L’UTOPIA DELLA PERIFERIA STORICA.
L’AGRICOLTURA IN CITTÀ E LE TIPOLOGIE ARCHITETTONICHE DI SERVIZIO AL QUARTIERE.
Tesi di Laurea Magistrale in Architettura e Disegno Urbano di Ricci Matteo
(919550)
Relatore: Prof. Monica Luca Correlatori: Prof. Bassoli Andrea Antonio, Arch. Bergamaschi Luca, Prof. Ferreri Giovanni Luca. Anno Accademico 2020/21 1
INDICE 01 TENSIONE UTOPIZZANTE DI RIFORMA Premesse
6
La fine della città
8
Utopia come risposta
9
Un nuovo arcipelago funzionale
10
Obiettivi per lo sviluppo sostenibile
14
Un’architettura parlante
20
Nuove immagini sospese
90
02 IL QUARTIERE DI GRECO COME PRETESTO Introduzione al distretto
98
Forma urbis
100
Morfologia grechese: da borgo rurale a quartiere metropolitano
110
Dalle prime ferrovie alla Stazione Centrale
116
I Magazzini Raccordati
126
Il mercato del pesce
130
Pirelli: dallo stabilimento al progetto Bicocca
134
Percezione e fenomeni
136
03 ISTRUTTORIA PER GRECO L’utopia della periferia metropolitana
146
Individuazione del contesto urbano
150
Istruttoria grechese: macro-strutture per micro-paesaggi
158
Introduzione al concetto di vertical farming
180
Verical farms: nuove immagini grechesi
186
Conclusioni
202
01
TENSIONE UTOPIZZANTE DI RIFORMA
Premesse
La città di Milano è stata teatro durante il nostro percorso universitario di svariate ricerche, analisi, ipotesi, verifiche, proposte progettuali a scale variabili in vista di nuove possibilità futuribili per il capoluogo lombardo. La nostra tesi di Laurea Magistrale in Architettura e Disegno Urbano conclude il nostro percorso accademico-formativo, diviene sintesi di ideali ed insegnamenti acquisiti, secondo l’approccio metodologico di studio e riflessioni proprio dell’utopia. Utopia intesa come possibilità di prevedere nuovi scenari futuri, in cui le attuali mancanze divengono nuove possibilità, nuove immagini, nuove forme. La tesi proposta “L’Utopia della periferia storica. L’agricoltura in città e le tipologie architettoniche di servizio al quartiere” si lega inevitabilmente allo studio della città di Milano (dei suoi comparti urbani, delle sue direttrici generatrici, degli aspetti storico-morfologici, ecc.) ed alla serie di correnti, avanguardie e figure del mondo architettonico, le quali hanno rivoluzionato, condizionato e previsto nuovi modi di vivere e di abitare. Nello specifico la nostra ricerca ai fini progettuali affonda le proprie radici nelle ricerche condotte durante il Corso del Laboratorio Tematico dell’anno accademico 2019-2020, diretto dai Professori L. Monica e G. L. Ferreri. In un momento di assoluta precarietà ed incertezza, data la situazione dovuta alla pandemia globale, questi hanno puntato a farci riflettere sull’attuale crisi della città europea ed in particolare di Milano, della sua società e dell’architettura che genera e plasma lo scenario cittadino. Ogni crisi è necessariamente legata ad un momento di rivoluzione di riforma – come la storia ci ha sempre insegnato – ma parlare di rivoluzione in architettura significa riuscire ad immaginare nuove visioni futuribili e realizzabili, al fine del conseguente miglioramento delle condizioni di vita dell’uomo. La città diviene così il luogo prediletto per la realizzazione della riforma architettonica e conseguentemente sociale. La crisi della città contemporanea, già prima del COVID-19, era già evidente, teatro di disuguaglianze, disorganizzazione e caos. 8
Il clima di crisi sanitaria sta conseguentemente trascinando la società sul baratro di ulteriori stati di criticità politica e socio-economica. Milano diviene così il simbolo della rivoluzione, ha lo scopo di essere riformata, rinnovata, trasformata: diviene il campo applicativo dell’utopia. La ricerca proposta ha lo scopo di fornire risposte concrete, a livello architettonico ed urbano, nei confronti degli assetti politici di pianificazione territoriali imposti e delle vicessitudini di natura finanziaria che hanno condizionato lo sviluppo dell’attuale “Mediolanum Suburbana” ed in larga parte generato l’attuale crisi identitaria della città stessa. In un momento in cui le periferie appaiono sempre più periferiche e marginali, così come i loro abitanti, ci prefissiamo la realizzazione di nuovi sistemi architettonici, di nuovi immagini pronte a rispondere della mancanza di servizi nei comparti urbani più lontani dal centro, luoghi in cui si manifestano tutti gli insiemi di errori dati dalle pianificazioni urbane degli ultimi due secoli.
(1) (1) Architettura periurbana, collage elaborato per il Corso del Laboratorio Tematico dell’anno accademico 2019-2020, a cura di G. Ferreri e L. Monica.
9
La fine della città Uno degli avvenimenti più importanti per l’intero sviluppo della nostra cultura è il rapido aumento demografico di tutta una serie di città a partire dal sedicesimo secolo e la nascita con ciò di un nuovo tipo di città: la città di molte centinaia di migliaia di abitanti – la “Metropoli”– che verso la fine del diciassettesimo secolo si avvicina come nei casi di Londra e Parigi, alla moderna forma di città con milioni di abitanti. A partire dal XX secolo, man mano che le tecniche del trasporto, la costruzione di ferrovie e di tramvie, e poi la diffusione dell’automobile e degli impianti metropolitani, la pressione sulle aree centrali delle città è stata temperata da una vasta periferia, terreno nel quale il secolo ha prodotto forme insediative che hanno cambiato la fisionomia di interi territori. Le infrastrutture della mobilità assumo così una presenza fortissima all’interno delle città: lo sguardo viene deviato, la vista schermata, e la produzione di inquinamento acustico ed atmosferico generano cambiamenti importanti sulla percezione della città antropizzata da parte dei cittadini. La concentrazione di popolazioni e di attività all’interno della città, in una perpetua competizione per accaparrarsi il loro spazio ha cambiato così la sua fisionomia ed i suoi modi di funzionamento. “Movimenti di persone e di cose, di idee e di informazioni, di tendenze artistiche e politiche, inseguendosi con i propri differenti ritmi, hanno espulso, da intere parti della città e dei territori ad essa contermini, individui e gruppi sociali, attività, funzioni e immagini meno competitivi sostituendoli con soggetti, attività, funzioni, ruoli e immagini nuovi. Rispetto al passato la città è divenuta un’ancor più imponente macchina produttrice allo stesso tempo di integrazione, ma anche di esclusione e segregazione.” (1) Il XX secolo viene governato così da due angosce: l’aspettativa di una crescita inarrestabile della città ed il timore della sua dissoluzione in forme di insediamento disperse. Tali preoccupazioni si ripercuotono così sulla forma urbis contemporanea propria delle grandi città europee, in cui la metropoli è divenuta megalopoli: luogo di concentrazione di una popolazione smisurata, estranea all’esperienza individuale e collettiva dei suoi abitanti. Le grandi masse si riflettono sul territorio antropizzato portando alla dissoluzione 10
dello stesso concetto di città, in cui è spesso impossibile definire i suoi confini. Lo sviluppo dei trasporti e della mobilità richiede sempre più spazio (in particolare dei parcheggi) per permettere la velocità caratterizzante i frenetici scambi all’interno della città stessa, giocando un ruolo rilevante nella definizione delle attuali città occidentali, ridisegnando non solo il tessuto urbano, quanto anche alla ricollocazione di differenti attività in zone più ampie e con una maggiore accessibilità, disperdendo ai margini delle aree metropolitane ed urbane aree commerciali, attrezzature ospedaliere, sportive, scolastiche, congressuali, mercati, depositi, sedi pubbliche e private, ristrutturando i processi produttivi ed i propri rapporti con il contesto urbano. La riconfigurazione in territori sempre più vasti porta alla concentrazione e alla dispersione nelle grandi periferie metropolitane, nei suburbs, nelle città-regione. La città contemporanea è infatti caratterizzata da una perpetua instabilità connessa al ruolo dell’infrastruttura, anch’essa in perpetua espansione e modifica, che rende impossibile dare un assetto duraturo nel tempo allo spazio.
1. Bernando Secchi, La città del ventesimo secolo (Roma: Laterza, 2005),16.
Utopia come risposta Che la costruzione della città possa far parte di un più vasto progetto di costruzione sociale non è un’idea nuova, ma che bensì affonda le proprie radici in epoche precedenti. Dal Rinascimento si comprende che elementi puntuali all’interno del comparto urbano hanno la forza di generare cambiamenti percettivi e sociologici sulle persone che vivono i luoghi; così come le esperienze lasciate dalle proposte dell’architettura rivoluzionaria, unite a quelle dell’economia fisiocratica e dell’ideazione del Falansterio di C. Fourier, per concludere con le differenti visioni delle avanguardie artistiche con i loro contributi eterogenei riassumibili come utopie d’intervento. Oggi giorno il progetto della città è perennemente in ritardo nei confronti delle complesse dinamiche intestine che la governano, le stesse che ne hanno modificato l’aspetto e la dimensione nel secolo precedente. Le politiche del welfare che hanno contraddistinto il XX secolo hanno inciso profondamente sulla città fisica e la sua immagine dall’immediato dopoguerra sino ai giorni nostri, cercando di dare una dimensione fisica, concreta e visibile alla ricerca di benessere e libertà: sfortunatamente i risultati degli sforzi prodotti da architetti ed urbanisti riescono ad accontentare solo una piccola parte di popolazione. L’utopia nell’urbanistica contemporanea ha il dovere di predisporre, partendo dal presente, gli strumenti e le immagini di una nuova forma urbana, che all’interno delle contraddizioni della città speculativa sia capace di prefigurare un diverso rapporto fra le diverse parti della città, fra il centro e la periferia, fra la città ed il suo sviluppo insediativo periurbano. La città industriale-capitalistica, che rispecchia l’assetto odierno della città di Milano, è policentrica solo per chi la può usare in tutti i suoi parametri: la città industriale realizza per alcuni, ma non per tutti, dei gradi di maggior libertà – sia per la rottura dello schema urbano, sia per struttura più complessa della vita civile – che presuppone nuovi organismi architettonici, nuove tipologie edilizie, nuovi mezzi di scambio e di trasporto accessibili a tutti. All’architettura spetta il difficile compito di
ricucire il legame fra la città murata, la città contemporanea, e la campagna connessa ad essa. “La città attuale è indefinita e come tale è anche infinita, essendo la sua dimensione stabilita dal suo possibile sviluppo produttivo e dalla conseguente assunzione del suolo come edificabile.” (2) La formulazione di un’utopia realizzabile da applicare alla città di Milano, mette in luce la necessità di costituire nuove tipologie insediative e/o di modificare l’assetto di altre immagini preesistenti al fine di una riconfigurazione urbana sapiente e dinamica. Per procedere nel nostro operato sperimentale del costituire una nuova città nella città – un nuovo arcipelago funzionale capace di dialogare con la Mediolanum antropizzata, contemporanea, odierna – in grado di metterla in comunicazione con i suoi differenti poli e con l’esterno, ci siamo rifatti alle esperienze russe del progetto di Leonidov per l’insediamento socialista di Magnitogorsk del 1930. La città infinita, utopia della nuova società organizzata secondo geometrie pure orientate da una composizione ben precisa, fatta di stereometrie connesse alla concezione degli archetipi storici. Il forte legame delle forme costituenti la nuova città linea ed il suo arcipelago di architetture ad esso connesse hanno il forte ruolo rappresentativo di lavorare con immagini ricorrenti dalla tradizione, per poi essere rielaborate in chiave moderna, senza mai dimenticare le loro origini e i significati intrinsechi delle forme stesse. La giustificazione formale, connessa al concetto di archetipo e di forma-funzione, si prefigge lo scopo di rispondere inoltre a problemi di carattere contemporaneo, propri dell’agenda 2030: proprio l’interconnessione fra l’abaco funzionale predisposto e la risposta data nei confronti dei diciassette punti costituenti il piano dell’ONU, porterà ad una meditata proposta d’intervento, contro le disuguaglianze sociali e di carattere ambientale.
2. Carlo Aymonino, Origini e sviluppo della città moderna, (Venezia: Marsilio Editori, 2009), 28.
11
Un nuovo arcipelago funzionale La città contemporanea è, come già asserito, in continuo moto: le dinamiche che generano movimento sono ormai incontrollate ed incontrollabili, una perpetua concatenazione di causa ed effetti mette in evidenza una perpetua trasformazione dei luoghi. Immaginando di poter fermare il tempo al fine di conferire una risposta hic et nunc alle nuove necessità dei comparti urbani, sia da un punto di vista morfologico-spaziale, quanto in relazione alle sempre più nuove e numerose esigenze del vivere quotidiano, proponiamo l’elaborazione di una nuova idea di città attraverso l’integrazione e la formulazione di nuove immagini architettoniche. Immaginare nuovi orizzonti integrati con le preesistenze appare, attualmente, l’unica possibilità. Il campo operativo e d’applicazione è, nel nostro caso, Milano; tale metodo d’intervento è però applicabile a qualsiasi città occidentale. Milano si trova oggi giorno a fronteggiare la pericolosa minaccia della globalizzazione, che ha portato alla costruzione di numerosi esempi di edilizia speculativa, sia dal punto di vista del processo generatore e dei risultati architettonici prodotti, che delle dinamiche di gentrification, da cui tali processi di rigenerazione urbana sono contraddistinti. Non ritenendo di fondamentale rilevanza una critica nei confronti delle varie architetture che tali processi hanno sviluppato, crediamo però sia necessario prendere posizione nei confronti di tali processi finanziari connessi al tema della trasformazione urbana. Il rischio più grande è infatti la perdita d’identità. Fortunatamente è ancora possibile una lettura della città attraverso i suoi luoghi caratteristici e caratterizzanti; attraverso la comprensione della loro passata e presente funzione all’interno dell’urbs storicizzata: le variazioni e le differenziazioni diventano così una caratteristica da salvaguardare. Gli interventi di natura pubblica e privata che hanno generato la creazione totale o la parziale integrazione di un’architettura speculativa sono tutti accomunati da un senso di estraneità nei confronti del territorio e della sua storia. Crediamo sia ancora necessario riconoscere la città antropizzata, così 12
come riconoscere le dinamiche che spingono i suoi fruitori a vivere ed abitare, come nel nostro caso esemplificativo, “alla milanese”. Ci prefiggiamo a questo proposito l’elaborazione di un nuovo piano urbano, scandito da nuove immagini architettoniche, al fine di rispondere alle nuove esigenze del vivere quotidiano all’interno della contemporanea Mediolanum Suburbana; essendo consapevoli del fatto che la modernità ha totalmente sconvolto i tipici modi di vivere, lavorare, studiare e produrre, a cui noi, architetti (e utopisti) abbiamo il dovere di dare risposta. L’intento del nostro intervento è quello di ricostruire un’identità funzionale-formale di Milano, che si integri al tessuto insediativo del centro, delle periferie storiche e dell’hinterland limitrofe. Proponiamo a questo proposito l’ideazione e la formulazione di un nuovo abaco stereometrico, in cui le nuove figure rappresentate costituiscano dei prototipi architettonici, non settoriali e non specialistici. Ciò permetterà, in fase di attuazione del piano utopico proposto, la possibilità di calare tali volumetrie all’interno di lotti di destinazione precisi, predisponendo nuove immagini dei distretti, configurando nuovi quartieri sperimentali e nuovi orizzonti urbani. Il concetto di “tipologia come la sistematica che ricerca l’invariare della morfologia”, introdotto da Guido Canella come un aspetto conoscitivo storico e contestuale dell’originalità e autenticità delle forme geometriche dell’architettura, in cui si definisce il tipo come geometria della funzione. La geometria che intende Canella non è quella delle stereometrie pure e primarie (quasi neoplatoniche) delle opere di Rossi e Polesello degli stessi anni, ma quella del diagramma dei comportamenti planimetrici e degli assetti spaziali. Non potendo trascurare la concezione secondo la quale la scelta formale si sviluppa a partire dalla funzione scelta, riteniamo di poterci definire allineati al pensiero di Canella nei confronti della ricerca da noi condotta per la generazione stereometrica e spaziale dei nuovi edifici costituenti l’abaco dei prototipi del nuovo arcipelago funzionale. “[...] Soltanto così, promuovendo la scelta della figura a un tutt’uno con la scelta del tipo (cioè, con la geometria stessa della funzione), essa è in grado di costituirsi in programma contro la separazione, per un diverso e nuovo comportamento, per un diverso e nuovo rapporto tra pubblico e privato, tra collettivo e individuale, eccetera.[...]Ritengo esperienza suscettibile di istanze liberatrici e di motivi propositivi quella dell’analisi complessamente conoscitiva delle «figure base» — degli archetipi, dei classici, non dei loro manieristi — dell’architettura, tesa sia a documentare i rapporti tra
contesto e tipologia, non in modo «disciplinarmente ortodosso», ma sperimentalmente, sia ad autorizzare, con il provare e riprovare, la contaminazione, fino magari al limite del «caotico», nello sforzo prestabilito di rendere coesi espressione originale e comportamento nuovo.” (3) Il processo di stesura dell’abaco relativo alle tipologie si è fortemente ispirato alle raccolte costituite da John Quentin Hejduk (19292000), componente del gruppo “New York Five” ed esponente e teorico della corrente “decostruttivista”, intitolate “Masques”, con cui lo stesso architetto tendeva a rappresentare attraverso il disegno varie possibilità volumetriche, più o meno definite ed articolate; isolate o legate l’una all’altra. Con lo stesso intento vogliamo presentare in seguito l’abaco archetipico delle stereometrie elaborate. Ogni figura illustrata e catalogata è frutto di un’analisi accurata di riferimenti nobili propri della cultura architettonica, che verranno poi analizzati specificatamente, su cui il nostro pensiero si è ulteriormente sviluppato ed articolato in modo tale da fornire una risposta appropriata e centrata nei confronti della tematica forma-funzione e forma-memoria. La definizione del nuovo arcipelago funzionale è definita come riportato in seguito, in merito ad una riflessione attenta e meditata sulle funzioni mancanti e su quelle da integrare e/o potenziare per una nuova definizione di città.
la ricerca e la logistica. –Mercato: mercati rionali. –Centri produttivi: recupero sia del modello a sviluppo verticale che della “città lineare” (con trasporti, residenze e uffici). –Azienda agricola: spazi adibiti alla produzione controllata e pianificata di risorse agro-alimentari. Possibilità di sviluppo verticale (vertical farm), orizzontale attraverso serre, o misto. Uniti a spazi per la ricerca connessa al mondo universitario; spazi per uffici connessi alla logistica e alla distribuzione.
–Scuola dell’obbligo: scuola all’aria aperta, distribuzione orizzontale e successioni spaziali, connessa al tempo libero, allo sport, alla cultura. –Scuola di formazione ed integrazione: centro culturale orientato all’insegnamento della lingua e della cultura italiana connessa a luoghi del know-how ai fini lavorativi: spazi per workshops e laboratori artigiani. –Residenze: differenti tipologie abitative all’interno di strutture miste atte alla vita, al lavoro ed al tempo libero. Spazi per co-working; laboratori artigiani; spazi per lo studio; spazi per lo sport ed il tempo libero.
(2) O. M. Ungers,Cities in the City, 1977.
–Sanità: centri sanitari di quartiere. –Centri del sapere: nuovi spazi polifunzionale a dominanza museale e culturale. –Attrezzature per le public utilities cittadine: centri per smaltimento dei rifiuti, produzione di energia rinnovabile, sfruttamento e depurazione delle acque, telecomunicazioni, con spazi di lavoro e di formazione specialistica, connessi a centri per
3. Guido Canella, Un ruolo per l’architettura (Napoli: CLEAN, 2011), 70-71.
13
(3) J. Hejduk, schizzo estrapolato dalla raccolta intitolata Masques, 1981. 14
15
Obiettivi per lo sviluppo sostenibile L’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile è un programma d’azione per le persone, il pianeta e la prosperità sottoscritto nel settembre 2015 dai governi dei 193 Paesi membri dell’ONU. Essa ingloba 17 Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile – Sustainable Development Goals, SDGs – in un grande programma d’azione per un totale di 169 ‘target’ o traguardi. L’avvio ufficiale degli Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile ha coinciso con l’inizio del 2016, guidando il mondo sulla strada da percorrere nell’arco dei prossimi 15 anni: i Paesi, infatti, si sono impegnati a raggiungerli entro il 2030. Gli Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile danno seguito ai risultati degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio (Millennium Development Goals) che li hanno preceduti, e rappresentano obiettivi comuni su un insieme di questioni importanti per lo sviluppo: la lotta alla povertà, l’eliminazione della fame e il contrasto al cambiamento climatico, per citarne solo alcuni. “Obiettivi comuni” significa che essi riguardano tutti i Paesi e tutti gli individui: nessuno ne è escluso, né deve essere lasciato indietro lungo il cammino necessario per portare il mondo sulla strada della sostenibilità. Da un certo punto di vista strettamente settoriale, molti degli obbiettivi di sviluppo sostenibile attuale sono riferiti alle tecnologie applicate all’architettura (recupero e efficienza energetica, “performance” dell’involucro edilizio, miglioramento delle condizioni antisismiche, eccetera) e riferibili direttamente alle indicazioni del Green Deal europeo. Altri aspetti riguardano invece il disegno della città e del territorio, non solo nel senso del paesaggio (al contrasto dell’erosione del suolo naturale, per esempio) ma riguardo agli aspetti urbani (dalla scala metropolitana a quella dei centri di medie e piccole dimensioni), nelle operazioni di rigenerazione di specifiche aree dismesse, fino alle reti delle architetture dei servizi nei quartieri dislocati ai margini dei centri e verso la periferia. Questo ultimo tema è sicuramente meno esplorato e maggiormente da interpretare rispetto agli obbiettivi generali e particolari indicati nell’Agenda e nelle sue applicazioni di politica governativa. Anche se nell’Agenda ONU 2030 tra i 16
diciassette obiettivi indicati solo uno è riferito nello specifico alla città e al territorio (Goal 11, “Rendere le città e gli insediamenti umani inclusivi, sicuri, duraturi e sostenibili”). Risulta da più parti evidente e riconosciuto che il disegno della città e del territorio è un tema trasversale e costante, una sorta di invariante problematica, presente in tutti i Goal e Target dell’Agenda. In questo campo di lavoro l’architettura in quanto tale può dare un contributo importante studiando “buone pratiche”, anche a partire dalla sua storia e dalle sue tradizioni operative, dalla sua teoria e dalle esperienze esemplari. Se pensiamo infatti al ruolo che ha avuto l’architettura in epoca moderna, possiamo senz’altro riconoscere che le fasi storiche in cui ha inciso maggiormente nella società sono state proprio quelle segnate da profonde riforme, altrettante “agende” che ritroviamo nella storia di molte figure di architetti, (da W. Gropius a M. Van Der Rohe e Le Corbusier, solo per citare alcuni fra i più noti), o in importanti “società scientifiche” come Werkbund, Ciam o Inu. Tra le istituzioni che in Italia si occupano dell’Agenda si segnala l’ASviS – Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile – che pubblica annualmente un report sullo stato di attuazione e proposte per l’adempimento degli obiettivi prefissati dall’ONU. Alcuni caratteri di applicabilità operativa emergono chiaramente dal “Rapporto ASviS 2020. L’Italia e gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile”, dell’ottobre 2020. Di seguito si citano alcuni punti estratti dal Rapporto, interpretabili come caratteri salienti nei quali il progetto di architettura può assumere un ruolo concreto nella nuova organizzazione degli spazi e nelle strutture di servizio e attrezzature per la città, oltre che nella “qualità” ed espressione del paesaggio della città pubblica. –Aree di intervento: la “Relazione conclusiva della Commissione d’inchiesta sulle Periferie” (Camera dei Deputati, 14 dicembre 2017), indica un meccanismo di finanziamento stabile e continuativo di un miliardo di euro l’anno per 10 anni. In questo ambito, può essere svolta una individuazione preliminare delle 150-200 aree di maggior fragilità sociale del Paese, sia interne che esterne ai centri urbani. –Trasporti: oltre al patrimonio edilizio, anche i trasporti nelle aree urbane sono un settore essenziale per la riduzione delle emissioni di CO2 (il terzo è l’industria). I dati raccolti da ASviS indicano, tra le varie azioni, lo sviluppo per le infrastrutture per il trasporto
rapido di massa (con un fabbisogno di 33 miliardi di euro). –Riduzione del consumo di suolo e città compatta: la distruzione degli habitat naturali è tra le principali cause della diffusione di virus. Anche in Italia si tratta di contrastare la dispersione insediativa, che è insostenibile per il consumo di territorio e per la domanda di mobilità individuale su auto che induce, rendendo le città compatte, vivibili e resilienti, nonché invertendo la tendenza all’abbandono delle aree interne e degli antichi borghi. – Agricoltura periurbana: nelle città l’agricoltura potrebbe anche essere utilizzata come strumento di riqualificazione degli spazi urbani degradati. Di particolare interesse sono la realizzazione di “vertical farm” e l’applicazione di sistemi produttivi innovativi come la “coltivazione fuori-suolo” e le serre “building”, come soluzioni tecnologiche ai fini del risparmio di energia, di acqua, di suolo, di emissioni di CO2 e degli sprechi alimentari nelle città. –Mercati rionali: per quanto riguarda i consumi alimentari, occorrono interventi volti sia a facilitare il rapporto città-aree rurali, sostenendo forme di economia sociale e solidale anche nelle campagne e nelle aree interne con reti efficaci di cooperazione, sia promuovere canali di vendita a raggio locale e favorire lo sviluppo razionale delle filiere corte, dei mercati cittadini e rionali, e delle catene di distribuzione di prodotti alimentari su scala locale, che ridurrebbero lo spreco alimentare.
– Public Utilities e recupero dei rifiuti: il punto si basa sulla necessità urgente di varare un piano di investimenti per realizzare e/o potenziare, su tutto il territorio nazionale, impianti per il recupero e il riciclaggio della materia, il trattamento dei rifiuti e la loro selezione. Inoltre, andrebbe incoraggiata l’apertura di attività commerciali per la riparazione dei beni rotti o danneggiati. Trovando di cospiqua importanza la mescolanza degli aspetti relativi alle politche urbane e territoriali nazionali e mondiali – come quelle determinate dall’Agenda 2030 – con quelli strettamenti connessi alle pratiche, alle ricerche e alle sperimentazioni architettoniche che stiamo conseguendo, riteniamo possibile la determinazione di un legante fra le due tematiche. Da una parte l’aspetto utopico ed immaginativo di progettazione tipologica, pianificazione urbanistica e rigenerazione urbana, dall’altro la tematica di regolamentazioni e pratiche pianificate concrete. Questo parallelismo ci rtende così consapevoli che le scelte ideali, attraverso una rigorosa coerenza formale – guidate da una forte tensione utopizzante – si fondono con obiettivi comuni concreti.
17
NECESSITA’ CONTEMPORANEE ISTRUZIONE RICERCA FORMAZIONE PROFESSIONALE LAVORO SANITAʼ INTEGRAZIONE NUOVI MODI DI ABITARE INTRATTENIMENTO SPORT E TEMPO LIBERO PRODUZIONE INDUSTRIALE PRODUZIONE AGRO-ALIMENTARE NUOVI METODI DI PRODUZIONE ENERGETICA NUOVI METODI DI SMALTIMENTO E STOCCAGGIO RIFIUTI NUOVE FORME DI MOBILITAʼ NUOVE FORME DI AGGREGAZIONE
18
NUOVE TIPOLOGIE ARCHITETTONICHE SCUOLA DELLʼOBBLIGO
SCUOLA DI FORMAZIONE ED INTEGRAZIONE RESIDENZE
CENTRI OSPEDALIERI LOCALI E DI QUARTIERE CENTRI DEL SAPERE
ATTREZZATURE PER LE UTILITIES CITTADINE MERCATI RIONALI
CENTRI PRODUTTIVI
AZIENDE AGRO-ALIMENTARI
UFFICI E CENTRI MUNICIPALI
19
NECESSITA’ CONTEMPORANEE ISTRUZIONE RICERCA FORMAZIONE PROFESSIONALE LAVORO SANITAʼ INTEGRAZIONE NUOVI MODI DI ABITARE INTRATTENIMENTO SPORT E TEMPO LIBERO PRODUZIONE INDUSTRIALE PRODUZIONE AGRO-ALIMENTARE NUOVI METODI DI PRODUZIONE ENERGETICA NUOVI METODI DI SMALTIMENTO E STOCCAGGIO RIFIUTI NUOVE FORME DI MOBILITAʼ NUOVE FORME DI AGGREGAZIONE
20
AGENDA 2030
POVERTAʼ ZERO FAME ZERO SALUTE E BENESSERE ISTRUZIONE DI QUALITAʼ UGUAGLIANZA DI GENERE ACQUA PULITA ED IGIENE ENERGIA PULITA ED ACCESSIBILE LAVORO DIGNITOSO E CRESCITA ECONOMICA INDUSTRIA, INNOVAZIONE E INFRASTRUTTURE RIDURRE LE DISUGUAGLIANZE CITTAʼ E COMUNITAʼ SOSTENIBILI CONSUMO E PRODUZIONE RESPONSABILI AGIRE PER IL CLIMA LA VITA SOTTʼACQUA LA VITA SULLA TERRA PACE, GIUSTIZIA E ISTITUZIONI FORTI PARTNERSHIP PER GLI OBIETTIVI
21
Un’architettura parlante Proporre nuove tipologie in architettura ci porta a riflettere sulla concezione figurativa di generazione e composizione spaziale, lavorando sul processo di riconoscimento che ci permette di identificare univocamente l’architettura che ci circonda e che plasma l’intera idea di abitare contemporanea. Sappiamo infatti che esistono dei punti fissi all’interno di Milano, così come all’interno di qualsiasi città occidentale – città antropizzate e cronologicamente stratificate – al cui interno sono rimasti stabili determinati edifici, piazze, parchi, strade. Questi elementi urbani sono così divenuti, con il passare dei secoli, icone all’interno dello spazio cittadino secondo un principio di “sopravvivenza” con cui queste figure si sono radicate e stabilite. Impossibile immaginare Milano senza la presenza del Duomo o del Castello Sforzesco, così come senza il grande vuoto generato dalla presenza di Parco Sempione o delle grandi arterie cittadine di Corso Sempione e Corso di Porta Romana (solo per nominarle alcune). Allo stesso modo l’assetto urbano moderno ha generato nuovi capisaldi, identificabili attraverso le grandi stazioni ferroviarie e metropolitane, così come per mezzo di esempi architettonici guidati da una forte poetica ideologica e compositiva, che ne hanno conferito potenza iconografica, come nel caso della Torre Velasca o il Grattacielo Pirelli. L’analisi di questi casi esemplificativi ci porta così ad interrogarci sui caratteri propri dell’architettura e della loro riconoscibilità. La risposta alla crisi della città contemporanea, scaturita da fattori precedentemente discussi – secondo la nostra visione da architetti-urbanisti – può essere data attraverso un pianificato processo di sperimentazione. Consapevoli dell’inesorabile silenzio nei confronti del quesito, di fatto filosofico, che ci porta ad interrogarci sulla definizione di un’idea di architettura per antonomasia, cerchiamo di districarci tra le infinite possibilità di risposta, schiarandoci però sempre dalla parte di coloro che hanno cercato di rendere evidente la frattura tra un presente incerto ed un passato consolidato. La modernità ha di fatto fornito grandi spunti di riflessione per l’elaborazione dell’abaco funzionale in oggetto. Crediamo infatti nella potenza delle avanguardie artistiche, da un punto di vista 22
concettuale e figurativo, così come nella maestria di movimenti ed architetti del XX secolo in grado di immaginare nuove tipologie di spazi, nuove teorie e rapporti proporzionali fra le parti e la stessa fisionomia dell’essere umano. La costruzione del nuovo arcipelago architettonico, lavorando attraverso la serialità compositiva di forme primarie, ha il compito di conferire una narrazione attraverso l’idea di architettura parlante, in grado di relazionare la forma all’iconografia e di conseguenza alla funzione di destinazione. Ciò che potrebbe sembrare un semplice esercizio compositivo, è in realtà un insieme di proposte profondamente condizionate dal valore proprio delle geometrie e del loro significato intrinseco. Il risultato è una folta raccolta di stereometrie sospese – fra le problematiche contemporanee riconducibili a parti di città da risanare attraverso nuove tessiture spaziali, funzionali e relazionali; e tra lo spazio infinito su cui abbiamo di fatto operato – lavorando sul rapporto forma-memoria e forma-funzione, di cui siamo profondamenti convinti. Nello specifico ci riconosciamo nelle ricerche condotte dalle avanguardie artistiche: in particolare il “De Stijl” o Neoplasticismo ed il Costruttivismo Sovietico. Per procedere nel nostro operato sperimentale del costituire una nuova città nella città ci siamo rifatti alle esperienze russe del progetto di Leonidov per l’insediamento socialista di Magnitogorsk del 1930. La città infinita, utopia della nuova società organizzata secondo geometrie pure orientate da una composizione ben precisa, fatta di stereometrie connesse alla concezione degli archetipi storici. Il forte legame delle forme costituenti la nuova città linea ed il suo arcipelago di architetture ad esso connesse hanno il forte ruolo rappresentativo di lavorare con immagini ricorrenti dalla tradizione, per poi essere rielaborate in chiave moderna, senza mai dimenticare le loro origini ed i ruoli delle forme. Cubi, cilindri, piramidi sono solo alcuni degli elementi costituenti il susseguirsi di impalcati del progetto della città linea di Leonidov. Per cercare di definire i modelli su cui fondare la nostra idea di istantanea connessione fra le diverse parti, fra le strutture esistenti cittadine e il nuovo comparto di prototipi stereometrici abbiamo preso in esame, oltre ai Costruttivisti sovietici, una vasta serie di attori, appartenenti a diversi periodi dell’ultimo secolo, i quali iniziarono ad ipotizzare nuove forme e modi di abitare, vivere e comunicare. Rilevante il contributo di Cedric Price (1934-2003) per la concezione della nostra utopia; con “Potteries Thinkbelt Project” (1964-1966)
questi mette a punto una critica rispetto all’assetto universitario tradizionale. Situato in un paesaggio industriale in decadenza, piuttosto che nel solito sito urbano o rurale, il Thinkbelt occupava cento metri quadrati delle un tempo vitali Staffordshire Potteries. È stato progettato per essere una rete infinitamente estensibile, al contrario di un campus centralizzato, e per creare una comunità diffusa di apprendimento promuovendo al contempo la crescita economica. La struttura della nuova rete di trasporti si allaccia alla precedente rete ferroviaria in disuso. Emblematica la rappresentazione del trasporto delle aule stesse per mezzo di connessioni rispetto alla mega struttura preesistente. Riteniamo inoltre l’architetto inglese Cedric Price di fondamentale rilevanza nei confronti della concezione dello spazio, elaborando ciò che la critica ha definito come spazio continuo, riconoscibile nel progetto mai realizzato del “Fun Palace”(1961), progenitore del movimento “hightech” e del famoso esempio realizzato del “Centre Pompidou” (1971-77) di Parigi, da parte di Renzo Piano, Richard Rogers e Gianfranco Franchini. L’idea di telaio, di strutture leggere metalliche, fortemente permeabile alla luce, all’aria e alla vista dell’utenza e degli osservatori, descriveranno infatti parti del catalogo architettonico da noi proposto, ospitando al loro interno nuove definizioni di funzioni eterogenee, ma comunicanti fra loro, tramite lo stesso principio di spazio indistinto e continuo che gli storici di architettura fanno coincidere con la realizzazione ideale del Fun Palace di Price, il quale darà origine a molti altri esempi e ricerche su cui ci siamo ulteriormente basati. (4) I. Leonidov, Progetto per l’insediamento socialista di Magnitogorsk, 1930.
(5) C. Price, Potteris Thinkbelt Project, 1966. 23
Allo stesso modo rifacendosi ad espedienti sovietici, nel tardo Novecento attraverso il progetto “Exodus”(1972), Rem Koolhaas ebbe la sensibilità di estrapolare e decontestualizzando molte tipologie ed elementi architettonici ricorrenti, rendendoli atemporali e privi di luogo ,realizzando la possibilità di analisi delle forme tipologiche atte alla comprensione, all’estrapolazione ed all’inserimento delle stesse all’interno delle nostre proposte. Koolhaas ci rende consapevoli della sua volontà di denuncia nei confronti del contesto socio-culturale del periodo, attuabile appunto attraverso la progettazione di un’utopia guidata dalla composizione figurativa, di cui condividiamo gli intenti, sia da un punto di vista ideologico che del risultato architettonico finale. Procedendo verso l’esplicitazione dei riferimenti analizzati al fine della ricerca compositiva in atto, struttureremo nei passaggi a seguire l’elenco puntuale delle nuove proposte elaborate, al fine di rendere noto i processi mentali che ci hanno guidati.
(6) I. Leonidov, Progetto per l’insediamento socialista di Magnitogorsk, 1930.
(7) R. Koolhaas, E. Zenghelis, M. Vriesendorp, Z. Zenghelis, Exodus, or the Voluntary Prisoners of Architecture, 1972. 24
25
ABACO DELLE TIPOLOGIE
COMPLESSO SCOLASTICO
SCUOLA DI FORMAZIONE
26
NECESSITA’ CONTEMPORANEE
ISTRUZIONE E FORMAZIONE PROFESSIONALE NUOVE FORME DI AGGREGAZIONE, INTRATTENIMENTO, SPORT E TEMPO LIBERO
ISTRUZIONE E FORMAZIONE PROFESSIONALE NUOVE FORME DI AGGREGAZIONE ED INTEGRAZIONE
0
20 m
40 m
27
CENTRI DEL SAPERE
RESIDENZE
CENTRI OSPEDALIERI LOCALI
28
NUOVE FORME DI AGGREGAZIONE, INTRATTENIMENTO, SPORT E TEMPO LIBERO ISTRUZIONE
NUOVI MODI DI ABITARE NUOVE FORME DI AGGREGAZIONE LAVORO E FORMAZIONE PROFESSIONALE
SANITA’ LAVORO E FORMAZIONE PROFESSIONALE 0
20 m
40 m
29
CENTRI INDUSTRIALI
PUBLIC UTILITIES
30
PRODUZIONE INDUSTRIALE LAVORO ISTRUZIONE, RICERCA E FORMAZIONE PROFESSIONALE
LAVORO NUOVI METODI DI PRODUZIONE ENERGETICA, NUOVI METODI DI SMALTIMENTO RIFIUTI ISTRUZIONE, RICERCA E FORMAZIONE PROFESSIONALE 0
20 m
40 m
31
MERCATI RIONALI
VERTICAL FARM
32
LAVORO NUOVE FORME DI AGGREGAZIONE
ISTRUZIONE E RICERCA PRODUZIONE AGROALIMENTARE LAVORO
0
20 m
40 m
33
Centri del sapere Predisponendo le basi per nuovi innesti a livello urbano, immaginiamo la generazione di spazi polifunzionali ibridi adibiti alla cultura, che tendiamo a catalogare come “centri del sapere”. La nuova tipologia architettonica proposta tende a fondere all’interno di un unico luogo differenti funzioni strettamente interconnesse: dallo studio, al tempo libero, dall’arte all’intrattenimento. Questa idea prende forma dalle concezioni di spazio continuo, realizzabile attraverso fitti telai in acciaio, atti a definire grandi spazi coperti, ma allo stesso tempo permeabili alla luce, all’aria e di conseguenza all’edificato limitrofe, con il coraggioso intento di confrontarsi costantemente con l’esistente. Attraverso l’avanzamento tecnico e tecnologico connesso alla concezione strutturale ed alla sua progettazione, figure di spicco all’interno del panorama architettonico mondiale iniziarono a manifestare la possibilità costruttiva di nuovi spazi, attraverso sistemi costruttivi e materiali innovativi. L’introduzione dell’acciaio ha permesso di fatto la realizzazione di importanti esempi architettonici su cui la nostra ricerca si è basata per la realizzazione dell’involucro architettonico del nuovo manufatto, costituito appunto da una fitta trama reticolare. Tra gli architetti della “grande generazione”, L. Mies van der Rohe (1886-1969)
propone nel 1953 il progetto “Convention Hall Centre”per Chicago, in cui spiccano i caratteri ricercati di leggerezza e permeabilità: la descrizione spaziale avviene attraverso il vuoto generato dalla disposizione della maglia strutturale, così come nel caso del connazionale konrad Wachsmann (1901-1980), il nello stesso periodo inizia a studiare ed a ipotizzare nuovi soluzioni intelaiate. “The boundaries between product, building, element, and structure will vanish and buildings will be recognized as parts of a grater whole that is continuously shaping the landscape of civilization.” (4) Gli esprimenti condotti da Wachsmann per il progetto mai realizzato “USAF Aircraft Hangar” a partire dalla metà degli anni ‘50, aiutarono a trovare il loro campo applicativo nel Padiglione giapponese dell’expo di Osaka del 1970, in cui la grande copertura venne progettata dal famoso esponente del Metabolismo giapponese, Kenzo Tange (1913-2005). Proprio per il medesimo evento Constantino Dardi (1936-1991) con la sua proposta per il Padiglione Italia, fornisce grandi spunti di riflessione per la composizione propria dei nuovi centri polifunzionali cittadini. Volumetrie pure, solide, fluttuano all’interno dello spazio continuo generato dalla struttura reticolare, in cui la compenetrazione volumetrica posta a differenti livelli domina la scena. I nuovi centri del sapere propongono sotto le influenze di questi grandi maestri, differenti corpi volumetrici autonomi, interconnessi attraverso camminamenti in quota e piazze sopraelevate, al fine di costituire nuovi corridoi urbani e nuovi spazi relazionali fra le diversi funzioni proposte al loro interno: zone per esposizioni permanenti e temporanee, descritte attraverso volumi precisi di destinazione, quali la grande semisfera centrale la torre cilindrica e l’insieme di volumi posti al livello terreno. I corpi sospesi, parallelepipedi, cubi e cilindri ospiteranno invece il grande complesso bibliotecario, connesso ad aule studio, centro conferenze e punti ristoro e connessi al tempo libero.
(8) L. Mies van der Rohe, Convention Hall Centre, 1953.
(9) K. Wachsmann, USAF Aircraft Hangar, 1956. 34
4. Citazione di Konrad Wachsmann, Project Japan: Metabolism talks...(Koln: Taschen, 2011), 120.
(10)
(11) Immagini relative a: (10) C. Price, Fun Palace, 1961. (11) K. Tange, Festival Plaza di Osaka, 1970. (12) C. Dardi, Padiglione Italia, 1970.
(12) 35
Centri del sapere
0
36
10 m
20 m
Schema planimetrico funzionale_L0
4 2
1
3
Schema planimetrico funzionale_L1 6 5 2 6 1
1. esposizione permanente 2. esposizione temporanea 3. ingresso spazio museale: biglietteria, spazio ristoro, gift shop
4. ingresso spazio bibliotecario: info point e reception 5. biblioteca 6. aule studio
37
Residenze
Lo studio della tipologia abitativa come manufatto simbolico all’interno del contesto milanese riflette tematiche architettoniche locali, ma allo stesso tempo fonda la sua composizione e sviluppo su ricerche spaziali di matrice internazionale. Immaginiamo infatti una mescolanza di spazi eterogenei, che a livello distributivo rispecchiano l’esigenza contemporanea di unire gli aspetti lavorativi a quelli dell’abitare. A livello terreno quattro volumi trapezzoidali speculari ospiteranno uffici condivisi e diversi laboratori per pratiche artigiane. L’intero manufatto sarà inoltre caratterizzato da una grande corte centrale, tipica della tradizione italiana, su cui si affacceranno diverse tipologie di terrazze e camminamenti in quota. Casa Rustici (1933-35) è di fatto uno dei principali riferimenti in quanto architettura residenziale emblematica, in cui l’architetto comasco Giuseppe Terragni (1904-1943) ed il suo socio Pietro Lingeri (1894-1968) ripresero caratteri delle costruzioni milanesi e lombarde, costruendo uno dei più riconosciuti esempi di architettura razionalista.
Ci riconosciamo appunto nelle ricerche condotte tra gli anni ‘60 e 70’ da parte del gruppo metabolista giapponese e dal collettivo inglese denominato Archigram. Entrambi i gruppi di architetti, riconobbero nuove possibilità di abitare stanzialmente attraverso l’idea di capsula abitativa, secondo la disposizione e successione spaziale dettata dal sistema “Plug-in”. Questa tematica si ritrova infatti nello studio stereometrico proposto, in cui il ritmo compositivo è scandito appunto dalla disposizione degli appartamenti.
Così come per Casa Rustici, abbiamo reinterpretato i caratteri vernacolari della tradizione locale: i ballatoi delle cascine e delle case di ringhiera divengono così un sistema di ballatoi in quota, fatto di terrazze private connesse agli appartamenti, o di spazi aperti comuni, secondo la volontà di creare una moltitudine di spazi eterogenei concatenati connessi alla casa. Il tema dell’abitazione diviene, come lo è stato in passato sin da epoche remote, di rilevante importanza in quanto tale tipologia architettonica ha il compito di rispondere ai fabbisogni e alle attese dei cittadini, contestualmente al modo di vivere ed abitare contemporaeo. La tipologia della residenza fonda le sue basi sull’archetipo della capanna, pronta a rispondere alla necessità di riparo ed accoglienza da parte dell’uomo. In età moderna, all’interno delle ricerce architettoniche condotte nel secondo Novencento, l’introduzione della capsula abitativa è riuscita nell’intento di riconoscere tale elemento come cellula atta alla vita individuale, ma anche collettiva attraverso l’accostamento e la giustapposizione delle stesse. 38
(13) G. Terragni, dettaglio del sistema distributivo dei ballatoi di Casa Rustici a Milano, 1933-35.
(15)
(14) Immagini relative a:
(14) G. Terragni, Casa Rustici a Milano, 1933-35. (15) G. Terragni, planimetrie relative a Casa Rustici a Milano, 1933-35. (16) K. Kikutake, disegni relativi al progetto “TreeShaped Community”, 1968. (17) T. Crosby, progetto per abitazioni sviluppato nel “Fulham Study” a Londra, 1961-62.
(16)
(17) 39
Residenze
0
40
10 m
20 m
Schema planimetrico funzionale_L0
1
2
1
2
Schema planimetrico funzionale_L1
3
3
3
3
1. spazi per co-working e smart-working 2. laboratori artigiani condivisi 3. residenze
41
Public utilities ed industrie La produzione energetica ed industriale fanno parte dei caratteri delle città europee, ed in particolare di Milano stessa. Seppur la loro ricollocazione in zone sempre più marginali della città, nelle periferia storica e metropolitana, la loro presenza caratterizza il territorio urbanizzato cittadino. Le nostre proposte per le nuove public utilities e per le industrie in genere vedono la possibilità di associare volumi prettamente destinati alla produzione a spazi amministrati e di gestione, uffici per i dipendenti e corpi legati al mondo della ricerca ed analisi dei dati, delle prestazione e del monitoraggio, al fine di affinare e controllare le pratiche di produzione per fornire strumenti e risultati qualitativi e quantitativi al mondo della ricerca, sia essa privata o legata all’ambito universitario. La creazione di un panorama protoindustriale fatto di ciminiere, silos, torri piezometriche e capannoni viene intervallata dalla presenza di volumi di destinazione atti alle pratiche salubri di lavoro dell’uomo. Per l’elaborazione di tali tipologie architettoniche ci riconosciamo nelle visioni costruttiviste di Yakov Chernikhov (1889-1951), il quale elaborò una serie di disegni divenuti riferimenti in ambito di ricerca, “101 Fantasies”. Chernikhov, architetto sovietico, secondo una composizione stereometrica fatta di volumi solidi e prettamente puri, ha permesso di riflettere sulla disposizione, il collocamento e lo sviluppo volumetrico delle tipologie industriali. In accordo con le sue visioni, le stereometrie proposte, spesso sostenute da strutture metalliche intelaiate, si muovono nello spazio attraverso traslazioni dal piano d’imposta a terra per poi svilupparsi verticalmente attraverso volumi sospesi, fluttuanti, intervallati da elementi prettamente industriali connessi alla produzione. Non solo Chernikhov, ma anche Antonio Sant’Elia (1888-1916), architetto e pittore futurista, così come l’esponente razionalista Giuseppe Terragni (19041943) si cimentarono nello studio di soluzioni per impianti industriali. L’analisi e la ricerca architettonica che ci ha condotto verso la proposta delle nuove tipologie si è rifatta infatti alle tavole di Sant’elia, “Città 42
Nuova” esposte per la prima volta a Milano nel maggio del 1914, proponendo visioni utopiche di cambiamento dei contesti cittadini, svincolate dalla tradizione e dalla storia dell’architettura passata. Lo stesso Peter Cook, cinquant’anni più tardi, con il progetto della torre di divertimenti a Montreal (1963) propone volumetrie futuristiche dall’aspetto protoindustriale, rielaborando forme legate al mondo della fabbrica, in un’architettura snaturata della sua funzione produttiva, ma con forti legami figurativi al mondo dell’industria, proprio del suo “background” britannico, il quale ha visto annerire sotto l’utilizzo del carbone le pricipali città della sua maedrepatria nel corso del XIX secolo. Seppur controverso nei confronti del contesto ambientale, predisponiamo le basi per nuove tipologie edilizie, le cui stereometrie hanno il compito di confrontarsi con le nuove possibilità e le nuove teconologie per una produzione sostenibile, strettamente connessa allo sfruttamento delle energie rinnovabili.
(18) Y. Chernikhov, senza Arkhitekturnye Fantazii.
titolo
estratto
da
(20)
(19)
(21)
(22)
Immagini relative a: (19) Y. Chernikhov, senza titolo estratto da Arkhitekturnye Fantazii. (20) Y. Chernikhov, senza titolo estratto da Arkhitekturnye Fantazii. (21) Y. Chernikhov, senza titolo estratto da Arkhitekturnye Fantazii. (22) I. Zoltovksij, centrale elettrica di Mosca, 1927. (23) El Lisitskij, Staffa delle nuvole, Mosca, 1924-1925.
(23) 43
(25)
(24)
Immagini relative a:
(26) 44
(27)
(24) A. Sant’Elia, Centrale elettrica, 1914. (25) A. Sant’Elia, progetto per la stazione di aeroplani e treni ferroviaria con funicolari e ascensori, 1913. (26) G. Terragni, plastico per l’officina del gas, 1927. (27) P. Cook, sezione della torre per divertimenti a Montreal, 1963.
(28)
(29)
(30)
(31) Immagini relative a: (28) K. Kurokawa, Toshiba IHI Pavilion per l’Expo di Osaka, 1970. (29) A.L.Rossi, Casa del Portuale a Napoli, 19681980. (30) F. Palpacelli, Centro Idrico Eur Vigna Murata, 1985-89. (31) F. Palpacelli, sezione Centro Idrico Eur Vigna Murata, 1985-89.
45
Public Utilities
46
47
Public Utilities
0
48
10 m
20 m
Schema planimetrico funzionale_L1
2
3
1
2
4
Schema planimetrico funzionale_L2
6
5 4
1. ingresso centro di ricerca 2. spazi di stoccaggio 3. parcheggio automezzi
4. spazi di produzione energetica 5. laboratori e uffici del centro di ricerca 6. uffici di gestione impiantistica
49
Industrie
50
51
Industrie
0
52
10 m
20 m
53
Industrie
Schema planimetrico funzionale_L1
3
3
3
3
0
54
10 m
20 m
2
1
Schema planimetrico funzionale_L8
3
3
3
4
3
3
1. spazi di produzione 2. laboratori di ricerca e sviluppo 3. impianti produttivi
4. uffici per controllo e monitoraggio produttivo ed impiantistico
55
Centri ospedalieri locali L’emergenza sanitaria che ha messo alle strette l’intero globo, colpendo in modo particolareggiato l’Italia, ha messo in luce sul territorio metropolitano milanese, ed in Lombardia in generale, la mancanza di centri ospedalieri locali. Il sistema sanitario del capoluogo lombardo si fonda infatti su grandi complessi ospedalieri, rarefatti all’interno di un contesto urbanizzato diffuso. Tale costellazioni di ospedali dalle dimensione cospique comporta infatti varie problematiche di livello amministrativo e logistico, ed ha messo in luce il fallimento di tale impostazione nei confronti della situazione pandemica. Al fine di poter ovviare a questa configurazione ospedaliera, proponiamo la costituzione di nuovi centri ospedalieri locali, da collocarsi all’interno dei diversi distretti, per garantire una copertura omogenea sul territorio, dalle zone centrali a quelle dell’hinterland. Questa nuova tipologia ha lo scopo di inserirsi come nuova immagine all’interno dei quartieri, attraverso la restituzione di piccoli centri ambulatoriali, connessi agli ambiti amministrativi ed alla degenza dei pazienti. Immaginiamo infatti elementi architettonici distinti ed interconnessi, al fine di garantire l’adeguata connessione fra le parti: un volume centrale di distribuzione, con relativi spazi destinati all’accoglienza, allo smistamento dei pazienti, unito ad aree ristoro, zone per uffici e di servizi al personale sanitario. Radialmente, sostenuti all’interno di una fitta struttura metallica, due diversi ambulatori a base quadrata si uniscono al corpo centrale sopra citatato attraverso camminamenti in quota e volumi cilindrici destinati ai collegamenti verticali. All’interno dei due parallelepipedi si predispongono diverse sale per il controllo dei pazienti, uffici per il personale e depositi relativi ai macchinari. Lo sviluppo verticale del complesso ospedaliero si imposta al di sopra del corpo centrale d’ingresso, in cui una torre dalle dimensioni cospique è pronta ad accogliere un sistema capsulare per la degenza ed il trattamento locale dei malati. L’idea si fonda sugli insegnamenti metabolisti, e sulle precedenti sperimentazioni di Richard Buckminster Fuller (1895-1983), il quale sviluppò vari prototipi di 56
abitazioni, adottate anche in campo militare dall’esercito statunitense. Fuller sviluppò infatti la “Dymaxion House”, costituendo diverse versioni di case prefabbricate atte al miglioramento della vita dell’uomo, attraverso la minimizzazione degli spazi e l’introduzione di svariati sistemi ingegneristici e di design per il massimo confort abitativo. Allo stesso modo crediamo che l’emento capsula sia in grado di rispondere alle esigenze contemporanee connesse ai nuovi centri ospedalieri di quartiere: spazi ridotti, massimizzazione dei confort e del controllo del paziente.
(32) K. Kurokawa, Nakagin Capsule Tower, Tokyo, 1970-72.
(33)
(34)
(35) Immagini relative a: (33) K. Kurokawa, progetto e composizione spaziale delle capsule abitative, Nakagin Capsule Tower, Tokyo, 1970-72. (34) K. Kurokawa, studio dettagliato della costruzione di una abitazione in cemento armato prefabbricato. (35) L. Kahn, progetto del Jewish Community Center, Trenton, 1954-59.
57
Centri ospedalieri locali
0
58
10 m
20 m
Schema planimetrico funzionale_L1
3
2
1
3
Schema planimetrico funzionale_L5
4
1. ingresso spazi ospedalieri locali 2. uffici amministrativi, spazio di stoccaggio farmaci ed attrezzature mediche
4
3. poliambulatori medici 4. cellule di degenza e controllo dei pazienti
59
Centro scolastico e scuola di formazione Ripensare ai nuovi temi dominanti della città ha fatto in modo che ci interrogassimo sull’apparato scolastico, considerato come uno tra i più importanti centri relazionali della vita contemporanea. La tematica dell’istruzione è stata declinata attraverso due distinti modelli di scuola: il centro scolastico, adibito alla formazione obbligatoria degli studenti: dalla scuola primaria alla scuola secondaria; la scuola di formazione, ossia una nuova immagine architettonica in grado di rispondere ai fabbisogni di una città cosmopolita, ricca di culture eterogenee. La scuola di formazione diviene così un luogo destinato all’integrazione, all’inserimento all’interno del mondo del lavoro. Secondo il programma i suoi spazi saranno destinati ai migranti, agli extra comunitari, agli immigrati, ai rifugiati politici. La scuola di formazione vuole rispondere alla mancanza contemporanea di luoghi distinti ed identificabili all’interno del comparto urbano destinati all’insegnamento della lingua del luogo, in questo caso l’italiano, fornendo strumenti, materiali e mezzi al fine di unire l’istruzione alle tematiche lavorative, attraverso aree destinate a laboratori artigiani e workshop per fornire un adeguato grado di competenze professionali. Entrambe le tipologie architettoniche fondano le loro basi sui seguenti principi: sviluppo orizzontale degli spazi; ripresa degli insegnamenti relativi alla scuola all’aria aperta, con l’emblematico esempio della scuola di Amsterdam (1930) di Jan Duiker (1890-1935); connessione a luoghi per lo sport ed il tempo libero; possibilità d’uso di alcuni edifici specifici e selezionati da parte della cittadinanza, (come nel caso della palestra, del polo bibliotecario, del teatro e dell’auditorium). Il centro scolastico si caratterizza nello specifico da grande etereogenità spaziale e dinamismo sia a livello planimetrico che in alzato: dalle aule didattiche, alla segreteria e agli uffici amministrativi, per poi passare alla mensa e agli spazi per il laboratori. La palestra, il teatro esterno, ed il centro bibliotecario connesso all’auditorium, si configurano come volumi autonomi all’interno del complesso stesso. La scuola di formazione viene a sua volta distinta in diverse aree operative: una parte prettamente 60
pubblica a livello terreno, contenuta all’interno di un volume a base triangolare, contenente funzioni amministrative e prettamente legate alla ristorazione, si fonde ai corpi laterali delle aule relative all’insegnamento linguistico, per poi unirsi a livelli superiori a spazi destinati all’istruzione e al “know-how”. Le due nuove figure architettoniche rispecchiano il principio di Guido Canella secondo cui la forma è strettamente legata alla funzione di destinazione. A tale proposito lo sviluppo planimetrico e la composizione stereometria si basano su diversi edifici, i quali hanno fornito particolari contributi da un punto di vista di miglioramento della vivibilità di tali ambienti scolastici. Giuseppe Terragni; Carlo Aymonino; Guido Canella; i coniugi Smithson; Jan Duiker; Gianugo Polesello, esponenti di epoche, luoghi e correnti differenti, sono riusciti a fornirci gli strumenti e le immagini proprie al fine di poter ripensare le scuole, le loro funzioni e le loro forme.
(36) J. Duiker, Scuola all’aria aperta di Amsterdam, 1930.
(37)
(38)
(39)
(40) Immagini relative a: (37) C. Aymonino, progetto per il Complesso Scolastico di Pesaro, 1974-78. (38) C. Aymonino, planimetria del Complesso Scolastico di Pesaro, 1974-78. (39) G. Terragni, Asilo Sant’Elia, Como, 1934-37. (40) G. Terragni, plastico dell’Asilo Sant’Elia, Como, 1934-37. (41) G. Terragni, planimetria dell’Asilo Sant’Elia, Como, 1934-37.
(41) 61
(42)
(43)
(44)
Immagini relative a: (42) A. Smithson e P. Smithson, Smithdon High School di Hunstanton, 1949-54. (43) A. Smithson e P. Smithson, Smithdon High School di Hunstanton, 1949-54. (44) A. Smithson e P. Smithson, planimetria di Smithdon High School di Hunstanton, 1949-54. (45) G. Canella, Scuola elementare nel centro di servizi al villaggio INCIS di Pieve Emanuele, 1971-90. (46) G. Canella, Centro civico con municipio, scuola media e campo sportivo di Pieve Emanuele, 1971-90. (47) G. Polesello, planimetria del Campus universitario di Las Palmas, 1987-91. 62
(45)
(46)
(47) 63
Centro scolastico
64
65
Centro scolastico
0
66
10 m
20 m
67
Centro scolastico
Schema planimetrico funzionale_L0
4
1 2
1
3
1
0
68
10 m
20 m
1
1
12
10 11 9
12
8
6
7
5
6
6
1. aule 2. uffici amministrativi 3. segreteria 4.mensa
5. palestra 6. spogliatoi 7. deposito attrazzature sportive 8. teatro all’aria aperta
9. auditorium 10. ingresso spazi bibliotecari 11. biblioteca 12. aule studio
69
Centro scolastico
Schema planimetrico funzionale_L1
1
1
1
1
1
3
13
0
70
10 m
20 m
1
12
11 9
12
5
1. aule 3. segreteria 5. palestra 9. auditorium
10. ingresso spazi bibliotecari 11. biblioteca 12. aule studio 13. laboratori
71
Scuola di formazione
72
73
Scuola di formazione
0
74
10 m
20 m
Schema planimetrico funzionale_L0
2
2
2
2 1
2
2
2
2
Schema planimetrico funzionale_L1
2
2
2
2
2
2
3
2
2
2
2
2
2
1. ingresso scuola di formazione: reception, uffici amministrativi, spazio ristoro 2. aule 3. spazi workshop di formazione professionale
75
Mercato rionale Il mercato costituisce un’importante elemento dell’abaco di nuove funzioni integrate all’assetto della città di Milano. Prevediamo infatti la diffusione di mercati rionali in presidi organizzati, atti alla distribuzione ed alla vendita di prodotti agro alimentari. La volontà di connubio fra città e campagna si manifesta attraverso la creazione di luoghi adibiti al commercio, allo svago ed al tempo libero. Ritenendo indispensabili il riconoscimento degli individui nelle nuove figure architettoniche proposte, il mercato ha il compito di radificarsi nei diversi quartieri, creando nuovi spazi cittadini, secondo i principi di spazio continuo e indistinto proprie delle ricerche architettoniche di Cedric Price, Richard Buckmister Fuller e Frei Otto, i quali nel corso del Novecento furono in grado di manifestare i loro intenti attraverso architetture inedite ed innovative. Dai corridoi urbani del progetto Fun Palace, alla Voliera per lo zoo di Londra; dalla cupola geodetica ed i suoi sviluppi a differenti scale; per finire con i prototipi e le opere ingegneristiche delle tensostrutture. L’idea di involucro si lega alla consolidata distribuzione a pianta centrale propria della tradizione dei grandi mercati europei del XVIII e XIX secolo, articolandosi secondo due diverse tipologie volumetriche: gli spazi adibiti alla vendita ed alla disposizione dei differenti stand; i depositi per la conservazione alimentare. Con l’intento di unire il commercio alle attività ludiche, il mercato si configura come una nuova possibilità architettonica, fatta di volumi solidi, spazi aperti e coperti, in cui le volumetrie si legano ed interfacciano con la struttura stessa, predisponendo la successione spaziale ballatoi e collegamenti in quota atti a collegare i diversi padiglioni.
76
(48)
(49) Immagini relative a: (48) J. Paxton, veduta interna del Crystal Palace, progetto per l’Esposizione Universale di Londra, 1851. (49) J. Paxton, veduta del Crystal Palace, progetto per l’Esposizione Universale di Londra, 1851.
(50)
(51)
(52) Immagini relative a: (50) V. Baltard, progetto del mercato Les Halles di Parigi, 1863. (51) V. Baltard, veduta interna del progetto del mercato Les Halles di Parigi, 1863. (52) D. Santi, L. Savioli, Nuovo Mercato dei Fiori di Pescia, 1988. (53) F. Otto, plastico di studio relativo al progetto “Agricultural Water Tower Domes”, 1968.
(53) 77
Mercato rionale
78
79
Mercato rionale
0
80
10 m
20 m
81
Mercato rionale
Schema planimetrico funzion
1
3
3
3
2
3
1
3
3
1
0
82
10 m
20 m
nale_L0
1
3
1
3
3
3
3
2
3
1
1. mercato alimentare 2. depositi, spazi di stoccaggio e conservazione alimentare 3. spazi per logistica e trasporti
83
Mercato rionale
Schema planimetrico funzion
1
1
1
0
84
10 m
20 m
nale_L1
1
1
1
1. mercato alimentare 2. depositi, spazi di stoccaggio e conservazione alimentare 3. spazi per logistica e trasporti
85
Vertical farm
Con il termine “vertical farm” tendiamo ad identificare una nuova immagine contemporanea, che fonda il suo sviluppo sulle innovazioni tecniche e tecnologiche degli ultimi decenni, le quali hanno reso possibile la coltivazione di svariate colture all’interno di edifici adibiti appositamente a tale scopo. La produzione alimentare, sino ad oggi svinculata dalle attività del vivere cittadino, se non in bassissima parte attraverso i puntuali interventi di serre e orti urbani, avrà la possibilità di inserirsi come nuova tipologia all’interno di Milano. Oltre a divenire elemento architettonico di rilevante importanza, in quanto in grado di produrre cibo e nuove possibilità d’impiego, tale manufatto ha anche l’importante compito di ricucire parzialmente il rapporto fra città e campagna, andatosi ormai sgretolandosi che le svariate trasfromazioni urbane cui le città europee hanno subito nel corso dell’ultimo secolo. La netta suddivisione fra i due poli– il primo deterrente del potere economico ed intellettuale, il secondo fondato sulla produzione ed il commercio , e di fatto fautore del sostenziamento primario dei cittadini delle grandi città– vuole essere sanata attraverso la traslazione ideale dei campi rurali per mezzo di nuovi modi di coltivare: la coltivazione controllata e pianificata all’interno dei centri agricoli a sviluppo verticale. Questo nuovo tipo architettonico avrà la possibilità di inserirsi in luoghi strategici della periferia storica e di quella metropolitana, con l’apertura verso nuovi scenari, sia da un punto di vista di caratterizzazione funzionale di un dato luogo, sia per la possibilità di ricupero di zone abbandonate e dismesse. Le vertical farm hanno l’ulteriore possibilità di risanare e riqualificare gli antichi borghi, poi divenuti quartieri satellite del contesto metropolitano milanese, che per la loro morfologia e capacità trasformativa si prestano particolarmente all’inserimento dei centri agricoli verticale. Da un punto di vista formale l’edificio viene concepito secondo quattro distinti volumi interconnessi: un basamento atto ad accogliere gli uffici e gli spazi relativi alla ristorazione, al cui interno si imposta la torre adibita alla “coltivazione indoor”. A livello terreno trovano posto gli spazi destinati ai depositi, alla conservazione ed al 86
mantenimento della produzione, nonchè quelli adibiti alla distribuzione degli stessi. Al fine di creare un insieme ibrido di funzioni in grado di convivere all’interno dello stesso manufatto edilizio, riteniamo che la componente relativa al mondo della ricerca acquisisca rilevante importanza, per questo motivo il suo collocamento si distingue attraverso la configurazione di una serie di uffi e laboratori posti all’interno di un volume trapezoidale, quasi fluttuante, connesso all’elemento basamentale della farm stessa. Il centro agricolo verticale fonda le sue stereometrie su varie ricerche e progetti, realizzati o meno, caratterizzanti da un forte sviluppo verticale, quasi turrito, immaginando appunto che la coltivazione avvengo proprio all’interno di questo volume. Tra i vari riferimenti utilizzati, ciò che più si avvicina al risultato auspicato è l’esempio fornito dal maestro Frank Lloyd Wright (1867-1959) in una delle sue più famigerate opere, cioè l’edificio “Johnson Wax Headquarters”. Il complesso, che fonda al suo interno differenti funzioni, si caratterizza per la torre della ricerca ospitante i laboratori, costruita fra il 1944 e il 1950 in aggiunta al precedente complesso, progettato dallo stesso nel 1936. (54)
(55)
Immagini relative a: (54) N. Diulgheroff, disegno per il progetto “Tower dedicated to the victory of the machine”, 1930. (55) A. Loos, disegno per il progetto “Chicago Tribute Tower”, 1922. (56) F. L. Wright, dettaglio relativo alla torre di ricerca di “Johnson Wax Headquarters”, 1944-50. (57) F. L. Wright, sezione longitudinale di “Johnson Wax Headquarters”, 1936-50. (58) C. Dardi, sezione per il progetto degli uffici dell’unione industriale argentina a Buenos Aires, 1968. (59) C. Dardi, disegno per il progetto degli uffici dell’unione industriale argentina a Buenos Aires, 1968.
(56)
(57)
(58)
(59)
87
Vertical farm
88
89
Vertical farm
0
90
10 m
20 m
Schema planimetrico funzionale_L0
3
2
1
2
1
Schema planimetrico funzionale_L1
4
1. spazi amministrativi ed uffici 2. spazi adibiti alla coltivazione indoor 3. depositi, spazi di stoccaggio e conservazione della produzione, spazi per logistica e trasporti 4. laboratori e centri di ricerca connessi alla produzione agro-alimentare
91
Nuove immagini sospese L’elaborazione tipologica dell’abaco funzionale relativo alla nuova configurazione della città di Milano appare sospeso, in grado di fluttuare fra l’immaginario ed il reale. Tale sospensione ha permesso di interrogarci su dove la mancanza o la possibile integrazione alla struttura esistente potesse effettivamente portare giovamento alle pratiche di vita quotidiane dei cittadini secondo una nuova cultura della pianificazione e del disegno urbano. Ad oggi da più parti emerge l’esigenza di una riorganizzazione e riforma del sistema dei servizi pubblici nella città, affrontati attraversa i sistemi di politiche urbane delle attrezzature per il welfare, di conseguenza legati agli aspetti di sviluppo sostenibile della città, riscontrabili anche nei piani di riforma dell’Agenda 2030. A nostro avviso è necessario intrecciare i fini pratici–operativi con l’aspetto utopico ed immaginativo di ricerca, al fine di fornire un nuovo disegno unitario atto alla ricollocazione dei servizi, delle attrezzature, delle nuove immagini proposte, secondo una pianificazione non settoriale. Il recupero dell’utopia non vuole presentarsi come semplice e gratuito disegno di aspetti più o meno desiderabili, ma bensì come il risultato di una progettazione sapiente, meditata, dotata, di una logica intrinseca più rigorosa di quella ordinariamente praticata. Riaprire un discorso sulla costruzione di modelli utopici ha dunque il senso di provare ad anticipare esiti possibili delle attuali condizioni di funzionamento della scienza e della tecnica e appare una vera e propria necessità. Siamo fermamente convinti che la formulazione dei nuovi dispositivi architettonici ed estetici delle tipologie dei servizi e delle attrezzature abbiano il compito di consolidarsi come invarianti necessarie all’interno dei luoghi, da svilupparsi in parallelo, in un nuovo quadro comparato complessivo: i centri del sapere; le residenze; i complessi scolastici; le scuole di formazione; i centri ospedalieri di quartiere; le industrie; le “public utilities”; i mercati rionali; le centri agricoli a sviluppo verticale. Il nostro processo di ricerca ai fini progettuali si manifesta attraverso l’espressione architettonica di forme e volumi riconducibili alla storia degli 92
(60)
(61)
(62) Immagini relative a: (60) G. Canella, volumetria del prototipo didattico per il sistema teatrale a Milano, 1985. (61) G. Canella, planimetria tipologica e funzionale del prototipo didattico per il sistema teatrale a Milano, 1985. (62) H. Hollein, progetto di città, 1963.
archetipi e alla memoria collettiva, secondo cui l’articolazione degli spazi possa predisporre le basi per un cambiamento a livello urbano, con la conseguente caratterizzazione attraverso le tipologie architettoniche proposte. La loro declinazione all’interno del contesto, il conseguente passaggio dallo stato di sospensione fra utopia e mondo tangibile, avverrà attraverso la trasposizione della composizione volumetrica di forme e funzioni costituite, tramite il la loro disposizione all’interno di Milano. Lo scopo della ricerca ha il fine dimostrativo di proporre immagini nuove, per un nuovo modo di vivere proprio del nostro tempo, in cui le disuguaglianze fra centro e periferia possano essere arginate attraverso la disposizione di servizi riconducibili alle nostre architetture, in grado di attenuare il contrasto. La distanza dal centro, la mancanza di mobilità privata o di trasporti efficienti ed i ritmi di vita contemporanei hanno senza dubbio accentuato le differenze fra le parti centrali di città e le zone periurbane, siano esse parte della periferia storica o dell’hinterland. Abbiamo avuto il coraggio di combattere contro i mulini a vento, comprendendo le dinamiche dell’assetto di una città–metropoli da dover guidare e controllare secondo nuove idee di riforma territoriale. I temi dominanti in architettura comporranno dunque un modello formato da modi e aggregazioni adattabili nei vari contesti, in opportunità di connessioni da favorire attraverso l’organizzazione degli spazi dell’edificio e della città. Al fine dimostrativo di proporre una nuova visione periurbana, a ridosso fra il centro e la periferia storica, riteniamo che il quartiere di Greco localizzato nel settore nord-orientale della città, possa essere un nuovo pretesto sperimentale di queste pratiche e studi. Attraverso la nostra tesi abbiamo il compito di rivedere l’assetto morfologico del distretto, optando per l’elaborazione di un nuovo sistema architettonico in grado di ricucire il legame fra Mediolanum e gli aspetti rurali che caratterizzavano Greco fino ad un secolo fa. 93
(63) G. Canella, volumetria del progetto didattico n.1 per il sistema teatrale a Milano “Nuova sede del teatro sovvenzionato a Milano in via Larga”, 1985.
94
(64) G. Canella, planimetria tipologica e funzionale del progetto didattico n.1 per il sistema teatrale a Milano “Nuova sede del teatro sovvenzionato a Milano in via Larga”, 1985.
95
Collage finale “Milano e le sue nuove immagini”: in rosso la città storica identificabile con lo schizzo planimetrico di Leonardo Da Vinci (1497), in grigio la periferia storica, in blu il restante hinterland marginale. 96
97
02
IL QUARTIERE DI GRECO COME PRETESTO
Introduzione al distretto Il quartiere di Greco è stato scelto come contesto applicativo delle idee utopiche che hanno guidato la nostra ricerca, confluendo nell’elaborazione tipologica dell’abaco funzionale. Con l’intento di prevedere nuovi sviluppi futuri per la città, riteniamo che l’antico borgo posto nel settore nord-est di Milano, possa prefigurare nuove possibilità rispetto al suo particolare assetto contemporaneo. Il quartiere si caratterizza infatti dalla convivenza dell’aspetto rurale con quello proprio delle grandi opere infrastrutturali e delle trasformazioni industriali di fine ‘800. Il contesto appare fortemente urbanizzato, sito a ridosso di quello che un tempo era l’antico confine fra città e campagna di cui ereditiamo l’assetto tipologico del borgo e tipologie architettoniche rurali, quali cascine e ruderi, che coesistono–non senza fatica–con le espansioni più recenti della città, influenzate dallo sviluppo di industria, commercio e trasporti. Greco si delinea come un’insieme di architetture compatte all’interno della città di Milano, in cui alcuni elementi urbani di importanza morfologica ne denotano i caratteri; tra questi: l’asse viario Giovan Battista Sammartini su cui si innestano una serie di opere architettoniche. In primis, la Stazione Centrale con il sistema dei viadotti ferroviari, i Magazzini raccordati e l’ex Mercato ittico. Il carattere di questi manufatti è perfettamente riconoscibile e rispecchia i canoni dell’architettura delle grandi strutture di XIX e XX secolo. Questo aspetto restituisce un’immagine ben precisa della città e una configurazione altrettanto significativa, tipica della tradizione milanese delle grandi rivoluzioni urbane.
Inquadramento territoriale del distretto, secondo le suddivisioni imposte dal Comune di Milano.
Immagini relative a: (65) M. Sironi, “Paesaggio urbano con ciminiera”, olio su tela, 1930. (66) M. Sironi, “Paesaggio urbano”, olio su tela, 1924. 100
(65)
(66) 101
Forma urbis
Per meglio comprendere lo sviluppo di questa complessa porzione cittadina è bene ripercorrere le trasformazioni più rilevanti della storia dell’urbanistica milanese che hanno portato alla configurazione della Mediolanum suburbana. Nel corso dell’Ottocento, i cambiamenti e i rinnovamenti della società e della città sono stati numerosi e si devono in gran parte al progresso tecnologico portato dalla rivoluzione industriale che ha consentito lo sviluppo e la crescita della popolazione e il proliferare dell’industria. Nel 1782, in seguito a un decreto voluto da Maria Teresa d’Austria nel 1757, le realtà rurali, estese principalmente al di fuori delle mura spagnole, vennero riunite sotto un comune unico, denominato dei Corpi Santi; i maggiori proprietari di questi terreni erano per lo più gli enti religiosi e le famiglie nobili, in quanto la costruzione di lazzaretti e cimiteri doveva mantenersi fuori le mura, por motivi di salubrità. Nel 1797 viene legiferata la soppressione dei Corpi Santi e la conseguente annessione alla città di Milano: i Corpi Santi riusciranno a godere di una significativa autonomia per quasi un altro secolo, fino al 1873, anno in cui avverrà l’annessione effettiva. Durante questi anni si verifica un notevole incremento della popolazione e delle attività di scambio svolte all’interno dei Corpi Santi perché facilitate dall’assenza dei dazi doganali che invece interessavano le merci dirette all’interno della città, costrette ad attraversare le porte doganali. Il Comune dei Corpi Santi fu luogo privilegiato, in grado di favorire lo sviluppo dell’industria e del commercio, in cui si urbanizza una campagna ancora competitiva nei confronti della città storica, a cui si contrappone come una città funzionale, in quanto sede di numerose attività produttive, in cui il porto franco, ossia il Comune dei Corpi Santi, così definito da Carlo Cattaneo (1801-1869), fu in grado di ribaltare il rapporto tradizionale del suburbio con il centro. Un territorio che non indicava solamente il confine fra la città e la campagna, ma definiva un anello fra la città consumatrice e la campagna produttrice. Successivamente all’Unità d’Italia nel 1861, Milano inizia a configurarsi come il primo polo industriale e commerciale del nuovo Paese e 102
(67) Cartografia relativa PRG di Milano, “Piano Beruto”, 1889.
a questo punto, risulta di chiara comprensione la scelta di annettere definitivamente i Corpi Santi al Comune di Milano. Fino al 1884, i principali interventi sulla città si sono concentrati sulla risistemazione del centro storico, in particolare, di Piazza del Duomo e della Galleria Vittorio Emanuele II e sulla ridefinizione del tessuto urbano; mentre nelle aree di espansione viene promossa la formazione di nuovi quartieri residenziali borghesi, al contrario, i ceti popolari vengono progressivamente espulsi dal centro. Tali interventi, sono stati attuati senza avere alle spalle un consolidato programma strategicodi pianificazione. Per questo motivo, nel 1884 la giunta comunale affida all’ingegner Cesare Beruto, capo dell’ufficio tecnico, la stesura del primo piano regolatore per la città. Uno dei principali obiettivi nella stesura del piano omonimo è quello di rafforzare lo sviluppo monocentrico della città tramite esproprio per pubblica utilità. La prima versione, non approvata, del Piano Beruto (1884) prevedeva isolati di considerevoli dimensioni (oltre i 200 metri di lato), ampi viali alberati e grandi piazze, un rimando alla recente tradizione parigina guidata dal barone urbanista G. E. Haussmann (1809-91). La versione definitiva del piano viene approvata nel 1889 e conserva tutte le caratteristiche di espansione del primo piano che si sviluppa per anelli concentrici connessi da radiali, ma riduce drasticamente la dimensione degli isolati. Il secondo piano, a differenza del primo, prevede il potenziamento dell’asse di età napoleonica lungo il quale sorge il Castello Sforzesco e la trasformazione della Piazza d’Armi in giardino pubblico (Parco Sempione). Le previsioni di crescita demografica associate al piano Beruto e di conseguenza, al suo periodo di validità non osservarono i risultati attesi: nel 1901, Milano registra 491.000 abitanti e nel 1911 arriva a sfiorare i 600.000 contro i 500.000 previsti non prima del trascorrere di venticinque anni dall’approvazione del piano Beruto, come programmato. La vocazione industriale e produttiva di Milano cresce e si consolida, specialmente nella parte nord della città, lungo le direttrici nord-ovest e nord-est; come tempo addietro era accaduto per i Corpi Santi, la città presenta un hinterland industriale direttamente collegato ai bacini produttivi storici tra Adda e Ticino, esterno alla periferia urbana. Il Comune risponde alle nuove esigenze di città e società con la stesura di un nuovo piano regolatore redatto dall’ingegner comunale Angelo Pavia e dall’ingegnere capo dell’ufficio tecnico, Giovanni Masera. Il progetto si propone come un ampliamento del piano Beruto, lo schema 103
geometrico non si differenzia dal piano precedente: l’impianto si conferma monocentrico e l’espansione urbana avviene mediante l’aggiunta di una fascia circolare fra circonvallazione esterna e la nuova cintura ferroviaria prolungando le radiali storiche. Si tratta ancora di un piano di matrice ottocentesca che amplia la città senza specificarne le funzioni, limitandosi a prescrivere la rete stradale, è quindi un piano privo di grandi innovazioni che poco sfrutta le potenzialità del luogo e non considera il rapporto fra città e territorio limitrofe. Tuttavia, sono ben visibili gli interventi del riordinamento ferroviario avviato sul finire del secolo precedente e ancora in corso; basti pensare alla Stazione Centrale, ultimata solo nel 1931, che nel piano presenta la sua configurazione attuale di stazione di testa in Piazza Duca d’Aosta. Il piano mostra anche tutta la nuova cintura ferroviaria: ampliata a nord e a est, mantenuta a sud e soppressa senza una nuova proposta a ovest; anche se il piano non coglie appieno tutte le potenzialità di queste grandi trasformazioni, si adatta ai nuovi tracciati ferroviari favorendo così, lo sviluppo del reticolo stradale proprio nella parte est della città. “Con ben diverso impegno di analisi e di previsione veniva avanzata negli stessi anni una proposta che [...] mostrava di saper trarre deduzioni notevolmente aggiornate dai modi e dai contenuti dell’espansione di Milano. Si tratta del progetto (solo in parte realizzato) del Quartiere Industriale Nord Milano (1908); sostenuto da un gruppo di industriali, esso prevedeva [...] l’edificazione di un quartiere lineare di industrie, servizi, residenza impiegatizia e operaia, esteso da Milano a Sesto San Giovanni. Il compito di coordinare l’intreccio di funzioni dell’insediamento avrebbe dovuto essere assolto dalla complessa infrastruttura di un viale centrale, gigantesca spina dorsale del nuovo quartiere, previsto a più corsie e intersecato da sovra e sottopassi (gli attuali viali Zara e Fulvio Testi, nella più modesta realizzazione). La proposta, elaborata con esplicite intenzioni di decentramento e in totale autonomia dalle previsioni di piano, mostrava di intendere perfettamente le implicazioni territoriali dei rapporti di produzione in atto, e di saperli tradurre in un impianto morfologico e tipologico adeguato.” (5) Un altro intervento che ha inciso fortemente sulla trasformazione della periferia da realtà rurale fatta di borghi a cittadella industriale è dato dal progetto per il Nuovo Quartiere Industriale Raccordato, promosso dall’ingegner Attilio Franco, che prevede un piano di lottizzazione strategico dei terreni in prossimità della ferrovia. La continuità e l’efficacia dei due interventi, lontani dal centro città e posti oltre i rilevati della nuova cintura ferroviaria in un’area assai estesa, sono garantite proprio dalla presenza della ferrovia che costituisce un caposaldo per l’approvvigionamento di materiali 104
(68) Cartografia relativa PRG di Milano, “Piano Masera–Pavia”, 1909-12.
e la distribuzione. “Quella immensa zona di territorio, che dal limite esterno del piano regolatore di Milano, nei pressi della nuova Stazione Centrale, si spinge ad ovest del grande Viale di Monza sino a Sesto, abbracciando cinque milioni di metri quadrati, è destinata ad un grande avvenire. Dove ora scorrono placide le acque dello storico canale della Martesana, e sognano gli splendori passati le patrizie villeggiature ormai abbandonate della Torretta, della Bicocca, del Mirabello, è in formazione e tra qualche anno sarà completo un nuovo grande quartiere per opera di una potente società industriale.”
(6)
La storia di questa periferia è strettamente legata alla storia delle sue fabbriche, agli inizi del Novecento infatti, in molte iniziarono ad insediarsi lungo la direttrice nord-est, fabbriche che sarebbero diventate poi grandi imprese come la Pirelli, la Breda, la Marelli, la Falck e la OSVA (Officine sestesi Valsecchi Abramo); un singolare intreccio tra industria e città, tra tradizione del movimento operaio e politica, che ha dato vita a una configurazione del tutto particolare nel panorama italiano e che è stato capace di fornire un valido contributo alla collettività. In seguito al termine della Prima Guerra, le possibilità di trasformazione consentite dal piano regolatore del 1912 – ancora di stampo fortemente ottocentesco – risultano insufficienti; a parte una serie di interventi avviati tramite provvedimenti minori, appariva evidente la necessità di un nuovo piano per la città in constante crescita. Così nel 1926 il Comune emana il bando di concorso nazionale per il progetto del piano regolatore e di ampliamento della città aperto a tutti gli architetti e ingegneri italiani. Le risposte progettuali all’appello sono numerose: partecipano al concorso professionisti di tutto il Paese, naturalmente milanesi in maggior numero. “Per la zona esterna della città, il bando di concorso fissa l’indipendenza dei nuclei urbani incorporati nel comune di Milano, [...] in moda da attenuare lo sviluppo monocentrico della città. Prevede la necessità di [...] parchi, quartieri giardino, campi di gioco, scuole all’aperto [...] e l’urgenza di ristudiare radicalmente il problema dei traffici del nucleo centrale coi radiali, dei nuclei radiali tra di loro, e di risolvere con criteri adeguati anche quello dei collegamenti della metropoli coi territori limitrofi e con le città vicine. Infine, prevede la costruzione di areoporti e areoscali, l’ampliamento e la sistemazione dei canali attualmente esistenti, la costruzione di un porto fluviale ecc. Insomma, sono toccati dal bando di concorso tutti i punti necessari per trasformare Milano in una grande Metropoli attuale e futura. [...] Fu deliberato di assegnare i premi stabiliti dal bando di concorso, onde acquistare i migliori progetti, nei quali poi si sarebbe trovato il materiale necessario per 105
redigere un completo e definitivo piano regolatore della Città, da parte dell’apposito ufficio urbanistico. I tre premi furono quindi attribuiti così: il primo premio al progetto Ciò per amor (arch. P. Portaluppi e Ing. M. Semenza); il secondo progetto Forma urbis mediolani (arch. A. Alpago Novello, G. De Finetti, G. Muzio, T. Buzzi, O. Cabiati, F. Ferrazza, E. Lancia, M. Marelli, G. Ponti, A. Gadola, A. Minali, P. Palumbo, F. Reggiori) e il terzo progetto Nihil sine studio (ing. C. Chiodi, arch. G. Merlo, ing. G. Brazzola).” (7) Nonostante i contributi apportati dal concorso del 1926-27, il Comune affida la stesura del nuovo piano regolatore all’ufficio tecnico che ripropone in modo esasperato l’impianto monocentrico; il piano, redatto sotto la direzione dell’ingegner Cesare Albertini, viene ultimato nel 1933 e approvato l’anno seguente. Il piano Albertini abbandona definitivamente ogni velleità legata al concetto di città ottocentesca in favore dell’efficienza di espansione; il risultato è un fitto reticolo stradale che si estende a macchia d’olio con un’enorme capacità insediativa. Al contrario del piano di Portaluppi e Semenza, che prevedeva diverse aree verdi e servizi pubblici, questo piano si concentra prevalentemente sullo sviluppo viabilistico, con la conseguente lottizzazione degli isolati risultanti e sulle aree centrali, oggetto di vari interventi di sventramento, lasciando priva di qualità e senza una propria identità l’espansione periferica. Il piano Albertini ha contribuito in maniera sostanziale al processo di terziarizzazione del centro storico spingendo progressivamente la popolazione meno abbiente nelle zone periferiche. Infatti il piano prevede la divisione della città in un nucleo centrale, destinato al terziario, e in una ampia fascia periferica concepita come una superficie da lottizzare, ignorando la possibilità di uno sviluppo policentrico. Al termine della Seconda Guerra, Milano verte in una situazione disastrosa: la città è sopravvissuta alla guerra e in particolare, ai bombardamenti del ‘43, a stento; molte aree della città sono andate completamente o parzialmente distrutte. Tale condizione, tralasciando i risvolti drammatici, rappresenta una grande opportunità per la città di iniziare una ricostruzione libera dai dogmi urbanistici prebellici. La necessità di ricostruire appare evidente fin da subito, infatti, nel 1945 viene indetto un concorso di idee per la stesura del nuovo piano regolatore che implicava anche la necessità di sperimentare modelli alternativi per lo sviluppo della città. Tra le varie proposte presentate, quella più significativa è data dal gruppo degli Architetti Riuniti (Franco Albini, Lodovico Belgiojoso, Piero Bottoni, Ezio Cerutti, Ignazio Gardella, Gabriele Mucchi, Giancarlo Parlanti, Enrico Peressutti, 106
(69) Cartografia relativa PRG di Milano, “Piano Albertini”, 1927-34.
Mario Pucci, Aldo Putelli, Ernesto Nathan Rogers), da cui l’omonimo Piano AR. “L’urbanistica, sottolineava la relazione del piano AR, è l’organizzazione di un determinato territorio ai fini di distribuire equamente il lavoro, e quindi i beni e le ricchezze; di conseguenza l’obiettivo era l’organizzazione di quel complesso nuovo, avente caratteristiche strutturali in divenire, che si estende, come zona d’influenza di Milano, a tutta la regione (città-regione). [...] Secondo il piano AR, la popolazione della città, in relazione alle attività ammissibili nel nucleo urbano, non avrebbe dovuto superare gli 800/850.000 abitanti; al diradamento e alla graduale trasformazione del tessuto compatto degli edifici avrebbe dovuto corrispondere la creazione di un nuovo quartiere degli uffici, previsto [...] sull’area della Fiera e dello scalo Sempione; una nuova rete di infrastrutture [...] avrebbe dovuto rompere l’assetto monocentrico della città, e promuovere il decentramento delle industrie e della popolazione operaia.” (8) In sostanza, il Piano AR proponeva finalmente, la rottura del modello monocentrico e limitava l’espansione incontrollata con un progressivo decentramento dell’industria, a sua volta favorito da un articolato sistema infrastrutturale con ferrovia, metropolitana e due grandi assi attrezzati, le autostrade urbane che consentivano l’attraversamento rapido della città e il collegamento con le altre città. A livello regionale, il piano si presenta con un assetto fortemente policentrico, fondato sulla volontà di valorizzare i centri urbani di media grandezza. Il piano AR - pur con alcuni limiti, dati per esempio, dalle massicce opere di sventramento previste per la realizzazione delle nuove infrastrutture - resta un chiaro tentativo di sviluppo alternativo incapace di ignorare acriticamente le prassi sperimentate precedentemente. Parte dei principi alla base del piano AR, come la riduzione della superficie edificata e il decentramento dell’industria, vengono assunti nel 1948 da una nuova proposta urbanistica che introduce il concetto di azzonamento; il piano prevede anche la tutela del verde agricolo e pubblico e l’introduzione di un sistema di servizi dimensionato secondo standard urbanistici. Gli assi attrezzati, rispetto alle logiche appena descritte, vengono spostati e di conseguenza, il centro direzionale viene riconfigurato nella zona fra le stazioni Centrale e Garibaldi. Nel 1953 il piano regolatore viene approvato con sostanziali modifiche a causa dell’elevata domanda di alloggi e del continuo apportare di modifiche alle varianti di progetto. Il PRG del 1953, pur avendo introdotto nuovi strumenti urbanistici, non intacca minimamente il modello di sviluppo monocentrico, ormai radicato nella storia dell’urbanistica milanese. 107
(70) Schema del rapporto tra urbanizzato ed evoluzione della cintura ferroviaria, estratto da G. De Finetti in “Milano. Costruzione di una città”. Prima immagine relativa al 1880; seconda immagine relativa all’aspetto di Milano nel 1930. 108
(71) Gli ingrandimenti del Comune di Milano dopo l’Unità. A tratteggio l’annessione dei Corpi Santi nel 1873, a puntini e crocette le aree annesse tra il 1904 e il 1918, in bianco i comuni o frazioni incorporati nel 1923. Estratto da F. Oliva in “L’ urbanistica di Milano : quel che resta dei piani urbanistici nella crescita e nella trasformazione della città”, 2002.
109
Negli anni successivi, grazie al boom economico, la popolazione aumenta e con essa, la produzione architettonica della città e in particolare, dell’hinterland; sono anni fertili e il nuovo centro direzionale, tra Garibaldi e Centrale, vede sorgere i primi grattacieli della città: il Pirelli, la torre Breda, la torre Galfa. Se negli anni Cinquanta e Sessanta la città ha continuato a crescere, negli anni Settanta c’è stata un’inversione di tendenza causata dalla pesante crisi petrolifera che ha segnato il decadimento progressivo dell’industria. Ed ecco che si rende necessario un nuovo intervento sul territorio che coincide con la “Variante generale al PRG” del 1953 approvata tra il 1976 e il 1980, un piano regolatore, in seguito accantonato, atto a limitare le nuove destinazioni industriali. La variante prevede il potenziamento dei servizi collettivi, la riqualificazione dell’edilizia esistente e l’incremento della rete ferroviaria con l’ipotesi per il progetto del Passante ferroviario; tutti interventi in grado di innescare processi di nuova trasformazione della città. Negli anni Ottanta, la deindustrializzazione, ormai inarrestabile, ha fatto emergere con forza la questione della progettazione delle aree industriali in disuso; una questione portatrice di un’occasione unica per il ridisegno della città. La dismissione delle varie aree, di dimensioni spesso considerevoli data la funzione produttiva, ha restituito alla città spazi capaci di significative trasformazioni. Un esempio della potenzialità di questi processi di trasformazione è riscontrabile nelle proposte per il concorso internazionale su inviti indetto dalla Pirelli nel 1985 per il Progetto Bicocca dopo la dismissione dei propri stabilimenti; il concorso ha offerto la possibilità di progettare una vera e propria parte della città radicata nel tessuto urbano dell’espansione e ben collegata dalle infrastrutture, pur rimanendo collocata in una zona periferica. Alla progressiva dismissione delle aree industriali seguirà poi la dismissione dei sette scali ferroviari nella cui progettazione si giocano ancora una volta le sorti del futuro della città. Le grandi trasfromazioni urbane esplicitate queste battute, condizionano chiaramente presente grechese, le sue attese e possibilità cambiamento future secondo pianificazione processo immaginativo.
110
in il di e
5. Maurizio Grandi, Attilio Pracchi, Milano. Guida all’architettura moderna (Milano: Libraccio, 2008), 97-99. 6. Pietro Nurra, “Un nuovo grande quartiere a Milano nella zona compresa tra Milano e Sesto San Giovanni”Le case popolari e le città giardino, no. 6, 1909, 163. 7. Marcello Piacentini, “Il concorso nazionale per lo studio di un progetto di piano regolatore e d’ampliamento per la città di Milano”, Architettura e arti decorative, no. 3-4, 1927, 132-133. 8. Maurizio Grandi, Attilio Pracchi, Milano. Guida all’architettura moderna (Milano: Libraccio, 2008), 233-234.
(72) Schema relativo alla Variante generale al PRG del 1953 approvata fra il 1976 e il 1980. Estratto da F. Oliva in “L’ urbanistica di Milano : quel che resta dei piani urbanistici nella crescita e nella trasformazione della città”, 2002.
111
Morfologia grechese: da borgo rurale a porzione di città formalmente compiuta “C’erano dunque in questo territorio di Greco, fino alla fine dell’Ottocento, solo nuclei di case e cascinali sparsi: [...] nucleo di Cascina de’ Pomi, formato [...] dalla cascina vera e propria, che sorgeva dove è ora la chiesa nuova con affiancato il Palazzo attribuito ai de’ Pomi e altre case rustiche, sull’altra sponda del Naviglio; là dove c’era la conca (ora coperta) vi era un gruppo di case con il mulino; nucleo di piazza Greco con le abitazioni dietro la chiesa: la Côrt di Puress o Côrt Granda (Cascina Conti), la Ca’ Storta, le case del conte Castelbarco in via Carlo Conti e il gruppo di case [...] in via Emilio Marchi; nucleo di Segnano, là, di fronte alla chiesetta, la Côrt Granda veramente enorme, da essere quasi, da sola, un borgo; nucleo di Segnanino con la sua brava Côrt Granda e con la fila di antiche case lungo via Roberto Cozzi; nucleo della Fornasetta sulla via Breda: quattro case dalle linee architettoniche lombarde, il porticato, la torretta, la chiesetta. Collegavano questi nuclei strade che, più o meno, sono le stesse di oggi: strette, tortuose. Il paesaggio si presentava con grandi distese di prati, tagliati da numerose rogge, da lunghe siepi e da filari di pioppi e di gelsi per l’allevamento del baco da seta. [...] Greco, per Milano, era ancora il contado, cinque chilometri di prati la separavano dalla città e, forse, non c’era bisogno di salire sul campanile per abbracciare con uno sguardo tutta Milano [...] Nei grandi cortili (Côrt Granda) si svolgeva la vita associativa.” (9) Le vicende di Greco si legano inevitabilmente alla storia di Milano, ma fino all’Ottocento il piccolo borgo conserva una certa autonomia e un’identità che ancor si discosta fortemente dal contesto urbano. Greco nasce proprio come un centro rurale, circondato da vasti campi e dedito all’agricoltura. L’antico borgo, il cui centro era dato dalla Chiesa di San Martino, costruita nel Cinquecento (sulle spoglie di una chiesa risalente al XII-XIV secolo) risultava composto da una manciata di abitazioni, complessi rurali e cascine dislocate nei territori di Segnano e Segnanino. La presenza della vicina Martesana aveva influito positivamente su tutte le attività rurali: dall’irrigazione dei campi al trasporto dei prodotti. Fra il XVII e il XVIII secolo, mentre il centro agricolo continua a svilupparsi, cominciano a sorgere nel borgo alcune ville signorili dedicate ai soggiorni estivi dei nobili. Nel 1753 Greco diventa una frazione del comune di 112
Segnano. La seconda metà dell’Ottocento vede l’inizio delle trasformazioni più significative: la rivoluzione industriale aveva fatto sì che nel 1840 la Strada ferrata Milano-Monza attraversasse il territorio preannunciando la sorte, confermata poi dal riordinamento ferroviario, del quartiere ad ospitare il passaggio dei binari; l’arrivo della ferrovia e l’insediamento dei primi stabilimenti industriali avevano inoltre consentito un aumento degli abitanti sul territorio, ora facilmente raggiungibile. Nel 1863 il comune di Segnano, cambia nome in Greco Milanese; il nuovo Comune non rientra a far parte dell’annessione dei Corpi Santi del 1873, restando così, ancora autonomo. Se fino all’Ottocento permangono numerosi i terreni coltivati e i complessi cascinali, con l’autonomizzazione del Comune nel 1863, la popolazione continua ad aumentare e il territorio viene caratterizzato sempre più dalla presenza dell’industria e della ferrovia con il passaggio dei suoi binari e dei tunnel. “Verso la fine dell’Ottocento, e ai primi del Novecento, con il formarsi delle prime grandi industrie quali la Pirelli, la Breda, la Marelli insediatesi nelle immediate vicinanze, si aveva l’inizio del passaggio dal tipo di vita prevalentemente agricolo a quello industriale; meglio dire, per Greco, di insediamento operaio. Sorgono nuove case che ben possiamo distinguere ancora oggi (in via Comune Antico, in via Ugolini) che non hanno più nulla di agricolo.” (10) Un mutamento prevedibile, ma assai radicale, era quello che stava affrontando Greco: la trasformazione da entità agricola a piccola città, completamente estranea alle tradizioni fondative del borgo storico, a cui sarebbe seguita, inevitabilmente, anche una serie di incongruenze e di irresolutezze a livello urbano, già di per sé tipiche di un territorio di confine quale è Greco. Il 1923 è una data significativa che sancisce l’unione del comune di Greco Milanese alla città di Milano. In poco tempo, quello che viene a descriversi è un territorio caratterizzato, da una parte da una zona più antropizzata, più densamente popolata, dotata di servizi, e dall’altra dal nucleo storico di Greco che sopravvive e si amplia, mantenendo alcuni di quegli aspetti ancora legati alla tradizione del
(73) Carta di manovra dei dintorni di Milano, cartografia relativa alla planimetria di Milano, 1878. borgo. Le nuove costruzioni si adattano principalmente agli orientamenti definiti dal piano Albertini nel 1934, con una disposizione ortogonale dei nuovi isolati rispetto al Naviglio della Martesana. Piazza Greco, prospiciente la chiesa, viene ampliata e assume l’attuale configurazione, assecondando l’assetto del piano; uno dei pochi accessi diretti alla città viene garantito con la costruzione di un nuovo ponte carrabile che oltrepassa la Martesana in viale delle Rimembranze di Greco. A partire dagli Trenta, il quartiere di Greco, ormai parte di Milano, diviene completamente circondato dalla ferrovia, da un lato, dalla Stazione Greco-Pirelli (entrata in servizio già nel 1914), dall’altro dai numerosi rilevati ferroviari che consentono il passaggio dei treni diretti alla Stazione Centrale, inaugurata nel 1931. Così i borghi di Greco e Gorla, storicamente collegati, si ritrovano per la prima volta separati dalla presenza degli importanti manufatti ferroviari. “Le incongruenze e i limiti della riforma ferroviaria tuttavia impedirono ancora una volta, nel settore settentrionale, la completa attuazione del Piano
regolatore. Da un lato, la Stazione Centrale e i relativi raccordi [...] crearono nuovi condizionamenti e strozzature: la saturazione residenziale di viale Zara fu attuata abbastanza rapidamente, mentre sulla prosecuzione del viale per Monza oltre il rilevato (viale Fulvio Testi) l’urbanizzazione avrebbe avuto luogo solo nel secondo dopoguerra; i raccordi ferroviari vennero a cingere completamente l’abitato di Greco, recidendo gli storici collegamenti con il suo antico territorio comunale e isolandolo dal resto della città; non bastò portare a quaranta metri la larghezza delle due strade adiacenti al piazzale dei binari (le vie Aporti e Sammartini) per incentivarne il rinnovo edilizio, attuatosi in modo frammentario.” (11) Le arcate ferroviarie ed il passaggio continuo dei treni diventano così elementi caratterizzanti del paesaggio di Greco, nonostante le profonde cesure che hanno causato nel territorio. Infatti Greco, così come molti borghi annessi successivamente a Milano, conservavano storicamente una logica locale circondariale; logica che viene sovvertita, sempre più progressivamente, a partire dalla seconda metà del XIX secolo. Negli anni Sessanta, iniziano i lavori per la copertura del Naviglio della 113
(74) Cartografia relativa alla planimetria del Comune di Greco Milanese, 1912.
114
Martesana (la copertura della cerchia interna era stata completata sul finire degli anni Venti), mutando profondamente ancora una volta i caratteri della città e in particolare, di via Melchiorre Gioia, dove il naviglio si interra in corrispondenza della Cascina de’ Pomm. A partire dal Dopoguerra, si è intensificata la costruzione, già avviata negli anni precedenti, di piccoli stabilimenti produttivi e soprattutto, di case popolari dedicate agli operai che lavoravano nei vicini impianti industriali. Nonostante la fitta espansione urbanistica, spesso incontrollata, tutt’ora nell’area di Greco permane una piccola parte di quelle architetture rurali che il naviglio ha contribuito a costruire; per lo più cascine e cortili che testimoniano il passaggio della Martesana e l’importanza che ha avuto, e che continua ad avere oggi, come unico superstite e legante fra città e campagna.
9. Gianni Banfi (a cura di), Greco: un borgo, un comune, un quartiere (Milano: Longe Prospicio,1970), 114. 10. Ivi, 115. 11. Giorgio Fiorese, MZ2: Milano Zona due: centro direzionale Greco Zara (Milano: ICI, 1987), 144.
Faticando tutt’oggi a trovare una relazione con la città di Milano, ed avendo perso gran parte delle caratteristiche proprie del borgo a base rurale, i pochi elementi che testimoniano la storia di Greco sono il naviglio della Martesana, la chiesa di San Martino, che continua a catalizzare le attività di vita collettiva, la Cassina de’ Pomm che ha dato alloggio a numerosi viaggiatori, ed infine la Cascina Conti, o quel poco che resta delle sue corti storiche. Ulteriori elementi di importanza morfologica, al di fuori delle dinamiche insediative dello storico borgo grechese, risultano svilupparsi lungo l’asse di via G. B. Sammartini: la Stazione Centrale, i Magazzini Raccordati, la vecchia Centrale Termica della Stazione Centrale e l’Ex Mercato Ittico, denominato volgarmente “Mercato del Pesce”. La loro successione spaziale, dal centro verso la zona interstiziale in cui l’asse dei Magazzini Raccordati interseca il Naviglio della Martesana, delinea uno scenario totalmente distaccato nei confronti dell’ambito rurale di Greco, ma bensì di carattere industriale, fatto di ciminiere e stereometrie massicce e consistenti, viadotti ferroviari e treni in movimento. Per concludere Greco appare oggi come una mixitè di elementi puntuali storici all’interno di un comparto disomogeneo a base residenziale, unito a vari manufatti propri della cosiddetta “archeologia industriale”.
115
116
117
Dalle prime ferrovie alla Stazione Centrale La Stazione Centrale di Milano si configura come la principale stazione di testa del capoluogo lombardo. Dalla seconda metà del 1800 lo sviluppo delle strade ferrate conseguenti ai piani di riforma urbanistica atti alla loro collocazione d’impianto, hanno di fatto rotto lo schema dell’antica forma urbana raccolta all’interno delle mura spagnole. L’avvento della ferrovia coincide di fatto con la fine della città compatta di Milano, a favore di un impianto moderno a modello di metropoli. La storia della Stazione Centrale si articola in due differenti fasi, attraverso la costruzione di altrettante stazioni. Una volta definito che il piano d’intervento secondo cui il sistema del ferro andasse disposto al di fuori della città antropizzata – e quindi all’esterno dei bastioni – a causa delle imponenti dimensioni delle strutture di trasporto, la prima Stazione Centrale venne costruita nella zona dell’attuale Piazza della Repubblica. Esistevano al tempo diverse linee ferroviarie, in quanto i primi binari appaiono a Milano intorno alla fine degli anni ‘30 del XIX secolo. L’imperatore Ferdinando I d’Austria concede la costruzione della prima linea lombarda Milano-Monza, nonché seconda linea italiana dopo quella NapoliPortici, che vede come stazione cittadina quella di Milano Porta Nuova. In seguito alla prima linea inaugurata nel 1840 seguiranno diversi interventi infrastrutturali con la realizzazione di diverse linee ferroviarie: Milano-Como, Milano-Chiasso, Milano-Magenta per poi concludere con la linea Milano-Torino del 1859.
Intanto, nel febbraio del 1846 era nata la Stazione di Porta Tosa-Vittoria: questa viene posizionata nelle vicinanze della porta omonima, sempre al di fuori della cerchia dei bastioni. All’apertura viene posta a capolinea del tronco Milano-Treviglio, unico tratto lombardo della linea per Venezia, fino ad essere capolinea dell’intera linea dal 1857. Dal 1861 la stazione è anche punto di partenza della nuova linea per Bologna, mentre dall’anno successivo partono da qui anche i convogli per Pavia. Si inizia così a sentire l’esigenza di concentrare tutte le linee che gravitano sulla città in un 118
unico punto. A questo scopo nasce la prima Stazione Centrale, la cui costruzione inizia nel 1857 sotto la dominazione austriaca, ma viene terminata dopo l’unità dell’Italia: viene infatti inaugurata il 11 febbraio 1864 dal Re Vittorio Emanuele II. Dopo diverse vicende il progetto venne affidato all’architetto parigino Louis-Jules Bouchot (1817-1907), il quale improntò il progetto sui dettami della scuola francese, realizzando una grande struttura parallelepipeda coperta con un tetto a padiglione in ardesia. Si trattava di una realizzazione imponente in quanto l’intervento non si limitò ad un solo edificio, ma bensì alla sistemazione ed alla progettazione di una vasta area intorno all’attuale Piazza Repubblica. Con la prima Stazione Centrale la ferrovia, dotata di sei binari passanti, cominciò ad avvolgere il perimetro nord-orientale della città con una vasta cintura di strade ferrate ed edifici che avrebbero condizionato lo sviluppo della città stessa. Oltre all’edificio proprio della stazione, da rimarcare l’intervento relativo al grande piazzale ed alla progettazione del suo collegamento verso il centro, attraverso la realizzazione dell’asse dell’attuale Via Turati.
Immagini relative a: (75) S. Gallio, Riproduzione della prima Stazione di “Milano Centrale”, 1865. (76) G. Brenna, estratto della cartografia relativa alla planimetria di Milano, 1865.
(75)
(76) 119
(77) Astronomi di Brera, cartografia relativa alla planimetria di Milano, 1814.
120
(78) G. Brenna, cartografia relativa alla planimetria di Milano, 1865.
121
A seguito dei vari interventi di innovazione a livello territoriale relativi alla linea del ferro, a fine Ottocento si sentì l’esigenza di ripensare all’assetto, con l’intento di sostituire la precedente stazione di transito con una cosiddetta stazione di testa. Si volle poter disporre la rete ferroviaria in senso radiale alla città, liberando di fatto le parti più centrali dai vari intrecci di binari, i quali impedirono fino a quel momento l’espansione urbana. Il riordino delle ferrovie fu reso possibile dalla revoca da parte di tutte le società privata delle concessioni di gestione della rete, con l’assunzione da parte dello Stato italiano dell’esercizio della rete ferroviaria nazionale: Ferrovie dello Stato (1905). Così la giunta comunale di Milano istituì una nuova Commissione presieduta dal Senatore Giuseppe Colombo, le cui delibere trovarono piena approvazione presso le Ferrovie dello Stato che iniziarono da subito a lavorare ad un progetto infrastrutturale a livello territoriale locale e nazionale. Nel 1914 venne ultimato l’arco dei binari della cintura nord (Lambrate-Musocco), mentre nel 1918 venne realizzata la cintura ad est. Attraverso il sistema di cintura, conclusa il segmento a sud della stessa, nel 1931 entrò in servizio la nuova Stazione Centrale, quella tutt’oggi in uso. Da questo momento in poi la città venne avvolta dal nuovo sistema infrastrutturale, il quale seppur senza porte di città, ha creato innumerevoli limiti e vincoli, sia di natura morfologica in seguito all’espansione di Milano nel dopoguerra, sia di carattere logistico di interscambio fra centro, periferia storica ed il conseguente Hinterland suburbano. Nel 1906, in concomitanza con l’Esposizione Internazionale di Milano, venne istituito il bando di concorso per la facciata della nuova stazione viaggiatori, a capo della commissione fu posto l’architetto Camillo Boito (1836-1914). Le ferrovie dello Stato avevano predisposto un progetto funzionale di massima, con spazi per arrivi e partenze, l’atrio centrale della biglietteria e la presenza di un grande albergo. Il concorso non presentò vincitori a seguito del disappunto dello stesso Boito, al tempo preside della locale Accademia di Belle Arti. Passarono più di quattro anni prima che fosse bandito nel 1911 un nuovo concorso e nel frattempo il progetto di base delle FF.SS. fu rivisto in diverse parti. I progetti presentati al secondo concorso furono più di quarantatre, fra cui “In motu vita” di Ulisse Stacchini (1871-1947), di chiara matrice futurista, il quale fu selezionato vincitore. Per timore che il tumultuoso sviluppo in atto nel traffico ferroviario portasse alla costruzione di un manufatto insufficiente, vennero emanate nuove richieste da parte delle Ferrovie dello Stato attraverso varianti ed adeguamenti. Così Stacchini 122
(79)
presentò il terzo progetto, che divenne definitivo nel 1915. Durante la costruzione il cantiere ebbe però una battuta d’arresto lunga dieci anni a causa prima dello scoppio della Prima Guerra Mondiale e poi della crisi economica: tornò operativo infatti solo nel 1925 su richiesta del Duce. Fino a quel momento tutto ciò che era stato fatto dalle FF.SS. era il viadotto ferroviario dalla doppia natura, una a piano strada e uno a quota rialzata. Mussolini ordinò la ripresa dei lavori nel 1925: vedeva nella realizzazione della Stazione Centrale un simbolo di ripresa economica e ancor più di potenza del nuovo Regime. Aquesto scopo, l’aspetto decorativo della stazione venne ridisegnato su richiesta di Mussolini dall’Ingegnere Alberto Fava (1877-1952): furono aggiunte statue, ornamenti, grandi tettoie in ferro e vetrate disegnate, ma l’impianto di Stacchini non venne modificato.I binari si trovano a quota 7,40 metri dal piano stradale con una profondità di circa duecento metri; per reggerne il peso al di sotto dei binari si trova un terrapieno racchiuso da magazzini prospicienti da un lato su Via Ferrante Aporti e sull’altro su Via G. B. Sammartini. I magazzini in questione sono i Magazzini Raccordati realizzati interamente in cemento armato in stile tardo liberty in continuità con gli ornamenti della Stazione Centrale. A metà
maggio del 1931 iniziò il trasferimento dei servizi dalla vecchia Stazione Centrale di Piazza Repubblica alla nuova. Il monumentale edificio della nuova Stazione Centrale di piazza Duca D’Aosta venne inaugurato ufficialmente il primo luglio 1931.
(80)
Nel giro di un secolo la zona attorno alla Stazione Centrale ha cambiato completamente assetto passando da area prettamente rurale caratterizzata dal Lazzaretto e dai vari sistemi di cascine (fra cui la Cascina Pozzobonelli), divenendo terreno fertile per l’urbanizzazione, per la costruzione delle periferie e della grande industria, spesso connessa alla produzione del settore ferroviario. Immagini relative a: (79) A. Sant’Elia, proposta “PARTENZE”, prospetto principale per il Concorso relativo alla Nuova Stazione Centrale, 1912. (80) U. Stacchini, “In motu vita”, vista prospettica, variante progettuale, 1913. (81) U. Stacchini, “In motu vita”, prospetto fronte est della variante definitiva approvata, 1924.
(81) 123
(82) U. Stacchini, “In motu vita”, planimetria della variante definitiva, 1924. 124
(84)
(83-84-85)Fotografie storiche relative alle fasi di costruzione della Stazione Centrale di Milano fra il 1925 ed il 1929. (83)
(85) 125
(86) A. Bertarelli, C. Sacchi, cartografia relativa alla planimetria di Milano, 1906.
126
(87) IGM, cartografia relativa alla planimetria di Milano, 1937.
127
I Magazzini Raccordati “Il rilevato ferroviario della Stazione Centrale fu realizzato più di un secolo fa con la funzione di mantenere in quota i binari ferroviari che conducevano alla stazione. L’intera costruzione fu completata prima della stazione stessa, per consentire il trasporto dei materiali da costruzione necessari all’avanzamento dei lavori. L’impianto della massicciata comprendeva un’area di 240.000 m2 (200 metri di larghezza e 1,2 chilometri di lunghezza) sviluppandosi lungo le vie Ferrante Aportu e Giovanni Battista Sammartini. Date le sue dimensioni non certo irrilevanti, un ulteriore problema fu quello di evitare che la nuova struttura creasse una barriera in grado di limitare nel futuro lo sviluppo della città. Per impedire ciò, furono realizzati cinque collegamenti stradali trasversali, detti “sottovia”, cadenzati lungo tutto il terrapieno. Nelle aree lasciate libere dagli assi stradali di attraversamento, furono realizzati i Magazzini Raccordati, 139 locali a uso commerciale che costeggiano i due lati della massicciata in maniera simmetrica, con l’eccezione dell’ultimo tratto della via Sammartini dove vennero realizzati dieci magazzini in più. I magazzini vennero chiamati “raccordati” in quanto collegati tra loro da binari che correvano lungo dei tunnel interni al rilevato.”(12) Due sono le tipologie presenti: la prima, la principale di dimensione di dodici metri per trenta metri, con una superficie pari a trecentotrenta metri quadrati e un’altezza massimo di sei metri; la seconda, detta tipologia bis, è un rettangolo di otto metri per trenta metri con pari altezza a quella precedente, con la differenza degli accessi realizzati con ampi portali ad arco. In totale i Magazzini Raccordati sono centoquarantuno, tutti con una copertura a botte e con l’accesso sul retro a un binario interno che semplificava il carico e scarico delle merci e raccordava i magazzini, da qui il nome. I Magazzini Raccordati furono progettati per facilitare l’interscambio tra il trasporto su gomma e quello su ferro: la tipologia bis infatti era destinata prevalentemente ad operazioni di carico e scarico grazie all’ampio portale e a un accesso di maggiori dimensioni sul retro. Le merci scaricate dagli automezzi nei magazzini venivano smistate sui vagoni o viceversa; a quel punto le merci 128
raggiungevano il piano stazione grazie a dei montacarichi, poi caricati sui treni merci e fatti partire. I Magazzini di fatto secano una cospiqua porzione di città, creando fin da subito una frattura nel tessuto urbano, andando a delineare due quartieri eterogenei adiacenti alla struttura ferroviaria stessa. Il distretto prospiciente via G. B. Sammartini si caratterizzava infatti da un’impronta rurale, dalla forte presenza di viadotti ferroviari e di alcune fabbriche legate ad insediamenti operai; dalla parte di Via Ferrante Aporti si sviluppò invece un quartiere lungo Via Venini in continuità con il tessuto di Milano. I Magazzini Raccordati entrarono in funzione già dal 29 marzo 1914, ancora prima che la stazione venisse costruita e inaugurata nel 1931, e affidati in concessione fino agli anni ’50 alla Società Anonima “Magazzini Raccordati della nuova Stazione Centrale di Milano” (S.M.R.). Durante la loro vita furono teatro di diversi episodi della storia milanese: nel corso della Seconda Guerra Mondiale vennero utilizzati principalmente come deposito armi o dormitori per militari, o ancora come rifugi antiaerei; nel dopoguerra come rifugi per gli sfollati o primo luogo di accoglienza per gli immigrati del sud; divennero poi sede del mercato ittico e di varie attività commerciali. Particolarmente proficui, i magazzini non facevano parte della cintura limite del dazio, era perciò possibile acquistare le merci senza doverlo pagare, rappresentando una linea di confine per il libero scambio delle merci di oltre due chilometri all’interno della città. Cintura che venne dismessa già sul finire degli anni ’50. Fra 1943 e il 1945 i magazzini vennero utilizzati per le deportazioni degli ebrei verso i campi di concentramento, sfruttando la non visibilità dei binari e la possibilità quindi di far uscire dalla città treni senza che nessuno potesse accorgersene. Attraverso l’area adibita a carico e scarico dei vagoni postali, un elevatore poneva i vagoni al piano del binario 21 che partivano poi in direzione dei campi di concentramento di AuschwitzBirkenau, Bergen Belsen, Mauthausen o ai campi italiani di raccolta come quelli di Fossoli e Bolzano. A memoria di questa ignobile vicenda, nel Giorno della Memoria del 2013 fu inaugurato il Memoriale della Shoah a Milano proprio in corrispondenza con il medesimo binario, sfruttando parte dei magazzini. I magazzini raggiunsero il loro apice a metà degli anni ’80, quando tutti i magazzini in affitto ospitavano attività varie e differenti come la produzione di olio, deposito merci, palestra di boxe, rivendite di merci varie da giornali ad
(88)
(89)
(90)
(91) Immagini relative a: (88) Planimetria e sezione dei Magazzini Raccordati. (89) Vista a volo d’uccello su Via Sammartini (90) Vista dei Magazzini Raccordati a livello stradale. (91) Vista del tunnel di raccordo dei Magazzini Raccordati a livello stradale. (92) Vista del tunnel carrabile di collegamento fra le due porzioni cittadine di Gorla e Greco.
(92) 129
(93) M. Marrazzi, A. Bussolon, M. Balducci, “Le arcate della stazione centrale”, corso di Composizione Architettonica I, Politecnico di Milano, a.a. 1986. Elaborato dell’assetto funzionale dei Magazzini Raccordati. 130
alimentari, eccetera. Fu il decennio successivo a definire il loro declino: gli affitti iniziarono a decadere, l’aumento del canone rese sconveniente continuare a tenere aperta l’attività in quel luogo preferendo il trasferimento in altre aree della città. Agli inizi degli anni 2000 la proprietà decise di non rinnovare più gli affitti, o di farlo con scadenza annuale: questo firmò la fine dei magazzini così come si erano conosciuti fino ad allora. Sopravvivono attualmente due pescherie, un centro Caritas, un Hub Arca, depositi e uffici di F.S. un locale serale e un centro aiuto. Da 141 magazzini occupati negli anni ’80, ad una decina nel 2021.
12. Viviana Bassan, C’è vita intorno ai binari. I Magazzini raccordati della Stazione Centrale di Milano. Passato presente futuro(Verdellino: Prontostampa, 2015), 28-30
(95)
(94)
Immagini relative a: (94) Vista della galleria di servizio con i due binari di raccordo. (95) L’interno di un magazzino visto dal raccordo. (96) L’interno di un magazzino visto dal fronte stradale.
(96)
131
Mercato del pesce L’architettura dell’Ex Mercato del Pesce, data anche la sua posizione di vicinanza rispetto all’insediamento antico del borgo e la sua predisposizione funzionale a mercato ittico di entità cittadina ed allo stesso tempo rionale, assume appunto particolare importanza. La vasta area del mercato (5.800 metri quadrati) inaugurata nel 1935, andava ad inserirsi nel contesto già ben avviato dei Magazzini Raccordati, ricco di attività commerciali e industriali. La scelta del sito risultava strategica, le possibilità di sviluppo del mercato erano favorite doppiamente: da un lato, l’immediata vicinanza con la Stazione Centrale consentiva un facile approvvigionamento di prodotti ittici, dall’altro la presenza del sistema dei Magazzini raccordati offriva spazi di deposito e la possibilità di collegamento diretto con la stazione tramite i binari di raccordo. L’edificio del mercato, progettato dall’ingegnere Guido Amorosi, è costituito principalmente dal grande salone coperto con due ingressi distinti, uno per i prodotti ittici in arrivo e uno dedicato all’entrata degli acquirenti. Il salone era poi suddiviso in tre reparti, uno per le vendite, uno per la raccolta dei prodotti venduti, e uno per l’avanmercato sul quale si affacciavano direttamente gli uffici, posti nell’edificio dell’amministrazione con il fronte rivolto su via G. B. Sammartini. La struttura dell’edificio è composta da tre navate, gli archi sorreggono la grande volta ribassata posta sopra la navata principale; le due navate laterali presentano una copertura piana di altezza inferiore rispetto a quella principale. La sezione risultante descrive un profilo a gradoni con un claristorio che illumina il centro della sala. Il piano seminterrato ospita magazzini e celle frigorifere per la conservazione del pesce. A partire dal 1954, diviene sempre più evidente la necessita di ampliare la struttura per far fronte all’incremento della richiesta di prodotti ittici. Pertanto, nel 1955 iniziano i lavori di ampliamento, facilmente riscontrabili dalla comparazione fra le Carte Tecniche Comunali del 1946 - dove il mercato ricalca il progetto originale - e del 1956, nella quale è evidente l’aumento sostanziale di volume del fabbricato. Così, nel 1958 il mercato si ritrovava a disporre di un salone delle vendite duplicato 132
nelle dimensioni e al cui interno si trovavano trentadue plateatici con adiacenti magazzini, un ampio piazzale per i grandi veicoli e un sistema tecnologicamente avanzato per la conservazione del pesce. Grazie a questi interventi, il Mercato ittico di via G. B. Sammartini poteva annoverarsi il diritto di essere riconosciuto fra le migliori strutture a livello nazione per attrezzatura e organizzazione. Nonostante ciò, ben presto comincia a concretizzarsi la consapevolezza che il mercato non sarebbe stato in grado di far fronte alle necessità commerciali sempre maggiori a causa dell’impossibilità fisica di ampliare ulteriormente la struttura insediata nel tessuto urbano consolidato; inoltre tutti gli altri mercati all’ingrosso si erano da tempo stanziati nella parte est della città, e a partire dagli anni Sessanta, andavano trasferendosi in via C. Lombroso, dove risiedono tutt’oggi. Così dopo un concorso degli anni Ottanta per la realizzazione del nuovo mercato ittico e floricolo, vinto dal progetto di Guido Veneziani con la consulenza di Ignazio Gardella, nel 1989 iniziano i lavori ultimati sono nei primi anni Duemila, per la costruzione del nuovo mercato del pesce in via C. Lombroso. Dal trasferimento del mercato ittico alla sede odierna, la zona degli ex uffici di via G. B. Sammartini, dismessa ufficialmente nel 2004, verte in uno stato di completo abbandono. Al contrario, l’area del grande salone un tempo dedicata al commercio, è stata completamente recuperata nel 2011; al suo interno si trova un centro di produzione pasti che rifornisce le mense delle scuole milanesi della società Milano Ristorazione Spa.
Immagini relative a: (97) Vista dell’assetto originale del grande spazio centrale del Mercato ittico. (98) G. Amorosi, Planimetria del Mercato ittico, 1935.
(97)
(98) 133
Pirelli: dallo stabilimento al progetto Bicocca La Bicocca è stata il cuore di quell’area industriale che si era rapidamente costituita ai primi del Novecento nella zona tra il comune di Greco e Sesto San Giovanni, e che per molti decenni ha rappresentato il simbolo dell’industrializzazione lombarda, elemento trainante dell’economia dell’intero Paese. Con la progressiva espansione edilizia di Milano, le campagne settentrionali della città erano state poco alla volta integrate nel tessuto urbano, venendo ad ospitare una serie di stabilimenti industriali che hanno a lungo caratterizzato il territorio della Bicocca, il cui stabilimento più popolare era quello della Pirelli, che vi trasferì i propri impianti da via Fabio Filzi nel 1907. Nel 1929 venne costruito il Centro Traumatologico Ortopedico, importante per gli infortuni sul lavoro data la sua vicinanza alla Pirelli, all’Ansaldo, alla Breda, alla Wagon lits, ma anche al “Nuovo quartiere industriale raccordato” a Sesto, con le sue acciaierie Falck. La Pirelli arrivò a dare lavoro fino a tredicimila persone e ad occupare una superficie di oltre 700.000 m², comprendendo anche il principale centro di ricerca del gruppo. Società fondata nel 1872 da Giovanni Battista Pirelli che aveva acquistato i terreni dell’area nel 1906 installandovi in breve larga parte delle proprie produzioni di pneumatici, cavi elettrici ed altri manufatti in gomma. La Pirelli famosa per la prodizione di articoli tecnici in caucciù vulcanizzato ha la sua prima sede nello stabilimento “la Brusada” nell’area adiacente via Ponte Seveso, dove oggi sorge l’omonima torre. Buona parte della produzione venne trasferita nel 1908 nel grande stabilimento nella zona Bicocca. A partire dalla fine degli anni settanta, in seguito soprattutto a riorganizzazioni dei grandi gruppi a livello internazionale, si assistette a un progressivo disimpegno dell’industria dalle aree urbane di tutta Italia. Il quartiere della Bicocca fu particolarmente interessato da fenomeni di deindustrializzazione e delocalizzazione. Nel 1984 infatti anche Pirelli decise di delocalizzare la produzione di pneumatici giganti tessili a Villafranca Tirrena e a Settimo Torinese. Pirelli occupava negli stabilimenti di Bicocca, di Greco e Segnanino Grechese quasi ventimila persone. L’agglomerato complessivo delle industrie della 134
zona occupava giornalmente duecentomila lavoratori, tra Falck, Breda, Ansaldo e Magneti Marelli di Sesto San Giovanni. La delocalizzazione, dunque, ebbe un impatto fortissimo sull’aspetto e sui progetti del quartiere. A seguito della dismissione industriale dell’insieme di fabbriche fra cui la Pirelli, nella prima metà degli anni Ottanta l’area diviene oggetto di un concorso internazionale ad invito per la rigenerazione e la riqualificazione urbana, al fine di fornire una nuova centralità metropolitana, in accordo con il Comune e la regione Lombardia. Si tratta infatti di uno degli eventi più significativi della storia urbanistica di Milano di fine millennio, che ha segnato il dibattito sulla riqualificazione delle aree industriali dismesse non solo italiane. “Ai progettisti che hanno partecipato al concorso abbiamo chiesto di riorganizzare una vasta area urbana, anticipando esigenze future che oggi noi possiamo tutt’al più intuire e intravedere. Li abbiamo invitati a pianificare uno sviluppo della città fondato sulle nuove tecnologie, la ricerca, il terziario avanzato, mentre noi imprenditori siamo ancora alle prese con i problemi della società industriale, delle grandi concentrazioni di occupati (e, di converso, delle sacche di disoccupazione), della produzione di massa. Proprio per questo ci siamo rivolti agli studiosi delle città e delle culture urbane: per la loro capacità di leggere nel futuro dell’uomo attraverso l’evoluzione del suo habitat, in una prospettiva diversa da quella dell’economista, dell’imprenditore o del sociologo.” (13) Così scriveva Leopoldo Pirelli nella prefazione del volume edito da Electa, contenente la raccolta dei progetti presentati dal titolo “Pirelli Bicocca”. Tale documento fornisce un’importante fonte referenziale nei confronti della proposta progettuale che verrà successivamente sviscerata e descritta. Le varie proposte presentate hanno dato noi la possibilità di riflettere su interventi architettonici su grande scala, con il medesimo intento di riorganizzazione morfologica attraverso l’architettura, fatta di forme e funzioni diverse, la cui composizione fornisce una risposta, più o meno condivisibile, all’assetto di un quartiere periferico della città di Milano. Dopo un secondo grado di giudizio, nel 1988
(99) Veduta del primo stabilimento Pirelli, 1889.
(100) D. Bonamini, “Veduta dello stabilimento Milano-Bicocca”, 1922. 135
(101) Fotografia dello stabilimento Milano-Bicocca, 1970.
(102) Gregotti Associati, plastico del progetto vincitore del Concorso Bicocca-Pirelli, 1986.
136
l’ambizioso progetto viene assegnato alla Gregotti Associati, che negli anni a venire disegnerà il masterplan dell’intero quartiere e la gran parte dei suoi edifici, calibrata mescolanza di ristrutturazione delle preesistenze ed edificazioni ex-novo. Unica eccezione è la sede della Deutsche Bank, realizzata da Gino Valle tra il 1997 e il 2005. L’organizzazione del comparto urbano si basa sulla sua suddivisione in tre fasce, parallele alla linea ferroviaria che delimita l’area d’intervento, organizzate in grandi blocchi attraverso cui viene riproposto il modello dell’isolato urbano a corte. I blocchi, posizionati lungo una maglia ortogonale con giacitura nord-sud che recupera la distribuzione dello stabilimento, sono concepiti come una serie di piazze pubbliche, attraversate da percorsi pedonali. Nella zona al confine con la stazione ferroviaria di Greco vengono disegnati edifici a destinazione terziaria e universitaria dalle possenti volumetrie, che costituiscono il margine dell’intervento. Fra i vari progetti presentati al concorso, la proposta di Roberto Gabetti e Aimaro Isola diviene interessante fonte di indagine ai fini operativi e progettuali sul territorio della vicina Greco, area di progetto.
il segno verde -, dell’aggeratio romana - non solo mettendo in evidenza i tracciati antichi (c’è parso evidente specie per le vie Pulci, Fieramosca, Cozzi, De Marchi, San Basilio), ma prolungandone gli assi idealmente, lungo i giardini lineari posti fra edificio ed edificio (particolarmente evidente risulta essere il prolungamento dell’asse di via Pulci). Il parco pubblico riprende a sud ovest del lotto nel disegno geometrico antico, nei tracciati aulici, nei caratteri agricoli-pastorali. I prati e le piante saranno quelli dell’ambito bucolico e non quelli propri di “un’arte dei giardini”. Il segno degli industria è esaltato sull’ asse del teleport, normalmente al muro che costeggia via Padre Beccaro: lì è stata posta una lunga GALLERIA coperta a vetri , punto di sintesi fra i due diversi segni antichi e nuovi . Partecipando come cerniera alle diagonali dell’aggregatio, partecipando come asse alla lottizzazione industriale costituisce - questa galleria - la cerniera visuale e funzionale emergente la nuova complesso: luogo di scambi fra persone, fra mezzi di trasporto, luogo di sosta, aperto verso il verde, o verso le testate dei laboratori.” (14)
“Operata una lenta sospensione di giudizio, i segni del progetto sono stati tratti, nel lavoro progettuale, dai dati emersi dalle analisi, poi discussi in rapporto alle possibili significazioni innovative; l’attenzione è stata posta a quei dati suscettibili a mutamenti, per formare nuovi futuri contesti. Le presenze operative di noi tecnici intellettuali estranei all’industria guida, o almeno non organici ad essa, risultano così rivolte ad una attenzione critica che parte da osservazioni puntuali, locali per andare verso assetti futuri futuribili. Nel corso del processo cumulativo delle memorie storiche sono stati individuati due temi necessari: temi non imposti da noi, volontaristicamente ma riconosciuti tali per l’insistita ricorrenza nel ricorso di segni progettuali compiuti dal gruppo progettuale per l’assolvimento di questo preciso compito, poi messi da parte e talora disattesi e infine ripresi con vigore. Questi temi dominanti sono quelli già detti; la geometria del tessuto agricolo “antico” a partire dalla centuriatio romano e la geometria del tessuto industriale (a partire dalla ferrovia fino ai insediamenti Pirelli, Breda). Il primo segno affermativo e quindi verde; pare che sia possibile prolungamento di questo segno verde nei loisirs di un evoluto polo tecnologico (il segno deve apparire così forte da assorbire l’innovazione tecnologica). Il secondo segno – quasi mis en abîme di araldica remota – è dell’industria assestata corrente (contenuta per necessità funzionali ed economiche). Separati i due segni un aulico muro - nobile interrompimento posto lungo il prolungamento dell’asse di via Padre Beccaro. […] E’ stato esaltato
14. Roberto Gabetti, Aimaro Isola, Progetto Bicocca (Electa: Milano, 1988), 104-105.
13. Leopoldo Pirelli, Progetto Bicocca (Electa: Milano, 1988), 9.
137
Percezione e fenomeni Greco, anticamente denominato Greco Milanese, è il quartiere del quadrante nord-orientale della città metropolitana di Milano, appartenente al Municipio 2. Attualmente il distretto è definito come la zona irrisolta caratterizzante il retro della Stazione Centrale, in forte relazione con la presenza della linea ferroviaria e della sua possente struttura fatta di viadotti sopraelevati ed ipogei, i quali costituiscono forti barriere architettoniche e visive. La tematica del confine caratterizza il quartiere di Greco, lo rende circoscritto da un punto di vista morfologico e sociologico all’interno del perimetro dei binari. L’assetto urbanistico contemporaneo ha configurato da un punto di vista relazionale un forte radicamento da parte degli abitanti di Greco, i quali si riconoscono come individui e come comunità stanziale. Con il termine “grechesi” generalmente si indicavano gli abitanti dell’antico Comune di Greco Milanese, ma questo termine rimane ancora in uso a distanza di quasi un secolo dall’annessione al Comune di Milano, a memoria di una identità storica al luogo di appartenenza. Il territorio di Greco si estendeva infatti per diversi ettari, confinando con gli antichi borghi, oggi quartieri, di Niguarda, Gorla, Precotto e San Giovanni. Greco Milanese è stato per secoli un insediamento di formazione e base rurale, il quale ha successivamente vissuto a partire dalla fine del XIX secolo e l’inizio del XX grandi riforme da un punto di vista dell’assetto politico, economico ed amministrativo. L’ economia di Greco Milanese caratterizzata un tempo dall’agricoltura condotta per conto della Chiesa di S. Simpliciano è mutata dalla fine dell’800 divenendo a prevalenza industriale. Il comune di Milano aveva interesse a inglobare nella propria gestione la zona soprattutto per poter alloggiare i migranti che in questo periodo migrarono dal Sud Italia e dalle zone agricole, dal momento che si andavano sviluppando diverse aree produttive, tra cui la stessa aerea dell’antico Comune di Greco. Nel 1923 tra sommosse popolari e dispute politiche, il Comune perdette la propria autonomia amministrativa e diventò soggetto alla centrale amministrativa di Milano. 138
Tutt’oggi il quartiere si caratterizza da una grande varietà di spazi eterogenei, distinti in base alla proprietà (edifici e spazi pubblici e privati; spazi ibridi: edifici e spazi pubblici ad uso privato o viceversa), alla loro funzione e modalità di accesso. Greco si distingue per la presenza di un gran numero di associazioni ed organizzazioni di quartiere, le quali operano sul territorio e si relazionano con la municipalità intera di Milano. L’accoglienza diviene la tematica principale su cui si fondano tali enti, riprendendo ed integrando un senso comune di socialità ed integrazione che ha caratterizzato il distretto nell’arco della sua storia. Gli abitanti stanziali e radicati al quartiere convivono con l’eterogeneità sociale costituita dai “city users”: studenti e lavoratori fuori sede; immigrati; senza tetto ed in generale quell’insieme di individui non autoctoni, che per diverse dinamiche hanno avuto la volontà o la necessità di staccarsi dalla loro “terra di origine”. Da uno studio precedente sull’area di Greco condotto all’interno del Seminario Tematico di Ricerca del Politecnico di Milano, diretto dal Professore Massimo Ferrari e dalla Professoressa Nausicaa Pezzoni, in seguito ad un’analisi dettagliata dei luoghi, da un punto di vista delle politiche urbane e degli assetti amministrativi, della morfologia e degli aspetti fenomenologici e sociali, è stato possibile ottenere una visione d’insieme attraverso l’elaborazione di un documentario audio–visivo: “Selfie: un documentario a Greco”. Tale documento fornisce un’immagine parziale, ma significativa, del quartiere: uno scenario proprio della periferia storica milanese, in cui si intrecciano caratteristiche proprie di un quartiere– dormitorio caratterizzato dalla presenza dissipata di un’edilizia popolare fatta di edifici multipiano, disposti ed orientati secondo l’applicazione degli insegnamenti derivanti dal Movimento Moderno, secondo pratiche proprie della prima e della prima seconda metà del XX secolo, unito ad una serie di edifici industriali, attivi, dismessi o abbandonati. Per la sua conformazione storica, tale visione si intreccia con un vasto insieme di architetture rurali, quali cascine e corti che appartengono alla tradizione popolare dell’antico Borgo. La presenza dei viadotti ferroviari circoscrivono il quartiere, rendendolo una matrice autonoma rispetto ai sistemi di relazionali fluide che caratterizzano i diversi distretti cittadini, concatenati l’uno rispetto all’altro. Greco, seppur parte di Milano, è di fatto un borgo, che con la sua chiesa e piazza di paese convive sofferente con le dinamiche di sviluppo della metropoli contemporanea, manifestando da un punto di vista del suo assetto le grandi trasformazioni infrastrutturali ed industriali dell’età Moderna. 139
140
141
D. Van Ruiten, storyboard relativo al documentario “Selfie: un documentario a Greco” diretto ed ideato da G. Ammirata, M. Frank, M. Ricci, D. Van Ruiten, 2021. Possibilità di visione:
Selfie: un documentario a Greco
120
121
03
ISTRUTTORIA PER GRECO
146
147
L’utopia della periferia storica “I fenomeni di disuguaglianza nello spazio urbano e metropolitano, evidenti nelle periferie che caratterizzano la fase dell’urbanizzazione, si presentano oggi assai vari e differenziati. […] Ai luoghi storici di concentrazione della sofferenza urbana, corrispondenti ai quartieri di edilizia sociale realizzati dal dopoguerra sino ai primi anni ’90, se ne sono affiancati altri: dapprima le zone abusive – nate soprattutto nel Centro-Sud dalla fine degli anni ’60 – poi nuovi ghetti, animati dai primi anni ’90 soprattutto dall’immigrazione straniera e da fasce di popolazione gravemente emarginata, che è andata ad insediarsi negli ambiti delle dismissioni produttive e dei grandi servizi urbani.” (15) La pianificazione territoriale e metropolitana atta alla risoluzione delle problematiche economicosociali e conseguentemente spaziali di cui si caratterizzano le periferie – di cui il distretto di Greco fa parte – assumono oggi ruoli rilevanti. Al fronte di contrastare situazioni di marginalità evidenti, e conseguentemente non più ignorabili e trascurabili, lo Stato italiano ha bandito nel 2016 il “Programma straordinario di intervento per la riqualificazione urbana e la sicurezza delle periferie”, strumento rilevante per la dimensione delle risorse messe in campo (2,1 miliardi di euro) e per i soggetti coinvolti: Città metropolitane e Comuni capoluogo di provincia. Il Bando con cui si sollecitano i progetti fa specifico riferimento alle seguenti tipologie di progetto, non determinando un ulteriore consumo del suolo, e che mirino alla rigenerazione urbana materiale, comprensiva di: interventi infrastrutturali e ferroviari; di ristrutturazione edilizia e recupero di aree industriali dismesse; bonifica di caserme dismesse e di sedi per presidi di pubblica sicurezza; edilizia scolastica; edilizia residenziale ed housing sociale; welfare metropolitano; servizi sociali, culturali; spazi pubblici; piazze; aree verdi; orti urbani; impianti sportivi; beni culturali. L’ente Asvis, organismo che tende alla concretizzazione delle politiche urbane a scala globale in connessione con i “goals” dell’Agenda 2030, nel suo ultimo report “I territori e gli Obiettivi di sviluppo sostenibile. Rapporto Asvis 2020” ha messo in luce il forte legame fra le necessità contemporanee – atte alla risoluzione 148
di tematiche proprie della vita quotidiana – con l’aspetto prettamente progettuale di integrazione, recupero e ripensamento spaziale di determinate tipologie edilizie esistenti, siano esse a livello macroscopico (interventi infrastrutturali sulla mobilità ferroviaria e stradale), che localizzate a livello di distretto o quartiere, come elementi puntuali da risollevare. Siamo fortemente convinti del ripensamento dell’assetto urbano attraverso le tipologie architettoniche elaborate, che rispondono nella loro totalità alle prefigurazioni e/o richieste sopra riportare. Sul piano delle infrastrutture a servizio della città riteniamo necessario evidenziare la futura realizzazione secondo PGT 2030 della linea circolare metropolitana denominata “Circle-Line”. Crediamo necessario descrivere gli intenti del progetto, per definire e chiarire gli ambiti trasformativi determinati, senza però volerci occupare della sua pianificazione, progettazione o modificazione. Milano non possiede un confine marcato, l’area metropolitana si estende con continuità oltre i confini comunali, oltre quelli provinciali. Con l’intento di evidenziare la possibilità di fornire percorsi ampi, non necessariamente focalizzati sul centro storico, ma tangenziali ad esso, la Circle-Line diviene così una nuova opportunità di nascita e rinascita di progetti di interesse urbano a livello della periferia storica. L’infrastruttura di base selezionata ad assolvere questo compito è l’attuale cerchia ferroviaria, che si appresta a subire notevoli aggiustamenti, dati dall’apertura del passante ferroviario e dai lavori per l’alta velocità. La Regione Lombardia e la R.F.I. ha considerato come ipotesi migliore quella dell’utilizzo della linea di binari ferroviari esistenti, allargandosi ad un doppio binario in corrispondenza delle stazioni di fermata (con l’assunzione delle esistenti stazioni come nuove fermate della linea e l’integrazione di alcune fermate intermedie corrispondenti alle fermate dell’attuale linea metropolitana). Nel tratto aperto della cerchia ferroviaria (a sudovest in corrispondenza della Stazione di Porta Genova; a nord-ovest in corrispondenza dello Scalo Ferroviario Farini) si prevede l’interramento della linea, ma seguendo il percorso della parte ferroviaria dismessa. Così facendo, secondo il progetto, si creerà un ibrido fecondo: una metropolitana che corre sui binari del treno, per la maggior parte del percorso all’aperto come un tram. Non una novità, certo: già nel 1906 si proponeva una linea protetta che avesse un percorso circolare e non radiale al centro cittadino; un percorso che seguiva il tracciato dei bastioni, salvo una breve deviazione a nord del centro. La riorganizzazione ferroviaria avvenuta ad inizio del XX secolo ha
Immagini relative a: (103) PGT 2030 adottato, immagine aerea del riassetto cittadino della città di Milano, 2019 (104) Circle-Line, pianificazione del nuovo assetto ferroviario e metropolitano secondo l’impianto circolare chiuso, Milano, 2010.
(103)
(104) 149
(105) Baukuh, proposta”Milano Circle-Line”, 2010.
150
però preferito optare per l’attuale configurazione, con il decentramento della Stazione Ferroviaria di Milano Centrale ed il conseguente assetto, rimesso adesso in discussione come all’inizio del ‘900. La Circle-Line in progetto, mancante tutt’oggi della pianificazione del suo ultimo tratto conclusivo si affiancherà così all’esistente sistema dei servizi su gomma, di cui quello relativo alla mobilità via bus (linea circolare 90-91) esaudisce attualmente le stesse attese ed aspettative della futuribile linea metropolitana Circle-Line. La pianificazione infrastrutturale del suo segmento conclusivo di fatto emetterà il verdetto sulla ben riuscita del Piano o del suo fallimento: la mancanza di una linea circolare prettamente chiusa non riuscirà a garantire una competitività in termini di tempistiche e di portata. Il nuovo sistema infrastrutturale si unisce così ad una serie di interventi di Piano atti ad una nuova configurazione cittadina. Gli scali e le stazioni ferroviarie proiettano lo sviluppo urbano in una dimensione infrastrutturale di scala metropolitana e regionale. Da un lato la Circle-Line intercetta l’estensione delle linee metropolitane in una logica di interscambio e connessione su ferro. Dall’altro la cintura verde ecologica, che trova punti notevoli negli scali, diventa soglia urbana del Parco Metropolitano, fusione di Parco Nord e Parco Agricolo Sud. I sette scali ferroviari ricuciti diventeranno capisaldi di un esteso processo di rigenerazione urbana diffusa e questi seppur già investiti dagli inevitabili processi finanziari di riqualificazione, avranno modo di spostare l’attenzione su aree attualmente periferiche e degradate della città. Emergono infatti nella periferia storica aree in difficoltà caratterizzate da estrema congestione demografica ed abitativa, da degrado sociale ed ambientale, da effetti dovuti alla deindustrializzazione. Le disuguaglianze prodotte non sono riconducibili ad una tipologia unitaria di divari, ma le differenti aree nelle quali si concentrano risultano tutte accomunate dall’essere allo stesso tempo poste ai margini dello sviluppo e prive delle forze endogene e di mercato, per poter uscire da una trappola di sottosviluppo a livello metropolitano, in cui la pandemia non ha fatto altro che ampliare e rendere più evidenti tali disuguaglianze. Serve quindi una politica di sviluppo rivolta ai luoghi – da affiancare alla pianificazione urbanistica già assodata e definita – in grado di liberare il potenziale presente in questi distretti e/o aree di Milano a ridosso della cintura ferroviaria. Al fine di migliorare le condizioni di vita dei
cittadini della periferia metropolitana, riteniamo necessario proporre soluzioni sistematiche al vivere contemporaneo: miglioramento della qualità dei servizi pubblici e delle infrastrutture fondamentali (istruzione, mobilità, salute, comunicazioni, energia, spazi verdi, luoghi della socialità); rimozione degli ostacoli espressivi e delle capacità imprenditoriali private, sociali e comunitarie delle aree delle periferia milanese e conseguente riconoscimento dell’effettivo potere di orientare le scelte che riguardano gli abitanti autoctoni dei luoghi che necessitano un nuovo assetto funzionale e spaziale. Sostenere le esperienze di retake e cura degli spazi urbani messe in campo direttamente dagli abitanti delle zone degradate può far fronte al fallimento della gestione pubblica dell’intervento sociale. Crediamo fortemente che l’individuazione degli ambiti bersaglio delle politiche di contrasto alla disuguaglianza abbia oggi superato la logica della perimetrazione fisica; ci prefiggiamo di individuare contesti che si caratterizzino per problematiche eterogenee, in cui gli abitanti possano divenire nuove risorse attivabili a livello locale: ripensare all’introduzione di nuove figure architettoniche, di funzioni integrative o nuove all’interno della morfologia milanese, al fine di fornire nuove opportunità a livello comunitario. La nostra pianificazione urbanistica che ha dettato l’individuazione delle problematiche e conseguentemente dei contesti applicativi a livello metropolitano, ha il fine di operare una lettura trasversale ai fini operativi: interpretare la città nelle sue parti fisiche antropizzate (urbs), tendendo a riconoscere ambiti dotati di capacità di autoidentificazione sociale e di identità comunitaria (civitas). Il distretto di Greco diviene così uno dei molteplici punti di tensione fra la città storica e la rete ferroviaria: un distretto ricco di storia e di contrasti che necessitano nuove aperture e legami con il resto della città di Milano. La ricerca per un nuovo assetto secondo l’idea utopica di miglioramento del vivere contemporaneo ha designato così la realizzazione di un nuovo quartiere dimostrativo, un elemento sperimentale di coesione con le preesistenze e la proposizione di nuove forme, spazi e funzioni ibride. Greco è il pretesto per la messa in opera dell’utopia.
15. “I territori e gli Obiettivi di sviluppo sostenibile. Rapporto ASviS 2020”, a cura di Alleanza Italiana per lo sviluppo sostenibile, Roma, 2020, 41.
151
Individuazione del contesto urbano La porzione identificata come zona urbana di attuazione degli intenti progettuali che hanno guidato la nostra ricerca viene definita come il quartiere di Greco. Di fatti parte dell’area presa in esame fa parte degli ambiti amministrativi dell’antico comune di Greco Milanese, i cui confini di distretto sono definiti dai Nuclei Identificativi Locali secondo PGT 2030. Ritenendo ormai superata la concezione urbanistica di suddivisione spaziale secondo confini imposti dall’amministrazione locale, il nostro interesse si focalizza appunto sul contesto urbano definito da elementi di importanza morfologica, i quali si attengono alla definizione del distretto da un punto di vista dell’antropizzazione e dal riconoscimento sociale nei suoi luoghi. I limiti che definiscono l’estesa parte ci città su cui andremo ad operare sono di fatto costituiti dai vincoli infrastrutturali dati dai viadotti ferroviari che si diramano dalla Stazione Centrale, in particolare il grande complesso dei Magazzini Raccordati lungo l’asse di Via Sammartini ad est, mentre i binari del passante ferroviario, che isolano il grande complesso del quartiere dei giornalisti (detto volgarmente “Maggiolina”) costituito per la maggior parte da residenze signorili, delimitano sull’altro fronte la porzione urbana considerata. A sud il grande flusso costituito dalla circonvallazione di Viale Lunigiana, così come l’articolazione dei grandi viadotti ferroviari a nord del centro dell’antico borgo di Greco, descrivono il perimetro dell’intorno preso in considerazione. L’area si caratterizza inoltre da un grande elemento di collegamento fra centro e periferia storica, cioè Via Melchiorre Gioia, il quale restringendosi seca completamente il centro storico grechese nel suo sviluppo settentrionale ( in prossimità della Cascina De’ Pomm la strada riduce notevolmente la sua dimensione, cambiando nome in Via Emilio de Marchi). L’area scelta si colloca infatti in prossimità della Stazione Centrale, dello Scalo Ferroviario Greco-Pirelli e della grande direttrice urbana di Via Melchiorre Gioia. La presenza di grandi complessi industriali ed attrezzature di servizi in disuso ed abbandono sparsi all’interno di un tessuto prettamente residenziale suggerisce la trasposizione delle tipologie architettoniche elaborate all’interno 152
dell’area individuata. La volontà di costituire un nuovo arcipelago di funzioni ibride ed ibridizzanti ci ha fatto interrogare sulla vocazione propria dei luoghi caratterizzanti tale porzione di città antropizzata. L’intento è infatti quello di valorizzare l’architettura, gli spazi e le attività già presenti all’interno del territorio divenendo punti fissi all’interno del processo d’intervento: il borgo storico caratterizzato dalla presenza della Chiesa Parrocchiale di San Martino in Greco e dalla Cascina Conti; l’archeologia industriale del grande complesso dello Spazio Pubblico Autogestito Leoncavallo; il piccolo teatro della Fondazione alla Scala Teatro di Milano; la Cascina De’ Pomm; la grande spina definita dall’insieme dei Magazzini Raccordati lungo Via Sammartini. Sono inoltre presenti nell’area varie attrezzature dei servizi, in uso o dismesse, ma comunque di grande rilevanza: la Scuola Primaria Gianni Rodari; il Centro Sportivo Piscina De Marchi; l’Istituto Comprensivo Locatelli-Quasimodo; il grande manufatto dell’Ex Mercato ittico e la Centrale Termica delle R.F.I. . Tutti i punti che sono stati fino ad ora definiti risentono inoltre della presenza del Naviglio della Martesana e del conseguente parco urbano a sviluppo lineare lungo le sue sponde. Al fine di definire gli ambiti progettuali del nuovo sistema di architetture in programma abbiamo di fatto proceduto ad un fine processo di individuazione delle aree non edificate, delle aree e dei manufatti in disuso o non funzionanti da un punto di vista dell’assetto proprio del distretto. Ciò è stato possibile attraverso un confronto diretto con le strategie proprie della pianificazione urbanistica in programma, che hanno fornito ulteriori spunti di riflessione. Il processo di individuazione e successiva cancellazione di determinate architetture e/o spazi è stato particolarmente delicato in quanto la volontà di costituire un nuovo programma a livello di quartiere non voleva limitarsi ad un equivocabile approccio di lottizzazione ed erosione del suolo, quanto più alla costituzione di estese aree, definite come ambiti urbani secondo un approccio funzionalista connesso alla vocazione stessa dei luoghi.
153
154
155
156
157
158
159
Istruttoria grechese: macro-strutture per micro-paesaggi Consapevoli del fatto che la città suburbana di Milano abbia perso di vista i riferimenti con il suo passato e la sua storia, in cui la struttura del territorio e degli insediamenti divengono, per la gran maggioranza dei casi, episodi autoreferenziali che non costituiscono una densità, ma che bensì hanno stravolto le gerarchie cittadine. Greco appare come il risultato di un insieme frammentato di tessuti, in cui gli allineamenti e l’orientamento degli elementi della sua morfologia appaiono di difficile lettura, se non inesistenti nei confronti di un legame alla città murata radiocentrica. Il piano a livello di quartiere è riportare ordine, misura, geometria all’interno di un comparto urbano disomogeneo, discontinuo, disorganizzato. L’intento a livello di masterplan è quello di operare secondo sovrascrittura: la costruzione di una rete di interventi e di nuovi ritmi urbani a cui i tessuti antropizzati possano reagire. La densità può così tornare ad essere morfologia d’insieme, in grado di offrire qualità spaziali. La lettura critica della porzione nord orientale di Mediolanum Suburbana ha reso possibile una scomposizione della regola urbana e la sua conseguente ricomposizione secondo una griglia di impianto planimetrico. Questa nuova regola fonda la sua definizione sulle geometrie della Stazione Centrale, elemento di importanza morfologica e causa principale dell’attuale condizione del distretto di Greco. L’individuazione del suo modulo di impianto planimetrico ( 50 m x 50 m) ha reso possibile la restituzione di direttrici urbane scomparse. La nuova griglia planimetrica diventa così il nuovo riferimento per l’arcipelago architettonico in progetto. La risultante è una carta delle eccezioni, un caos apparente, in cui i rapporti sono però molto precisi perchè si appoggiano ad un modulo che si relaziona con la forma urbis. La morfo-tipologia proposta è pertanto un insieme di micro-paesaggi derivanti dal processo di cancellazione delle zone in abbandono e di assoluto degrado, legati al successiso ridisegno del tessuto urbano attraverso la generazione della griglia planimetrica d’impianto, con la conseguente pianificazione tipologica-funzionale delle aree individuate. 160
La disposizione volumetrica e le dimensioni delle stereometrie proposte si legano inevitabilmente alle proporzione della regola generativa elaborata; la loro collocazione spaziale costituisce un arcipelago di forme scandite da un nuovo ritmo e da un’altrettanta innovativa composizione in grado di relazionarsi all’antico suburbio grechese. Ondevitare equivoci, vogliamo precisare che il processo immaginativo di cancellazione che ha permesso di calare alcune delle tipologie architettoniche dell’abaco delle attrezzature dei servizi per la città è stato possibile attraverso due tipologie di lettura del comparto urbano preso in considerazione. La prima focalizzata su una minuziosa analisi dei “Nuclei Identificativi Locali“del Comune di Milano: le politiche urbane atte alla pianificazione territoriale hanno evidenziato sul comparto preso in considerazione la presenza dissipata di “aree di rigenerazione urbana” (denominate ARU) e di “aree di rigenerazione ambientale”, su cui poter operare in relazione alla tipologie esistenti, al loro funzionamento, a loro stato di manutenzione ed usura. L’analisi zenitale è stata accompagnata da una seconda analisi fenomenologica, durante la quale è stato possibile verificare le assonanze e le discrepanze rispetto alle carte tecniche di pianificazione urbana. Questo secondo processo di verifica ci ha reso consapevoli delle azioni in previsione, salvaguardando il tessuto residenziale, il nucleo storico, le attrezzature dei servizi esistenti e gli edifici di importanza storico-morfologica. Da queste considerazioni abbiamo sviluppato il processo di cancellazione dell’esistente e disposto le nuove architetture dell’abaco, rispettando i vincoli imposti dalla comunalità, ma guidati da una carica di riforma atta alla creazione di un nuovo quartiere sperimentale. Il contrasto fra realtà e immaginazione, fra pianificazione urbana e utopia, ha così evidenziato delle discrepanze rispetto al Piano proposto dal Comune di Milano. L’architettura periurbana diviene pretesto di risposta alle prorogative utopiche di abbattimento delle differenziazioni fra centro e periferia; fra città e campagna. Un terreno fertile per nuove possibilità insediative e concreto contesto di manifestazione degli intenti della ricerca: la disposizione coerente,
meditata e pianificata delle tipologie dell’abaco funzionale elaborate. Greco per la sua storia, per la sua particolare composizione ed appartenenza alla periferia storica, un tempo facente parte dell’intero suburrio dei Corpi Santi, diviene così luogo di sperimentazione. In accordo con la componente meno utopica, ma altrettanto importante, relativa agli obiettivi dell’Agenda 2030, riteniamo che la morfologia contemporanea del distretto – in cui convivono aspetti rurali, industriali ed infrastrutturali, unito alla presenza del Naviglio della Martesana – si predisponga particolarmente alla progettazione dei sistemi di coltivazione verticali, “vertical farms”; sistemi di coltivazione fuori terra o “indoor”. L’idea di calare la tipologia della vertical farm su un lotto specifico di Greco, rende possibile la conseguente caratterizzazione attraverso una vasta serie di possibilità da estrapolare dall’abaco delle nuove immagini architettoniche, con la conseguente creazione di un quartiere sperimentale. Riportare la campagna in città, secondo l’idea di pianificazione delle colture orientata alla sussistenza alimentare e all’abbattimento degli sprechi, diviene intento utopico per una nuova salubrità cittadina. La tematizzazione del distretto può aprire le porte a nuove prospettive future. Prevediamo così che il quartiere, ricco di aree irrisolte, dismesse o in abbandono, possa rinascere all’interno del confine generato dai binari: una comunità storica e storicizzata ibrida, che avrà l’obiettivo di puntare al sostegno dell’ambiente e alle nuove forme di produzione energetica (possibile per la presenza del Naviglio della Martesana), al fine di creare un nuovo sistema architettonico, atto a plasmare non solo il territorio, ma anche la sua comunità. Seppur l’agricoltura sia tutt’oggi parte integrante della realtà grechese (facciamo riferimento agli orti condivisi BING e ai vari sistemi di colture che si sviluppano privatamente sulle sponde del Naviglio), siamo convinti che attraverso una trasformazione funzionalistica sia possibile ristabile un ordine ed una gerarchia al momento assente. Oltre a creare nuove possibilità di lavoro, nuovi spunti e dati a favore della ricerca, le vertical farm si prefigurano come elementi a sostegno di ulteriori pratiche orientate alla salubrietà della città, come ad esempio: produzione energetica rinnovabile, abbattimento delle emissioni di CO2, trattamento e purificazione delle acque, solo per citarne alcuni.
161
162
163
164
165
166
167
168
169
170
171
172
173
174
175
SISTEMA DI PRODUZIONE AGROALIMENTARE A LIVELLO DELLA PERIFERIA STORICA MILANESE: VERTICAL FARMING; COLTIVAZIONE FUORI TERRA; COLTIVAZIONE A TERRA
SODDISFACIMENTO DE ALIMENTARE
PRODUZIONE DI CIBO A
CONTROLLO QUALITATI PRODOTTI AGROALIMEN
RIDUZIONE DI UTILIZZO FERTILIZZANTI ATTI ALLA
RIDUZIONE DEGLI SPRE
VERTICAL FARM
RIDUZIONE DEL TRASPO
RIDUZIONE DI EMISSIO
UTILIZZO DEGLI SCARTI PRODUZIONE DI ENERG GREEN (ENERGIA A BIO
RIDUZIONE DELLE RISO PER SISTEMI DI PRODUZ TRADIZIONALE
NUOVI POSTI DI LAVOR PROFESSIONALI MERCATI RIONALI
PUBLIC UTILITIES
GENERAZIONE DI SPAZ LʼEROSIONE DEL SUOLO
GENERAZIONI DI SPAZI ATTRAVERSO LA REALIZ DIDATTICI E SOCIALI
ABACO DEI PROTOTIPI ARCHITETTONICI
176
EL FABBISOGNO
A KM0
IVO E QUANTITATIVO DEI NTARI
O DI PESTICI E A COLTIVAZIONE
ECHI AGROALIMENTARI
ORTO SU GOMMA
ONI DI CO2
I PRODUTTIVI PER LA GIA RINNOVABILE E OMASSE)
ORSE IDRICHE UTILIZZATE ZIONE AGROALIMENTARE
RO E POSIZIONI
ZI APERTI CONTRO O
I RELAZIONALI ZZAZIONE DI ORTI
OBIETTIVI PER LO SVILUPPO SOSTENIBILE
POVERTAʼ ZERO FAME ZERO SALUTE E BENESSERE ISTRUZIONE DI QUALITAʼ UGUAGLIANZA DI GENERE ACQUA PULITA E IGIENE ENERGIA PULITA ED ACCESSIBILE LAVORO DIGNITOSO E CRESCITA ECONOMICA INDUSTRIA, INNOVAZIONE E INFRASTRUTTURE RIDURRE LE DISUGUAGLIANZE CITTAʼ COMUNITAʼ SOSTENIBILI CONSUMO E PRODUZIONI RESPONSABILI AGIRE PER IL CLIMA LA VITA SOTTʼACQUA LA VITA SULLA TERRA PACE, GIUSTIZIA E ISTITUZIONI FORTI PARTNERSHIP PER GLI OBIETTIVI
GOALS DELL’AGENDA 2030
177
“Non ignorare “l’esperienza” che è stata accumulata in questi due secoli nella città capitalistica significa forse proprio questo: accettare la rottura della forma urbana come forma fisicamente riconoscibile in quanto realizzata entro un disegno costante e unitario (il perimetro delle mura, la mole del Duomo, la torre del Comune, ecc.) per mettere a punto una identificazione della forma urbana di tipo diverso, perché organizzata intorno a una diversa gerarchia delle destinazioni d’uso della città e del territorio. Definire tale gerarchia è utopistico: si può però pretendere e immaginare che dovrà scaturire all’interno di una prospettiva politica egualitaria. E non per un generico “umanesimo”, ma per una cosciente analisi dei rapporti attuali; e per un reale “interesse” della propria collocazione culturale; solo in questa prospettiva infatti la diversa gerarchia delle destinazioni d’uso può e deve trovare – a livello delle scelte collettive – la propria rappresentazione in forme architettonicamente abituati o costretti a usare oggi. Solo in questa prospettiva tali forme architettoniche possono divenire dei
178
definite, a loro volta diverse da quelle a cui siamo abituati o costretti a usare oggi. Solo in questa prospettiva tali forme architettoniche possono divenire dei “punti di riferimento” di una struttura urbana nuovamente definibile nella sua morfologia perché interamente e completamente specializzata. […] “Punti di riferimento” ai quali sarà sempre possibile aggiungere soluzioni insediative del tutto particolari, come completamento temporaneo o alternativa mobile degli insediamenti umani. La città “subalterna” – o la parte di città priva di rappresentazione architettonica – verrebbe allora a identificarsi solo con le scelte individuali, private, da compiere tuttavia entro uno schema organizzativo che ne preveda l’esistenza e non la ignori.” (16) Carlo Aymonino, Origini e sviluppo della città moderna (Venezia: Marsilio Editori, 2009), 84-85.
16.
(106) “Il vero disegno della pianta di Milano di come veramente oggi di si trova. In venetia all’insegna della Colonna l’anno 1567”, incisione, Venezia, Civica Raccolta delle Stampe Achille Bertarelli.
179
180
181
Introduzione al concetto di Vertical Farming La popolazione mondiale tocca al momento sei miliardi e mezzo di individui. Più di ottocento milioni di ettari (circa il 38% del totale delle terre disponibili sul pianeta) sono attualmente utilizzate per la produzione di svariate colture a supporto di una sempre più crescente popolazione globale. Ipotizzando che fra cinquant’anni la popolazione globale crescerà fino a raggiungere otto miliardi di persone si viene inevitabilmente a creare un problema relativo alla richiesta alimentare ed al suo fabbisogno: si prevede infatti lo sfruttamento di ulteriori centonove ettari di terreni adibiti a colture, che però non esistono. Nel 2001 in seguito a queste considerazioni si è iniziato a definire nuovi sistemi di produzione alimentare controllata e pianificata alla Columbia University di New York, introducendo per la prima volta il termine di “Vertical Farming” e “Vertical Farm”. L’agricoltura a sviluppo verticale all’interno di nuovi sistemi architettonici è divenuto così un nuovo spunto di riflessione, una nuova possibilità per lo sviluppo di colture atte alla produzione alimentare ed alla sussistenza della popolazione. Più nello specifico: “Vertical, urban farming in tall buildings involves fully sustainable energy use and creation in a new and literal organic relationship between engineering, architecture, technology, and global agricultural imperatives in local based community solutiuons.” (17) Oltre ai problemi relativi alla mancanza di territori coltivabili, il progetto del Vertical Farming (VF) venne proposto anche per altre ulteriori considerazioni: in primo luogo la perdita degli ecosistemi dovuti all’allevamento e all’agricoltura intensiva e all’uso di fertilizzanti come pratica ricorrente nella produzione agroalimentare. Nel 2003 il Dipartimento di Agricoltura degli Stati Uniti d’America ha reso noto che l’allevamento intensivo e le pratiche ad esso connesse sta di fatto trasformando il territorio naturale generando la perdita di svariati ettari di foreste di conifere (in climi temperati e tropicali), campi e territori paludosi con la conseguente perdita biodiversità e dismissione delle funzioni dell’ecosistema globale. Si ipotizza così che se il progetto di VF venisse adoperato su larga scala i seguenti obiettivi 182
verrebbero a realizzarsi come causa diretta o conseguente alla costituzione di nuove architetture atte al soddisfacimento degli scopi relativi alla produzione alimentare. 1. Rotazione annuale di terreni coltivati: un acro (1 acro= 4046,86 metri quadrati) di produzione agricola fuori terra equivale a quattro/sei acri di coltivazione a terra. 2. Il sistema di VF garantisce il successo di coltivazione senza pericoli di siccità, inondazioni, presenza di parassiti, ecc. 3. Eliminazione di erbicidi, pesticidi o fertilizzanti attraverso una specifica dieta per ogni pianta e/o animale 4. Ricostituzione degli ecosistemi attraverso l’abbandono di territori destinati all’allevamento e all’agricoltura intensiva; conseguente aumento di biodiversità e purificazione dell’aria. 5. Riduzione dell’incidenza di malattie infettive e di parassiti generati dall’utilizzo di fertilizzanti naturali per la coltivazione dei terreni. 6. Possibilità di utilizzo degli scarti di produzione di VF atti alla generazione di energia rinnovabile (biomasse). 7. Abbattimento dell’uso di combustibili fossili in fase di produzione e trasporto. 8. Riduzione drastica dei bisogni legati allo stoccaggio e alla preservazione alimentare 9. Conversione di proprietà abbandonate a nuovi sistemi di VF urbani. 10. VF come possibilità di sviluppo sostenibile dei centri urbani e metropolitani. (18) La coltivazione fuori terra attraverso sistemi “idoor” idroponici e aereoponici esiste di fatto da molti anni. Fragole, pomodori, peperoncini, erbe di svariati tipi, cetrioli, peperoni coltivati con questi sistemi hanno fatto la loro strada all’interno del mercato globale circa dieci anni fa. Molte di queste produzioni sono previste su scale molto inferiori rispetto a quelle a terra. Di rilevante importanza sono però gli esempi di coltivazione intensiva fuori terra presenti in New Jersey, atti al sostentamento alimentare dello Stato di New York, così come il caso del Qatar che dal 2008 ha attivato il piano denominato “country’s Food Security Program”. A causa della mancanza di risorse idriche e
della presenza di un clima particolarmente ostile alle pratiche di coltivazione tradizionale è stato varato un piano a livello nazionale per la produzione alimentare. I primi manufatti adibiti alla produzione agricola intensiva vennero di fatti posizionati nel deserto del Qatar. Il successo di queste pratiche e del piano di sussistenza agricola varato ha di fatto contribuito alla drastica diminuzione delle importazioni alimentari attraverso la costituzione di svariate serre e la monitorizzazione del fabbisogno settimanale della popolazione, con una drastica diminuzione degli sprechi dati da un’accurata pianificazione produttiva. Un altro caso emblematico si collega alle grandi riorganizzazioni delle campagne connesse all’amministrazione dei governi totalitari del XX secolo, così che anche la Cina ha modificato i suoi assetti produttivi. “China celebrates its specific economic system by adding “… with Chinese characteristics” to it. There might also be a countryside “with Chinese characteristics”. In parallel to decades of urbanization, the Chinese governament has–with much less fanfare and global attention–been dramatically redefining its countryside. With a long-standing political foundation in the countryside– the 1949 revolution was largely a victory of the countryside over the city, and the nation’s subsequent leaders have all had strong rural ties– and
with investments in infrastructure and poverty alleviation unmatched by Western counterparts, China’s stage-setting for urban-rural connections in the. 21st century might be equally unanticipated. UN’s World Population Prospects suggest the Chinese countryside , together with the rural population in Africa, is facing the strongest demographic transition in the world.” (19) La previsione che è stata elaborata si aspetta una migrazione di 300 milioni di persone dalla campagna ai grandi centri urbani cinesi come Shangai o Pechino. Anche nel caso cinese sono stati costituiti città satellite serventi le grandi realtà delle megalopoli: villaggi interamente costituiti da “greenhouses”, serre per la coltivazione alimentare fuori terra, come la città di Shouguang in cui attraverso lo sfruttamento di queste tipologie di agricoltura il Governo Cinese è stato in grado di abbattere l’occupazione e l’erosione dei terreni. Shouguang sfrutta lo 0,0002% della superficie dello stato cinese, producendo il 5% del fabbisogno agro-alimentare annuo. Seppur il sistema di VF si configura come un sistema di torri, gli esempi sopra riportati riportano risultati soddisfacenti anche attraverso la coltivazione fuori terra a sviluppo orizzontale; è indubbio che la possibilità di elevazione possa garantire una cospiqua e drastica diminuzione del territorio utilizzato per la coltivazione.
(107) Fotografia del sistema di serre della città di Shouguang, Cina. 183
Gli studi condotti della Columbia University hanno di fatto determinato che una singola vertical farm con un impianto planimetrico corrispondente ad un blocco urbano della città di New York e con uno sviluppo verticale di trenta piani (circa 2,7 milioni di metri quadrati) può produrre abbastanza calorie per soddisfare i bisogni di circa cinquantamila individui. Nel mondo una delle aziende agricole che operano secondo il sistema di VF riconosciamo tra le leader del settore “AeroFarms”, che nel 2015 è stata in grado di costituire la più grande coltivazione indoor al mondo a Newark, nello Stato di New Jersey negli Stati Uniti d’America. Questo sistema di colture è in grado di aiutare a soddisfare il fabbisogno anche dell’intero Stato di New York, producendo attraverso sistemi di coltivazione misti (idroponici e aeroponici) circa novanta tonnellate di frutta e verdura ogni anno. Non solo in USA, ma anche in Italia stanno nascendo differenti aziende agricole incentrate sulle tematiche di sostenibilità ambientale e salubrità alimentare attraverso l’adozione degli insegnamenti derivanti dalle teorie di VF della Columbia University di New York. Nei dintorni di Milano “Planet Farm” e “Agricola Moderna”, rispettivamente a Cavenago di Brianza (in provincia di Monza) e a Melzo, nell’hinterland milanese, contribuiscono alla produzione agroalimentare attraverso sistemi di VF, facendo ben sperare nei confronti di un cambiamento auspicabile ed inevitabile nei metodi di produzione agricola.
184
17. Dickson Despommier, Eric Ellingsen, “The Vertical Farm: The sky-scraper as vehicle for a sustainable urban agriculture”, CTBUH 2008 8th World Congress, Dubai (2008), 2. 18. Dickson Despommier, Eric Ellingsen, “The Vertical Farm: The sky-scraper as vehicle for a sustainable urban agriculture”, CTBUH 2008 8th World Congress, Dubai (2008), 6-7. 19. AMO, Rem Koolhaas. Countryside: a report (Koln: Taschen, 2020), 124.
(108)
(109) Immagini relative a: (108) Fotografia relativa all’impianto aereoponico di vertical farming di AeroFarms di Newark in New Jersey, Stati Uniti D’America. (109) Fotografia relativa all’impianto di VF di Agricola Moderna a Melzo, Milano. 185
186
187
Vertical farms: nuove immagini grechesi La progettazione del sistema di VF all’interno del distretto di Greco – parte di città formalmente compiuta – diviene di fatto una soluzione formale e funzionale il cui fine è quello di riallacciare un legame con la storia dei suoi luoghi, un borgo rurale divenuto terreno fiorente per l’industrializzazione. Ipotizziamo la realizzazione di un sistema di manufatti architettonici che siano in grado di rispondere alla conformazione ed alle esigenze dei cittadini: il sistema di VF sarà di fatto composto dalle torri di produzione agricola, in cui coesisteranno gli aspetti legati alla gestione ed al monitoraggio della produzione; spazi per gli uffici; un centro di ricerca legato all’università con uffici, laboratori e spazi destinati ai servizi; depositi per lo stoccaggio e la distribuzione. L’intero sistema di VF sarà inoltre caratterizzato dalla presenza di ulteriori sistemi di coltivazione fuori terra, ma a sviluppo orizzontale, quali serre e orti urbani sfruttando la conformazione del tracciato ferroviario e dei suoi sottopassaggi. La vertical farm diviene così un elemento architettonico riconoscibile all’interno del paesaggio milanese, un esempio di “utopia realizzabile” attraverso la sua disposizione all’interno del territorio antropizzato: le pratiche rurali che si svolgono al suo interno secondo sistemi innovativi di coltivazione si uniscono così alle pratiche del vivere cittadino, urbano, metropolitano. Questa nuova figura architettonica fonda il suo funzionamento su concetti e questioni che si intrecciando con gli obiettivi di sostenibilità ambientale proposti dall’Agenda 2030, fra cui la diminuzione dell’emissioni di CO2 in fase di produzione e distribuzione a chilometro zero, l’utilizzo di energie rinnovabile, la produzione agroalimentare controllata atta alla riduzione degli sprechi, alla sicurezza ed alla salubrità umana, creazione di nuove forme di lavoro ed occupazione, solo per citarne alcune. Il sistema di VF appare di fatto un approccio metodologico di pianificazione urbana vincente, in grado di ricucire il legame fra città e campagna, fra Milano racchiusa all’interno delle mura ed il suburbio limitrofo degli antichi Corpi Santi. Il processo di cancellazione a cui il quartiere è stato sottoposto ha reso possibile un razionale posizionamento e disposizione delle volumetrie 188
elaborate, calate all’interno di una morfologia articolata e stratificata. I due elementi turriti delle vertical farms si dispongono in asse con la struttura ferroviaria della Stazione Centrale, prefigurando un nuovo scenario cittadino fatto di capsule, sfere, cilindri: volumi solidi riconoscibili, nuovi simboli e luoghi di una periferia complessa. Le torri atte alla coltivazione si relazionano inoltre con il Naviglio della Martesana, oltre che con i binari, costituendo una nuova immagine protoindustriale futuribile in cui le questioni rurali si legano ad un vivere cittadino basato su bisogni diversi rispetto a quelli della campagna, di cui il piano urbanistico proposto è ben consapevole. Le due nuove “colonne d’Ercole” di Greco fanno parte infatti di un sistema arcipelago fortemente legato alle preesitenze delle attrezzature dei servizi, al fine di costituire un ibrido efficace di rispondere alle esigenze comuni delle persone che abitano questi luoghi. L’architettura periurbana a sfondo rurale si intreccia così con nuovi spazi atti alla cultura e all’istruzione (Museo dell’Emigrazione; scuola di formazione professionale e di lingue; riqualificazione e nuova disposizione della Biblioteca-cineteca Morando Morandini); alla cura della persona (ambulatori e presidi medici locali); all’esigenza di vivere riallacciando legami con la comunità (studentati; case provvisorie per il “secondo approdo”; residenze sociali e signorili), così come del soddisfacimento dei desideri e delle aspettative personali attraverso nuove figure professionali connesse agli spazi e alle attività in progetto (centro di ricerca e sviluppo connesso all’università ed al sistema di coltivazione; nuovi spazi per laboratori artigiani, start-up e manufatti commerciali). Trattando specificatamente i manufatti delle farms a sviluppo verticale, è stato da subito necessario definire il loro funzionamento, basato su diversi cicli e tempistiche: tali differenziazioni hanno di fatto condizionato lo sviluppo delle architetture in oggetto, che appaiono speculari l’una rispetto all’altra. Fortemente influenzati dalla poetica della proposta di J. Hejduk per la riqualificazione della Goccia del quartiere di Bovisa a Milano, abbiamo
(110)
(111)
(112)
(113)
Immagini relative a: (110) J. Hejduk, schizzo schematico della proposta progettuale per il Concorso di Bovisa, 1986.
(112) IJ. Hejduk, schizzo progettuale per il Concorso di Bovisa, 1986.
(111) J. Hejduk, disegno-manifesto della proposta progettuale per il Concorso di Bovisa, 1986.
(113) J. Hejduk, schizzi relativo al sistema delle torri di degenza ed il loro funzionamento. Concorso di Bovisa, 1986.
189
approcciato lo sviluppo funzionale delle torri – e conseguentemente formale – come un’ascensione dal cielo a terra delle piante prodotte. Di fatto una inversione totale rispetto al mondo naturale in cui dal seme la pianta si sviluppa con tutta la sua forza verso l’alto, in direzione della stessa luce che ne permette la crescita. L’architetto statunitense, membro dei New York Five, ebbe di fatto la geniale idea di immaginare uno scenario fatto di torri per la degenza, proponendo per il concorso del 1986 degli edifici a sviluppo verticale con un unico piano mobile, in cui il paziente veniva collocato, ed in base alla sua condizione di salute l’architettura stessa era in grado di collocarlo ad un livello differente al fine da sottoporlo a cure specifiche. Il progetto visionario di J. Hejduk evidenzia l’importanza dello sviluppo basamentale e coronamentale del manufatto architettonico, non solo da un punto di vista formale, ma anche simbolico: il piano terra corrispondeva infatti alla morte del paziente, il quale raggiunto il suolo, per mezzo di una porta di uscita dalla torre stessa, poteva essere trasportato da terzi verso l’esterno. Solo così la salma poteva essere sepolta. Al contrario l’attacco al cielo diveniva di fatto il livello della salvezza, in cui per mezzo di un’altra porticina il paziente era libero di uscire, ormai sano, camminando su dei ponti in ferro di connessione fra le molteplici torri di degenza in progetto per Bovisa. Allo stesso modo per le farms di Greco prevediamo il movimento delle piante dal livello coronamentale e quello del basamento. Dal deposito dei semi posto al livello più alto si arriva al piano destinato al taglio e all’imballaggio del prodotto finito. Tale processo si basa sullo sviluppo compositivo stesso delle torri, concepite come la sovrapposizione spaziale di due volumi in grado di compenetrarsi e di articolarsi secondo due principali tipologie di spazi: i laboratori, in cui avviene effettivamente la produzione delle piante secondo sistemi di coltivazioni idroponici e serre tradizionali; e gli spazi dei servizi e dei depositi che si dispongono superiormente ai laboratori, costituendo dei volumi appesi all’interno della torre stessa, sostenuti da grandi tiranti in acciaio. Dal deposito dei semi posto all’ undicesimo piano si passa infatti ad un piano adibito alla coltivazione secondo il sistema di serre tradizionale per gli ortaggi stagionali; al nono livello si prefigura un nuovo magazzino di stoccaggio dei nutrimenti, per poi passare allo spazio dei laboratori per il processo della semina e della germinazione, successivamente un ufficio di monitoraggio e controllo. Al sesto piano lo spazio dei laboratori è destinato unicamente alla coltivazione idroponica, secondo 190
un costante controllo della climatizzazione e dei fabbisogni delle piante (con l’installazione di differenti sensori), al fine di permettere il miglior sviluppo quantitativo e qualitativo dell’ortaggio, con un sostanziale risparmio di acqua ed un incremento della produttività agroalimentare (grazie anche all’utilizzo di luci led che irradiano le colture in condizioni notturne o di poco luminosità, modificando il naturale ritmo produttivo delle piante, costantemente sottoposte al processo di fotosintesi) che può arrivare fino al 40% in più rispetto ai metodi di coltivazione tradizionali. Un secondo livello adibito al sistema di VF idroponico viene posto sotto al primo, al quarto piano della torre, intervallato da un deposito alimentare per i prodotti finiti al quinto. Sempre considerando il moto ascendente che caratterizza il funzionamento del nuovo impianto architettonico, incontriamo uno spazio per uffici adibito alla logistica ed alla distribuzione, per poi arrivare al secondo livello della torre destinato al taglio ed al confezionamento. Essendo di fatto il basamento completamente permeabile, per mezzo di due grandi ascensori circolari, la verdura è in grado di essere trasportata al di fuori delle vertical farms, e di essere distribuita secondo differenti dinamiche ai mercati cittadini. E’ indubbio che lo sviluppo tecnico e tecnologico sia fortemente legato a questa tipologia architettonica, tutt’oggi prototipo da collaudare in relazione ai costi di costruzione e di mantenimento ancora di difficile previsione dato il suo grado di novità dal punto di vista del suo funzionamento. Possiamo però asserire che la possibilità di immaginare le vertical farms è fortemente legata ai sistemi di coltivazione fuori terra, da diversi anni utilizzati e collaudati, secondo differenti modus operandi: coltivazione idroponica, aeroponica e acquaponica. Il sistema idroponico di fatto scelto per la coltivazione all’interno delle torri fonda il suo funzionamento sulla coltivazione delle piante in apposite vasche, al cui interno scorre una miscela di acqua e inerti (argilla, vermiculite, perlite, fibra di cocco, lana di roccia). Il metodo prevede che le radici siano lasciate libere nella miscela, ed attraverso l’immersione nel fluido, possano assorbirne le sostanze nutrienti, per poter così svilupparsi. L’acqua che scorre nelle vasche non viene sprecata poiché quella in eccesso viene pompata, filtrata e nuovamente immessa nelle medesime vasche. Questo tipo di sistema permette la crescita delle coltivazioni con tempistiche del 30% inferiori rispetto alla coltura tradizionale, grazie alla costante fertilizzazione naturale.
191
192
193
194
195
196
197
198
199
200
201
Conclusioni
“L’Utopia della periferia storica. L’agricoltura in città e le tipologie architettoniche di servizio al quartiere” fonda le basi del proprio sviluppo di ricerca – e conseguentemente progettuale – sull’idea di miglioramento di un pezzo di città metropolitana di Milano attraverso la disposizione di manufatti architettonici atti a rispondere alle esigenze del vivere contemporaneo. Il metodo utilizzato stravolge le consuete ed assodate pratiche architettoniche ed urbanistiche, parte dalla progettazione a priori di una serie di prototipi-archetipi fondati su un connubio fra forma e funzione, fra forma e storia dell’architettura. L’abaco delle tipologie delle attrezzature dei servizi diviene di fatto un’architettura fluttuante, sospesa fra un mondo immaginativo fatto di spazi e sviluppi infiniti, ed il mondo tangibile della città antropizzata, per definizione finita e composta da strati sovrapposti. Le nuove immagini dell’abaco vengono composte in funzione delle necessità, delle attese, delle aspettative e delle prerogative di una civitas urbana in continuo mutamento ideologico e comportamentale, con l’intento di prevedere scenari futuribili di un modo di vivere futuro più equo. Il legame forma-funzione si manifesta ulteriormente attraverso la presa di coscienza dei goals dell’Agenda 2030 stipulata dall’ONU nel 2015, i cui obiettivi sono stati trasposti ed integrati a differenti livelli di progettazione: dall’elaborazione dell’abaco stereometrico delle tipologie sino alla riqualificazione di aree urbane esistenti. Il quartiere di Greco, identificabile come la porzione di città posta nella zona nord-ovest rispetto alla Stazione Centrale di Milano ed al suo sviluppo settentrionale fatto di viadotti e ponti ferroviari, diviene terreno fertile per l’attuazione del processo utopico di disposizione delle architetture dei servizi elaborate. Le nuove immagini architettoniche si calano su un territorio definito e circoscritto a dei confini amministrativi in cui le politiche urbane sono tutt’oggi incapaci di fornire risposte concrete alle criticità di una periferia storica ricca di possibilità ed opportunità dimostrative. L’utopia elaborata è stata quella di proporre un 202
nuovo arcipelago formale e funzionale al fine di abbattere le differenze fra centro e periferia, fra città e campagna. L’intento è stato soddisfatto attraverso la costituzione di una nuova regola d’impianto, di una nuova geometria, attraverso una maglia generativa che fonda la sua definizione sulle geometrie della Stazione Centrale, ritenendo la riorganizzazione ferroviaria avvenuta all’inizio del ‘900 una delle principali responsabili delle molteplici zone irrisolte e degradate dell’antico comune di Greco Milanese. La nuova griglia planimetrica stipula una nuova relazione reazionaria rispetto alla città antropizzata, in cui le nuove forme hanno la possibilità di inserirsi ed allinearsi, secondo un processo di cancellazione e sovrascrittura di un’esistente inadeguato, amorfo, non fruibile, usurato, superato. La progettazione del nuovo distretto sperimentale tiene conto della vocazione storica dei suoi luoghi, un borgo rurale divenuto parte di una città industriale, sofferente a causa degli inevitabili processi di deindustrializzazione e di modifica dei suoi assetti morfologici. Il piano urbanistico si focalizza infatti sulla costituzione di un nuovo manufatto architettonico specifico atto alla coltivazione in città, in grado di abbattere le differenziazioni fra una campagna produttrice ed una città dei consumi. Sulle sponde del Naviglio della Martesana, in relazione con l’asse di Via Sammartini si apre un nuovo scenario proto-industriale, ma allo stesso tempo salubre, costituito da torri per l’agricoltura intensiva in città, comunemente chiamate vertical farms. Le due nuove “Colonne d’Ercole” grechesi si relazionano a loro volta ad un insieme di nuove forme e funzioni pronte a divenire immagini di una nuova periferia futura, meno periferica e più equalitaria.
203
Bibliografia
AMO, Rem Koolhaas. Countryside: a report. Koln: Taschen, 2020. Archigram. Archigram. A cura di Peter Cook. New York: Princeton architectural press, 1999. Aymonino, Carlo. Origini e sviluppo della città moderna. 14. ed. Venezia: Marsilio, 2009. Banfi, Gianni, Gianni Bortolin, Siro Gorla, Lancellotti Sergio, Paolo Strada. Greco: un borgo, un comune, un quartiere. Milano: edito sotto l’egida del Comitato promotore per lo sviluppo di Greco, 1970. Bassan, Viviana. C’è vita intorno ai binari. I Magazzini Raccordati della Stazione Centrale di Milano. Passato presente futuro. A cura di Associazione gruppo FAS -Ferrante Aporti Sammartini. Verdellino: Prontostampa, 2015. Boeri, Stefano, Arturo Lanzani, Edoardo Marini. Il territorio che cambia. Ambienti, paesaggi e immagini della regione milanese. Milano: Abitare Segesta cataloghi, 1993. Boeri, Stefano, Francesco Infussi, Ugo Ischia Pirelli, Bernando Secchi. Progetto Bicocca. Milano: Electa, 1988. Borsotti, Marco, Sonia Pistiddia. Abitare i rilevati ferroviari: strategie innovative di rigenerazione. Il caso dei Magazzini Raccordati di Milano. Santarcangelo di Romagna: Maggioli, 2020. Canella, Guido. “Periferia storica e area metropolitana”. Edilizia popolare, no. 141 (marzo-aprile 1978). Canella, Guido. “Variazioni didattiche sul tipo El Lisitzkij-Mart Stam”. Hinterland, no. 2 (marzo-aprile 1978). Canella, Guido. Il sistema teatrale a Milano. Con la collaborazione di Maurizio Calzavara ; e con un contributo di Lucio Stellario D’Angiolini: Struttura del sistema dei trasporti e tendenza insediativa. Bari: Dedalo libri, 1966. Canella, Guido. Un ruolo per l’architettura. A cura di Luca Monica. Napoli: CLEAN, 2011. Canesi, Marco. Città Lombardia: per un nuovo modo di sviluppo. Santarcangelo di Romagna: Maggioli, 2009. Chan-Magomedov, Selim Omarovič. Georgii Krutikov: the flying city and beyond. Barcellona: Tenov Books, 2015. Cook, Peter. Architettura: azione e progetto. Bologna: Calderini, 1970. Dardi, Costantino. Semplice lineare complesso. Roma: Magma, 1976. De Finetti, Giuseppe. Milano: costruzione di una città. A cura di Giovanni Cislaghi, Mara De Benedetti, Piergiorgio Marabelli. Milano: Etas Kompass, 1969. Despommier, Dickson, Eric Ellingsen, “The Vertical Farm: The sky-scraper as vehicle for a sustainable urban agriculture”, CTBUH 2008 8th World Congress, Dubai (2008). Drew, Philip. Frei Otto form and structure. London: Crosby Lockwood Staples, 1976. Fiorese, Giorgio. MZ2: Milano Zona due: Centro direzionale, Greco, Zara. Milano: Comune di Milano, Ufficio editoriale, 1993.
Grandi, Maurizio, Attilio Pracchi. Milano: guida all’architettura moderna. Milano: Lampi di stampa, 2008. Hejduk, John. Mask of Medusa: works 1947-1983. A cura di Kim Shkapich. New York: Rizzoli international, 1985. Khmelnitsky, Dmitry. Yakov Chernikhov: architectural fantasies in Russian constructivism. Berlinh: DOM publishers, 2013. Koolhaas, Rem, Hans Ulrich Obrist. Project Japan: Metabolism talks... . A cura di Kayoko Ota, James Westcott, AMO. Koln: Taschen, 2011. Kopp, Anatole. Città e rivoluzione. Architettura e urbanistica sovietiche degli anni Venti. A cura di Emilio Battisti. Milano: Feltrinelli, 1987. Le città immaginate: Un viaggio in Italia, Nove progetti per nove città. Vol. 1. Milano: Electa: XVII Triennale, 1987. Le città immaginate: Un viaggio in Italia, Nove progetti per nove città. Vol. 2. Milano: Electa: XVII Triennale, 1987. Maffioletti, Serena. La citta verticale: il grattacielo. Ruolo urbano e composizione. Venezia: CLUVA, 1990. “Milano: città piano progetti”. Casabella Continuità, no. 451/452 (ottobre-novembre 1970) Nurra, Pietro. “Un nuovo grande quartiere a Milano nella zona compresa tra Milano e Sesto San Giovanni”. Le case popolari e le città giardino, no. 6 (1909). Oliva, Federico. L’ urbanistica di Milano: quel che resta dei piani urbanistici nella crescita e nella trasformazione della città. Con sei itinerari. Milano: Hoepli, 2002. Piacentini, Marcello. “Il concorso nazionale per lo studio di un progetto di piano regolatore e d’ampliamento per la città di Milano”. Architettura e arti decorative, no. 3-4 (Novembre-Dicembre 1927). Price, Cedric. Cedric Price: the square book. Chichester: Wiley Academy, 2003. SA: Sovremennaja Arkhitektura, 1926-1930. A cura di Guido Canella, Maurizio Meriggi. Bari: Dedalo, 2007. Secchi, Bernardo. La città del Ventesimo Secolo. Roma: GLF Laterza Editori, 2005. Stoppa, Claudio. La campagna in città: l’agricoltura urbana a Milano. Napoli: Liguori, 1992.
Un ringraziamento speciale va ai Professori L. Monica e G. L. Ferreri, e all’Architetto L. Bergamaschi per avermi accompagnato durante questo percorso in una situazione di incertezza e cambiamento. Ringrazio Hedda per avermi confortato e supportato negli ultimi mesi duranti i momenti difficili. Ringrazio i miei genitori per il loro affetto incondizionato e per avermi dato la possibilità di un’istruzione.
Alla mia famiglia. A me stesso.
208