Santa Caterina da Siena Patrona d’Italia 29 aprile Spiritualità di Santa Caterina da Siena. Integrità della fede e profetismo.
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orrei proporvi tre punti su cui meditare; poi vorrei sapere da voi che cosa pensate della vostra vita domenicana e cateriniana. Cercherò inoltre di chiarire come si debba intendere il cosiddetto profetismo, come lo si possa vivere e applicare al giorno d’oggi e come la santa ce ne abbia dato un esempio realistico. Santa Caterina anzitutto è nota per il suo amore per Gesù Cristo. Il fondamento della sua spiritualità è essenzialmente cristocentrico. Ciò non toglie nulla alla caratteristica tipicamente domenicana del teocentrismo, perché ella vede in Cristo il mediatore tra gli uomini e Dio. Mediatore assolutamente imprescindibile: senza Cristo non si accede al Padre. All’infuori di Gesù non c’è salvezza. Quindi per condurre le anime a Dio, bisogna anzitutto condurle a Gesù: questa è la prima istanza cateriniana. Condurre le anime a Dio significa condurle, nel fuoco del Divino Spirito, a Gesù, perché nel Sangue di Gesù le anime si redimono, si purificano e accedono alla Santissima Trinità tramite quel ponte che è l’umanità beata del nostro Salvatore. San Tommaso d’Aquino direbbe che Caterina ha capito perfettamente che cosa sia la strumentalità universale dell’umanità del Verbo. Il Verbo ha assunto la nostra umanità, per costituirla strumento universale di salvezza. Questa dottrina è stata ripresa recentemente dal concilio vaticano II: il Cristo, sia storico che mistico, è sacramento universale di salvezza. Se è vero che colui il quale santifica è sempre e solo Dio, è altrettanto vero che Dio santifica sempre e solo tramite il Cristo. È
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la grazia di Cristo redentore quella che riceviamo, per togliere i nostri peccati. Caterina aveva un amore straordinario per il sangue di Gesù. Al giorno d’oggi, ahimè, questa spiritualità tende a scomparire. Persino la festa del sangue prezioso del Signore non è più celebrata come una volta. Invece è molto importante il sangue di Gesù, perché è il mezzo universale di salvezza del genere umano. Gesù ha pagato sulla croce il prezzo del nostro riscatto. Molto domenicanamente, per quanto concerne l’impostazione teologica, Caterina fa eco alla teologia tomistica, secondo la quale la redenzione è il motivo specifico per cui il Verbo s’è fatto carne. Noi domenicani non neghiamo quello che affermano i padri francescani (la scuola di Giovanni Duns Scoto): « Gesù, avendo assunto la natura umana, ricapitola in sé tutte le creature ». Certo non potremmo negarlo, anche perché è una verità rivelata da Dio. Quello che diciamo è che Dio avrebbe potuto manifestarsi all’uomo, se non avesse peccato, in tanti modi, con la massima libertà; ma il modo più adeguato per salvare l’umanità dopo il peccato era quello dell’incarnazione e della morte del Figlio in croce. Così Dio realizzava perfettamente la sua infinita misericordia e la sua severa giustizia. San Tommaso d’Aquino dice: « Solo il Cristo poteva redimerci, perché nessun uomo, per quanto soffrisse, per quante penitenze facesse, per quanto amasse, avrebbe ottenuto la salvezza del genere umano. Infatti l’anima della penitenza è l’amore soprannaturale, ma nessuna creatura umana, con amore solamente umano, avrebbe potuto ottenere la salvezza del genere umano. Solo il Figlio, con il suo infinito amore, era in grado d’espiare un’offesa infinitamente malvagia rivolta contro il Padre infinitamente buono, solo Gesù simile a noi in tutto tranne che nel peccato. Assunse la natura umana in vista della Pasqua, della morte e della resurrezione, in vista di quello spargimento salutare di sangue che è la nostra redenzione”. Allora si capisce come il cristocentrismo fosse essenziale nella spiritualità cateriniana. Da bambina, lei ebbe una visione di Gesù che le apparve assieme agli apostoli. Capì quindi che la sua missione era quella di condurre le anime a Gesù, ponte tra l’umanità e Dio, l’unico imprescindibile mediatore tra noi e Dio. Oggi si potrebbe obiettare: « Questo è integralismo bell’e buono ». No, non è integralismo. È cristianesimo. Il cristianesimo non può essere che integro, perché, come dice Tommaso d’Aquino: « Il bene sorge da una certa integrità della cosa; ma basta un solo difettuccio, perché la cosa non sia più buona ». È cosa strana questa tendenza del bene a essere qualcosa di totale, del male a essere qualcosa di parziale (se il male fosse totale e assoluto, come pensavano i manichei, non ci sarebbe più. Il male assoluto è il non essere assoluto; quindi esso non potrebbe darci fastidio. Il male ci dà fastidio, perchè è relativo). Il male è una “privazione del bene dovuto” ad un soggetto e proprio perché il male non è assoluto, ossia lascia sussistere il suo soggetto, per questo il soggetto avverte il male. Quindi la bontà ha una certa esigenza di totalità sia nella fede che nella carità. Noi
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aderiamo a Cristo in duplice modo: soprannaturalmente, tramite l’intelligenza e la virtù della fede, e caritatevolmente, tramite l’affetto della volontà. Entrambe queste adesioni hanno una certa esigenza di totalità. In che cosa peccano gli eretici? Peccano non solo perché escludono alcune verità della fede, ma anche perché vogliono presuntuosamente sostituirsi a Dio nel giudicare quello che è di fede e quello che non è di fede. L’eretico crede nella metà del Credo. L’altra metà la lascia in disparte. Questa è una forma di superbia veramente satanica. Perciò i nostri antenati hanno avuto ribrezzo degli eretici, perché sapevano che sono dei corruttori della fede, dei superbi che si mettono al posto di Dio. La regula fidei, il motivo formale per cui noi crediamo, non è che a noi piace credere. No! Anche se non ci piacesse, potremmo essere ugualmente uomini di fede sottomettendo il nostro intelletto a quello che Dio ci ha rivelato, obbedendo con il nostro intelletto al canone, alla regola della fede, che è la verità della divina rivelazione. La fede non è un “opinare”, come si pensa al giorno d’oggi. Molti dicono: « A me piacciono tutti i dogmi, tranne quello dell’inferno ». Certamente quello dell’inferno è un dogma antipatico, però bisogna credere a tutti i dogmi, non solo a quelli che ci piacciono. Le cose stanno come Dio le ha rivelate. In questo senso è necessario mirare all’integrità della fede. Integrità della carità: ancora Tommaso dice che contro la carità si pecca con tutti i peccati, anche con i più piccoli. È strano: contro la virtù più grande si pecca anche con i peccatucci. Perché? Perché la carità riassume in sé tutte le altre virtù. Infatti ogni virtù realizza una finalità particolare, mentre la carità realizza la finalità ultima, cioè il nostro ordine a Dio. Le virtù che realizzano dei fini particolari non sarebbero perfette, se non conducessero in ultima istanza a Dio. Quindi ogni disordine rispetto a un
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valore particolare è sempre implicitamente un disordine rispetto al valore globale che è quello della carità. I moderni stentano a capirlo, quando pensano: “Io amo il Signore, poi per il resto mi arrangio io. Per quanto concerne i comandamenti del Signore, ho delle opinioni personali, che però non m’impediscono di amare Dio...”. Sorelle, c’è da stare molto attente. Gesù precisa: « Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio » (Mt 7, 21). Quindi non basta dire « Signore, ti amo » limitandosi così a una professione puramente verbale. Occorre una globale adesione a Dio, sia tramite la fede, sia tramite la carità. Come la fede non può escludere nessun dogma, così la carità non può escludere nessun precetto. Non si può dire: « A me piacciono certi precetti; certi altri no ». Per praticare la vera carità mi devono piacere tutti. E se non mi piacessero, con ubbidienza dovrei piegare la mia dura cervice a quello che il Signore m’insegna. Caterina proclama la necessità di aderire integralmente a Cristo, al di fuori del quale non c’è salvezza. Pur non essendo nemica delle crociate, il suo modo di evangelizzare non era quello dei crociati. Anche il nostro padre fondatore, san Domenico, era amico dei crociati, però il suo modo di predicare la fede era ben diverso. Egli non condannò mai la crociata in sé e tanto meno quella indetta dal papa contro gli Albigesi (1210). Noi spesso ci vergogniamo di queste cose. Invece non abbiamo ragione di farlo, perché la verità storica è ben diversa da quella che si pensa oggi. Sembra quasi che gli Albigesi fossero degli agnellini innocenti, povere vittime di un potere ecclesiastico spietato, mentre erano degli assassini e dei suicidi e costituivano un movimento assai cruento. Caterina certamente non procedeva manu militari, però nella sua pacifica, evangelica predicazione è ben presente la virtus fortitudinis, che lei stessa chiama “virilità”, cioè la tenacia, l’irriducibilità, il rifiuto dei compromessi su questa verità: in Cristo e solo in Cristo c’è la salvezza. Il vero profetismo, care sorelle, sta in questa umile, tranquilla, pacata, ma nel contempo ferma, tenace, cocciuta affermazione: « Solo in Cristo c’è la salvezza!». Ci si può salvare anche al di fuori di una fede esplicita in Cristo, la così detta “fede implicita”, ma anche in questo caso non si può essere salvati senza il Cristo. La via ordinaria della salvezza è quella di una fede esplicitamente professata. Mi viene talvolta non so se da ridere o da piangere davanti a certi atteggiamenti sbandierati come profetismo. Già il fatto di sbandierare il profetismo è una cosa pericolosa. Se c’è un profeta in un secolo, vuol dire che il Signore ha benedetto il suo popolo; se ce ne sono due in un secolo, è una grazia del tutto particolare; ma se c’è un’inflazione di profeti, Dio ce ne scampi e liberi. Il numero troppo elevato di profeti mi mette in apprensione. Bisogna capire che cosa sia il profetismo nel senso evangelico della parola. Nella prospettiva neotestamentaria la profezia non si configura come nell’antico testamento, per il semplice motivo che viviamo nel
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tempo della pienezza, non più nel tempo della parzialità. Quindi il profetismo moderno non aggiunge nulla al deposito di fede. Per esempio, quando gl’Israeliti ascoltavano la predicazione di Ezechiele, il deposito rivelato aumentava, perché ogni parola di Dio (ogni “oracolo del Signore”, come lui diceva) era un’aggiunta al deposito rivelato. Da quando invece san Giovanni evangelista, il prediletto discepolo del Signore, chiuse gli occhi nel beato sonno della morte, il deposito della rivelazione pubblica non è più aumentato. Qui si vede la profonda differenza fra il profetismo antico e quello moderno. Esistono certo carismi profetici particolari. Infatti nella Chiesa delle origini si parlava di apostoli e di profeti, di profeti che abitavano in mezzo a loro; però si trattava di carismi straordinari, frequenti nella Chiesa nascente. Anche la grazia di fare miracoli era più frequente nel tempo che precedette la diffusione della Chiesa. I carismi particolari sono un dono di Dio. 5
Non dipendono dalla nostra volontà. Uno non può dire: « Da domani in poi mi faccio profeta ». Se il Signore mi manda il dono del suo santo Spirito, allora dovrò fare il profeta. Se invece non è così, evidentemente la volontà di Dio è diversa. Guai a quei profeti che corrono anche se il Signore non ha parlato! C’è un solo modo per vivere il profetismo ed è quello cateriniano: ubbidienza umile, semplice, senza stravaganze, alla Chiesa e alle sue tradizioni. Obbedienza a quello che la Chiesa da sempre ci ha insegnato. Nella Chiesa non ci sono sconvolgimenti. Invece i sedicenti “profeti” (non certo mandati dal Signore) insegnano sempre novità. Il moderno gusto delle novità mi mette in allarme, perché le novità vere sono quelle che accadono quasi inavvertitamente, non quelle che uno instaura perché gli piace fare così, le vere novità il Signore le pianta in mezzo al suo popolo quasi ad insaputa di questo, un po’ come quella messe di cui Gesù parla, che cresce all’insaputa del contadino. La sinistra non deve sapere quello che fa la destra. Guai se gli uomini di chiesa assumono dei modi mondani, per esempio i modi del giornalismo contemporaneo, cercando lo scoop, cioè il colpo giornalistico! Non è cosa buona. La Chiesa – come diceva sant’Ireneo – è un grande mistero, perché è antica e giovane nel contempo. Coloro che pensano di ringiovanire la Chiesa non capiscono che essa non ha bisogno di cure cosmetiche. È da sempre giovane, anche se ha già quasi duemila anni; quindi non c’è bisogno di noi per rinnovarla. Qui si vede la differenza fra il vero e il falso riformatore. Jacques Maritain disse cose molto giuste sui riformatori: c’è una gran differenza fra san Pier Damiani e santa Caterina da Siena – che in secoli diversi hanno davvero riformato la Chiesa cattolica – e un preteso riformatore come Martin Lutero, che distrusse la fede, privo com’era di umiltà e di spirito d’ubbidienza. Il profetismo che pensa di sottrarsi all’umiltà e all’obbedienza è falso. Il profetismo vero è quello che in maniera non appariscente dice le cose che la Chiesa da sempre ha insegnato. Un altro grande santo, san Vincenzo di Lérins, disse: « La fede cattolica qual è? Ciò che da sempre, da tutti e in ogni luogo è stato creduto ». Quindi bando alle pretese di aggiungere delle novità, delle stravaganze, delle obiezioni! Bando ai gesti clamorosi! Con molta semplicità occorre ripetere quello che la Chiesa da sempre ha detto: verità sempre nuove e belle. Se uno si stanca della verità eterna, non è adatto alla vita eterna. Il Signore non cambia, è sempre identico a sé stesso. Oltre che essere umile, il profetismo di santa Caterina è realistico. Una tentazione gravissima del nostro secolo è quella di dissociare lo Spirito santo dalle istituzioni ecclesiali. Non voglio apparire ipercritico (voi sapete quanto io ami la Chiesa), ma faccio qualche fatica a vedere il soffio immediato e diretto dello Spirito Santo in tutti i dicasteri vaticani, in tutte le minuzie della sua burocrazia, ma ciò va visto con un certo umorismo. Non è questo ciò che importa. Bisogna saper dire che, ciò nonostante, è lo Spirito Santo che ha fondato la Chiesa. Invece i profeti moderni, dicono: « Evviva lo Spirito santo, abbasso le istituzioni ». No! Evviva lo Spirito
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Santo e perciò evviva le istituzioni, evviva il papa, evviva i vescovi, evviva anche i dicasteri della Curia romana col loro personale. È lo Spirito santo che ha fatto vivere la Chiesa fino ad oggi. Gesù non pianta in asso la sua sposa ed è con lei fino alla fine dei tempi. Talora si fa fatica a credervi, però bisogna credervi. Nel mondo contemporaneo si è insinuata una mentalità pseudospiritualistica. Che cosa intendo dire? Ho letto recentemente il libro di uno scrittore inglese, Aldous Huxley, sulla persona di un ecclesiastico un po’ controverso, François Leclerc du Tremblay, conosciuto in religione come padre Giuseppe. Fu segretario del cardinale Richelieu durante il burrascoso regno di Luigi XIII. Orbene questo autore, descrivendo la spiritualità del tempo (XVII secolo), parla anche del tipo di misticismo che c’era in quell’epoca e afferma che padre Giuseppe e gli altri mistici della sua corrente non avevano capito quello che le religioni orientali invece capiscono. Dice: « Voi cristiani fate un grande torto a Dio, perché oscurate la sua pura e nuda divinità con la mediazione di Cristo, di Maria e dei santi ». Ecco una delle tante obiezioni contro il cattolicesimo. Quanti falsi profeti ci dicono proprio questo: « Bisogna disfarsi oggi del culto dei santi e della Madonna »! Persino l’umanità del nostro Salvatore viene messa in disparte. Invece le nostre due dottoresse della Chiesa, santa Caterina da Siena e santa Teresa d’Avila sono perfettamente d’accordo sul fatto che per raggiungere Dio increato bisogna servirsi non dei mezzi di cui noi superbamente pensiamo di poter disporre, ma di quell’unico mezzo che Dio stesso ha disposto, cioè suo Figlio, il Verbo che si è fatto uomo. Questo è il messaggio di Caterina: chi non capisce l’umiliazione del Verbo, chi non comprende l’assunzione dell’umanità del Verbo, non conoscerà mai il Verbo nella sua gloria divina. Invece la tendenza di certa mentalità pseudospiritualistica odierna (una tentazione che accompagna già da tempo la Chiesa) è quella di dire: « Sbarazziamoci di tutte le cose esterne, dei santi, di Gesù e della Madonna; andiamo direttamente a Dio ». Questa è superbia. Chi ci prova, non arriverà mai a Dio. Essi verranno puniti nella loro superbia, perché in realtà con la scorciatoia di loro invenzione non arriveranno mai a Cristo. Non esistono scorciatoie. Occorre prendere l’unica strada maestra: Gesù. Ecco il realismo profetico di santa Caterina: se ci si propone di andare a Dio, puro Spirito, ci si deve arrivare attraverso Gesù, servendoci dei mezzi da lui concretamente disposti che sono la sua parola e i sacramenti datori di vita. Non ci sono altre vie di accesso. Oggi la cristianità tende a snobbare queste mediazioni, come se fossero opera umana; invece sono cose di Dio. Caterina ne ha un rispetto grandissimo. Il grosso pericolo del riformismo luterano consiste nell’affermare che si tratta di “cose umane”, invece si tratta di cose divine. Molti oggi dicono che Lutero in fondo non aveva tutti i torti, quando inveiva contro il clero corrotto e depravato.
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Certo Lutero aveva dei motivi per criticare il clero a lui contemporaneo. Anche Caterina ne aveva, ma lo spirito critico era diverso. Che cosa faceva Caterina? Scriveva delle lettere (anche estremamente violente) ai preti depravati, ma nel contempo baciava il suolo ove quei sacerdoti avevano messo il piede. Perché? Perché distingueva tra il prete uomo e il prete alter Christus. Occorre essere estremamente umili nei riguardi di Dio. Il Signore ha istituito il sacerdozio. Non sempre coloro che ne sono rivestiti si mostrano degni dell’abito. Perciò si deve aspirare a una riforma dei costumi e della vita morale e spirituale del clero, senza voler abolire con questo la figura del sacerdote. Caterina, grazie al suo sano e umile realismo, lo sapeva bene e restava sottomessa alle istituzioni volute da Cristo, alla volontà del Cristo. Un altro amore di santa Caterina fu quello per la Chiesa. Il discorso qui si fa delicato. Non è facile, pur con la prudenza e l’equilibrio che la Santa c’insegna,
metterlo in pratica al giorno di oggi, perché si corre il rischio di esagerare da una parte o dall’altra. L’amore per la Chiesa fa della Santa una “papalina più del papa”. Caterina era attaccata al papato più di quanto non lo fosse il pontefice del tempo. Mentre qualche profeta stravagante sarebbe entrato in polemica diretta con il papa e avrebbe protestato contro la cattività avignonese, Caterina non fece azioni clamorose. Pregò, fece penitenza, meditò, supplicò il Signore, poi – benché illetterata – si mise a scrivere delle lettere (ne scrisse 381!). Quasi tutto il santo collegio fu bombardato dalle sue missive. Le quali mostrano chiaramente due qualità importanti: amore per la Chiesa e coraggio nel dire la verità, anche scomoda. Quando alcuni cardinali pensarono di eleggere un antipapa, Caterina non ebbe dubbi e scrisse loro chiamandoli “diavoli rossi”. È terribile quest’epiteto!
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Ma nella sua critica, che può sembrare eccessiva, c’è il rispetto della santa Chiesa. Caterina rispettava i prelati, dal papa fino all’ultimo chierico, ma li rispettava in quanto servivano la santa Chiesa di Dio. Bisogna correggere con fermezza, anche usando espressioni che talvolta non risparmiano nulla, come fece santa Caterina. Però bisogna essere sempre mossi da amore per la Chiesa. Penso che quei cardinali smarriti abbiano riflettuto seriamente, dopo aver letto la lettera di Caterina. Caterina esorta gli uomini di chiesa a mutare atteggiamento e a essere più “virili”. È commovente che questa donna, forte di spirito, ma gracile nel fisico e molto femminile, abbia notato che nei chierici la virilità faceva difetto (e tuttora fa difetto nella Chiesa). La virilità è cosa importantissima: è la virtus fortitudinis, un dono dello Spirito santo. Tommaso d’Aquino dice che la fortezza ha due aspetti: quello della pazienza (che è prevalente) e quello dell’audacia (chiamiamola pure aggressività, ma non è un’aggressività malvagia e aiuta ad affrontare il male per toglierlo di mezzo). Caterina ebbe questa virilità in entrambe le sue sfumature: pazienza e coraggio nell’affrontare le situazioni e risolverle con esortazioni talvolta anche molto audaci ed energiche. È molto importante, care sorelle, che c’impegniamo in cose non sciocche, ma fondamentali. È curioso – parlo anche per me – quanta energia noialtri di chiesa sprechiamo per cose assolutamente inutili. Se faccio un esame di coscienza, mi viene quasi paura. Dissipiamo energie per tante cose di secondaria importanza, ma quelle energie andrebbero spese soprattutto per l’edificazione della santa Chiesa. Questa dovrebbe essere la nostra insonne preoccupazione giorno e notte, tanto da farci prostrare davanti alla croce, come faceva S. Caterina, e supplicare Gesù di aver pietà della sua Chiesa. Il sensus ecclesiae si è smarrito molto, non nascondiamocelo. S. Caterina non nascondeva per paura od opportunismo certe verità sgradevoli. Nella cristianità odierna vedo da un lato una tendenza a criticare spietatamente, dall’altro a nascondersi vilmente davanti alla realtà. Si dice: « Macché, nella Chiesa non ci sono divisioni, non possono esserci! ». Invece no. Al tempo di Caterina la crisi c’era e lei la riconobbe. Anche ai nostri tempi la crisi c’è e noi, se siamo dalla parte della verità, dobbiamo riconoscerla. Un nostro confratello francese, padre Bolivier, ha intitolato molto bene un suo libro Le courage d’avoir peur. Solo i coraggiosi possono permettersi il lusso di guardare in faccia la verità paurosa. Caterina aveva appunto questo tipo di virilità. Era papalina più del papa. Scriveva al papa da un lato chiamandolo “dolce babbo, dolce Cristo in terra” (parole di estrema tenerezza), dall’altro dicendogli: « Dolce Cristo in terra, siate forte, siate forte! ». Anche al santo padre Caterina ebbe il coraggio di dire che in fondo non era tanto forte quanto Gesù avrebbe voluto. Si potrebbe dire: « Fu atto di presunzione che una donna, che non aveva nessun titolo per farlo, scrivesse al papa ad Avignone scongiurandolo di tornare a Roma ». Ma il significato di tutta l’opera di Caterina fu proprio quello di far tornare il successore
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di Pietro nella città di Pietro. Sapendo di agire con retta coscienza e a volte su richiesta dello stesso Papa, Caterina non badava alle critiche. Anche se qualcuno l’accusava di essere presuntuosa (i chierici dicevano che era disobbediente al santo padre), lei tranquillamente scriveva: « Dolce Cristo in terra, siate forte, tornate a Roma! ». Care sorelle, bisogna avere sempre una grande, sentita, profonda ubbidienza al papa. Caterina, per quanto in alcune sue lettere esorti anche il pontefice, però lo tratta meglio di alcuni cardinali. Si nota per lui un particolare riguardo. E guai se non l’avesse avuto. Quando definivo Caterina “più papalina del papa” non intendevo dire che la Santa giudicasse la suprema sede. Sarebbe indelicato. La suprema sede non può essere giudicata da alcuno, ma può ricevere suggerimenti da tanti cristiani che vivono in umiltà. Anche san Pietro con umiltà ricevette i suggerimenti di san Paolo. Era chiaro il distacco gerarchico tra Pietro e Paolo, eppure Pietro con umiltà riconobbe: « Hai ragione, ho sbagliato a mangiare prima con tutti indistintamente, per poi segregarmi e mangiare solo con gli ebrei, trascurando così i pagani ». Dobbiamo avere un amore cateriniano per il papa. Quello attuale – lo vedete bene – soffre molto; perciò bisogna pregare per lui. Il papa è sempre un Cristo in croce, soprattutto oggi; ha molti e acerrimi nemici fuori e dentro la chiesa; ha molti adulatori, ma pochissimi veri amici. Allora con umiltà e con amore bisogna saper essere più papalini del papa, studiando bene quello che egli vuole, ricordandogli, se è il caso, ciò stesso che ha deciso di fare e che è prescritto dal suo altissimo ufficio. Ogni buon religioso – dice San Tommaso d’Aquino – anticipa i comandi del suo superiore, cioè non aspetta che il superiore gli dica « Tu devi fare questo e questo ». Infatti talvolta il superiore può trovarsi in condizioni tali da non poter comandare. Allora il religioso intelligente anticipa i voleri di chi gli è preposto (ovviamente badando bene a non dare delle interpretazioni soggettive). Questo stesso sentimento deve animarci nei riguardi del santo padre. Talvolta mi si obietta: «Tu vuoi essere più papalino del papa; quindi presumi di anticipare quello che il papa pensa senza essere sicuro di questo ». Non è vero! Stranamente e paradossalmente, nel Rapporto sulla fede del cardinale Ratzinger [Edizioni Paoline, 1985] tutte le cose che dicevo dieci anni fa (non per vantarmi) sono puntualmente e autorevolmente confermate. Se si fa un’analisi prudente della situazione e se si cerca di essere eroicamente ubbidienti, allora si fa la volontà dei superiori. Per esempio, voi sapete quanto Paolo VI abbia sofferto per le vicende olandesi. È cosa risaputa che in Olanda hanno introdotto la comunione in mano per un puro capriccio. Il santo padre ha subìto il ricatto, perché non succedesse di peggio. Cosa fece? Ammise la comunione in mano, pur piangendo. Capite quello che voglio dire? Caterina cosa avrebbe fatto? Flagellazioni, penitenze. Cosa fecero in Olanda i buoni cristiani? Certo, c’era il permesso di dare la comunione in mano, ma loro decisero di non avvalersene. Non è detto che tutto quello che è permesso
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vada fatto. Allora con molta umiltà bisogna sempre stare dalla parte del santo padre, dalla parte della mens pontificis. Ultima considerazione. Si dice che Caterina abbia avuto la visione della bellezza di un’anima in stato di grazia. Questo la impressionò tanto che non si stancava mai di parlare del sangue di Gesù che redime dal peccato le anime nel sacramento della penitenza. In questo si manifesta la sua profonda spiritualità domenicana: apostolato e verità vanno di pari passo. Per amare le anime davvero, bisogna amarle nella verità e condurle alla Chiesa, unica vera arca di salvezza. Al di fuori della Chiesa non c’è salvezza. Il catechismo ci insegna che l’unione visibile alla Chiesa tramite la fede esteriormente professata non basta per salvarci. Bisogna avere anche la carità, che è l’unione invisibile alla Chiesa. Chi non ha avuto la fortuna di conoscere la predicazione apostolica, può salvarsi ugualmente aderendo alla Chiesa tramite una fede implicita e tramite la carità. Però anch’egli non si salva senza il Cristo e senza la Chiesa. Quindi amare le anime significa condurle alla verità. Lo Spirito santo docebit vos omnia, vi insegnerà ogni cosa. Piace a me e piaceva anche a san Tommaso il fatto che l’amore introduce alla contemplazione intellettiva della verità. Lo Spirito santo, amoroso fuoco, impossessandosi di un’anima la introduce alla pienezza della verità di Cristo. Caterina, da buona figlia di san Domenico, fu appassionata della salvezza delle anime. Tre cose non la lasciavano mai tranquilla: il sangue di Gesù, la Chiesa sotto la guida del Papa, dolce Cristo in terra, e la salvezza delle anime. Mi piace tanto nello
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stemma salesiano questo motto: Da mihi animas, cetera tolle, dammi le anime e poi togli tutto il resto. Questa è la mentalità domenicana e cateriniana. La nostra vera gloria (che poi non è nostra, ma è di Dio) è quella di condurre a Dio le anime. Non c’è gloria maggiore dell’uomo vivente in grazia, l’uomo che è salvato tramite il Sangue di Gesù! Care sorelle, lasciamoci appassionare da questa carica apostolica. È mia intenzione di aderire alle parole del santo Padre nel discorso di Loreto: “è necessario che la carità introduca alla verità, ma nel contempo che la verità si rivesta della dolcezza della carità”. Bisogna essere dolci con coloro che devono essere condotti alla verità. Quindi quando me la presi con la tolleranza e l’indifferentismo non intendevo dire che bisogna essere duri e maleducati con il prossimo, guai. La verità, se non è affabile, se non è cortese, se non ha buone maniere, non attrae nessuno. Mi pare che san Francesco di Sales abbia detto che una goccia di miele vale più di una botte d’aceto. Quindi bisogna essere molto dolci con le anime, però nel contempo il traguardo deve essere perseguìto con determinazione. La grande tentazione degli apostoli moderni è quella di mettere in dubbio la verità in nome della carità. Si dice: « Se debbo amare tutti, non ha importanza che cosa loro pensino. La verità divide, la carità unisce. Quindi, uniti nella carità, ciascuno la pensa a modo suo ». Così si finisce, paradossalmente, per distruggere anche la carità. Invece chi è intransigente con la verità sente la superiorità della verità, cioè avverte che la verità non è un prodotto del suo cervello. La verità è lì: posso negarla e allora peggio per me; posso accettarla e allora l’anima mia si eleva. La verità non è manipolabile. È lì indipendentemente da me. Invece chi comincia a negare la verità in nome della carità, finisce per dire: « La verità è quella che vi dico io, non ciò che esiste indipendentemente da ciò che dico e penso!». Ecco perché, sotto una camuffata tolleranza, si nasconde spesso tanta violenza e prevaricazione. Basta aprire gli occhi per vederlo. È molto importante mantenere questo duplice atteggiamento: intransigente adesione alla verità e nel contempo grande dolcezza e amabilità nel condurre le anime al vero. La salvezza, se non si raggiunge attraverso le vie ordinarie della Chiesa, è comunque garantita dal cuore di Cristo. Vale a dire: non c’è salvezza se non in Cristo. Allora, per esempio, i buddisti che non conoscono Cristo non si salvano? Ci saranno pure – anche tra i buddisti – dei santi che si salvano! Ci saranno pure dei giusti che vanno nel paradiso buddista! Ma come? La Chiesa è come l’arca di Noè: tutti periscono a causa del diluvio universale, tranne Noè e la sua famiglia, perché sono entrati nell’arca. Questa è una dottrina rivelata e perciò immodificabile. La Chiesa non si vanta del privilegio (che il Signore le ha dato) di essere sacramento universale di salvezza. Essa è strumento universale di salvezza non per superbia sua, ma per volontà del Padre. Così pure Gesù è quello
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che è per volontà del Padre. Egli pertanto, rispondendo ai suoi oppositori che lo accusavano di superbia come oggi alcuni accusano la Chiesa di superbia, diceva che la sua dottrina non era sua, ma del Padre che lo ha mandato. Così la Chiesa è strumento universale di salvezza non per superbia sua, ma per volontà del Padre. Ciò non esclude la salvezza dei cosiddetti “non-credenti” (termine sbagliato, perché, come dice san Paolo, non ci si salva senza la fede). Bisognerebbe dire “salvezza degli implicitamente credenti”. Questa è la formula giusta, elaborata già nel secolo XIX da papa Pio IX. Da qui risulta che bisogna essere molto prudenti nel sentenziare: « quello si salva, quell’altro no ». Solo Dio lo sa. Una cosa possiamo dire: si salva anche chi non crede esplicitamente in Cristo e nella sua Chiesa; si salva anche chi non è battezzato; però non si salva senza il Cristo e senza la Chiesa. Allora di che tipo è la sua adesione al Cristo e alla Chiesa? È un’adesione interna, invisibile. Si deve dire non già che costui « non appartiene al corpo della Chiesa », ma che «appartiene all’anima della Chiesa », cioè in qualche modo appartiene alla Chiesa, se non visibilmente (tramite il battesimo, la professione esplicita della fede, i sacramenti), almeno invisibilmente tramite la fede implicita e la carità. Mentre si può avere la fede senza la carità, non si ha mai la carità senza la fede, come non si ha il più senza il meno. D’altronde non si può amare ciò che non si conosce. Amiamo Dio soprannaturalmente solo se lo conosciamo soprannaturalmente tramite la fede. Allora i fratelli non esplicitamente cattolici, che aderiscono al Cristo e alla Chiesa invisibilmente, devono avere una forma di fede. Quale fede? Non certo la nostra. Lo Spirito santo, che parla ai cuori in un modo che solo Dio conosce, li introdurrà al mistero di Dio e al mistero della giustificazione, cosicché essi, pur non sapendo che il Salvatore è Gesù, vivano in sincera attesa della salvezza che Dio si compiacerà di dare loro. In questo caso Dio si servirà dell’apostolato dello Spirito santo, non di quello degli uomini. Tuttavia la via ordinaria per la diffusione della fede e della salvezza è quella dei sacramenti. Questo concetto è stato così espresso da Tommaso d’Aquino: Deus non alligavit misericordiam suam sacramentis, cioè Dio non ha legato la sua misericordia ai soli sacramenti; ma quella grazia che infallibilmente agisce nei sacramenti, in un modo che solo Dio conosce può agire in anime che ignorano l’esistenza dei sacramenti. Queste però sono vie straordinarie, a cui penserà il Signore. Noi invece dobbiamo pensare al nostro dovere di andare verso tutte le genti, per ammaestrarle e battezzarle nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito santo. Questa è la via ordinaria per cui Dio comunica la buona novella agli uomini e ne accende la carità. L’ignorare Cristo senza colpa o in buona fede comporta un contatto implicito con Cristo, che può dare comunque la salvezza. Liberamente tratto da una conferenza tenuta alle suore domenicane di Bologna
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