VENETKENS. Viaggio nella terra dei Veneti antichi

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6 aprile / 17 novembre 2013

Info / Contatti: Assessorato alla Cultura › 049.8205542 - 5543 Segreteria Musei Civici › 049.8204508 | e-mail › musei.civici@comune.padova.it Segreteria Museo Archeologico › 049.8204572 | e-mail › museo.archeologico@comune.padova.it Gruppo icat › 049.8703296 | e-mail› evelyn.cagnin@gruppoicat.com

Viaggio nella terra dei Veneti Antichi Padova /

Palazzo della Ragione

venetiantichi.it


. Premessa

Questo opuscolo vuole rappresentare un utile strumento per insegnanti e alunni in visita alla mostra Venetkens. Viaggio nella terra dei Veneti antichi, che si terrà a Palazzo della Ragione dal 6 aprile al 17 novembre 2013. La rilevanza e unicità della mostra, rispetto ad analoghe e pur illustri rassegne espositive realizzate nel passato, è data dal fatto che per la prima volta viene presentata la storia degli antichi Veneti in modo articolato ed esaustivo, grazie a una lettura spazio-temporale (dalle origini dei primi insediamenti fino al contatto con il mondo romano nei territori del Veneto, Friuli Venezia Giulia e Trentino), che raccoglie tutte le conoscenze acquisite negli anni, integrandole con le più recenti scoperte archeologiche e gli ultimi studi sull’argomento. Oltre alla complessità e all’indubbio valore scientifico di tale operazione culturale, che ha coinvolto archeologi, direttori di Musei e Soprintendenze di diverse regioni, la mostra risulterà particolarmente accattivante anche per il pubblico più giovane per la particolarità dell’allestimento, che comprende postazioni multimediali, effetti sensoriali e le ricostruzioni di un’abitazione, di un santuario e di un tumulo funerario. Sono previsti inoltre percorsi didattici e laboratori.

Comune di Padova Assessorato alla Cultura

Visitare la mostra usufruendo della guida di un operatore didattico offre alle classi l’opportunità di individuare immediatamente l’organizzazione e la logica del percorso espositivo e di intraprendere un viaggio immaginario nel corso del quale studenti e insegnanti, condotti con un linguaggio appropriato e adattato di volta in volta alle diverse età scolastiche, conosceranno i reperti esposti in mostra e approfondiranno in modo piacevole gli aspetti più significativi che hanno caratterizzato la storia e la cultura dei Veneti antichi. I laboratori proposti intendono coinvolgere i ragazzi in divertenti attività pratiche comunque coerenti con gli argomenti affrontati durante la visita didattica.

Mostra promossa e organizzata da: assessorato alla cultura - comune di Padova / Ministero per i Beni culturali - Soprintendenza per i Beni archeologici del Veneto / gruppo icat

in collaborazione con:

Andrea Colasio

Vincenzo Tinè

assessore alla cultura del comune di Padova

Soprintendente per i Beni archeologici del Veneto


. Veneti antichi Lineamenti storici

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Sul finire del II millennio a.C., e in modo più articolato nel corso del I, l’Italia nordorientale ha visto fiorire la civiltà dei Veneti antichi, una popolazione che il mito vuole originaria dell’Asia minore, giunta in Occidente per vie non ancora identificate con sicurezza tra XIII e XII secolo a.C., nel periodo cioè che ha visto le grandi migrazioni dei popoli indoeuropei. È il periodo che le fonti letterarie hanno identificato con la guerra e la caduta di Troia e con le peregrinazioni sui mari delle genti sconfitte e dei loro condottieri. Nonostante la significativa mole di dati che le ricerche degli ultimi decenni hanno permesso di raccogliere, molte sono ancora oggi le incertezze che, sul piano scientifico, persistono a proposito delle dinamiche del popolamento che hanno caratterizzato la penisola italica in questa fase, coincidente con l’età del Bronzo finale. Più chiara è invece la situazione che va delineandosi subito dopo, a partire dal X-IX secolo a.C., momento in cui si configurano precise realtà etnico-culturali collegate a specifiche aree territoriali dando inizio alla storia antica d’Italia. Secondo quanto attesta la tradizione, i Veneti, alleati dei Troiani, dopo la caduta di Troia sarebbero approdati sulle coste dell’alto Adriatico e qui, cacciate le popolazioni locali identificate dalle fonti letterarie con gli Euganei - si sarebbero stanziati. I dati archeologici parlano di una realtà culturale, esito di un processo formativo prevalentemente locale con importanti influenze esterne. Dopo un periodo di crisi tra XII e IX secolo a.C., va configurandosi in modo omogeneo in un esteso e articolato territorio, corrispondente alle attuali regioni Veneto, Friuli Venezia Giulia e parte del Trentino Alto Adige; un territorio delimitato da confini naturali costituiti dal Po a sud, dal Mincio e dal Garda a ovest, dalla valle dell’Adige a nord-ovest e dall’arco alpino a nord e nord-est.

Palazzo della Ragione era l’antica sede dei tribunali cittadini di Padova. La sua copertura è a forma di carena di nave rovesciata. Il piano superiore è occupato dalla più grande sala pensile del mondo, il “Salone” (misura 81 metri per 27 e ha un’altezza di 27 metri). Gli affreschi originali, realizzati da Giotto, andarono distrutti. Il Salone è ornato da un grandioso ciclo di affreschi a soggetto astrologico basati sugli studi di Pietro d’Abano. Nella sala è conservato un cavallo in legno, copia rinascimentale del monumento al Gattamelata di Donatello. Il Salone divide le due grandi piazze delle Erbe e della Frutta, sedi dei mercati padovani. Sotto il Salone, lungo due gallerie parallele, trovano posto numerose e caratteristiche botteghe di generi alimentari.

Si tratta quindi di una realtà territoriale molto vasta e dalla morfologia eterogenea, che comprende aree planiziali, collinari e montane, ma anche estesi ambiti paludosi, concentrati soprattutto nella bassa pianura veneto-friulana prospiciente la gronda lagunare. Un territorio caratterizzato da pianure fertili e da ampie aree boschive, solcato da importanti corsi d’acqua e situato in una posizione strategica, data la sua proiezione verso il centro dell’Europa e data la presenza di una lunga linea litoranea che, grazie alla presenza delle lagune, garantiva una navigazione sicura e facili approdi. Territori diversi, dunque, che hanno visto diverse forme di popolamento e di apertura verso le realtà limitrofe, sia pure nell’ambito di una comune matrice culturale. E se il nucleo centrale del mondo veneto antico va individuato nella zona euganea, non meno importanti sono le articolazioni riscontrabili nella valle del Piave, nel Cadore, nei territori più orientali, al confine con l’Istria, e nella zona meridionale, tra Adige e Po, dove i contatti con il mondo etrusco hanno determinato esiti culturali ancora diversi. In un quadro così complesso, è però importante rilevare che nell’Italia del I millennio a.C. i Veneti, si configurano come una realtà culturale ben definita, stanziata in un territorio ampio, ma dai confini precisamente delineati già dall’VIII sec. a.C., e dotata di uno spiccato senso della propria identità.

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. Palazzo della Ragione


Situla Benvenuti, VI sec. a.C. (Museo Nazionale Atestino – Este)


La civiltà dei Veneti antichi è nota solo a partire dal 1876, anno in cui a Este, nel fondo Boldù-Dolfin, nel corso di operazioni di aratura avvenne la prima, casuale, scoperta di alcune sepolture, due delle quali caratterizzate da un ricco corredo con vasellame bronzeo decorato. Gli anni immediatamente successivi a questo ritrovamento furono caratterizzati da intense ricerche e studi, i cui risultati confluirono in una pubblicazione del 1882, a firma di Alessandro Prosdocimi, allora conservatore del Museo Civico di Este, che costituisce il primo lavoro scientifico su questa cultura e i cui assunti generali sono tuttora un punto di riferimento per gli studiosi. È dunque solo dalla fine del XIX secolo che la storia della popolazione presente nel Veneto preromano assume una fisionomia scientifica, comprovata da dati archeologici, lasciandosi alle spalle tutto quel complesso di nozioni, a volte destituite di fondamento, che derivavano dall’erudizione medievale e umanistica e che partivano dalla convinzione che nulla si fosse conservato delle fasi più antiche della storia del territorio. In seguito, con i primi anni del Novecento, la conoscenza della civiltà dei Veneti divenne sempre più raffinata grazie al susseguirsi delle scoperte, alle relative pubblicazioni e ai convegni, tanto che nell’arco di pochi decenni agli studiosi fu chiaro che se Este fu il centro più antico, e per molto tempo il meglio documentato, esso non fu il solo: accanto a Este le ricerche hanno riportato via via alla luce le complesse fasi protostoriche di Padova, di molti centri della valle del Piave e del Cadore, e poi di Vicenza, di Altino, di Treviso, di Oderzo, di Concordia e del territorio compreso tra Tagliamento e Isonzo, di un territorio, in altre parole, così vasto da indurre ad abbandonare l’iniziale denominazione di “civiltà atestina” a favore della più ampia denominazione “civiltà paleoveneta”, a sua volta oggi sostituita dalla denominazione di “civiltà veneta antica”, nell’intento di recuperare quel termine “Veneti” (Enetoi) con cui le fonti letterarie hanno indicato in modo univoco la popolazione residente in questa vasta area prima dell’arrivo dei Romani. Nel corso del tempo, soprattutto nella seconda metà degli anni Novanta, l’affinarsi dei metodi di indagine e l’evoluzione disciplinare dell’archeologia hanno portato a radicali revisioni dei vecchi dati e sono stati quindi pubblicati molti lavori sistematici con tagli tematici specifici: sono stati avviati studi sulle dinamiche territoriali e commerciali, sul rapporto gerarchico tra i diversi insediamenti, sulla loro articolazione topografica, sulle necropoli e l’organizzazione sociale che esse riflettono, sulla realtà del sacro e la sua proiezione sul territorio, sulla cultura materiale, sull’evoluzione tipo-cronologica di molte classi di manufatti, sulla lingua e sulla scrittura dei Veneti antichi. Gli scavi più recenti, poi, condotti con il rigore scientifico dell’archeologia moderna, realizzati tanto all’interno dei centri storici quanto nelle aree marginali o periferiche, hanno gettato nuova luce sulle conoscenze del mondo veneto antico. L’obiettivo della mostra è di presentare al pubblico la civiltà dei Veneti antichi offrendo un quadro nuovo, aggiornato e complessivo delle conoscenze di cui

oggi si dispone, un quadro che non è finora mai stato offerto al grande pubblico, a fronte di una produzione scientifica che si è invece negli ultimi anni enormemente accresciuta. L’esposizione intende proporre un una visione articolata ed esaustiva del mondo veneto in cui i vecchi dati risultino integrati con i nuovi. Territorio, insediamenti, mondo dei vivi e dei morti, commerci, religione, espressioni artistiche: la civiltà veneta verrà presentata in un percorso che si snoderà attraverso tutte le possibili articolazioni culturali e con l’esposizione di manufatti abitualmente conservati nei diversi musei del Veneto e/o nei depositi della Soprintendenza e che, per questa occasione, verranno riuniti e messi a confronto. E per reperti che non sarà possibile spostare, e che quindi resteranno esposti nella loro sede abituale – si pensi ai numerosi Musei nazionali e Civici dislocati nel Veneto – si potrà pensare alla costituzione di una sorta di “esposizione satellite” rispetto alla mostra principale. La mostra sui Veneti sarà dunque caratterizzata da respiro nazionale e avrà grande attrattività regionale, sarà infatti l’occasione per focalizzare l’attenzione sulla storia antica del Veneto inteso come grande crocevia del passato, come territorio aperto agli scambi culturali e non come territorio-fortezza arroccato entro confini chiusi e invalicabili. La mostra, infine, è in quanto tale un evento effimero. Tuttavia, oltre alla valenza scientifica che un’esposizione di questo tipo presuppone, non va dimenticato che il suo fine ultimo travalica, in realtà, la sua durata come evento espositivo e consiste nel creare nuove opportunità di conoscenza per il pubblico e nello stimolare un avvicinamento alle diverse realtà museali. In definitiva, un evento di questo tipo, nel momento in cui ripropone la conoscenza del passato, non può che contribuire ad accrescere l’interesse e l’amore per le proprie radici.

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. I Veneti Antichi


. Il percorso espositivo. Viaggio nella terra dei Veneti antichi Il percorso prende avvio dall’area del Delta padano, grande crocevia di culture in area alto adriatica. Il periodo da cui inizia il viaggio immaginario corrisponde all’età del bronzo recente e finale (XIII-X secolo a.C.), momento che precede la vera e propria formazione della civiltà dei Veneti antichi. Un’immagine suggestiva, posta in apertura, accoglie il visitatore che sta per entrare nel vero e proprio percorso espositivo: un’immagine del delta del Po, immerso nella nebbia. Un’immagine, dunque, dai connotati volutamente indefiniti, che deve suggerire un tempo e uno spazio dai contorni evanescenti. Questa sezione è finalizzata a contestualizzare il “territorio dei Veneti prima dei Veneti”: vengono esposti materiali dell’età del bronzo recente (XIII-XI sec. a.C.) provenienti dai siti del Polesine e dell’area basso-veronese. Si tratta di ceramiche di paste vitree e di ambre che ben testimoniano la vitalità economica di questa zona, al centro di scambi con aree anche molto lontane, in periodi che non si riteneva, fino a qualche anno fa, potessero essere stati così intessuti di contatti commerciali ad ampio raggio. Questa sezione è caratterizzata dalla presenza di materiali di piccole dimensioni, ma in molti casi decisamente preziosi. Alcuni effetti speciali sono perciò necessari per restituire al visitatore la sensazione di questa “preziosità”: a tal fine, in questo punto, un effetto “pioggia d’ambra”, realizzato mediante semplice videoproiezione, crea un effetto suggestivo che rievoca, attraverso citazioni degli autori antichi, il mito di Fetonte e delle sue sorelle, le Eliadi. Racconta infatti il mito che Fetonte, dopo aver rubato il carro al padre Elios (il Sole) e aver combinato disastri indicibili sulla terra a causa della sua imperizia nel guidarlo, venne precipitato nel fiume Eridano (il Po) per scongiurare guai peggiori. Le Eliadi ne piansero a lungo la morte, fino a che gli dèi, mossi a pietà, le trasformarono in pioppi, mentre le loro lacrime si mutarono in ambra.

Pettine in osso dall’abitato di Frattesina, XII-X sec. a.C. (Museo Nazionale di Fratta Polesine – Rovigo)

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.Fra le nebbie del Delta, gli albori di una civiltà

Collane in pasta vitrea da Fratta Polesine, XII-X sec. a.C. (Museo dei Grandi Fiumi – Rovigo)

Conclude la visita alla sezione una proiezione multimediale che racconta come si svolgeva il rito di sepoltura di un guerriero.

Vasetto fittile a forma di animale dall’abitato di Frattesina, XII-X sec. a.C. (Museo dei Grandi Fiumi – Rovigo)


.Dentro le “città-isole”

Il viaggio immaginario prosegue quindi dall’area costiera verso l’entroterra, portando il visitatore nel territorio della pianura, in un graduale avvicinamento agli abitati. Il viaggio è nello spazio, ma anche nel tempo: da qui infatti, lasciata l’età del bronzo, si entra nella prima età del ferro (IX-VI sec. a.C.). Ad accogliere il visitatore una grande immagine simbolica: un fiume ideale che racconta un rapporto di difesa e di garanzia di sopravvivenza. Sulla parete è collocata una serie di oggetti rinvenuti nelle acque dei fiumi veneti, una sorta di dono nell’acqua. Conclude l’esposizione degli oggetti una restituzione grafica di una palificata lignea a testimonianza di come il fiume fosse elemento indispensabile per la vita di un insediamento, ma al contempo anche una forza da contenere con apposite strutture spondali.

Lasciato il territorio ai margini della città, si giunge all’interno del centro urbano, o meglio, di un centro urbano ideale, situato nell’area planiziale. Gli insediamenti protostorici, a partire dall’VIII sec. a.C., si avviano infatti sempre più verso una dimensione protourbana: i gruppi di abitazioni, con piccoli scoperti e aree adibite ad attività artigianali, iniziano ad assumere una precisa articolazione spaziale, con strade e sentieri di collegamento tra aree distinte. Inizia a profilarsi una netta separazione tra un “dentro” e un “fuori” rispetto allo spazio abitato; lo spazio interno, a sua volta, inizia ad assumere una precisa articolazione che ne rivela un progetto organizzativo. Gli spazi pubblici si distinguono sempre più dagli spazi privati: un’articolazione spaziale che riflette l’esistenza di una comunità socialmente e politicamente strutturata e che, sul piano dell’evidenza materiale, è ben comprovata dal rinvenimento in diversi siti del Veneto di segnacoli di confine: i cippi confinari. La vita all’interno della città era contrassegnata da aspetti legati alla quotidianità e da alcune tipiche attività di carattere artigianale, prima fra tutte la lavorazione dell’argilla per la produzione della ceramica. Una lunga parete sarà pertanto destinata a presentare la ricchezza delle tipologie, a metterne in luce le peculiarità in base ai centri di produzione. E la ceramica, nel percorso espositivo, è l’elemento che accompagna il visitatore fino a uno dei punti più emozionanti della visita: la ricostruzione di alcuni ambienti di una tipica abitazione protostorica di ambito urbano.

L’avvicinamento ideale alla città prosegue incontrando dapprima il territorio “addomesticato” dall’uomo situato in prossimità delle aree urbane: nelle vetrine una serie di zappette e picconcini in osso-corno da Este, un vomere, alcuni denti di cinghiale, ami da pesca e lische di lucci, macine e macinelli da vari siti del Veneto raccontano come si sono sviluppate le pratiche agricole, ma anche l’allevamento, la caccia e la pesca. Il graduale avvicinamento alla città è, infine, sottolineato da una sezione dedicata alla metallurgia: la lavorazione dei metalli è infatti ben attestata - a Este, ma anche a Padova, a Oderzo e nel Veronese – alla periferia dei centri abitati. Nelle vetrine la fatica di lavorare il metallo è raccontata da una serie di oggetti quali ugelli, matrici, punteruoli, crogioli, scorie, materiali semilavorati e lingottini di bronzo provenienti da vari contesti archeologici del Veneto. A corredo una postazione multimediale permetterà di approfondire le conoscenze sulle varie attività svolte sia all’esterno dei centri abitati sia al loro interno.

Doni nell’acqua: spada “ad antenne” da Casier, IX-VIII sec. a.C. (Museo Civico di Treviso)

Cippo confinario da Padova, via C. Battisti, V sec. a.C. (Soprintendenza BBAAV – Padova)

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.Verso la città: il fiume generatore di insediamenti


A quattro temi connotativi della vita urbana nel mondo veneto antico, sono dedicate quattro nicchie situate subito dopo la ricostruzione della casa. La prima nicchia presenta una serie di alari, oggetti in pietra o terracotta usati in coppia sul focolare per il sostegno della legna o dello spiedo: tipica espressione del mondo veneto protostorico sono gli alari conformati a testa di animale (ariete, cavallo, cane), tuttavia la più antica forma attestata è a mattonella rastremata. Nella seconda nicchia sono invece collocate le due grandi “fiere” di Oderzo, manufatti tra loro molto simili, in terracotta, a forma di animale fantastico, accovacciato. Si tratta di oggetti imponenti, ma di incerto utilizzo: forse erano di elementi di arredo, ma più verosimilmente si potrebbe trattare di terrecotte architettoniche funzionali alla decorazione esterna di un edificio monumentale. La terza nicchia è destinata alla presentazione di alcuni depositi votivi (correntemente denominati stipi) di ambito domestico: offerte rituali alle divinità al momento della fondazione della casa, questi depositi sono costituiti da una serie di vasetti miniaturistici da fuoco e da mensa e piccoli oggetti metallici (solitamente modellini di spiedi, alari, palette). Venivano per lo più interrati sotto il pavimento e costituiscono uno dei pochi elementi per la conoscenza della realtà del sacro di ambito privato nel mondo venetico. Nell’ultima nicchia trova spazio, infine, una serie di ciottoloni, manufatti in porfido alpino ancora oggi per molti aspetti enigmatici.

Alare in terracotta a testa di ariete da Este, V sec. a.C. (Museo Nazionale Atestino – Este) “Fiere” in terracotta da Oderzo, V sec. a.C. (Museo Civico Opitergino – Oderzo)

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.Temi urbani


Lasciati i temi legati all’abitare, il visitatore prosegue il suo viaggio immaginario alla scoperta di quanto gli abitati hanno restituito circa i rapporti dei Veneti antichi con gli altri popoli: traffici, commerci, contatti e scambi di beni e di idee che fino a non molti anni addietro si ritenevano complessivamente limitati. Oggi gli scavi archeologici vanno invece restituendo un panorama più complesso, da cui emergono contatti con il mondo greco, sia diretto sia mediato dai popoli dell’Italia meridionale, con il mondo etrusco e con il mondo orientale. Bronzetti, ceramiche, oggetti in pasta vitrea delle più diverse provenienze denotano l’apertura commerciale del mondo veneto con le realtà contermini, con ricadute nella vita quotidiana e nella ritualità funeraria.

Bronzetto di fabbricazione etrusco-padana raffigurante Paride arciere, V sec. a.C. (Museo Nazionale di Altino)

.I bagliori del bronzo: l’arte delle situle Un ambiente raccolto, al centro del percorso, introduce a una delle più interessanti manifestazioni artistiche espresse dai Veneti antichi: l’arte delle situle. Contenitori bronzei lavorati a sbalzo a forma di secchi, le situle non erano i soli oggetti su cui i Veneti hanno raccontato, attraverso iconografie suggestive, la loro storia: vi sono anche cinturoni, elmi, laminette, sulle cui superfici motivi decorativi legati alla vita quotidiana, ai commerci, alle attività agricole, alla ritualità, alla guerra si intrecciano con grande naturalezza ad animali fantastici di derivazione orientale, indice di contatti e scambi culturali attraverso vie non sempre di immediata comprensione. Attestazioni di arte delle situle sono note in tutto il territorio abitato dai Veneti, fino all’estrema propaggine orientale, oltre il Friuli (area slovena). Il visitatore può quindi immergersi nei racconti e nelle immagini di una significativa serie di manufatti di varia provenienza alcuni dei quali esposti qui per la prima volta. Al centro della saletta, la situla Benvenuti, il pezzo forse più noto; mentre tutt’intorno, lungo le pareti, sono riproposti graficamente i repertori decorativi presenti sugli oggetti. Un filmato proiettato racconterà invece la tecnica con cui venivano lavorate a sbalzo le superfici di questi eccezionali oggetti.

Situla Benvenuti, particolare. VI sec. a.C. (Museo Nazionale Atestino - Este)

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.Traffici e mercati


Lasciato il mondo delle situle, il visitatore incontra un secondo aspetto di grande rilievo nella cultura dei Veneti antichi: la scrittura e il suo insegnamento, realtà in entrambi i casi correlate alla dimensione del sacro. Dal santuario di Este dedicato alla dea Reitia provengono infatti numerose tavolette con alfabetari e centinaia di stili scrittori (punteruoli utilizzati per incidere le tavolette cerate, con un’estremità a spatola per le necessarie cancellature), tutti realizzati in bronzo. Si tratta di ex-voto realizzati a partire da oggetti di effettivo utilizzo e costituiscono una documentazione pressoché unica. Essi denotano inoltre come, all’interno di talune aree sacre, la scrittura fosse praticata ma fosse anche oggetto di insegnamento. Santuario come centro-scrittorio, dunque, e santuario come centro di trasmissione della conoscenza. Una gigantografia di una delle tavolette alfabetiche rinvenute a Este sottolinea l’aspetto didattico, abbastanza inusuale nell’antichità. Di fronte, vari gli oggetti iscritti che raccontano le diverse valenze della scrittura e le particolarità scrittorie locali: iscrizioni di carattere pubblico, privato, funerario, religioso. Al termine della sezione, un monitor con la riproduzione dell’alfabeto venetico invita il visitatore a riprodurre il proprio nome con gli antichi caratteri. Il visitatore, allontanandosi con il foglio così stampato, è invitato a depositarlo, quasi come un’offerta votiva, nella sezione successiva, l’area sacra, al cui ingresso trova due grandi iscrizioni: una dedica agli dèi dei confini, i Termonios deivos, e un’iscrizione che menziona lo “spazio sacro”.

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.Parole dal passato: la scrittura tra insegnamento e pratica

.Lo splendido privilegio delle offerte e dei sacrifici L’area destinata al sacro, evocativa del santuario di pianura, è a forma circolare e delimitata da tubi verticali che richiamano la radura circondata dalla vegetazione: l’insieme è di grande impatto. Al centro è situato un altare a cenere, la tipica struttura su cui venivano bruciate le offerte. Tutt’intorno, a terra, frammenti di vasi di terracotta, ovvero i resti delle offerte votive. A terra una videoproiezione riproduce l’effetto visivo di un corso d’acqua corrente - l’acqua era infatti molto spesso presente nelle aree sacre - a cui è abbinato l’effetto sonoro del fluire. Una voce narrante evoca poi il nome delle divinità e recita alcune preghiere. Sempre a terra, accanto all’altare, vengono riprodotte, mediante videoproiezione, le impronte degli animali che venivano portati al sacrificio. Un velario leggerissimo, adagiato su opportuni sostegni, fa da copertura, contribuendo a creare un’atmosfera raccolta e suggestiva. Alcuni dei tubi verticali posti lungo il perimetro, realizzati in plexiglas trasparente, rievocano l’immagine degli alberi a cui venivano appese le laminetta votive. Lungo il perimetro dell’area sacra, sono distribuiti oggetti votivi di varia natura, rinvenuti nelle diverse aree sacre del Veneto: ceramiche per le libagioni (coppe, tazzine), bronzetti, bronzetti su pilastrini, piccoli cippi, rocchettoni, fusaiole. Bronzetto raffigurante la “Dea di Caldevigo”, Este, V sec. a.C. (Museo Nazionale Atestino – Este)


Il filo conduttore del sacro continua anche nella sezione successiva: una sorta di via processionale conduce infatti verso il mondo dei morti, con specifico riferimento ai contesti necropolari di pianura. Sulla sinistra della via processionale la riproduzione di una serie di sei cippi monumentali rinvenuti a Este (altezza circa 1.80 m) dà l’idea della separazione degli spazi: il mondo dei vivi, nell’antichità, era infatti fisicamente distinto dal mondo dei morti. Sulla destra una videoproiezione a tutta parete propone l’immagine di una pira funebre, evocativa del più diffuso rito funerario: quello della cremazione. Lo spazio espositivo dedicato alle necropoli di pianura propone una cospicua serie di corredi funerari, rinvenuti a Padova, a Este, nel Veronese, ad Altino e a Oderzo. La sequenza inizia con le più antiche sepolture riferibili al IX-VIII secolo a.C. e prosegue con sepolture di VII-VI secolo, sia a inumazione sia a incinerazione. L’esposizione presenta tombe maschili e femminili, di adulti e di bambini, di persone appartenenti al medesimo gruppo famigliare, mettendo in evidenza come gli oggetti del corredo connotino il sesso del defunto e la sua appartenenza a un preciso ceto/ rango sociale e come particolari riti di sepoltura siano utili per comprendere le dinamiche sociali del mondo cui i defunti erano appartenuti in vita. Il VI secolo a.C. è rappresentato dalle due statue-stele funerarie rinvenute a Gazzo Veronese, centro situato in corrispondenza del confine sud-occidentale del territorio veneto. Le statue, situate lungo il percorso espositivo in una posizione di rilievo di fronte all’ultimo corridoio dedicato alle necropoli, appartenevano in realtà a un complesso funerario monumentale, il più antico attestato nel Veneto, riferibile a un gruppo aristocratico locale che doveva avere contatti con il mondo etrusco, così come lascia desumere la particolare tipologia delle statue che trova confronti con manufatti simili presenti in Etruria settentrionale. A questa realtà rinvia anche un’ascia bipenne che ha la medesima provenienza, confrontabile con materiali affini di ambito etrusco, ma totalmente sconosciuta come tipo di oggetto in area veneta. Nella parte conclusiva del percorso dedicato alle necropoli di pianura il visitatore incontra le sepolture del VI e di parte del V secolo a.C., alcune delle quali caratterizzate dalla presenza di grandi dolii. Alla fine del percorso è situata la cosiddetta stele di Camin che raffigura una scena di commiato tra un uomo e una donna: all’uomo, in partenza per il suo viaggio oltremondano, la donna regala un piccolo volatile, probabile allusione all’anima del defunto. Lasciato il mondo dei morti, il percorso continua fino alla sezione situata sotto il grande cavallo ligneo realizzato nel XV secolo per volere di Annibale Capodilista. Qui il visitatore incontra ancora il mondo dell’oltretomba, ma con una tipica caratteristica della cultura dei Veneti antichi: la sepoltura del cavallo.

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.Oltre la riva delle tenebre: le necropoli di pianura

Vaso a bande rosse nere dalla necropoli “Casa di Ricovero” di Este, V sec. a.C. (Museo Nazionale Atestino – Este)


.La galassia pedemontana

Dalle testimonianze degli autori antichi ben sappiamo che il cavallo, nel mondo dei Veneti antichi, ha avuto un ruolo importantissimo. Allevati per la loro valenza economica, i cavalli dei Veneti erano noti anche per la loro abilità nella corsa e talora erano presenti, sotto forma di ex-voto, nelle aree sacre. Non di rado venivano anche sacrificati, come si evince dalle testimonianze letterarie (Strabone, V, parla del sacrificio di un cavallo bianco a Diomede), oltre che dal dato archeologico: centinaia di bronzetti conformati a cavallo o a cavaliere su cavallo provengono infatti dai luoghi di culto di tutto il territorio abitato dai Veneti antichi e in alcuni casi si è visto che al cavallo era riservata una sepoltura in apposite aree di necropoli. Anzi, sono state addirittura individuate sepolture in cui il cavallo era deposto assieme all’uomo che di lui si era preso cura durante la vita. Data la sua ricorrenza in tanti aspetti della vita dei Veneti antichi, non è infrequente che il cavallo assuma una valenza emblematica e in tal senso compare, come elemento decorativo, su manufatti di vario tipo. Il visitatore può in questa sezione ammirare un imponente complesso funerario, databile al V secolo a.C., rinvenuto nella necropoli orientale di Padova, qui parzialmente ricostruito: un grande tumulo familiare, comprensivo di 6 sepolture a incinerazione entro dolio con i relativi corredi, ciascuno composto da circa una ventina di oggetti fittili e metallici. Ai lati delle tombe sono ubicate due eccezionali sepolture che appartenevano a questo complesso: una di un cavallo, una seconda di un uomo e di un cavallo sepolti insieme. Sulla parete di fronte viene esposta una serie di manufatti funzionali all’utilizzo del cavallo.

Lasciato il mondo dei cavalli, inizia la sezione conclusiva del percorso. Da qui in poi, il filo conduttore è la risalita verso gli abitati di altura, in un orizzonte cronologico che si estende tra il V e il III secolo a.C., ovvero nella seconda età del ferro. Completamente diverso è il mondo venetico arroccato sulle alture rispetto a quello, ormai lasciato alle spalle, stanziato nelle pianure. Un altro tipo di economia, altri tipi di abitazioni, contatti con altre realtà, sia pure nell’ambito di una stessa matrice culturale. Un’iscrizione posta all’inizio della sezione ricorda al visitatore che, pur nella diversa morfologia del terreno, sta ancora viaggiando nella terra dei Veneti: Venetkens, appunto, come recita il testo iscritto proveniente da Isola Vicentina. Questa sezione è dedicata alla presentazione degli abitati di altura situati nell’area dei monti Lessini veronesi e vicentini, di cui viene illustrata la vita quotidiana nelle sue diverse articolazioni. Accanto agli abitati viene presentato il mondo delle necropoli di cui vengono evidenziati i riti funerari e le peculiarità dei corredi. La ricchezza di alcuni corredi sia maschili sia femminili (con presenza di materiali celtici per la fase IV-III) e la raffinatezza di alcuni oggetti - in particolare monili, ma anche fibule, ganci, coltelli traforati, perle - lasciano pensare, anche per questa realtà collinare, a un mondo dinamico, in costante dialogo con le realtà contermini, certo non periferico o isolato.

Cavallino votivo da Oderzo, V- IV sec. a.C. (Museo Civico Opitergino – Oderzo)

Stele con iscrizione venetica rinvenuta a Isola Vicentina: al centro la parola Venetkens, V-IV sec. a.C. (Museo Naturalistico Archeologico di Santa Corona – Vicenza)

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.I signori dei cavalli


.In salita al bosco sacro, folto di alberi

Il viaggio immaginario si dipana ora in quattro piccole nicchie, ciascuna dedicata a un aspetto peculiare del sacro sulle alture pedemontane: una realtà spesso legata a pratiche mantiche o oracolari, come lasciano intendere i diffusi ritrovamenti di sortes, ovvero di tavolette/piccoli ossi con iscrizioni da cui si traevano auspici dopo averli gettati. Con la prima nicchia si sale idealmente al santuario di Magré di Schio, situato su una collina isolata in località Castello. Databile al III secolo a.C. e dedicato a una divinità femminile, il luogo di culto ha restituito una significativa serie di corna di cervo, appositamente forate per essere appese, con iscrizioni retiche. La seconda nicchia porta alla scoperta di quei luoghi di culto che hanno restituito dischi votivi in bronzo, decorati a sbalzo secondo la tecnica dell’arte delle situle, di cui possono essere considerati una tarda espressione: Ponzano, Isola Vicentina, Rosà, Montebelluna. La terza e la quarta nicchia portano nel mistero legato alle sortes, rispettivamente sulle alture di Asolo, dove è attestato un deposito votivo che ha restituito vari ossicini di maiale iscritti, e sul Monte Summano, nel Vicentino, sulla cui cima è stato rinvenuto un luogo sacro che ha restituito a sua volta numerose sortes.

Il viaggio immaginario volge, a questo punto, verso le ultime tappe. Il filo conduttore è una risalita dai luoghi sacri della fascia pedemontana a quelli dell’area alpina, la cui vita, iniziata nel corso della seconda età del ferro, si protrae fino ad epoca romana inoltrata. Una lunga lamina votiva, proveniente da Vittorio Veneto e posta sullo stipite della parete, costituisce l’elemento introduttivo. A seguire i materiali di recente rinvenimento (lamine e bronzetti) nel santuario di Villa di Villa. Il percorso culmina, in un’ulteriore risalita nello spazio, nei santuari dislocati nell’alta valle del Piave, nel Cadore e in Friuli: Lagole di Calalzo, Monte Calvario di Auronzo e Raveo. Luoghi di culto sorti in territori ricchi di fascino, in corrispondenza di una sorgente e di un laghetto o situato su un terrazzamento in prossimità della cima del monte. Una serie di oggetti racconta le attività che hanno avuto luogo in queste aree sacre: simpula, bronzetti armi e dischi votivi, tutti oggetti che altro non sono se non offerte, accanto a cui compaiono alcuni strumenti di macelleria, evocativi di sacrifici in onore delle divinità. Tra tutti questi oggetti, fanno la loro comparsa elementi che riconducono al mondo romano: dediche a divinità romane (Apollo), statuette di divinità romane (Mercurio) e monete di età repubblicana. Il panorama offerto dalla cultura materiale di questi santuari in molti casi parla di contatti tra popoli diversi, ma anche di una progressiva integrazione con il mondo romano.

Disco votivo da Montebelluna, VI sec. a.C. (Museo Civico di Treviso)

Disco votivo dal santuario del Monte Calvario, III sec. a.C. (Museo di Auronzo di Cadore)

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.Alla ricerca di un oracolo per gli uomini


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.L’arrivo dei Romani Ogni viaggio - vero o immaginario che sia - ha un momento conclusivo. Il viaggio immaginario nella cultura dei Veneti antichi finisce quando il mondo venetico viene assimilato, senza traumi, dalla cultura romana. Roma infatti, a partire dal II secolo a.C., espande il suo potere politico nei territori della Cisalpina, assorbendo le realtà locali e dando vita a nuove forme di civiltà. Il Venetorum angulus diviene quindi mondo romano a tutti gli effetti. Un processo che gli studiosi definiscono “romanizzazione”. L’ultimo oggetto esposto, che accompagna il visitatore all’uscita, è la stele patavina di Ostiala Gallenia, su cui è raffigurato, in un’efficace sintesi, tutto il processo della romanizzazione. Iconografia, apparato epigrafico, resa stilistica: ciascun elemento parla di un nuovo viaggio, un viaggio verso altri orizzonti: quelli della romanità. E percorrendo una strada romana - una via silice strata - proiettata sul pavimento il visitatore esce definitivamente dal mondo dei Veneti antichi, sentendo riecheggiare le parole di Tito Livio, che molto dei Veneti ha raccontato, e i versi di Catullo, che della romanità ha espresso la più profonda identità.

Stele di Ostiala Gallenia, II-I sec. a.C. (Musei Civici di Padova - Museo Archeologico)

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