti, abbiamo iniziato ad occuparci di questa evoluzione dal 1998 insieme con Sodalitas, associazione Assolombarda nata nel 1995 per promuovere i temi del sociale rispetto all’Impresa e non solo, con cui abbiamo avviato i primi studi, pionieristici per quel tempo, sui temi dell’integrazione dei problemi sociali e ambientali tra le attività dell’Impresa, nonché dell’atteggiamento di consumatori e cittadini al riguardo.
Come Astarea, poi, non abbiamo mai abbandonato questo filone di ricerche, considerandolo fin dall’inizio una no way return per le attività di tutti gli attori economici ed istituzionali. Inoltre, la partecipazione attiva per molti anni, come speaker o moderatori, al Salone della CSR e dell’innovazione sociale (giunto nel 2019 alla settima edizione in crescendo, con 216 organizzazioni e 6000 persone partecipanti), è stata per noi occasione rilevante di dibattito, incremento delle conoscenze e affinamento delle capacità previsionali.
Il racconto di questo percorso sarà quindi svolto attraverso le nostre esperienze, ci auguriamo interessanti per comprendere meglio l’evoluzione di quello che sta diventando un nuovo paradigma del fare Impresa.
Responsabilità emergente
Nonostante la presenza di episodi e soggetti antesignani, gli anni novanta-inizio 2000 sono i portatori effettivi di una nuova sensibilità delle Imprese. Ovviamente generalizziamo, perché in realtà sono state le grandi imprese, anche multinazionali, in pole position su questi sviluppi.
Questa tensione nasce in uno shifting culturale radicato in eventi e dinamiche alquanto impattanti : le criticità sul piano alimentare (ad esempio l’episodio della “mucca pazza”), le catastrofi nel mondo del lavoro, l’emergere di dubbi sulla tenuta ambientale del pianeta, il crollo del mito delle sorti progressive della Rete (per come si configurava allora) con la Bolla Internet, l’evento Torri Gemelle di New York che ha inciso profondamente sulla sensibilità della popolazione occidentale rispetto a molti ambiti della vita privata e pubblica.
In concomitanza, generato ed intrecciato a questi fenomeni, si palesa un nuovo atteggiamento dei cittadini nei confronti del consumo – il consumo critico – con una maggiore attenzione rispetto a sicurezza, salute e qualità dei prodotti, con una rinnovata focalizzazione sulla natura, prima in forma simbolica, ma progressivamente in modalità più pratiche nell’orientamento green agli acquisti; al tempo stesso si sviluppa una maggiore attenzione ai fattori intangibili sia nella propria vita quotidiana (attenzione all’essenziale), sia nei confronti delle Imprese, che si vogliono più etiche e trasparenti.
In questo contesto le Imprese vivono una forte crisi di legittimazione, mentre le Istituzioni Governative, in particolare quelle europee, proprio in quegli anni incominciano a produrre regolamenti, suggerimenti, elaborazioni strategiche per la promozione della Responsabilità Sociale
dell’Impresa – riguardo le Audit Ambientali, la comunicazione delle condizioni dell’occupazione e del lavoro, fino all’inserimento della Corporate Social Responsibility, nel 2000 a Lisbona, fra gli obiettivi strategici della Unione Europea.
Anche sulla sollecitazione dei cittadini (soprattutto nei Paesi Scandinavi) le Imprese iniziano a concentrarsi maggiormente sui rischi sociali e ambientali del loro operare, nonché a profilarsi come soggetti di cittadinanza e non solo come attori economici.
In quegli anni vengono infatti attivate molte iniziative orientate al sociale e all’ambiente, anche se sovente con scarsa consapevolezza dei loro specifici contenuti, modalità attuative, finalità. Gli studi che avevamo svolto al tempo ambivano anche a chiarire il mondo variegato delle attività nel sociale, sia per affinare gli approcci di ricerca sul tema, sia per comprendere meglio le dinamiche delle Imprese.
In questo contesto era stata fra l’altro definita una tassonomia, che può essere utile anche oggi, sulla base di due dimensioni: il legame delle iniziative verso il sociale con le attività core dell’Impresa, ed il tipo di ritorno.
Ad esempio, si era distinto tra: le iniziative, come donazioni e charity, non strettamente collegate agli obiettivi commerciali delle Imprese, e che non implicano aspettative di ritorno; gli investimenti nel sociale, più mirati a ritorni sul lungo periodo in chiave di competitività e di reputazione; piuttosto che il Cause Related Marketing – il contributo ad una Causa Sociale espressamente argomentata nella attività di marketing e di comunicazione dell’Impresa –, con l’aspettativa di un ritorno diretto, anche in termini di vendite.
Imprese e consumatori a confronto
L’accumularsi delle competenze su questi temi ci aveva aiutato a rendere più precise le analisi su quanto stesse succedendo in Italia, dal punto di vista dei comportamenti delle Imprese e delle risposte dei cittadini.
Già da uno studio condotto nel 1998 – il primo in Italia riguardo queste tematiche – era emerso un quasi generalizzato consenso da parte dei cittadini nei confronti delle attività sociali delle Imprese, ivi compreso il Cause Related Marketing nelle sue diverse forme (il licencing, le sales promotion , il direct-marketing, le carte co-branded ), che prevedevano però tutte il collegamento con una Causa Sociale, ad esempio il WWF, Save The Children, Amnesty International piuttosto che mille altre, al fine di donare loro fondi coinvolgendo i consumatori, piuttosto che contribuendo in proprio alla Causa, certificandosi con l’ assunzione del suo logo nella comunicazione dell’Impresa.
I cittadini italiani si esprimevano con netto favore nei confronti di queste iniziative (più di 3/4) mentre più di 2/3 ne valorizzavano gli aspetti positivi sia per le Imprese sia per la collettività dei consumatori. Quasi altrettanti si dichiaravano orientati all’acquisto del prodotto/servizio di un’Impresa associata a una Causa Sociale – anche se nelle ricerche di allora, piuttosto sondaggi di opinione, venivano raccolti orientamenti di carattere generale piuttosto che effettivi comportamenti.
Di fatto, si manifestava la consapevolezza di un forte gap tra l’impegno nel sociale desiderato per le Imprese e l’effettivo ruolo percepito: solo il 15% degli italiani ritenevano che le Imprese si occupassero sufficientemente dei problemi sociali. Si esprimeva già, in questo
modo, un’esigenza di welfare che le Istituzioni pubbliche non riuscivano a soddisfare.
I temi allora più desiderabili come oggetto dell’impegno sociale delle Imprese erano in primo luogo la condizione giovanile, dal lato sia della formazione sia dell’occupazione, seguita da salute, ricerca medica e prevenzione, e infine l’emarginazione sociale, gli anziani, l’ecologia, con una netta sotto-determinazione dei beni culturali e degli spettacoli.
La componente ambientale quindi era ancora sottotraccia, a fronte di esigenze che sembravano toccare maggiormente la vita quotidiana delle persone.
Dal canto loro, le Imprese attivavano la loro esposizione al sociale soprattutto attraverso il Cause Related Marketing e secondariamente nelle Sponsorizzazioni culturali ed ambientali, in Donazioni, in Investimenti nella comunità.
Coerentemente con questa gerarchia, gli obiettivi che si intendevano perseguire attraverso le attività sociali erano principalmente il miglioramento dell’immagine dell’Impresa, a distanza il rafforzamento delle relazioni con la comunità di riferimento, la crescita della notorietà, la preparazione di un ambiente favorevole al business sul piano socio-economico ed ambientale, l’aumento della lealtà dei consumatori, il posizionamento del brand in modo distintivo.
Come si vede, tutte queste finalità implicavano una concezione delle attività sociali principalmente come esternalità, cioè da svolgere con interventi rivolti al di fuori dell’Impresa, che non ne intaccavano, o poco, la gestione corrente, e strettamente connessi ai consueti obiettivi di marketing-comunicazione, se pure sostenuti da una maggiore consapevolezza del suo ruolo sociale.
Sostenibilità: evoluzione
Il tema della Sostenibilità si sviluppa in parallelo, ma su basi teoriche diverse rispetto a quelle delle Responsabilità Sociale d’ Impresa. Con il concetto di Entropia trasferito da G. Roegen, nell’analisi economica nasce la critica, a partire dagli anni 70, al modello economico tradizionale ritenuto co-responsabile del progressivo esaurimento delle risorse della Terra – soprattutto sulla base dello studio “I limiti dello Sviluppo” realizzato dal MIT di Boston per il Club di Roma.
Secondo passaggio chiave: il Rapporto Bruntland del 1987 promosso dall’ONU, in cui veniva espressa la prima definizione di sviluppo Sostenibile quale “sviluppo che garantisce i bisogni delle generazioni attuali senza compromettere la possibilità che le generazioni future riescano a soddisfare i propri”. Siamo quindi abbastanza lontani dal concetto di Responsabilità Sociale, in quanto qui viene messo in gioco un intero modello di sviluppo.
A partire dall’inizio degli anni ’90 le Organizzazioni internazionali prestano sempre maggiore attenzione al tema con iniziative come il Summit sulla Terra a Rio de Janeiro nel 1992, l’avvio nel 1995 delle Climate Change Conference, definite COP col protocollo di Kyoto del 97, e più tardi, l’accordo di Parigi nel 2015.
La rilevanza di queste iniziative? Riconoscere il ruolo delle attività umane, in particolare quelle dei Paesi occidentali, come fattore incrementante le emissioni di gas ad effetto serra e il riscaldamento della superficie terrestre.
Solo con l’Agenda ONU 2030 alla fine del 2015, quasi in contemporanea con le conclusioni della COP 21 di Parigi e con l’enciclica “Laudato sii”, la discussione sulla Sostenibilità integrerà alle tematiche ambientali quelle
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sociali e civili, nella consapevolezza dell’impatto di un modello di economia e di stili di vita sull’ equità sociale, i diritti civili, l’accesso alla educazione, la salute etc.: si esplicita così l’interrelazione sistemica tra ambiente e società.
Le strategie d’Impresa, nonostante gli osservatori internazionali come il World Watch Institute collegato alle grandi corporation mondiali, erano quasi per nulla impattate da queste discussioni e deliberazioni. Occorre arrivare agli anni 2000 (a parte eccezioni), perché l’elaborazione della Sostenibilità investisse direttamente i soggetti economici sulla base di due principi: la consapevolezza dell’impatto dell’Impresa non solo sull’ambiente, ma anche sullo sviluppo sociale e culturale, e la necessità di rivedere paradigmi gestionali e processi.
Rimase ancora di più sottotraccia il concetto –se ne parla infatti da poco, e stenta ad essere compreso anche oggi – di Sostenibilità come creatore di valore durevole e competitivo per l’Impresa. Solo negli ultimi anni infatti, alla Sostenibilità considerata un costo si sostituisce l’idea di investimento: attraverso processi sostenibili, infatti, l’Impresa può risparmiare risorse, ottenere tendenzialmente un maggiore goodwill da parte degli stakeholder, diventare più interessante per il sistema finanziario, permettere un riposizionamento sincretico tra compatibilità economica e sviluppo sociale e civile.
Come istituto di ricerca abbiamo compreso questa logica fondamentalmente grazie all’incontro con l’associazione non-profit Plef (Planet Life Economy Foundation) , che fin dal 2003 aveva costruito modelli teorici e strumenti di analisi sulla base di questi assunti, e con cui collaboriamo per un approccio op erativo e non ideologico alle nostre ricerche su questi temi.
Viraggio di paradigma
Da analisti delle tendenze abbiamo visto l’iniziale materializzarsi di questi principi nelle Imprese in Italia verso la fine del primo decennio del 2000.
Nel Mapping Andare a Tempo® del 2012, con il concetto di Eco-corporate segnalavamo con certezza l’avvio di un cambiamento strutturale nella gestione dell’Impresa, di grandi Imprese soprattutto, e soprattutto internazionali.
Stava avanzando una visione tendenzialmente differente rispetto alle logiche di Responsabilità Sociale soprattutto se intesa come esternalità, costo, o comunque investimento di marketing o comunicazione.
Le nostre ricerche di questi ultimi anni sulle Imprese operanti in Italia – soprattutto quelle grandi ma non solo–ci restituiscono un significativo impegno nel creare modelli di business e processi gestionali, produttivi e organizzativi alternativi, tanto che in alcuni (se pure non molti) casi vengono anche utilizzati come benchmark delle strategie di Sostenibilità i 17 obiettivi dell’Agenda ONU 2030.
Le innovazioni riguardano un ampio spettro di attività : ad esempio la riduzione delle emissioni, la diminuzione del consumo di risorse nel ciclo produttivo e nella logistica, l’utilizzo di materiali riciclabili, biodegradabili, compostabili e riciclati, il recupero degli scarti e dei sottoprodotti, gli interventi sul packaging, l’utilizzo di fornitori certificati e responsabili, una progettazione delle filiere favorevole allo sviluppo dell’economia locale, la promozione della legalità nella specifica industry, l’incoraggiamento di stili di vita salutari e il miglioramento dell’alimentazione e della salute collettiva.
Anche le grandi Imprese della Distribuzione stanno lavorando sui processi di Sostenibilità (se pure non esenti da contraddizioni causa la priorità spesso affidata agli “economics”): riguardo la selezione dei fornitori, la relazione con la comunità di riferimento – le Amministrazioni Pubbliche, le Istituzioni scolastiche, sportive e culturali –, il consumo di energia, un minore o diverso impiego della plastica, l’ottimizzazione della logistica. In questo ambito, tuttavia, permane un punto interrogativo riguardo le condizioni offerte ai prodotti “Sostenibili” delle Imprese industriali: se da una parte appare ampia la disponibilità a progetti comuni, tuttavia la variabile prezzo sembra guidare ancora sensibilmente le scelte rispetto allo scaffale.
Le Imprese d’altro canto tendono sempre più a coprire spazi istituzionali : le 10 maggiori associazioni imprenditoriali italiane hanno recentemente presentato al Governo un documento congiunto con proposte concrete sugli interventi necessari a creare un contesto idoneo a uno sviluppo Sostenibile.
Anche in USA – patria del liberismo – l’evento del recente Round Table, in cui si sono raccolte quasi 200 major industriali, afferma che l’Impresa non lavora solo per soddisfare i propri azionisti ma tutti i portatori d’interesse sancendo, anche se con ritardo, un potenziale cambiamento di paradigma. Fondamentale in queste prospettive, si afferma una finanza sostenibile che sta trasferendo risorse (nella misura stimata di 38 mila miliardi di dollari all’anno) in Imprese capaci di promuovere investimenti responsabili, definiti secondo le regole ESG che il sistema borsistico si è dato in attesa di un’ufficiale tassonomia, in corso di sviluppo in Europa, estendibile internazionalmente.
Acquisti ed altro
Afronte di questi sviluppi da anni nel mercato si indaga l’atteggiamento dei consumatori rispetto alla Sostenibilità e ai prodotti sostenibili.
La maggior parte dei dati (non solo in Italia) riportano ampie quote di cittadini che si dichiarano coinvolti su questi temi, così come a fine degli anni ’90 sulle tematiche della Responsabilità Sociale.
Una questione però oggi chiave riguarda i comportamenti di acquisto – dato che le pratiche di Sostenibilità impattano sull’interno dell’Impresa, implicando investimenti che si vorrebbero riconosciuti dagli stakeholder. Invece queste risposte non sono così scontate, come anche ci raccontano molte Imprese impegnate su questo fronte, nonché dati internazionali.
Le nostre ricerche dal 2014 indicano che il percorso verso comportamenti sostenibili è tracciato, ma riguarda alcune fasce della popolazione, non certo la maggioranza. Questo emerge con chiarezza attraverso un approccio che misura le intenzioni di acquisto in modo realistico, verificando la rilevanza per i consumatori delle diverse attività sostenibili delle Imprese e le condizioni di acquisto. Lo studio multi-client più recente (2019) ci fornisce un quadro articolato dei comportamenti di consumo, attraverso 5 tipologie di consumatori.
I Coinvolti a 360° (24%) : sono fortemente orientati al sociale e ai prodotti/servizi Green anche nelle loro forme più evolute (mobilità, investimenti), e acquirenti potenziali di prodotti sostenibili anche ad un costo superiore rispetto agli altri. Sono distribuiti abbastanza equamente nelle diverse fasce di età, ma diminuiscono all’aumentare dell’età: le fasce più giovani sono quindi un po’ (ma poco)
più sensibili. Altro dato rilevante: i cittadini con redditi più alti sono tendenzialmente più “sostenibili” degli altri.
Gli Attenti, tra non spreco e risparmio (21%) : esprimono una forte attenzione al controllo delle risorse, soprattutto in un’ottica di saving. Acquisterebbero prodotti oservizi sostenibili solo se a parità di prezzo. Aumentano sistematicamente all’aumentare dell’età e anche del reddito –con l’eccezione della popolazione più benestante.
Gli Individualisti possibilisti (22%) : vivono la Sostenibilità in modo personalistico, senza una particolare visione sociale. Acquistano saltuariamente prodotti sostenibili, e comunque lo farebbero solo se a parità di prezzo o poco di più. Sono più rappresentati tra le fasce di popolazione adulte-anziane e con reddito medio-basso.
I Distratti auto-riferiti (11%) : dichiarano comportamenti sostenibili molto sporadici, con una concezione della Sostenibilità solo legata all’ambiente. Sembrano poco attenti a quello che acquistano e consumano, e più rappresentati nelle fasce centrali di età (35-54 anni).
I Refrattari (23%) : assumono una visione estremamente parziale della Sostenibilità, vivendola in un’ottica di beneficienza. In nome della Sostenibilità non lascerebbero le proprie marche abituali, se non per prezzi inferiori. Sono più rappresentati tra i giovani (che non sembrano quindi in toto sensibili), e meno dopo i 45 anni.
Che cosa ci dice sostanzialmente questa ricerca? Che la popolazione effettivamente molto sensibile ai temi della Sostenibilità è pari a circa 1/4, degli italiani, 1/5 lo è abbastanza, 1/3 circa abbastanza tiepida o addirittura indifferente, e circa 1/4 proprio non ne vuole sapere.
Comunicazione - chiave
Ildegrado ambientale e il riscaldamento globale stanno aumentando, penalizzando già da ora i soggetti fragili, si rafforzano le preoccupazioni per la situazione economica, le diseguaglianze persistono, molto elevate.
L’ultimo rapporto ASviS (Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile, con cui collaboriamo attivamente) ci indica che l’impegno dei Paesi e delle grandi Imprese non è al momento sufficiente.
In Italia dal 2016 al 2017 l’evoluzione degli Obiettivi posti dall’Agenda ONU 20130 ha visto un miglioramento su 9 obiettivi, un peggioramento su 6, la stabilità su 1.
Chiaramente occorrono iniziative congiunte tra i diversi soggetti (Istituzioni e organizzazioni pubbliche e private, Amministrazioni Pubbliche, Imprese, Associazioni di categoria) per implementare azioni utili e incrementare consapevolezza operativa.
Dal nostro punto di vista di ricercatori ci occupiamo più specificatamente dei comportamenti delle Imprese e delle loro relazioni con i consumatori.
Quello che è stato chiamato The elusive consumer è un dato di fatto, e non solo in Italia. A fronte di un generico consenso nei confronti dei temi della Sostenibilità i comportamenti sono molto meno proattivi : perché il costo/risparmio guida le decisioni di acquisto (peraltro in una situazione di crisi economica strisciante); perché non si collegano gli acquisti sostenibili con benefici immediati; soprattutto perché circola poca informazione, come dimostra chiaramente l’ultima ricerca di cui si è parlato prima.
Dall’altra parte, si è visto che la conversione dalla grey
alla green – e tendenzialmente alla blue – economy, con l’implicito impegno sociale, stanno diventando una priorità per molte Imprese, mosse da ragioni di competitività e sopravvivenza.
Ciò detto, però, osservando la comunicazione d’Impresa notiamo notevoli carenze, non solo a livello quantitativo (gli investimenti dedicati al tema della Sostenibilità nell’Impresa) ma anche nei messaggi, che appaiono infatti per lo più standardizzati, scarsamente consapevoli delle specifiche logiche e dinamiche degli acquisti in relazione ai prodotti e servizi sostenibili, poco mirati.
Una evidenza significativa: la “notorietà sostenibile” di grandi Imprese (cioè delle Imprese che dai consumatori sono considerate coinvolte su queste istanze, e in effetti impegnate), è infinitamente inferiore alla loro notorietà tout court.
Oltre a cambiare i paradigmi gestionali, diventa necessario cambiare quelli comunicazionali. Occorre comprendere meglio i bisogni e i desideri dei target, così come le barriere e le resistenze, e agganciarsi a dinamiche, ampiamente studiate peraltro, capaci di incidere sui comportamenti – come l’influenza sociale, la rilevanza dei comportamenti virtuosi per il self delle persone sia a livello pratico che simbolico, la visibilità dei benefici, piuttosto che la rilevanza negativa delle scelte non virtuose, giusto per fare qualche esempio.
In pratica: rendere la Sostenibilità desiderabile, e non solo dovere sociale, rappresenta a nostro parere l’unica strada per rendere il Business sostenibile anche un Business di successo. Good for us, good for the planet.
Verso il 2021
Tanti cari auguri per un anno migliore.
Quando è nata Astarea, abbiamo scelto i Fenici come espressione immaginifica del nostro lavoro e in questi quindici anni abbiamo sempre trovato nella loro cultura interessanti metafore per i nostri racconti. Così anche ora.
I Fenici erano abilissimi marinai. Se a quei tempi le navi procedevano solo lungo costa e di giorno, essi si orientavano invece con le stelle, navigando anche di notte guidati dalla stella Polare. Furono innovatori nelle tecniche di navigazione inserendo la chiglia, costruendo murate per difendersi dalle ondate, inventando l’ancora adeguata ai regimi portanti di poppa e di tre quarti.
La Pentecontera, di cui abbiamo disegnato una sezione in copertina, era la più antica nave da guerra fenicia. Navigava utilizzando sia le vele sia i remi, impiegando 50 rematori, 25 per lato, oltre che gli addetti alle vele, il capitano, il pilota e il flautista che scandiva il tempo della voga.
Un elemento chiave della nave era il timone. Composto da due pale collocate ai lati della poppa, di larghezza poco superiore a quella dei remi, era dotato di particolare sensibilità grazie alla larghezza limitata delle pale e alla possibilità di combinarne l’azione rotatoria indipendentemente – garantendo così agilità di manovra e al tempo stesso tenuta negli impatti.
La navigazione fenicia, e in particolare la Pentecontera con il suo agile timone ed i potenti remi, ci è sembrata particolarmente emblematica. I tempi che verranno ci obbligheranno ad una navigazione ancora insidiosa, che renderà necessario un orientamento ben definito (la stella Polare per i Fenici), uno strumento capace di perseguirlo (un Timone che mantenga la rotta, ma sapendone gestire gli inevitabili incidenti), e molte energie (i Rematori) che diano forza al percorso.
Quo vadis.
Orientarsi tra i segni
Laura Cantoni Giorgio Villa
Introduzione
Ci sembra impossibile non dedicare il nostro consueto
Augurale a quello che è stato questo anno, per augurarvene, e augurarcene, di completamente diversi per il futuro. Sulla emergenza sanitaria, le sue cause, le sue implicazioni ed effetti sono state scritte milioni di pagine e dette miliardi di parole. Come ricercatori e osservatori del mondo, però non neutrali, vorremmo cercare di sintetizzare gli elementi salienti a nostro parere di questa vicenda, focalizzandoci sulle scelte possibili per “uscire dal tunnel”.
La prima osservazione riguarda l’impatto della crisi sia in estensione – trattandosi di crisi globale – sia in profondità – avendo investito tutti gli ambiti di vita, di là da quello sanitario. Siamo di fronte ad una recessione senza precedenti storici, molto più ampia di quanto accadde nella bolla finanziaria e nella crisi economica dal 20072008, e tocca produzione, consumi, redditi.
Secondo Gita Gopinath, capo economista del Fondo Monetario Internazionale «la perdita cumulata per l’economia mondiale, rispetto alle previsioni di crescita se non ci fosse stata la pandemia, ammonta a 11mila miliardi di dollari nel biennio 2020-21 e salirà a 28mila miliardi nel periodo 2020-25».
Lo stesso World Economic Outlook del FMI prevede per il 2020 una contrazione mondiale del 4,4%. Per l’Eurozona nel suo complesso si prevede un crollo dell’8,3%, con una situazione particolarmente critica per l’Italia: contrazione del 10,6. Per gli USA si stima una contrazione del 4,3. Anche Paesi prima (relativamente) fiorenti come l’India soffrono, con una recessione del 10,3%. La Cina sarà l’unica grande economia a salvarsi dalla recessione: nel 2020 il suo Pil crescerà dell’1,9 (comunque ricordiamo che negli ultimi decenni la Cina ha vissuto incrementi mai sotto il 6%).
In questa crisi, tuttavia, l’emergenza sanitaria ha portato del nuovo. Ha insegnato nuovi modi di vivere che avevamo già individuato sottotraccia, e che in questo momento hanno trovato le condizioni opportune per emergere: nella relazione tra le persone, nei rapporti con i consumi, nelle modalità di acquisto, nelle forme del lavoro, nel vivere la propria casa, nell’abitare la città. FocusGroup (da remoto!) in cui abbiamo parlato con i cittadini, ci hanno segnalato un rinnovato contatto con la famiglia, figli soprattutto, nella condivisione di tempi, spazi e attività prima strettamente obbligati, nella scansione delle attività quotidiane, ma anche nella riappropriazione di spazi per sé stessi con attività inedite, essendosi dilatati i tempi a disposizione di tutti.
Ha prodotto anche nuove forme di creatività sociale come reazione al distanziamento: da ritrovati sensi di community ad occasioni di varia solidarietà (ad esempio la donazione dei device elettronici in “surplus domestico” piuttosto che la consegna della spesa) alla produzione di “media” completamente nuovi quali i Tik Tok, rimbalzati in Rete, e che noi abbiamo definito come un nuovo genere letterario, dal basso, quale strumento di rifiuto, resistenza, resilienza condiviso.
L’insegnamento forse più rilevante di questa crisi è l’avere fatto esplodere fragilità a livello planetario, suggerendo al tempo stesso le leve da attivare per superarle. Da un lato, le criticità strutturali dei nostri sistemi socio-economici si sono rivelate con una chiarezza tale da rendere ineludibile un processo di conversione profonda; dall’altro, la crisi ha stimolato, e rafforzato, considerazioni sul futuro delle nostre economie, della Governance degli Stati, delle nostre società e del pianeta , tra le istituzioni così come tra gli attori economici a livello internazionale.
Gli effetti del Covid:
le criticità
La recessione economica associata alla problematica ambientale (clima) e sociale (diseguaglianze) sfocia in una crisi sistemica associabile a quanto previsto nel 1972 come “collasso”, proprio per il secolo XXIesimo, dai “Limiti dello sviluppo” del Club di Roma. Per questo proponiamo una lettura delle implicazioni dell’attuale pandemia alla luce del modello dei 6 Capitali.
Capitale economico (1, materiale, 2 finanziario). L’economia mondiale si è trovata di fronte al Covid con sacche di fragilità della crisi iniziata nel 20072008 non ancora superate. Da quella crisi si era cercato di uscire seguendo il consueto modello del capitalismo finanziario, orientato a risultati a breve, nella indifferenza rispetto alle esternalità negative create dalla produzione industriale sull’ambiente e sul sociale. Il drenaggio di risorse dal sistema pubblico ha generato disfunzioni sfociate nelle enormi difficoltà dei sistemi sanitari, anche dei migliori, ad affrontare la pandemia, per non parlare delle insufficienze nelle catene di fornitura di beni necessari come la strumentazione sanitaria. A fronte della crisi di intere economie, in cui il debito pubblico è salito alle stelle, il numero di imprese si è drasticamente ridotto, il patrimonio di molte si è assottigliato, il sistema bancario ha fatto il pieno di NPL, è aumentata la concentrazione delle ricchezze: ad esempio, il reddito dei 643 super-ricchi americani, come Jeff Bezos e Mark Zuckerberg, è passato in questo periodo da 2950 a 3800 miliardi di dollari. La sintesi di più debito pubblico, meno patrimonio imprenditoriale, più crediti inesigibili, più risparmio privato e più concentrazione della ricchezza fa sì che i forti interventi monetari degli Stati potenzialmente inflattivi e promotori di domanda dovranno ricostituire stock di capitale per la sopravvivenza delle imprese esistenti, ma soprattutto per la loro conversione e per nuove imprese verso mercati a meno rischio.
Capitale umano, 3. Se l’Organizzazione Internazionale del Lavoro prevede per l’anno corrente la perdita di 25milioni di posti di lavoro nel mondo, in Italia l'ISTAT rileva quasi 500.000 persi: puniti, i soggetti storicamente più deboli, i giovani e le donne, i lavoratori precari. In effetti la crisi ha rafforzato le disuguaglianze preesistenti, già in crescita all’interno dei Paesi da decenni (come dimostrano i numerosi studi, ad esempio le rilevazioni dell’indice Gini, o le analisi di organizzazioni come Oxfam e ONU e di istituti di ricerca anche americani come PIIE (Peterson Institute for International Economics). Il Premio Nobel Joseph Stiglitz ha dimostrato che il virus attacca di più chi si trova in condizioni peggiori dal punto di vista socioeconomico; il Sustainable Development Outlook prevede entro il 2020 100 milioni di persone a rischio di povertà qualora non sia modificata la distribuzione del reddito. La crisi colpisce diversamente i generi: nel 2021 47 milioni di donne si troveranno in povertà, dato che i loro lavori sono più esposti ed il loro livello di occupazione – secondo il Mc Kinsey Global Institute – risulta comunque inferiore a quello degli uomini ( 39% vs il 54%); in Italia, l’ISTAT prevede un calo del tasso di occupazione femminile maggiore di quello maschile (-2.2 vs -1.6).
Capitale relazionale, 4°. L’emergenza con le sue implicazioni relazionali ha sensibilmente peggiorato il clima sociale dei Paesi, con un crescente disorientamento, pessimismo, e diminuzione della tenuta psicologica delle persone, soprattutto tra i giovani. Una ricerca di Michele Belot e.al in 6 Paesi racconta di danni alla salute mentale sulla popolazione, in particolare sui 16-19enni, che sembrano avere sofferto più di altri l’abbassamento del reddito disponibile. D’altra parte, si è assistito a cadute di responsabilità collettiva, che, a volte rubricate sotto registri ideologici, di fatto alludono agli effetti di una società
fortemente individualista, ove risulta difficile rinunciare a benefici personali in funzione del bene comune.
Capitale strutturale, 5°. In molti Paesi del mondo sembrano peggiorati gli standard delle democrazie (e anche in questo caso si accellerano tendenze in atto da anni), offrendo alibi a Governi già orientati alla negazione dei diritti. Secondo il report “Democracy under Lockdown” della Freedom House, dall’inizio della pandemia le condizioni della democrazia e dei diritti umani sono peggiorate in 80 Paesi, particolarmente ove esistono democrazie deboli e Stati repressivi. Almeno in 91 dei 192 Paesi sotto osservazione, i canali di informazione hanno subito restrizioni, e in 158 Paesi si sono posti nuovi vincoli alle manifestazioni di protesta.
Capitale naturale, 6°. Paradossalmente gli aspetti della qualità della terra, dei mari e dell’aria sono gli unici liberi dalle conseguenze negative del contagio. Al contrario sembrano averne tratto benefici conseguenti alla riduzione di attività, consumi, mobilità. La pandemia sembra comunque connessa al danneggiamento degli eco-sistemi, per gli scompensi che ne derivano, capaci di incidere sui processi naturali, salti di specie inclusi (come nel caso dei virus).
Per l’Italia, il Rapporto 2020 di ASviS (Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile) prevede il peggioramento, causa crisi pandemica, di 9 sui 17 obiettivi dell’Agenda ONU 2030: povertà, alimentazione, salute, istruzione, parità di genere, occupazione, innovazione, disuguaglianze, partnership.
Effetti Covid: insegnamenti
Pensando in positivo, l’emergenza ha generato comportamenti e atteggiamenti non nuovissimi, prima meno evidenti o latenti, che la crisi ha esplicitato o rafforzato.
Si pensi innanzitutto alla mobilitazione di energie collettive di solidarietà e cooperazione a livello micro-sociale, dalle community di quartiere organizzatesi spontaneamente per garantire beni di consumo e durevoli ai soggetti deboli; alle innovazioni logistiche come i box refrigeranti condominiali; alla rivalutazione dei quartieri, spazi obbligati nel periodo, ma che saranno probabilmente più valorizzati in futuro nella prospettiva di strutture urbane meno centripete; all’incremento del retail di prossimità – tendenza già in atto ed esplosa esponenzialmente anche con l’ulteriore diffusione di offerte ibride dal punto di vista merceologico.
La casa è stata e sarà uno degli ambiti di cambiamento più focalizzati : per il bisogno di spazi individuali, che sta già modificando i nuovi progetti abitativi con una maggiore articolazione degli ambienti, ma soprattutto per l’esigenza di spazi aperti, giardini, terrazzi, balconi, che sempre più saranno parti integranti dell’alloggio, arredati, adibiti a funzioni quotidiane e non eccezionali, luoghi di socializzazione e non solo di servizi, secondo una non nuovissima ma incrementata continuità tra esterno ed interno.
La crisi, soprattutto nella prima fase dell’emergenza, ha rafforzato l’attitudine all’home made e al fai da te così come l’acquisizione di nuove abilità, che vedevamo svilupparsi negli anni successivi al 2007-2008 e che la “chiusura” ha radicalizzato: l’incremento dei lavori artigianali domestici, prima delegati all’esterno, la riconfigurazione degli spazi, una maggiore cura e rinnovo degli oggetti.
Diventa ovviamente apicale il ruolo delle nuove tecnologie, che se da una parte ha incrementato l’utenza digitale, dall’altro ha segnalato l’inutilità di spostamenti fisici per molti incontri, con risparmio di tempo, energie materiali, fatica fisica. Lo smart working, con le sue ovvie problematiche e contraddizioni, ha costituito lo scarto dell’organizzazione aziendale forse più significativo degli ultimi anni, riallineando o comunque avvicinando l’Italia a standard già più avanzati in altri Paesi – oltre che, presumibilmente, incidendo su future logiche immobiliari grazie alla liberazione di spazi aziendalmente inutili a fronte dell’esigenza di strutture più piccole, più agili, probabilmente più diffuse rispetto alle attuali mega-concentrazioni.
Elemento epocale, soprattutto considerando gli ultimi anni di conflitti in seno alla Comunità Europea, il recuperato ruolo della cooperazione internazionale, soprattutto nella seconda fase dell’emergenza: non solo con la predisposizione di pari opportunità nello sfruttamento degli asset (es: la comune chiusura degli impianti turistici invernali) – ma soprattutto con l’impegno comune dell’Europa nella ricerca scientifica per la produzione e distribuzione del vaccino anti Covid, oltre che con la pianificazione di risorse utili ad una ripresa pensata non solo per bloccare il tracollo di imprese e famiglie, ma anche per orientarla in modo diverso rispetto al passato.
Gli orientamenti dei Player dell’economia
Appare fortissimo e, come la crisi, planetario, il dibattito su come uscire dalla crisi pandemica a livello economico, sociale, e politico.
Nel contesto, si nota l’affievolimento dell’elaborazione tipicamente liberista (un esempi per tutti: Arthur Laffer –, consigliere economico di Trump – le cui teorie mantengono presa nel senso comune ma paiono più isolate entro il Gotha accademico) nel delineare specifiche vie di uscita dal disastro della pandemia. Si prevede l’intervento dello Stato a livello monetario e fiscale per iniettare risorse in una situazione al collasso, salvo poi lasciare ai consueti meccanismi del mercato il compito del rilancio dell’economia, autonomi da qualsiasi ingerenza strutturale di matrice governativa o di altri organismi istituzionali di natura pubblica.
Invece, il Gotha del capitalismo mondiale sembra si stia orientando verso modelli di sviluppo molto diversi rispetto al liberismo classico: più inclusivi, più attenti alle esternalità delle imprese (società e clima soprattutto), più favorevoli all’intervento dei Governi sulla struttura economica e nel commercio, oltre che ovviamente nei sistemi del Welfare.
Negli ultimi mesi il Fondo Monetario Internazionale esplicita, con le parole del suo direttore generale Kristalina Gheorghieva, una serie di condizioni necessarie a garantire non solo il superamento della contingenza, ma un futuro stabile e più equilibrato: riforme e investimenti utili a una maggiore assistenza sociale, istruzione e qualità della vita; dispositivi fiscali contrastanti i guadagni dei “vincitori” nella crisi; manovre concertate contro i flussi illeciti e le scappatoie fiscali; potenziamento di programmi di lavoro pubblico al fine di arginare meglio il rischio di altre crisi.
Inoltre l’FMI invita a dirigere gli investimenti verso il green, per una battaglia effettiva contro il cambiamento climatico.
Il Financial Times, quotidiano di netta matrice liberale, rimarcava pochi mesi fa la necessità della permanenza a lungo termine dell’intervento dello Stato nell’economia, nonché di un suo ruolo più attivo: “considerare i servizi pubblici un investimento e non passività, pensare a come rendere i mercati del lavoro meno incerti, rimettere in questione i privilegi...”.
Nell’Augurale dello scorso anno, che avevamo dedicato all’affaccio delle Imprese nel sociale –seguito con i nostri studi dal 1998– sottolineavamo l’evento dell’associazione Business Roundtable che con un manifesto sottoscritto da 181 CEO di grandi aziende americane nell’Agosto 2019, affermava un ruolo dell’Impresa mirato a soddisfare non solo i propri azionisti, ma tutti i portatori di interesse.
Questo tema, e cioè il passaggio dalla mission di Impresa “shareholder-oriented” a “stakeholder-oriented”, ha agito da filo conduttore del World Economic Forum di Davos nel Gennaio 2020, dove si sono riunite, nel 50esimo anniversario del Forum, 3000 imprese leader della finanza e della economia mondiale da 117 Paesi, e 53 capi di Governo e di Stato.
Il Forum si è concluso con l’impegno a combattere il cambiamento climatico promuovendo il passaggio ad una economia circolare a 0 emissioni, per un mondo coeso e sostenibile.
Il ruolo delle Agenzie Internazionali
Nel frangente della crisi le principali istituzioni internazionali (e le organizzazioni che fanno loro riferimento) stanno svolgendo un ruolo di orientamento verso “l’uscita dal tunnel” probabilmente mai visto prima, in direzione di un nuovo paradigma, quello della Sostenibilità, che: a) implica una maggiore azione regolativa dello Stato non solo quanto a interventi monetari contingenti atti a “salvare il salvabile”; b) radicalizza i nuovi principi dei Player dell’economia, declinando in regolamenti operativi il legame tra attività delle imprese, benessere sociale e situazione climatica; c) si differenzia a maggiore ragione da qualsiasi capitalismo di Stato che necessariamente deriva in uno schema protezionistico negatore di una economia di mercato.
L’Agenda ONU 2030 nasce molto prima della pandemia, nella convinzione che fosse urgente un netto cambiamento di rotta per invertire la corsa del cambiamento climatico e delle crescenti disparità sociali, economiche e culturali nel mondo.
Definisce 17 obiettivi da raggiungere entro il 2030, riguardo altrettante condizioni di base che consentano un miglioramento delle situazioni del pianeta a livello ambientale, sociale, economico. E’ stata firmata da 193 Paesi ed in Italia rappresentata da ASviS (Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile) che raccoglie oltre 270 associazioni del Terzo settore, delle Imprese, dei consumatori etc..., impegnate su questi temi.
L’Agenda ONU si colloca alla base dei recenti orientamenti dell’Unione Europea, e in particolare della Commissione e del Parlamento Europeo, che proprio la crisi scatenata dal Covid ha fatto evolvere la sua pianificazione dal Green Deal Europe (focalizzato sulla transizione
energetica, l’economia circolare, la fiscalità ecologica con impatti sull’occupazione lavorativa e sulla politica finanziaria pubblica e privata) al Next Generation EU, il programma di ripresa economica dell'UE.
Erroneamente banalizzato nella dimensione economica, il Recovery Fund costituisce in realtà un impianto di indirizzi e risorse di epocale rilevanza, inglobando in maniera strategica la politica ambientale contro il cambiamento climatico, quella sociale basata sulla conoscenza “via” evoluzione digitale, gli investimenti per il rilancio e la resilienza dei sistemi produttivi e dei servizi pubblici.
Componente centrale degli indirizzi della UE contenuti in questi programmi è l’economia circolare, un modello di sviluppo che si contrappone alla tradizionale economia lineare in quanto le risorse materiali che entrano nei processi (che siano di un’impresa, di un’istituzione, di una organizzazione commerciale, ma anche di una famiglia), una volta utilizzate non ne escono in forma di spreco, ma in forma di materiali destinati a rientrare nel ciclo produttivo e distributivo.
Di là dalla raccolta differenziata, in questo contesto si delineano numerosi altri processi : gli scarti provenienti dalla produzione vengono sistematicamente riutilizzati; i prodotti sono ingegnerizzati fin dall’inizio per prestarsi ad un nuovo uso una volta esaurito quello primario, per cui nascono; le eccedenze alimentari della distribuzione commerciale, della ristorazione o della produzione industriale trovano nuovi sbocchi e utilizzatori. Il sistema dell’economia circolare può quindi essere definito a rigenerazione continua, riferendosi al modello della bio-imitazione - la natura in primo luogo si rigenera senza disperdere risorse. L’implementazione del sistema implica un forte livello di innovazio-
ne - nuove modalità progettuali, nuove materie prime, nuovi modelli - , e per questo si prevede possa attirare investimenti determinando nuova occupazione e creatività collegata a tecnologie abilitanti di sviluppo digitale, di intelligenza artificiale e di internet delle cose.
Uno strumento tecnico coerente con questi complessivi sviluppi è il BES – misurazione del Benessere Equo e Sostenibile – creato in Italia da ISTAT e da soggetti sociali nel 2013. Obiettivo del BES è integrare i parametri di misurazione del Pil, centrati sullo sviluppo economico, nell’assunto che il progresso di un Paese debba essere considerato anche in base a criteri di carattere ambientale e sociale.
Il BES, per cui sono stati identificati 12 domini fondamentali per la misura del benessere in Italia – Salute, Istruzione e Formazione, Lavoro e conciliazione di vita, Benessere economico, Relazioni sociali, Politica e Istituzioni, Sicurezza, Benessere Soggettivo, Paesaggio e Patrimonio culturale, Ambiente, Innovazione, Ricerca e creatività, Qualità dei servizi – dal 2016 fa parte del processo della programmazione economica.
La vicenda COVID 19, quindi, ha suscitato la consapevolezza della non-neutralità degli effetti di una crisi sanitaria rispetto ai sistemi socio-economici che impatta.
Il percorso verso uno Sviluppo Sostenibile sembra una strada nuova per affrontare l’emergenza in modo tale da orientarsi verso modalità di governo, produzione e consumo atti a garantire un’uscita dall’emergenza che prefiguri strutturalmente sistemi più adeguati a garantire anche per il futuro uno sviluppo equo e salvaguardante le risorse del pianeta.
Il consumo responsabile
Imovimenti di opinione e le attività messe in campo sia dai più rilevanti Player economici che dai maggiori istituti internazionali verso un cambio di paradigma socio-economico, si riflettono nell’accresciuta sensibilità dei cittadini in tema di sostenibilità, registrata oramai in termini inequivoci anche dai sondaggi.
In realtà, se una generica opinione dichiarata può, eventualmente, portare a queste evidenze mostrando adesione culturale a principi valoriali mainstream, gli effettivi comportamenti, considerando sia studi dettagliati, sia le dichiarazioni delle Imprese a fronte dei loro risultati di vendita, sia le analisi di altri protagonisti dell’economia, sono ben diversi.
Secondo i dati delle nostre ricerche ripetute negli anni (e coerenti a quelli di centri studi quali ad esempio Carrefour e Findomestic), gli italiani che esprimono comportamenti effettivamente sostenibili , sia nel privato sia nel pubblico, e negli acquisti, viaggiano tra il 20 e il 30% della popolazione. Dato significativo: i ceti socio-economicamente superiori sono i più propensi, per profilo culturale, per la possibilità di accedere a costi dei prodotti “virtuosi” sovente superiore agli altri, per un maggiore bagaglio culturale.
Contrariamente a molte opinioni circolanti, quindi, sembra che i ceti dirigenti dimostrino, a vari livelli, macro e micro, una maggiore consapevolezza riguardo le problematiche ambientali e sociali, rispetto a molte fasce di cittadini. Gli anni di stress economico, oltre alle forti sollecitazioni di ideologie individualiste molto attive nella quotidianità politica e mediatica, sono peraltro difficilmente contrastate dalla forza propulsiva dei se pur larghi movimenti di opinione green. Questo gap rischia di fare
recedere i soggetti economici dalle intenzioni di orientamenti diversi rispetto al passato, nel timore di impegni poco valorizzati, peraltro in una contingenza che rende non facili gli investimenti per lo sviluppo.
Il dilemma evidente suggerisce innanzitutto un forte lavoro in direzione dello sviluppo dei consumi in sé sostenibili, ed in un’ottica di stili di vita sostenibili, per convertire così un’adesione generica ma prevalentemente ideale, anche in prassi.
Si sta infatti pensando a una regolazione dei meccanismi di mercato che offra prodotti e servizi “virtuosi” a costi più accessibili: long-lasting rispetto ai fast, mobilità pubblica o bassamente energivora (e già ora il 30% dell’indotto automobilistico si sta orientando verso ibridoelettrico), sfuso, packaging alleggeriti, sostituzione ove possibile dei percorsi aerei o su ruote con quelli su rotaia per persone e merci, una tassazione punitiva per prodotti ad alto impatto ambientale ed invece una favorevole allo sviluppo di filiere corte, promuovendo canali di vendita a breve raggio.
Le istituzioni che lavorano alla Sostenibilità, ASviS in testa, stanno promuovendo una notevole azione di sensibilizzazione ed educativa ad esempio attraverso il Festival dello Sviluppo Sostenibile, ma anche con un’attività di comunicazione, per ora poco pianificata sui consueti canali mass market, che punta a messaggi chiari capaci di evidenziare (di là da una logica sacrificale per il consumatore, ma anche da una esclusivamente etica), i benefici che i cittadini possono raggiungere con un cambiamento degli stili di consumo a cui ci si è adattati, e inevitabilmente affezionati.
La produzione sostenibile
Seguendo la traccia del paradigma della Sostenibilità, cambierebbero non solo la vision, ma anche le pratiche gestionali delle Imprese, di là dall’intervento invocato per la riduzione delle emissioni. Un’Impresa che si riconverte ad un paradigma di Sostenibilità è consapevole dei vincoli ambientali e sociali, la cui inosservanza lungo tutto il processo produttivo e distributivo genera effetti esterni critici a carico della comunità e dell’ambiente. L’assunzione di questa svolta si pone alla base, soprattutto negli ultimi 5 anni, del lavoro di soggetti e istituzioni, pubblici e privati, profit e non-profit, impegnati nel “mettere a terra” le nuove finalità che le Imprese si pongono, in chiave gestionale.
Il passaggio ad un paradigma di Sostenibilità implica infatti trasformazioni radicali nel sistema organizzativo a tutti i livelli: promuovere l’uso delle energie da fonti rinnovabili; favorire la produzione di oggetti disassemblabili, riciclabili, a ridotto impatto ambientale, e a bassa obsolescenza; mantenere il controllo di tutta la filiera produttiva non solo in termini di qualità, ma anche per garantire un utilizzo di fornitori e materie prime basati su protocolli etici; qualificare i lavoratori per incrementarne la professionalità, facilitando la conciliazione tra famiglia e lavoro. In sintesi, ciò significa compenetrare nella propria strategia e attività specifiche l'orientamento al profitto con l’annullamento delle conseguenze negative sul piano ambientale e sociale.
L’allineamento dei processi produttivi ed organizzativi in funzione della Sostenibilità implica investimenti. E’ però dimostrato che le Imprese impegnate nella Sostenibilità hanno sviluppato asset competitivi superiori alle altre: sono più solide, aumentano l’efficienza interna, fidelizzano i collaboratori, esprimono maggiore in-
novazione, incrementano la propria reputazione, avvicinano i consumatori e si assicurano un futuro durevole anche perché favoriscono il goodwill del sistema finanziario sempre più orientato ad investire su imprese sostenibili. Queste evidenze sono dimostrate da molti studi realizzati in Europa, Stati Uniti e Giappone, nonché dalla Ellen Mc Arthur Foundation che segue da anni questi processi, e in Italia dall’ISTAT che accerta una più alta produttività fra le Imprese investitrici in iniziative ambientali e sociali.
Dalle nostre ricerche emerge però un bias che rischia di diminuire l’efficacia dell’impegno in Sostenibilità delle Imprese. Le loro pratiche sono poco e male conosciute dai cittadini/consumatori, riducendo così l’attrattività della loro offerta. Con queste evidenze chiudevano l’Augurale dell’anno scorso, e anche nel corso di quest’anno, nuove analisi presso le Imprese ci hanno confermato il medesimo problema. La comunicazione delle pratiche di Sostenibilità è esile, anche tra quelle molto impegnate, e incontra difficoltà notevoli, sia nella organizzazione dei linguaggi appropriati, sia nell’utilizzo di canali, ad ora molto auto-riferiti.
Un cambio sistemico, in grado di massimizzare i benefici derivanti dall’assunzione del paradigma della Sostenibilità dipende quindi anche da un investimento sul piano della comunicazione capace di trasferire fino in fondo ai consumatori-cittadini l’attrattività del nuovo modello, aiutando a superare le inevitabili inerzie che rallentano il processo di adattamento ad un nuovo stile di vita.
Le attuali strategie di comunicazione appaiono oggi poco efficaci perché dispersive: intente a rendere conto delle molteplici attività sostenibili, ma meno capaci di raccordarle entro uno sguardo complessivo; targettizzate per
i codici e per i media su singoli stakeholder, ma incapaci di coinvolgere in un unico racconto tutti gli attori del processo.
Un cambio di marcia sul piano comunicativo presuppone quindi la capacità di coordinare entro un discorso coerente i differenti aspetti che concorrono nel definire una proposta sostenibile. Occorre utilizzare modelli operativi, pure esistenti e disponibili, che generino sistematicità di approccio, elevando le occasionali coloriture green e sostenibili, o anche “statement” pertinenti ma scollegati, in un quadro strategico. Occorre utilizzare esperti capaci di maneggiarli per produrre argomenti pertinenti ed efficaci nel contesto competitivo.
Appare in particolar modo ineludibile legare in modo strutturale gli end benefit alla Sostenibilità e la Sostenibilità al posizionamento di marca, al di là di una occasionale rivendicazione di Reputation e CSR. Diventerebbe in questo modo possibile progettare uno shift negli stili espressivi e nei racconti, tali da accompagnare i consumatori verso una nuova definizione della qualità di prodotti e servizi, valorizzati proprio in quanto esito finale dei processi sostenibili a monte.
Per stendere questo documento ci siamo riferiti ai numerosissimi contributi comparsi negli ultimi mesi. Non potendo produrre riferimenti puntuali, citiamo in particolare quelli ASviS (Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile), di PLEF (Planet Life Economy Foundation), assumendoci comunque la responsabilità di quanto prodotto, nel suo complesso. Un ringraziamento particolare al collega Raffaele Solaini, per la sua collaborazione sempre illuminante.
Verso il 2022
Con Astarea alla scoperta di un nuovo anno.
Tanti cari auguri di Buon Natale 2021 e Buon Anno 2022
Alla cultura fenicia viene attribuita l’invenzione dell’alfabeto, databile intorno al 10°-11° secolo a.C.
L’alfabeto fenicio nasce per scopi pratici, affinché i mercanti potessero tenere traccia della loro attività in autonomia: e furono loro a diffonderlo in Europa e in Medio Oriente, dove venne utilizzato in moltissime lingue, originando anche il greco e il latino.
Tentativi precedenti erano stati avviati dai Sumeri, che nella loro scrittura coniugarono la rappresentazione di un oggetto - tipica dei sistemi iconografici - con i suoni delle parole.
Gli Egizi ereditarono questo sistema adottando, insieme con i geroglifici, ideogrammi alfabetici rappresentativi di 1 suono. Questa struttura mista restava comunque molto complessa perché parole e frasi si potevano costruire solo leggendo insieme lettere ed immagini.
I Fenici compirono il passaggio rivoluzionario, riducendo il sistema a 22 segni (tutte consonanti), ognuno dei quali rappresentava un suono: nasce l’alfabeto unicamente fonetico.
Questo sistema si rivelò molto più semplice dei precedenti, dato un apprendimento facile e rapido: assunse quindi un’estrema rilevanza sociale, estendendo la scrittura a più ampie fasce di popolazione, e contribuendo così ad un processo di democratizzazione.
Sappiamo quindi, fin dall’epoca dei Fenici, che la diffusione della capacità di linguaggio e di scrittura comporta la diffusione del sapere e quindi anche del potere.
Il Covid-19 ha fornito una particolarissima interpretazione di questa regola, nella tensione tra due poteri comunicativi: quello delle istituzioni, che hanno tentato di rafforzare il loro ruolo attraverso uno stile direttivo quasi dimenticato, e quello dei singoli, che si sono inventati nuove forme di comunicazione bottom-up per fare sentire la propria voce.
In copertina, il disegno della Stele di Nora, rinvenuta in Sardegna, presso Pula, ne 1773. Si ritiene il primo scritto in alfabeto fenico trovato a Ovest di Tiro, tra il sec IX e VIII a.C.
Guerriglia comunicativa.
Orientarsi tra i segni
Laura Cantoni
Giorgio Villa
Introduzione
Nel nostro consueto Augurale, l’anno scorso ci siamo soffermati, mossi dalla priorità della pandemia rispetto a qualsiasi altra contingenza , sull’impatto destabilizzante della crisi a livello globale ma anche sul “nuovo” che ha portato.
Ha fatto esplodere le fragilità (ormai da ben pochi negate) dei nostri sistemi socio-economici e politici, suggerendo al tempo stesso processi di cambiamento nella organizzazione degli Stati, delle Società, delle Economie, delle Imprese, delle Relazioni internazionali.
Ha ridefinito le abitudini delle persone – in famiglia, nel lavoro, negli acquisti, nel vissuto della casa e della città suggerendo, di là dagli obblighi imposti dalle restrizioni, modalità di vita da molte delle quali “indietro non si tornerà” – esattamente come accadde nella crisi economica dei primi lustri del 2000.
Sempre nell’Augurale 2020 verso il 2021, facevamo riferimento ad una nuova produzione mediatica, i Tik-Tok , che hanno invaso la Rete a livello mondiale quale espressione del vissuto sociale rispetto a quanto stava accadendo.
Nel corso della pandemia, la comunicazione dal basso nata in era social, si è incaricata di veicolare racconti non più leggeri, diventando manifestazione di pulsioni più profonde.
Nel corso della crisi i temi e in parte le forme si sono modificate, per scandire con incredibile precisione tempistica i diversi passaggi della pandemia.
E la loro prorompenza non si è affievolita, virando
dall’espressione degli atteggiamenti di fronte ad una situazione del tutto inedita, verso la questione vaccinale, con le sue connotazioni politiche, civili e sanitarie.
Ben lungi dal volere intercettare nella tragedia del Covid-19 uno spazio di evasione capace di sollevare animi diventati un po’ pesanti, nell’Augurale di quest’anno ci occupiamo proprio di questo “genere”
Letto con uno sguardo temporalmente più distanziato, lontano dai primi mesi della pandemia, abbiamo identificato una logica del discorso che accomuna le diverse forme e temi messi in scena.
Augurandoci che interessi anche a Voi, ci interessa illustrare, dal nostro punto di vista di ricercatori, sociologi e analisti della comunicazione, questo racconto, affinché il fenomeno non venga isolato come aspetto di rimessa totalmente residuale, ma sia invece considerato espressivo della voce sociale su quanto accaduto, ancora attiva e vigile su quanto sta ancora accadendo.
Vox populi
Battute fulminanti, racconti straniti e incursioni nell’assurdo, sempre a cavallo fra la manifestazione di un sottofondo tragico e il tentativo di affrontare la pandemia con il sorriso sulle labbra hanno invaso la Rete in epoca Covid-19. Ondate di gag sono rimbalzate e continuano a rimbalzare da un device all’altro con lo stesso ritmo virale della pandemia, seguendone l’andamento e aiutando i cittadini a organizzare, a ogni curva, trincee di resistenza.
Mentre gli organi istituzionali, sia tecnici che politici, hanno inciso la carne viva di ciascuno, modificando le prassi e calando le persone in un rallenty senza orizzonti certi ma, all’inizio, con limiti spaziali definiti, è emerso dalla Rete un controcanto basito, racconto di come gli italiani si stessero acconciando, e tuttora si acconcino, alla nuova realtà, o cercassero, e ancora cerchino, di organizzare vie di fuga.
Il dialogo fra istituzioni e cittadini è sempre stato asimmetrico. Da un lato, la voce idealmente univoca del potere, per definizione deputata a dettare la linea – anche se in realtà dominata da dubbi e incertezze, oltre che frammentata in posizioni fra di loro discordanti, se non polemiche.
Dall’altro lato, la voce dei singoli, all’inizio chiusi nelle proprie case e nella personale solitudine e oggi più che mai in fiera opposizione al potere: una moltitudine di battute estemporanee che, prese una ad una, non sembrano sollevare altro interesse oltre a quello dovuto alla battuta acuta che squaderna la paradossalità del momento, al riso che non si lascia dominare dagli eventi, ma che poi però finisce lì.
Viste nel loro complesso, tuttavia, le gag circolanti in Rete hanno dato luogo a una polifonia di racconti molto meno
rapsodici, caratterizzati anzi da temi ricorrenti e analogie profonde, che ripercorrono le faglie in cui già si articolano i segmenti della popolazione italiana, illuminandole.
È un coro meno univoco rispetto a quello che si è levato dai balconi: discorsi meno educati ed edificanti rispetto all’esaltazione del binomio resilienza e solidarietà, ma che, intersecando temi fondamentali e divisivi – dai limiti accettabili della libertà individuale, agli obblighi derivanti da una gestione socialmente responsabile della pandemia – hanno offerto potenti argomenti e linfa vitale a vecchie e nuove ostilità.
Mai come questa volta appare quindi istruttivo e importante gettare uno sguardo di insieme sui percorsi entro cui si è spontaneamente incanalata la vox populi.
Istruttivo perché le battute circolate in Rete danno accesso a un repertorio di risorse messe in campo quando si è stati costretti, dal contesto inedito, a pensare out of the box. All’impossibilità di uscire di casa, o comunque di muoversi liberamente, fa da pendant la necessità di uscire dalle proprie stanze mentali, facendo emergere, da un lato, verità non dette e contenuti rimossi, e “cogliendo l’occasione”, dall’altro, per gettare uno sguardo lucidamente stranito su prassi cadute oramai fuori corso.
Ed è così che un compìto signore ha trascorso il tempo pescando i pack di “Anatra WC” nel salotto di casa trasformato in un laghetto, estendendo in modo insano una mera somiglianza formale, ma garantendosi al contempo un momento di salutare evasione ideale. Così come oggi, da una diversa prospettiva, si ironizza con sarcasmo sulle presunte conseguenze dei vaccini, mettendo in discussione i limiti e i vincoli metodologici del discorso scientifico.
Un nuovo Format
Il tono di voce sempre in bilico fra tragico e comico non costituisce quindi solo il ribaltamento di prospettiva su una realtà in sé drammatica, che non si può guardare solo riducendola a nonsense, ma serve anche a legittimare sotto lo schermo del riso l’emergere di contenuti altrimenti indicibili, o comunque sottotraccia , immagini ancorate nel profondo delle menti e dei cuori di ciascuno.
Che si tratti di un racconto meno edificante sulla famiglia, ora protagonista di scenari, nei migliori casi, di fuga, o dell’abbrutimento personale degli eroi dell’happy hour ridotti a saccheggiare il frigorifero per consolarsi della clausura imposta, sempre si tratta di fare emergere un senso, normalmente rimosso nel registro del politically correct.
Questioni di fondo che, in tempi normali, stanno, appunto, al fondo, causa la crisi sono state protagoniste incontrastate di un discorso che rimbalza all’esterno con funzione inizialmente liberatoria e che ora diventa sempre più accesa polemica.
Le gag in Rete costituiscono un materiale prezioso: una panoramica inedita e rappresentativa della società italiana; una community online costituitasi spontaneamente, che si esprime con libertà pari alla capacità espressiva, dopo aver assorbito dalle tecniche pubblicitarie la capacità di usare in modo flessibile e sincretico linguaggi diversi, per imporre con grande efficacia nello spazio di poche righe punti di vista sul mondo.
È quindi non solo istruttivo, ma anche importante prestare attento ascolto alle battute circolanti in Rete, per quello che esse hanno da rivelare e per come lo dicono.
Per questo abbiamo scelto di dare alle gag anche un
nome proprio e distintivo e le abbiamo chiamate “vignette”: schegge di pensiero da assemblare, per costruire un’intelligenza non solo della crisi in corso d’opera, ma anche della nostra vita sottotraccia.
Sottotraccia esattamente come i canali protetti e celati all’opinione pubblica – tipicamente Telegram – su cui circolano ultimamente i contenuti meno raccontabili e al limite della legalità, nel momento della più accesa polemica anti-istituzionale sul tema dei vaccini.
Le Personas
De te fabula narratur: nell’epoca del selfie, una perentoria affermazione di sé nella quale immedesimarsi felicemente, le vignette fanno emergere una modalità sconcertata e nient’affatto gratificante di percepire se stessi entro il contesto pandemico.
Di fronte al nemico subdolo del virus, identità acquisite si deformano in maschere comiche, nelle quali, alle volte, riconoscersi e dalle quali, più spesso, prendere le distanze. “No: non posso essere io, non mi assomiglia per niente”.
Le vignette costituiscono quindi l’eco distonica dei selfie trionfanti. Quando mostrarsi ubiqui al centro di scenografie sempre diverse è impedito, o comunque ostacolato a seconda dei diversi passaggi della pandemia, le costrizioni imposte rifrangono l’io in un caleidoscopio di tentazioni e repulsioni.
Ne scaturisce una miriade di micro-racconti, che copre tutta la tastiera del registro comico, dall’umorismo più benevolente e autoconsolatorio, al sarcasmo più graffiante, distanziante, e aggressivo.
La lente della crisi fa in questo modo emergere una panoramica di caratteri colti fuori posa, profilando le cosiddette Personas: gli interlocutori fittizi ma verosimili che il marketing costruisce per individuare di volta in volta il proprio destinatario nell’epoca delle identità fluttuanti.
Il furbo incallito, quello che le “regole non fanno per lui”; il social compulsivo con le braghe calate, quello che “dimmi che aperitivo fai e ti dirò chi sei”; l’orso imbolsito, quello che “il lockdown meno male che c’è”; il materialo-
ne, quello che “se ci si lava i denti con l’acquavite non può succedere nulla”, in forza dei vecchi e sani rimedi della nonna.
Grazie alle vignette e ai loro racconti, è emersa una galleria completa e articolata di maschere comiche, o forse, meglio, di caratteri normalmente celati in ossequio ai canoni dell’appropriatezza sociale.
Le Personas possono essere quindi guardate sotto il profilo comunicativo: per come mettono in scena sul web il sé travolto dalle nuove regole imposte dalla pandemia e per il tone of voice con cui negoziano le distanze dalle maschere comiche rappresentate, sempre in bilico fra un’amara, ma alle volte inevitabile, identificazione e la liquidazione liberatoria, che mette in opera la funzione tipica della satira.
I meccanismi narrativi
Le pulsioni e le reazioni istintive di fronte alla pandemia sono messe in luce dalle scelte di fondo che guidano le gesta dei protagonisti delle vignette, intenti, alle volte, a sfidare i limiti imposti per ripristinare lo stile di vita consueto ribellandosi alle nuove regole, acconciati, altre volte, a calarsi nella nuova condizione.
Emergono posture esistenziali diverse – dall’evasione nostalgica nel ricordo dei piaceri perduti, al ribellismo che non lascia costringere il proprio libero volere; dal cinismo incattivito e dissacratore di ogni potere costituito, al saggio sedicente, che dà mostra di sapere leggere gli eventi da una postazione tanto distaccata quanto improbabilmente lunare.
I diversi atteggiamenti si traducono quindi in altrettante vene creative, riconoscibili sia per i peculiari meccanismi utilizzati nel generare effetti comici, sia per gli obiettivi polemici ricorrenti (dall’inadeguatezza della politica, agli impacci dello smart working, fino agli obblighi sanitari).
La identificazione delle Personas poggia quindi sulla ricostruzione delle diverse modalità narrative che, come sempre accade in ambito comico, fanno leva sulla rottura di aspettative consolidate per generare racconti intesi a ristabilire condizioni accettabili, ma votati al fallimento.
Il classico “uomo che morde il cane” (citato nella letteratura retorico/semiotica come esempio tipico del meccanismo generativo del comico) si tramuta nel “cane che si rifiuta di accompagnare il padrone per l’ennesima uscita al parco”.
Si dimostra con ciò quanto le vecchie a care abitudini siano sotto attacco, mentre gli stratagemmi retori-
ci, i giochi di parole e financo le allucinazioni ottiche da lockdown sfruttano la creatività per elaborare strategie di sopravvivenza, facendo emergere risorse nascoste cui attingere.
Queste risorse, spese per ricostruire orizzonti esistenziali possibili oltre la pandemia, sono destinate via via ad essere frustrate per la loro inadeguatezza nel contesto.
Gli inciampi e le frustrazioni, diversamente distillati, piegano il tono di voce ora verso il comico, ora verso il tragico, trovando sempre nuovi obiettivi polemici da sanzionare come “ridicoli”, per affermare l’inaccettabilità della situazione.
Caratterizzate dagli obiettivi che si pongono, dagli ostacoli da cui sono trattenute, dagli esiti che ne traggono, dallo stile con cui rileggono le condizioni date, le Personas emergono a tutto tondo.
Per questo, riflettono le polarizzazioni socioculturali oltre che politiche, soprattutto nell’attuale fase vaccinale, all’irrompere e al consolidarsi della pandemia.
Arileggerle con attenzione e metodo, le vignette disegnano personalità a tutto tondo, e possono essere lette ben di là da una mortifera spiegazione di barzellette. Né, tanto meno, e occorre dirlo con ferma precisione, si potrà mandare agli atti l’era del Covid come passaggio da cui è ora di evadere, rileggendolo con gli occhi del divertissement a posteriori o della protesta. Il che ucciderebbe due volte chi di Covid-19 è morto, muore o ancora soffre.
Piuttosto che considerare il comico come un’erranza momentanea da sanzionare con il riso, ripristinando al più presto le antiche abitudini – come uno scarto da ridurre, direbbero i retori – le vignette mostrano al fondo la trasformazione subita da quanti, anche se non toccati dalla malattia, hanno ugualmente dovuto riconfigurare la propria quotidianità nel momento in cui sono venuti a mancare i punti di riferimento noti.
Visto con il saggio disincanto dell’ironia, il confronto fra come eravamo, o pensavamo di essere, prima del Covid, e come ci siamo visti, e ci ritroviamo ancora, durante la pandemia, crea una sovrapposizione di piani dissonanti e quindi una eco comica.
Una eco comica che ci mette anche in prospettiva, dicendo qualcosa di più su di noi, e forse anche su dove potremo ancora dirigerci quando (…chissà quando…) questa crisi sarà infine superata.
Per questo è in fase di conclusione un libro che si rivolgerà a chi, appassionato di fenomeni sociali raccontati senza inutili superfetazioni accademiche, vuole innanzitutto capire che cosa la pandemia sta facendo di noi.
Ci rivolgeremo poi anche a quanti invece vogliono sciogliere le tensioni e allontanare la fatica da lockdown, cercando nel “divertimento” anche le forze necessarie per di-vertere il corso degli eventi a venire.
Le opposte fazioni dei riduzionisti del “Covid è un’influenza come un’altra”, che invitano a rileggere le statistiche di decenni fa, dei fan dell’Armageddon, barricati in casa ben oltre ogni regola imposta per legge, dei No Vax, per cui il vero pericolo si annida nella scienza assoldata al potere politico, riflettono, seppur in modo diverso, un senso di impotenza.
Una riflessione sistematica sul vissuto durante il Covid può contribuire a trasformare reazioni istintive ed estemporanee in un momento di consapevolezza sui limiti posti sotto stress dalla situazione e sulle risorse che sono state messe in gioco.
Scriviamo questo libro per cominciare, con la forza di un sorriso inevitabilmente impastato di tristezza, a pensare come progettare il domani.
Questo articolo ed il libro che seguirà sono scritti da Laura Cantoni e Raffaele Solaini
Verso il 2023
Tanti cari auguri di Buon Natale 2022 e Buon Anno 2023 Con Astarea alla scoperta di un nuovo anno
Come in tutti i nostri Augurali, raccontiamo un pezzo della cultura fenicia, da sempre utilizzata per il nostro story-telling, quale aggancio ai loro contenuti.
I Fenici sono noti come commercianti e navigatori che nulla poteva fermare, competenti, determinati ed innovatori. Meno nota la loro capacità di avere creato il primo mercato mondiale della storia, grazie soprattutto alla costruzione di una diffusa rete commerciale sulle lunghe distanze – dalla penisola iberica al golfo persico -, che aveva in Tiro il suo epicentro.
L’intreccio di questi rapporti fondava su insediamenti che non implicavano la colonizzazione: erano punti di appoggio, in un’ottica commerciale, per facilitare il contatto con le popolazioni indigene, e che in molti casi assumevano una funzione di scalo, luoghi di commercio, di scambio, e di incontro tra gruppi etnici diversi. Questo mix investe anche la religione, con la integrazione di divinità diverse, sia la vita sociale, con matrimoni misti: nel complesso, una coesistenza che si rafforzerà sempre di più nelle città mediterranee.
Gli oggetti dello scambio erano molteplici, da suppellettili a metalli, ad oggetti preziosi al legno, ai prodotti alimentari; gli attori dello scambio erano mercanti aristocratici che nel tempo sono diventati una classe autonoma rispetto al potere politico; il luogo cruciale dello scambio, il tempio, non tanto con significato religioso, ma quale espressione della vita della città. Creazione di reti e modello di scambio sono stati un fattore cruciale della stabilità, espansione e prosperità del popolo fenicio. “Mutatis mutandis”, sono concetti chiave che hanno generato l’Augurale di quest’anno.
In copertina, le rotte dei Fenici Colore: Viva Magenta 18-1750, Pantone del 2023
Quale futuro?
Orientarsi tra i segni
Laura Cantoni Giorgio Villa
Introduzione
Quello di quest’anno, è in effetti un Augurale “speciale”, perché è stato costruito in un’ottica collaborativa: e cioè insieme con “TAMTAMING”, di cui Astarea fa parte. Che cosa è “TAMTAMING”? Un gruppo di ricercatori, indipendenti, professionisti o small companies, impegnati nel campo delle ricerche di mercato, sociali e di opinione, con un alto livello di seniority, che hanno deciso di mettersi “in rete” per condividere opinioni, esperienze, capacità, in un’ottica prospettica e di innovazione.
Un’esperienza unica in Italia, notoriamente luogo di individualismi, ed in particolare unica nel settore delle ricerche di marketing, dove è molto diffuso lo spirito competitivo, il blindaggio del proprio Know-how, il narcisismo un po’ escludente, il timore che l’apertura ai colleghi significhi perdita dei propri stakeholder.
I valori dell’etica professionale, della legalità, dell’ identificazione con le esigenze dei propri clienti sono i pillar di questa condivisione. Noi di TAMTAMING ci proponiamo non solo di mettere insieme le nostre esperienze, ma anche di creare prospettive metodologiche inedite, a tutto vantaggio degli interlocutori di ciascuno. L’Augurale di Astarea quest’anno ha inteso comunicare il progetto TAMTAMING lavorando insieme su un tema cruciale in questo momento storico, non solo per l’Italia ma per il mondo intero.
Quale futuro? Il focus è su quanto i cittadini, i consumatori, o prosumer che dir si voglia, percepiscono riguardo il futuro prossimo in diversi ambiti di vita. I partecipanti a TAMTAMING sono ricercatori a costante, quotidiano, diretto contatto con le persone, che intervistano e ascoltano sugli argomenti che riguardano i prodotti, i servizi, le attività e le identità delle imprese, delle associazioni, delle istituzioni: ma in questa interlocuzione, giocoforza e soprattutto in questo pe-
riodo emerge -in maniera spontanea e diretta, e non solo sulla base delle domande di un questionario- il sentiment di come gli italiani si prefigurano la propria vita a venire.
Con la pandemia non ancora alle spalle, una guerra in corso, difficoltà economiche l egate alla c risi e nergetica e ai problemi irrisolti dell’economia italiana, in che modo ci si proietta nel domani? Depressione, tristezza, incapacità di vedere vie di fuga, come dicono alcune ricerche, o fiducia nel potere uscire dal marasma grazie alle capacità proprie, della collettività, e degli organismi istituzionali, non solo a livello nazionale? 19 ricercatori appartenenti a TAMTAMING, con diverse specializzazioni su target e consumi, si sono riuniti a parlarne, in diverse sessioni di gruppo, per mettere in comune le evidenze emergenti dal loro lavoro quotidiano.
Uno sguardo, ci auguriamo, utile, per aiutare i nostri interlocutori a comprendere meglio, e in profondità, quanto ora serpeggia nella mente e nei cuori, quindi per meglio costruire non solo la propria offerta di prodotti e servizi, ma anche il senso del proprio “essere nel mondo” ove la relazione con i propri stakeholder assume un ruolo cruciale.
Come Astarea, per cui Laura Cantoni ha coordinato i lavori, ringraziamo Alessandra Rizzo, Alessandro Battaglia Parodi, Daniela Fujani, Elena Barbieri, Emanuela Scarpone, Federico Bassi, Francesco Cianciotta, Giovanna Cinquemani, Giulia Fabrizi, Laura Giunti, Laura Ravanelli, Luca Meyer, Maria Vittoria Gargantini, Massimo Cealti, Nadia Benedetti, Stella Bonavolontà, Tecla Maffioli, Tina Limitone, Valentina Gennari.
La pandemia e gli eventi successivi hanno provato tutta la popolazione italiana, sottoposta ad un insieme di negatività come non se ne vedevano dal secondo dopoguerra. Nonostante le fatiche da isolamento sul piano fisico, psicologico, culturale abbiano lasciato inevitabili ferite, si intravede una reattività positiva degli italiani, alla ricerca di strumenti e orientamenti per riprendere la strada.
La visione del proprio futuro varia a seconda delle coorti generazionali. Un primo esempio, la generazione Alfa, dai 12anni in giù. Anche per loro la crisi pandemica non è stata indifferente. Tuttavia sembra la fascia di età meno negativamente colpita: sono stati più coinvolti, proattivamente, dai genitori, rispetto ai loro fratelli e sorelle maggiori (condannati al “non muoverti) nel riadattamento delle abitudini di vita, con aspetti anche ludici – lavoretti inediti, una maggiore condivisione del tempo con i genitori in attività di vario tipo, e in assenza dell’iperattivismo (scuola, sport, corsi di lingue, etc..), all’insegna del positivo claim “ce la faremo”, o “aiutiamo i nonni”.
La cosiddetta Z Generation, che sta attirando l’attenzione degli osservatori e degli operatori del mercato, imprese in primo luogo, probabilmente ha sofferto di più. Sono giovani dai 12 ai 25 anni, cresciuti iper-protetti e all’insegna della performatività, fiduciosi nel progresso guidato dalle tecnologie con le loro eccitanti ricadute nel mondo dei consumi.
Sicuramente hanno vissuto più degli altri il peso della chiusura sperimentando le difficoltà delle istituzioni nel gestire l’emergenza e nella coabitazione forzata con genitori disorientati. Soggetti al disagio psicologico - i dati clinici parlano chiaramente - hanno percepito il senso della perdita (di opportunità, di un posto nel mondo), e dell’esclusione.
Al tempo stesso hanno vissuto un’ansia prestazionale quale esito di modelli educativi orientati alla performance, congiunti alle aspettative create da un mondo apparentemente ricco di possibilità, poi invece negate; hanno sperimentato la difficoltà di relazionarsi agli altri per paure e insicurezze e, fondamentale, la frustrazione della mancanza di denaro.
Anche se, in declino il Covid ma persistenti le altre emergenze, gli Zed si trovino spaesati e deprivati, non appaiono comunque totalmente appiattiti e passivi: emerge la ricerca di un senso, il desiderio di costruire qualche cosa per se stessi, ritagliarsi uno spazio proprio che trova linfa vitale nella relazione socializzante – ora sempre più possibile anche fisicamente: il “gruppo” e le reti tra pari (se pure non senza difficoltà di adattamento) riprendono e sempre più assumeranno spazio svolgendo un ruolo consolatorio, identificatorio e partecipativo.
Segnali deboli ma significativi ci raccontano una condizione diversamente critica dei loro genitori, 4050enni, Anch’essi provati, soprattutto le donne caricate da una iperbolica gestione domestica, è comunque la fascia che ha vissuto le intemperie con una posizione già delineata, con una relativa sicurezza che suggeriva l’attesa resiliente dell’ uscita dal tunnel.
In alcune fasce di questo target (tra quelli più “social oriented”) si nota tuttavia un senso di sfiducia, insofferenza, un ipercriticismo rasentante l’aggressività, la refrattarietà nei confronti di qualsiasi proposta, il rifiuto della partecipazione socio-politica, un crescete orientamento all’individualismo, anche in assenza dei valori ideologiciguida (diritti sociali, pari opportunità, redistribuzione del reddito etc…) che avevano caratterizzato la generazione precedente.
Espressività vs Gerarchia
Queste differenze potenzialmente generatrici di conflitto si esprimono in maniera eclatante nel mondo del lavoro: una sfida per lo sviluppo del Paese anche di là dai problemi dell’occupazione. Si sta delineando una dicotomia tra le aspettative e dei bisogni di chi ci sta entrando ed i modelli attuali di gestione.
Vige, tra le new entry giovani, il timore di interfacciarsi con un management poco aperto, e quindi poco inclusivo, rispetto alla diversità di cui essi si fanno portatori. La sensazione è di entrare in un ingranaggio con ruoli rigidi, non valorizzante le potenzialità del singolo, nella percezione dell’atteggiamento giovanile verso il lavoro come piattamente strumentale, poco incline ai tempi lunghi della “gavetta”, bramoso di reddito e carriera a breve termine.
Dall’altra parte emerge il bisogno di valorizzazione, di espressione delle proprie potenzialità, di ambienti di lavoro favorevoli alla socializzazione, di processi ideativi fondati sul team-working e sull’apporto di competenze multiple e differenziate: tutti vantaggi che nel loro insieme vengono anteposti alla prospettiva di carriera e al posto fisso (peraltro, tale solo sul piano teorico). Al fondo, il bisogno di ottimizzare la propria vita e di tutelare la propria felicità, anche a costo di pagare qualche costo: ma il rischio viene assunto consapevolmente, nella sicurezza di quel che si sente di potere fare e che si desidera fare. Di qui, ovviamente non fra tutti, ma soprattutto tra coloro che si sentono più fiduciosi in sé stessi o con le spalle in qualche modo coperte, la disponibilità a correre il rischio dell’abbandono di un posto di lavoro non soddisfacente, alla ricerca di nuove opportunità.
Di fatto, sembra che le Imprese fatichino a confrontarsi con le nuove istanze, nel timore di perdere il controllo su persone e processi, oltrechè posizioni di potere acquisite.
Questa difficoltà pare riguardare soprattutto le piccole–medie imprese, senza escludere quelle grandi, soprattutto se italiane padronali, mentre alcuni segnali ci dicono che grandi imprese internazionali/multinazionali appaiono più inclini ad innovare i processi gestionali investendo sul lavoro in gruppo e sull’ apertura ad apporti anche esterni per l’innovazione, su relazioni e inclusività, sul benessere nel posto di lavoro, sull’architettura interna costruita per favorire spazi partecipati (asilo nido, piscina, ping pong etc..), sull wellfare innovativo, sulla promozione di comportamenti sostenibili anche da parte dei dipendenti, unitamente ai cambiamenti nei paradigmi del business in direzione della minimizzazione dell’impatto ambientale e massimizzazione di quello sociale/sul territorio.
A fronte di questa dicotomia tra aspettative e situazioni effettive si aprono e sempre più si apriranno soluzioni verso il lavoro micro-imprenditoriale, one man-woman company, o più probabilmente start-up che si avvalgono comunque dell’esperienza e competenze di anziani o giovanianziani usciti anzitempo dal mondo del lavoro, e comunque capaci di garantire una maggiore espressione del self oltre che una maggiore flessibilità di mansioni, spazi e tempi rispetto alle imprese tradizionali.
In questo contesto, più ancora che nelle proteste per la reale o presunta deprivazione di risorse che colpirebbe le giovani generazioni a vantaggio di quelle antecedenti, si rischia un conflitto generazionale effettivo, con implicazioni sulle scelte lavorative dei giovani in alternativa alla Impresa classica, per non parlare dell’ emigrazione all’estero verso luoghi, in apparenza o effettivamente più consoni alle proprie esigenze, dove la remunerazione assume sicuramente un ruolo importante, ma dove intervengono sistemi di organizzazione aziendale più consoni alle istanze contemporanee.
Responsabilità nella prossimità
Da istanza ideologica gridata ma non necessariamente praticata, l’attenzione all’ambiente e al sociale si inseriscono con seppure lenta progressività nelle scelte di acquisto.
Anche in questo caso probabilmente la pandemia, ed anche le crisi successive hanno giocato un ruolo, lavorando nella quotidianità, per suggerire modalità di consumo alternative rispetto ai modelli consolidati, e comunque da tempo messi in crisi: non solo via la spesa all’ipermercato lontano, e l’acquisto compulsivo rivelatosi nel tempo penalizzante, ma sempre di più occhio alla qualità, se pure a volte con le difficoltà di un portafoglio meno pieno, e una cresciuta consapevolezza dell’impatto dei prodotti soprattutto sull’ambiente.
Potremmo definire queste pratiche “la sostenibilità delle piccole cose”: non dichiarazioni di piazza, ma un’auto-responsabilizzazione nell’ ipotesi che un prodotto sostenibile implichi vantaggi non solo per l’ambiente, ma anche per sè stessi. Di qui, il rifiuto dello spreco che implica un carrello meno pieno ma a volte con prodotti ritenuti più interessanti; l’applauso alla sostituzione della carta alla plastica nelle confezioni, e alla introduzione di polimeri bio; l’apprezzamento di materie prime compatibili con l’ambiente; il rifiuto di sostanze considerate nocive, l’acquisizione di nuovi stili alimentari nella scoperta di una gastronomia domestica più condivisa all’interno della famiglia, e più attenta tanto al “non buttare” quanto a microgratificazioni che rendono il normale straordinario.
Nel commercio si rafforza la tendenza all’acquisto di prossimità: uno stile di acquisto a nostro parere irreversibile in quanto già emergente, e rafforzato dalle recenti contingenze. L’acquisto di prossimità nel lockdown viene favorito dal-
la impossibilità dell’andare lontano, ma trova un sostegno nella nuova divisione dei ruoli familiari con la possibilità di occuparsi della spesa da parte di componenti della famiglia non riconducibili alla sola “ RA”, ora più delegante.
Il commercio di prossimità, nato da esigenze funzionali, sta assumendo, date le istanze emergenti, un effettivo ruolo sociale, come luogo di incontro e riconoscimento (peraltro consolidato da tempo in altri Paesi soprattutto anglosassoni), che potrebbe suggerire profili diversi del punto vendita – hub di quartiere e facilitatore di relazioni.
Sulla medesima linea di sviluppo, il ruolo del punto vendita in generale, anche in aree merceologiche diverse dal largo consumo si prefigurerà sempre più, di là dagli scontati riferimenti alla dimensione “esperienziale”, come luogo di vendita e di incontro, capace di una assistenza che orienti l’acquisto secondo la personalità di ciascuno.
Senza dimenticare l’incremento degli acquisti di seconda mano e vintage. Anche in questo caso l’epoca pandemica ha fatto la sua parte: valorizzando il bricolage domestico, il riaggiustamento degli oggetti rispetto alla eliminazione e riacquisto ex novo, la riscoperta di capi di abbigliamento dimenticati, nel corso delle “pulizie totali” che ci hanno coinvolto, più o meno, tutti (o meglio, tutte).
Il nuovo che emerge è l’incremento dei mercatini di seconda mano fisici: di là dell’innovazione, anch’essa più datata ma esplosa con la pandemia, del mercatino digitale via e-commerce, sembrano svilupparsi i mercatini reali che rispondono al desiderio della scoperta tra mille oggetti non rigorosamente classificati, alla possibilità di scegliere, provandolo, ad esempio nell’abbigliamento, quello che ti è effettivamente adeguato, al piacere di un oggetto con una storia.
Famiglia, cioè?
Icambiamenti che stanno ridimensionando il ruolo e l’aspirazionalità della famiglia tradizionale non sono effetto della pandemia. Tuttavia le crisi, soprattutto se multiple, radicalizzano tendenze in atto da tempo anche nelle modalità di vivere le relazioni interpersonali.
Nell’attuale contesto notiamo un ripensamento da parte dei giovani su valori e priorità. Innanzitutto la convivenza obbligata in famiglia ha favorito una maggiore consapevolezza dello squilibrio compiti-ruoli tra madre e padre, a fronte, peraltro, di madri “born-out”, sovraccaricate dalla moltiplicazione dei compiti familiari, sovente in aggiunta a quelli lavorativi.
Pur non potendo generalizzare, si nota un maggiore affiancamento, non solo pratico ma anche morale alle madri, anche con un intento educativo nei confronti di una figura paterna ancora schiacciata su una divisione tradizionale dei ruoli; secondo, abbiamo intravisto la riscoperta degli anziani, dei loro valori, del rispetto per la natura, dei tempi più lenti in contrasto con quelli sincopati, del loro sapere consolidato, di una capacità di ascolto dei nipoti più intensa rispetto a quella dei loro figli.
In tempi che non garantiscono possibilità economiche secondo la scaletta esistenziale di decenni fa, e che prevedono collocazioni professionali fluide, difficili da stabilire in anticipo, ci si disinnamora del matrimonio come meta prioritaria, a cui si antepone una collocazione lavorativa sicura (per quanto valga il termine) e l’autonomia abitativa quale trampolino di lancio nel mondo.
In questo quadro, persiste il perseguimento di un rapporto di coppia, in convivenza, ove però il matrimonio diventa il coronamento di una unione consolidata, a maggior
ragione se rafforzata dall’arrivo di figli, valore quindi sovraordinato a quello del matrimonio.
Il quale matrimonio, però, una volta deciso, viene particolarmente investito come evento, con dispendio economico ma anche con ricerca di soluzioni atipiche che consentano, anche questo caso, il vissuto di un’esperienza, con il ricorso, per chi se lo può permettere, a gettonatissime wedding planner, con una pianificazione anticipata di location, catering, abbigliamento e quant’altro. Anche il matrimonio, come altri eventi topici, deve prestarsi ad essere istogrammato, per trasferire il migliore racconto di sé al pubblico. E anche le singole scelte organizzative devono subordinarsi a questa condizione.
In generale, la scelta è però quella della convivenza rispetto ad una semplice coabitazione, auspicabile per la carenza di risorse economiche, fattibile grazie alle nuove istanze di socializzazione e di condivisione, ma basata su una qualche affinità tra i partecipanti.
Queste modalità abitative trascendono nettamente gli schemi della famiglia tradizionale: amici che decidono di vivere insieme, coppie che condividono un’ abitazione con altre; famiglie monoparentali, soprattutto al femminile, che scelgono la coabitazione, eventualmente in alloggi più grandi, anche in una logica di sostegno reciproco, condivisione o scambio dei ruoli nella gestione dei figli, nell’organizzazione domestica, nelle attività del tempo libero; giovani che in città o all’estero scelgono di coabitare con persone anziane: un win-to-win dove i ragazzi non trovano semplicemente un alloggio, ma anche il contatto con esperienze e valori che si stanno recuperando, e gli anziani, in condizione ancora attiva e non completamente estranea agli stili di vita giovanili, trovano un supporto alla loro solitudine.
Be real vs image building
La relazione digitale, via social, è ovviamente antecedente alla pandemia, che però l’ha necessariamente estremizzata, rinchiudendo i contatti tra le persone nella dimensione della Rete.
In Rete si costruiscono identità digitali che raccontano il voler essere delle persone, opportunamente gestite secondo il loro desiderio di comunicare un proprio sé stessi più o meno aderente alla effettiva identità (peraltro, in molti casi, non ben conosciuta e molto intricata con il voler essere).
La Rete, nei diversi social ma su Instagram in particolare, sostiene il bisogno di controllo sulla propria immagine sociale, espressione di un “desiderata” che si dimostra molto più fragile nelle situazioni reali dove maggiormente si palesano paure, insicurezze ed emozioni. Questo vale un po’ per tutte le persone con dimestichezza nelle tecnologie digitali, anche se, ovviamente, per i giovani in cerca di identità questa duplicità risulta più marcata.
L’identità digitale non è pura comunicazione: guida gli acquisti, che si richiedono conformi alla possibilità di essere partecipati in Rete (“Istogrammati”), plasma la costruzione di eventi topici come lauree o compleanni o matrimoni, che vengono costruiti in funzione delle potenzialità nel comunicare il proprio self desiderato.
Ma qualcosa, sembra, sta cambiando, soprattutto tra i giovani: Be-real. E’ una app che obbliga gli aderenti a mostrarsi istantaneamente, così come sono, mancanti i tempi tecnici di adeguamento (trucco, abbigliamento etc..) all’ideale di sé desiderato come trasmissibile.
Alla base, il Be-real esprime il bisogno di autenticità, di una caduta delle “mascherine” che i social cor-
renti hanno favorito; ancora più in profondità intravediamo la stanchezza della perfezione a tutti i costi e della rincorsa verso modelli estetici dominanti a favore di un’ottica più inclusiva – peraltro lanciata anni fa dal beauty e dal fashion – che premia l’imperfezione, come ad esempio la critica alla grassofobia e l’adesione al body positive.
Identità “ reale” e identità “digitale” al momento convivono, tanto che da tempo vigono due profili per una stessa persona circolanti sui social: uno Fake e un altro Real.
Queste due identità rispondono, da una parte, alla rivalsa verso un modello di perfezione su cui ci si sente a disagio, dall’altra, alla permanenza di modelli da cui risulta difficile svincolarsi, dato anche il potere forgiativo degli influencer&C. Difficile prevedere quale dei due modelli prevarrà: probabilmente continuerà la co-abitazione nel self delle persone, però sicuramente con accentuazioni diverse dalle une alle altre: un compito che i Brand potrebbero assumere per una migliore segmentazione dei propri mercati.
Una questione importante: quale il luogo di queste interazioni, di questa univoca o più sovente fluida rappresentazione del self?
Il contesto fisico recupererà senza dubbio un ruolo importante, anche se il digitale continuerà ad assumere uno spazio, però sempre più integrato con la vita reale. La chat resta aperta tutto il giorno, si alterna con le lunghe conversazioni anche notturne tra i /le pari, accompagna – in Rete – le attività dei singoli, dallo studio allo sport alle attività di divertimento, in una interazione condivisa che eventualmente cambia strumento (dallo smartphone al pc), ma che rimane on-going.
Metaverso: il futuro
che è già oggi
Un gioco, ma solo in apparenza. La naturale evoluzione dei social network, per la generazione Alfa un modo consueto di essere e di esprimersi.
Dalla propria scrivania, o da un qualsiasi luogo,, via pc o smartphone, ci si inserisce in un ambiente virtuale, già costruito o che ognuno può costruirsi, con la creazione di un avatar di sé stesso, quindi inventandosi una qualsivoglia identità. Gli avatar sono gestibili come in un gioco digitale nei movimenti, nei comportamenti, nei discorsi, nel look.
Nel Metaverso ci si incontra, si chiacchiera, si vivono esperienze, si fruiscono iniziative e offerte, eventi come concerti musicali a produzioni artistiche - c’è un Metaverso specializzato in arte -, i prodotti e servizi delle imprese. Il travestimento fa scudo, consente di polverizzare i freni inibitori, di attivare qualsiasi comportamento e dichiarare qualsiasi pensiero: è il regno della libertà, un porto senza legge dove tutto – o quasi - è possibile, dove trovano spazio violenze verbali, aggressività, sindromi psicotiche. Ma il Metaverso è anche teatro per l’espressione della creatività.
Un luogo, quindi, dove ciascuno può manifestare i suoi lati peggiori come quelli migliori, quelli nascosti come quelli palesi, quelli critici come quelli socialmente accettabili, in un mix tra invenzione di un proprio sé, più o meno desiderato o comunque utile agli obiettivi relazionali, e affermazione della propria autenticità.
Il Metaverso è anche trasposizione della vita reale: una situazione dove si possono replicare le consuete abitudini, con il vantaggio di un’ interazione inedita, proprio come quella dei gamer, che pur non conoscendosi sanno tutto tra di loro.
A questo ambiente alcune imprese stanno prestando crescente attenzione per utilizzarlo nelle loro attività di marketing o nei processi innovativi: tra queste, molte nel settore della moda, che pare stiano investendo non poco. Alla base, la consapevolezza dell’alta numerosità dei gamer a livello mondiale, cioè persone che già usano i giochi digitali, di cui il 45% donne: un target quindi con una forte predisposizione a frequentare anche il Metaverso.
Lo usano per creare eventi insoliti a cui invitare, e per premiare, clienti affezionati e fedeli offrendo loro un’esperienza insolita, unica, memorabile, esclusiva; per creare partnership; per mettere a disposizione dei gamer i loro prodotti e servizi, anche nella prospettiva, ora abbastanza remota, di gestirli in 3D; per contattare nuovi target; per eseguire test su nuovi prodotti o servizi in ambienti atipici - un’ esperienza di guida in Amazzonia.
Ciononostante, gli uomini di marketing più maturi in termini di età si mostrano alquanto restii ad accogliere una sfida estranea alle loro attitudini e non semplice da gestire come i social tradizionali, se pure nella consapevolezza che questo sia, effettivamente, il “futuro”.
Dal canto loro, gli esperti nelle ricerche di mercato, cioè noi, lo stanno osservando con curiosità, per studiare eventuali opportunità di contatto con i consumatori, per intervistarli in ambienti che consentono loro di esprimersi con più libertà e probabilmente veridicità, nonché per la disponibilità di un enorme parco di utenti di diverse età, culture, nazionalità. Tutto in sperimentazione comunque, per verificare la fattibilità di percorsi tecnici e metodologici corretti, che possano portare un effettivo valore aggiunto, e non solo un “wow” a fronte della eccitante evoluzione del digitale-virtuale.
Marche – guida
La relazione con le marche sta virando. La marca appare sempre meno un oggetto aspirazionale rappresentativo di valori trasversali: la si sceglie perché capace di rispecchiare il proprio stile di vita, di riconoscervisi, di condividere un’ appartenenza, di potenziare sé stessi.
Il “Be-real”, quindi l’autenticità giocano più di prima in questa relazione: dalle marche non ci si aspetta più story-telling, ma story-action, la messa a terra dei valori di Impresa nelle attività quotidiane, nei processi produttivi, nei rapporti con i dipendenti, con il sociale in senso ampio, e con il territorio.
Non solo più attente e critiche, ma fondamentalmente più scettiche, le persone guardano con molta circospezione i claim ridondanti, i toni autocelebrativi, a maggiore ragione se poco coerenti con quello che le imprese effettivamente fanno.
Nel complesso intercettiamo un’ambivalenza. Alle marche/imprese si chiede, da una parte, un rapporto tra adulti fondato sulla trasparenza, quindi una chiara visione del “chi è”; dall’altro, un ruolo di tutorship, date la crescente sfiducia nelle istituzioni pubbliche e le difficoltà delle famiglie nel rispondere alle ricorrenti sfide quotidiane.
Il “chi è” significa trasmettere l’identità di marca/impresa di là dalla vendita di un prodotto e servizio, esprimendo il significato del proprio esserci in quanto cittadinanza e non solo profit; tutorship significa integrare alla propria offerta un supporto, non solo nelle scelte di consumo, ma anche nell’ambito della vita domestica, piuttosto che nelle evenienze sociali.
Come si prefigura, in sintesi, l’impegno delle marche/imprese?
Un futuro fosco e disarticolato
Con pandemia non ancora del tutto superata, il senso di incertezza appare generalizzato pur se si intravedono segnali di recupero e voglia di riscatto. Le marche/imprese devono offrire rassicurazione, esprimendo con coraggio la loro purpose, cioè il senso del loro essere nel mondo, con posizionamenti forti e coerenti con il proprio DNA.
Il futuro è dialogico, cura e sostegno
Nella ricerca di senso, quello perduto o quasi per gli adulti, quello nuovo da trovare per i più giovani verranno premiate le marche/imprese che federano, facendo leva su valori forti. E allora, le marche/imprese dovranno coinvolgere i loro clienti e valorizzarli, con iniziative anche micro, giocose, territoriali, con funzione di supporto ed educativa al tempo stesso, in primo luogo sul loro impegno, se effettivo, nella sostenibilità.
Il futuro è inclusione e diversità
Sta scemando la rincorsa verso modelli comportamentali standardizzati e up-bottom: il Be-real favorisce l’accettazione delle diversità (proprie o degli altri). Le Imprese dovranno imparare ad integrare le differenze, non solo di genere o razziali, ma anche creative, aprendosi a formule che prevedono flessibilità, integrazione di pensieri atipici, modalità di lavoro inedite.
Il futuro è on-line, e presto virtuale – ma non solo
La pandemia ha imposto un maggiore uso della Rete, anche se il recupero della normalità spinge al contatto fisico. Le Imprese dovranno confrontarsi con questo mix tra fisico e digitale, costruendo relazioni sinergiche tra i due e identificando, le situazioni elettive per l’uno e per l’altro, a seconda della identità dei diversi pubblici: ma l’innovazione sta diventando sempre più virtuale.
Verso il 2024
Con Astarea alla scoperta di un nuovo anno
Tanti cari auguri di Buon Natale 2023 e Buon Anno 2024
I Fenici non erano solo abili naviganti e commercianti, ma intelligenti ingegneri e architetti.
Le case fenice si differenziavano a seconda del ceto sociale. I poveri vivevano in alloggi molto semplici, senza letti né arredi, mentre i ricchi godevano di abitazioni riccamente decorate, su più piani, dotate di un’interessante organizzazione degli spazi e costruite con modalità per alcuni aspetti…sostenibili.
Sopra un basamento di pietra si ergevano muri perimetrali di mattoni composti di una malta di argilla mista a paglia e seccata al sole, e coperti di intonaco che li rendeva impermeabili; pure impermeabili all’acqua erano i tetti coperti di pece. L’argilla cruda e pressata veniva utilizzata anche per coibentare i pavimenti, le pareti e i soffitti.
L’abitazione si snodava intorno al cortile, centro delle attività domestiche, con stanze intorno, cucina attigua, sala da bagno, da uno a sei piani superiori.
Il fabbisogno idrico era soddisfatto da un pozzo o cisterna che raccoglieva l’acqua piovana.
L’architettura fenicia assumeva quindi aspetti molto attuali: strutture che permettono l’isolamento termo-acustico, spazi aperti all’interno dell’abitazione, articolazione funzionale degli ambienti, impiego di materiali naturali.
In copertina, laboratori di terracotta modello di casa Fenicia Colore: PMS Color, Pantone del 2024
Abitare nel post-Pandemia.
Orientarsi tra i segni
Laura Cantoni
Introduzione
L’habitat nell’isolamento…
Macro-Trend…
Modelli abitativi…
La seconda di copertina ha sempre collegato al mondo dei Fenici i contenuti dell’Augurale, che scriviamo per illustrare temi di tendenza da quando è nata Astarea 19 anni fa.
Nei Fenici avevamo trovato una cultura per alcuni aspetti molto attuale (ad esempio, nell’attenzione al risparmio delle risorse naturali ed all’ambiente), ma anche affine al nostro approccio alle ricerche di marketing. Loro, abituati alle rotte marine, e noi, a indirizzare nelle giuste direzioni; loro, capaci di fornire i manufatti più diversi, e noi, impegnati ad adottare metodi e tecniche in modo versatile; loro, inventori dell’alfabeto con lo scopo di facilitare il lavoro a molti ceti produttivi, e noi, fornitori di dati e conoscenze il più possibile operativi – un supporto al fare e al cambiare.
Abbiamo scritto della casa fenicia perché nell’Augurale di quest’anno ci soffermiamo, come direzione di tendenza, sull’eredità che l’isolamento durante la pandemia Covid 19 ha lasciato nelle modalità dell’abitare.
Nella pluriennale vicenda che ha portato picchi di devastazione, periodi di apparente interruzione ma sotterraneamente forieri di ulteriori disagi, fino all’ attuale permanenza strisciante del virus -meno offensivo ma comunque non debellato-, di fatto i tempi dell’isolamento sono stati epocali
Lo sono stati per come hanno messo a nudo le debolezze sistemiche di cui abbiamo parlato in Augurali precedenti, per come hanno radicalizzato tendenze già sostanziali, per come hanno meglio configurato alcune in divenire.
L’abitare si è dimostrato uno degli ambiti sociali più investiti dalla crisi pandemica, perché ha obbli-
gato le persone a reiventarsi funzioni, attività, ruoli e spazi nell’ambito domestico e quindi nella casa, oltre che fuori.
L’Augurale di quest’anno intende illustrare i cambiamenti innescati dall’isolamento pandemico partendo dal “come” è stata vissuta quella fase emergenziale in casa, per arrivare ad alcuni concetti di carattere generale, che abbiamo trovato alla base della nuova progettualità architettonica e nelle scelte abitative dei cittadini.
L’analisi, ultimata in queste ultime settimane, è stata presentata nei suoi lineamenti generali al Salone della Sostenibilità e dell’Innovazione Sociale dello scorso Ottobre 2023.
E’ stata realizzata attraverso la raccolta di materiale documentale (studi sui comportamenti sociali, progetti di insediamenti, le offerte attuali del mercato immobiliare), l’elaborazione ad hoc di concept di tendenza, i risultati di recenti ricerche demoscopiche eseguite da Astarea sugli orientamenti verso l’abitare e sulla sostenibilità in casa.
Vivere la casa durante
il Covid 19
Nel periodo dell’isolamento gli italiani, ed ovviamente non solo loro, hanno riscoperto il valore degli spazi domestici individuali. Una casa con ambienti confortevolmente ampi e piacevoli è ovviamente sempre stata oggetto di desiderio, soprattutto per una parte notevole della popolazione italiana costretta tuttora in appartamenti appena sufficienti, se non ridotti rispetto alle esigenze familiari.
Tuttavia con il Covid e l’isolamento cambia la logica di occupazione dello spazio domestico: l’occupazione “a turno”, secondo cui i diversi componenti lo occupano in orari diversi, si trasforma in occupazione “concorrente”, secondo cui tutti o molti permangono in casa nei medesimi orari. Lavoro da remoto, DaD e sport in casa obbligano i singoli a ritagliarsi spazi propri, in modo più o meno improvvisato e creativo, non necessariamente adeguato.
Come risposta alla chiusura in ambienti più stretti, si cerca di ridurre il più possibile la discontinuità tra ambiente esterno ed interno attraverso l’ottimizzazione funzionale ed estetica di balconi, terrazze, terrazzini e anche dei tetti, dove si imbasticono le attività più varie: lavoro, studio, lettura, relax.
La negazione della socialità tradizionale valorizza la prossimità di vicinato o condominiale, che genera o rafforza relazioni di scambio e sostegno; in questa logica i cortili diventano luoghi possibili di un’interazione in qualche modo protetta, e si riadattano con tavolini e sedute.
L’obbligo del Remoto incrementa il già abituale protagonismo della Rete, che aiuta a tenere alta l’asticella dei rapporti con gli altri lontani, per il lavoro, le amicizie, gli acquisti: se si è da tempo abituati a parlare di “realtà au-
mentata”, ora, ad essere “aumentata” grazie al no-stop uso del digitale, è la domesticità
Il verde, in forma di orti domestici, era già ampiamente diffuso prima del Covid a fronte di fattori culturali (l’irresistibile fascinazione del “green”), o semplicemente aspirazionali (non solo il km 0, ma anche il mt 0). Con il Covid gli orti si dimostrano una risorsa chiave: ogni balcone e terrazzino viene popolato da piante di basilico, timo e maggiorana; per i più arditi anche da insalata, pomodori e zucchine.
E’ un tentativo di sostituire l’assenza del rapporto con la natura, e un “fare” utile sul piano sia funzionale sia psicologico - come altre attività che riempiono i tempi morti: il riordino degli armadi, i piccoli cambiamenti negli arredi, il bricolage, la cucina “creativa”.
A difesa dal contagio cambiano le abitudini degli italiani in materia di igiene e di sicurezza, con più acquisti (e scorte) di prodotti detergenti e disinfettanti specializzati, ma anche di strumenti elettrici o a vapore ad elevate performance, una maggiore allerta nei confronti dei batteri, più tempo dedicato alle attività di pulizia generale e di disinfezione.
I macro-trend derivati
Abbiamo sintetizzato in 6 concept di tendenza il “che cosa” ha lasciato e depositato l’abitare durante il Covid 19, creando le basi per lo sviluppo di nuovi paradigmi.
I 6 concept articolano, ciascuno, coppie di elementi non oppositivi tra di loro, bensì espressione di una molteplicità di istanze che si sovrappongono.
Auto-riferimento ed etero-riferimento: da una parte si affermano le esigenze del singolo, che intende trovare una propria dimensione domestica – di là dai momenti topici di condivisione con gli altri componenti della famiglia; dall’altra, permane la necessità di restare costantemente in contatto con individui o gruppi, come l’isolamento ha obbligato a fare, ma che ora diventa esigenza interiore soprattutto tra i giovani, peraltro ulteriormente incentivata dalla più recenti soluzioni digitali (Meta innanzitutto).
Domesticità e prossimità: da una parte si riscopre il valore della casa non più come luogo di transito e approdo dopo giornate a scuola, al lavoro, o nei numerosi (soprattutto per i figli) impegni collaterali, ma come ambiente espressivo del self. Dall’altra parte, il Covid ha promosso la riscoperta della socialità di vicinato, che si conferma e si rafforza come potenzialità relazionale e funzionale con servizi condivisi sul territorio - le community on-line o il Portiere di quartiere.
Interno ed esterno: da una parte, l’ambiente casa deve essere in qualche modo ottimizzato rispetto alla configurazione tradizionale degli spazi, con più aree mirate su esigenze specifiche; dall’altra, si vuole portare il più possibile il “fuori”, “dentro”, grazie a zone aperte pensate per integrarsi in quelle chiuse, così da permettere non solo allo sguardo,
ma anche al fisico, di compenetrarsi con l’ambiente urbano e naturale.
Estetica ed efficientamento: da una parte si rafforza il desiderio del bello - da tempo ispirato al “design democratico” –, che ora implica, come vincoli fondamentali, il comfort e l’ accudimento con ambienti puliti, ordinati, bene organizzati; dall’altra, complici le emergenze ambientali, si fa più pregnante l’ottimizzazione delle risorse energetiche e tecnologiche in chiave sia di risparmio sia di gestione delle apparecchiature (dagli apparecchi domestici, alla sicurezza della casa).
Staticità e dinamismo: da una parte, la casa deve rispettare le necessità di base della vita familiare (dormire, mangiare, relax); dall’altra, deve rispondere ad esigenze nuove legate alla internalizzazione di funzioni prima esterne -una condizione non più totalmente obbligata, ma che si ripropone e si riproporrà perchè espressione di cambiamenti probabilmente irreversibili (ad esempio: lo smart working parziale).
Oggi e domani: da una parte, devono essere soddisfatte la configurazione attuale del nucleo familiare, le compatibilità economiche, la sensibilità arredativa; dall’altra parte, si pone uno sguardo cauto e anche un po' sospettoso al futuro, che con le sue imponderabili contingenze richiede fin da subito un’organizzazione domestica flessibile e aperta.
Dai macro-trend ai modelli abitativi
Imacro-trend (concettuali) si traducono in nuovi modelli architettonici all’esterno e all’interno, utilizzati già ora nel disegno delle nuove abitazioni e nelle ristrutturazioni, piuttosto che in progetti non ancora realizzati.
Primo: la riconfigurazione degli ambienti interni, in nome di un habitat multi-funzionale. La sfida dell’architettura contemporanea è di creare spazi articolati, dinamici, mutevoli a seconda delle occasioni, e nel tempo: la casa non è più un mondo definito una volta per sempre, ma un organismo che si trasforma ed evolve.
Di qui, ambienti diversi, o diverse funzioni nel medesimo ambiente vengono separati da elementi leggeri che possono disegnarsi e ridisegnarsi per diversi usi: guardaroba, armadio, letto, scrivania, coesistenti in una medesima, camaleontica struttura, a scomparsa e ricomparsa a seconda dei casi, con pareti mobili e fungibili e armadiature al posto dei muri.
Secondo: la riscoperta delle aree esterne, per maggiore funzionalità (estensione della superficie abitativa) e maggiore benessere (più aria, luce, verde, prospettiva).
Nei nuovi progetti terrazze e balconi aumentano a dismisura, e sono resi abitabili da salotti e aree-cottura; le finestre classiche lasciano lo spazio ad ampie vetrate con eccellenti prestazioni termo-acustiche; cortili e giardini condominiali, ambiti interstiziali tra pubblico e privato, vengono rivisitati come luoghi polivalenti per sport, relax e socialità; verde anche il tetto, con i vantaggi fisico-climatici dell’erba in copertura (una migliore qualità dell’aria, creazione di un micro-clima favorevole, protezione della bio-diversità).
Terzo: Green Building. Non è una moda ma una direzione obbligata (e per alcuni aspetti già governata a livello normativo).
La “casa circolare”: è pensata per essere smontata e non demolita, grazie alla possibilità di una configurazione degli spazi non rigida in quanto intenzionalmente perenne, ma modulare.
La “casa intelligente”: assume funzioni di controllo e regolazione, anche a distanza, sui consumi -dall’acqua all’energia-, sul funzionamento degli apparecchi/apparatielettrodomestici e sulle condizioni ambientali (umidità, temperatura).
La “casa salubre”: favorisce la qualità della salute grazie a materiali ad alta protezione anti-batterica, ad arredi senza colle e vernici, al protagonismo della luce naturale, gestita adeguatamente con soluzioni isolanti e schermature, a sistemi di ventilazione meccanica, alla presenza di piante con finalità non solo estetiche ma anche funzionali all’abbattimento degli agenti patogeni nell’aria.
La “casa a basso impatto”: utilizza fonti rinnovabili per la produzione di energia elettrica e termica, come il fotovoltaico o il solare termico per ridurre le emissioni di CO2 e facilitare l’autoconsumo energetico soprattutto se abbinati a caldaie e pompe di calore. Impiega materiali naturali e facilmente smaltibili come pietra, sughero, terra cruda, paglia, bambù, lino, fibra di cocco e lana di cellulosa, ma soprattutto il legno, l’acciaio e l’alluminio.
I comportamenti sociali nei confronti dell’abitare
Le scelte e i desideri dichiarati riguardo l’abitare si allineano significativamente a queste tendenze. Una ricerca recente realizzata da Astarea per Stannah, impresa leader nel settore dei montascale, dimostra che gli italiani pienamente soddisfatti della propria abitazione attuale sono il 30% della popolazione, mentre il 58% appaiano possibilisti (“abbastanza soddisfatti”): una quota ampia, che allude ad una diffusa esigenza di condizioni abitative più adeguate. La soddisfazione nei confronti della propria abitazione dipende soprattutto dalla comodità, dalla congruenza con lo stile di vita della persona, dallo spazio disponibile.
Non sorprende se per molti italiani la condizione di promiscuità generata dal Covid abbia portato in primo piano alcuni limiti della propria abitazione, prima meno evidenti o meglio sopportati grazie al minore affollamento durate il giorno.
Il cambiamento di casa o la ristrutturazione negli ultimi 4 anni sono stati guidati in modo minoritario da vincoli oggettivi, come modifiche strutturali del nucleo familiare (il 14% si è messo a vivere con altre persone, all’11% si è ristretto il nucleo familiare, al 7% si è allargato), o il trasferimento in un’altra città (9%) o il cambiamento nel modo di lavorare (11%).
Ha invece svolto un ruolo molto rilevante il desiderio di un’abitazione più bella, più confortevole, più rispondente al proprio modo di vivere (48%).
La nuova casa presenta alcune significative differenze rispetto a quella precedente, in linea con i nuovi modelli abitativi: la maggiore disponibilità di stanze o ambienti funzionali come camere da letto, studio, ripostigli (23%),
bagni, o locali di servizio, ad esempio la lavanderia (23%), di spazi aperti, balconi, terrazzi, giardini (22%), conferma il bisogno di un maggiore comfort domestico.
Circa la metà di chi ha cambiato casa si trova ora in un quartiere con più servizi pubblici (48%), più aree verdi e giardini (48%), maggiore vicinanza ad amici e parenti (43%) rispetto a prima: una espressione del concetto di città “a 15minuti”, effetto aggiuntivo delle esperienze di prossimità vissute durante la pandemia.
Le motivazioni di chi prevede di cambiare casa in un futuro prossimo ricalcano ampiamente quelle di chi ha già traslocato. Al primo posto, con analoga percentuale di casi, 44%, il desiderio di una casa più bella e confortevole, mentre scorrono al secondo-terzo posto le esigenze familiari (18%: restrizione del nucleo familiare, 6%: allargamento del nucleo familiare, 9%: nuove esigenze in generale), piuttosto che il trasferimento in un’altra città (7%) o il cambiamento nel modo di lavorare (6%).
Analoghi anche i desideri sul “come” la casa nuova dovrà essere: più spazi aperti, balconi e terrazzi, 48%; più stanze/ambienti funzionali, 34%; più bagni o locali di servizio, 27%.
Molto simile peraltro (tra chi ha già cambiato casa e chi suppone di farlo a breve) la fisionomia del quartiere, con più servizi pubblici (45%), più aree verdi e giardini (57%), e una maggiore vicinanza ad amici/parenti.
La sostenibilità al quotidiano
La Sostenibilità come pratica quotidiana costituirà un fondamento sociale decisivo per le prospettive costruttive emergenti, che, come si è visto, si stanno orientando al Green. Una recente ricerca di Astarea illustra la propensione alla Sostenibilità non soltanto in termini ideologici, ma anche ai comportamenti domestici e di acquisto.
Un primo set di domande riguarda le attività sostenibili svolte in casa, tra le quali spicca la raccolta differenziata, abituale per la metà degli italiani dai 18 anni in su. Segue a poca distanza il “non spreco” dei prodotti alimentari (per il 41% comportamento abituale), e al terzo la riduzione del consumo di energia.
La seconda area tematica attiene, complessivamente, alla salute: il 24% prestano sempre attenzione alle etichette; il 20% adottano uno stile di vita sano; il 20% acquistano prodotti senza coloranti, conservanti e additivi nocivi. Acquistano abitualmente beni con certificazione ambientale, a KM 0, biologico, sia alimentare che non alimentare, il 15%, o meno degli italiani.
Nell’area dei servizi i comportamenti sono meno diffusi: il 12% utilizzano sempre i trasporti pubblici e la bicicletta al posto dell’auto privata, l’8% investono in prodotti finanziari con valore sociale ed ambientale, il 6% utilizzano Gruppi di Acquisto solidale e/o il commercio equo-solidale, il 5% si servono dello sharing (car-sharing e co-working, acquisto second hand).
I “campioni” dei comportamenti sostenibili in casa, hanno tra 65 e 74 anni: si impegnano sistematicamente alla raccolta differenziata, alla riduzione dei consumi di acqua, elettricità, di carta e dello spreco alimentare, alla sostituzione della plastica con materiali riciclabili e naturali.
Invece, le persone dai 18 ai 54 anni (parte della Z Generation, dei Millenials e della X Generation) più degli altri acquistano abitualmente prodotti biologici non alimentari, a Km.0 o direttamente dal produttore, hanno accesso allo sharing (car-bike-etc..), utilizzano il commercio o gruppi di acquisto equo-solidali, partecipano a raccolte di finanziamento popolare (crowd-funding), e investono in prodotti finanziari sostenibili.
Rispetto ai risultati di una analoga ricerca del 2019, immediatamente prima del Covid, i comportamenti sostenibili a livello domestico restano complessivamente stabili, mentre quelli connessi alla salute ed ai servizi crescono, se pure di pochi punti percentuali, ma sistematicamente.
Non è dato al momento sapere se i primi abbiano raggiunto attualmente la massima diffusione possibile, oppure se, qualora si diano fattori più motivanti, possano ulteriormente aumentare (come pensiamo).
Quanto ai secondi - di base molto meno diffusi perché più recenti e più condizionati da fattori strutturali (ad esempio la disponibilità sul territorio del car-bike sharing, piuttosto che l’offerta, e un’ampia comunicazione, delle piattaforme di crowd fownding), l’incremento fa ipotizzare che qualche cosa si stia muovendo negli stili di vita della popolazione anche in questi ambiti, peraltro in linea con le tendenze del Post-pandemia sottolineate.
Probabilmente sarà la disponibilità (o meno) di condizioni favorevoli, a livello sia economico, sia normativo, sia istituzionale, che potrà incentivarne (o meno) lo sviluppo.
Verso il 2025
Con Astarea alla scoperta di un nuovo anno
Tanti cari auguri di Buon Natale 2024 e Buon Anno 2025
In copertina, Astarte. Passati i Fenici dallo stato nomade a quello sedentario, Astarte divenne la dea protettrice e signora di singole città, e come tale la troviamo, oltre che a Byblos, in quasi tutte le metropoli fenicie (Tiro, Sidone, ecc.) e nelle colonie (Cipro, Sicilia, Malta, Cartagine e Africa settentrionale).
Come sempre il colore Pantone dell'anno: Mocha Mousse 2025
Stella Bonavolontà si occupa di Community dal 2010. È Community Manager, Admin, Moderatore, Speaker.
Community online.
Orientarsi tra i segni
Laura Cantoni
Coautrice: Stella Bonavolontà
Il tema di questo augurale, la Community online, ancora una volta, per la ventesima volta, va a intercettare parlallelismi con il mondo dei Fenici, mondo ricco e variegato, a cui ci siamo bizzarramente ispirati, alla fondazione di Astarea, per dire qualche cosa su di noi *.
Attraversando le acque del Mediterraneo, loro ambiente naturale, i Fenici portavano infatti una cultura che potremmo riassumere in tre parole, espressive anche di quella delle Community online: interazione, integrazione, multiculturalità.
I Fenici non erano affatto conquistatori, ma esploratori e commercianti per i quali l’integrazione sociale e culturale sviluppavano una cultura sfaccettata frutto dell’interazione con le popolazioni del mediterraneo dove approdavano, per commerciare merci per lo più di lusso come profumi, porpora, ceramiche, oggetti in pasta di pietra.
Non sono mai stati una unica Nazione, ma Città-Stato (Sidone, Biblo, Tiro, Ugarit, Arvad, e poi Cartagine), unite in una sorta di confederazione, ciascuna con un proprio sistema di governo e una propria autonomia. I legami che connottevano i popoli fenici non erano né nazionalità né etnia, bensì pratiche religiose.
Numerosi studi, ad esempio, testimoniano, la stretta compresenza, in Sardegna, di Felici ed indigeni in luoghi di sepoltura – Tofet – a Sant’Antioco, nel Nuraghe Sirai e Monte Sirai, o nell’Oristanese, con le evidenze di Monti Prama.
Parimenti a Mozia, punto di appoggio fenicio, sono state trovate tracce di ottimi rapporti con i vicini di Elimi ed altre colonie della Sicilia occidentale.
Uno studio tra indagine genetica e archelogica, focalizzato sul DNA, ha portato alla scoperta di frammenti di DNA antico in Libano e in Sardegna (poi confrontato con il DNA di moderni abitanti del Libano). risalenti all’epoca fenicia (700-400 a.C.). I risultati confermano un’integrazione addirittura genetica fra fenici e sardi nella parte meridionale dell’Isola.
Il santuario più rinomato della Sicilia, sul Monte Erice, era proprio Astarte, dea fenicia-cipriota, Afrodite per i Greci e Venere per i Romani.
In pratica: i Fenici facevano tra trait-d’union tra popoli e commerci, le attuali Community tra persone ed interessi.
* I Fenici ci sono piaciuti perchè vi abbiamo trovato uno storytelling in qualche modo (mutatis mutandis) analogo al nostro modo di lavorare nel mondo delle ricerche di marketing. Loro, navigatori, quindi abili nelle rotte (le direzioni che vorremmo indicare ai nostri interlocutori); loro, esploratori (noi, analisti di quello che non si conosce, non appare o è poco decifrabile); loro, produttori di manufatti utili ( noi, che cerchiamo di fornire sempre informazioni e dati con valore operativo), loro multiculturali (noi multidisciplinari, data la nostra capacità di gestire tutti i metodi delle ricerche e di integrarli, anche creativamente); loro, interattivi (noi, sempre con gli occhi puntati sul mondo per intercettare i cambiamenti e le tendenze); loro, amanti della bellezza e dell’ eleganza (un paradosso: ci può essere eleganza anche nell’interpretare i numeri, e bellezza nel trasferire insight e suggerimenti pensati con competenza e passione).
Introduzione
Interazione…
Integrazione…
Multiculturalità…
Come sempre, anche quest’anno come Astarea, istituto ricerche di mercato, sociali e di opinione, intendiamo augurare Buone Festività con qualche nota su un fenomeno di tendenza che in Italia si è molto rafforzato con e dopo la Pandemia: le Community online.
Tema che negli ultimi tempi si sta sempre più affermando come strumento di relazione interpersonale e anche come strumento di marketing.
Si tratta di gruppi di persone che interagiscono sulla base di conversazioni in ambienti digitali. La caratteristica distintiva è che i soggetti condividono medesimi interessi: frequentazioni di luoghi, attività professionali o amatoriali, sostegno ad idee innovative, iniziative e passioni accomunanti.
Grazie appunto ai mezzi di comunicazione tecnologicamente avanzati – la digitalizzazione di tutte le fonti di informazione, la compressione dei segnali numerici per ottimizzare le risorse di memoria, l’individuazione di un protocollo universale di comunicazione ed infine l’avvento del World Wide Web - le Community online superano i tradizionali vincoli spaziotemporali e le condizioni “oggettive” (status, censo, contiguità geografica) tipici delle Comunità offline tradizionali.
Le Community online si giovano di strutture semplici, flessibili e decentrate, che fanno interfacciare soggetti autonomi tendenzialmente paritari e disposti alla cooperazione e allo scambio di risorse; abitano un ambiente comunicativo multimediale, in grado di mixare strumenti di comunicazione prima distanti; sono un luogo virtuale che
consente di sperimentare il processo di costruzione del sé, in quanto ogni soggetto si pone costantemente alla prova nella interazione con gli altri.
Secondo queste linee guida, non si possono quindi dire “community” situazioni quali associazioni, ad esempio tra professionisti di una categoria, così come le persone iscritte ad una newsletter aziendale, piuttosto che l’aggregazione di nominativi su un canale broadcast: diversamente rispetto a questi casi, dove si tratta di relazione “uno verso molti”, la community prevede interazioni 1 a 1: tanto più sono numerose, tanto più fungono da collante, determinando la condivisione di esperienze e conoscenze messe al servizio degli altri.
Le Community online (o Virtual Communities, termine più usato in inglese), nascono a metà degli anni ’80 negli USA, quindi molto prima che Internet si sviluppasse in Italia, verso la metà degli anni ’90 del secolo scorso.
Saltando al nostro secolo, e considerando la contingenza pandemica dove l’utilizzo del digital è come si sa notevolmente incrementato, anche le Community online si sono ulteriormente sviluppate.
Secondo lo studio internazionale 2021 Industry report, circa il 55% delle organizzazioni intervistate hanno maggiormente orientato le loro strategie verso le Community online, e un terzo dichiaravano un incremento di crescita delle proprie community, con aumento degli investimenti, consapevoli della rilevanza assunta da questa attività nelle complessive strategie aziendali.
Capisaldi
Molto è stato detto e scritto sul rapporto tra comunità fisiche e digitali, con valutazioni molto differenziate: da chi equipara le due forme di interazione, a chi ne riconosce le diversità e la possibile coesistenza, a chi invece attribuisce alle Community online la responsabilità di un impoverimento relazionale capace di influire anche sulla vita sociale reale.
Alcuni autori, al contrario, addirittura valorizzano le comunità virtuali, convinti, come Wellman, che “la nascita di legami virtuali (deboli o forti) tende a rafforzare, piuttosto che a indebolire, le relazioni tradizionali (fisiche)” così come altri (Castells), assumono che queste innovazioni abbiano favorito il coinvolgimento sociale.
Gli strumenti digitali costituiscono le fondamenta del funzionamento tecnico di una Community. Dalle discussioni e confronti iniziali su blog e forum, le community online sono passate dapprima alle piattaforme social e più recentemente a canali di comunicazione diretta (chat) che facilitano la interazione veloce.
Certamente la scelta della piattaforma social dove creare la Community è cruciale, dato che tutte permettono di costruire reti di contatti ma ciascuna si distingue per il modo in cui favorisce interazioni e connessioni oltre che per le caratteristiche socio culturali ed anagrafiche (Facebook per i più adulti, Instagram per i più giovani, Linkedin per convergenze professionali etc...).
Tuttavia una Community si basa su fondamentali componenti “soft” che ne consentono la fondazione e la continuità.
Innanzitutto, si pone un obiettivo, cioè definire il perché dell’interazione tra soggetti che devono appunto trovare una motivazione per partecipare – interessi culturali o sociali, diffusione di informazioni ad esempio territoriali (le community di quartiere) –.
Viene definita la modalità di partecipazione e di interazione, quindi principi e regole, azioni e rituali condivisi da tutti i componenti – la famosa “Governance” –nonché strategie di ingaggio sia online sia offline.
Le regole costituiscono il fondamento relazionale di una Community online, perché stabiliscono un modus vivendi tra i partecipanti che, a partire dal divieto di comportamenti disforici (sarcasmo, critica, offesa), arrivano a definire e mantenerne l’identità.
In particolare, le regole dettano il Ritmo della Community, cioè scandiscono la legittimità delle conversazioni e delle attività (gli addetti ai lavori sostengono la preferibilità di poche regole rispetto a molte, in quanto più semplici da seguire e gestire); l’Armonia discende dalle modalità in cui si sviluppano le conversazioni in relazione alla natura Verticale (interesse condiviso da persone con analoghe caratteristiche), ove si muovono in una medesima direzione, piuttosto che Trasversali (interessi condivisi da persone diverse per età, genere etc… diverse), ove le diverse voci devono essere coordinate dal Community Manager affinché non si crei caos conversazionale; la Melodia è la capacità di generare una medesima cifra stilistica che si inserisca in una routine condivisa; il Timbro, così come nella musica, garantisce unicità e distintività alla Community, sulla base della creazione di format ed eventi con caratteristiche comuni.
La Community online non si alimenta né cresce automaticamente solo grazie alle intenzioni dei partecipanti.
Una Community prevede la organizzazione di eventi, la creazione di contenuti, la gestione della tecnologia portante, la realizzazione di una brand identitity capace di fornire la cifra stilistica il più coerente possibile con gli obiettivi.
Per questo si esige innanzitutto un Community developer-manager: figura chiave e per questo impensabile (soprattutto nelle community aziendali ma non solo) a livello di volontariato. Sostanzialmente il suo compito è di guidare i componenti del gruppo armonizzandone le esigenze e le conversazioni: un ruolo strategico, perché dalla intersezione tra il “sentiment” dei partecipanti e lo stile di moderazione emerge una connotazione specifica di Community, diversa, unica.
Esistono infatti molteplici stili di moderazione, sui quali non diamo valutazioni qualitative, purchè siano coerenti in modo da essere punto di riferimento per chi vi si iscrive e quindi motore indiretto del coinvolgimento di altri.
Ad esempio: il caso della Community verticale, fondata cioè su funzioni lavorative o interessi specifici come sport, cinema, libri o altro, richiede una moderazione abbastanza semplice quanto agli argomenti da affrontare, perché necessariamente si rientra in un perimetro discorsivo ben definito.
Tipicamene una community trasversale riunisce figure professionali o amatoriali che possono trattare un tema da angolazioni diverse: un developer, un designer hanno punti di partenza comuni ma l’applicazione delle loro professio-
nalità può divergere notevolmente. In queste community la condivisione del knowledge e dell’innovazione è un valore premiante.
Il Community manager, alias CM, deve sollecitare la collaborazione fra universi diversi e trovare il modo di bilanciare gli interessi e le conversazioni per evitare che parte del pubblico entri in una fase di “stanca” e possa allontanarsi.
In generale, comunque, al Community Manager spetta il compito di sviluppare attività per aumentare il coinvolgimento delle persone e tenere alto l’interesse, tenere sotto controllo l’utilizzo della piattaforma, moderare le interazioni, garantire la stabilità delle regole e dei servizi.
Questo comporta non solo avere competenze comunicative per sviluppare al meglio le conversazioni, ma anche di coaching per stimolare la creatività, e relazionali per la sapere gestire i conflitti.
E se il Community developer assume un ruolo chiave, appare comunque indispensabile creare un team strategico che sia capace di gestire una Community, comprendere le varie fasi che richiedeno impegno e investimenti diversi, appoggiare l’Admin sia nell’ allocazione delle risorse sia nella gestione della quotidianità: utenti storici e nuovi arrivati, gli attivisti e quelli meno attivi, i “fan” di un certo territorio o di una specifica offerta.
Community Marketing
Si sa bene che i consumatori sono cambiati negli ultimi anni, complice anche la Pandemia. In realtà da metà degli anni ’90 studiamo la emersione di nuovi comportamenti ed attitudini, ma negli ultimissimi anni gli slittamenti in avanti sono continui, soprattutto per l’incalzare di fenomeni molteplici, a livello tecnologico, economico, politico eccetera. E, nella maggior parte dei casi, worldwide.
Le nuove aspettative dei consumatori nei confronti delle imprese ora non sono solo orientate allo scambio denaro-merci, ma allo scambio simbolico: riconoscimento, attenzione, ascolto, relazioni, esperienza.
La principale differenza dagli strumenti di marketing sin qui utilizzati è che non sarà più solo l'Azienda a proporre i propri valori, la propria mission, il proprio prodotto in termini di innovazione, ricerca, cultura attraverso, ad esempio la comunicazione, in particolare la pubblicità o la diffusione di un redazionale.
Nelle Community le informazioni non seguono un percorso top down ma, al contrario, emergono e vengono condivise dalla comunità di consumatori/utenti mediante conversazioni bottom up.
La Community è una piazza virtuale in cui i clienti/ consumatori possono conversare tra di loro – e con la Marca – sui vissuti riguardo prodotti e servizi (non solo o non tanto sul prodotto o servizio in sé, ma piuttosto sui “mondi” che stanno intorno ai prodotti e ai servizi), così come condividere esperienze ed informazioni con utenti portatori dei medesimi interessi.
Una Brand Community ha a sua disposizione innumerevoli strumenti per costruire un senso di appartenenza e condivisione dei valori che il Brand vuole rappresentare.
Principalmente si basa su UGC – User Generated Content – cioè i contenuti proposti direttamente dalla base, cioè dai Clienti / Consumatori attraverso sia la creazione di esperienze che la domanda di confronto.
La connessione con il Brand e lo sviluppo di un legame si svolge ad esempio attraverso la creazione di esperienze ed eventi unicamente pensati per i membri della comunity, che rafforza la relazione e differenzia il Brand dalla concorrenza.
Di notevole interesse anche il coinvolgimento in sondaggi e feedback per la co-creazione di servizi / prodotti attraverso suggerimenti migliorativi o idee nuove: una modalità di ascolto che, se non può sostituire le ricerche di marketing strutturate, consente comunque una presa diretta dinamica, sempre a disposizione.
In questo contesto il ruolo del Community Manager assume un profilo e funzioni un po' diverse rispetto a quelli delle Community non di Impresa.
Suo compito è facilitare il legame di fiducia e appartenenza -common mood- che duri nel tempo; studiare a fondo il target e segmentarlo per area geografica, demografica, tratti comportamentali in modo da inviare messaggi mirati, e collegare i discorsi nella Community ai diversi settori aziendali per consentire il miglioramento della performance dei prodotti e servizi.
L’utilità per il Brand
Le Community online di Impresa si stanno configurando come veri e spropri strumenti di marketing, per meglio dire di marketing relazionale. Vengono quindi ad aggiungersi ai molteplici mezzi della comunicazione di impresa, allo scopo di rendere il brand riconoscibile e memorabile.
Non riteniamo corretto ipotizzare che possano sostituire, o notevolmente diminuire gli investimenti nei consueti piani di comunicazione ed in particolare, quando occorre, nell’advertising, perché diversi sono gli obiettivi e la entità delle audience.
Tuttavia assumono un ruolo significativo nella creazione di valore per il business, con la loro capacità di intercettare esigenze probabilmente solo da esse (o quasi) soddisfacibili.
Innanzitutto consentono alla Marca di creare fiducia e di fidelizzare, così diminuendo i rischi di Impresa e promuovendo nuove opportunità. Il contatto diretto tra consumatori e brand avviene osprattutto attraverso la condivisione delle esperienze, tale per cui i consumatori/clienti diventano “ambasciatori” del Brand: una sorta di “influencer diffusi” nel loro ambiente personale e sociale, con il vantaggio di esprimere motivazioni autentiche ed una spontaneità diversa, probabilmente più credibili rispetto al rapporto mercificato tra l’azienda e gli Influencer propriamente detti.
Data la sua logica ed i suoi tempi, non si possono attribuire alla Community online risultati di vendita a breve. D’altra parte i consumatori non si iscrivono ad una Community per acquistare (velocemente) prodotti e servizi. Tuttavia i suoi meccanismi consentono di incrementare la
visibilità e la reputation del Brand, tale da generare valore economico in modo solido e quindi sostenibile, anche se più a medio-lungo termine: di fatto, mentre una campagna di marketing ha una data di chiusura definita, una Community non ce l’ha, e il suo valore in generale si sviluppa proprio nel lungo termine.
Se le Imprese stanno considerando la Community online una parte essenziale del proprio business, diventa cruciale la misurazione del ROI e quindi del valore che la Community produce – come tutti gli investimenti aziendali –. I Community Manager soprattutto, sono molto attenti a questo tema.
La misurazione si fonda su modelli ad hoc, che in genere riportano i principali obiettivi da raggiungere, e su metriche, cioè elementi specifici oggetto di misurazione.
Un modello consolidato è quello di CMX – lo SPACES Model - centrato su obiettivi quali il (S)upporto, il (P)rodotto, l’(A)cquisizione, il (C)ontributo, l’(E)ngagement / Coinvolgimento e il (S)uccesso.
Il Modello rileva item da misurare quali gli utenti attualmente attivi, l’ingaggio di nuovi, il numero degli eventi, i contenuti generati dagli utenti, la fidelizzazione, ed altri ancora. Ma soprattutto, la Reputazione del Brand, possibile da rilevare soprattutto attraverso i servizi di social media monitoring.
Non c’è dubbio che le Imprese dovranno occuparsi sempre di più di questi aspetti, se intendono integrare le Community online nelle loro attività di marketing e corporate con successo.