di Fra Vincenzo Rosario Maria Avvinti OP, novizio
ROSARIO
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arissimi lettori, sono un giovane novizio domenicano, che ha scoperto la sua chiamata grazie al Rosario. In un clima dove sembra sorpassata questa preghiera, in unione col Santo Padre Giovanni Paolo II che, lo scorso 16 ottobre 2002, l’ha riproposto come mezzo che mette in contatto con Dio, ho voluto cercare le motivazioni e le radici di questa preghiera. Per poter dare qualche indicazione più approfondita, in forma storico-descrittiva di tale modo di entrare in maniera diretta in contatto con la sfera del divino. Oggi si punta l’attenzione a tutt’altro: da parte dei giovani si cerca il divertimento più svariato e spesso sfrenato, e i teologi e i pastoralisti non hanno più dove sbattere la testa per cercare dei modi per coinvolgere l’attuale società, che sembra andare sempre più allo sfacelo, per metterla così in contatto con Dio per scoprirlo, conoscerlo e amarlo e così dare sfogo al bisogno interiore, connaturale all’uomo, di serenità e pace per avere la certezza che solo in Dio si può trovare tutto questo. E proprio in questa atmosfera, dove si cercano modi e ragioni per attrarre, penso che con la semplicità di tale preghiera si possa più di ogni artificioso modo culturale, artistico o pastorale, arrivare più direttamente al cuore dell’uomo. Certo, è vero che, a sentirlo recitare, spesso superficialmente, ci può essere un rigetto, specialmente da parte dei giovani, ma proposto secondo i modi e le forme che la Chiesa nei secoli ha suggerito, penso che ancora oggi questa forma può attirare e aiutare l’uomo a entrare in un intimo rapporto con Dio che vuole, e lo fa, lavorare all’interno della profondità del cuore dell’uomo, e così dargli se stesso . E proprio per questo motivo ho voluto puntare la mia attenzione su questa preghiera, per poter dare piena risposta a chiunque si affaccia per la prima volta al Rosario, e per chi già lo fa, dare una esplicitazione per poterlo recitare meglio e con più convinzione. La parola “Rosario”, che nella storia verrà dato come nome alla pia preghiera dedicata alla
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Madre di Dio, significa “ghirlanda di rose”. La rosa è il fiore che da sempre si sceglie per manifestare stima e amore alla persona amata. Il Rosario quale preghiera a Maria e, con Maria, a Gesù Cristo suo figlio è quindi un simbolico omaggio floreale a Lei, per significarle il nostro affetto; è una preghiera semplice che muove il cuore: alla conversione, all’intercessione, alla contemplazione e alla evangelizzazione. Meditando gli episodi principali della vita di Gesù e Maria, chiamati Misteri perché rivelano il misterioso e amorevole intervento di Dio nella storia umana, il cristiano sente il bisogno: di cambiare e di diventare migliore (ecco la conversione), di pregare perché il Signore lo aiuti nel suo cammino (ecco l’intercessione), di amare intensamente le cose di Dio trovando in esse una pienezza di bene (ecco la contemplazione) e infine di comunicare agli altri quelle verità divine che danno significato e gioia all’esistenza (ecco l’evangelizzazione). Sull’esempio del Santo Padre Domenico, che recitava mille volte al giorno la prima parte dell’Ave Maria (secondo la conoscenza e le modalità del tempo), meditando e poi predicando gli eventi principali della Rivelazione cristiana, diffondendo così questo modo di pregare, i suoi figli hanno sviluppato la devozione del Santo Rosario e ne sono diventati i primi propagatori. Tra questi domenicani si sono distinti: Alano de la Roche (1475), che iniziò la pratica del Rosario e diffuse le confraternite del rosario in tutta Europa; Giacomo Sprenger (1495), che divise i Misteri in: gaudiosi (della gioia), dolorosi (del dolore), gloriosi (della gloria); il papa domenicano S. Pio V (1572), che definì la forma tradizionale del rosario e ne istituì la festa dedicata alla Madre di Dio con il titolo di Regina del Rosario; e infine il Beato Bartolo Longo, quale apostolo del rosario e fondatore del Santuario, con tutta l’opera annessa, di Pompei. Nella recita di questa amorevole preghiera, che preferisco chiamare celebrazione, la pacata ripetizione dell’Ave Maria si trasforma in dolce melodia, che accompagna il cuore in un clima di quiete e all’ascolto delle verità divine contemplate nei misteri, diventando così un mezzo semplice ed efficace per parlare con Dio o di Dio, come faceva sempre S. Domenico. Paolo VI, nell’esortazione apostolica “Marialis Cultus”, sottolineando i due caratteri di questa preghiera, personale e comunitaria, lo indica anche come preghiera della famiglia, perché con questa preghiera si uniscono mente e cuore di ogni persona con Dio e si fortificano nello
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stesso tempo gli affetti, rinsaldando così la pace familiare. Per sottolineare l’importanza di questa preghiera, la Chiesa ha concesso l’indulgenza plenaria quando se ne recita almeno una parte, cioè i cinque misteri, professando la fede e pregando per la Chiesa. Personalmente ritengo che con questa preghiera tutti (adulti, bambini, giovani e anziani e in ogni circostanza, salute o malattia, gioia o dolore) entrano in un contatto meditativo dei misteri della vita di Nostro Signore, ciascuno con le proprie capacità, unendosi a Lui in un abbraccio continuo: di amore e tenerezza, di impegno e di missione, di perseveranza e fedeltà, accompagnati da sua e nostra Madre Maria. Pio VI paragonava il Rosario all’angelo consolatore dell’Orto degli Ulivi; Pio IX lo definiva il tesoro più prezioso del Vaticano (dando spiegazione ad un visitatore che gli chiedeva quale fosse la cosa più preziosa del Vaticano); S. Teresa d’ Avila chiamava il Rosario, catena che unisce il cielo e la terra, ancora di salvezza per tutti i cristiani (immaginando la corona che porta alla punta la croce come la catena della nave che alla punta porta l’ancora); S. Alfonso Maria de Liguori si impegnò a recitarlo ogni giorno facendolo diventare un voto personale; Luigi XIV, che si faceva l’onore di recitarlo, diceva: “questa è un’abitudine che ho preso dalla regina mia madre, e mi spiacerebbe assai di ometterne la recita anche un solo giorno”, e tanti altri uomini di Stato: Gorgia Moreno, Daniele O’Connell; artisti: Mozart, Haydn, amarono praticare questa santa devozione! Del resto ovunque apparsa, la nostra regina Madre (a Fatima, a Lourdes, etc.) è apparsa sempre con il Rosario in mano chiedendone la recita: per la conversione dei peccatori, per la pace, etc. Per me il rosario oggi è quell’elemento che mi permette di entrare con semplicità nella sfera del divino, stringendo un contatto che mi porta a vedere l’immagine di Dio, messa in me sin da quando mi ha pensato. Il Rosario mi fa vedere la mia persona come una massa dentro la quale è la sua immagine, (“Creò l’uomo a sua immagine e somiglianza”) e come nella vena poetica dello scolpire di Michelangelo, che da una massa di marmo toglie le parti in più per portare alla luce l’immagine che ha visto in essa con gli occhi interiori, così il Rosario per me è un aiuto a vedere attraverso la meditazione, l’orazione e la contemplazione, i pezzi superflui, per toglierli nella quotidianità della mia vita (quasi come in un processo di rassomigliamento) e con la serenità che da questo sprigiona: (amore, tenerezza, entusiasmo) mi porta a intravvedere la
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mia realizzazione nel mondo che mi circonda. S. Teresa del Bambino Gesù sognava di far scendere dal cielo una pioggia di rose sulla terra; a me invece piace immaginare che tutti - con la recita del rosario -, moltiplicando gli atti e le prove di amore per la nostra Regina Madre e per suo figlio -, facciano salire dalla terra al cielo la medesima pioggia di rose in modo che si incontrino i due rosari: quello di Maria che tiene fra le mani (nelle apparizioni con i pastorelli a Fatima e a Bernardette a Lourdes) è il nostro che come atto di amore e donazione totale di noi stessi gli offriamo. Oggi, come dicevo prima, il Rosario può sembrare una preghiera noiosa, di assoluta distrazione, vuota, e a volte, quando è recitato in chiesa comunitariamente, quasi di disturbo e, specialmente per i giovani, sembra sempre più improponibile perché presentato come un “mattone”. Il Rosario è un metodo di preghiera indiscutibilmente valido per chi vuole crescere nella santità e sa pregare con la corona in mano; recitare preghiere insegnateci dalla Sacra Scrittura e dalla Chiesa, meditando con fede e amore i misteri della redenzione dell’uomo, è indubbiamente una gran bella preghiera, una preghiera insieme mentale e vocale, che unisce nella lode e adorazione di Dio il corpo e l’anima, impegnando così tutto l’uomo. Si tratta dunque, per chi sa pregare, di ricorrere agli atti delle virtù teologali (fede, speranza e carità) perché esse, attuate dalla grazia divina, realizzino la nostra elevazione spirituale e l’unione a Dio, nella quale credo che consista l’essenza stessa della preghiera. Il Rosario inoltre è una semplice ed elementare scuola di preghiera per chi non sa ancora pregare e vuole imparare. Per loro scrivo queste umili parole che spero infervorino i cuori di chi le legge. Ad alcuni di loro, che per imparare a pregare devono acquistare certe disposizioni interiori e ad altri che già le possiedono o stanno acquistandole, perché possano essere aiutati da piccoli accorgimenti nella recita delle decine. A quelli che non sanno pregare col rosario e non vogliono nemmeno impararlo e addirittura si sentono infastiditi da questo, non ho nulla da dire se non che non parlino contro una pia pratica che non conoscono abbastanza bene per esperienza personale, non ne neghino il valore e non prendano in giro chi lo vive, perché i suoi meriti sono grandi e la sua efficacia è notevole. E’ infatti scuola di contemplazione e di vita apostolica, oltre che di cristianesimo modellato su Cristo.
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Il Rosario, dicono i suoi detrattori “è una preghiera eccessivamente ripetitiva e perciò non spontanea”. Ma se esiste una preghiera meccanica questa non è certamente il Rosario che è principalmente meditazione e contemplazione dei misteri della vita di Gesù Cristo e di Maria, sua e nostra Madre, accompagnata dalla recita delle preghiere più belle del cristianesimo: il Pater, l’Ave Maria e il Gloria Patri. A. D’Amato nella “Devozione a Maria e la vocazione domenicana” scrive: “la preghiera però senza la meditazione può divenire meccanica, se invece è accompagnata dalla meditazione ottiene la grazia della contemplazione”. S. Bernardo a tal proposito scrive ancora: “Camminiamo sui due piedi della contemplazione e della preghiera, la meditazione insegna ciò che ci manca, la preghiera ci ottiene che non ci manchi. La prima ci indica la strada, l’altra ci guida. Con la meditazione conosciamo i pericoli che incombono su di noi, per mezzo della preghiera li evitiamo con l’aiuto del Signore”. Paolo VI scrive: «La contemplazione è elemento essenziale del rosario. Senza di essa il rosario è corpo senza anima e la sua recita rischia di divenire ripetizione di formule e di contraddire l’ammonimento di Gesù: “quando pregate non siate ciarlieri come i pagani, che credono di essere esauditi in ragione della loro loquacità» (Mt. 6,7). E A. D’Amato continua: “certamente anche il Rosario, come qualsiasi altra forma di preghiera, è esposta al pericolo dell’abitudine e della ripetizione meccanica. Ma il Rosario per sé lo è meno di ogni altra preghiera, perché sollecita continuamente l’attenzione e l’interesse dell’animo, offrendo a ogni mistero nuova materia di riflessione”. Il Rosario, inteso rettamente, è la preghiera più contemplativa di tutte. La meditazione dei misteri è la vera anima del rosario. E’ necessario passare da questa meditazione molto facile, prima di elevarsi alla vera contemplazione. Per questo il Rosario è scuola di contemplazione; innalza a poco a poco al di sopra della preghiera vocale e della meditazione ragionata. Dalla meditazione dei misteri si acquista quell’unione intima con Dio, che porta alla contemplazione. “Per i quindici gradini di questa scuola - scrive S. Luigi Grignion da Montfort - ti riuscirà di salire di virtù in virtù, di chiarezza in chiarezza e giungerai facilmente, senza illusioni, fino alla pienezza dell’età di Cristo “ (Segreto ammirabile del S. Rosario, Roma 1960, p. 78). Il Rosario così ripassa continuamente i misteri della fede in un clima di preghiera; è perciò
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una chiara professione di fede divenuta preghiera. Oltre i misteri, anche le preghiere proprie del rosario si prestano moltissimo alla contemplazione. Se ogni preghiera è via alla contemplazione, a maggior ragione lo sono il Pater, la preghiera fiorita dal cuore di Gesù, l’Ave Maria, che rievoca i misteri della natività del Salvatore e il Gloria Patri, che ci immerge nel mistero della Trinità. Nessuna preghiera è più adatta, proprio per il suo carattere di preghiera orale e di meditazione dei misteri della vita di Gesù e di Maria, a introdurre il cristiano apostolo per vocazione nell’ordine della carità, che lo rende idoneo a parlare in nome di Dio. Offrendo alla meditazione le principali verità della fede e gli avvenimenti più salienti della vita del Redentore e della Vergine Maria, rivolgendo continuamente il pensiero alla Vergine santa e a Cristo, “il frutto benedetto” del suo seno; rievocando i misteri dell’incarnazione del Verbo eterno, della nascita, della vita, della passione, della risurrezione e della glorificazione di Maria, il rosario offre alla meditazione un ricco nutrimento spirituale e permette di rivivere i misteri della salvezza, diventando così un continuo alimento di fede e perciò la migliore preparazione all’attività apostolica. Il cristiano che recita il rosario e vive nell’assidua meditazione della carità di Cristo e di Maria non può non sentire il dovere di regolare con la carità tutta la propria vita. E la crescita della carità è sempre la migliore preparazione all’attività apostolica. I misteri del Rosario, dall’annunciazione alla glorificazione di Maria e dei santi, indicano l’ascesa progressiva dell’apostolo nel suo incarnare la parola di Dio per viverla nella carità (misteri gaudiosi); nel suo purificarsi in unione alle sofferenze di Cristo e in comunione con Maria (misteri dolorosi) e nella speranza del premio per la sua fedeltà e la sua cooperazione al mistero della salvezza (misteri gloriosi). Il Rosario è una lettura del Vangelo in chiave mariana. Possiamo dire che è il quinto vangelo: il vangelo secondo Maria. Il Rosario infatti mette l’anima nelle medesime disposizioni di Maria per contemplare la vita di Cristo. Non agì diversamente la beata Vergine quando era sulla terra: meditò sulle virtù e le sofferenze di Cristo. Nel Rosario vediamo nascere Cristo, lo vediamo crescere accanto a Maria, lo vediamo amare, operare, soffrire, morire come lo vide sua Madre. Il Rosario perciò è un modo di penetrare nell’intimità della vita di Maria per meglio apprendere da lei il mistero di Cristo. Nel Rosario meditiamo il Vangelo con lo spirito di Maria e in comunione con Maria, che al
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mistero salvifico cooperò in modo del tutto speciale. Maria - ha detto Paolo VI è il “miglior posto di osservazione per contemplare il mistero di Cristo”; nel Rosario questa contemplazione “mariana” si fa progressivamente immedesimazione con lei nel pensare, amare, vivere il mistero “come lei lo ha vissuto” (Allocuzione dell’8 ottobre 1969). L’esperienza di Cristo, Maria l’ebbe nel momento dell’Annunciazione; e da quel momento, nella sua vita, dovette continuamente confrontare, in un’intima riflessione di fede (Luca 2, 19 e 51), questa sua personalissima esperienza coi fatti successivi della vita di Cristo. Il Rosario - dice ancora Paolo VI - “mette al passo con Maria, obbliga a subirne il fascino, il suo stile evangelico, il suo esempio educativo e trasformatore; è una scuola che ci fa cristiani” (Paolo VI Allocuzione, 8 ottobre 1969). I misteri del rosario ancora riflettono lo schema del primitivo annuncio della fede; il Rosario ripropone il mistero di Cristo nello stesso modo in cui è visto da san Paolo nel celebre “inno” della Lettera ai Filippesi; e cioè umiliazione, morte ed esaltazione di Cristo. Il Verbo eterno, scrive san Paolo, “pur essendo Dio, annientò se stesso e, presa forma di servo, si fa simile agli uomini” (mistero dell’Incarnazione, misteri gaudiosi); “umiliò se stesso facendosi obbediente sino alla morte e alla morte di croce” (misteri dolorosi). “Per questo Dio lo esaltò e gli donò un nome che è sopra ogni altro nome, affinché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi in cielo in terra e negli inferi e ogni lingua confessi che il Signore Gesù Cristo è nella gloria di Dio Padre” (misteri gloriosi) (Fil. 2, 6-11). Nella meditazione dei misteri del rosario, tutto il “Credo” passa sotto gli occhi del credente in modo concreto, mediante la vita di Cristo, che discende verso gli uomini e sale al Padre per condurre gli uomini a Lui. È tutto il dogma cristiano che viene meditato nella sua elevatezza, affinché si possa penetrare sempre più il mistero e possa essere nutrimento spirituale. La meditazione dei misteri della vita di Gesù e di Maria è dunque crescita di fede; ma è anche crescita delle virtù che gli stessi misteri offrono alla nostra riflessione: l’umiltà di Maria, per esempio, la sua illimitata fiducia in Dio, la sua carità e soprattutto l’amore di Cristo per il Padre e gli uomini e la totale adesione sua e della beata Vergine alla volontà del Padre. Nella meditazione dei misteri tutta la vita morale e spirituale viene confrontata coi grandi modelli: Gesù e Maria. Così i grandi misteri della loro vita diventano i misteri della nostra vita.
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Ogni mistero richiama una virtù: l’umiltà, la carità, la pazienza, la fiducia in Dio, ecc. Leone XIII in una sua enciclica presenta il Rosario come rimedio a tre mali fondamentali che affliggevano la società del suo tempo, ma che sono anche mali di tutti i tempi. Primo: l’avversione alla vita umile e laboriosa, che il Rosario guarisce con le lezioni dei misteri gaudiosi; secondo: l’orrore della sofferenza e del sacrificio, che il Rosario guarisce mediante la contemplazione affettiva dei misteri dolorosi; terzo: l’indifferenza verso i beni futuri, che il Rosario guarisce con la meditazione dei misteri gloriosi (Leone XIII, Enc. Laetitiae sanctae, 8 settembre 1893). “Il Rosario - scrive il p. Garrigou Lagrange - è molto pratico: viene a prenderci in mezzo alle nostre gioie troppo umane, spesso pericolose, per farci pensare a quelle molto superiori della venuta del Salvatore. Viene a prenderci anche in mezzo alle nostre sofferenze, spesso irragionevoli, talvolta accascianti, quasi sempre mal sopportate, per ricordarci che Gesù ha sofferto molto più di noi e per amor nostro e per insegnarci a seguirlo portando la croce che la Provvidenza ha scelto per purificarci. Il Rosario viene finalmente a prenderci in mezzo alle nostre speranze troppo terrene per farci pensare al vero oggetto della speranza cristiana, alla vita eterna e alle grazie necessarie per giungervi, col compimento dei grandi precetti dell’amore di Dio e del prossimo” (In La Madre del Salvatore e la nostra vita interiore, Firenze 1965, pp. 347-48). In conclusione: il Rosario guida i fedeli ad approfondire e a celebrare il mistero pasquale del Verbo che si fa uomo, che vive, muore, risorge e ritorna al Padre per la salvezza degli uomini. La riflessione sui misteri della vita, della passione e della morte di Cristo non può non spingere il fedele alla riconoscenza e quindi a rispondere con una più generosa carità all’infinito amore di Cristo e della sua Vergine Madre. Compendio del Vangelo, il Rosario ha del Vangelo la semplicità e la profondità. Per questa sua semplicità e profondità è sicuro alimento di fede ai dotti e agli indotti; è efficace strumento per guidare gli uomini a Cristo per mezzo di Maria e insegnare la verità della fede e la via della perfezione cristiana mediante la pietà.
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