LAGOLE - UN SANTUARIO DEI VENETI ANTICHI

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LAGOLE

UN SANTUARIO DEI VENETI ANTICHI

Nella valle del Piave esiste un luogo di grande suggestione dove per secoli i Veneti antichi invocarono la divinità delle acque per ottenere guarigioni lasciando sul posto una straordinaria quantità di ex voto oggi in gran parte conservati a Pieve di Cadore

Testi Eugenio Padovan In collaborazione con Museo Archeologico Cadorino Foto Magnifica Comunità Pieve di Cadore Tommaso Albrizio Franco Oliveri

IL PASSATO IN CADORE

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pp. precedenti e in questa

AMBIENTE MAGICO

Località Lagole a Calalzo di Cadore: cascatelle del laghetto delle Tose. Questo termine in cadorino significa ‘ragazze’ e la leggenda vuole che queste limpide acque termali donino particolare bellezza a coloro che vi si immergono. Le acque termali di questa località furono intensamente frequentate e oggetto di culto da parte dei Veneti antichi a partire dal VI sec. a.C.

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ponda destra del Piave nel cuore delle Dolomiti bellunesi, area di Centro Cadore: il magnifico scenario naturalistico di Lagole, a Calalzo di Cadore, si presenta con le sue fonti d’acqua termale, rigagnoli e laghetti, immersi in un bosco rado di conifere. Sin dall’antichità quest’ambiente ha destato interesse per le proprietà terapeutiche delle acque, come dimostrano i consistenti ritrovamenti archeologici che connotano un luogo di culto protostorico e romano, attivo almeno dal VI sec. a.C. sino al IV d.C. Gli scavi condotti negli ormai lontani anni Cinquanta del secolo scorso hanno portato alla luce oltre seicento oggetti votivi e il maggior corpus di iscrizioni in lingua e alfabeto venetico* dell’area alpina. Lo studio dei materiali, condotto dalla compianta Giulia Fogolari (1916-2001), massima studiosa della civiltà dei Veneti* antichi, e da Giovanna Gambacurta della Soprintendenza per i Beni archeo-

ACQUE MIRACOLOSE

logici del Veneto, ha permesso di datare e inquadrare il santuario di Lagole all’interno di un complesso sistema di rapporti culturali tra il contesto locale del Cadore*, l’ambito padanoadriatico e l’area alpina orientale. Le prime attestazioni votive, risalenti alla seconda metà del VI sec. a.C., sono costituite da un gruppo di oggetti di cultura hallstattiana*, che trovano evidenti analogie con materiali comuni a tutto l’ambito alpino orientale e che, attraverso le valli del Piave e dell’Adige, si diffusero in area veneta. A partire dalla fine del V sec. a.C., ma in maniera più consistente nei secoli successivi, si assiste al radicamento della presenza venetica nel Cadore centrale. È in questo periodo che Lagole assunse i caratteri di santuario, diventando il principale centro cultuale della zona, e acquisì un ruolo di primo piano nella vita politica locale, testimoniata da numerose dediche pubbliche da parte di una teuta, ovvero una comunità istituzionalmente organizzata. ➝ a p. 56

Le acque del laghetto dei Masci (‘maschi’ in cadorino), un tempo riservato al bagno degli uomini. Perpetuando le antiche credenze, la tradizione popolare ritiene che attraverso l’immersione nei laghetti di Lagole si possano cicatrizzare le ferite, attenuare gonfiori ed ematomi o curare malattie della pelle quali funghi cutanei, eritemi e psoriasi.

TOPOGRAFIA E POPOLAMENTO DEL CADORE Valli e cime dolomitiche. Il Cadore è una regione completamente montana, che include gran parte delle Dolomiti orientali, con vette che raggiungono i tremila metri di quota, come l’Antelao, il Pelmo e le Tre Cime di Lavaredo; inoltre comprende il tratto occidentale delle Alpi Carniche dal monte Cavallino fino al Peralba, alle cui pendici nasce il Piave, che ne attraversa trasversalmente l’intero territorio. Sono stati appunto il Piave e i suoi affluenti Padola, Ansiei e Boite a incidere e dare la tipica forma fluviale alle principali vallate cadorine, con fondi depressi e versanti che risalgono con una pendenza variabile. In questo contesto le alte quote hanno costituito un ostacolo all’insediamento stabile, mentre i fondovalle, i versanti meno scoscesi e le coste solatie sono stati luoghi idonei; al tempo stesso le valli e i valichi più accessibili divennero percorsi obbligati per la viabilità. Una via romana attraverso il Cadore. Studi sistematici sulla topografia antica del Cadore iniziarono negli anni Trenta del secolo scorso a opera del topografo cadorino Alessio De Bon (1898-1957).

Nell’ambito della sua intensa attività di ricerca, De Bon condusse puntuali indagini su un tracciato di origine romana, che da Feltria (Feltre) raggiungeva l’antica mansio di Littamum (S. Candido in Pusteria), attraversando il Centro Cadore e il passo di Monte Croce Comelico (sull’attuale confine amministrativo fra Veneto e Alto Adige). Di questo tracciato sono attualmente ben visibili alcuni tratti lastricati o scavati nella roccia a Valle e a Lozzo di Cadore. Il lavoro sul campo (pubblicato nel 1938) mostra i caratteri di una ricerca improntata all’individuazione delle tracce materiali di questo importante asse viario, basata sulla localizzazione di ritrovamenti di età romana, sullo studio delle caratteristiche morfologiche e della viabilità storica. Tale opera rimane ancor oggi di fondamentale importanza: le ipotesi di De Bon sono state confermate da nuovi ritrovamenti, che hanno messo in luce dati sufficienti per affermare che tale direttrice doveva costituire un asse portante di traffici e scambi a partire almeno dalla seconda metà del I millennio a.C.

DAL CADORE AL NORICO

Il topografo Alessio De Bon, grande studioso dell’antica rete stradale del Norditalia in una foto degli scorsi anni Cinquanta. Alla sua terra, il Cadore, dedicò particolare attenzione individuando l’antico tracciato romano da Feltre alla val Pusteria e quindi al Norico (Austria), di cui vediamo un tratto a Lozzo di Cadore.

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GEOLOGIA

Rivoli che scendono dalle sorgenti termali di Lagole. L’elevato tenore minerale delle acque è dovuto al contatto delle falde con le rocce calcaree e gessose che costituiscono il substrato geologico

dell’area, dove sono contenuti carbonati e solfati di magnesio. Sono proprio gli ioni di magnesio disciolto, provenienti dalla dolomia, che assieme al ferro conferiscono un caratteristico colore rosso alle rocce attorno alle fonti.

RICERCHE SUL SITO

Una foto storica degli scavi archeologici condotti nel sito di Lagole a partire dalla fine degli scorsi anni Quaranta e la copertina ➝

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Un culto legato al potere salutifero delle sorgenti

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econdo la tradizione popolare le acque di Lagole avrebbero proprietà disinfiammanti e cicatrizzanti, in parte confermate da analisi medico-chimiche. Non c’è quindi da stupirsi che il culto fosse legato alle sorgenti e al loro potere salutifero, come dimostrano le dediche alla

divinità locale Tribusiati/Trumusiati, spesso definita sainati, ovvero ‘sanante’, il cui nome cela nella radice -mus il legame con l’umidità e quindi con quest’area. Tra le offerte più ricorrenti si annoverano i simpula, mestoli in bronzo usati probabilmente per libagioni e per il consumo dell’acqua, che al termine del rito venivano spezzati, secondo la consueta prassi della defunzionalizzazione rituale dell’oggetto. Altri generi di reperti testi-

moniano invece il ruolo e la posizione sociale degli offerenti. Significative a tal proposito sono le statuette miniaturistiche di guerrieri nudi, con scudo e lancia in posizione di riposo, diffuse lungo tutta la valle del Piave, a sottolineare l’importanza strategica a nordest di questa via di percorrenza, che fa di Lagole uno dei centri chiave della regione. La dimensione bellica dell’area è testimoniata anche dal rinvenimento di armi e panoplie

di tipologia celtica, relative a un periodo compreso tra IV e II sec. a.C., forse prede di guerra o più probabilmente indice di una presenza sul territorio di gruppi celtici, provenienti dalla vicina Carnia. Quest’ultima ipotesi parrebbe suffragata anche dall’attestazione di numerosi nomi celtici nelle dediche votive e dallo stesso toponimo Cadore, che secondo il linguista Giovan Battista Pellegrini (1921-2007) deriva dal gallico Catubriga.

INDAGINI SUL CAMPO A Lagole ricerche incompiute. A proposito di Lagole non si possono dimenticare Enrico De Lotto, medico condotto nonché ispettore onorario della Soprintendenza, e Giovan Battista Frescura, operaio in una occhialeria di Calalzo, il quale alla fine degli anni Quaranta del secolo scorso scoprì il sito e poi lavorò come assistente di scavo della Soprintendenza. Furono in particolare loro che a Lagole operarono sul campo e permisero di aprire una straordinaria stagione di ricerche che ha coinvolto studiosi di archeologia e linguistica provenienti da tutto il mondo. Ma a questi due appassionati conoscitori della loro terra si deve una molteplicità di scoperte in Cadore, dall’abitato romano di Valle alla villa mosaicata di Pieve, alle tombe altomedievali di Do-

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megge, i cui reperti costituiscono ora il nucleo del Museo Archeologico Cadorino. Le ricerche sul territorio continuano a riservare nuovi e importanti ritrovamenti, che sono di buon auspicio per riprendere gli scavi anche a Lagole. Si può quindi concludere con le parole di Enrico De Lotto – purtroppo rimaste inascoltate – nell’introduzione di un suo libretto scritto nel 1961, Una divinità sanante a Lagole: «Questo opuscolo è pubblicato allo scopo di far conoscere il valore delle scoperte di Lagole, sotto la cui terra sono nascosti certamente ancora dei tesori archeologici. Mi auguro che al più presto si possa procedere a uno scavo radicale, in modo da mettere in piena luce la stipe votiva, che tanto interesse ha suscitato in Italia e nel mondo».

➝ di una pubblicazione sull’antico santuario dei Veneti redatta nel 2001 dai ragazzi della terza media di Calalzo di Cadore (una ristampa è stata curata di recente dal Comune).

PRESSO LE SORGENTI Accesso al percorso naturalistico di Lagole. Nelle vicinanze Giovan Battista Frescura iniziò le indagini archeologiche alla fine degli scorsi anni Quaranta. Il bosco rado di pini e abeti che cresce attorno alle sorgenti offre una piacevole visita nelle giornate estive, ma consigliato è anche l’autunno, quando si possono ammirare i fiammeggianti colori del sottobosco e delle foreste circostanti.

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sotto a destra

CENTRO CADORE

Foto del lago di Centro Cadore presa da monte Rico (Pieve di Cadore). L’invaso artificiale occupa una tratto della valle del Piave dove, secondo alcuni eruditi, doveva trovarsi l’insediamento celtico di Catubriga, che diede il nome alla regione.

Lungo una frequentata via alpina di transiti

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na categoria molto importante di donativi in area venetica è costituita dalle lamine in bronzo a pianta quadrata con lati inflessi (dette “a pelle di bue”), alcune delle quali contengono la rappresentazione di un cavallo, e che possono essere interpretate come indicatori dell’elevato rango sociale

dell’offerente. Questa tipologia di reperti, i cui esemplari più antichi (V-IV a.C.) sono stati rinvenuti proprio a Lagole, si diffonde lungo un percorso che dalle coste della laguna veneta giunge fino a Gurina, nella valle del Gail, in Carinzia (Austria), dove era presente un santuario-emporio, legato in particolare al commercio di metalli e altre risorse minerarie, come il salgemma. All’interno degli itinerari di spostamento ad ampio raggio Lagole divenne

una tappa obbligata, che almeno stagionalmente svolgeva anche funzioni commerciali. Inoltre, fu punto di riferimento per altre attività, non meno importanti per questa terra, quali l’allevamento e la pastorizia: dai citati scavi degli scorsi anni Cinquanta emersero numerose ossa animali, appartenute soprattutto a ovini e caprini, e una decina di tintinnabula, che in questo caso dovevano fungere da campanacci per pecore e capre, visti i confronti molto strin-

genti con quelli in uso nella zona fino al secolo scorso. Nell’età del Ferro la frequentazione estiva degli alpeggi si spingeva sino all’alta valle del Boite (affluente di destra del Piave), come dimostrano tre iscrizioni venetiche incise su lastre di pietra trovate nell’area del passo Giau, un valico dolomitico a oltre duemila metri di quota che mette in comunicazione Cortina d’Ampezzo con Colle Santa Lucia e Selva di Cadore.

APOLLO GUARITORE

Frammento di statuetta di Apollo offerente di età romana (I-II sec. d.C.) rinvenuto nel sito di Lagole: l’opera può essere accostata a bronzetti contemporanei rinvenuti in Veneto e in Pannonia. Il culto di Apollo, dio della Medicina, si sovrappose a quello più antico di Tribusiati/ Trumusiati, una divinità locale ‘sanante’ attestata a Lagole.

VENETI IN ARMI

Statuetta di guerriero con elmo in bronzo (III-II sec. a.C.). In origine doveva tenere una lancia, in posizione verticale, nella mano destra e uno scudo nella sinistra. Importante è l’iscrizione dell’offerta di un certo Brogioco a Trumusiate, incisa sul fianco destro dalla mano all’ascella, fino alla caviglia, per risalire sul polpaccio e sulla natica. Dagli scavi di Lagole emersero una cinquantina di statuette rappresentanti guerrieri.

ATTINGERE ACQUA

LE ANGUANE CREATURE DELL’ACQUA

Manico di simpulum da Lagole con scritta dedicatoria in alfabeto venetico. Durante gli scavi vennero rinvenuti numerosi manici e coppe di simpula, mestoli usati in libagioni o per il consumo dell’acqua. Questi strumenti furono utilizzati a partire dal IV sec. a.C. sino alla piena romanità.

Vivevano lungo sorgenti e fiumi. La leggenda vuole che vicino a Lagole, in un’area ora sommersa dal lago di Centro Cadore, un tempo caratterizzata da aspri dirupi, gole e anfratti, vivessero le Anguane, che, invidiose della bellezza concessa dalle acque di Lagole a Bianca, principessa del villaggio di Sabassa, la rapirono e la uccisero. Le Anguane, conosciute in Cadore anche come Longàne, sono delle figure mitologiche, che si ritrovano in una serie di leggende delle Alpi e Prealpi orientali, dalla Lombardia al Friuli. Il loro nome, secondo il linguista Giovan Battista Pellegrini, deriva dal termine latino aquana, che doveva indicare una ninfa o una divinità legata alle acque. Nella tradizione locale si presentano come donne dai piedi di capra, a cui venivano riconosciuti poteri sopranaturali: prevedevano il futuro, ma soprattutto anticipavano i cambiamenti delle condizioni atmosferiche. Vivevano in anfratti e boschi, sempre in prossimità di sorgenti o corsi d‘acqua. Si spostavano prevalentemente di notte e svolgevano varie attività, tra le quali la più comune era quella di lavandaie. Così le Longàne cadorine assumono le caratteristiche di “lavandaie notturne”, trovando analogie con una serie di figure leggendarie diffuse in tutta l’Europa centro-occidentale.

LAMINA VOTIVA

La celebre lamina di Lagole (fine V - inizi IV sec. a.C.). Al centro è rappresentato un cavallo, animale che compare spesso sugli oggetti votivi dei santuari dell’area venetica; i Veneti antichi erano infatti considerati ottimi allevatori di cavalli. Su tre lati è un’iscrizione in alfabeto venetico leggibile da sinistra a destra: ‘Cello Pittamnico offre in dono a Tramusiate’.

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Rapporti ambivalenti con gli uomini. In alcune leggende le Anguane hanno un ruolo positivo, aiutando le donne nella filatura e nel bucato, oppure predicendo il tempo meteorologico ai contadini. In altri racconti, invece, sono invidiose e assassine, come a Lagole, o semplicemente ladre di formaggio e burro, come a Domegge di Cadore. Quest’ambivalenza viene messa in relazione da alcuni storici e antropologi con l’avvento del cristianesimo, che trasformò in negative divinità e figure mitologiche che in origine avevano ruoli preminentemente positivi. Nei tratti negativi le Anguane assumono spesso le medesime caratteristiche delle streghe, e nelle narrazioni alle volte le due figure vengono confuse. CREATURA DELLE ACQUE. Un’anguana rappresentata nel disegno di un anonimo del Cinquecento. Nella tradizione cadorina queste figure mitologiche si presentano come donne dai piedi di capra.

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RITUALITÀ

Vetrine del Museo Archeologico Cadorino a Pieve di Cadore con bronzetti votivi e altri oggetti di uso rituale di età romana recuperati a Lagole. Il culto delle acque, essenzialmente finalizzato a ottenere guarigioni, proseguì a Lagole senza soluzione di continuità anche dopo la romanizzazione del Cadore avvenuta a partire dal I sec. a.C.

Dalla divinità venetica all’Apollo dei Romani

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a romanizzazione del comparto alpino orientale è un lungo processo che inizia in seguito alla fondazione della colonia di Aquileia nel 181 a.C. e si completa nel I sec. d.C. in età giulio-claudia. In Cadore e nelle zone limitrofe, tale processo si sviluppa soprattutto a cavallo tra I sec. a.C. e I sec. d.C. I Romani riuscirono a integrare pacificamente le genti locali, così a Lagole le pratiche di culto furono rispettate e assimilate: il nome della divinità titolare Tribusiati/Trumusiati venne gradualmente

sostituito con quello di Apollo, che ne ricopriva le stesse funzioni; inoltre furono mantenuti gli oggetti più rappresentativi del rito come i simpula. Un altro santuario sorse alla fine del II sec. a.C., in epoca tardorepubblicana, ad Auronzo di Cadore sul colle detto Monte Calvario, posto nei pressi di una direttrice viaria di primaria importanza per il passaggio attraverso le Alpi. Le ricerche in questo contesto, dirette da Giovanna Gangemi della Soprintendenza per i Beni archeologici del Veneto, hanno rivelato anche qui un processo di assimilazione molto graduale. Vennero infatti continuate le pratiche rituali locali, sempre testimoniate dai simpula e

dalle lamine “a pelle di bue”; lo stesso alfabeto venetico rimase in uso almeno per gran parte del I sec. d.C. La via di comunicazione nelle cui vicinanze si trovano i due santuari cadorini consolidò in epoca imperiale il suo ruolo di direttrice con funzioni commerciali e militari, in quanto permetteva il collegamento tra la X Regio Venetia et Histria e la provincia del Noricum (corrispondente all’Austria centrale a ovest di Vienna), e quindi con i confini dell’impero. Nei due luoghi di culto di Lagole e Monte Calvario l’influenza della viabilità è testimoniata dalla capillare presenza di materiali provenienti da fuori e, per l’epoca tardoantica (IV-V sec. d.C.), da numerose offerte monetali, che per quanto riguarda Lagole, sono state messe in relazione con una consistente presenza di truppe negli ultimi secoli dell’impero, quando le Alpi orientali divennero un baluardo di primaria importanza per la difesa della Penisola. La vita dei due santuari cessò tra fine IV e inizi V sec. d.C., probabilmente come conseguenza dell’Editto di Tessalonica*, che proibì le pratiche pagane. Non sappiamo se vennero distrutti o semplicemente abbandonati. Ma è certo che il sito di Lagole con le sue sorgenti curative ancora per molto tempo costituì un polo di attrazione per la cura del corpo e degli animali, tanto che i cadorini lo hanno sempre trattato come un luogo sacro e degno di rispetto, popolandolo di leggende e racconti.

MUSEO ARCHEOLOGICO CADORINO Il passato storico nelle valli dolomitiche. A Pieve di Cadore, nello storico palazzo della Magnifica Comunità, si trova il MARC (Museo Archeologico Cadorino), con le testimonianze del passato nel territorio: reperti preromani (a partire dal VI sec. a.C.) e romani di grande importanza, rinvenuti soprattutto nel secondo dopoguerra, che consentono di ricostruire ampi frammenti di storia antica in quest’area alpina e che al tempo stesso offrono un notevole apporto alla conoscenza dei Veneti antichi. La collezione è l’erede di una più antica raccolta, che trovò il suo fatale epilogo nel 1917 durante la disfatta di Caporetto, quando sparirono da Pieve innumerevoli oggetti. Reperti di Lagole e non solo. La parte preponderante del MARC è incentrata sui reperti provenienti dal sito di Lagole: spiccano gli oggetti con iscrizioni venetiche, che fanno di questo museo un centro di documentazione della lingua dei Veneti antichi secondo solo a Este (Pd). Troviamo poi un lacerto dei pavimenti a mosaico di una domus romana del II sec. d.C. rinvenuta a Pieve nel 1951. Tra gli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso il museo si arricchì delle molte scoperte avvenute nel territorio di Valle, nel sito di un insediamento più volte oggetto di indagini archeologiche, posto su un crocevia importante per la viabilità locale: tra i materiali di ambiente venetico, databili tra V e IV sec. a.C., si segnalano una situla bronzea con dedica votiva, vasche e manici di simpula, che testimoniano la presenza di un’area sacra, purtroppo non ancora sufficientemente indagata. Sempre nel territorio di Valle sono state ritrovate strutture di tre complessi rustici di età romana, in due dei quali è stata messa in luce la parte residenziale con mosaici e decorazioni pittoriche. Direzione del MARC - Museo Archeologico Cadorino Info: 0435.32262 www.magnificacomunitadicadore.it

Eugenio Padovan già assistente tecnico scientifico Soprintendenza per i Beni Archeologici del Veneto Le foto delle statuette di Apollo e del guerriero sono tratte da: Materiali veneti preromani e romani del santuario di Lagole di Calalzo al Museo di Pieve di Cadore (di G. Fogolari e G. Gambacurta); il disegno della lamina di Lagole è tratto da: Il museo archeologico cadorino e il Cadore preromano e romano (di G.B. Pellegrini)

* non tutti sanno che... Alfabeto venetico. Utilizzato dai Veneti antichi a partire dal VI sec. a.C. fino alla piena romanità. Si ritiene che i caratteri derivino dall’alfabeto etrusco chiusino. Cadore. Regione storica nell’alta provincia di Belluno, compresa nell’area montuosa delle Dolomiti. Il toponimo Cadore sarebbe di origine celtica e deriverebbe da catu, ‘battaglia’, e briga, ‘roccaforte’. La prima menzione dei Catubrini (dal latino Catubrium) è in un’epigrafe del II sec. d.C., trovata a Belluno nel 1888, dov’è citato il cittadino romano Marcus Carminius, che compare come patrono degli antichi abitanti del Cadore. Editto di Tessalonica. Decreto emanato dagli Augusti Teodosio I e Valentiniano II a Tessalonica (Salonicco) il 27 febbraio 380, con cui il cristianesimo è riconosciuto come religione di stato e vengono proibiti i culti “pagani”.

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Hallstatt (cultura di). Cultura dell’Europa centrale, databile tra fine età del Bronzo e prima età del Ferro (X-VI a.C.), relativa alla fase più antica della civiltà celtica. Prende nome dal sito austriaco di Hallstatt, presso Salisburgo, dove venne individuato un importante insediamento relativo a tale cultura. Lago di Centro Cadore (o Lago di Cadore). Invaso artificiale, con diga a Pieve di Cadore, formatosi negli anni Cinquanta del secolo scorso nella valle del Piave. L’isola, che prima della formazione del lago era un’altura al centro della vallata, ospitò uno dei più importanti insediamenti dei Veneti antichi. Veneti antichi. Popolazione dell’Italia preromana, insediata in un territorio compreso tra il Mantovano e Bresciano a ovest, il Friuli a est e le Dolomiti orientali a nord, la cui cultura si sviluppò a partire dal IX sec. a.C. fino all’integrazione nel mondo romano.

PIEVE DI CADORE

La sede storica della Magnifica Comunità, risalente al XV secolo, dove è allestito il Museo Archeologico Cadorino con i reperti del santuario venetico di Lagole.

CIME DOLOMITICHE

Il Cadore centrale visto da monte Rite (2181 m): la visuale spazia sulle Dolomiti orientali, fino alla Cresta di confine in Comelico. In un forte della Grande Guerra sulla vetta del Rite trova sede il Messner Mountain Museum, realizzato dall’alpinista sudtirolese Reinhold Messner.

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