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Spedizione in abbonamento postale 45% - art.2, comma 20/B, legge 662/96 - D.C.I.Trento - Periodico quadrimestrale registrato dal Tribunale di Trento il 9.5.2002, n. 1132. Direttore responsabile: Sergio Benvenuti - Distribuzione gratuita - Tax perçue-ISSN 1720-6812
STORIE ALTRE
IN QUESTO NUMERO Michelin: un futuro per la memoria di Giuseppe ˇerrandi
La cronistoria di Rodolfo Taiani
Giuseppe Mattei: un sindacalista in prima linea di Paolo Piffer
La lettera inedita: la Michelin scrive al Vescovo di Trento
Era la fabbrica di Luigi Sardi
Territori abbandonati: la ex Montecatini di Mori di Angiola Turella
rivista periodica a cura del museo storico in trento, anno quarto, numero dieci, novembre 2002 http://www.museostorico.tn.it
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STORIE ALTRE
Michelin: un futuro per la memoria di Giuseppe Ferrandi
Lo stabilimento Michelin intorno al 1930
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on questo numero di “AltreStorie” si vuole proporre una riflessione che incrocia il tema della destinazione urbanistica dell’area ex Michelin. Questione complessa e strategica al centro del Piano Regolatore del Comune di Trento che ha giustamente suscitato l’attenzione di addetti ai lavori e di quella parte di opinione pubblica interessata a nuove proposte per la città e il suo futuro. Si è all’inizio di un dibattito comunque positivo, un segno di vivacità e una disposizione all’innovazione e alla sperimentazione comune a quanti, fuori e dentro l’amministrazione municipale, stanno ragionando su questi temi. L’auspicio è che si individuino le forme per coordinare esigenze e funzioni diverse, per pensare in grande senza necessariamente prefigurare scelte difficili da sostenere sul piano dei costi e del successivo mantenimento. E’ positivo che sul piano del metodo sembra prevalere l’indicazione di coloro che chiedono la condivisione di un progetto generale, la valorizzazione dell’esistente e del potenziale offerto dalle istituzioni culturali e museali della città, la necessità di determinare sinergie. Il focus di questo numero è rappresentato dalla storia della Michelin, un nome ma anche un luogo-simbolo della trasformazione della città e del Trentino.
Questa estate la questione è stata posta da alcuni protagonisti del mondo del lavoro degli anni Sessanta e Settanta. Molti di loro si sono espressi affinché la demolizione dell’imponente struttura e la determinazione di nuovi spazi culturali non significasse la rimozione e la cancellazione di quel “pezzo” di memoria. Ci sono molteplici modi per ricordare, descrivere e indagare il rapporto tra la città e la sua fabbrica più rappresentativa e importante. C’è un aspetto legato alle lotte sindacali e ad una storia che ha visto intrecciarsi la rivendicazione dei diritti dei lavoratori ad una prospettiva di emancipazione, tradottasi nelle forme di una partecipazione diretta e in quelle di un nuovo protagonismo sociale e politico. Michelin, con le sue difficili vertenze e con i tentativi di realizzare un avanzato laboratorio sindacale, ha esercitato la propria capacità di trascinare, ma allo stesso tempo di dividere, i vari attori presenti sul territorio e nella società, coinvolgendo in questo vorticoso rapporto migliaia di persone. Una classe operaia che ha incontrato gli studenti della Facoltà occupata, ma che ha anche costituito con le proprie lotte un fattore di radicale cambiamento interno alla società e alla comunità trentina. Michelin non è solo lotte sindacali e protagonismo dei lavorato-
ri, è qualcosa di più, che va oltre. L’area dove è sorta e si è sviluppata a cavallo della guerra e in particolare negli anni Sessanta era circondata da campagne, posta alla periferia di una Trento lontana anni luce dalle attuali caratteristiche e vocazioni. La storia dello stabilimento e della sua linea di produzione, con il passaggio da una produzione tessile ad una di tipo metalmeccanico, hanno accompagnato il mutamento, hanno scandito i tempi di una trasformazione profonda, materiale e immateriale. E’ uno dei segni della transizione che ha interessato a livello economico e strutturale il Trentino e il suo capoluogo passando da un modello prevalentemente agricolo ad un modello industriale, ma è anche un registro sul quale sono stati incisi i cambiamenti di mentalità e di costume. La storia di quel mutamento epocale rischia di essere disperso nonostante le buone intenzioni di singoli, associazioni o istituzioni come il Museo storico. Attrezziamoci per impedire che si determini questo vuoto di memoria collettiva. Ricordiamoci che tra la città dei sobborghi rurali, la città di Degasperi e Battisti, e quella odierna che ospita l’università e gli istituti di ricerca impegnati in campi avanzati del sapere, i palazzi che governano l’autonomia, c’è comunque qualcosa di significativo.
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STORIE ALTRE
La cronistoria di Rodolfo Taiani
Lo stabilimento Michelin alla vigilia della chiusura
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onclusa la prima guerra mondiale, la domanda sempre più pressante di pneumatici indusse la Michelin, nata nel 1898, a creare in Italia una nuova unità produttiva destinata alla fabbricazione di filati di cotone, indispensabili nella confezione delle coperture, dopo che nel 1919 era stato introdotto un nuovo tipo di pneumatico basato su strati di fili paralleli anziché tele in gomma incrociate. Nel rispetto degli indirizzi di politica industriale del Governo italiano, tesi a favorire gli insediamenti industriali nelle province da poco annesse al Regno d’Italia, la scelta dell’ubicazione di questo nuovo stabilimento cadde su Trento. Nel 1926 fu così iniziata sulle sponde dell’Adige, presso «Palazzo delle Albere», su di un’area di 115.000 mq, la costruzione del «servizio filatura», nome ben presto cambiato in «cotonificio trentino». L’attività produttiva fu avviata nel
1930, mentre la consacrazione solenne dello stabilimento al Sacro Cuore di Gesù avvenne il 13 settembre 1931. Il 6 maggio 1934 fu, invece, ufficialmente inaugurato l’edificio - già completato sul finire del 1933 -, che accoglieva la mensa operai e il pensionato femminile dove alloggiavano le numerose operaie provenienti da fuori città. Precedentemente tali servizi erano stati ospitati presso il palazzo delle Albere. Seguì il difficile periodo della guerra: a metà
giugno del 1940 lo stabilimento fu sottoposto a sequestro governativo, revocato solo il primo gennaio 1946, mentre in uno dei bombardamenti del 1943 fu colpita e gravemente danneggiata la sala filatura. L’introduzione del radiale, rivoluzionario pneumatico brevettato nel 1946 e commercializzato a partire dal 1949, che prevedeva una struttura a strati in filo d’acciaio disposta perpendicolarmente al battistrada, portò radicali cambiamenti nell’industria trentina. Nel 1957, infatti, s’inaugurò l’attività di trafilatura e cordatura dell’acciaio: ma è anche l’anno in cui l’Azienda aprì la sala cinema-teatro, uno spazio ricreativo che diverrà ben presto luogo di appuntamento domenicale per un vasto pubblico formato non solo da dipendenti, ma anche da esterni all’azienda. Il massimo sviluppo dello stabilimento fu raggiunto, infine, fra il 1963 e il 1966, quando venne realizzato
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STORIE ALTRE
Clermont Ferrand: delegazione di sindacalisti trentini davanti ai cancelli della casa madre sul finire degli anni sessanta
il nuovo reparto di trafilatura. Gli anni immediatamente successivi saranno quelli della contestazione operaia e studentesca e del mutamento di strategia da parte della Michelin. La costruzione a Fossano, in Piemonte, di uno stabilimento per la fabbricazione del cavo d’acciaio innescò una sorta di competizione fra le due industrie e l’inizio di un lento ridimensionamento del polo produttivo di Trento.
Con gli anni Settanta iniziò così un processo di lenta e progressiva riduzione del personale che conobbe un’accellerazione nel decennio successivo. Contemporaneamente s’iniziò a parlare anche di chiusura, ipotesi contrastata solo parzialmente dall’ altra prospettiva di apertura di un nuovo stabilimento, seppur di dimensioni minori, a Spini di Gardolo. Nel susseguirsi di voci e ipotesi sul destino dell’industria si
giunse così al 1997, anno della definitiva cessazione da parte della Michelin di ogni attività produttiva a Trento e dell’inizio di un intenso dibattito sulla destinazione d’uso dell’ex area Michelin sfociato già nel 1998 in una prima rassegna di conferenze e relativa mostra, promosse dall’Assessorato istruzione, educazione permanente e biblioteche del Comune di Trento e dal titolo “La fabbrica e la città”.
Centro di documentazione sui movimenti politici e sociali in Trentino È stato costituito dal Museo storico nel 1989 e ha il compito di raccogliere documentazione d’archivio, libri, opuscoli, periodici, materiali a stampa, fotografici e audiovisivi relativi ai movimenti sociali, culturali e politici attivi in Trentino dagli anni Sessanta in poi. Fino ad oggi sono stati acquisiti 34 fondi archivistici di persone di associazioni culturali, ma anche delle federazioni provinciali dei partiti, dei gruppi extra parlamentari, materiali documentari sulle lotte sindacali. È stata costituita inoltre una biblioteca ed emeroteca specializzata. Oltre a questa attività di raccolta, il Centro di documentazione ha organizzato o collaborato ad appuntamenti di studio sulla realtà sociale, politica e culturale degli anni Sessanta e Settanta tramite cicli di
conferenze, rassegne cinematografiche, appuntamenti seminariali. Nel 1998 il Museo, in coproduzione con la Filmwork di Trento, ha realizzato un documentario sul movimento studentesco a Trento negli anni Sessanta dal titolo “Le due città”, per la regia di Lorenzo Pevarello e la cura storica di Diego Leoni. Si può richiedere copia della cassetta vhs presso gli uffici del Museo dietro versamento del solo rimborso spese di € 7,00 per la riproduzione. Responsabile del Centro è Giuseppe Ferrandi Tel. 0461.230482 e-mail: info@museostorico.it Altre informazioni e l’elenco dei fondi archivistici sono consultabili al seguente indirizzo: www.museostorico.it/cdr/default.htm
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STORIE ALTRE
Giuseppe Mattei: un sindacalista in prima linea di Paolo Piffer
Giuseppe Mattei sul palco
A detta di molti è stato il sindacalista che meglio ha rappresentato la volontà della classe operaia trentina di affrancarsi da uno stato di subalternità rispetto alle logiche padronali di sfruttamento della forza lavoro. Dopo anni di lotta, Giuseppe Mattei, 76 anni, ripercorre quegli anni, dai Cinquanta ai primi Settanta, che lo hanno visto protagonista della vita sindacale della provincia, ma anche interlocutore di una realtà sociale in movimento. Una realtà contrassegnata dall’istituzione della Facoltà di
sociologia a Trento e dall’emergere di nuove domande e aspettative di vita che svegliarono dal torpore, non senza dolorose lacerazioni, un territorio sonnacchioso e ancora culturalmente, ma anche materialmente, arretrato. La Michelin di via Sanseverino fu il terreno di lotta privilegiato, il luogo dove sperimentare accordi innovativi, uno spazio di crescita della consapevolezza dei propri diritti, civili e politici. Di formazione cattolica, quella conciliare del magistero di papa Giovanni XXIII e attento ai principi egualitari del marxismo, Giuseppe Mattei, funzionario dell’ufficio provinciale del lavoro, diventò segretario provinciale delle Acli nel 1947. L’anno seguente, insieme a Lorenzo Toffolon e Tullio Barozzi, diede vita alla Libera confederazione generale del lavoro (Lcgl) per poi essere nominato, nel 1950 e ininterrottamente fino al 1974, segretario provinciale dei metalmeccanici (Fim) della Cisl. “Per capire il clima degli anni Cinquanta - esordisce Mattei - basti pensare che ai rappresentanti della Cgil era vietato far parte della Commissione interna composta da Fim e Uilm (i metalmeccanici della Uil). Infatti, la Michelin era una
fabbrica che godeva degli aiuti del Piano Marshall; quelli della Cgil erano comunisti e, quindi, niente Commissione interna, se si volevano avere le commesse americane”. Dal punto di vista sindacale, ma anche sociale, cosa ha rappresentato la Michelin? “La Michelin è l’azienda dove più si è sviluppata la contrattazione aziendale, prima propugnata solo dalla Cisl e poi anche dalla Cgil quando, nel 1956, ha potuto far parte della Commissione interna. La contrattazione alla Michelin è sempre stata accompagnata da grandi mobilitazioni e lotte a causa dell’intransigenza della proprietà, nota, anche a livello internazionale, per la sua linea di paternalismo verso i dipendenti (servizi sociali e ricreativi in cambio di mano libera in termini di condizioni di lavoro e di retribuzione) e di negazione di rapporti corretti e costruttivi con le organizzazioni sindacali. Essendo la Michelin la maggiore azienda in provincia di Trento (nel 1970 arriverà a 1561 dipendenti), ha rappresentato il punto di riferimento e il sostegno pratico anche alle vertenze nelle aziende minori”. Tra il 1956 e il 1960 lei fu anche, contemporaneamente con l’incarico sindacale, assessore alle attività economiche del Comune di Trento, eletto nelle fila della Dc. “Esatto. Quell’incarico era importante per poter sostenere l’intervento pubblico nel processo di industrializzazione del Trentino, quello era l’obiettivo. Di quegli anni fu la predisposizione della zona industriale della Clarina ma anche, con il contributo della Regione, l’operazione di salvataggio della Caproni che fu rilevata da una società pubblica, la
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STORIE ALTRE
15 maggio 1974: assemblea degli operai nel cortile dello stabilimento. Sul palco il ministro del lavoro Gino Bertoldi e il segretario nazionale della FIM-CISL Pierre Carniti (foto Giorgio Salomon)
Aeromere. Per comprendere, in termini sociali, cosa significasse il processo di industrializzazione del Trentino basta ricordare il tema di un convegno che, come Cisl, organizzammo nel 1958, presente Nino Andreatta ”L’industrializzazione del Trentino contro la politica dell’emigrazione”. Quali furono i momenti salienti della vita sindacale alla Michelin? “Il primo fu nel 1961. C’era in ballo il passaggio dal contratto dei tessili a quello dei metalmeccanici. Si passò dalla produzione dei copertoni fatti prevalentemente di cotone a quella di cavetti in acciaio. La richiesta principale era di avere la mezz’ora pagata per la mensa, prevista dal contratto dei tessili e non da quello dei metalmeccanici. Fu una vertenza boicottata dalla Cgil che non scioperò. Voleva ricucire i rapporti con la direzione dopo l’ostracismo degli anni precedenti ma era anche contraria alla contrattazione aziendale integrativa. Una scelta che si riteneva indebolisse la contrattazione nazionale e l’unità della classe operaia. Per la Fim-Cisl fu invece una scelta strategica a livello nazionale e la prima, di questo tipo, in Trentino”. Gli anni Sessanta come proseguirono, sul terreno delle lotte sindacali? “Nel 1964 la vertenza era per il premio di produzione. Si ottenne di speri-
mentare l’aggancio del salario - fino ad allora attribuito prevalentemente dalla direzione in maniera discriminata - all’andamento della produttività generale dello stabilimento. Attraverso una formula, determinata dal rapporto tra la produzione globale e le ore lavorate da tutti nell’arco dell’anno (P/H), si arrivava all’indice di produttività. Quella trattativa fu l’inizio di un processo democratico all’interno della fabbrica. Tutte le maestranze, mano a mano, venivano consultate e votavano i vari punti. Lo si faceva davanti ai cancelli perché il diritto di assemblea interna non c’era ancora. Poi, nel ’68, dopo 60 ore di trattativa, alle 3 e mezza di una mattina ottenemmo altri importanti risultati, approvati dagli operai, ad ogni cambio turno, davanti all’entrata. Nel 1969, io per la Fim, Sandro Schmid per la Fiom e Del Buono per la Uilm costituimmo lo SmuT (Sindacato metalmeccanico unitario Trento), con sede e tessere unitarie. Il 29 maggio di quell’anno si svolse a Trento la prima manifestazione unitaria di massa. La polizia ci aggredì davanti alla Michelin e fui ferito. Seguirono altri pestaggi davanti alla Ignis, alla Marzotto e in altre fabbriche”. In quegli anni di svolta, qual era il rapporto con la società trentina? Che ti-
po di coinvolgimento? “Si riuscì a coinvolgere le forze più vive della società che contribuirono alla crescita del protagonismo delle classi subalterne. Mi riferisco a quella parte di società trentina che faceva riferimento al Concilio Vaticano II e quindi alle Acli, al vescovo Gottardi, alla pastorale del lavoro di don Giuseppe Grosselli, a don Dante Clauser ma anche alla sinistra Dc e ai partiti della nuova sinistra come Psiup e Mpl. Inoltre, con il movimento studentesco ci sono stati rapporti dialettici e collaborativi, almeno con la parte meno estremista. A questo proposito ho ben presente un convegno, nel luglio del ’68 tra operai e studenti con la presenza di Bruno Trentin per la Fiom-Cgil e di Macario della Cisl ma anche le iniziative sul territorio riguardanti le politiche dei trasporti, della casa, della sanità, delle pensioni e della pianificazione urbanistica”. Le vostre rivendicazioni unitarie avevano un coinvolgimento a livello nazionale? “Certo, avevamo il sostegno delle componenti più avanzate della dirigenza sindacale nazionale, da Pierre Carniti della Fim-Cisl, a Bruno Trentin per la FiomCgil a Giorgio Benvenuto della Uilm-Uil nonostante l’unità sindacale, in Italia, fosse ben lontana come, d’altra parte, a livello
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STORIE ALTRE
maggio 1968: Sandro Schmid e Giuseppe Mattei in un momento degli scontri davanti alla Michelin (foto Giorgio Rossi)
internazionale. Proprio a questo proposito, era la fine degli anni Sessanta, con una delegazione sindacale unitaria andammo a Clermont Ferrand, casa madre della Michelin, per incontrare i sindacalisti francesi. Fu un disastro. I sindacalisti comunisti, in pratica sequestrarono Sandro Schmid e gli altri della Fiom-Cgil perché quell’iniziativa, il tentativo di internazionalizzare rivendicazioni comuni, non era condivisa dalla centrale francese o, comunque, doveva essere autorizzata dalla Federazione sindacale mondiale che raggruppava i sindacati di orientamento comunista. Volevamo fraternizzare e fummo costretti a giustificarci”. Non fu certo un buon viatico per le lotte che vi attendevano in Italia. “Direi proprio di no. Le vertenze dei primi anni Settanta furono particolarmente dure. Nel 1971 adottammo l’autolimitazione della produzione e gli scioperi a scacchiera. La direzione della Michelin ci denunciò alla Magistratura, che, influenzata dalla destra democristiana, gli diede ragione. In tutto, ho subito decine di processi. Sempre la direzione mandò una lettera all’arcivescovo
Gottardi che denunciava il nostro comportamento, ritenuto “eversivo”, e minacciava gravi ritorsioni se non avesse bloccato il sostegno che avevamo dai sacerdoti e dalle associazioni cattoliche più avanzate. Nel 1974, quando le rivendicazioni coinvolsero anche lo stabilimento di Fossano, in Piemonte, fummo tutti denunciati per violazione di proprietà privata per aver indetto un’assemblea all’interno della fabbrica. La denuncia colpì anche il Ministro del lavoro, il socialista Gino Bertoldi, il segretario nazionale della Fim-Cisl, Pierre Carniti, don Grosselli e don Clauser che avevano partecipato all’incontro, era il 15 di maggio. E’ di quegli anni l’ “occupazione” del Duomo, nel corso del Quaresimale. Il Vescovo consentì ad un’operaia di leggere un intervento dal pulpito sulle ragioni della lotta, dando così il suo sostegno alle rivendicazioni ope-
raie. E poi ricordo molto bene la partecipazione di massa ad una manifestazione al Sociale, a favore del divorzio, in cui erano presenti l’abate Franzoni e la parlamentare Luciana Castellina”. A che conclusioni arrivò quella vertenza così dura? “La Fiom-Cgil, con Schmid, dopo 400 ore di sciopero, firmò l’accordo. Dietro c’erano anche le spinte del Pci nazionale e locale e di Ugo Panza, segretario provinciale della Cgil-Camera del lavoro, che volevano si arrivasse ad un compromesso, come a Fossano. Io non firmai l’accordo perché rimaneva a cottimo una parte del salario e si riduceva la composizione e la funzionalità dell’esecutivo di fabbrica. E poi l’esperienza unitaria trentina, nonostante l’appoggio di Pierre Carniti, non era ben vista a livello nazionale, ma neanche locale. Fui espulso dalla Fim trentina insieme a tutto il direttivo. L’esperienza trentina, per me, si chiudeva - ma anche per Schmid che prese la via della segreteria nazionale della Fiom a Roma - e accettai di andare alla segreteria provinciale milanese dei metalmeccanici dove mi occupai dell’Alfa Romeo di Arese che allora contava 16.000 dipendenti”.
I protagonisti delle lotte operaie degli anni Sessanta e Settanta hanno così commentato, nel luglio scorso, le diverse ipotesi formulate sul destino dell’ex area Michelin: “[…] Non possiamo dimenticare. Non sarebbe giusto. Cancellare ogni traccia sarebbe come fare violenza alla storia e alla cultura del Trentino. Ecco che allora mi sento di avanzare una proposta: la creazione di uno spazio aperto dedicato all’archeologia industriale” (Sandro Schmid, “l’Adige” 21 luglio 2002). “[…] Ci sono molti aspetti e ragioni per la realizzazione di un “luogo” che ricordi e, ricordando, utilizzi un pezzo non insignificante della storia industriale trentina…” Ma adesso, prima che le ruspe senz’anima cancellino tutto un passato, evitiamo di compiere un altro errore, un’altra cancellazione di memorie utili al futuro dello sviluppo della nostra terra. Un invito quindi a tutti […] a spingere per la realizzazione di un piccolo progetto che non deve morire per ignoranza, per prevalenti interessi economici o per mettere una pietra tombale su storie ed esperienze che magari non si sono condivise, ma non per questo possono essere meno utili a quel confronto dialettico sulla costruzione del futuro” (Giuseppe Mattei, “Trentino” 24 luglio 2002).
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STORIE ALTRE
La lettera inedita: la Michelin scrive al Vescovo di Trento
SOCIETÁ PER AZIONI MICHELIN ITALIA Stabilimento: 38100 TRENTO via Sanseverino, 47
All’inizio degli anni Settanta lo scontro fra operai e alta dirigenza della Michelin raggiunge livelli di grave tensione. Lo testimonia una lettera inedita del 1970, che proponiamo ai lettori di AltreStorie, nella quale l’ing. Giancarlo Borrella della Michelin scrive al vescovo di Trento Alessandro Maria Gottardi, chiedendone l’intervento per risolvere una difficile situazione il cui perdurare avrebbe potuto portare anche a “conclusioni spiacevoli”.
Trento, 15.5.1970
A S.E. Mons. Alessandro Maria Gottardi Arcivescovo di TRENTO
Oggetto: Rivendicazioni sindacali presso la S.p.A. MICHELIN Italiana – Stabilimento di Trento In data 2 del decorso mese di aprile le Organizzazioni Provinciali dei Lavoratori di Trento indirizzarono alla Associazione Industriale ed alla Direzione del nostro Stabilimento di Trento una richiesta di incontro al fine di discutere una serie di rivendicazioni a livello aziendale. La piattaforma rivendicativa risultò articolata in nove punti, suddivisi in richieste normative e richieste di carattere economico. A soli tre mesi dall’entrata in vigore dell’accordo 21 dicembre 1969 (8.1.1970) per il rinnovo del C.C.N.L. della Industria Metalmeccanica, le Organizzazioni Provinciali dei Lavoratori pretendono, quindi, l’accoglimento di un insieme di rivendicazioni complessivamente molto pesanti. In particolare, venne richiesto all’Azienda: a) di riconoscere i delegati di reparto; b) di conferire ad un “consiglio dei delegati di reparto” la caratteristica di agente contrattuale per le rivendicazioni a livello integrativo aziendale. A tale organismo dovrebbero essere concessi permessi e guarentigie, in modo da assicurarne una completa funzionalità; c) lo scioglimento della Commissione Interna ed il passaggio delle relative attribuzioni ai rappresentanti sindacali. Come si constata in modo evidente, le predette richieste normative contrastano sia con le norme del precedente C.C.N.L. 15.12.1966 che con le nuove disposizioni dell’accordo 21.12.1969 (8.1.1970). Sotto il profilo economico vennero presentate le seguenti richieste: 1) Perequazione delle paghe di Stabilimento. 2) Istituzione di paghe personali per i cottimisti con mantenimento del livello retributivo raggiunto, in caso di qualsiasi spostamento di posto di lavoro. 3) Istituzione di tre scatti di anzianità del 5%. 4) Abolizione della 4ª e 5ª categoria . 5) Istituzione di una indennità di lavoro notturno di circa £. 1.000 per notte. 6) Aumento del premio annuo (pre-feriale) esistente in Stabilimento dalle 80 ore (del 1969) a 208 ore di retribuzione globale di fatto (nel 1970 è già stato previsto da un precedente accordo aziendale di portare il premio a 100 ore). Pur tenendosi conto dei notevoli oneri conseguiti alla recente applicazione del nuovo C.C.N.L. metalmeccanici, l’Azienda volle compiere un passo in avanti in favore dei lavoratori e dichiarò la propria disponibilità a trattare, mantenendo però il dialogo su un piano di serietà e di concretezza. Tale trattativa venne articolata in due parti onde assicurare un esame approfondito e produttivo. Nell’interno dello Stabilimento si riunirono: la Direzione, la Commissione Interna e le rappresentanze di lavoratori. Gli incontri in tale sede raggiunsero una fase soddisfacente e si tradussero per molti posti
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Gli operai in Duomo chiedono al Vescovo Gottardi di leggere una lettera sulle loro rivendicazioni (foto Giorgio Salomon)
di lavoro alla eventualità di accordare un aumento del valore medio di £. 25 orarie. Riportata in sede sindacale, le conclusioni raggiunte tra i lavoratori e l’Azienda nell’interno dello Stabilimento non vennero approvate dalle Segreterie Provinciali dei Sindacati, i quali mantennero, pure, in modo quasi completo, le richieste economiche presentate in prima istanza. Sul piano concreto, l’Azienda presentò le proprie conclusioni in ordine alle varie richieste offrendo diverse concessioni economicamente apprezzabili. Nonostante la buona disponibilità dell’Azienda le Organizzazioni Sindacali ruppero deliberatamente le trattative dichiarando unicamente che era già troppo tempo che lo Stabilimento Michelin di Trento non entrava in sciopero mentre da parte loro si ravvisava opportuno che le concessioni debbano essere strappate con la forza, in modo da tenere costantemente agitati i lavoratori e la piazza. I termini della buona disponibilità aziendale possono essere valutati esaminando la seguente documentazione allegata: 1) copia di lettera inviata ai lavoratori dipendenti; 2) copia del comunicato della Direzione esposto in fabbrica; 3) tabella dei livelli retributivi degli operai di SAMI Trento. Con riferimento a quanto sopra esposto, questa Azienda segnala la situazione determinatasi affinché i fatti possano essere valutati in tempo, con serenità e obiettività. A questo proposito, non è certamente pensabile che, senza particolari motivi eversivi, le Segreterie Provinciali dei Sindacati di Trento abbiano deciso di rinunciare ad una serie di concessioni non solo interessanti sul piano dei rapporti interni di fabbrica ma soprattutto economicamente valide. L’Azienda ha infatti esaminato con molta serietà e attenzione le varie rivendicazioni, d’altra parte così presto aggiuntesi a quelle definitive in sede contrattuale. Tale nuovo sforzo economico dell’Azienda avrebbe dovuto essere, però, compensato da una normalità produttiva e sindacale, all’interno dello Stabilimento, ciò in riferimento pure alle leggi economiche alle quali nessuno può sottrarsi. Una risposta alla serietà di intenti dell’Azienda è stata ancora data in questi giorni dai Sindacati i quali hanno fatto sì che la produzione nello Stabilimento sia scesa di oltre il 60%, facendo così commettere una azione illecita sia sotto l’aspetto contrattuale che legale. Rimane chiaro che, a fronte di questa situazione, l’Azienda non potrà certamente migliorare in futuro le proprie concessioni mentre, per contro, sarà facile che non possano essere mantenute neppure quelle preannunciate. Per contro, in mancanza di un regolare approvvigionamento dei semi-lavorati dello Stabilimento di Trento, l’Azienda sarebbe costretta a sospendere dal lavoro circa 11.000 dipendenti delle varie unità produttive. In questa fase di rapporti di lavoro del tutto atipici e di azioni illegali commesse da chi segue l’indirizzo delle Segreterie sindacali metalmeccaniche di Trento, si ritiene doveroso sottoporre alla Sua cortese attenzione il caso determinatosi, particolarmente per la eventualità che un progressivo deterioramento della situazione possa condurre, in un secondo tempo, a conclusioni spiacevoli non solo per l’Azienda, ma pure per i lavoratori dipendenti. Nell’incontro, voglia gradire i migliori saluti (dott. Ing. Giancarlo Borella)
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Era la fabbrica di Luigi Sardi
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ra la certezza del posto di lavoro, della buona paga, della continuità nell’occupazione. S’indovinava anche una forma di orgoglio quando l’operaio diceva “io lavoro alla Michelin” nome pronunciato alla trentina, raramente alla francese. Generazioni di concittadini hanno percorso quel Lungadige Sanseverino per raggiungere i cancelli dello stabilimento, timbrare il cartellino, cominciare un’altra giornata di lavoro sotto quei capannoni che ancora oggi conservano un loro fascino. Nel Trentino, ma è già passato mezzo secolo, il nucleo dei lavoratori si era formato nei durissimi anni del primo dopoguerra, fra il 1950 e il 1960. Si sgobbava. Ma si intravedeva un futuro. Si arrivava in bicicletta, ma si poteva sognare la Vespa. Certo, il padrone era particolarmente autoritario e la gestione dentro, qualche volta anche fuori la fabbrica, era severa e repressiva. Però si scopriva un sindacalismo che cresceva, che era lì sul grande cancello, fra la fine del turno di notte e l’inizio del turno di giorno. Insomma all’alba. Per riprendere, fra sigarette fumate in fretta, un dialogo, un discorso che di giorno in giorno diventava sempre più importante ed era sempre più ascoltato e condiviso. Attorno a Trento, le tradizioni operaie non erano molto estese perché a dominare era l’agricoltura, più ricca di pellagra che di raccolti, stretta attorno al campanile e salvo rare eccezioni, mai aperta al progresso. Più importante era la tradizione operaia nel roveretano. Comun-
que Michelin, Sloi, Italcementi erano punti di forza, ben prima che arrivasse la Ignis di Spini di Gardolo chiamata da Flaminio Piccoli la cattedrale del lavoro. La Michelin si era insediata sul territorio della città nei primi decenni del ventesimo secolo e nel lungo arco di tempo che l’aveva vista al massimo del fulgore produttivo, contava 1500 operai che, con le rispettive famiglie, corrispondevano a 5000 forse 6000 cittadini. Quella popolazione ha ricavato dalla fabbrica benefici di ordine economico e sociale e nello stesso tempo ha contribuito alla crescita della città. Era uno stabilimento moderno e socialmente all’avanguardia in quanto metteva a disposizione dei lavoratori e delle loro famiglie, strutture di tutto rispetto: la mensa, un grande teatro dove il dopolavoro aziendale organizzava incontri culturali, feste e balli a carnevale e capodanno e spazi per lo svolgimento di attività sportive: il tennis, la pallavolo, le bocce, il calcio. Il giornalismo trentino, alla fine degli anni Cinquanta, si interessava poco a quello che avveniva nella fabbrica, salvo nei giorni di festa che solitamente coincidevano con la distribuzione dei pacchi dono nei giorni del Natale e la Befana per i figli dei dipendenti. A distribuirli nel teatro della Michelin, arrivavano le autorità di spicco della città e nelle redazioni era un gioco di fioretto per evitare d’attribuire, nelle didascalie delle fotografie, l’appellativo di befana magari alla consorte del commissario del governo o a quella del questore. Ma si scoprivano anche
valenze culturali, oltre che sociali ed economiche che erano un importante punto di riferimento per tutta la città. Ricorda un recentissimo studio dell’Associazione artistico-culturale “Formato Arte” fatto da Diego Mazzonelli e dagli architetti Manuela Baldracchi e Fulvio Nardelli imperniato proprio sulla Michelin, come fra gli anni che vanno dal 1940 al 1980, non venivano prese decisioni di ordine urbano-sociale senza confrontarle con la presenza importante della Michelin, con il pensiero della grande fabbrica e di quello che poteva essere il suo futuro. Ancora oggi a Trento, il nome Michelin rimanda ad eventi vissuti con grande intensità, i suoi vecchi capannoni di elegante fattura architettonica, richiamano giornate di fatica, ma anche occasioni di vita collettiva, di esperienze nuove, di un patrimonio complessivo che non deve essere cancellato. E’ attorno al 1964 che i tre giornali della città, sia pure con taglio diverso, “entrano” nel mondo del lavoro. E’ vero, le biciclette hanno lasciato il posto alle moto e poi, improvvisamente, sono arrivate - sia pur pagate a colpi di cambiale - le Seicento, uno dei pochi fiori all’occhiello della Fiat che in quegli anni aveva ancora per motto “Terra-Cielo-Mare”, con Mirafiori a rappresentare il sogno di ogni metalmeccanico in cerca di certezze. L’ingresso massiccio nel mondo del lavoro dei giovani che avviene appunto alla metà degli anni Sessanta diventa l’elemento decisivo per comprendere il fenomeno scoppiato in quell’epoca oramai
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entrata nella storia della Nazione come Autunno Caldo. Anche loro provengono dalle valli e dalle campagne, spesso è la prima volta che vedono una fabbrica dall’interno, sanno poco del sindacato, s’interessano poco alla politica o più esattamente, vivono nella solida tradizione dei loro paesi che è cattolica e democristiana. I giornali avvertono questo nuovo momento che vede l’industria aumentare l’occupazione ma intensificando e razionalizzando drasticamente il lavoro lo rende faticosissimo e pericoloso. Nelle redazioni aumenta l’attenzione agli infortuni sul lavoro che coincide con l’installazione delle più elaborate catene di montaggio. Alla Sloi si scopre la mortalità da piombo
tetraetile, all’Italcementi quello delle polveri che soffocano gli abitanti di Piedicastello, alla Prada i fumi che sanno di naftalina e scatenano raffreddori allergici e crisi d’asma. Sono gli operai della Michelin a scendere per primi in piazza in difesa della salute e contro i salari che sono rimasti bassi. Cortei di mille operai Michelin ai quali si aggiungono i lavoratori di altre fabbriche sono eventi eccezionali per una comunità, come quella trentina, chiusa, assopita nelle proprie tradizioni improvvisamente scossa, e anche violentemente, dai contenuti e dai metodi delle prime contestazioni studentesche. Il maggio del 1968 fu fortemente caratterizzato dalla lotta dei lavoratori della Michelin con i
quali iniziò un rapporto sempre più intenso con gli studenti di Sociologia. Culminò il 28 maggio con un enorme corteo e più o meno in quegli anni cominciò a crescere la risposta degli industriali e di una parte del potere politico dell’epoca, scatenando una sequenza di interventi repressivi che, tenuto conto della limitata dimensione industriale della città, ebbero una intensità senza confronti. La massa degli operai Michelin fece da scudo alle cariche della Celere, ai processi nei confronti di sindacalisti e militanti della sinistra, agli attentati, che avevano preso di mira le fabbriche, l’Università, i sindacalisti, culminati nella mancata strage del gennaio 1971 davanti a palazzo di giustizia. Se non passò la strategia della tensione, se i danni - pur gravi - rimasero limitati, lo si è dovuto anche ad un giornalismo sempre più presente, sempre più testimone anche lui cresciuto nelle molte albe passate sui cancelli di via Sanseverino.
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STORIE ALTRE
Territori abbandonati: la ex Montecatini di Mori di Angiola Turella
I
l dibattito di questi anni sul riuso del complesso ex Montecatini di Mori, così come in misura diversa il confronto sull’area della ex Michelin a Trento, sottolinea anche nell’ambito di questa provincia i problemi e le valenze della dismissione dei grandi insediamenti industriali. In Europa, dopo una serie di importanti interventi di trasformazione avviati già negli anni Ottanta, questo tema ha assunto il significato di un nuovo modo di trasformare la città e il territorio: il piano per la deindustrializzazione e il recupero del bacino minerario della Ruhr, il riuso di aree più tradizionalmente urbane come i Docklands di Londra, il quartiere Bicocca di Milano, il Lingotto di Torino e, ancora, il piano di riconversione approntato dall’Iri per le aree siderurgiche di Genova, Taranto e Bagnoli, esemplificano come la questione delle aree dismesse rappresenti un’occasione unica di intervento concreto sulla città costruita e sul suo territorio. Se la cessazione delle tradizionali attività di produzione e l’ammodernamento di servizi e infrastrutture impongono in generale un ripensamento dell’impianto della città industriale, il riuso degli insediamenti abbandonati richiede un disegno strategico di cambiamento attento non solo alla riconversione di queste parti urbane e alla trasformazione del loro paesaggio, ma anche al rispetto della memoria storica appartenente a un’intera comunità. Nel 1990, scrivendo sul numero della rivista “Rassegna”, interamente dedicato ai “territori abbandonati”, Vittorio Gregotti sottolineava come il recupero
degli insediamenti industriali dismessi metta in gioco quantità decisive per la trasformazione della città, segnando allo stesso tempo la stabilità nello sviluppo fisico: la riqualificazione della città costruita rivela una “nuova attenzione all’ambiente in termini non solo ecologici ma soprattutto morfologici e, in generale, ai valori dell’esistente”. Il piano, invece che muoversi in termini di espansione, viene in questo modo a puntare a un’integrazione fra le parti che già segnano la città e in generale il territorio, non ponendo attenzione ai soli oggetti del costruito ma alle relazioni fra essi, alle gerarchie fra le parti. Di fronte a un’idea di progetto che si misura con il contesto storico e geografico nei suoi elementi strutturali, vale la pena ritornare sugli interventi di rinnovamento che hanno interessato la zona mineraria della Ruhr. Individuati una serie di aspetti dominanti del quadro regionale - il paesaggio urbano costituito da centri abitati ben collegati e accessibili, il complesso sistema di infrastrutture (canali, tracciati ferroviari, centrali elettriche, depositi) legato alle attività estrattive, la presenza di nuove e diversificate attività produttive, la spontanea fruizione dei canali per lo svago -, il progetto di sviluppo si è orientato alla loro ridefinizione e integrazione per ricomporre un’idea di territorio fondata sull’esistente e condivisa dagli abitanti. La trasformazione dell’area dismessa ha quindi significato la ricostruzione del paesaggio attraverso l’intreccio di spazi con valenze e funzioni diverse: da una parte il miglioramento ecologico dei canali,
la sistemazione dei sentieri, la tutela dei terreni inedificati, la conservazione dei fabbricati industriali o delle infrastrutture assunte a simbolo dell’identità storica della regione hanno fornito nuove prospettive per il tempo libero nonché opportunità culturali e sociali, dall’altra il recupero dei manufatti dismessi come ambienti di lavoro per moderne imprese e la creazione di un sistema di collegamenti fra questi rinnovati insediamenti e i centri urbani limitrofi hanno risposto all’esigenza di costituire una nuova dimensione urbana. Perché di fronte al complesso della ex Montecatini di Mori è significativo richiamare così diffusamente il caso della Ruhr? Quel “corpo morto”, così come da più parti è stato definito, adagiato lungo la sponda del fiume Adige, rappresenta per dimensione e articolazione dei manufatti edilizi, interrelazione fra volumi, opere idrauliche ed elementi infrastrutturali, un episodio unico non solo nella storia socio-economica trentina ma nello stesso paesaggio figurativo locale. Realizzato a partire dal 1927 dagli ingegneri e dai tecnici della Montecatini lungo la sponda dell’Adige poco a sud di Mori, il complesso industriale si configura secondo un progetto di rimodellamento del territorio che disegna secondo una decisa infrastrutturazione quella stretta lingua di terra fra il monte e l’ansa del fiume. La costruzione del canale e della diga sul fiume - la realizzazione della centrale, i cui lavori iniziati nel 1927, consentono già alla fine del 1928 di avviare la prima fornitura di energia allo stabilimento - si traduce in un com-
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STORIE ALTRE
Una foto panoramica del complesso industriale della Montecatini di Mori tratta dal recente volume “Acqua, aria, energia elettrica: la Montecatini di Mori”, a cura di Diego Leoni e con interventi di Antonella Agostino, Paolo Calzà, Fulvio Irace e dello stesso Diego Leoni. Il volume, edito nel 2000 dall’editore Nicolodi di Rovereto, traccia la storia di questo complesso industriale, sorto nel 1929 e chiuso nel 1983, proponendosi come un orizzonte di ricerca interdisciplinare al quale ricondurre gli interventi dei futuri progettisti chiamati a realizzare il progetto di riqualificazione e riutilizzo dell’area.
plesso imponente, soprattutto se proiettato sullo sfondo di un territorio che allora presenta un’economia sostanzialmente rurale. Destinato a diventare la più importante unità di produzione dell’alluminio in Italia, lo stabilimento sfrutta nel modo più logico l’area lungo il fiume: i grandi corpi longitudinali delle sale forni si dispongono perpendicolarmente all’edificio della centrale, nelle particelle residue si collocano gli impianti ausiliari e i servizi, mentre a sottolineare l’autosufficienza funzionale della fabbrica, si sistemano attorno, ma fuori dal perimetro degli stabilimenti, le ville della dirigenza e il fabbricato alloggi per i capi reparto. Un’ordinata gerarchia delle funzioni disegna quindi in modo preciso e duraturo la topografia del paesaggio, secondo un modello di ordinata compresenza di funzioni non infrequente nella tipologia dei grandi stabilimenti industriali. Con il declino dell’attività produttiva, che nel 1983 ha portato alla chiusura dello stabili-
mento, lo smantellamento dei manufatti e il loro abbandono hanno consegnato l’immagine di questi luoghi a quella che viene definita “archeologia industriale”. Dopo anni di discussioni, dettate in particolare dal radicamento dell’idea della fabbrica nella memoria storica della comunità della Vallagarina, il complesso ex Montecatini pone ora il problema del suo riuso in relazione non solo alle esigenze della pianificazione provinciale di individuare funzioni e regole attraverso cui ridefinire questa parte di territorio, ma anche in relazione agli aspetti culturali e sociali legati alla trasformazione di un insediamento industriale che fa parte del paesaggio figurativo e della storia locale. Nel 1998 il concorso promosso da Tecnofin Strutture con la Provincia autonoma di Trento e i comuni di Mori e Rovereto, sottolineando la valenza territoriale del complesso produttivo e la sua “posizione strategica” rispetto all’asta dell’Adige e alla
viabilità nord-sud, ha orientato ogni proposta di recupero verso una destinazione mista per attività produttive e servizi. I risultati mancati di quel concorso, l’emergere di nuove proposte di riuso assieme al richiamo delle amministrazioni locali perché l’ente pubblico assuma un ruolo centrale nella fase progettuale e in quella decisionale per l’intervento sull’area, rivelano tuttavia lo scarto fra gli esiti del dibattito e il perseguimento di un obiettivo complessivo. Nelle molte incognite che segnano ancora oggi le ipotesi di riuso di quel complesso imponente, il problema del metodo diventa allora centrale: il confronto con il contesto storico e geografico, il recupero di quei principi insediativi che hanno regolato la costruzione della fabbrica, la riconversione dell’insediamento attenta a tradursi in un’immagine a sua volta riconoscibile, la valorizzazione degli spazi aperti, dovrebbero quindi essere gli elementi di un progetto, costruito a partire dai valori di quel territorio abbandonato.
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STORIE ALTRE
AGENDA Editoria
La ricognizione aerea italiana e austriaca nella Grande Guerra In un volume di grande formato e riccamente illustrato viene ripercorsa la storia della nascita dall’aerofotografia in Italia e del suo fondatore il geologo Giovanni Battista Trener. L’esame dei fondi archivistici che riguardano in particolare il Trentino ha evidenziato un’enorme ricchezza di documentazione fotografica non solo come testimonianza di un periodo che ha segnato la storia della gente e del territorio della nostra regione, ma anche come straordinaria fonte di dati per altri settori di studio, non strettamente militare, quali il cambiamento del paesaggio (le montagne, le foreste, i siti archeologici, l’idrografia, lo sviluppo dei centri urbani, delle vie di comunicazione e il loro impatto sul territorio) La macchina di sorveglianza. La ricognizione aerofotografica italiana ed austriaca sul Trentino, 1915-1918, a cura di Diego Leoni, Patrizia Marchesoni e Achille Rastelli, ed. Museo storico in Trento, Museo tridentino di scienze naturali, Museo storico italiano della guerra di Rovereto, Trento 2001, pagg. 208, € 62,00. Al volume è allegato un CD-Rom sul pilota Mario Tschurtschenthaler Dialetti trentini in Brasile Circa 130 anni fa iniziarono i grandi flussi dell’emigrazione trasoceanica cui presero parte approssimativamente 30.000 contadini dell’allora Tirolo italiano. Il Museo pubblica uno studio di Ivette Marli Boso che riscopre il tragitto storico non solo di una parlata ma, soprattutto, del modo di essere e di pensare della comunità trentina in Brasile. Il volume conduce alla riscoperta di una cultura in precario equilibrio tra la fedeltà alle origini e innovazioni dovute al contatto con la nuova realtà brasiliana. Noialtri chi parlen tuti en talian: dialetti trentini in Brasile, di Ivette Marli Boso, ed. Museo storico in Trento, Trento 2002, pagg. 298, € 19,80
Catalogo editoriale Il Museo ha pubblicato l’edizione aggiornata del proprio catalogo editoriale che conta oramai più di cento titoli. Questo volumetto, pur presentandosi formalmente come un catalogo editoriale, ha tuttavia il pregio di essere costruito in modo tale da offrire una sorta di itinerario a tappe attraverso la storia del Museo del Risorgimento di Trento dall’anno di fondazione, il 1923, fino alla trasformazione odierna in Museo storico in Trento. Accanto al breve saggio introduttivo di Sergio Benvenuti, che ripercorre per sommi capi questa vicenda ricordandone i principali protagonisti, vi è, infatti, la presentazione di tutte le opere edite in circa settant’anni di attività, dal primo volume Pagine di guerra e della vigilia di legionari trentini a cura di Bice Rizzi del 1932, fino all’imminente Uno «strano bazar» di memorie patrie: il Museo Civico di Trento dalla fondazione alla prima guerra mondiale, di Giuseppe Olmi, del 2002. Completano il catalogo un utile indice dei nomi e una breve rassegna biografica degli autori e curatori che hanno contribuito alle tante pubblicazioni segnalate. Il catalogo è disponibile, a richiesta, presso l’Archiblioteca del Museo, in via Torre d’Augusto n. 35, Trento.
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STORIE ALTRE
AGENDA Cinema
Cinema e fantastoria Il Museo storico, in collaborazione con il Centro servizi culturali S. Chiara, propone quattro giornate dedicate al cinema fantastorico con spettacoli pomeridiani e serali presso il Teatro Sperimentale in via S.Croce, Trento - INGRESSO LIBERO 19 dicembre: Ore 16.00 Il grande dittatore, USA 1940 Ore 18.00 1941: Allarme ad Hollywood, USA 1979 Ore 20.00 Atlantide, Francia, 1921 Ore 22.00 Metropolis, Gemania, 1926 20 dicembre: Ore 16.00 Ritorno al futuro, USA, 1985 Ore 18.00 The Day After, USA, 1983 Ore 20.00 La seconda guerra civile americana, USA, 1997 Ore 21.30 La jetée, Francia, 1962 L’esercito delle dodici scimmie, USA, 1995
21 dicembre: Ore 16.00 I Banditi Del Tempo, UK, 1980 Ore 18.00 Il viaggio nella luna, Francia, 1902 La Diabolica Invenzione, Cecoslovacchia, 1957 Ore 20.00 Fatherland, USA, 1994 Ore 22.00 Vogliamo i colonnelli, Italia, 1973 22 dicembre: Ore 16.00 Train de vie- Un treno per vivere, Francia, Romania, Olanda, Belgio, 1998 Ore 18.00 Il Dottor Stranamore, ovvero: come imparai a non preoccuparmi e ad amare la bomba, UK, 1964 Ore 20.00 Civilizzazione, USA, 1916 Ore 22.00 I vestiti nuovi dell’imperatore, UK, Italia, Germania, 2001 Il programma potrà subire qualche variazione
Appuntamenti
Alla ricerca delle menti perdute: viaggi nell’istituzione manicomiale Nell’ambito del progetto di iniziative che verrà realizzato nel corso del 2003 «Alla ricerca delle menti perdute: viaggi nell’istituzione manicomiale», il Museo organizza un incontro seminariale con Giorgio Bedoni e Bianca Tosatti sul tema arte e psichiatria.
Venerdì 29 novembre 2002, presso la sala incontri del Museo storico in Trento, via Torre d’Augusto, 41 con inizio ad ore 15,00, Forme e colori della follia. L’incontro sarà seguito dalla proiezione dei documentari di Raffaele Andreassi, Lo specchio, la tigre e la pianura (1960) e Antonio Ligabue, pittore (1965).
Collaborazioni
Esposizione storica del libro fondiario e del Catasto Il Museo del Libro Fondiario e del catasto (via Gilli 4, Trento) ha attivato una collaborazione con il Museo storico al fine di rendere il suo patrimonio documentario disponibile anche per le attività didattiche delle scuole. Al di là del suo apparente tecnicismo, il Museo del Libro Fondiario dispone, infatti, di documenti di notevole valore storico, dall’epoca teresiana fino alla metà del Novecento. Sono esposti strumenti di misurazione tecnica, documenti fondiari e legislativi originali, registri e mappe che testimoniano l’evoluzione e il controllo del territorio regionale dal punto di vista cartografico, fiscale e giuridico. Il sito del Museo è visitabile all’indirizzo http://www.regione.taa.it/ giunta/museo_it/museo_pag_it.htm.
Danze di società di tradizione ottocentesca Come annunciato in precedenza è iniziato in ottobre, presso la sede del Museo storico in Trento e in collaborazione con la «Società di Danza» di Modena, il seminario dedicato all’apprendimento delle danze sociali dell’Ottocento. Sotto la guida del maestro Fabio Mollica, gli iscritti a questo speciale seminario stanno riscoprendo il fascino e il piacere dell’arte della Quadriglia, della Contraddanza, delle danze di coppia figurate, Valzer, Mazurka e Polka. Gli appuntamenti del 2003 sono fissati per il 17 gennaio, il 14 febbraio, il 14 marzo e l’11 aprile, giornata finale nella quale si terrà anche una festa danzante della quale daremo in seguito maggiori dettagli. Il seminario ha riscosso un ampio successo di pubblico con decine di iscritti. Per ulteriori informazioni rivolgersi al numero telefonico 0461.230482 oppure all’indirizzo di posta elettronica: info@museostorico.tn.it.
Via Torre d’Augusto, 41 Hanno collaborato: Giuseppe Mattei, Walter ALTRESTORIE - Periodico di informazione. 38100 TRENTO Nicoletti, Giorgio Rossi, Giorgio Salomon, Direttore responsabile: Sergio Benvenuti Tel. 0461.230482 Luigi Sardi, e Angiola Turella Comitato di redazione: Giuseppe ˇerrandi, fax 0461.237418 Periodico quadrimestrale registrato dal Tribunale Patrizia Marchesoni, Paolo Piffer, Rodolfo www.museostorico.it di Trento il 9.5.2002, n. 1132, ISSN-1720-6812 Taiani e-mail:info@museostorico.it Per ricevere la rivista o gli arretrati, fino ad esaurimento, inoltrare richiesta al Museo storico in Trento. In copertina: manifesto pubblicitario Michelin realizzato nel 1934 da George Plassé
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