Il Mosai K o i
Il Mosaiko cammina con le sue gambe... Il Mosaiko Kids è diventato un mensile indipendente ed è possibile riceverlo tramite abbonamento annuale, richiedendolo al seguente indirizzo: Favolarevia Editore via C. Alberto, 13 15053 Castelnuovo Scrivia (AL) - Tel. 0131 856018
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Anno 2 - n° 2 - febbraio 2005 Aut. Tribunale di Tortona N° 2/04 reg. periodici del 22/09/2004 Proprietà ed Editore: Favolarevia, via C. Alberto, 13 - Castelnuovo S. (AL) Periodico mensile Direttore responsabile: Antonella Mariotti Stampa: Dieffe - v.le Scrivia, 18 - Castelnuovo S. (AL)
Prosegue grazie al Comune di Tortona il progetto del Mosaiko contro le tossicodipendenze
Stupefacente è solo la nostra creatività Mimma Franco
Tr e s t o r i e ( v e r e ) d i o r d i n a r i a f o l l i a
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l progetto contro le tossicodipendenze presentato a Firenze dalla redazione del Mosaiko Kids trova consenso e appoggio anche a livello istituzionale: il Comune di Tortona ha deciso di patrocinare e sostenere finanziariamente le iniziative previste per il 2005/2006. Prende il via, dunque, la prima fase del progetto: la realizzazione di un Concorso Nazionale per la scelta di una immagine e di una frase da utilizzare come simbolo della campagna. I dettagli del concorso, rivolto alle scuole medie e superiori, saranno resi noti nelle prossime settimane; fin da ora, però, sentiamo il bisogno di ringraziare il Sindaco per la grande sensibilità dimostrata, dote da apprezzare doppiamente in questi tempi sotto ogni profilo difficili. Così come ci ha colpiti la disponibilità della dott.sa Luisa Iotti, attenta a non far mancare ai ragazzi né un consiglio prezioso, né la possibilità di utilizzare spazi e attrezzature della Biblioteca Comunale. Per gli affezionati al nostro giornale, categoria immaginata con un trasporto tale che almeno venti persone dovranno commuoversi, aggiungiamo che proprio in Biblioteca sarà possibile trovare a fine anno la raccolta dei dodici numeri rilegati.
Silvia Pareti
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è qualcosa di strano nell’aria, anzi di familiare, come la sensazione fresca della tela grezza delle lenzuola fatte a mano dalla nonna, come il crepitio caldo della stufa d’inverno, come la fiamma ballerina e gommosa di una candela bianca, che sfoglia i corpi di luce e si sposta un po’ per catturarne d’un lampo il buio, come un’altalena di corda e legno appesa a un ramo. Ha il gusto di un ricordo ritrovato, di un senso che si risveglia timido dopo lunghe offese e si rischiude un mondo fatto di sensazioni piene, il mondo degli odori. La luce dei riflettori impazziti che ti urlano addosso colore non è più un fascio delineato nel fumo, si riversa impalpabile nell’aria nitida, ...ma non sembra sfugio gente. Ma non è questo che colpisce, non è il fumo che manca nell’aria, snebbiata e tersa, non è quello che ha smesso di pun-
zecchiarmi gli occhi, non è nemmeno quello che non mi secca più la gola. Quello che è cambiato e che avvolge tutto di un’aura strana, è l’odore ritrovato, quello che il fumo che si im-
sano accanto. Sanno di alcool, di smog, di sudore, di shampoo alla camomilla o bagno doccia allo zenzero, di fritto, di plastica, di nuovo o di canfora, di caffè e di vernice, di bosco, di chiuso,
Marta Lamanuzzi
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on vostra nonna non vi annoierete mai. Avete presente quei momenti di disarmante ed inquietante silenzio che a volte si verificano quando dialogate con qualcuno? Tranquilli: insieme a lei non vi capiterà mai. È più preparata del classico secchione che studia tutto a memoria, più sofisticata del più moderno registratore digitale che manda avanti un discorso a velocità supersonica ed è più scattante di un piranha nel saltare di palo in frasca. Da quando mette piede sulla macchina per andare a fare la spesa a quando scende, circa tre minuti dopo, riesce a cambiare discorso venti volte, quando non è molto in forma. Senza valutare il tasso di interesse dei suoi argomenti, si premura di informarti del litigio in corso tra la sorella del marito della sua amica
Illustrazioni di Martina Delfanti
mai vista né sentita e l’otorinolaringoiatra, dell’avvincentissimo dibattito scientifico che ha avuto la mattina stessa con la fruttivendola a proposito dell’effetto lassativo delle prugne, della tragica morte dell’ultracentenario conoscente dell’amante dell’ex estetista dell’amministratore, dell’ultimo sviluppo della relazione tra uno stilista sconosciuto e il fidanzato di sua nipote. Ovviamente risparmia qualche secondo per descriverti gli sguardi e i monosillabi più salienti dei dodici minuti intervallati da cinque pubblicità dell’odierna puntata della sua soap opera preferita. Una volta tornati a casa così arricchiti di nozioni, praticamente onniscienti, credete che le vostre orecchie, svanendo pian piano il senso di brusio, vengano lasciate in preda alla solitudine sonora? Allora non la
conoscete proprio. C’è il telefono per tenervi compagnia fino a sera!
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on soffrite affatto di monotonia alimentare, vostra madre è una cuoca molto fantasiosa. Ne sa una più del diavolo! Si sbizzarrisce sia negli acquisti, sia nelle proprie creazioni. Il suo atteggiamento nei supermarket suscita stupore e solidale ammirazione in chiunque la osservi. Spinta da caritatevole compassione, getta nel carrello, con fierezza e disinvoltura, i più rari alimenti integrali, biogenetici ed omeopatici, che tutti ignorano o discriminano, perché non hanno la più pallida idea di cosa siano e ne sono anche decisamente spaventati. Così quando gustate un ottimo riso nero all’aroma di legno o una pregiata zuppetta sintetica
a pag. 2
Barbari extraterrestri o giovani alla riscossa
ecco chi siamo (forse...) Simona Lucarno
D possessava del mio olfatto, che martellava le cavità nasali di un’unica sensazione
di fragole, di zucchero o disinfettante, di crema all’avena, di lacca, d’agrumi, di puzza di piedi, di mi tolga il profumo della vita, cavolo o gomma da masticare, di non voglio perdermelo. aglio, frittelle, di cane fedele, di olfattiva, finché tutto aveva sangue, d’amore, di polvere quell’odore e forse anche o terra, di detersivo alla laquel gusto, mi ha restituito. vanda o infuso di tiglio, di E mi verrebbe da festeggiare segue a pag. 6 con tutti quelli che mi pas-
ice Socrate “I giovani amano il lusso, hanno cattive maniere, deridono l’autorità e non hanno rispetto alcuno per l’età”. Nonostante l’attualità del pensiero del filosofo greco, così nel V secolo a.C. come nel XXI, i giovani – ma è così per ogni fascia
d’età – non possono essere considerati un fenomeno di massa. Se ai tempi di Socrate le tendenze giovanili erano considerate negative proprio come oggi, né ora né 2500 anni fa si è preso in considerazione ciò che di positivo sicuramente c’è dietro questo luogo comune. Che tanti ragazzi abbiano atteggiamenti anticonformisti, di ribel-
lione nei confronti della società, che pensino solo all’apparenza e che rispettino i loro nonni solo per la mancia che “sganciano” ogni tanto non si può totalmente negare. Ma se questa tipologia ricoprisse il 40% della popolazione giovanile – forse anche più – un altro 40% - forse anche meno – sarebbero a pag. 2
Quel mistero impenetrabile del tricolore a pag. 6
2 Tr e s t o r i e ( v e r e ) d i o r d i n a r i a f o l l i a segue dalla prima (Lamanuzzi) inodore e incolore, ma dal sapore rivoltante, pensate che state contribuendo alla salvaguardia di una specie che altrimenti andrebbe in estinzione. Non vi sentite un po’ degli eroi? E poi un pizzico di originalità non guasta mai. Chi ha detto che l’uovo intero, con il tuorlo ben distinto dall’albume debba comparire solo nella torta Pasqualina? Basta alterare un po’ le dosi ed evitare di mescolare e vostra madre ve lo farà trovare, come per magia, anche in una paradiso. E che cosa c’è di più stimabile del risparmio? Se, con la sua mente geniale, la vostra cuochina riesce a ottenere, invece di comprarli, degli pseudo-canditi facendo cuocere una torta in
modo che rimangano dei grumi crudi di impasto, avete ancora da lamentarvi? Tenetevela stretta!
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a vostra passione calcistica vi ha spinti a giocare in una squadra giovanile. Infondo l’unico, piccolo, insignificante sacrificio che la cosa vi richiede è quello di svolgere quattro estenuanti allenamenti alla settimana in qualunque condizione atmosferica. Vi allenate sotto il sole cocente, con la neve fino alle ginocchia, piacevolmente solleticati da una violenta grandinata, appena scompigliati da bufere e tornadi, lievemente infastiditi da qualche terremoto ...ora non esageriamo. Comunque questi alle-
namenti non vi fanno sentire disoccupati nemmeno durante le vacanze scolastiche, vi allieteranno ad esempio fino al 30 di dicembre e subito a ripartire dal 3 di gennaio, anzi in questo periodo l’impegno giornaliero raddoppia: mattino e pomeriggio, pensano proprio a tutto quei premurosi dei vostri allenatori! E la vostra fortuna potrebbe non essere finita qui. Pensate che coincidenza perfetta se vi ammalaste proprio in quei tre giorni consecutivi di libertà che vi sono concessi. Non sareste contenti? Invece di dover saltare allenamento al limite passereste capodanno a letto. Che volete che sia. In tal caso sareste proprio nati con la camicia!
Barbari extraterrestri o giovani alla riscossa? segue dalla prima (Lucarno) ragazzi consapevolmente alla ricerca di valori, di ruoli. Il restante 20% andrebbe diviso tra chi i valori li ha già tutti trovati e fatti propri e chi non ne troverà nessuno, in entrambi i casi quasi utopia. Allora è vero dire che la maggioranza non ha scopi, qualcosa lontano dalla futilità del consumismo in cui credere? Domanda retorica, la risposta è no. I ragazzi sono tutti alla ricerca di valori, solo che tanti non ne sono consapevoli. Alle domande, come sono i giovani? Cosa vogliono? Come fare a risolvere i loro problemi? Sono certamente i giovani i primi a dover rispondere. Gli adulti non devono avere la pretesa di capire o credere di capire quali sono i problemi giovanili. Prendere decisioni senza prima chiedere ai diretti interessati, giudicandoli “non in grado” di scegliere o sopportare responsabilità. Questo accade proprio per la convinzione che nei ragazzi si possano trovare solo disvalori, vite sregolate, slegate da doveri e obblighi. Ma se si parlasse direttamente con loro, si scoprirebbe e capirebbe una realtà ben diversa che abbatterebbe ogni tipo di pregiudizio o “super-
stizione”. Dietro una facciata di superficialità, che non sempre comunque si trova, vi sono delle persone come le altre, con le proprie idee, i propri bisogni e i propri impegni. I ragazzi sono i primi a volere delle leggi, per avere dei punti sicuri su cui fare affidamento per la propria crescita, difficile quanto fondamentale per il futuro. Leggi da seguire, non sempre da infrangere, leggi da migliorare. Oggigiorno il giovane e i suoi problemi sono sezionati in tante categorie e ogni singolo pezzo del puzzle affidato ad un adulto specializzato solo in quella precisa tessera. Sei un teppista? Vai da quello specialista; sei un tossico? Vai da quell’altro; sei introverso e hai problemi famigliari? C’è quello che fa per te. E così le tessere si spargono un po’ qua, un po’ là e rischiano anche di perdersi. Ma come si fa da una singola tessera a capire quale sarà l’immagine del puzzle? Ci vogliono 100, 500, 1000 piccoli frammenti da far combaciare alla perfezione per capirlo. Il ragazzo è un puzzle. Allora come fare ad afferrare il suo essere globale quando se ne prendono in considerazione aspetti frammentati senza metter-
li in relazione? E’ come aprire dei cassetti: in uno trovi la biancheria, nell’altro una maglia, in un altro ancora un paio di jeans, c’è poi quello degli accessori…ma se non li apri tutti, come fai a vestirti? Non bisogna considerare i giovani come una serie di problemi a sé stanti, che contengono direttamente in sé la soluzione. Essa infatti va cercata nell’interazione, nel confronto all’interno e fuori dal ragazzo; va considerato il suo habitat ed è lì la risposta. L’uomo è un essere sociale, ha bisogno della comunità – lo diceva anche Aristotele. Ed è per questo che sono nati i primi villaggi, poi le città. Non bisogna dunque estrarre l’uomo da quello che è il suo personale contesto. E’ vero che i giovani devono essere sostenuti, ma non invasi. Perché i giovani “sanno”di essere grandi abbastanza per capire e agire in determinate situazioni. Non dite mai ad un ragazzo – eccezioni a parte cosa deve o non deve fare: ditegli solo di essere prudente. Qui è anche l’orgoglio a giocare la sua parte, ma è sbagliato soffocare lo spirito di indipendenza, la voglia di confrontarsi con la vita. Vi deve essere un supporto, un tappeto
elastico che attutisca la caduta, non una gabbia. Si crede poi che i ragazzi non abbiano aspirazioni né sogni – i ragazzi stessi spesso lo credono; nulla di più sbagliato. I giovani vogliono rendersi utili, vogliono avere voce in capitolo, vogliono un impegno nella società, sono come un vulcano di idee che cerca solo chi li ascolti, chi si appassioni e creda in loro, chi possa dare un aiuto concreto alla realizzazione dei loro progetti. Confrontarsi, relazionarsi. I problemi giovanili sono anche quelli degli adulti e viceversa. Fare proprie situazioni che non ci riguardano personalmente è molto importante, anche se difficile o poco accattivante. Ma saremo gli adulti del domani, gli anziani del domani o siamo stati giovani. Ecco perché i problemi sono quelli di tutti: se non lo sono direttamente oggi, lo sono stati o lo saranno. Nell’interazione c’è la soluzione.
Così quello che prima era un problema, ora diviene risorsa, fonte di risposte geniali e inaspettate a domande martellanti da cui non si trovava tregua. Scoprire cosa di positivo c’è nell’altro è il mezzo migliore per imparare ad apprezzarsi davvero, senza la presunzione di ritenersi migliori. L’importante è dunque non considerare le singole fasce d’età come cassetti chiusi, ma piuttosto come lo scorrere di un fiume o come un film. Indicativo a riguardo il confronto tra il pensiero di Socrate e quello di un altro filosofo greco, Eraclito: il panta rei, ovvero “tutto scorre”. Questo concetto non era diretto al “problema giovanile”, ma è comunque efficace l’immagine del divenire. Valori e disvalori sono della società, non di chi li rispecchia. La società ama il lusso, deride l’autorità, non ha rispetto e usa cattive maniere; non i giovani o gli adulti o gli anziani. La realtà
in cui l’uomo si inserisce lo influenza irrimediabilmente. E la società è la stessa per tutti. Alla luce di ciò, anche delle mie personali esperienze, i ragazzi si impegnano assiduamente per la vita e non credono solo nella borsetta trendy o nella moto da urlo o nel locale da sballo. C’è bisogno di riscoprirsi, anche tra giovani, per prendere maggiore coscienza della propria individualità e unicità, constatare che tutti abbiamo pregi e difetti e che nessuno è perfetto come tiene a far apparire. Occorre abbattere ogni barriera di ostilità con cui troppo spesso ci si circonda. Ma di moralismi se ne sono già fatti fin troppi…in fondo, non ci si può veramente credere se non si è già convinti nel profondo…certo dialogare, essere sinceri o perdere la propria idea di superiorità non è così facile quanto puntare il dito senza chiedersi e chiedere, perché?
Dalla nostra inviata in Nuova Zelanda *
C’era una volta...la terra delle fiabe Anna Baiardi
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i e’ voluto più di un giorno e mezzo per raggiungerla, tra attese in svariati aeroporti di diversi continenti ed effettive ore trascorse sugli aerei, ma ne e’ valsa la pena! E poi e’ bastato poco per dimenticarsi della stanchezza del viaggio: appena atterrata ad Auckland, sentivo gia’ di respirare un’aria nuova, di liberta’ mista a nostalgia... In fondo, la Nuova Zelanda e’ esattamente dall’altra parte del mondo ed e’ strano trovarsi qui, stanca e sola in un paese sconosciuto, davanti a me 6 mesi, un futuro sconosciuto. L’impatto e’ stato forte: sembrava di trovarsi su una di quelle isole deserte descritte in certi libri o ricostruite in certi film. Alberi tropicali anche se non ci troviamo ai tropici e soprattutto i colori: certe tonalita’ di verde e di azzurro cosi’ intense che potrebbero diventare lo sfondo perfetto per una fiaba. La giusta dose di magia e quel tocco di sconosciuto che ti danno la carica giusta per affrontare una nuova avventura! La prima impressione e’ stata nettamente positiva: mentre durante il viaggio riesci solo a pensare a quello che stai lasciando e non sai cosa ti aspetterà, una volta arrivata tutto sembra più chiaro... Ma, ritornando alla descrizione del luogo: la natura domina, e non e’ solo una frase fatta, qui la prima cosa che si nota e’ lo stretto legame esistente tra la popolazione umana e il paesaggio circostante. I neozelandesi - chiamati anche Kiwi, in onore della pianta e dell’uccello che portano lo stesso nome - sono un popolo divertente e ospitale, geloso delle proprie tradizioni, ma desideroso di conoscere ciò che appartiene ad altre culture. Forse a causa dell’adattamento forzato ai costumi occidentali che hanno subito in passato, oggi sentono un forte bisogno di salvaguardare le proprie origini, e un fatto curioso che lo dimostra è la cerimonia di benvenuto per i nuovi studenti nelle scuole, che avviene seguendo un rito maori. I Maori, etnia indigena che costituisce circa un terzo dei neozelandesi, vivono in perfetta sintonia con la restante parte della popolazione ed è bello vedere come tutti partecipino con trasporto ai loro riti. A facititare la mia integrazione nella scuola è la voglia di conoscere di questa popolazione; inoltre qui è estate e vi è la possibilità di cimentarsi nelle attività piu’ disparate, come il rock climbing, il surf, il kajak, il bunji jumping...ovviamente non ho ancora provato tutto questo essendo qui da sole due settimane, ma non voglio perdere nessuna occasione! Ma lo spettacolo piu’ bello a cui finora ho assistito in Nuova Zelanda è successo una mattina in cui mi sono alzata prestissimo per una gita in montagna, e all’improvviso mi sono resa conto che era l’alba: una tavolozza di colori dall’arancione acceso al rosa più tenue, che mi ha letteralmente tolto il fiato...A quel punto il sonno se ne era andato completamente dalla mia mente, lasciando spazio soltanto alla magia.
*Anna Baiardi si trova in Nuova Zelanda per motivi di studio. Un grande “in bocca al lupo” da tutta la redazione...
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La Guerra Santa Livia Granata
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nno del signore 1099. Il sole che rischiarava la piana antistante le mura di Gerusalemme rendeva impossibile la marcia dei soldati di Cristo, che dopo infiniti giorni di cammino erano finalmente giunti in vista delle alte mura della città sacra. I caldi raggi del tardo pomeriggio si riflettevano senza pietà alcuna sull'elmo di Jacques, umile fante originario di Clermont-Ferrand, ma la fatica non sembrava pesargli, «la fede è la tua forza…la fede è la tua forza» continuava a ripetere fra se e se, gli occhi affissi sul profilo della imponente cinta muraria che contornava Gerusalemme che andava ora lentamente palesandosi, non gli sembrava vero: doveva essere un miraggio, o uno scherzo giocato agli eserciti del Cristo da Satana in persona per farli desistere dal loro intento…tuttavia tutti concordavano nel dire che quella era davvero la Città Santa, e che all'imbrunire del 7 giugno si sarebbero finalmente accampati ai suoi piedi. Mille ricordi e mille pensieri affollavano la mente di Jacques, mentre con orgoglio pensava a come sarebbe stato fiero il suo povero padre, che Dio l'abbia in gloria, nel vederlo ora, mentre marciava al fianco del grande Goffredo, lui un povero contadino di provincia, che come tanti simili a lui avrebbe dovuto passare l'intero resto della sua vita a spaccarsi la schiena nei campi, vivendo dei pochi frutti che avrebbe potuto ricavare da quel fazzoletto di terra che possedeva: ma il Signore era accorso in suo aiuto, ricordava ancora come se fosse ieri il giorno in cui aveva udito il sermone tenuto dal Santo Padre Urbano, proprio nella sua città, a Clermont-Ferrand, anche se erano già trascorsi due anni da quel fatidico giorno. A dire il vero non aveva capito molto di quel discorso, solo qualche parola qua e là, ma del resto lui non era una studioso, non sapeva né leggere né scrivere…e il Pontefice aveva usato tanti termini latini…ma comunque, stando a quello che era riuscito a comprendere, gli infedeli si erano impossessati del Santo Sepolcro, (con l'aiuto del demonio certamente, altrimenti come avrebbero mai potuto impossessarsi di un luogo così sacro?) e ne vietavano l'accesso ai pellegrini cristiani: bisognava liberarlo, e con esso bisognava liberare anche Gerusalemme, da troppo tempo preda dei barbari. Quando udì ciò Jacques, in un istante, capì qual era lo scopo per cui era stato creato: era nato per difendere il Sepolcro, doveva arruolarsi ed intraprendere la spedizione militare più grande che si fosse mai vista, nel nome della Croce avrebbe liberato i territori conquistati, e sotto i Santi Vessilli avrebbe portato la pace. In quei due anni passati a combattere nell'esercito Jacques, però, di pace ne aveva vista ben poca: aveva visto solo morte e disperazione, ma lui non se ne preoccupava, i molti predicatori, uomini di Dio, che si erano uniti alla spedizione dicevano che faceva tutto parte di un progetto divino troppo grande ed incompresibile anche agli uomini più grandi, figurarsi ad un povero villano come lui. In qualche modo era sopravvissuto alle varie battaglie che si era trovato ad affrontare, Dov'era la pace? Intorno a lui Cristo l'aveva aiutato e Jacques perciò contic'era solo morte… Era forse nuava a marciare tranquillamente, sorretto quello il glorioso piano del da una incrollabile fede che mai gli era veSignore? nuta meno, confidando che quando sarebbero giunti innanzi a Gerusalemme i Cieli si sarebbero aperti e le stesse Schiere Celesti sarebbero discese e si sarebbero schierate al fianco dei Crociati . Bene, ora era innanzi a Gerusalemme, e i suoi occhi continuavano incessantemente ad osservare il cielo che andava oscurandosi e il sole cocente che lentamente tramontava, ma le poche nuvole che si affollavano nell'ora del crepuscolo non davano il minimo segno di volersi aprire… Abbassò lo sguardo e lo riportò all'altezza del suolo, scuotendo un poco il capo, «Idiota cosa vuoi saperne tu dei progetti divini…se non si sono ancora visti Angeli guerrieri guidati dall'Arcangelo Michele in persona è perché probabilmente non è ancora giunto il momento giusto». Così pensava mentre, insieme a tutti gli altri, si accampava innanzi alle mura di Gerusalemme… certo che doveva essere proprio una bella città, con delle mura così alte… che meraviglia… ed era in mano a quei
barbari incivili, quale onta per tutta la Cristianità! Bisognava liberarla al più presto. Jacques attendeva ancora che i cieli si aprissero per lasciar discendere gli Angeli quando, la sera del 4 luglio, i rinforzi inviati da Genova arrivarono, dando il loro contributo alle forze già presenti sul campo. Vi era grande eccitazione nell'esercito per quel provvidenziale arrivo: Goffredo aveva infatti dichiarato che quando sarebbero giunti i rinforzi italiani finalmente avrebbero attaccato Gerusalemme, ed ora erano arrivati: il grandioso piano progettato dal Signore stava per prender forma, domani, il 5 Luglio anno Domini 1099, gli infedeli sarebbero capitolati. Tuttavia Jacques nella presa di Gerusalemme non aveva visto nulla di glorioso, ovunque vi eran solo urla e pianti: quelle dei terribili infedeli, che combattevano con tutto il coraggio di cui disponevano per ricacciare oltre le mura le schiere cristiane, quelle dei bambini strappati alle madri che venivano trucidate, quelle dei suoi commilitoni che cadevano sotto i colpi inferti dalle spade nemiche, quelle dei cavalieri che ordinavano l'attacco, quelle dei feriti, strazianti lamenti che sembravano dilaniare l'animo e quelle dei moribondi, di ambo le parti, che si innalzavano al cielo, ognuno invocando il proprio Dio, nell'istante che precede l'eterno silenzio. Tutto gli sembrava confuso, camminava per le strade di quella città che avrebbero dovuto liberare e che invece sembravano volere distruggere, urlava anche lui forse, voleva andarsene… non capiva… non erano lì per portare la pace? Dov'era la pace? Intorno a lui c'era solo morte… era forse quello il glorioso piano del Signore? Far sì che gli uomini si uccidessero fra loro, così da epurare l'intera razza umana? No, no, no… non poteva essere così… Gli occhi continuavano a guardare il cielo, aspettando la venuta di quegli angeli che nella sua vita terrena non vide mai. Continuava a camminare, spinto dalla disperazione, in balia della violenza e dell'orrendo massacro che si stava compiendo… la vista gli si appannò, le lacrime cominciarono copiosamente a scendere dai suoi occhi stanchi di tanta crudeltà… cadde al suolo, si inginocchiò e guardò ancora il cielo, urlò, voleva delle risposte… quella non poteva essere la volontà divina, quella era solo la volontà degli uomini… era così, doveva essere così. Ma se era così perché il Signore non li fermava? Perché il Signore non stendeva la sua onnipotente mano e con un semplice cenno d'essa metteva fine al conflitto? E perché gli infedeli erano infedeli e barbari? Lui poteva solo scorgere persone esattamente identiche a lui, che sanguinavano e urlavano come lui e combattevano per la propria salvezza, non erano diversi l'uno dall'altro, perché si facevano allora la guerra? Mentre si disperava riverso al suolo non si rese conto di quell'infedele che avanzava nella sua direzione, disperato come e forse più di lui, e della spada che brandiva agitandola sopra la sua testa… fu un attimo e tutto finì, il dolore cessò e le urla strazianti finalmente parvero acquietarsi, i canti degli angeli, sì, quelli erano davvero angeli, ne era sicuro, riecheggiarono nella sua mente sofferente e poi calò il silenzio, dolce come non mai, e tutto si fece buio…ma Jacques non seppe mai perché quel massacro veniva chiamato “Guerra Santa”.
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M U S I K A N D O Janis Joplin Livia Granata a prima autentica femminista nella storia del rock. E con un'ugola da brivido. Janis Joplin, voce raucoblues-miagolante e supersexy, rimarrà per sempre nella colonna sonora ideale dei Sixties: emotiva ed energica al tempo stesso. La sua parabola musicale e personale la colloca tra gli eroi maledetti della grande stagione del Rock'n'Roll. La carriera solista, breve (negli anni) ma fulminante (nelle vendite), incomincia sul finire del decennio '60, quando la cantante lascerà la band dei Big Brother, inaugurando una serie di performance che passeranno alla storia. Il più grande merito di Janis Joplin è comunque di natura "sociologica": è Janis che ribattezza il ruolo della donna nella cultura rock, è Janis che inaugura l'immagine della cantantessa sexy e sfrontata su e giù dal palco ed è proprio Janis che inventa quell'incredibile stile vocale rauco & elettrico, clonato milioni di volte nei decenni seguenti, da Melissa Etheridge ad Alanis Morissette, da (perché no?) Steven Tyler ad Axl Rose Ma dove affonda le radici Janis Joplin? A Port Arthur, la
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piccola cittadina texana dove nasce (19 gennaio 1943), cresce e dove sviluppa l'insofferenza verso ogni ambiente conservatore che sarà il suo eterno marchio di fabbrica. La musica è una via di fuga per la cantante: fin da ragazza inizia a strimpellare blues e folk per fuggire lontano da questo ambiente che le trasmette solo oppressione e contraddizione. Non è certamente una novità per gli Anni '60, se ne incontravano tante di persone così: infatti nel cammino di Janis ci imbattiamo anche in un certo Jorma Kaukonen, che più avanti diventerà chitarrista dei Jefferson Airplane. E Lady Janis sarà sempre una ragazza problematica: bruttina e sgraziata, si porterà dietro questo complesso di inferiorità che, a contatto con lo scintillio dello showbiz, sarà una delle cause della sua discesa autodistruttiva verso gli inferi. Alcune registrazioni del periodo degli esordi (inedite fino alla morte della nostra) documentano il debito di Janis nei confronti della grande Bessie Smith, ma dimostrano anche che la cantantessa aveva già le carte in regola per vantare uno stile personale ben prima del sodalizio
col gruppo che poi la lancerà nel firmamento rock, Big Brother & the Holding Company. Attirata dal richiamo della hippy revolution, nel 1966 Janis si trasferisce a San Francisco (c'era già stata prima, ma di passaggio) ed entra nella band (dal sound molto psichedelico, in linea con la Città dei Fiori). La sua voce è qualcosa di veramente eccessivo e i primi mesi sono sufficienti a regalarle il passaporto per la notorietà planetaria. Anche a dispetto dei musicisti e del materiale: tutti e due non sempre su livelli ottimali. Big Brother non è granché
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come band, tuttavia quella miscela di blues e psichedelia aiuterà Janis (non sempre lead-singer nei brani del gruppo) ad affinare lo stile solista che nascerà poco dopo: e sarà proprio lei a regalare al combo l'unico briciolo di celebrità. L'anno è il 1967, la canzone è "Ball and Chain" (forse la migliore performance di Janis, catturata su film) e la cornice è lo storico Festival di Monterey, in pieno clima Flower Power. Dopo il debutto su etichetta Mainstream, i Big Brother si legano al manager Albert Grossman e migrano alla Columbia. Janis esce dal gruppo immediatamente dopo la
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pubblicazione del secondo album, "Cheap Thrills" (che comunque si piazza al top delle chart nel 1968), per inseguire golosi presagi di gloria. L'inizio dell'attività da solista avviene con "I Got Dem Ol' Kozmic Blues Again Mama!", registrato assieme alla Kozmic Blues Band, un ensemble che comprende persino una sezione fiati e dove suona un transfuga dei Big Brother (il chitarrista Sam Andrew). Pur essendo un hit, "Kozmic Blues" non è la miglior prova della nostra: la Kozmic Blues Band suona sicuramente più pulita del vecchio gruppo, ma certe vibrazioni soul-rock e quell'atteggiamento un po' distaccato danno un'impressione di generale forzatura. Questo non impedisce alla nostra di incidere hit assolute: per esempio "Try (Just a Little Bit Harder)" e "Little Girl Blue", in cui la sua voce tocca corde inarrivabili di strazio e commozione. Dopo il debut-album, la carriera di Janis Joplin diventa un'amara altalena fra droghe, alcolismo e amori sbagliati che riempiranno le biografie dei successivi decenni. Strano, perché musicalmente le cose cominciano ad andare bene proprio poco prima del-
la morte: finalmente Janis trova una band di supporto più versatile, la Full Tilt Boogie Band, e ci fa l'ultimo disco: "Pearl", mirabilmente prodotto da Paul Rothschild, che aveva creato l'onirico e veemente suono dei Doors. L'album non convince appieno la critica: forse pecca in abrasività, tuttavia "Pearl" è la prova lampante della maturità raggiunta da Janis Joplin nell'ultimo periodo. Gli stili, una volta molteplici e sparsi, formano ora una miscela unica che è blues, è soul, è folk, è rock e non è nessuna delle suddette cose. È solo il Janis sound: e solo se ascoltiamo "Mercedes Benz", "Get It While You Can", e la versione di "Me and Bobby McGee" (hit presa da Kris Kristofferson, che le regalò il numero 1 postumo nelle chart) possiamo capire davvero quale fenomeno di sensualità musicale sia la Signora Janis Joplin. Janis Joplin viene trovata morta per un'overdose di eroina nella stanza di un albergo a Hollywood il 4 ottobre 1970: pochi giorni dopo uscirà "Pearl". La perla entra in circolazione, ma il gioiello... quello non c'è più.
m i n i a t u r a
Il carattere di mamma e papà Victoria Ferrari
Zineb Chabouni
classe 1° A
classe 5° C - Scuola Elemenatre M.M. Bandello, Castelnuovo Scrivia
scuola elementare
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M.M. Bandello Castelnuovo Scrivia
Carlotta Rubin classe 1° C scuola elementare M.M. Bandello Castelnuovo Scrivia
ella mia famiglia quello con il carattere forte è mio padre. Mio padre è molto severo e detta lui le leggi in casa mia; su quello che dice non bisogna discutere. Noi figli dobbiamo stare sempre sui libri per diventare ogni giorno più bravi. Egli per me e mio fratello ha grandi progetti. Non discutiamo perché lui deve sempre avere ragione ed è per questo che io dico tutto alla mamma. Una volta ho cercato di parlare con lui, mi sono presa una sgridata, sono andata a letto senza cena e lui ha tenuto il broncio per tre giorni. Quindi con lui parlo il minimo indispensabile. Mia mamma ha il carattere opposto di mio papà: con lei io riesco a dire tutto. Lei per me non è solo mia mamma, ma anche una amica e una sorella. E’ molto comprensiva perché ha avuto un’infanzia dura e allora a noi non fa mancare niente. Ogni tanto bisogna “contrattare”: se voglio uscire, ad esempio, dovrò aiutarla ogni volta che avrà bisogno del mio aiuto. Ai miei genitori voglio tanto bene e li rispetto moltissimo.
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Breve storia del fumetto da Tutankamon al secolo decimo nono
Vittorio Feltri: un direttore ed un uomo Davide Varni
Davide Varni
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onosciuto ed amato, ma allo stesso tempo snobbato da televisione ed intellettuali, il fumetto si prende la meritata rivincita. Ma prima di parlarne, è meglio fare un po’ d’ordine: ripercorriamo la storia del fumetto in un divertente riassunto. A voler cercare il pelo nell’uovo già gli antichi egizi si divertivano a disegnare, così come i babilonesi ed i romani. Anche se, per paragonare un muro scolpito ad un fumetto, è necessaria molta fantasia. Per cercare un documento cartaceo elevato al rango di fumetto bisogna balzare verso la fine del medioevo, dove, per inculcare ai contadini la buona novella, venne creata una bibbia basata sulle immagini, la cosiddetta “bibbia pauperum” molto più intensa ed immediata rispetto ad una pagina scritta piena di salmi in latino. Con l’invenzione della stampa si continuarono a preferire i libri, e bisognerà aspettare il Settecento per vedere, in Francia e in Inghilterra, delle vignette di satira di costume e di politica. Il primo, vero personaggio dei fumetti può essere considerato lo “Struwwelpeter”, più conosciuto in Italia col nome di Pierino Porcospino. Pochi anni dopo anche l’America cominciava a produrre fumetti. Non crediate che quei primi disegni avessero qualcosa di simile a quelli che leggiamo noi adesso. Il primo fumetto vero e proprio é nato da un’idea sviluppatasi nei primi anni del Novecento, e sfruttata quasi contemporaneamente dai due editori americani Hearst e Pulitzer, di stampare dei supplementi domenicali a colori. Proprio su uno di questi supplementari vide la luce Yel-
low Kid, poi importato in Italia dal “Corriere dei Piccoli”, anche se senza baloon. Negli anni venti, a fronte di numerose strip anche quotidiane che trattavano argomenti maturi, ci fu un’ondata di nuovi personaggi femminili, melensi e sdolcinati. Tra queste comparse risalta subito una figura maschile di marinaio nerboruto, burbero ma simpatico, che fa di tutto per salvare la bella Olivia. E’ proprio lui, Popeye o Braccio di ferro. Qualche anno dopo, il 5 maggio 1930 cominciano le prime avventure di Topolino e di quella che diventerà, negli anni successivi, la banda Disney. Lo stile era particolarmente elementare ed immediato, divertente ma troppo semplice. Così nel 1934 nascono i primi supereroi: Tarzan, Mandrake e il Principe Valiant. Adesso quasi tutti questi nomi sono scomparsi, e pochi ricordano questi personaggi così famosi un tempo. Ma tutto questo succede in America; l’Europa del disegno, nel frattempo, cosa produce? Nel 1929 nasce in Belgio il famoso Tintin, sconosciuto in Italia come fumetto, ma divenuto popolare con una serie di cartoni animati andati in onda fino a qualche anno fa (un secolo, ai nostri giorni!). Sempre in quel periodo fa la comparsa in Italia uno spilungone sempre vestito di rosso e così fortunato da vincere un milione ad ogni avventura. Stiamo parlando del “Signor Bonaventura, ricco ormai da far paura” creato da Sergio Tofano proprio in cui “se potessi avere mille Lire al mese” era l’aspirazione massima di ogni italiano. Ma una vera rivoluzione arriva nel 1938: è un uccello? E’ un aereo? E’ un razzo? No, è Superman, conosciuto in Italia con l’autarchico nome di “Ciclone” e poi Nembo Kid, anche se nessuno lo chiama più così da mezzo secolo. Nel 1939 vengono plasmati anche Batman, Wonder Woman e Capitan America. Il salto di qualità per la Marvel arriva nel 1950, quando Stan Lee comincia a lanciare supereroi meno stereotipati e perfetti, ma incompresi, scorbutici e rissosi, quelli che ancora oggi riscuotono il maggior successo, se non sulla carta stampata, almeno al cinema, come Hulk, Daredevil, gli X-men e Spiderman. Nello stesso periodo nascono
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Illustrazioni di Martina Delfanti
anche i Peanuts di Schulz. Anche la Francia, che fino ad allora non aveva produzioni di fumetti di alto livello, lancia due personaggi senza età: Asterix e Lucky Luke. L’Italia, comunque, non sta a guardare: nascono gli Sturmtruppen e, da un’idea di Sergio Bonelli e disegnato da Aurelio Galeppini, nasce il re del fumetto italiano, la cui fama è conosciuta ben oltre le frontiere, diventato un mito per molte generazioni. Stiamo ovviamente parlando di TEX WILLER, il pistolero mangiabistecche dal grilletto infallibile e dalla fortuna sfacciata. Visto il successo attenuto dal primo personaggio, quella che oggi è divenuta la “Sergio Bonelli editore” ha dato vita, negli anni ottanta, a Martin Mystère, il detective dell’impossibile, Dylan Dog, l’indagatore dell’incubo, e poi Nathan Never, Dampyr, Brendon e Napoleone per citarne altri. In questo sintetico riassunto della storia del fumetto mancano molte cose: oltre ai nomi dei disegnatori e degli sceneggiatori, indispensabili per conoscere un fumetto ma spesso sconosciuti, manca anche qualsiasi riferimento ai fumetti giapponesi, i manga. Il motivo è la mancanza di spazio, perché per la cultura del sol
levante i fumetti sono più di un passatempo, bensì un complesso fenomeno sociale che andrebbe analizzato con precisione. Dirò solo che i nipponici ci hanno dato i Transformers, Holly e Benji, Hamtaro, Doraemon, Dragonball, Detective Conan e molti altri, tutti nati prima come fumetto e solo in un secondo tempo diventati cartoni animati. La forma d’arte più conosciuta da tutti ha ormai cento anni: storie in carta patinata e doppiopetto, intense e ben sceneggiate, non meritano forse lo stesso riguardo che abbiamo per i nostri libri preferiti? Ai posteri (si fa per dire) l’ardua sentenza.
artedì 25 gennaio una delle più affermate e graffianti firme del giornalismo italiano (il Direttore di "LIBERO" Vittorio Feltri) è stato graditissimo ospite del CENTRO PAOLO VI di Casalnoceto per partecipare ad una conferenza/dibattito organizzata dal LIONS Club Tortona Host. Il tema proposto ("Solidarietà e mondo dei disabili") gli ha consentito di spaziare dalla disabilità alla salute, dagli sprechi sanitari al volontariato, temi forse non proprio abituali per un direttore di quotidiano. Egli stesso lo ha del resto ammesso, affermando candidamente, all' inizio della sua relazione, di arrivare "impreparato" all'incontro. Nonostante le reticenti affermazioni iniziali ha però "soggiogato" il pubblico con la verve, la disinvoltura e la brillantezza che tutti gli riconoscono. L'importanza dell' evento, che ha riempito all'inverosimile la sala congressi del PAOLO VI, ha comportato la partecipazione di alcune fra le maggiori autorità del tortonese. Al tavolo della presidenza erano presenti il Vescovo di Tortona Mons. Martino Canessa, il presidente del Lions Club - nonché membro dello staff medico del Centro - dr. Davide Liccione ed il Viceprefetto di Alessandria dr. Paolo Ponta. La testimonianza "dal vivo" che porto è però la mia: ho avuto il privilegio di incontrarlo prima del dibattito alla "Cantina Sociale" di Tortona ed ero un po' titubante, perché un Direttore è sempre un direttore e ognuno si fa un'idea del carattere di una persona anche da come scrive (adesso devo stare attento). Sapevate che gli piace il salame? Specialmente se accompagnato da un bicchiere di quello buono (ed entrambi a Tortona non mancano di sicuro; chiedere per conferma a Vittorio Feltri che si è portato a casa qualche "souvenir"). Si è anche dimostrato disponibile ad intavolare discussioni improvvisate, ed ha manifestato la volontà di conoscere meglio e con più calma il Tortonese. Dietro all'aria inflessibile che ha sempre mantenuto si è palesata anche una mente curiosa e avida di informazioni. Ma i colpi di scena non finiscono qui: infatti, il direttore di un quotidiano è prima di tutto un giornalista lui stesso e dovrebbe di conseguenza trovarsi più a suo agio dietro a un monitor o a una scrivania, che non a parlare invece davanti ad un uditorio gremito. E invece, ha tenuto una discussione ricca di mordente e senza mai cadere nel banale o nei luoghi comuni: anche la politica è stata tirata in ballo, ma in modo marginale anche se comunque graffiante. Il tema disabilità è stato poi solo un punto di partenza, per consentirgli di spaziare dalla "salute" alla "sanità" (una differenza sostanziale e non solo etimologica), dal sostegno che la Chiesa fornisce alle persone disabili al concetto orionino di "carità". Al dibattito hanno partecipato molte delle persone presenti con una raffica di domande che hanno trovato una puntuale (ma mai banale!) risposta da parte di Vittorio Feltri. La serata è stata saggiamente conclusa dal Vice-Prefetto dr. Ponta con un' interessante disquisizione sul concetto di "Stato" colto in tutte le sue molteplici sfaccettature. E adesso basta con i commenti, perché l'articolo è abbastanza lungo ed impegnativo e dubito che non saranno pochi coloro che, stravolti, hanno smesso la lettura qualche riga addietro con l'aggiunta di qualche epiteto poco gradevole nei confronti dell'autore. Desidero solo concludere dicendo che l'arrivo dei questo illustre ospite ha riacceso la questione che riguarda il PAOLO VI, istituto di prim'ordine che non ha pari in Piemonte per la riabilitazione extra ospedaliera e di cui parleremo ancora sul Mosaiko kids. E a tutti coloro che non hanno potuto partecipare alla conferenza dico solo che trovare una persona in grado di rendere appassionante un dibattito e di coinvolgere emotivamente i presenti è cosa rara.
k i d s
Daniele Accatino
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i chiamo DANIELE, ho undici anni e frequento la 1° B nella scuola media di Castelnuovo. Vado matto per il calcio ; infatti da due anni faccio parte della Castelnovese. Prima di andare all’ allenamento che si svolge il martedì e il venerdì sono sempre impaziente: i piedi mi formicolano, le gambe non riescono a star ferme, sono agitato, guardo continuamente l’orologio e poi… con un lungo anticipo sull’ora di ritrovo, mi avvio impaziente verso il campo dove finalmente mi posso sfogare, perché per me il calcio è uno sport bellissimo che mi da’ grandi soddisfazioni. In campo, specie durante una partita, non mi fermo mai, corro inarrestabile, sia in attacco che in difesa, sempre alla ricerca della palla- goal. Non sono un sognatore ma quando penso alla mia squadra del cuore, la Juventus, mi ritrovo spesso a fare sogni a occhi aperti: penso un giorno di diventare forte come Pavel Nedved e proprio come lui vorrei ricevere il” pallone d’oro” dalle mani di France Football, l’ inventore di questo ambito premio. Io sono sempre contento quando disputo una partita, anche quando perdo, perché un vero giocatore deve saper accettare anche la sconfitta. In questa rubrica, oltre al calcio giocato e ai calciatori- rivelazione del Campionato, si parlerà anche delle sensazioni e delle emozioni che questa magica sfera sa dare sul campo. Se qualcuno, appassionato di calcio come me, vuol farmi compagnia… si faccia avanti! CIAO!
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Bertoletti Claudio via Mazzini, 72 15050 Isola S. Antonio (AL) Tel. 0131/85.72.59 -cell. 3387592232
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K r i t i K a Quel mistero impenetrabile del tricolore Silvia Pareti
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he l'Italia non fosse un popolo di patriottismo sfegatato, l'avevamo capito, forse il fervore nazionale di tutti i tempi si è esaurito nell'intensità dello slancio risorgimentale, come un'unica grande fiammata. Anche le istituzioni se ne sono bellamente dimenticate, non se ne parla a scuola, ma nemmeno a casa, e le rare bandiere italiane che si vedono in giro fuori dai palazzi del potere, pendono spesso troppo stanche, così sporche e logore da fare pietà più che rendere orgogliosi e molti privati cittadini, preferiscono ai loro balconi appendere la ben più reperibile bandiera a stelle e strisce, spesso senza nemmeno sapere tutte le sfumature e ombre di quello che ha rappresentato per l'Italia, senza conoscere i retroscena meno piacevoli, accontentandosi di ostentarla come un simbolo alla moda di libertà e consumismo. Caro presidente Ciampi, a sentir battere nel petto il tricolore, mi sa che è rimasto soltanto lei ormai. Che le bandiere non sono che simboli, e rappresentano purtroppo anche le divisioni, le differenze che separano i popoli, è vero. Ma non è il nostro spirito di fratellanza, la nostra apertura verso l'Europa e il Mondo intero che ci spinge a trascurarla. Gli italiani, o per non generalizzare, molti di noi, sono da parecchio tempo affetti da esterofilia spassionata, quella che "all'estero è tutto meglio" (ad esempio ascoltare una canzone stupida in inglese non è come ascoltarne una stupida in italiano). Così che sfogliando un giornalino dell'Università di Pavia, mi imbatto in un interes-
sante articolo sulle bandiere del mondo, e uno studente che si definisce "un viaggiatore", passa in rassegna alcuni noti vessilli stranieri per raccontarcene la storia. Tutto a posto, se non fosse che l'articolo termina con una domanda rivolta ai lettori: ma qual è il significato e la storia di quella italiana? Se i nostri degni antenati risorgimentali sapessero che i loro bisnipoti, un po' meno degni, nemmeno sanno che significato abbia, forse sentirebbero un po' tradita la memoria dei loro fratelli che per quella bandiera hanno dato di buon grado (e per noi un po' inspiegabilmente) la vita. Ma almeno chi ha scritto quell'articolo, ha ammesso le sue mancanze e non si può nemmeno fargliene una colpa, visto che informazioni sul tricolore non sono facilmente reperibili e la sua storia non fa notizia. Da questo giornale e per tutti i curiosi, voglio rispondere a quella domanda, dandovi alcune informazioni, non molte in verità, per fare un po' più di luce su questo mistero. Prima di tutto la nostra bandiera nasce, se così si può dire, nel 1797, nella Repubblica Cispadana (non me ne vogliano tutti quelli che hanno differenti versioni, specialmente sul luogo, la verità sta sempre un po' nel mezzo). Salta subito all'occhio, data anche la data, l'influenza che ha esercitato sulla scelta della tripartizione verticale e in parte dei colori, la recentissima Rivoluzione Francese, la cui lezione era giunta fino a noi, sollevando col suo esempio spinte nazionaliste. Non si è trattato di copiare la bandiera di un'altra rivoluzione, la somiglianza giace più nel sentimento di fratellanza che legava i due popoli. Sul significato di ogni singolo colore, le versioni sono leggermente
differenti. Molte poesie risorgimentali li citano e alcune ne danno una spiegazione. Ve ne riporto un paio: [...] Su i limiti schiusi, su i troni distrutti piantiamo i comuni tre nostri color! Il verde, la speme tant'anni pasciuta, il rosso, la gioia d'averla compiuta, il bianco, la fede fraterna d'amor. (Giovanni Berchet) [...] Noi pure l'abbiamo la nostra bandiera non più come un giorno sì gialla, sì nera; sul candido lino del nostro stendardo ondeggia una verde ghirlanda d'allor: de' nostri tiranni nel sangue codardo è tinta la zona del terzo color. (Arnaldo Fusinato) Conoscere gli altri è importante, e da sempre le differenze culturali sono un patrimonio affascinante, ma credo che per comprendere chi è diverso da noi, sia importantissimo prima, indagare a fondo noi stessi, le nostre origini e tradizioni, se non per insegnarle agli altri in uno scambio reciproco, almeno per capire chi siamo. A proposito, lo sapevate che l'Inno di Mameli ha altre 4 strofe, (che si chiudono tutte con un ritornello), che non cantiamo mai?
Autoanalisi Giada Gatti
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vanno gli uomini a contemplare le cime dei monti, i vasti flutti del mare, le ampie correnti dei fiumi, l’immensità dell’oceano, il corso degli astri e trascurano se stessi”. Questa frase, che ho letto a scuola, tratta dalle “Confessioni” di Sant’ Agostino mi ha fornito lo spunto per scrivere l’articolo. Nonostante sia stata scritta in un contesto diverso da quello moderno, credo che possa essere adattata anche al mondo in cui viviamo. Infatti, ancora oggi, gli uomini compiono viaggi brevi, vedendo solo scorci dei luoghi, attratti dalla novità, dall’alone” di mistero che circonda le cose sconosciute. Ma il viaggio che, di per sé, non ha nessuna utilità se non quella del divertimento, è spesso concepito come una soluzione per prendere tempo di fronte a problemi complessi. In realtà è un correre qua e là, poiché
non è certo questo il modo adatto per affrontare le situazioni ma solo un modo per fuggire dal quotidiano. Le preoccupazioni, infatti, si possono dimenticare solo momentaneamente e non del tutto, poiché anche se all’apparenza siamo felici e spensierati, esse rimarranno sempre impresse in un angolino del nostro cuore e della nostra mente. Finito il tempo della vacanza, saremo di nuovo assorbiti e immersi nella routine quotidiana e i problemi saranno ancora lì, irrisolti oppure ci appariranno sotto una luce diversa rispetto a quella del viaggio. Questo accade perché, spesso, gli uomini trascurano se stessi, come afferma S. Agostino. Ciò significa che non sanno guardarsi dentro, compiere un’autoanalisi per capire le loro vere aspirazioni e per trovare la chiave dei loro problemi e interrogativi. Non è necessario errare, vagabondare per luoghi sconosciuti, per ritrovare noi
stessi e vivere in serenità ed armonia con le persone e con il mondo che ci circonda. Tutte le risposte che cerchiamo disperatamente e che crediamo di trovare in un viaggio, sono invece nascoste nella nostra interiorità. Quindi, il viaggio che dovremmo compiere è quello all’interno della nostra mente. Nonostante i ritmi di vita quotidiani siano frenetici e ci lascino poco tempo per noi stessi, il modo migliore per imparare a conoscerci è quello di ascoltare la voce interiore, che ci indica quale strada prendere, quali ideali e quali valori sono davvero importanti nella nostra vita, per che cosa vale la pena vivere e lottare. Quando siamo in difficoltà, proviamo a non fuggire, a non lasciare che tutto si risolva da sè; cerchiamo, invece, di analizzare la situazione e, soprattutto, di guardare la nostra immagine che solo lo specchio dell’anima può riflettere realmente.
Nota per chi vuole inviare i suoi scritti: La rubrica Una voce fuori campo è espressamente dedicata alla pubblicazione di articoli, saggi, racconti, componimenti poetici o segnalazioni di chiunque desideri far uscire la propria voce dalle mura di casa. L’indirizzo a cui inviare il materiale è: Una voce fuori campo, redazione de “Il Mosaiko Kids” Via C. Alberto 13 - 15053 Castelnuovo Scrivia (AL) La redazione, ovviamente, si riserva il diritto di pubblicare solo ciò che ritiene meritevole.
fio- segue dalla prima ri, (Silvia Pareti) di pane o cannella, di mentine alla liquirizia, del vento del Nord, di sole, di sale, di mare, di doposole al cocco, di succo tropicale, ma soprattutto dell’odore del corpo, quello personale, che distilliamo involontari e un po’ ci va scomodo. Che sia dolce o pungente, si impregna ai tessuti e fa nostro ogni capo, così inconfondibile che porta con sé un po’ della
persona e ce la fa riassaporare anche se non c’è più, che la evoca come il fantasma di un vecchio vestito. L’odore ritrovato esce con me dalla discoteca, mi solletica sensazioni ogni volta diverse, sfumature, percezioni, è nel mio letto dove il cuscino non sa più di posacenere e i capelli non sono da rilavare e i vestiti si possono riporre con gli altri, senza che li impregnino di sigaretta. Gli odori sono un mondo a
Progetto grafico e impaginazione: Favolarevia Fotografie: Bruno De Faveri, Beppe Sacco, Paola Maggi Redazione Direttore Resp.: Antonella Mariotti Presidente: Mimma Franco Anna Bruni - Giovanna Spantigati Paola Maggi - Marziano Allegrone Alessandro Pugliese
Proprietà artistica letteraria Casa Editrice Favolarevia Via C. Alberto, 13 15053 Castelnuovo Scrivia (AL)
Silvia Pareti (Capo redattore) Marta Lamanuzzi (Capo redattore) - Livia Granata (Capo redattore) Anna Baiardi (inviato) - Sara Serafin - Giada Gatti - Simona Lucarno (inviato) - Davide Varni (Capo redattore) - Elena Pisa - Paolo Pareti (Capo redattore) - Costanza De Faveri - Marcello Spinetta - Giorgia Bresciani - Cecilia Sacco - Andrea Accatino (inviato)
sé, si incontrano intorno alle persone, si piacciono o si respingono, s’inseguono e si nascondono, magari si fondono. Grazie alla riforma che civilmente me li ha restituiti, mancavano da così tanto che forse non li cercavo più e forse non sapevo più sentirli. Chi vuole fumare, libero di privarsi di tutto questo (insieme a soldi, salute e libertà), ma non mi tolga il profumo dalla vita, io non voglio perdermelo.
Mini reporter Stefano Pugliese (Capo redattore) Piccoli Piccoli Lisa R. Magnaghi (Capo redattore) Cecilia Mariotti (Capo redattore) Martina Ruta (Capo redattore) Sofia Falchetto (Capo redattore) Daniele Accatino (inviato) - Marta Poggio (inviato) - Alberto Arzani Emanuela Negri Piccoli Artisti Carlotta Rubin, Victoria Ferrari Collaboratori Maria Serafini - Cristiana Nespolo Claudio Bertoletti - Cristina Bailo Bruno De Faveri - Elisabeth Daffunchio Illustrazioni Martina Delfanti Vietato riprodurre senza autorizzazione testi, fotografie e impostazione grafica
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Pikkoli Storia di Marta e Claudia, intrepide sognatrici
Pikkoli La Porta
Sofia Falchetto
Magica
Prima parte
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n pomeriggio Marta invitò a casa sua la migliore amica Claudia; esse amano molto fantasticare, inventare, sognare. Il loro gioco preferito è fare le esploratrici interplanetarie... Dopo essere andate in cucina per vestirsi ed armarsi (avevano cucchiai e matterelli come spade, coperchi come elmi, grembiuli come scudi, uova come bombe, e biscottini per i rifornimenti), andarono nella navicella C. A. G. cioè Casa sull'Albero Grande, situata sull'albero centrale del giardino: la Grande Quercia. Appena salite sulla navicella capitan Grembiule Azzurro (Marta) e capitan Grembiule Viola (Claudia) urlarono il loro motto: "Uno.... due.... tre... per Grembiule Azzurro olé, quattro.... cinque.... sei... Grembiule Viola è più forte degli dei ! ! ! ! Appena ebbero finito di recitare il motto capitan Grembiule Azzurro mise in moto la navicella e Grembiule Viola controllava che tutto andasse bene. Dopo un po' G.A. urlò: "Stiamo uscendo dall' atmosfera! !"; G. V . era molto eccitata perché non vedeva l'ora di andare a visitare un altro pianeta. Il viaggio stava andando bene quando ........ Beh, se volete sapere cosa succederà alle nostre eroine dovete aspettare il prossimo numero.
DUE MAGICI AMICI Marta Poggio, 1° MEDIA
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ra una calda sera estiva, di fronte alla finestra aperta, il giovane sedeva esercitandosi al violino. Improvvisamente nella stanza entrò il padre, un uomo avaro e prepotente, che non sopportava il suono del violino, e che dopo un litigio con il figlio spezzò, con la sua grande forza, lo strumento. Il ragazzo, spaventato, scappò nel bosco e accasciatosi ai piedi di un albero iniziò a piangere e poi a sera si addormentò. Quando al mattino si svegliò, davanti a lui c’era una fata che gli disse: - Io non posso ridarti il tuo amato strumento, ma tieni questa gatta e questo passero, ti aiuteranno! - e intanto, magia, scomparve. Il giovane stupito dall’accaduto si guardò attorno e vide della focaccia e dell’acqua, e i due animali regalati dalla fata. Aveva molta fame e sete, così consumò in fretta il pasto dandone un po’ alla gatta e al passero. - Grazie - dissero la gatta e il passero; il giovane disse: Voi parlate? - E certo sciocchino che parliamo - disse la gatta. - E sappiamo fare tante altre cose - esclamò il passero. - Siamo qui per aiutarti!
- replicò la gatta. - Ah si? E tu cosa sapresti fare? - domandò. - Io so tessere - rispose l’animale. - E io so scrivere poesie -. Il ragazzo sorpreso ed incredulo li ringraziò per la loro generosità e insieme si diressero nel regno vicino, dove il sovrano dava in sposa sua figlia al primo giovane che avesse superato le due prove stabilite dal Re. Il giovane si presentò a corte e disse al Re: - Maestà sono venuto per chiedere la mano di vostra figlia. – Bene - rispose il Re. - Le due prove sono queste: tu dovrai tessere, per lei, il vestito più bello di tutto il reame e dovrai scrivere una bellissima poesia che tocchi i miei sentimenti. – Subito - rispose il giovane. Durante la notte la gattina confezionò un vestito bellissimo e il passero scrisse una poesia davvero commovente. Il mattino seguente, dopo aver constatato l’amore e la sensibilità usata nelle sue prove, decise di dare la figlia in sposa al giovane. La sera stessa il giovane, stringendo le mani della sua amata, salutò gli amici: -Arrivederci amici e grazie! -.
Favola di: Lisa Rita Magnaghi 5ª elementare
quinta puntata
I nostri amici, dopo il vortice, atterrarono malamente su delle rocce; Jenny, seguita dai suoi amici, si precipitò da Popotus e gli chiese "Mi potresti dire dove siamo finiti e che cosa dobbiamo fare ?" Popotus si rialzò e disse "Noi ci troviamo in Africa, al tempo dei Romani. In questo periodo alcuni studiosi sostengono che un uomo strano raggiunse questi luoghi e mostrò ad alcune persone certe macchine modernissime capaci di: leggere nel pensiero, cambiare colore agli oggetti, guardare oltre le persone, far sentire suoni bassissimi, parlare 1.000 lingue, ecc. Si pensa inoltre che quell'uomo sia venuto dalla nostra epoca o da una più moderna. Noi dobbiamo trovarlo e riportarlo da dove è venuto, prima che faccia dei danni.
M A E S T R A , C H E F AT I C A ! Stefano Pugliese
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embra un lavoro semplice, stare tutto il giorno con dei bambini, si insegnano tante cose belle, si hanno soddisfazioni e tant’ altro. Ma non è tutto rose e fiori, ogni bimbo ha il suo carattere, la sua personalità, i suoi interessi e delle capacità proprie. Proprio qui entra in scena la figura ed il ruolo della maestra, riuscire, con 20/25 bambini, a tirare fuori il meglio di loro in tutto, non solo nell’apprendere ma anche nel socializzare, nel renderli parte integrante di una nuova realtà “ IL GRUPPO”, cosa non semplice visto che oggi sono sempre più i figli unici, abituati ad avere tutto per loro senza doverlo dividere con nessuno, e poi ma non per ultimo prepararli alla vita. Io per esempio, devo ringraziare le mie maestre per tutto quello che mi hanno insegnato, anche se forse ho legato più con alcune e meno con altre. Non so se è dovuto al fatto che a me i numeri sono sempre piaciuti, sta di fatto che con la mia maestra di matematica delle elementari, si è instaurato un rapporto molto speciale, tanto che conti-
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nua ancora oggi che frequento le scuole medie. Con il suo modo di fare è riuscita a farmi apprezzare tutto della matematica e non solo. La sua infinita dolcezza il suo essere sempre e comunque presente, le attenzioni che ha sempre usato con tutti noi mi hanno sempre spronato in maniera molto positiva. Imparare “ SUL CAMPO” vivendo ogni suo insegnamento (vedi ad esempio quando ci insegnava le unità di misura tutti armati di righelli, metro e bindella nei corridoi a sperimentare la nuova realtà) e così per tutto il resto che con tanta abnegazione ha voluto insegnarci. Abbiamo imparato ad amare oltre la matematica (materia ostica, per alcuni) piccoli lavori fatti con gesso, pasta di sale, découpage che sperimentava in prima persona e poi ci spingeva a conoscere con il suo innato amore per il lavoro che svolge, LA MAESTRA. Non voglio assolutamente negare l’impegno delle altre insegnati ma con lei anche il rapporto umano, il poter confidare paure, tristezza e piccoli problemi, facevano rigorosamente
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parte dei compiti che si è preposta di eseguire nel suo cammino di educatrice. Sì, effettivamente la maestra forse dovrebbe anche essere, visto che accoglie i bimbi dall’età prescolare fino alla preadolescenza, oltre che insegnante a tutti gli effetti anche un po’ psicologa, una persona in grado di ascoltare (magari storielle e problemi che gli adulti definiscono “stupidaggini”) ed aiutare il bambino nel cammino della crescita, in un’unica parola dovrebbe essere anche un po’ mamma. Io fortunatamente, anche grazie ai suoi insegnamenti e soprattutto ai suoi consigli, oggi percorro il mio cammino di crescita molto serenamente. Il mio carattere è modificato, ho imparato ad accettare le sfaccettature mie e degli altri e vivo serenamente i miei 12 anni in una scuola sicuramente diversa, ma dove ho trovato tutti insegnanti come lei, oltre ad un ambiente sereno ed amici fantastici. Grazie, Signora maestra……avrà sempre un posto speciale nel mio cuore.
p a c e
sservando le sfumature, i riflessi e le onde del mare inizio a sognare un sogno senza fine, circondato da un arcobaleno dai colori sgargianti: la pace. Mi piacerebbe che in tutto il mondo gli uomini vivessero in armonia, serenità ed amicizia in modo da realizzare qualcosa di concreto perché insieme si può fare molto. Non capisco a cosa serva la guerra, forse a portare vittime e distruzione? Se è così credo sia inutile. Un altro mio sogno è che tutti i bambini coinvolti nella strage del SudEst asiatico possano ritrovare la propria famiglia e la felicità come ho io. Purtroppo so che per molti di loro non sarà così, ma io continuerò a sperare e a coltivare il desiderio che tutti gli uomini un giorno riescano a gridare al mondo una parola che indica un universo di significato : PACE, resterà sempre in me. Cornelia
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Un rapporto antico, un pianeta da esplorare Mimma Franco
Con questo numero del Mosaiko inauguriamo una nuova rubrica interamente dedicata ai cani. Apparentemente il cane è l’animale che conosciamo meglio, presenza quasi immancabile in ogni cortile e in ogni giardino pubblico. Davanti al cucciolo che ci si infila tra i piedi, o al pelosone che abbaia legato alla catena, ci sembra di poter comprendere e prevedere facilmente ogni sua reazione e ogni suo bisogno. Ma i cani non sono tutti uguali, il rapporto tra uomo e cane è un rapporto antico e complesso, il cane non ha mai sciolto definitivamente i legami con la propria natura selvaggia, né potrà mai farlo: gli istinti modellatisi in milioni di anni di evoluzione non si piegano a qualche millennio di convivenza – magari forzata – con una creatura che si vanta della propria intelligenza ma spesso scatena istinti ben più feroci e distruttivi di quelli del cane. Avvicinarsi ai cani, insomma, significa avventurarsi in un vero e proprio pianeta, a volte inesplorato, a volte difficile da esplorare, e noi ci faremo accompagnare da una guida un po’ speciale, ricca d’esperienza e abituata a guadagnarsi sul campo la fiducia e l’affetto delle creature a cui dedica gran parte delle sue energie: Paola Maggi, senza dubbio la «migliore amica dei cani», la persona più adatta a spiegarci che sotto ai ciuffi di pelo che i bambini adorano come peluches - e spesso trattano come tali - batte un cuore generoso e selvaggio.
a cura di Paola Maggi
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n cane può essere molto di più di un simpatico giocattolo animato o di una presenza scontata nella vita della famiglia… l’intesa che è possibile raggiungere con questi animali ha dell’incredibile ed è proprio come sbarcare su un altro pianeta. E’ però necessario, per apprezzare a fondo tutto quello che questo rapporto ci può dare, imparare “la loro lingua” … un po’ come andare in vacanza in un paese straniero: potendo parlare con le persone del posto scopriremmo certo un sacco di cose che non avremmo notato da semplici turisti.
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l primo argomento che vorrei trattare è uno dei punti fondamentali per ogni animale da branco: il territo-
rio. Per il cane, come per il suo progenitore lupo, il territorio è la cosa più importante, il centro attorno al quale ruota la sua esistenza… da lì vengono tuter quanto riguarda il cane tutto te le cose buone: riparo per la quello che è stato detto e scritto si notte, cibo, sicurezza. Va quindi riconduce a una regola cardine unica: difeso con ogni mezzo. Non stuper quanto l’uomo abbia selezionato e pitevi quindi se quando vi fermalavorato per ottenere tutta la miriade di te davanti ad un cancello dove razze e incroci che oggi noi conoscia- abita un cane verrete accolti ad mo, il lupo non è mai troppo lontano e abbai e ringhi anche se le vostre la rigida gerarchia del branco domina intenzioni sono buonissime: per tutte le azioni del nostro amico peloso. lui siete solo un estraneo che si Poco importa che il cane sia l’unico avvicina al suo territorio e poquattrozampe in famiglia, lui non farà trebbe voler impadronirsene. Non altro che proiettare sui membri della fa- indugiate cercando di fargli cammiglia i ruoli propri del branco e rego- biare idea, in assenza del suo lare il suo comportamento di conse- “capobranco” che gli faccia capiguenza. Non parliamo poi delle situa- re che siete da classificare tra gli zioni in cui i cani sono più di uno, a amici e non tra i nemici lui non la quel punto diventa quasi affascinante cambierà e anzi sembrerà inferoosservare la ricomparsa di tutte le leg- cirsi sempre di più. In questi casi gi del gruppo… e diventa ancora più l’indifferenza è la miglior tattica, importante saperle riconoscere ed agi- vedendovi passare senza prestar re di conseguenza. attenzione gli abbai cesseranno Non voglio annoiarvi con lunghi e te- quasi subito e lui si limiterà a tediosi trattati pseudoscientifici: questa nervi d’occhio per assicurarsi che rubrica vuole essere solo un semplice effettivamente non vogliate com“dizionario” del comportamento canino binar guai. per chiarire tante situazioni che a volte I dispetti che spesso ho visto vengono male interpretate e contribui- combinare ad altri ed ai miei cani scono a creare incomprensioni tra il (dagli urli ai sassi tirati fino agli mondo dei cani e quello degli umani. schizzi di schiuma colorata sotto carnevale), probabilmente perché indiper quanto l’uomo abbia selezionato e lavorato per otte- spettiti dal loro abbaiare che non cesnere tutta la miriade di razze e incroci che oggi noi co- sa, non fanno che complicare la situanosciamo, il lupo non è mai troppo lontano zione. A questo punto il cane sarà sicuro
P
che non siete un amico e quindi anche incontrandolo fuori da casa sua vi tratterà con diffidenza se non addirittura con ostilità e la colpa sarà solo ed unicamente vostra. Viceversa, se non provocato in nessuna maniera, incontrando lo stesso cane che vi aveva tanto intimorito fuori dal suo territorio scoprirete un animale completamente diverso: a quel punto non si sentirà più in dovere di difendere la sua casa e potrà emergere il suo lato curioso e sociale e sarà ben felice di accettare le vostre coccole … a patto però che le “presentazioni” vengano svolte nel giusto modo, ma di questo parleremo la prossima volta.