MORENO BONDI

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TEATRO LIRICO DI CAGLIARI F O N D A Z I O N E

MORENO BONDI

Regione Autonoma della Sardegna Assessorato al Turismo


MORENO BONDI

EDIZIONI MILLENIUM


Edizione a cura di Egidio Maria Eleuteri Testi critici Viviana Bucarelli Marco Bussagli Pasquale Chessa Janus Egidio Maria Eleuteri Antonio Paolucci Carla Piro Massimiliano Sardina Claudio Strinati Bert Treffers Coordinamento generale Carla Piro Progetto grafico Moreno Bondi Foto Corrado De Grazia Ritratto fotografico Giorgio De Camillis Ottimizzazione delle immagini Marco Sforzi Grafica web e promozione on-line Carla Piro Bruno Martino Traduzioni Annie Kaszina Art Director Andrea Sordini Segreteria di redazione Elisa Eleuteri Giada Eleuteri Daniela Pozone Massimiliano Sardina Ufficio Stampa e PP. RR. MAGE per Edizioni Millenium FINES per Moreno Bondi carlapiro@virgilio.it In collaborazione con Istituto Olandese Nederlands Instituut te Rome Edizioni Millenium Via Monte Zebio, 19 - Roma Tel. 06.3724133 Impaginazione e stampa Miligraf - Roma MORENO BONDI www.morenobondi.it morenobondi@virgilio.it

MORENO BONDI Foyer di platea del Teatro Lirico di Cagliari 26 aprile – 2 agosto 2004 Mostra a cura di Viviana Bucarelli Segreteria organizzativa Daniela Pisu Sovrintendenza Teatro Lirico di Cagliari Ufficio Stampa Ufficio Stampa del Teatro Lirico di Cagliari stampa@teatroliricodicagliari.it Allestimento Paolo Calanchini Allestimenti scenici del Teatro Lirico di Cagliari Teatro Lirico Via Sant’Alenixedda - Cagliari www.teatroliricodicagliari.it


TEATRO LIRICO DI CAGLIARI F O N D A Z I O N E

MORENO BONDI

Regione Autonoma della Sardegna Assessorato al Turismo


L

o stretto legame fra cultura e turismo è l’idea guida dell’Assessorato al Turismo. L’obiettivo posto è stato di promuovere l’isola non solo da un punto di vista turistico, ma anche sotto il profilo culturale; un fine che permettesse di comunicare il nostro immenso patrimonio ambientale e storico attraverso una serie di importanti iniziative. La valorizzazione di questa ricchezza sta rendendo possibile una distribuzione dei flussi turistici in periodi ed in zone che in passato sono stati trascurati, in nome di una Sardegna conosciuta solo per la bellezza delle sue coste estive. Il finanziamento degli itinerari delle sette Città Regie, il percorso delle Cattedrali di Sardegna, il sostegno alle iniziative del Teatro Lirico di Cagliari, la Borsa della Cultura e del Turismo Sostenibile, sono testimonianza di un impegno nel supportare settori strettamente connessi e fra loro permeabili. Nostro patrimonio sono, inoltre, tutti gli intellettuali ed artisti invitati a partecipare e ad arricchire la nostra intensa vita culturale. Il segno di questo impegno è il coinvolgimento di Moreno Bondi nell’iniziativa del Teatro Lirico di Cagliari di offrire al pubblico una duplice occasione d’incontro con la grande arte (musica e pittura), inaugurata in occasione dell’importante iniziativa religiosa e culturale quale la Festa del Martire Efisio. Roberto Frongia Assessore al Turismo della Regione Autonoma Sardegna

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Accordi di luce (particolare)



I

n un momento come il nostro in cui la promozione della cultura non sempre viene adeguatamente sostenuta, l’incontro di diverse forme d’arte all’interno del Teatro Lirico assume valori e significati del tutto particolari e crea una sinergia di forte rilievo. Questa importante mostra di Moreno Bondi prosegue così il ciclo inaugurato all’inizio dell’anno che, accolto con vero interesse ed entusiasmo dagli addetti ai lavori e dagli appassionati d’arte, ci offre l’opportunità di condividere ancora una volta un’esperienza nella quale hanno sicuro risalto aspetti interdisciplinari d’irripetibile bellezza. E questo grazie alla stimolante risorsa offerta dagli spazi, recentemente rinnovati, del foyer del Teatro: nuova opportunità per la vita urbana e per la fruizione di interessanti eventi culturali. Il successo fin qui riscosso ci incoraggia a continuare in tale percorso oggi ulteriormente arricchito dalla presenza di Moreno Bondi, artista toscano di grande prestigio, di grande forza evocatrice e di riconosciuta eccellenza che la nostra città felicemente si onora di ospitare. Emilio Floris Sindaco di Cagliari Presidente della Fondazione Teatro Lirico di Cagliari

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Le donne di una vita (particolare)



I

niziare il mio nuovo incarico di Sovrintendente del Teatro Lirico di Cagliari, in concomitanza con la quarta edizione del Festival di Sant’Efisio, è per me un’emozione ed una responsabilità particolare. Il Festival è un evento di risonanza nazionale ed internazionale, di consolidato successo di pubblico e di critica. In una settimana densa di eventi culturali, infatti, a partire dall’inaugurazione della nuova produzione del Teatro di Hans Heiling, si alternano, con la nostra orchestra e il nostro coro, interpreti prestigiosi quali la Philarmonia Orchestra, Esa Pekka Salonen, Julian Rachlin, Chick Corea, Elvis Costello. E, in concomitanza con l’apertura del Festival, si inaugura quest’importante mostra, con le opere più recenti e mai esposte dell’artista toscano Moreno Bondi. Pittore rigoroso, appassionato dell’antico ma profondamente sensibile alle qualità specifiche del suo tempo. Questo secondo appuntamento dell’anno, nell’ambito del progetto per l’arte contemporanea del Teatro, viene ospitato nei bellissimi spazi del foyer rinnovato. E’ particolarmente significativo che il Teatro insieme all’opera, alla musica sinfonica, al jazz e al balletto, apra i suoi spazi alle arti visive che possono essere vissute da numerosissimi appassionati nel contesto di un centro creativo e pieno di vitalità dedicato alle diverse arti. Con i migliori auspici di Efisio, santo e guerriero. Maurizio Pietrantonio Sovrintendente del Teatro Lirico di Cagliari

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Amore e Psiche (particolare)



“Come potrei trattenerla in me, la mia anima, che la tua non sfiori; come levarla, oltre a te, ad altre cose?� Rilke

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Accordi di luce olio su tela, 130 x 150 (2004)





Icaro o Dedalo? di

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!

CLAUDIO STRINATI

Accordi di luce

Le donne di una vita olio su tela, 75 x 128 (2004)



Moreno Bondi è artista molto colto e consapevole, come provano l’insistita precisione dei titoli dei suoi quadri e il flusso continuo delle citazioni letterarie e filosofiche che accompagnano spesso l’esposizione delle opere. La tecnica eccellente, formatasi su cognizioni precise desunte soprattutto dalla pittura seicentesca, la fantasia acuta, l’estrema precisione e verosimiglianza del segno, permettono all’artista di produrre con una mente sistematica che ordina la materia pittorica secondo strane e interessanti serie e sequenze. Un catalogo significativo, pubblicato nel 2000, di opere di Bondi si chiama proprio “Aforismi” ed è introdotto da una sentenza di Aristotele in base alla quale “il concetto dell’enigma è questo: dire cose reali collegando cose impossibili” e, effettivamente, l’intenso “realismo” delle immagini del maestro dà sempre, come ha notato Paolucci, la sensazione del frammento, di qualcosa di costruito attraverso tasselli, ciascuno del tutto convincente dal punto di vista della rappresentazione naturalistica, assemblati in modo arduo, assurdo, duro, senza che si riesca a percepire un senso complessivo dell’immagine realizzata. Piuttosto i tanti segmenti “reali” sembrano inseriti per formulare un insieme “impossibile” dal punto di vista logico–deduttivo e verrebbe da pensare che proprio in questa forzatura della verosimiglianza il pittore tragga spunto per le sue idee figurative. E coerente suona, allora, l’altra sentenza, questa volta

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Uomo Obelisco olio su tela, 130 x 160 (2001)



di Nietzsche, affiancata a una di quelle visioni chimeriche continuamente ripensate dall’autore: “L’assurdità di una cosa non è una ragione contro la sua esistenza, ne è piuttosto una condizione”. Malgrado i titoli e gli aforismi sovente affiancati non è facile spiegare questi quadri, anche se sembrerebbe evidente l’ansia comunicativa che vi è contenuta, a prescindere dall’indubbia bravura virtuosistica che li pervade tutti. Non sono, certo, illustrazioni di nobili sentenze, né proiezioni di stati d’animo allucinati e distorti. Però la volontà di dotare le immagini di un titolo che ne dia una potenziale riconoscibilità resta un dato tipico dell’artista, di cui, dunque, va tenuto il debito conto. Se un quadro, a forte impatto figurativo, si chiama “Prigione”, “Enigma”, “Ánghelos“, “Sussurri”, “Uomo Obelisco”, ciò significa, probabilmente, che il titolo, in casi del genere, è pensato da un artista che vuole velare e svelare il senso dell’opera e, comunque, far capire bene che l’opera ha un senso e proprio uno, per cui il margine di interpretazione va, in qualche modo, limitato. E’ uno sforzo che l’artista chiede a chi guarda ed è comprensibile perché tutti i quadri sono “sotto sforzo” con l’indicazione chiara di una condizione tormentosa che deve generarsi all’osservazione delle opere. Come se tutto ciò che è rappresentato fosse estratto da una prigione mentale, da una costrizione quale che sia, da una mancanza cui consegue un anelito. Sono, in altri termini, quadri di ispirazione

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Amore e Psiche olio su tela, 95 x 200 (2004)



romantica, anche se la stesura è così affine al grande Seicento romano o toscano, che infiniti capolavori ha consegnato alla posterità. Bondi ci appare come un artista nitido e meditato ma anche ipersensibile nella sua intenzione di mettere a nudo sentimenti e pulsioni che possono preoccupare e mettere in stato di ansia. In questo andirivieni di esaltazioni e cadute sta molto del fascino di un artista che sembra incerto se considerarsi un Dedalo o un Icaro. Condizione interessante con esiti in cui l’insigne docente e studioso scompare e si manifesta l’animo appassionato e intransigente di un poeta ricco di sfumature e di silenzi. Claudio Strinati

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Come eroso da un vento di mare olio su tela, 160 x 130 (2001)



“L’uomo è una corda tesa fra la bestia e l’Oltre-Uomo. Una corda su un abisso”. Nietzsche

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La forma dell’acqua olio su tela, 120 x 110 (2003)



L’arte come rito di passaggio di

BERT TREFFERS

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La forma dell’acqua (particolare)



Nel catalogo della mostra di Moreno Bondi, intitolato Aforismi e pubblicato a Carrara nel 2001, accanto alla riproduzione del quadro “Eros e Thanatos”, si leggono delle parole che esprimono mirabilmente l’essenza della sua arte. Sono prese dal libro di Friedrich Nietzsche, Also sprach Zarathustra (Così parlò Zarathustra): “L’uomo è una corda tesa fra la bestia e l’oltre-uomo. Una corda su un abisso”. L’uomo, così Nietzsche, è “un pericoloso passare dall’altra parte, un pericoloso esser per via, un pericoloso guardarsi indietro, un pericoloso inorridire e arrestarsi”. Poi segue la massima forse più nota di questo libro: “Quel che è grande nell’uomo è che egli è un ponte e non una meta; quel che si può amare nell’uomo è che egli è transizione e tramonto”. Quel concetto di uomo-ponte ha degli antecedenti strettamente cristiani. Tutta la vita è una continua transizione dalla morte alla vita e dalla vita alla morte. Basta ricordarsi le Coplas del alma que pena por ver a Dios del poeta carmelitano cinquecentesco Giovanni della Croce, dove vita e morte esprimono sempre l’opposto in un ritornello mistico. Morte e vita sono così anche delle metafore. Solo dove i poli si toccano si accende quella scintilla mentis nota dalla letteratura mistica, quella fiamma dell’anima che mette a fuoco tutto e sembra esplodere come la luce stessa che accieca e allo stesso momento illumina le due figure terrificate in un altro dipinto recente di Moreno Bondi: “Sussurri”.

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Tramonto ad oriente olio su tela, 130 x 130 (2003)



Luce creata materialmente; parola trasformata in arte, immagine, dunque, dipinta; resa forma, concretizzata: tutto ci parla in un linguaggio di immagini connesse. Segni precisi, figure a metà dimenticate, ma sempre segretamente familiari. Tutte queste immagini dipinte trasmettono una visione del mondo sempre moderno, proprio perché ancorato alla nostra cultura in continua transizione, e già al tramonto. Ma non si tratta di una pittura nostalgica. Quest’arte è vigorosa; una prova di forza, coraggiosamente manuale e, allo stesso momento, sapientemente cerebrale. Una pittura colta, dunque, che legge il mondo come se fosse un libro pieno di rivelazioni, un libro in cui le cifre sono apparizioni, segni. Le forme evocate con chiarezza diventano proprio per la loro transitorietà delle visioni ben delineate, immagini circoscritte, durevoli riti di passaggio che non si dimenticano mai. Quell’arte è pur sempre un’arte umana. E’ un altero assalto al cielo da un pittore che ama la terra. E’ un gioco d’azzardo, un volo pericoloso, un acrobatico salto al cielo che finisce, per forza, in un naufragio già annunziato, come nel poema felicemente fallito Un coupe de dés di Mallarmé. Ogni artista è un Ulisse mancato. Icaro è anche un Argonauta, simbolo per eccellenza secondo il grande pittore tedesco Max Beckmann, del vero artista. Far arte era ed è pur sempre un viaggio indietro, un ritorno al cielo perduto. Per Hans von Marées (1837-1887), pittore

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Prigione olio su tela, 120 x 100 (1999)



tedesco che viveva a Roma, l’artista è come quel Ganimede rapito da Giove. Anche Michelangelo trattava il tema del ragazzo divino rapito al cielo. “In sogno mi parea veder sospesa / Un’aquila nel ciel con penne d’oro, /Con l’ale aperte ed a calare intesa”, così Dante nel Purgatorio (IX, 19-24). Anche lui vede in una visione come Ganimede “fu ratto al sommo concistoro”. Rimasto in terra, vede come l’amore viene dal cielo e rapina l’amante. E quel tema platonicamente rinascimentale insegna che tale rapimento crea un raptus erotico, un raptus d’amore, un’estasi creativa squisitamente spirituale. In “Senza dimenticanza” una figura, che si raddoppia nell’Altro appena visibile e seduto accanto a lui, ha perso la testa in un drappo di una fattura estremamente sofisticata. E’ un drappo vestale: nasconde, ma nascondendo, rivela. Rivela che queste due figure non sono che una sola. Sanno già dove vanno. Non vogliono dimenticarsi. La memoria le salva dall’anonimato. Si ricordano il loro passato. Vedono dentro di sé una stella di pietra implosa che torna ne “La forma del vento”. Nell’officina dell’arte tutto rimanda a tutto. La mano è un attrezzo mentale. Dipingendo ogni pittore cammina dentro di sé. Solo così è capace di immaginare il mondo. Mettendo mano al quadro, sparisce nell’atto divino. E vola. “Fra Spazio e Forma” nasce quel “Pegaso” che non è altro che l’Ánghelos ancora umano.

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La forma del vento olio su tela, 130 x 160 (2001)



Anche la sensualità è un mezzo divino. Nella carne si tocca la mente. Le cose prendono fiato. Parlano in una lingua che consiste di una catena di motivi in continua trasformazione. Quell’arte racconta. Tutto il dramma umano, le folli aspirazioni, le speranze le più disperate, prendono forma. Sono schegge, quei dipinti quasi antichi. Il poter fare, il gioco d’artificio, il giocare con il fuoco che brucia in “Enigma” è un gioco pericoloso e spesso fatale. La tecnica, quella maestria dell’arte crea uno spazio artificiale in cui si viaggia senza fatica dall’alto in basso e dal basso in alto. La profondità del nero dietro “Amore” è di una impenetrabile fluidità. E’ un mare del nero; mare del sangue coagulato: l’assenza addirittura del buio. Solo armato di ali l’angelo greco dalle piume carnose può vincere quella che pesa. In “Tramonto ad oriente” il corpo ravvisato si disintegra. Cade a pezzi. E’ da rifare. Ogni materia vive ispirata dall’intelletto. Solo il vento diventa nel quadro intitolato “La forma del vento”, forma appunto. L’ispirazione divina fa vivere la pietra che sotto il colpo del focoso martello produce la sua forma innata. Il corpo si sta liberando: “Non ha l’ottimo artista alcun concetto / c’un marmo solo in sé non circonscriva / col suo superchio, e solo arriva la man che ubbidisce all’intelletto”, così Michelangelo nelle Rime. Scolpire è un atto divinatorio: demiurgo divino, ogni artista sprigiona se stesso. Ma in fondo, anche nell’arte le ali

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Enigma olio su tela, 90 x 70 (2003)



rimangono sempre speranze. Incapaci del volo, si spiegano solo in un soffio, magari divino. Nella carne troppo carnale perché dipinta, dorme la morte. In “Come eroso da un vento di mare” il corpo si perde di nuovo. Espira. Anche la pietra cade a pezzi. Scricchiolando si fende, si disintegra e ritorna al caos di prima. L’inizio e la fine si abbracciano in un circolo vizioso. Ne “Il silenzio del nulla”, dietro ad una griglia di strisce piene di materia amorfa, si vede una figura che alza le braccia. E’ il fratello di Icaro, quell’Icaro che sta ancora in terra, ma la cui caduta è già prevista. Quella figura mezzo divina perché alata con arte, spalleggia la maschera di una donna che vive di lui. E’ della sua carne. Gli occhi chiusi, la bocca con le labbra sensualmente gonfie, dorme. E sogna. In “Centauromachia” l’uomo si veste da cavallo e appartiene così di nuovo alla natura che con fatica aveva domato. Ridiventa la bestia che era. Nascondendosi nelle teste che porta come se fossero due elmi indefinibilmente legati, si sdoppia per ritrovare se stesso. L’Icaro è un Centauro volante; diventa in volo un Pegaso dietro le barre. Finto, anch’esso: é teatrale. Maschera: ma di che cosa, di chi? L’arte è ibrida: l’artista si taglia in due, ricollegando i pezzi in mostre divine. In questa arte l’alba non spunta mai ad oriente. Anche la luce nella creazione occulta nasconde dove all’imbrunire Pegaso viene disfatto dalla ragione. Solo nell’ombra brucia la fiamma. Solo la notte

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Enigma (particolare)



accende l’incendio focoso. Soltanto la promessa del volo fa crescere delle ali con cui si può attraversare se stesso. Tutto vola al buio. Liberandosi, ogni forma si disintegra in “Tramonto ad oriente”. Tutto ciò che esiste è. Come in “Eros e Thanatos”, tutto ciò che esiste consuma la propria morte. Con piede steso Amore è pronto. Ma niente si muove ancora. L’equilibrio è ancora perfetto. Ma quell’amore che ci minaccia con la sua bellezza, è un amore soltanto sospeso. Le piume delle ali sono sazie di luce. Il drappo di un satin quasi carnale, è una stoffa oniricamente reale. Le cose rese da questo pittore illusionista con un naturalismo barocco, sono troppo artificiali per essere vere. Tutto ciò che si vede in questo quadro è troppo presente per essere qui, a portata di mano. In fondo è qualcos’altro. Evocata con un magico naturalismo, la materia diventa uno sipario sacro. E anche l’angelo terribilmente sospeso nell’aria in cui nulla si muove, chi è? Nel suo non muoversi la figura di carne ed ossa diventa enigma. Ma in “Enigma” l’amore ha delle ali di pietra. Sono ancora staccate; non fanno parte del corpo caldo e greco. Tuttavia basta che le indossi e quell’efebo invertito si alza; gli omeri sono già gonfi dal vento promesso. Aspetta ancora. Appena creato, si ricorda il fuoco divino in cui anch’esso una volta bruciava. Liberato dalla “Prigione” in cui il pittore si è rinchiuso sognando l’arte, tutto diventa leggero. Ne “La forma dell’acqua” il fondo si scioglie. E scorre. Una figura

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Il cimento del pensiero olio su tela, 130 x 160 (2001)



caravaggesca di uomo, nuda, vista di spalle, nasconde ancora la faccia. Ma anche lui scoprirà che solo con l’immergersi nell’acqua, nel vento, nel movimento, nel mondo, nel tempo, troverà l’illusoria salvezza. Solo l’inganno del volo sognato può liberarci. Spinto dall’eros si getta nel vivo: mosso, si muove. Eterno Narciso scopre che anch’esso è una transizione perenne. Anche qui l’arte di Bondi parla una lingua colta, dimenticata da molti, ma sempre forte ed efficace. Ritrovando una mitologia diventata finzione, racconta con chiarezza la storia di se stesso. Tramite una tematica figurativa coerente, leggibile per chi vuole, e con l’aiuto di un’arte che è ancora potente tecnicamente, il mondo diventa di nuovo vissuto come in una visione. Tutti gli esseri sapientemente ricostruiti da una mitologia personale, tutte queste figure di Eros, Pegaso, Icaro, anche gli angeli, sospesi o no nello spazio fittizio del quadro, raccontano la nostra favola. Sono maschere come noi. Accoppiati poeticamente, uniti nell’eros in una sola visione di cui i quadri rivelano soltanto frammenti separati, tutti questi fantasmi sono autentiche rivelazioni di ciò che vogliamo spesso dimenticare. Tutto il bestiario immaginario, tutte queste creature rifatte sono immagini parlanti in un silenzio interrotto da un dialogo muto in cui ognuno parla di sè. Quei quadri ermetici solo in apparenza, sono delle formule magiche con cui tutto si trasforma in tutto. Dipinti

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Senza dimenticanza olio su tela, 120 x 60 (1999)



con una tecnica ritrovata e neo-tradizionale, quell’arte appella direttamente ai sensi.Eroticamente aggressiva, ci minaccia con le sue forme potenti. Queste immagini da toccare ci assaltano e ci toccano dentro, dimostrando che non c’è scampo: non siamo per niente tabulae rasae, non siamo affatto degli smemorati senza cultura. Siamo, se lo vogliamo o no, depositi di ricordi. Tante immagini dormono in noi, aspettando il tocco magico di un vero pittore per tornare alla vita e aiutarci a ritrovare, anche noi, la nostra “Ultima Beatrice” di memoria dantesca, in una commedia trasparente perché riconosciuta anch’essa arte divina. Bert Treffers

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Donna Obelisco olio su tela, 127 x 105 (2004)



L’invenzione del passato e il rinvenimento del futuro di

PASQUALE CHESSA

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Donna Obelisco (particolare)



Un esile filo, sottile ma infrangibile, lega la grandezza dell’antico all’idea moderna di rovina. Emblema dell’irreparabile scorrere del tempo, i frammenti di templi e anfiteatri, basiliche e terme, colonne e capitelli sono le figure del passato su cui la storia ha costruito il presente. Sta in questa sintesi di passato e presente, grandezza e caduta, morte e rinascenza l’essenza stessa del concetto di classico. Perché è classico tutto ciò che riesce a sopravvivere alla propria epoca testimoniando al futuro i valori su cui si era fondato nel proprio tempo. Su queste suggestioni lavora l’immaginario pittorico di Moreno Bondi. La modernità di Bondi sta proprio nella sfida con tutto ciò che è sopravvissuto nella pittura diventando storia. Ma per riuscire ad attingere dal passato il vasto repertorio di stemmi ed emblemi, miti e leggende, simboli e figure su cui si costruisce la trama narrativa dell’arte, bisogna avere una certa predisposizione all’inattualità. A cominciare dalla profonda consapevolezza artistica del linguaggio della tecnica pittorica tradotta da Bondi in una padronanza di stile che nell’epoca della morte dell’arte appare felicemente fuori tempo. Sono queste le ragioni fondamentali per le quali prima di essere un artista (toccherà ai posteri misurarne l’esatta grandezza), Bondi è certamente uno straordinario pittore. La torsione dei corpi, l’esplosione delle forme, la tensione della materia danno l’esatta misura dei

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Déjà vu - Omaggio ad Allori olio su tela, 120 x 150 (2001)



termini in cui si articola la sfida. Si tratti di Caravaggio o di Michelangelo, di Cagnacci o di Allori, di Beatrice Cenci o di Ebe, di Icaro o della Sibilla, del Centauro o dell’Angelo, il sapere della pittura viene assunto come la misura di ogni cosa. La maniera di Bondi però non è antica. Anzi pretende un confronto altrettanto serrato con l’idea di moderno e contemporaneo. La luce che vediamo proiettata sui quadri ci appare come sezionata da un prisma ideale costruito per campire sulla tela solo le forme più pure. Come il filologo classico cerca di ricostruire l’intero corpus della lirica greca ricostruendone la storia attraverso la sequenza dei frammenti sopravvissuti alle offese dei secoli, così Bondi seziona la storia della pittura in un caleidoscopico figurale nel quale il sogno del passato si fonde con l’immaginario del presente. Una sorta di “manfrediana methodus” sovrintende alla coerenza delle immagini e le guida attraverso le strade sotterranee dell’inconscio. Il rinvenimento dell’antico è messo a diretto contatto con l’invenzione del presente. Si pensi alla visione di “Ebe che cerca se stessa”, rappresentata da un culo, sineddoche del moderno, dipinto come in una fotografia di Helmut Newton a colori, intenta carponi a rientrare nel vuoto simulacro antico da cui era uscita perdendosi. Bondi sembra consapevole che la storia dell’arte non è nata dal confronto con la realtà naturale e storica

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Chimera olio su tela, 120 x 100 (1999)



che si prefigge di rappresentare, quanto piuttosto dal confronto con le altre opere d’arte in un infinito reticolo di significati e significanti. “Manfrediana methodus” è usato come un canone ambiguo che consente di procedere per slittamenti progressivi nell’attribuzione delle citazioni. Nel gioco delle agnizioni, le grandi ali di “Amore” (ma anche del “Riposo di Eros” e del “Pegaso”) vengono dalle suggestioni non solo di Caravaggio ma anche di Giovanni Baglione e soprattutto di Orazio Gentileschi. E non si può fare a meno di pensare al “fallo alato” di Sigmund Freud di fronte alle ali di “Ánghelos” ... Ma un’altra referenza, assolutamente fuori tema, getta un riflesso imprevedibile sulla pittura di Bondi: il frammento della Statua della Libertà che emerge come un reperto archeologico nel finale de “Il Pianeta delle scimmie”. Ricordate? Charlton Heston cavalca sulla spiaggia con una splendida umana primordiale per sfuggire alle scimmie sapienti... Bondi usa il repertorio classico in una maniera così moderna tanto da poter essere messo in relazione con l’immaginario della fantascienza. Nulla perciò ci appare come antico nonostante l’uso totalizzante del classico. Pasquale Chessa

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Ninfa olio su tela, 80 x 60 (2003)



“Il concetto dell’enigma è questo: dire cose reali collegando cose impossibili”. Aristotele

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Sussurri olio su tela, 130 x 130 (2003)





Un pittore fra i Ciclopi di

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!

JANUS

Sussurri

Amore e Psiche olio su tela, 140 x 100 (1999)



C’è un’idea confusa, che si aggira da qualche tempo nel mondo e che affiora in questi tempi calamitosi, che la terra in antico fosse abitata da terribili giganti apportatori di morte e di distruzione. La loro ombra di tanto in tanto riappare nella nostra storia e quindi anche nella nostra cultura, come se fossero segni premonitori d’altri disastri. Gli artisti, soprattutto in questi ultimi decenni, hanno avvertito che quella antica minaccia si è fatta viva perfino nelle cronache quotidiane. Moreno Bondi è, per esempio, uno di questi artisti. Da tempo ha introdotto nella sua estetica e nel contenuto dei suoi quadri l’idea che questi giganti abbiano di nuovo fatto la loro apparizione tra i vivi e tra i morti. Deve aver percepito che le colonne, che dall’antichità reggono la terra, sono oggi un po’ traballanti. Vedremo meglio come questo fenomeno si sia verificato anche nella sua pittura. Gli uomini primitivi li vedevano nelle ombre che passavano lungo le pareti delle loro caverne o nel fuoco dei vulcani, dove certamente avevano il loro domicilio, o nei fulmini che squarciavano il cielo. La nostra mitologia è tutta una storia di giganti (ma anche molte altre mitologie di cui non è il caso qui di parlare). Zeus stesso è uno dei Titani che lotta contro altri Titani che cercano di scaraventarlo fuori dell’Olimpo. Sappiamo già come questa storia si sia conclusa. Più vicini alla nostra sensibilità sono i giganti che fanno la loro apparizione nell’Antico

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Solo con ali di pietra olio su tela, 122 x 122 (2004)



Testamento. Non si sa bene da dove vengano, chi li abbia creati, ma quando scendono sulla terra sono affascinati dalla bellezza della donne terrestri, con le quali felicemente si uniscono. Poi scompaiono dalla storia e non si sa bene dove siano andati. Ben diverso è l’ultimo gigante di cui sappiamo perfino il nome: Goliath. Le sue vicende ci sono narrate nel libro di Samuele. Sappiamo perfino che è alto due metri e novanta, che indossa una corazza di bronzo del peso di sessanta chili. Soltanto la punta della sua lancia pesa sette chili. Nessuno osa sfidare la sua forza smisurata. Per quaranta giorni provoca e intimidisce l’esercito d’Israele, ma finalmente, per puro caso, appare un ragazzo di nome David, l’ottavo di otto figli; non ha mai portato armi o corazza, non ha mai combattuto, è un semplice pastore o meglio pastorello, ma non ha paura di nulla. Va incontro al gigante armato d’una semplice fionda. Nelle tasche ha cinque pietre, ma gli basta scagliare la prima ed il gigante stramazza morto al suolo con la testa spaccata. Non ha neanche una spada per decapitarlo e deve prendere quella del gigante. Chi vuole sapere che aspetto avesse questo fanciullo basta che guardi la scultura che gli ha dedicato il Verrocchio. Oppure con un balzo di secoli guardare i quadri di Moreno Bondi che raccontano le storie di altri giganti in lotta con gli uomini o con il fato. Perché parliamo dunque di giganti? Perché oggi non si può parlare d’arte senza parlare anche

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Solo con ali di pietra (particolare)



dell’attualità. Perché quei giganti fanno parte anche della nostra cultura, dal culto degli eroi alle opere di Wagner, e poi anche la pittura contemporanea non poteva ignorarli poiché ne ha fatto spesso esperienza nelle sue complicate vicende estetiche, da De Chirico a Savinio fino ai nostri giorni. C’è anche un pittore moderno che ha voluto raccontare in altre forme la loro storia. Si chiama, come abbiamo detto all’inizio, Moreno Bondi, è nato a Carrara nel 1959 ed è docente presso l’Accademia di Belle Arti di Roma di Tecniche pittoriche, cioè di sapienza pittorica. Ha dato il via ad una pittura tumultuosa, intensa, che sembra abbia estratto dal magma della terra. Ora possiamo mettere insieme i giganti della mitologia ed i giganti che appaiono nella sua pittura. Moreno Bondi narra una storia drammatica che dall’antichità arriva ai nostri giorni, ricorrendo ai miti che hanno forgiato la nostra storia e che hanno nome Pegaso, Amore e Psiche, Eros e Thanatos, Hermes ed Icaro, Chimere e Centauri, Angeli e Demoni, e molti altri fantasmi del passato che riemergono nel tumulto della nostra coscienza. I suoi personaggi sono immersi in un’atmosfera magica, tra architetture di pietre senza tempo, in bilico tra l’eternità e la morte. Inseguono e sono inseguiti. Appartengono all’umanità, ma un poco anche al demoniaco, alla poesia ma anche alla materia. Lottano sempre contro nemici invisibili. Forse lottano prevalentemente contro loro stessi, contro i loro fantasmi, contro le

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Alba ad occidente olio su tela, 160 x 130 (2001)



loro passioni, poiché questa pittura è appassionata. Sono i giganti della nostra epoca terrificante, in lotta contro il male. Nascondono le loro ferite e feriscono. Rievocano l’antica lotta tra Zeus ed i Titani, tra Ulisse ed i Ciclopi, tra David e Goliath, tra il nudo lanciatore di fionda ed il gigante tutto ricoperto di scaglie di bronzo come un serpente, dell’uomo moderno contro le macchine del nostro tempo e contro le implacabili aberrazioni del nostro tempo grondante sangue e oscurità. Sono uomini che cercano di diventare angeli e sono angeli che cercano di umanizzarsi, ma intanto, nell’interno di questa pittura drammatica e nello stesso tempo di raffinata eleganza, si svolge una moderna gigantomachia. È una specie di gioco crudele ed a tratti erotico tra il passato ed il presente, tra la seduzione e l’inganno. Le sue figure sono in lotta contro il destino. Vi sono nei suoi quadri molte ali, ma dove veramente conducono? Sanno ancora volare? Le sue storie si svolgono probabilmente su un palcoscenico immaginario, ma d’altronde oggi la terra non è un’infuocata rappresentazione scenica e reale del male? La pittura di Moreno Bondi crea immagini fantastiche che sarebbe riduttivo chiamare soltanto metafisiche, immagini un po’ allucinate, travolte da una profonda emozione, oniriche e reali, come se la pelle dei suoi personaggi fosse cosparsa di profumi e di veleni. Possiamo dire che questa pittura è anche violenta? Lo è nel senso che rifugge dalla tranquillità e vuole

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Ebe cerca se stessa olio su tela, 140 x 100 (1999)



essere a tratti rissosa. Vuole forse scandalizzare in un’epoca dove spesso la pittura è un po’ troppo facile, un po’ troppo evanescente, non vuole responsabilità. Anche questa esposizione, dopo molte altre in giro per l’Italia, è stata soprattutto costruita dall’ostinata volontà di un artista che non ha paura di buttare le sue immagini nel tumulto del mondo. Janus (da ARTE IN, n. 91 Giugno-Luglio 2004)

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L’ombra scolpita olio su tela, 120 x 130 (2003)



Riflessione sulla condizione dell’uomo e dell’arte di

EGIDIO MARIA ELEUTERI

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L’ombra scolpita (particolare)



“L’Arte oltrepassa i limiti nei quali il tempo vorrebbe comprimerla, e indica il contenuto del futuro” (Vasilij Kandinskij, Punto, linea, superficie). Rapportarci all’opera di Moreno Bondi induce, inevitabilmente, a una profonda riflessione sintomatica sulla pittura dei grandi Maestri del passato. Nelle sue straordinarie tele, infatti, distinguiamo immediatamente tutta una serie di riferimenti alla storia della grande pittura: la fucina della ricerca e della sperimentazione artistica che dal Rinascimento in poi ha caratterizzato l’ascesa della storia dell’arte come oggi la conosciamo, la studiamo e l’ammiriamo. Di lui, tuttavia, stupisce in primo luogo l’abile maestria del tratto e della pennellata. Moreno Bondi è docente di Tecniche pittoriche presso l’Accademia di Belle Arti di Roma: ha dunque alle spalle un’esperienza professionale di lungo corso, puntualmente affinata con la pratica di laboratorio, con lo zelo dell’esercizio, col crescente perfezionamento della ricerca dei pigmenti e dei colori. Osservare le sue opere significa innanzitutto constatarne il pregio indiscutibile della fattura: il gesto creativo preciso e sicuro, mai cedevole; la misura nel dosare l’intensità cromatica e l’equilibrio che sottende ogni composizione, dalla più lineare alla più complessa. Il prezioso scrigno di questa pubblicazione vuole offrire una panoramica esaustiva dell’impegno e dell’autenticità dell’artista a testimonianza di un percorso espressivo sempre emozionale e coinvolgente, mai confinato nella replica di mestiere

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Omaggio a Sheakespeare olio su tela, 120 x 210 (2004)



e nella sola esibizione del talento. Percorrendo le opere una per una - basti citare “Donna scolpita”, ò “Alba ad occidente”- scopriamo un “Poseidòn”, mondo, torniamo a meditare sulla molteplicità di aspetti che concernono la mitologia, i misteri insondabili del passato, della storia, dell’arte. Ma quella di Bondi non è una pittura tradizionale tout court: egli adotta spesso soluzioni stranianti, come certi avvicinamenti di sapore simbolista. Il soggetto in primo piano è sempre la figura umana, messa in relazione con una complessità di turbamenti interiori e vicissitudini. La sensibilità umana instaura un dialogo sofferto con la condizione esistenziale, restituendoci tutta la drammaticità dell’evento. Eludendo l’accademismo, Bondi offre al nostro sguardo una pittura autentica, colta, tecnicamente ineccepibile. Il dichiarato legame con la pittura del passato - e potremmo citare Guercino, così come Michelangelo e Caravaggio - non funge da limite, ma da trampolino verso la nostra più attuale contemporaneità. L’opera di Moreno Bondi deve considerarsi una coerente riflessione sulla condizione dell’arte e dell’uomo, in virtù della quale riesce a stabilire una sinergia con la sensibilità di chi si soffermi a guardare. Ognuno di noi ha una diversa capacità di lettura dell’opera d’arte. Generalmente l’osservazione di un dipinto genera nello spettatore sensazioni particolari, suggestioni, messaggi che fanno apparire

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Pegaso Interferenze olio su tela, 135 x 75 (2003)



un lavoro più interessante o piacevole rispetto ad altri. L’intensità dell’attenzione è il metro di giudizio (favorevole) riguardo all’artista. In altri casi il confronto non produce emozione alcuna: segno dell’incapacità di produrre o esprimere un valore che sappia sollecitare interesse. L’arte di Moreno Bondi conduce, invece, alla riflessione. Al centro delle sue opere vi è l’Uomo come primo essere del Creato ed immagine della grandiosità di Dio. Tuttavia la figura umana non celebra l’esaltazione della bellezza del corpo, bensì la sublimazione dell’anima e della creatività esistente in ciascuno di noi, ma che solo pochi riescono a far vivere e a trasmettere. Nelle sue tele egli raffigura i momenti più intensi e solenni di quelle emozioni che attraversano, lasciando traccia indelebile, la vita dell’uomo. Lo “stato ansioso” determinato da tali opere e sul quale Moreno Bondi costruisce il suo racconto pittorico, vive quella dimensione che va oltre la narrazione della modesta cronaca del quotidiano e rappresenta lucidamente il senso della storia. Egidio Maria Eleuteri

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Amore olio su tela, 140 x 120 (1998)



Come in uno specchio di

ANTONIO PAOLUCCI

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Amore (particolare)



Come in uno specchio. La pittura di Moreno Bondi fa pensare ad uno specchio che riflette le icone dell’arte antica. Solo che lo specchio è rotto. Riflette Michelangelo, Caravaggio e i naturalisti del Seicento in disarticolati frammenti. I quali si sovrappongono e si dilatano per anamorfosi. Succede come quando si getta un sasso in una superficie acquatica perfettamente immobile nella quale si rispecchiano gli alberi, le nuvole e il cielo. L’unità della visione si rompe, alberi nuvole e cielo mossi dalle onde concentriche provocate dal lancio del sasso, si agitano, si dilatano, si sovrappongono. Moreno Bondi ha dedicato anni allo studio delle tecniche pittoriche tradizionali. Conosce come nessuno il mestiere dei maestri dei grandi secoli e sa replicarlo con sapienza mimetica assoluta. Ma l’ordine antico (e cioè il sistema di valori che c’è dietro a una pittura di Caravaggio o a una statua di Michelangelo) quello non può trasferirlo nei suoi quadri, perché si tratta di un ordine che non appartiene più al suo e al nostro tempo. Se lo facesse, se tentasse di organizzare i suoi quadri secondo l’ordine antico, non sarebbe più un pittore ma un copista o un citazionista. Oppure, se l’ordine antico egli volesse studiare e approfondire in quanto fenomeno scientificamente dominabile, sarebbe uno storico dell’arte. Nell’un caso e nell’altro non un pittore.

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Interferenze olio su tela, 150 x 100 (2001)



Copista o Storico, quindi. Non se ne esce. Il dilemma stritola implacabilmente chi si pone davanti all’arte antica. Ma se uno è un artista, un artista vero come Moreno Bondi e quindi con talento, inquietudini, caparbietà e insoddisfazioni di artista, cosa succede? Cosa succede quando per dar voce al tempo presente interroghi, da artista, i capolavori del passato sapendo bene che in essi ci si può perdere come nello specchio di Narciso oppure che possono per sempre raggelarti come la faccia di Medusa? L’azzardo è grande, la via d’uscita è difficile. La selezione di dipinti introdotta dalle mie righe dimostra che l’azzardo può essere giocato con successo, che la via d’uscita è possibile. Per sfuggire all’incantamento bisogna rompere lo specchio, bisogna gettare un sasso nella fontana di Narciso. A pensarci bene è quello che ogni visitatore fa quando entra agli Uffizi o al Louvre. Il mondo antico vive dentro di noi perché noi siamo la nostra storia. L’arte del passato arrivata sino ad oggi e conservata nei musei, altro non è se non la storia che si è fatta figura. Tutto questo è vero. Però la storia presente, quella che siamo chiamati a vivere, è profondamente altra dalla storia che ha generato quei capolavori. Sistemi simbolici diversi la governano e ci governano. Ecco allora che le opere dell’arte antica, staccate dal sistema che dava loro significato, possono essere percepite solo per frammenti, per assemblaggi, per enigmi. Il turista

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Il castello dei destini incrociati olio su tela, 100 x 110 (2003)



che uscendo dal museo compra una cartolina con il dettaglio del quadro celebre opera una selezione, si riconosce nel frammento di uno specchio infranto. E non sa di portare con sé un enigma. Moreno Bondi invece lo sa. Sa che il mistero abita le grandi opere d’arte, che insondabili enigmi conducono Artemisia e il Centauro, un volto caravaggesco o l’ala d’oca di Gentileschi o del Cagnacci. Sa anche che è privilegio (e consolazione) dell’arte trasfigurare l’enigma nel sogno e nel mito. “I presagi non esistono. Il destino non ci invia i suoi araldi”. Fa bene il pittore a ricordarcelo citando l’aforisma di Oscar Wilde in epigrafe alla sua “Ultima Beatrice”. Non esistono i presagi e neppure è possibile decifrare con sicurezza i simboli. Che pure esistono tuttavia, sono i vessilli di un ordine sepolto, ma danno ermetiche risposte che rimandano ad altre risposte. Come ci fanno capire i soggetti rappresentati nei dipinti in esposizione. Grazie all’arte sono possibili, per nostra grande fortuna, l’evocazione mitica e il sogno. La pittura che qui si presenta è evocativa perché fa emergere quello che noi inconsapevolmente siamo (noi siamo gli antichi quadri e le antiche chiese... nessuno ai nostri giorni lo ha capito bene come Pierpaolo Pasolini) ed è onirica perché ci offre l’occasione (le infinite occasioni) del sogno. Che è assemblaggio anamorfico di figure conosciute, però decontestualizzate e ondivaghe nel quadro dello spazio-tempo. Per me, storico dell'arte, la pittura di

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Il silenzio dell’ombra olio su tela, 100 x 110 (2003)


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