Rosticci Fabrizio, "La miniera di Caporciano", 2010

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Fabrizio Rosticci

LA MINIERA DI CAPORCIANO a

Montecatini Val di Cecina

2010


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Da “Le cento città d'Italia”, supplemento mensile illustrato del Secolo, Milano 1894, a. XXIX, 26 dicembre, p. 96.


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LA MINIERA DI CAPORCIANO Montecatini conobbe il suo periodo di massimo splendore economico e sociale nell’Ottocento, con la riattivazione dell’estrazione del rame nella Miniera di Caporciano, considerata la più ricca oltreché la più antica miniera cuprifera d’Europa. Dopo vari tentativi di sfruttamento più o meno proficui, incoraggiati anche dalla Relazione del 6 novembre 1742 di Giovanni Targioni Tozzetti – che così si esprimeva: «Io crederei cosa molto utile per la Toscana, il far qualche concludente tentativo sopra questa Miniera, e farlo nel dirupo sotto la Cava, dove sono i segni più manifesti di Rame. Non scaverei a Pozzo, o Mina, come facevano gli Antichi; ma sdrucirei addirittura il Monte, lavorando a cava aperta» –, la miniera era rimasta abbandonata fino al 1827, anno in cui fu riattivata per iniziativa di Luigi Porte in società con i finanziatori Sebastiano Kleiber e Giacomo Luigi Leblanc.

Da “Le cento città d'Italia”, supplemento mensile illustrato del Secolo, Milano 1894, a. XXIX, 26 dicembre, p. 96.

Nel 1836 subentrarono nella Società d’industria mineraria i fratelli Orazio e Alfredo Hall, uomini d’affari livornesi, i quali coinvolsero nell’impresa Francesco Giuseppe Sloane, esperto in mineralogia, e Pietro Igino Coppi, cui venne affidata la responsabilità amministrativa della nuova Società di Monte Catini (Ditta Fratelli Hall e Soci). Grazie alla competenza e all’attiva presenza di Sloane, ben presto maggiore azionista della società, e alle conoscenze tecniche dell’ingegnere tedesco Augusto Schneider, direttore della miniera per ben 46 anni, si dette inizio ad una coltivazione razionale del giacimento cuprifero che col tempo avrebbe prodotto risultati superiori a qualsiasi aspettativa. In ottanta anni di sfruttamento con metodo industriale, furono estratte dai gabbri rossi di Caporciano oltre 90.000 tonnellate di minerale, equivalenti a circa 30.000 tonnellate di rame metallico.


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Nel 1873 la miniera passò in gestione al conte Demetrio Boutourline, tutore del figlio minore Augusto, erede di Sloane. Boutourline apparteneva ad un’antica ed importante famiglia russa trasferitasi a Firenze nel 1817. Dopo la morte di Demetrio la proprietà della miniera nel 1883 fu trasferita a Giovan Battista Serpieri, affermato imprenditore minerario riminese, che con altri finanziatori nel 1888 dette vita alla Società Anonima delle Miniere di Montecatini Val di Cecina.

Da “Le cento città d'Italia”, supplemento mensile illustrato del Secolo, Milano 1894, a. XXIX, 26 dicembre, p. 96.

Nel 1907 la società, nel frattempo denominata Montecatini Spa, a causa di una pesante e prolungata crisi del mercato del rame, ma soprattutto per la vetustà dell’impianto di Caporciano ormai scarsamente competitivo, decise la definitiva chiusura dell’attività estrattiva, facendo precipitare il territorio di Montecatini in una profonda crisi economica ad oggi non ancora risolta. Posto a meno di un chilometro dall’abitato di Montecatini, l’insediamento minerario di Caporciano è stato uno dei primi esempi di “villaggio sociale”. Numerose furono le realizzazioni di infrastrutture urbane e le istituzioni di opere sociali a favore dei dipendenti, volute dai proprietari della miniera, quasi tutti di origine o di estrazione culturale nordeuropea. Qui si concretizzarono le prime iniziative di carattere sociale e assistenziale già dall’inizio dell’attività estrattiva. Alla metà del XIX secolo Jacopo Gräberg de Hemsö, all’interno di una più dettagliata descrizione di tali istituzioni, ebbe modo di scrivere: «gli attuali proprietari unendo alle vedute del proprio interesse il desiderio di dar prove di riconoscenza ad un paese nel quale la Provvidenza elargisce loro i suoi benefizii, non perdonano né a tempo, né a fatica, né a dispendio per tirare innanzi, e recare al sommo il loro piano di rendere questo stabilimento il più solido e anche il più pubblicamente e perennemente utile del suo genere.


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Quindi è che fin dal principio pensarono a fondarvi, e mantenervi [...] lodevolissime istituzioni». A testimonianza dell’evoluzione sociale della comunità di Montecatini, è la presenza in quel periodo di ben due teatri con relative compagnie filodrammatiche, di due bande musicali e d’istituti di beneficenza e d’istruzione, tra cui eccelleva la Scuola Professionale Femminile della Miniera, fondata nel 1862. Nella seconda metà del secolo iniziarono a manifestarsi i primi fermenti del movimento operaio. Con la nascita dei primi circoli operai di cultura prese vita una nuova forma di aggregazione legata dapprima alle idee repubblicane e poi a quelle anarco-socialiste. La presenza nel “paese del rame” di una delle più vecchie e tenaci Società operaie della Toscana consentì al movimento socialista di riuscire, di lì a pochi anni, ad estromettere dal potere il tradizionale notabilato locale. Nel luglio del 1895, infatti, si insediò a Montecatini la prima giunta socialista della Toscana. Protagoniste già negli ultimi decenni dell’Ottocento della costituzione di Società di reciproco soccorso, del Movimento cooperativo socialista, delle Leghe di resistenza e di varie altre forme di associazionismo popolare, le maestranze della miniera di Montecatini furono fondamentali per la nascita del Sindacato Nazionale Minatori il 27 aprile 1902.

Da “Le cento città d'Italia”, supplemento mensile illustrato del Secolo, Milano 1894, a. XXIX, 26 dicembre, p. 96.

La chiusura della miniera nell’ottobre 1907 portò con sé il progressivo venir meno delle istituzioni sociali e delle tradizioni tipiche di quel mondo lavorativo ormai scomparso. Rimaneva, per il popolo montecatinese, solamente quell’orgoglio di campanile dovuto all’omonimia con la società che, nata nel 1888 per la gestione della locale miniera, raggiunse poi i massimi vertici dell’industria italiana, diventando quel colosso che dal 1966, in seguito all’accorpamento con la Edison, ha avuto per decenni ampia risonanza nel mondo economico-finanziario con la denominazione Montedison.


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Dopo quasi un secolo d’immobilismo, grazie alla solerzia dei locali amministratori, Montecatini da alcuni anni sta vivendo il rifiorire di edifici e strutture di quell’ambiente minerario che sembrava ormai inesorabilmente perduto. Ed in questo contesto di risveglio della memoria vengono ricercate e riscoperte tradizioni, consuetudini, attività, eventi strettamente connessi alla presenza della miniera. Il Centro di Documentazione allestito nel Palazzo Pretorio ed il Parco museale di Caporciano, un sito di archeologia industriale di indubbio interesse dove all’interno di uno stupendo habitat naturale è possibile visitare imponenti corpi di fabbrica restaurati, testimoniano importanti momenti storici legati al magico e misterioso, ma anche cupo, ambiente della miniera.

La discenderia che conduce alla cappella scavata nella roccia a 114 metri di profondità.

La visita guidata al vecchio opificio inizia dal fabbricato nel cui ampio salone sono presenti targhe ricordo di illustri visitatori ed i busti di alcuni protagonisti della fortunata impresa mineraria: Giovanni Targioni Tozzetti, Luigi Porte, Augusto Schneider, Demetrio Boutourline.

Una lapide posta all’ingresso delle discenderie riporta il “saluto del minatore”: TU ES DEUS MEUS / IN MANIBUS TUIS SORTES MEAE / A(NNO) D(OMINI) MDCCCXXXIX. Da lì è possibile raggiungere, a 114 metri di profondità nelle viscere della miniera, una cappella ricavata


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nella roccia, dove i minatori sostavano in preghiera prima di avventurarsi ancora più in basso in un viaggio che avrebbe potuto essere senza ritorno. La visita prosegue con il Pozzo Alfredo, l’impianto che porta il nome di uno dei fratelli Hall, scavato nel 1855 e situato immediatamente sopra l’ingresso principale della miniera. Con la sua profondità di 315 metri era il più importante pozzo d’unione dei dieci livelli di gallerie che costituivano la rete di escavazione del giacimento cuprifero, un’estensione di lavori interni che, tra pozzi principali, pozzetti di aeraggio, gallerie, discenderie e camini, si sviluppava per oltre 45.000 metri lineari.

Altro grande pozzo, di cui oggi rimangono solo alcuni ruderi, era ubicato nella zona del Poggio La Croce. Profondo 255 metri, portava il nome di Jules Rostand, banchiere parigino che nel 1888 fu socio fondatore e vicepresidente della Società Anonima delle Miniere di Montecatini. Ogni struttura realizzata per la coltivazione del giacimento portava il nome di un azionista o di un suo familiare, salvo la galleria Maria Antonia, così chiamata in onore della granduchessa di Toscana che il 23 novembre 1843 visitò la miniera in compagnia del coniuge Leopoldo II; visita che il granduca aveva già effettuato il 7 dicembre 1836 e che poi, con la famiglia al gran completo, replicò il 10 dicembre 1851. I minerali che si ricavavano erano tre solfuri di rame: il più diffuso era la calcopirite, detta anche rame giallo o pirite di rame o ancora rame piritoso, cui si accompagnavano l’erubescite, conosciuta come rame paonazzo, filipsite o bornite, e la calcosina, altrimenti detta calcocite, redrushite oppure rame vetroso o grigio, che, contenendo rame allo stato nativo,


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era il più ricco minerale del giacimento e raggiungeva un tenore in rame di circa l’80 per cento. Il minerale, destinato prevalentemente all’Inghilterra, veniva selezionato sul posto per mezzo di trattamenti meccanici a secco o di specifico processo di classificazione nell’impianto di laveria; il materiale più povero veniva invece inviato in Val di Bisenzio per essere trattato nella fonderia de La Briglia, appositamente attivata dalla Società di Monte Catini.

Da “Le cento città d'Italia”, supplemento mensile illustrato del Secolo, Milano 1894, a. XXIX, 26 dicembre, p. 96.

Nel corso delle diverse gestioni, la produzione del giacimento cuprifero di Montecatini raggiunse questi livelli: Società Porte, Kleiber e Leblanc (1827-1837): 626,176 tonnellate; Società Fratelli Hall, Sloane e Coppi (1827-1873): 41.688,426; Demetrio Boutourline (1873-1883): 13.223,988; Giovan Battista Serpieri (1883-1888): 10.394,727; Società Anonima delle Miniere di Montecatini, poi Montecatini Spa (1888-1907): 26.057,318. Lo stabilimento minerario era corredato di tutto il necessario per le lavorazioni, dalle officine per fabbri e falegnami alle riserve di legname, dalla fornace alla scuderia per i cavalli a servizio delle macchine, dal deposito per i materiali a quelli dell’acqua. Per questi ultimi era stato realizzato il Margone, un bacino artificiale per la raccolta delle acque,


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e nel 1856 fu innalzato il Muraglione, una diga alta 18 metri, costruita in mattoni con struttura muraria ad archi, inserita attualmente all’interno del circuito museale.

Il villaggio industriale fu dotato anche di importanti infrastrutture, come il teatro e la scuola per i figli dei minatori o l’ambulatorio, una vera “medicina del lavoro” ante litteram. Una delle prime e più prestigiose costruzioni fu ovviamente la residenza padronale, Villa Sloane, che dal 1961 è sede della Scuola Media “Guido Donegani”. Come per la Villa di Careggi ed altre sue proprietà, Sloane allestì il giardino antistante con numerose specie arboree all’epoca insolite, come cedri del Libano, conifere esotiche, pini, abeti, ippocastani, palme, corbezzoli della Grecia, limoni e rarissime qualità di rose. Ancor’oggi alcune di queste piante contribuiscono ad abbellire il piccolo parco, dal quale è possibile accedere al caratteristico salone ricavato nella parte inferiore della villa, intitolato all’ingegner Aroldo Schneider, figlio di Augusto primo direttore della miniera e direttore egli stesso in epoca Boutourline, fino al 1890. Naturalmente non fu trascurata neppure la salute spirituale dei minatori e Francesco Giuseppe Sloane, uomo di provata fede cattolica, nel 1842 fece riedificare l’oratorio, già dedicato alla Madonna di Caporciano, che fu intitolato anche a S. Barbara protettrice dei minatori. L’oratorio, recentemente restaurato, presenta al suo interno alcune pregevoli opere come un altare in marmo di Lorenzo Bartolini ed un olio su tela del primo Settecento raffigurante La Madonna di Guadalupe del pittore messicano Juan Rodrìguez Xuàrez, presumibilmente pervenuto in epoca Boutourline, tra il 1873 ed il 1879. Il culto per la Madonna di Guadalupe, venerata come patrona del Messico e dell’America latina, ebbe inizio nel dicembre 1531 quando l’immagine della Vergine si impresse sul mantello dell’indio messicano Juan Diego Cuauhtlatoatzin, cui era apparsa sulla collina del Tepeyac vicino a Città del Messico. L’evento miracoloso, i cui momenti principali


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sono illustrati nei quattro medaglioni angolari della tela dello Xuàrez, rappresentò per gli Indios un messaggio di speranza e un segno di rinascita spirituale: l’immagine della Madonna di Guadalupe divenne ben presto il simbolo dell’identità nazionale del popolo messicano.

Sopra il portale dell’oratorio è posta una lunetta in terracotta invetriata della Manifattura Ginori di Doccia datata 1853, che riproduce la Madonna Sistina di Raffaello, affiancata da S. Barbara e S. Sisto. Copie della medesima lunetta, commissionate da Sloane, si possono ammirare alla Villa di Careggi, da lui acquistata nel 1848, e nella chiesa di via delle Masse a Firenze, nonché sopra l’altare della cappella sotterranea della miniera. Immagini devozionali della Madonna di Caporciano o di S. Barbara furono fatte apporre da Sloane non solo nel villaggio minerario ma anche nelle ville e case coloniche di sua proprietà situate a Firenze e dintorni: una formella con l’effige della Madonna con il Bambino si trova nella cappella interna della miniera mentre una ceramica con S. Barbara è ancora presente in un locale dell’ex Scuola Professionale Femminile della Miniera. Un altro segno di devozione è la Croce posta sulla vetta del monte omonimo sovrastante la miniera, che da un’altezza di 591 metri, con la sua mastodontica mole, domina le vallate dell’Era e della Cecina. Ricavata in un solo blocco di fusione, la Croce, eretta nel 1864, ha un’«altezza di Braccia 15 sopra a terra e due di fondamenta colla direzione del braccio della medesima dall’Est all’Ovest marcata esattamente colla bussola; i sassi che attualmente vedonsi a guisa di Calvario sono stati levati dal poggio stesso i quali per tradizione vien detto che formassero parti delle fondamenta di un antico fortilizio». Alla base si trova questa iscrizione: QUESTO SEGNO DELLA REDENZIONE INALZAVANO QUI SUL POGGIO ALLA CROCE I PROPRIETARI DELLA MINIERA DI RAME SOTTOSTANTE IL DÌ 3 MAGGIO 1864


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Da Maria Luisa CECCARELLI LEMUT, Gianna BERTINI, Fabrizio ROSTICCI, Montecatini Val di Cecina, Pisa, ETS (mirabilia pisana), 2010, pp. 32-50.


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