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Spedizione in abbonamento postale 45% - art.2, comma 20/B, legge 662/96v - Filiale di Trento - Supp. alla rivista “Archivio trentino”, n.1/2000, periodico semestrale reg. dal Tribunale di Trento il 20.2.1997, n. 944 Direttore responsabile: Sergio Benvenuti - Distribuzione gratuita

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IN QUESTO NUMERO Processo a Michael Seifert, l’aguzzino del lager di Bolzano: intervista all’avvocato Sandro Canestrini a cura di Giuseppe Ferrandi e Paolo Piffer

Stragi in Trentino. Il terrore nel regno di Hofer di Giuseppe Ferrandi

Il rapporto Kappler di Giuseppe Pantozzi

Inaugurata la nuova sede del Museo storico

L’emigrazione in Cile. Un film sulla memoria di Paolo Piffer

STORIE rivista periodica a cura del museo storico in trento, anno secondo, numero quattro, novembre 2000 http://www.museostorico.tn.it


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STORIE Biglietto uscito clandestinamente dal lager di Bolzano

Processo a Michael Seifert, l’aguzzino del lager di Bolzano: intervista all’avvocato Sandro Canestrini a cura di Giuseppe Ferrandi e Paolo Piffer

Lager di Bolzano, Block E

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ntra nel vivo il 20 novembre prossimo, presso il Tribunale militare di Verona, il processo contro Michael Seifert, il caporale ucraino delle SS che, tra il dicembre 1944 e l’aprile del 1945, si rese protagonista di efferatezze, violenze e omicidi nel lager di Bolzano. Seifert, già prigioniero di guerra sovietico e convertitosi alla “causa” nazista, è accusato della morte di almeno diciotto detenuti del campo di concentramento di transito istituito dalle autorità militari tedesche. L’allora ventenne ucraino, addetto alla vigilanza, viene giudicato per il reato di “Concorso in violenza con omicidio contro privati nemici, aggravata e continuata”. “L’aguzzino del lager altoatesino non ci sarà, vive tranquillo e beato a Vancouver in

Canada e non ha mai risposto alle sollecitazioni della Procura militare di Verona. Certo, la richiesta di estradizione è stata inoltrata ma comporta tempi lunghi”, commenta Sandro Canestrini, l’avvocato roveretano che rappresenta al processo l’Unione delle comunità ebraiche italiane, costituitasi parte civile. “Questo procedimento nasce dalle segnalazioni della Procura tedesca di Dortmund alla Procura militare di Verona”, prosegue il legale. “In Germania, nel corso di alcuni procedimenti a carico di ex nazisti, era infatti saltato fuori il nome di Seifert. Siamo nel 1996/1997 e il procuratore militare di Verona Bartolomeo Costantini inizia una lunga e minuziosa ricerca di documentazione, interrogando e raccogliendo testimonianze in tutta Italia. Purtroppo, molti testimoni non ricordavano, altri erano morti. Comunque, sono state ricostruite con certezza le morti cruente di almeno diciotto detenuti del lager di Bolzano ad opera di Seifert. Non escludo, ma è tuttavia da verificare, che questi fatti siano contenuti anche in

alcuni tra i quasi settecento fascicoli ritrovati per caso a Roma nel 1995 in un armadio del tribunale militare e riguardanti crimini commessi dai nazisti in Italia”. Qual è l’attualità di questo processo? Che significato ha? “ Quei diciotto morti sono il simbolo di tutte le migliaia di uomini e donne uccise dal nazismo a Bolzano e altrove. Il capo di imputazione è un pozzo di orrore e terrore, mai ci si potrebbe immaginare una tale somma di crudeltà. Si può dire che nazismo e fascismo siano ben fotografati nell’attività di Seifert e che questa figura non sia certo l’eccezione. Ecco, se questo processo è inquadrato in un clima e in una situazione generali che attraversavano l’Europa e il mondo di quegli anni allora ha un suo significato. Non possiamo limitarci ad un singolo episodio ma contestualizzare”. Nel 1995 a Roma, per caso, furono ritrovati quasi settecento fascicoli riguardanti processi da intentare contro i nazisti per attività svolte in Italia. Fascicoli nascosti e insabbiati nel secondo dopoguerra. “E’


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STORIE strisciante, da un clima di latente appiattimento delle coscienze”. Potrà mai esserci una verità giudiziaria? “Ne sono certo. Finirà con l’ergastolo ma non basta. Interessa molto di più rendere nota ancora una volta la storia passata. Ricordiamoci che, come qualcuno ha detto, chi dimentica la propria storia è destinato a riviverla”. Qualche tempo fa in Trentino, a Storo, nel corso del carnevale, alcuni carri riprodussero tristi episodi del periodo

Biglietto uscito clandestinamente dal lager di Bolzano

nazista. Alla fine venivano liberate anche le colombe in segno di pace. Che cosa le suggerisce tutto ciò? “Io non sono disposto a fare la pace su questi fatti della nostra storia, a liberare le colombe. Ci sono dei punti precisi sui quali non transigo. Lo sterminio in nome di cosiddetti ideali non è perdonabile, è solo condannabile. E poi, anche qui, c’è stata poca sensibilità del mondo politico trentino, purtroppo…”

uno scandalo nazionale e internazionale di incredibili proporzioni” continua Canestrini. “I giudici nascosero volutamente quei fascicoli in un armadio. Si tratta di settecento processi per omicidio volontario, per strage. In pratica, quei magistrati si rifiutarono di celebrare i processi. Era tempo di guerra fredda, il mondo si era diviso in due blocchi. Tutto doveva essere messo a tacere, Italia e Germania ovest facevano parte del blocco occidentale. Si è impedito che l’opinione pubblica fosse informata e fosse fatta piena luce su quei crimini. Siamo stati privati anche delle lacrime per gli eccidi documentati nei fascicoli. E poi, nel 1995, quando il materiale fu ritrovato, il mondo politico ha taciuto di fronte a tutto ciò, non ha promosso alcuna mobilitazione pubblica né riflessioni e ragionamenti. Ecco perché un processo come quello di Verona, che ripropone le tematiche dell’antifascismo e dei diritti dell’uomo, è una scossa elettrica che può risvegliare l’opinione pubblica da un sonno della ragione Maria e Gemma Marsili, internate nel lager di Bolzano


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STORIE L’accusa

SEIFERT MICHAEL, nato a Landau (Ucraina) il 16 marzo 1924, residente a Vancouver (Canada).

Pubblichiamo il testo del capo d’imputazione nei confronti di Michael Seifert formulato dalla Procura militare di Verona. Si è ritenuto di non pubblicare i nomi di coloro che la Procura indica come “aiutanti” del Seifert ma anche, soprattutto, i nomi delle vittime. Una forma di rispetto nei confronti dei martiri che nulla toglie alla drammaticità degli eventi, alla crudeltà delle sevizie. Una pubblicazione doverosa, a memoria dei fatti perché questi non vengano dimenticati.

È imputato di: “Concorso in violenza con omicidio contro privati nemici, aggravata e continuata” (articoli 81 co. 2,110, 575, 577 n.3 e 4, 61 n.4 codice penale; 13 e 185 codice penale militare di guerra), perché durante lo stato di guerra tra l’Italia e la Germania, prestando servizio nelle forze armate tedesche, nemiche dello Stato italiano, con il grado di Gefreiter (o Rottenführer) delle S.S., equivalente a quello di caporale, e svolgendo in particolare le funzioni di addetto alla vigilanza del campo di concentramento di transito (Polizeiliches Durchgangslager) istituito dalle autorità militari tedesche in Bolzano, in un periodo compreso tra il dicembre 1944 e il mese di aprile del 1945, agendo da solo e talvolta in concorso con altri militari appartenenti alle S.S., in particolare con il concorso materiale di un altro ucraino rimasto identificato solo con le generalità di *** ovvero su prescrizione o con l’acquiescenza del soprintendente alle celle ***, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, senza necessità e senza giustificato motivo, per cause non estranee alla guerra, cagionava la morte di numerose persone (almeno diciotto) che non prendevano parte alle operazioni militari e si trovavano prigioniere nel menzionato campo di concentramento, adoperando sevizie nei loro confronti ed agendo con crudeltà e premeditazione. In particolare: 1) la sera di un giorno imprecisato del febbraio 1945, nelle celle d’isolamento del lager, in concorso con il ***, con il *** e con un italiano rimasto ignoto, portava un prigioniero non identificato nel gabinetto e lo torturava lungamente anche con il fuoco per indurlo a rivelare notizie, cagionandone la morte che sopravveniva la mattina del giorno successivo; 2) in un giorno imprecisato ma comunque compreso fra l’8 gennaio e la fine di aprile 1945, nelle celle d’isolamento del lager, in concorso con il *** uccideva una giovane prigioniera ebrea non identificata infierendo sul suo corpo con colli di bottiglia spezzati; 3) in un giorno imprecisato verso la fine del mese di gennaio 1945, nella cella d’isolamento posta di fronte a quella contraddistinta con il numero 29, su ordine di *** e in concorso con il ***uccideva una prigioniera di 17 anni, dopo averla torturata per cinque giorni con continue bastonature e versandole addosso secchi d’acqua gelida; 4) in un giorno imprecisato ma comunque compreso tra il 20 gennaio e il 25 1945, nelle celle d’isolamento del lager, in concorso con il *** e il ***, uccideva un prigioniero non identificato che, scoperto a sottrarre generi alimentari e di conforto da un magazzino, era stato ristretto in cella, lasciandolo senza cibo per tre giorni e bastonandolo fino a cagionarne la morte; 5) in un giorno imprecisato ma comunque compreso fra il 20 gennaio e il 25 marzo 1945, nelle celle d’isolamento del lager, in concorso con il ***, uccideva un prigioniero ebreo di circa 15 anni rimasto non identificato, lasciandolo morire di fame; 6) fra la fine di febbraio e l’inizio di marzo 1945, in concorso con il ***, nelle celle d’isolamento del lager, dapprima usava violenza carnale nei confronti di una giovane donna incinta non meglio identificata, indi le lanciava addosso secchi di acqua gelata per convincerla a rivelare notizie ed infine la uccideva; 7) nella notte tra il 31 marzo (Sabato santo) e il 1° aprile (Pasqua) 1945, in concorso con il ***, nelle celle d’isolamento del lager, dopo aver inflitto violente bastonature al giovane prigioniero ***, lo uccideva squarciandogli il ventre con un oggetto tagliente; 8) nel marzo 1945, in concorso con ***, *** ed altri militari tedeschi non identificati, sul piazzale del lager uccideva con pugni e calci un prigioniero che aveva tentato la fuga; 9) fra la fine di marzo e l’inizio di aprile 1945, nelle celle d’isolamento del lager, in concorso con *** e ***, colpiva con calci due internati non identificati e poi li finiva con colpi di arma da fuoco; 10) fra la fine di marzo e l’inizio di aprile 1945, nelle celle d’isolamento del lager, in concorso con il ***, uccideva un giovane prigioniero non identificato massacrandolo e poi ne introduceva il cadavere nella cella completamente buia nella quale era ristretta un’internata, la quale decedeva di lì a poco; 11) fra la fine di gennaio e il mese di febbraio 1945, nelle celle d’isolamento del lager, in concorso con il ***, torturava lungamente un giovane prigioniero non identificato anche con l’infilargli le dita negli occhi, cagionandone la morte; 12) fra il 1° e il 15 febbraio 1945, nelle celle d’isolamento del lager, in concorso con il ***, uccideva la prigioniera ***, ebrea, e la figlia di costei ***, torturandole per circa due ore, versando loro addosso acqua gelida e infine strangolandole; 13) il 1° aprile 1945 (giorno di Pasqua), nelle celle d’isolamento del lager, in concorso con il *** uccideva un giovane prigioniero non identificato dopo averlo torturato per circa quattro ore; 14) in un giorno imprecisato dei mesi di febbraio o marzo 1945, nei locali dell’infermeria del lager, in concorso con il ***, picchiava con un manganello un giovane italiano rimasto non identificato fino a fargli perdere coscienza e lo lasciava nell’infermeria dove il giovane decedeva per le ferite riportate; 15) in un giorno imprecisato del dicembre 1944, e comunque poco prima del giorno 25, su ordine del responsabile della disciplina maresciallo *** e agendo in concorso materiale con il ***, sul piazzale del lager, dopo aver legato alla recinzione del campo un prigioniero che aveva tentato la fuga, alla presenza di tutti gli altri prigionieri fatti appositamente schierare a titolo di ammonizione, lo colpiva selvaggiamente e lo lasciava legato alla recinzione, cagionandone la morte che sopraggiungeva entro la mattina del giorno successivo.


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STORIE Stragi in Trentino. Il terrore nel regno di Hofer di Giuseppe Ferrandi

on la strage del 28 giugno 1944 anche coloro che si erano illusi circa le intenzioni del Terzo Reich impegnato, con la costituzione dell’Alpenvolarnd, a garantire un futuro di tranquillità, sicurezza e “autonomia” per il Trentino, compresero che il nazifascismo avrebbe usato i metodi terroristici contro i partigiani e contro i civili, come nel resto dell’Italia e dell’Europa occupata. Tra Riva, Arco, Nago-Torbole e Rovereto furono all’alba uccisi partigiani ma anche alcuni civili colpevoli di essere sospettati di attività cospirative. Caddero sotto il fuoco degli agenti tedeschi undici persone nella sola mattinata del 28, ad essi vanno aggiunti altre cinque persone che trovarono la morte durante la prigionia, a causa delle tor-

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ture, delle botte o, nel caso di Manci, in base alla decisione estrema di togliersi la vita. Poche settimane dopo, fu la volta della strage di Malga Zonta nelle vicinanze di Passo Coe (Folgaria). Anche in questo caso fu una strage che colpì alcuni civili. Non tutti, infatti, erano partigiani combattenti, c’erano con loro alcuni ragazzi di malga. Quattordici furono le vittime, fra le quali il comandante Bruno Viola, “il marinaio”, fucilati lungo il muro della porcilaia il 12 agosto. Passò l’autunno e l’inverno del 1944-45. La resistenza in Trentino era stata colpita mortalmente dalla schiacciante presenza militare nazista. Nonostante ciò furono centinaia coloro che vennero arrestati e processati dal Tribunale speciale dell’Alpenvorland, rin-

chiusi nel campo di concentramento di Bolzano e inviati definitivamente verso lo sterminio oltre il Brennero. A fine guerra, il passaggio e la ritirata delle truppe tedesche produsse nuovi lutti. Conflitti a fuoco e vere stragi vi furono a Aldeno, Caldonazzo, Dermulo, Vattaro. Infine, a guerra finita, la strage più grave: quella di Stramentizzo e dei paesi della valle di Fiemme con i suoi quarantatre morti. Una vicenda dolorosa, ancora difficile da ricostruire nelle sue dinamiche più specifiche, e sulle quali, grazie all’acquisizione di nuovi documenti (la relazione compilata dal boia delle Ardeatine, col. Kappler) e di nuove testimonianze, la ricerca storica può oggi tentare di ricostruire.

[…] Kappler era notoriamente un esperto in massacri, essendo stato l’organizzatore della strage delle “Fosse Ardeatine” in Roma il 24 marzo 1944 e, come tale, considerato dai comandi alleati e dal governo italiano un criminale di guerra. Il suo rapporto sui fatti di maggio costituisce, in sostanza, una difesa del cap. Bertchtold e dei suoi uomini. Sono nove cartelle dattiloscritte, firmate “Kappler, SS Obersturmbannführer”, nelle quali i militi SS sono definiti ansiosi di evitare scontri, mentre i partigiani sono definiti indisciplinati (“indiszipliniert”), un aggettivo non molto offensivo, se paragonato a quelli usati dai nazisti prima del 2 maggio. Qui di seguito vengono riassunti i quattro temi principali che Kappler affronta nel suo rapporto: a) La sparatoria di Miravalle e la cattura dei prigionieri. Il comandante della colonna aveva raccomandato ai suoi militi di evitare, in qualsiasi circostanza, incidenti, provocazioni e scontri con

Herbert Kappler

trasportati nei boschi (“in die Wälder verschleppt”) durante il conflitto a fuoco col reggimento (“während des Feuergefechts mit dem Regiment”). […] b) Dopo la sparatoria e la cattura. L’ufficiale di ordinanza (un “Obersturmführer”, cioè un tenente), benché dolorante, perché percosso col calcio di un fucile, iniziò pacificamente a trattare con i partigiani, affinché concedessero il ricovero dei sessantasette prigionieri nell’ospedale di Cavalese. Era presente ai colloqui l’autista del Kübelwagen, salvatosi dall’attacco a Miravalle. I partigiani sarebbero stati propensi ad acconsentire alla richiesta, ma due carabinieri di Molina intervennero per sconsigliare ai partigiani quella concessione. […] c) L’attacco a Stramentizzo Non è chiara la causa dell’incidente (“Verfall”).Si possono fare due ipotesi: forse le prime file del reggimento in marcia sono state oggetto di tiri da parte dei parti-

Malga Zonta

Il rapporto Kappler di Giuseppe Pantozzi Pubblichiamo di seguito la traduzione di alcuni punti del rapporto del tenente colonnello SS Herbert Kappler, “Bericht über Zusammenstosszwischen Kräften des CLN u. deutschen Einheiten in Raum Predazzo in val di Fiemme (Bundesarchiv Berlin, R 70, Italien, Band 7), così come introdotta e proposta da Giuseppe Pantozzi nel suo volume Il Minotauro argentato. Contributi alla conoscenza del movimento di resistenza di val di Fiemme, ed. Museo storico in Trento, 2000 (pp. 152-156)

i partigiani. La colonna di avanguardia, formata dal Kübelwagen e dai tre camion, fu assalita dai partigiani con conseguenze gravi per i tedeschi (von Partisanen überfallen). Si ebbero fra l’equipaggio del Kübelwagen: - 2 soldati morti - il medico mortalmente ferito. Fra i trasporti con camion: - 2 militi SS prelevati, portati a Molina e poi trovati in una cantina, uccisi con un colpo alla nuca - 67 militi feriti e malati (“Verwundete und Kranke”)


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STORIE

La strage di Stramentizzo

Dall’archivio del Museo storico le testimonianze sui fatti di Stramentizzo

giani insediati nelle case di Stramentizzo e, da qui, la reazione del reggimento; forse l’autista del Kübelwagen (catturato a Miravalle, poi fuggito e ora di nuovo inquadrato nel reggimento) ha visto la segheria di Stramentizzo, passando, l’ha riconosciuta come la sede dei partigiani, additandola ai commilitoni, i quali aprirono il fuoco. Berchtold sostiene la prima tesi: le sue truppe, attaccando Stramentizzo, non agirono, ma reagirono ai tiri partigiani. La popolazione sostiene, invece, che i partigiani era acquartierati nella segheria, non nel villaggio, che non aprirono il fuoco e che non erano più di una decina. Si deve propendere per la tesi del capitano, soldato autentico, misurato, corretto, dopo aver considerato alcuni dati di fatto: - le salme dei cinque partigiani caduti non erano tutte presso la segheria: - l’auto del capo dei partigiani, saltata in aria, fu trovata bruciata a mezza via fra il villaggio e la segheria; - parti metalliche di fucili e di mitra furoro trovati fra le macerie fumanti delle case; - l’affermazione che i partigiani erano una decina risulta tanto ridicola quanto sfrontata, se si considera che avevano catturato ben sessantasette tedeschi.

Quindi: l’evento di Stramentizzo fu una reazione ai tiri sul reggimento, provenienti dalle case di Stramentizzo, altrettante postazioni dei partigiani, nel momento in cui il reggimento marciava sulla strada fiancheggiante il villaggio. Le conseguenze dell’azione, che fu innegabilmente un atto di guerra (“eigentliche Kampfhandlung”) : cinque partigiani caduti, tre civili morti, quattordici case distrutte. […] d) L’attacco a Molina Il cap. Berchtold ha assicurato che la causa dell’incursione su Molina è stata la stessa dell’incursione su Stramentizzo. Colpi di fucileria sparati dalle case sul reggimento in marcia. La popolazione nega questa circostanza e afferma: i militi SS sono apparsi sparando e hanno attraversato il paese incendiando e saccheggiando. Anche in questo caso va preferita la tesi del capitano, considerando che: - le case bruciate sono quelle che, da un punto di vista militare, risultavano le più adatte come postazioni di tiro (in relazione al percorso che il reggimento doveva fare); - due soldati sono stati uccisi in una cantina di Molina; - l’ufficiale d’ordinanza fu rinchiuso in un carcere di Molina;

- il medico militare, morente, fu trasportato a Molina. Conseguenza dell’attacco: dieci case bruciate, ventisette morti, secondo il calcolo della popolazione. Il punto centrale del rapporto Kappler è, a mio parere, l’insistenza con la quale definisce i sessantasette prigionieri “invalidi e malati”. Non erano un gruppo di soldati secondo il tenente colonnello, ma un gruppo di infermi. L’ufficiale d’ordinanza, anch’egli prigioniero dei partigiani, ma tenuto separato dai sessantasette prigionieri, avrebbe parlato con i partigiani della necessità di un ricovero urgente dei prigionieri in un ospedale. E i due carabinieri di Molina sarebbero stati fucilati non per aver costretto in caserma, nella notte, l’ufficiale, ma per aver sconsigliato il ricovero ospedaliero. Il ten. col. Kappler, evidentemente, intende minimizzare la consistenza militare e la capacità d’azione di quel gruppo di militi. E con ciò, con un tratto, pone in cattiva luce i partigiani (insensibili davanti a uomini malati) e elimina tutti gli interrogativi, comunque imbarazzanti per la parte tedesca, che quella prigionia di sessantasette soldati pone. Tutto sommato, una difesa, abilmente confezionata e, vista come tale, certamente apprezzabile.

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ore 5 in seguito morì durante la notte all’Ancora di Molina’

dal Paese. Fatale vicinanza che fu di grave danno all’esiguo abitato! La auto si fermò si accettò la resa senza danni e si fecero circa una quarantina di prigionieri che vennero verso sera trasportati sulle alture circostanti - e poscia all’alba del dì dopo lasciati liberi a quanto pare. La mattina stessa verso le ore 7 si iniziò all’ora una vera e propria lotta. Infatti un discreto numero di SS si piazzarono, (posizione per loro brillante!) sulla stradone che domina le segherie. Ebbero ben presto ragione sui patrioti che vennero in parte uccisi feriti

aria Janeselli La signora De Janeselli riassume di aver sentito da una Signora del Paese di Miravalle: ‘su Miravalle il giovedì avvenne la prima scaramuccia tra un reparto della C.S.T. e 2 partigiani in moto. All’ingiunzione di fermarsi 2 tedeschi aderirono subito l’altro sparò uccidendo uno dei due partigiani, il compagno si vendicò sparando una scarica di mitraglia che provocò il ferimento di un capitano medico che fu trasportato in un maso adiacente a Stramentizzo. Verso le

Isotta Zacchia Gabrielli Qualcuno, pare l’autista, dopo la morte del capitano medico sfuggì all’attenzione dei patrioti e raggiungendo il reggimento che da tempo si vociferava doveva passare per questa vallata per raggiungere il comando a Predazzo. Intanto nello stesso giorno avvenne nei pressi delle segherie una altra scaramuccia tra una autoblinda ed un manipolo di patrioti postesi a riparo delle cataste di legname a circa 300 passi


7 Affresco sulla casa di Giov. Battista Daprà (detto Tisti) da lui eseguito in Molina di Fiemme

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STORIE dispersi! Il cannoneggiamento in tanto diminuiva si allontanava, ma per noi dell’abitato invece si avvicinava maggiormente il pericolo. Infatti iniziarono la marcia verso le case che cominciano da quella del figlio del povero guardiaboschi Orlando Bazzanella che è agente del Barone Longo proprietario della maggior parte dei fondi del Paese sunnominato. Fu nella sua abitazione che si iniziò la nefanda opera. La maestra del paese moglie del Bazzanella madre di una tenera creatura venne aggredita le fu tolto il piccolo, glielo volevano ammazzare, fu colpita alle sue disperate preghiere col calcio del fucile volevano a tutti i costi sapere del marito che per fortuna fu da essa preventivamente cacciato sotto la stufa e coperto con il lettino (si bruciacchiò la giacca di pelle) le spaccarono la credenza i vetri lanciarono bombe a mano al letto e le intimarono infine l’her Haus [Heraus]! Lesta fuggì con la sua creatura ma la casa divampò mentre il marito a stento riuscì tra il fumo a farsi un varco e fuggire su per i boschi. Indi ogni casa fu saccheggiata presi di mira i fienili più grandi e cioè i 4 d’angolo! tutto fu ben presto un falò.. La chiesa ricevette dal tetto una bomba che per grazia divina non esplose. Quasi tutti più o meno subirono in quella terribile mattina le conseguenze della rabbia attilesca di quegli energumeni. Io personalmente e come ripeto alcune donne e bimbi che si trovarono con me grazie alla posizione della stalla molto interna dove ci trovavamo non fummo scoperti però quando non vidi più tornare mio marito ed il padrone di quella casa con la figlia pensammo, dopo aver sentiti tra gli spari il cannoneggiamento e le grida laceranti, di scappare. Orrore! tutto il paese pareva dovesse finire in un cratere. Riuscimmo tremanti, (io scalza

col mio unico fardello, la mia piccola) a fuggire piangendo, un uomo rimase precedentemente ucciso nella fuga, lo seppi dopo. Riuscimmo a guadagnare carponi la strada ed un altro [uomo] fu tolto dal letto dove si trovava da due mesi con artrite o reumatismi dopo di averne saccheggiato la casa (tolti dei denari e bruciato il divano ed il letto) fu malamente cacciato e ucciso davanti alla moglie che coraggiosamente resistette e la figlia del paralizzato ferita alla mano. Ormai però essi [i tedeschi] erano già passati e dalla prima casa all’ultima erano arrivati assieme ai masi che bellamente circondavano le alture arsi [i masi] bruciando in una di esse tre donne delle quali non rimase neppure traccia. Non bastava! le segherie unica risorsa del povero paese vennero arse […] Così mentre tutta la mia dolce cara Patria festeggiava la tanto agognata pace io lontana dai miei cari sola a lottare vedevo stando dalla finestra di un maso lontano infrante le mie speranze per un domani. Più che altro vedere quel bruciare a lento fuoco e del sapere di tante vittime anche il marito mio credevo ormai morto. (Si salvò perché parlava tedesco!) tutto ciò mi fece terribilmente soffrire. Credo che la vergine di maggio ci salvò da tanto eccidio (circa una 20 [ventina] di persone tra i combattenti alle segherie e di paesani) ed a essa rimarrò sempre profondamente devota salvandomi dopo tanto peregrinare da sicura rovina della famiglia … PS. Accludo alcune firme che comprovano l’autenticità del mio riassunto nonché i relativi fatti più salienti perché questo scritto possa essere di giovamento ai poveri sinistrati. Famiglia Chinetti Verso le ore 7 alcuni SS vollero con prepotenza forzare la porta,

accorse la signorina Anna alla quale ingiunsero spianando l’arma chiedendo se in casa vi si trovassero persone italiane alla negativa risposta essi lo stesso penetrarono ed anzitutto scacciarono le donne dalla casa, che era adibita a serra e canonica, gettando bombe a mano in cantina che esplosero subito. Poi salirono e non contenti entrarono nell’appartamento dell’anziano appiccandovi il fuoco, così pure alle lettiere con ingente danno saccheggiando e razziando di ciò che si trovava di valore. Ida Tonini Alle prime sparatorie recandosi alla fontana fu accolta da una salva di mitraglia (rimase illesa) poi si tappò in casa con la vecchia madre e due bimbi. Quando la sparatoria cessò essa dalla porta socchiusa vide almeno 4 SS sparando con il fucile mitragliatore per entrare. Una volta entrati trucidarono in modo veramente barbaro un povero paralitico degente da anni nel letto. Dopo la consueta scarica, non contenti l’accoltellarono gli spararono alla nuca, poscia appiccarono fuoco alle coperte così che il disgraziato morì coi piedi carbonizzati. Fecero la consueta razzia delle cose di valore, cacciarono la moglie e il figlio. Si diressero verso la casa della suddetta Signora e con i consueti sistemi gridarono: Her Haus [heraus]! fuori di casa! essa prima di fuggire avvertì due poveri fuggiaschi tedeschi che spauriti si nascosero e fu una fortuna per la sua casa perché fu da essi salvata dall’incendio, in tanto i componenti della famiglia mi raggiunsero in una stalla dall’interno del paese dove le donne e i bimbi che non erano stati visti si erano cacciati.


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STORIE Mostre, seminari, cicli di film, pubblicazioni, incontri pubblici, attività didattiche, ricerche sull’Ottocento e il Novecento

AGENDA È prossima l’uscita, in un numero limitato di copie, della terza edizione corretta ed ampliata della memoria autobiografica di Ines Pisoni Mi chiamerò Serena. Il volume, che narra le vicende vissute dalla protagonista negli 1939-1945 e il suo incontro con Mario Pasi, inaugura una nuova serie della collana di pubblicazioni del Museo storico in Trento, dal titolo Memorie e testimonianze.

Il 19 ottobre 2000 è stato presentato a Civezzano il racconto di Mariolina Damonte, Strade senza fine, pubblicato sul n. 1/2000 di Archivio trentino. Il racconto, che trae spunto da una vicenda reale della fine Ottocento e che ebbe per protagonista una sordomuta, è stata illustrato e commentato, alla presenza di un folto pubblico, da Quinto Antonelli. L’iniziativa è stata organizzata dalla locale biblioteca intercomunale.

Editoria

Esaurita la prima edizione de Il Minotauro argentato di Giuseppe Pantozzi, il Museo storico in Trento è in procinto di pubblicarne la seconda riveduta e corretta. L’opera è stata presentata il 5 ottobre a Cavalese in due diversi momenti: la mattina per le scuole e il pomeriggio per la cittadinanza. Hanno partecipato, oltre all’autore, nel corso dell’appuntamento mattutino Luigi Dappiano e in quello pomeridiano Giuseppe Ferrandi, Casimira Grandi e Valentino Proietti, assessore alla cultura del comune di Cavalese. L’iniziativa è stata organizzata dal Comune di Cavalese con la collaborazione della locale biblioteca

Archivio della scrittura popolare

Come anticipato sul n. 2 di «Altrestorie» è prossima l’uscita del romanzo utopistico di Amos Giupponi Orkinzia. Il volume, a cura di Quinto Antonelli, sarà disponibile nelle librerie dal mese di dicembre e compare alla vigilia del cinquantesimo anniversario della morte del tipografo, scomparso a Chiari (BS) nel 1951. La prima edizione del romanzo risale al 1908.

Convegni

Si è svolto il 18 e 19 ottobre 2000 il 2. Colloquio europeo incentrato su Storia, istituzioni e diritto in Carlo Antonio de Martini (1726-1800). Carlo Antonio Martini (1726-1800), nativo di Revò, in Val di Non, fu esponente di primo piano della cultura giuridica absburgica della seconda metà del secolo XVIII. La poliedrica attività di precettore e consigliere di Corte, giurista, docente universitario, funzionario e alto burocrate che egli svolse, presenta molti aspetti (talvolta contraddittori) degni di attenzione, che ne fanno una figura emblematica dell’”Assolutismo illuminato”. L’iniziativa, frutto della collaborazione tra le Università di Innsbruck e Trento, l’Istituto austriaco di cultura di Milano e il Museo storico in Trento ha consentito uno scambio di idee e di conoscenze molto proficuo tra gli studiosi intervenuti tanto che si pensa a futuri incontri per valorizzare oltre a Martini anche altre personalità del Settecento trentino.

Archiblioteca

La Biblioteca del Museo storico in Trento ha aderito al coordinamento Ultranet promosso dall’Ufficio provinciale del sistema bibliotecario trentino. Le finalità del coordinamento sono quelle di programmare gli acquisti di banche dati su CDROM e di facilitarne la consultazione in rete.

Laboratorio didattico

Si è svolto dal 19 ottobre al 15 novembre il previsto corso di aggiornamento per insegnanti delle scuole medie inferiori e superiori sul tema dell’Italia repubblicana: storiografia, fonti, didattica.

Convenzioni

È stata di recente firmata una convenzione fra il Museo storico in Trento, l’Università di Trento-Dipartimento di scienze umane e sociali e il Museo civico di Rovereto per la promozione di iniziative e progetti comuni nel settore della storia della scienza.

È stato di recente pubblicato un nuovo libro della serie Didattica. Si tratta del volume Uomini e donne in guerra: 1943-1945 che propone per mezzo di vari documenti un percorso attraverso le principali tematiche dell’esperienza di guerra vista nelle sue molteplici e tragiche dimensioni.


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ALTRE

STORIE Mostre, seminari, cicli di film, pubblicazioni, incontri pubblici, attività didattiche, ricerche sull’Ottocento e il Novecento

AGENDA Sito web

Inaugurata la nuova sede del Museo storico

Il sito web del Museo storico in Trento si è arricchito di una nuova pagina. Su suggerimento e sollecitazione di Alberto Pattini, consigliere di direzione, sono stati resi disponibili gli elenchi dei caduti trentini nel corso della prima guerra mondiale. Per ora la ricerca prende in considerazione solo il nucleo cittadino e i sobborghi di Trento. Integrano l’elenco dei caduti in divisa italiana, curato da Caterina Tomasi, e quello dei caduti in divisa austro-ungarica, curato da Alberto Pattini, le schede dei monumenti ai caduti in provincia di Trento censiti ed utilizzati per il suo lavoro di tesi da Arianna Tamburini.

È stata inaugurata ufficialmente il 25 ottobre scorso la nuova sede degli archivi e biblioteca del Museo storico in Trento in piazza Torre d’Augusto, a fianco del Castello del Buonconsiglio e vicino alle restaurate scuole “Sanzio”. Nuovi spazi quindi per la biblioteca (aperta al pubblico dal lunedì al venerdì, con orario continuato, dalle 9 alle 16.00), gli archivi e gli uffici. Due anni e mezzo di lavoro per una spesa di 1 miliardo e 420 milioni, finanziati per il 70 % dalla Provincia autonoma di Trento e per il rimanente 30% dal Comune di Trento. Autorità ma anche soci e cittadini hanno partecipato all’inaugurazione, sobria ma significativa. Una tappa importante nella vita del Museo che sempre più, oltre all’intensa attività di ricerca, vuole aprirsi alla comunità cittadina, provinciale e regionale. Hanno pronunciato parole di apprezzamento l’Assessora alla Cultura Micaela Bertoldi e il Dirigente generale del Dipartimento Istruzione e Cultura della Provincia autonoma di Trento Claudio Chiasera. Il Vicepresidente del Museo Gianni Faustini e il Direttore Vincenzo Calì hanno illustrato gli obiettivi e i proVia Bernardo Clesio, 3 38100 TRENTO Tel. 0461 230482 fax 0461 237418

getti dell’Istituzione. Il prof. Gianmaria Varanini ha esposto un’interessante relazione sulla nascita del Museo nell’ambito delle origini e sviluppo degli interessi collezionistici in Trentino. Infine il prof. Sergio Benvenuti ha ricordato la figura di Bice Rizzi, prima direttrice del Museo, dall’atto della fondazione nel 1923 fino alla sua scomparsa avvenuta nel 1982.

ALTRESTORIE - Periodico di informazione Comitato di redazione: Giuseppe Ferrandi, Paolo Piffer, Rodolfo Taiani, Patrizia Marchesoni. Hanno collaborato: Sandro Canestrini, Luca Dal Bosco, Giuseppe Pantozzi

Momenti dell’inaugurazione

Museo storico in Trento onlus http://www.museostorico.tn.it; e-mail: museostorico@museostorico.tn.it

Per ricevere la rivista o gli arretrati, fino ad esaurimento, inoltrare richiesta al Museo storico in Trento. In copertina: Michael Seifert a venti anni.


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ALTRE

STORIE L’emigrazione in Cile. Un film sulla memoria di Paolo Piffer

La partenza

Fino ad allora non avevamo mai visto il mare”. Parla così un emigrante trentino ricordando l’imbarco a Genova, nei primi anni cinquanta, destinazione Cile. Viaggio tranquillo ma approdo difficile, spesso tra-

gico, una vita di stenti e miseria, non certo la terra promessa che era nelle speranze di tutti. L’idea era venuta alla Regione Trentino Alto Adige. In provincia di Trento i disoccupati, alla fine degli anni

quaranta, tempi di ricostruzione e ricostituzione di un tessuto sociale e produttivo disgregato dal secondo conflitto mondiale, erano circa 25.000. La proprietà terriera era formata da piccolissimi appezzamenti che spesso davano alle famiglie appena il necessario per sfamarsi. Si rendeva necessario, secondo chi governava la Regione, ricomporre le proprietà agricole. Che fare? L’emigrazione collettiva, non certo una novità per queste terre, venne ritenuta una possibilità che l’allora assessore regionale alle attività sociali, il democristiano Riccardo Rosa, così delineava: “E’ una valvola di sfogo, i cui vantaggi, se non sono perfetti, sono però indiscutibilmente positivi”. Detto, fatto, i rapporti tra l’allora presidente del consiglio Alcide De Gasperi e il presidente cileno Gabriel Gonzales Videla, oltre ai soldi che il piano Marshall destinava agli esperimenti di colonizzazione in America Latina, portarono, in due successive ondate, tra il 1951 e il 1952, più di 900 trentini, 140 famiglie di volontari, nella zona di La Serena, capoluogo della regione di Coquimbo e luogo originario, guarda caso, del presidente cileno. Fu un esperimento disastroso. In particolar modo la seconda colonizzazione si rivelò devastante. I terreni assegnati erano salati e sabbiosi, non adatti alla coltivazione, le abitazioni malsane e prive di servizi, mancava l’acqua, difficoltà di ogni tipo caratte-

rizzarono la vita delle famiglie. E poi c’erano contratti ben precisi che stabilivano i piani di ammortamento per il pagamento di quelle terre. Nel corso degli anni successivi molti trentini si trasferirono in altri paesi del Cile e dell’America Latina, altri ritornarono in Italia, alcuni riuscirono a resistere e i discendenti si trovano ancora là. Non fu, e non è, una bella pagina della storia locale. Un’esperienza di emigrazione assistita che vide, non certo tra i comprimari, la Regione Trentino Alto Adige, Giunta e Consiglio (che approvò, il 12 aprile 1951, la legge di finanziamento della colonizzazione con 37 voti a favore e 2 contrari) e che coinvolse istituti quali la CITAL, società italo-cilena per l’emigrazione italiana, l’ICLE, istituto di credito per il lavoro italiano all’estero, il CORFO, ente cileno propulsore di attività economiche in Cile e la Cassa di colonizzazione agricola cilena. Questa storia difficile e dolorosa viene ora raccontata da “I Cileni”, film documentario di Luca Dal Bosco, 37 anni, regista trentino, attualmente in corso di preparazione. Cinquanta minuti prodotti dalla FilmWork di Trento che già in passato si è occupata di ricerca storica e documentaristica, mettendola su pellicola. La consulenza storica è di Diego Leoni mentre le belle musiche sono del compositore bolzanino Emanuele Zottino. Il filo conduttore è un giovane reporter, Mario, interpretato da Pier Francesco Fe-


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ALTRE

STORIE è rappresentato dalla voce dei protagonisti l’altro dai pensieri del reporter. In ultimo, ma non per ultimo, il materiale documentario. Abbiamo raccolto circa 400 fotografie e 100 ore di interviste audio. Infine, oltre a numerosi documenti cartacei, siamo riusciti a recuperare filmati dell’epoca tra cui alcuni girati dall’Istituto Luce. Direi che il film – conclude Dal Bosco – cerca di imporre, al di là della storia di Il benvenuto alla presenza del presidente Videla (secondo da destra)

drizzi, giornalista della “Repubblica”, che si imbatte in queste vicende e vuole riportarle alla luce, fare memoria. Intervista, ricerca, scopre nuovi materiali documentari e verità inconfessate, inchioda alle proprie responsabilità uomini e istituzioni. “La cifra stilistica del film - dice Dal Bosco - è la risultante dell’intreccio di alcuni elementi. Vi è una pista di “immagini letterarie”, di riferimenti alle opere che si occupano di emigrazione, attraverso una serie di cartelli (scritta bianca su sfondo nero) che sottolinea alcuni momenti centrali del film e del percorso intimo di Mario. Il reporter infatti partecipa, simpatizza, con la storia e i suoi protagonisti. Il Cile, per Mario, diventa, mano a mano, un luogo della mente. L’immagine della famiglia di migranti che viene intervistata è poi costruita per essere un’icona, la camera è fissa, la si vuole rappresentare come recipiente di affetti dentro il quale si è risolto il dramma dei coloni. Nel film vi sono inoltre due livelli di qualità audio. Uno

La casa

Il terreno

emigrazione, una riflessione sul ruolo della memoria in questi nostri giorni così poco inclini a rivolgere lo sguardo al passato. Alla fine noi crediamo nella memoria – dice il protagonista ad un certo punto - perché tutto è passato, e l’unica cosa che ci resta è la memoria”. (Si ringrazia per la collaborazione Renzo Tommasi, ricercatore universitario che su questi argomenti sta preparando un saggio)



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