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ASSICURAZIONI DAL 1937
anno nono
numero ventitrè
agosto 2007
IN QUESTO NUMERO Le osservazioni del tempo... nel tempo di Quinto Antonelli e Paolo Piffer
Cruce lata, pluvia data di Emanuela Renzetti
Ambiente e salute di Rodolfo Taiani
“I frutti di Demetra”: per una storia dell’ambiente, guardando al futuro
Una proposta di lettura: la storia del clima di Pascal Acot
Provato e certo: un’esposizione a Brentonico nella primavera 2008
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Le osservazioni del tempo... nel tempo di Quinto Antonelli e Paolo Piffer La memoria del tempo: annotazioni climatiche nei libri di famiglia (Quinto Antonelli)
I libri di famiglia d’ambiente contadino condividono con quelli della borghesia mercantile alcune caratteristiche: tutti hanno per oggetto l’universo familiare sia sul versante dell’operare economico (e in questo sono del tutto simili a libri dei conti), sia su quello della registrazione delle nascite e delle morti. Ma condividono pure un’area di scrittura accessoria dedicata alla notizia, alla curiosità, all’evento straordinario. Vi troviamo notizie che riguardano perlopiù
il clima, le stagioni, i raccolti; le piogge troppo abbondanti con il relativo straripamento dei torrenti. Ma per essere registrati gli eventi devono avere il carattere dell’eccezionalità, della stravaganza. Così Nicolò Fontanari di Costasavina per il 1803 annota solo una strano fenomeno che accadde in marzo: «che in principio di marzo anno suddetto corrente avendo fiocato circa un mezo piede di neve come il solito di questa invernata dopo due giorni una note vense dal cielo una certa cenere sopra detta neve come cenere dal focolaio ma gialla chà in gialita la neve fondo due dita scarsi con una grande puza alle naricie odorandola. Non si sa qual segno sia di pronosticare e fu in questi pae si gienerale dopo pochi giorni mediante una piogieta la neve andò al basso ed alla monta-
gna no. Anzi si moltiplicò di molto». Nei libri di famiglia contadini troviamo, in aggiunta, la presenza del folclore verbale, filastrocche, formule religiose, proverbi. Il libro di Giovan Battista Bernard di Vigo di Fassa si apre (nel 1783) con due proverbi sul tempo: «Nota in memoria il Giorno di Sant paulo Nel tramontare il solle nel sereno dinote vendere la vacha e sparmiare il fieno, tramontava il Solle Nele nuvole dinote tenere la vacha e pascolare il fieno che Sarra Segno di una Bona primavera questa e, un proverbio oservato da cento anni fà» «li quatro primi giorni di aprile Andando Cativo tempo di Notte quaranta giorni di Seg[u]ito, proverbio oservato da Cento anni fa». Lungo l’Ottocento i libri di famiglia contadina perdono le loro rigide caratterische per avvicinarsi alla scrittura diaristica, capace di catturare altri aspetti della vita quotidiana. Anche la registrazione del clima non si limita solo agli eventi bizzarri o catastrofici, ma si fa quotidiana con annotazioni comparative. Anzi nei diari e nei resoconti annuali l’andamento climatico intrecciato con quello dei raccolti agricoli occupa via via sempre maggior spazio. Ecco, ad esempio le Notizie pel 1847 di Domenico Loss di Caoria (Valle del Vanoi): «Sul finire del ‘46, e sull’incominciare del ‘47 durò per circa 12-15 giorni un sì rigido freddo, che in questo distretto furono ritrovati diversi uccelli morti, ed assiderati od agghiacciati, morivano dalla rigidezza del sudetto [ill.] dei polli, per cui si doveano collocarli nelle stalle e perfino nelle stufe, come pure morì dal freddo un giovane fra Siror e Tonadico. [...] Nel dì 20 cennaio furono por-
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Nel testo si sono citati il “Registro partitario (1778-1816)” della famiglia Fontanari di Costasavina contenente anche registrazioni familiari, depositato presso l’Archivio storico del Comune di Pergine Valsugana; il “Libro di casa (1783-1852)” di Giovan Batta Bernard di Vigo di Fassa, conservato presso l’Istituto culturale ladino; il libro di famiglia di Domenico Loss di Caoria intitolato “Istoria Cauriense Ossia libro di alcune cose memorabili inscritte da Domenico figlio di Vincenzo Loss di Caoria, le quali sono successe qui in questo villaggio; avvertendo che si potrà continuare ad inscriverne secondo che ne succederanno”, che fa parte del Fondo Fontana depositato presso l’Archivio parrocchiale di Siror; il “Libro che contiene memorie dei morti, e maritati... (1860-1923)” di Valentino Delladdio di Tesero, che proviene da un archivio privato.
tati alla sepoltura tutti in una volta cinque salme, o spoglie, o corpicciuoli dè fanciulli, cosa non comune e maravigliosa. La primavera si dimostrò stentata nella promozione del caldo, fino circa li 10 maggio, anzi cambiò precisamente nel detto dì primo giorno delle rogazioni, giacché non si trovava in tal dì nemmeno un gambo di [ill.] e nella terza rogazione era generalmente nato. Sul finire, ossia nella seconda metà dello stesso mese si innalzò il caldo in circa simil grado di quello dei primi luglio ‘45, ed essendo trascorso notabile tempo, senza pioggia era già incominciata una terribile siccità, ma mediante fervide pubbliche preci nei primi giugno cadde competente quantità di pioggia». E ancora più dettagliato è Valentino Deladdio di Tesero che, fuoriuscendo ormai quasi completamente dalla formula del libro di famiglia, ambisce a scrivere un diario del paese, anzi un «Libro che contiene memorie dei morti, e maritati [e] Contiene inoltre memorie dei tempi stravaganti e delle raccolte d’ogni anno, e cose simili». Ecco la registrazione dell’anno 1867: «Maggio Il primo è venuto un mezzo piede di neve. [...] Li 23 [...] Questo giorno ha pioveto tutto il giorno, e quando è statto sera ha principiato a fiocare. Li 24 Vi era un mezzo piede di neve, e avanti notte è andata via la più parte, e poi si ha serenato, che era tutto bagnato. Li 25 Éra il tutto agghiaciato, immaginatevi che danno terribile le segale la più parte morte, il formentazzo più che mezzo morto, e la gente tutta avvilita. Talle fu questo mese. Giugno I primi di questo mese la gen-
te ha fatto una prova, a metere ancora formentazzo per vedere se viene più. [...] Li 18 [...] Oggi vi era la brina. [...] Questo mese dopo mezo ogni giorno piogia. Luglio [...] Li 10 Vi era la brina, che non vi sara ricordo che sia mai statta. [...] Questo mese è statto molto asciuto. Agosto Li 17 Siamo statti in processione a Cavalese a pregare di piogia. Li 18 Siamo andati alla Madona della Palanca per l’istesso oggetto ma piogia niente. Li 24 Ha pioveto abbastanza, che avanti era una secità. Settembre Li 2 Un tal Alessandro Canal del soris in Armentajola fu colpito da un fulmine, che è statto calcolato un miracolo, che non è morto, e si trova la memoria nella Capella alla Palanca. [...] Li 26 E’ venuto la neve fin a mezza montagna, e la sera sereno. Li 27 Vi era una grande ghiacia, che ha rovinato formentoni, tutto il formentazzo messo i primi di Giugno, che andava in latte, che se faceva un buon autunno veniva a perfezione, ed il rimanente del mese fredo. Ottobre Anche questo principia col fredo. Li 4 E’ venuto la neve, li 10 è venuto ancora neve, e un vento fredo, come d’inverno, che era il terreno agghiaciato, due oncie. Oh! grande disgrazia. [...] La raccolta Il fieno è statto scarso, la segala a pena la semente, l’orzo e il frumento andante, il formentazzo l’ametà, i adegori pochi le patate, rebutate e marcie, i ravi quasi niente».
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«Io, custode del tempo»: c’è il custode del tempo. Da pre loro, meglio che tutto sia a Guido Zanella e l’osser- 56 anni non manca un colpo. posto. Meteotrentino gestisce Per lui il clima non ha segreti. la struttura, ha piazzato i suoi vatorio delle Laste (Paolo Piffer )
Qui, prima che negli anni venti costruissero l’Osservatorio, passava la strada che portava al santuario delle Laste. Le tracce sono ancora ben visibili. In via dei Giardini a Trento
Temperature, meteo, pioggia, grandine, neve, radiazioni solari, vento, umidità, pressione. Per Guido Zanella, 81 anni, non sono termini imparati sui banchi di scuola o all’università. Lui, qui sulla collina, c’è finito per amore, e non se ne è più andato. Era il 1951, pochi giorni dopo essersi sposato con Maria Boschetti, lei sì osservatrice dell’aeronautica che qualche anno dopo fu trasferita a passo Giovo. Guido Zanella faceva l’artigiano del cuoio ma si sa, lavorare quella roba lì, non è, e tanto più non era, molto salutare. Preferiva il cielo, le stelle, il vento che a volte picchiava forte come il sole, la grandine, la pioggia. E non ha più potuto farne a meno. Ancora fino a due anni fa abitava con la moglie nell’appartamento a pian terreno. Adesso, ogni mattina, controlla gli strumenti e i dati. Fino a poco tempo fa alle 7, alle 14, alle 19. Non ci si scampava. Ora arriva alle 8 e, se serve, anche il pomeriggio. Ma non è un lavoro, piuttosto una passione, cresciuta col tempo, diventata una ragione di vita. Ti accoglie sulla porta, sorridente. Porta con brio i suoi anni. Ogni tanto se ne va in Comune, quando c’è qualcosa che non va nella casa. La proprietà è pur sem-
L’Osservatorio meteorologico di Trento Laste L’osservatorio meteorologico delle Laste di Trento è ospitato all’interno di uno stabile di proprietà del Comune di Trento. Vi sono depositati strumenti antichi e moderni a testimonianza di un’attività che ha consentito di raccogliere a partire dal 1862 una serie ininterrotta di dati. L’osservatorio, posto sul passo carraio che in passato consentiva l’accesso al Convento dei carmelitani, è stato collocato in questa posizione poiché vi è possibile eseguire le previste rilevazione dello stato del cielo e degli altri parametri meteorologici secondo le normative dettate dall’Organizzazione meteorologica mondiale. L’”Osservatorio meteorologico dell’Ufficio idrografico di
strumenti in terrazza. Ma ce ne sono tanti altri, ancora funzionanti, che sono veri e propri pezzi di storia. Oggetti da museo da far invidia ai musei, quelli veri. C’è un barometrografo del 1925 per misurare la pressione e la temperatura costruito dall’azienda Agolini di Parma, un Fortain a mercurio, un eliofanografo degli anni cinquanta che raccoglie i raggi del sole, la bilancia pesaneve, anche lei degli anni cinquanta. Se chiedi a Zanella la temperatura media giornaliera degli ultimi anni a Trento non lo prendi in castagna. Risponde sicuro, non ha bisogno di controllare diagrammi. “Negli ultimi otto anni è stata di 12,1 gradi. Media giornaliera, si intende”, risponde sicuro. Ma il custode del tempo è anche l’uomo che ha visto trasformarsi la città di sotto, quella che è cresciuta sulla collina, che si è mangiata tutto. “Qui sotto c’erano le vigne, non le case di adesso”, riflette. Per essere veri, i cambiamenti, le mutazioni di un territorio non hanno necessariamente bisogno di tanti disegni, progetti, righe tirate su una carta. In fondo, lui, è stato sempre più in alto di quelle case che salivano, fino a circondarlo. Lui,
Alle Laste Cognola (Trento)” – questa la sua denominazione per esteso – fu iscritto tra i membri effettivi della Società meteorologica italiana in data 10 novembre 1932. Il signor Guido Zanella, che continua a registrare giornalmente i dati rilevati dai vari strumenti manuali e meccanici, cura la manutenzione delle apparecchiature ed esegue la sostituzione periodica dei diagrammi. In decenni di lavoro, Guido Zanella ha anche raccolto centinaia di fotografie che documentano gli eventi atmosferici più significativi e le varie tipologie di nubi. Ne è nato un personale atlante delle nubi, nel quale sono riprodotte le principale varietà degli ammassi o dei singoli corpi nuvolosi.
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Barometrografo di Agolini (anno 1935). Strumento che rileva e registra la pressione con il mercurio. Le variazioni del livello del menisco superiore della colonna barometrica vengono amplificate e trasmesse ad una penna registratrice.
Barografo “aneroide” (anno 1950). È uno strumento che rileva e registra in modo continuo la pressione, con il variare del tempo. Utilizza come elemento sensibile delle capsule barometriche che reagiscono al variare della pressione con elasticità propria.
sì, potrebbe disegnare, foglio dopo foglio, i metri cubi che hanno sradicato le viti, fatto avanzare il progresso, e resa più anonima la vita di molti. “Adesso, solo estati e inverni, senza intervalli, mezze stagioni”, afferma. Lo hanno deciso i diagrammi, foglio su foglio, centinaia, nel corso dei decenni. L’idea è quella di studiare queste straordinarie serie storiche e a Meteotrentino e al Museo Tridentino di scienze naturali ci stanno pensando. Come
a fare di questo osservatorio una sorta di museo del clima, vissuto, carico di anni. Perché l’osservatorio non ha registrato solo dati, disegnato tendenze, ma visto trascorrere la vita del suo custode, è invecchiato con lui. Sulla parete, il nostro ha messo in bella mostra una serie di fotografie in bianco e nero. È un continuo di cirri e cumuli, “scattati” in giro per il Trentino. “Il periodo più freddo in città? Gli anni novanta. Siamo arrivati a meno dieci.
Quello più caldo? Sempre i novanta. Più quaranta”, sottolinea Zanella che va orgoglioso di un fatto. “Lo sa che qualche tempo fa sono arrivati qui i professori dell’università di Mesiano. Beh, alcune cose sulla meteorologia gliele ho spiegate io. Mica le sapevano. Bella soddisfazione. A proposito, giornalista, non si preoccupi. Smetta pure di guardare il cielo. Domani sarà un’altra bella giornata, sicuro”. Non c’è da dubitarne.
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Cruce lata, pluvia data di Emanuela
Spesso la documentazione della devozione popolare nei confronti di un particolare luogo o di una specifica Renzetti immagine sacra, trasmette informazioni anche relative al «clima» o meglio alle condizioni atmosferiche di un determinato periodo. I fedeli si rivolgono all’oggetto di culto per chiedere speciali grazie anche in relazione al tempo, tanto per invocare la pioggia nei momenti di siccità, quanto per implorare al contrario la sua cessazione in momenti di sovrabbondanza. Gli episodi sono numerosi e distribuiti su un arco cronologico assai ampio. Il recente volume di Emanuela Renzetti, “La grammatica della salvezza: ritualità popolare tra protezione e morte nel mondo alpino” (Ivrea, Priuli & Verlucca, 2007), ne riporta alcuni di significativi rispetto all’area trentina. Fra questi in particolare quelli legati alla devozione per la Santa Croce di Bleggio nelle Giudicarie, ricostruibili fin dalla metà del XVIII secolo sulla base delle memorie scritte nel 1854 dal segantino Carlo Onorati (pp. 54-55). I fatti più lontani nel tempo, tramandatisi oralmente, che si verificarono quando era parroco Carlo Agapito Mosca, sono soffusi di un alone di leggenda che copre, in particolare, il ricordo del sacerdote ritenuto santo dalla popolazione della zona. ‹Carlo Agapito Mosca – scrive il segantino – […] talvolta carpone per il sentiero di Restor saliva al monte, indi fermatosi vicino al sasso, quivi aspettando il santo legno della croce ove doveva essere alzato, poi alla sinistra di questo, salendo, [lo supplicava] […] ed una volta per l’ostinata siccità, protestandosi fino di non mai partire se pria non vedeva segno di pioggia, miracolosamente si può dire [comparve] […] picciol nube […] vicino al sole, della grandezza di un picciol lenzuolo […] [e] discendendo
dal monte pria di giungere alla parrocchia su tutta la processione una abbondante pioggia ebbe a cascare, che li ultimi di questa sofferse una gran bagnata». Nella memoria del segantino compare sia il nome del successore di don Mosca, don Andrea Pecoretti il quale pare seguisse simili processioni a cavallo, sia quello di don Nicolò Torresani «più vicino a’ nostri tempi», animato da grandissima fede nel sacro legno al punto che, non avendo ottenuto la pioggia dopo una prima processione, ripercorse, passati otto giorni e per nulla rassegnato, il sentiero del monte e infine la ottenne. Lo scritto di Carlo Onorati giunge quindi all’inizio dell’Ottocento. Viene ricordato soprattutto il terribile triennio 1814-1816, periodo di grave emergenza in tutta Europa e non solo. Con ricchezza di
particolari e grande attenzione agli episodi meteorologici, come si conviene ad uno del suo mestiere, il segantino racconta: «Seguendo abbondanti pioggie che cagionarono stravaganza nelle stagioni, non giungendo alla maturità le biade, mancando al sole il solito suo vigore, essendo le vette de’ monti del continuo coperte di neve, in autunno le brine gelando la campagna, non permettevan il poter raccogliere nulla di maturo, le viti non producevan più uve, nel quattordici retrocedendo la Francia imponendo nove leve e chiedendo sfarzosamente frumento e seguendo anni sempre più sterili, che il quattordici, il quindici e il sedici affatto parea che avesse perso il suo vigore il sole, le lunghe pioggie rendevan infeconda la terra, tanto che pervenuti all’inverno del 1816 (che
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scoperto si vide sempre il suolo a riserva d’un velo di neve nel febbraio 1817) entrando nella primavera con mantenersi continuamente sereno il cielo ritrovandosi li cereali al sommo prezzo che vendevasi fino a 45 fiorini la somma il grano turco, allimentavasi la gente di erbe». È così efficace questa sequenza narrativa da rendere con immediatezza, pur nella semplicità della scrittura, il dramma quotidiano e la disperazione della gente di Bleggio che, dopo anni di stenti causati dalla guerra, viene perseguitata anche dal cattivo o bel tempo fuori stagione ed è costretta a cibarsi di erbe per poter sopravvivere. La immaginiamo, nella primavera del 1817, mentre angosciata spia il cielo, il vento, le montagne intorno sperando in un segno che preluda alla pioggia; mentre la terra diventa sempre più arida e persino i prati sono bruciati dal sole, la morte comincia a colpire «vibrando li suoi colpi con la falce della fame». Di fronte ad una situazione di tal genere agli uomini non resta che pregare: ma, nonostante le reiterate preci, l’acqua non venne. Fu allora che il parroco e i «maggiori» fecero voto di portare nel monte al solito posto processionalmente il sacro legno». La processione
Lo sconvolgimento climatico degli anni 1814-1816 Il racconto di Carlo Onorati testimonia la grave carestia che colpì oltre alle Giudicarie anche ampie zone dell’Europa negli anni 1814-1816. Oggi, a distanza di quasi due secoli, è stato accertato che la crisi di allora fu originata da una serie di spaventose eruzioni vulcaniche che si verificarono in diverse parti del mondo. Le più importanti furono quelle sull’isola di St. Vincent nel 1812, quella del vulcano Mayon nelle Filippine nel 1814 ed infine quella del vulcano Tambora sull’isola indonesiana di Sumbawa nell’aprile 1815. Quest’ultima fu sicuramente la più devastante. La quantità di ceneri vulcaniche rilasciata nell’atmosfera fu tale da formare una sorta di velo intorno al globo terrestre, che impedì ai raggi solari di riscaldare sufficientemente la sua superficie. Si produsse così un vero e proprio sconvolgimento climatico mondiale con un abbassamento generalizzato delle temperature. In queste condizioni i raccolti non giunsero a maturazione e il 1816, anno leggendario negli annali della meteorologia poiché si verificarono abbondanti nevicate anche nei mesi estivi, viene ricordato, oltre che come «anno senza estate», anche come anno della grande fame.
ebbe luogo il 9 maggio e gran quantità di popolo vi partecipò tanto che «gran comozione rendeva il veder molti a piedi scalzi salir il monte, recitare corone e littanie, cantar miserere». Eppure il cielo non sembrò ascoltare quelle suppliche poiché, rientrato il corteo e finite le funzioni, cominciò sì a piovere a grosse gocce, ma la pioggia cessò quasi subito e sorprendentemente il cielo divenne di nuovo sereno. Il giorno seguente ognuno sperava: «ma impenetrabili sempre sarà li divini voleri» perché, dopo tanto timore e delusione, l’acqua venne e le piogge furono così benefiche da trasformare l’anno di miseria in un anno di tale abbondanza «che in autunno ritrova vasi il grano turco a fiorini sei la somma, il più bello».Tali fortune furono attribuite alla Santa Croce che mai, anche negli anni successivi, tradì la fede dei suoi devoti e quali ricorsero alla sua protezione – sempre stando alle memorie del segantino – nel 1824, nel 1832, nel 1839 e nel 1853. Questo ricorrere della popolazione al salvifico simulacro per ottenere la pioggia, attestato del resto fin dal XVII secolo, divenne elemento caratterizzante della sua fama sicché tra i giudicariesi è proverbiale il detto latino Cruce lata, pluvia data.
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Ambiente e salute di Rodolfo Taiani
L’esistenza di una stretta correlazione fra ambiente e salute, o meglio di una diretta influenza dei fattori climatico-ambientali sullo stato fisico del l’uomo, non è mai stato un argomento ignorato dalla riflessione medica e questo fin dalle sue origini. Semmai sono mutati nei secoli i modi e gli obiettivi con cui si è guardato a queste tematiche. In particolare il rinnovato interesse manifestato nel corso del Settecento nei confronti di alcuni temi già affrontati da alcuni grandi autori classici, primo fra tutti Ippocrate nel suo fondamentale trattato Arie, acque, luoghi, si prefigurava non come una semplice azione di recupero nei confronti di una tradizione del passato, né come un esercizio di pura erudizione, ma come utile argomentazione in appoggio all’iniziativa politicoamministrativa finalizzata alla tutela della salute pubblica. È noto come in tale contesto fu incoraggiata e intensificata fin dalla metà del Settecento l’indagine medico-scientifica sull’ambiente. L’obiettivo dichiarato era il raggiungimento del più alto grado di conoscenza possibile su tutti quegli elementi capaci di nuocere gravemente alla salute degli amministrati e di ostacolare la conservazione e la regolare moltiplicazione della popolazione. Frutto di questa intensa attività di osservazione furono le cosiddette topografie mediche pubblicate o semplicemente compilate a partire dalla metà del secolo XVIII. In queste erano descritte le condizioni climatico-ambientali di determinate aree geografiche e l’andamento epidemiologico delle malattie. Il modello adottato era quello proposto
dal matematico tedesco Leibnitz nel XVII secolo, un questionario articolato in sessanta punti e che prevedeva, oltre ad una serie di interrogativi sull’”igiene” e le malattie, anche molte altre domande relative all’ambiente. Un esempio sicuramente noto all’Accademia reale di medicina di Parigi che nella seconda metà del Settecento promosse una ricognizione su tutto il territorio francese raccogliendo grazie ai propri medici corrispondenti migliaia e migliaia di dettagliate relazioni. Alla medesima logica si rifecero anche tutti i rapporti istituzionali stilati periodicamente per obbligo d’ufficio dagli ufficiali sanitari insediati a partire dalla metà del Settecento ed incaricati a vario titolo di sorvegliare sulla situazione “igie-
nico-sanitaria” del territorio di loro competenza. Se nel tempo non mutarono i contenuti, sicuramente però migliorarono le tecniche di rilevazione. L’uso di una strumentazione sempre più raffinata consentì di ottenere misurazioni con margini di errore vie più ridotti e facilmente commisurabili nello spazio e nel tempo. La ricchezza e l’uniformità dei dati così ottenuti permisero, inoltre, una migliore predisposizione di soluzioni idonee ad affrontare le eventuali minacce. Si poté individuare e verificare, infine, l’esistenza di concreti legami fra ambiente e salute, fra mutamento delle condizioni atmosferiche ed insorgenza delle infermità. Ma le numerose topografie mediche e le relazioni sanitarie
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non costituirono che una minima espressione di quell’ampio movimento d’interessi che si era rivolto, fin dal secolo XVII, all’indagine sull’ambiente con modalità e prospettive del tutto nuove. “Nel Sei e Settecento, infatti, – come scrive lo storico inglese Keith Thomas – avvenne un radicale distacco dalle ipotesi del passato. Anziché percepire la natura soprattutto in funzione delle analogie e rassomiglianze con gli uomini, i naturalisti avevano incominciato a cercare di studiarla per se stessa”. Dalla chimica alla botanica, il panorama delle scienze setteottocentesche si arricchì di importanti contributi con i quali furono proposti da numerosi studiosi, più o meno noti, attenti esami e precise classificazioni dei più svariati elementi naturali. Tanto nel caso delle acque minerali quanto in quello delle specie vegetali, le analisi chimiche o le esplorazioni botaniche sembravano puntare oltre che alla definizione di una “tassonomia neutrale, presunta oggettiva”, alla scoperta di quei principi attivi in grado di spiegare le virtù in un certo senso “miracolose” di alcune fonti o di certe erbe. Tutti questi interessi e le modalità descrittive adottate trovarono spazio e concreto utilizzo nel corso dell’Ottocento anche nelle guide turistiche, particolarmente in quelle dedicate alle località di cura, che, di fatto, pur con diversi intendimenti, recuperarono la struttura espositiva e i contenuti propri alle topografie mediche. È sufficiente scorrere, ad esempio, la guida di Arco, compilata a fine Ottocento dal dottor Max Kuntze, per cogliere immediatamente, al di là dello stile espositivo o dello spazio riservato ad ogni singolo argomento, le analogie
di contenuto: tolte le informazioni di carattere generale relative ai mezzi di trasporto o alle vie di comunicazione e le notizie di carattere storico, gran parte del testo propone una minuziosa descrizione della flora e della fauna locali, nonché l’illustrazione delle caratteristiche climatiche della zona. Sia le topografie mediche sia le guide turistiche facevano, inoltre, ampio ricorso a dati di tipo numerico. Ogni giudizio sulla situazione ambientale non era più affidato a “contenuti simbolici, culturalmente sedimentati e storicamente determinati, ma alle valutazioni suggerite da tutta una serie di valori matematici relativi alle temperature, alle precipitazioni piovose, all’umidità, alla pressione atmosferi-
ca e così via. Unica differenza semmai è l’intenzionalità sottesa: se nelle topografie mediche o nelle relazioni sanitarie i dati forniti servivano a documentare indistintamente e oggettivamente una determinata condizione, nelle guide turistiche quegli stessi dati diventavano elementi di decoro per esaltare un dipinto di rara perfezione e armonia. Proprio in forza di quest’immagine, la natura perdeva ogni carattere di energia oscura per assumere quello di docile strumento nelle mani dell’uomo, di entità “benevola” in grado di soccorrerlo in ogni suo bisogno. Si consolidava, così, anche se con significati opposti a quanto teorizzato fin da Ippocrate, l’antica fede nella vis medicatrix naturae.
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“I frutti di Demetra”: per una storia dell’ambiente, guardando al futuro
to temporale. Si tratti di un fulmine o di una grandinata. Dietro ad essi c’è un passato che li ha preparati, e in quel passato si nasconde la mano degli uomini, la responsabilità di gruppi sociali, ceti, amministratori, semplici individui”. Il direttore così prosegue: “C’è un lavoro formidabile da compiere: rovesciare nel senso comune delle persone la percezione che la crescita economica sia di per sé progressiva. Occorre mostrare, al contrario, che questa macchina portentosa per la produzione di merci da leva di creazione di ricchezza si è trasformata in strumento di distruzione di ricchezza”. Poi, si passa dall’analisi alle proposte. “Occorre – afferma lo studioso – sentirsi impegnati nell’individuazione di nuovi beni che devono riempire il paniere della ricchezza. E tali beni sono soprattutto quelli della distribuzione più che della produzione. Distri-
buzione più equa dell’uso delle risorse e dei servizi. Ma anche distribuzione sempre più egalitaria del lavoro, del tempo di vita, della salubrità ambientale, della bellezza. È solo questa – conclude Bevilacqua – la strada che può mettere d’accordo la difesa della natura con un accrescimento generale del benessere per la società presente e futura”. La rivista, pertanto, è qualcosa di più di uno strumento di aggiornamento e informazione a profitto di quanti vorranno cimentarsi dal punto di vista storico sui temi trattati. Sua ambizione è anche quella di contribuire alla riflessione su come operare rispetto alle problematiche ambientali nel presente e nel futuro, attingendo utili suggerimenti dal passato. Informazioni alla seguente pagina web: http://www.issm.cnr.it/demetra (pa.pi.)
Una proposta di lettura: la storia del clima di Pascal Acot
alcuni passaggi storici controversi della storia delle società umane, dal declino dell’Impero romano alla fame in età medievale, dalla fine della Fronda alle disfatte militari attribuite in Russia al Generale Inverno. E tuttavia l’autore invita alla più grande prudenza: nulla, per esempio, autorizza a dire che la Rivoluzione francese è indissolubilmente legata alla piccola glaciazione, anche se quest’ultima ha certo svolto un ruolo rilevante nella storia economica e sociale della Francia di età moderna. Come che sia, l’umanità è fin qui sempre riuscita ad avere ragione dei vincoli che le erano imposti dal contesto ambientale. Nella fase più recente, però, è intervenuta una vera e propria
rivoluzione: mai, prima dell’era industriale, l’uomo aveva potuto influire direttamente sul clima. Gli scienziati sono ormai concordi nell’affermare che il riscaldamento del pianeta connesso con le attività umane rende assai più gravi le attuali irregolarità. E tuttavia non si può pensare di cambiare il rapporto tra l’umanità e la biosfera senza cambiare i termini della relazione che gli uomini intrattengono tra loro. Scritta in modo semplice e piano, documentato e accattivante, la “Storia del clima” di Pascal Acot dona al lettore una chiave per comprendere le sfide del mondo a venire, e lo invita contemporaneamente a un’ineludibile riflessione politica sui destini del nostro pianeta.
È dal 2003 che “I frutti di Demetra”, bollettino di storia e ambiente, occupa un posto di rilievo nella biblioteca di chi è interessato ai rapporti tra storia e ambiente, alla ricerca di nuovi modelli affinché le bellezze di questa terra non siano spazzate via da uno sviluppo insensato. Il quadrimestrale è realizzato dall’Istituto di studi sulle società del Mediterraneo del CNR di Napoli e dall’Associazione per la storia dell’ambiente e del territorio. Vede il contributo di diversi storici. A dirigerlo un triunvirato: Piero Bevilacqua, Gabriella Corona e Pietro Tino. “È rilevante, senza mai distogliere lo sguardo dal presente – afferma Bevilacqua, docente alla Sapienza di Roma, spiegando le ragioni del bollettino – osservare i fenomeni nelle origini più o meno lontane, nelle loro cause, nel loro svolgimenPubblicato in Francia nel 1967, sull’onda della grande scuola degli “Annales”, la “Storia del clima” di Pascal Acot aprì la ricerca storica a nuove prospettive d’indagine. Il volume, tradotto in italiano nel 1982 da Einaudi, è stato riproposto dall’editore Donzelli ancora nel 2004. Sulla base di dati scientifici e di documenti storici, Pascal Acot ricostruisce la lunga storia del clima, a partire dal crepuscolo polare di due miliardi di anni fa, e mostra come essa sia inestricabilmente connessa con quella degli esseri umani, da quando hanno cominciato ad abitare la Terra. Il lungo percorso all’indietro nel tempo contribuisce a chiarire
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Provato e certo: un’esposizione a Brentonico nella primavera 2008
Brentonico e il particolare contesto naturale nel quale sorge il paese, a ridosso delle pendici del Baldo, da secoli meta di vagabondaggi botanici da parte di esperti ed appassionati erboreggiatori, quali il celebre Francesco Calzolari, si collocano al centro di una riflessione sulla storia della professione e delle arti farmaceutiche cui il Comune di Brentonico stesso sta guardando nell’ambito di una collaborazione con il Museo storico in Trento, l’Ordine dei farmacisti della Provincia di Trento, l’Associazione titolari di farmacia della Provincia di Trento e la Provincia autonoma di TrentoAssessorato alla cultura. Un tema complesso, che può essere affrontato attingendo anche alle informazioni dirette e indirette fornite da ricettari manoscritti nei quali sono confluite diverse forme di saperi, frutto sia dell’esperienza popolare sia della sperimentazione condotta in ambito per così dire scientifico. Di simili manoscritti si trova consistente traccia in fondi archivistici e bibliografici trentini e per un arco di secoli assai ampio. Essi costituiscono testimonianza del grado di diffusione e ricezione in quest’area alpina, a partire dagli inizi del Cinquecento, della più ampia produzione a stampa nazionale ed estera, ma anche
di conoscenze ed impieghi maturati localmente. Un percorso espositivo attento alla lettura e all’illustrazione dei loro contenuti permetterebbe pertanto di evidenziare non solo lo sviluppo della professione farmaceutica, ma anche le trasformazioni dei principi e delle azioni che nelle diverse epoche aderirono all’ideale di salute, nonché le modalità di formazione e diffusione delle conoscenze terapeutiche. La mostra «Provato e certo: rimedi segreti tra empiria e scienza in area alpina (secoli XVI-XIX)», che sarà ospitata presso palazzo Baisi a partire da metà maggio 2008, vuol essere dunque occasione per approfondire la conoscenza di un particolare «genere letterario», meglio noto come letteratura dei segreti. Il percorso prenderà l’avvio da un ricettario custodito presso la Biblioteca dei frati cappuccini di Trento («Manoscritto di medicina»). La scelta è stata fatta sulla base di alcune caratteristiche, che rendono questo manoscritto particolarmente interessante e significativo: l’origine geografica composita, le modalità di compilazione, l’eterogeneità delle fonti citate, l’ampiezza dell’arco temporale occupato dalle varie integrazioni (circa metà XVII-metà XVIII secolo), l’articolazione
dei temi che spaziano dalla cosmesi alla culinaria e il sicuro utilizzo di tale strumento in luoghi adibiti alla cura delle persone (un’infermeria conventuale). Tutti questi elementi contribuiscono a suggerire più piste di lettura, non ultima, la possibilità di spingere lo sguardo sulla contemporaneità e cogliere quale eredità della tradizione fissata nel manoscritto è possibile ancor oggi ritrovare in alcune produzioni a stampa, nei prodotti fitoterapici, nei comportamenti e atteggiamenti culturali, nelle immagini collettive e nelle memorie personali. È in questa prospettiva che in occasione della mostra sarà promossa sul territorio una raccolta di consigli, ricette, suggerimenti per risolvere ogni sorta di problema: dal modo di smacchiare a quello di preparare una tisana speciale, da come conservare un tessuto a come comporre una colla o un colore. Una sorta di itinerario all’interno delle abilità artigiane e delle tradizioni familiari alla ricerca di rimedi «provati e certi» per ogni situazione della vita. Questa era la formula con la quale i cosiddetti «professori dei segreti» collezionavano e pubblicizzavano, affidandoli alla stampa, i propri recipe attinti spesso dalle conoscenze empiriche di anonimi praticoni, non accertate scientificamente, ma non per questo di minore efficacia (r.t.).
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INFOMUSEO NOVITĂ€ EDITORIALI DEL MUSEO STORICO IN TRENTO
Quando Pippo volava‌ 1940-1946. Istituto La Rosa Bianca-Weisse Rose di Cavalese (TN), pp. 133, E 4.00 (Quaderni di costruire storia, 3) Il testo è il risultato di un progetto didattico realizzato durante l’anno scolastico 2003/2004 nella classe prima del Liceo sociale dell’Istituto La Rosa Bianca/Weisse Rose di Cavalese. Si è trattato di un percorso di carattere interdisciplinare lungo gli anni della seconda guerra mondiale e quelli immediatamente successivi. Si sono cosÏ intrecciate tante e diverse piste di lettura nella prospettiva di quanto affermato da Claudio Pavone, ossia che la storia non serve solo agli studiosi, non deve essere letta solo dagli addetti ai lavori, ma deve entrare a far parte del senso comune di una collettività . La storia – prosegue Pavone – fa parte della coscienza collettiva di un popolo. Per questo credo, senza retorica, che serva anche a formare buoni cittadini.
Renzo Maria Grosselli, Oltre ogni confine: l’emigrazione da un distretto alpino tra Ottocento e Novecento: il Vanoi nelle fonti orali, pp. 656, E 24,80 (Vesti del ricordo, 9) Dal 1869 al 2004 i villaggi del Vanoi (un’alta valle alpina della provincia di Trento), posti tra i 760 e i 1.030 metri sul livello del mare, hanno conosciuto complessivamente una diminuzione di OLTRE OGNI CONFINE popolazione pari a piÚ del 62%, passando da 4.403 a 1.651 abitanti. Si tratta di una crisi demografica di proporzioni gigantesche, che trova una sua parziale spiegazione anche, ma non solo, nel progressivo consolidamento di un fenomeno migratorio di natura permanente che, da un certo periodo in avanti, ha iniziato a interessare questa come altre zone dell’arco alpino. Rispetto al cosiddetto modello alpino di emigrazione, il Vanoi ha fornito, tuttavia, risposte storicamente diverse: infatti, questa zona ha sÏ offerto un notevole contingente di emigranti diretto verso le terre di colonizzazione del Sud America, esattamente come le basse valli trentine, venete e lombarde, ma non sembra, ad esempio, aver manifestato alcuna precoce forma di emigrazione stagionale. Quando ciò accadde, nell’ultimo trentennio dell’Ottocento, ossia quando si sviluppò il fenomeno dei venditori ambulanti di mercerie (i cosiddetti klòmeri), ciò costituÏ una valida alternativa al grande salto transoceanico. Successivamente, ancora nel corso del Novecento, l’emigrazione temporanea, se non addirittura stagionale, ha continuato a rappresentare una valida opzione rispetto ad altre forme di emigrazione e sicuramente una risorsa economica importante al pari di quella garantita dall’attività agricola, dall’allevamento, dalla silvicoltura e, in anni piÚ recenti, dal turismo. Su tutti questi aspetti fa luce l’Autore, da anni impegnato a recuperare le storie dei tanti protagonisti che dal Trentino mossero altrove per ricercare nuove opportunità di vita.
Renzo Maria Grosselli
Dal 1869 al 2004 i villaggi del Vanoi (un’alta valle alpina in provincia di Trento), posti tra i 760 e i 1.030 metri sul livello del mare, hanno conosciuto complessivamente una diminuzione di popolazione pari a piÚ del 62%, passando da 4.403 a 1.651 abitanti. Si tratta di una crisi demografica di proporzioni gigantesche, che trova una sua parziale spiegazione anche, ma non solo, nel progressivo consolidamento di un fenomeno migratorio di natura permanente che, da un certo periodo in avanti, ha iniziato a interessare questa come altre zone dell’arco alpino. Rispetto al cosiddetto modello alpino di emigrazione, il Vanoi ha fornito, tuttavia, risposte storicamente diverse: infatti, questa zona ha sÏ offerto un notevole contingente di emigranti diretto verso le terre di colonizzazione del Sud America, esattamente come le basse valli trentine, venete e lombarde, ma non sembra, ad esempio, aver manifestato alcuna precoce forma di emigrazione stagionale. Quando ciò accadde, nell’ultimo trentennio dell’Ottocento, ossia quando si sviluppò il fenomeno dei venditori ambulanti di mercerie (i cosiddetti klomèri), ciò costituÏ un’alternativa al grande salto transoceanico. Successivamente, ancora nel corso del Novecento, l’emigrazione temporanea, se non addirittura stagionale, ha continuato a rappresentare una valida opzione rispetto ad altre forme di emigrazione e sicuramente una risorsa economica importante al pari di quella garantita dall’attività agricola, dall’allevamento, dalla silvicoltura e, in anni piÚ recenti, dal turismo. Su tutti questi aspetti fa luce l’Autore, da anni impegnato a recuperare le storie dei tanti protagonisti, che dal Trentino mossero oltre ogni confine per ricercare altrove nuove opportunità di vita.
OLTRE OGNI CONFINE
Aldo Pantozzi, Sotto gli occhi della morte: da Bolzano a Mauthausen. A cura di Rodolfo Taiani, pp. 126, E 11,00 (Grenzen/Confini, 7) Edita per la prima volta nel 1946, ad appena un anno di distanza dall’inizio delle vicende in essa narrate, questa ricostruzione autobiografica di Aldo Pantozzi è il racconto dei cento terribili giorni trascorsi nell’inferno di Mauthausen nei primi mesi del 1945. Una cruda testimonianza, che narra degli orrori che si consumarono in quel luogo di indicibili sofferenze umane. Nel 2002, con l’autorizzazione dei familiari, il Museo storico in Trento realizzò una prima riedizione dello scritto rapidamente esaurita. Oggi, grazie anche all’apporto fondamentale del Comune di Bolzano e della Regione autonoma Trentino-Alto Adige/SĂźdtirol, è possibile riproporlo nuovamente e sottolineare cosĂŹ, una volta di piĂš, il suo grande valore storico-documentario oltre che umano. Ăˆ prevista anche la pubblicazione della traduzione tedesca dell’opera realizzata grazie all’intervento del Comune di Bolzano, della Provincia autonoma di Bolzano e dell’UniversitĂ di Innsbruck.
Renzo Maria Grosselli
Sommario: Premessa; Introduzione; CAPITOLO PRIMO: Dal Settecento alla prima guerra mondiale; CAPITOLO SECONDO: Tra le due guerre; CAPITOLO TERZO: La seconda metĂ del Novecento; Riferimenti bibliografici; Elenco delle persone intervistate; Elenco delle immagini.
Renzo Maria Grosselli, lavora come giornalista-inviato presso il giornale l’Adige di Trento. Conta al suo attivo numerose pubblicazioni sul tema della storia dell’emigrazione dal Trentino cui ha dedicato gran parte delle sue ricerche approfondendo in particolare lo studio delle colonie di emigrati trentini in Brasile.
ONLUS
ISBN 978-88-7197-094-3 24,80
www.museostorico.it – info@museostorico.it telefono 0461.230482 – fax 0461.237418
I lettori che volessero informarsi sull’insieme delle pubblicazioni del Museo storico in Trento possono collegarsi al seguente indirizzo internet: http://www.museostorico.it/editoria_ricerca/bookshop o scrivere all’indirizzo mail: rtaiani@museostorico.it
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Maggio 2007 L’Officina della storia: catalogo delle offerte l’officina della storia proposte didattiche del Museo storico in Trento didattiche per l’anno 2007-2008 scolastico 2007/2008 Anche per l’anno scolastico 2007/2008 il Museo storico in Trento-Laboratorio di formazione storica propone un’ampia offerta di attività didattiche, presentate nel catalogo a stampa L’officina della storia, disponibile anche in internet alla pagina http://www.museostorico.tn.it/ lab_did/index.htm. Queste attività, indirizzate ad alunni di scuola elementare, media e superiore, hanno come principale obiettivo quello di accompagnare gli studenti nella ricostruzione e comprensione della storia contemporanea in riferimento sia al territorio trentino che alla città di Trento. Per ricevere gratuitamente copia dell’opuscolo è possibile rivolgersi allo sportello INFOMUSEO tel. 0461.230482 in orario d’ufficio, lasciando il proprio recapito completo di numero telefonico, indirizzo email ed eventuale scuola di riferimento. anno scolastico
Laboratorio di formazione
storica
Santa Giustina; storie di una valle Il filmato, frutto di una coproduzione Museo storico in Trento e Format-Centro audiovisivi del Trentino, regia di Lorenzo Pevarello, ripropone il volto di una valle che cambia. Il filmato è stato realizzato con le interviste a sette testimoni dell’epoca; persone che hanno lavorato nei cantieri, che possedevano masi o terreni nella zona dell’invaso, che per età o esperienza hanno avuto contezza di quella particolare pagina di storia. Il materiale iconografico, fotografico e documentario proviene invece dagli archivi del Museo storico in Trento, dagli archivi dell’Enel, degli archivi personali dei testimoni intervistati e da collezionisti privati di immagini o cartoline d’epoca. Più che la costruzione della diga, la pellicola fotografa il mondo contadino di un tempo, le condizioni di lavoro, il rapporto con la terra, la vicenda degli espropri che ha fatto da cornice al riempimento dell’invaso.
Capitale memoria: la rappresentazione del lavoro nel cinema documentario italiano Nell’ambito della seconda edizione del Festival dell’Economia dedicato a «Capitale umano, capitale sociale», il Museo storico in Trento ha proposto dal 31 maggio al 2 giugno la rassegna cinematografica Capitale memoria: la rappresentazione del lavoro nel cinema documentario italiano. Sono stati proiettati quattro film documentari a partire da L’Italia non è un paese povero (Italia 1960, 135 minuti), realizzato tra il 1959 e il 1960 da Joris Ivens, su commissione dell’allora presidente dell’ENI, Enrico Mattei. Si tratta di un lungo viaggio da nord a sud, da una parte del paese risorta dalle macerie del secondo conflitto mondiale ad un’altra ancora fortemente arretrata. Sono stati proposti inoltre Il fischio della sirena, di Stefano Muti (Italia 2005, 50 minuti), che racconta la lotta dei lavoratori dell’isola d’Elba contro la chiusura di uno dei siti minerari più antichi del mondo, avvenuta nel 1981; Sole, di Mariangela Barbanente (Italia 2000, 52 minuti), che racconta la storia di un gruppo di contadine della Puglia alle prese con il fenomeno del caporalato ed infine Era tutto Michelin, memoria di una fabbrica di Vincenzo Mancuso e Francesco Tabarelli (Italia 2006, 62 minuti), prodotto dal Museo storico in Trento e dalla Provincia autonoma di Trento, che racconta lo sviluppo e il successivo declino della fabbrica trentina attraverso le testimonianze dei lavoratori e materiali d’archivio. Ha chiuso la rassegna il documentario Il mio paese, di Daniele Vicari (Italia 2006, 113 minuti) che ripercore l’Italia in senso inverso al film di Ivens per raccontare un presente segnato dalla crisi economica interna e dalla conseguente perdita di competitività internazionale. Nel suo viaggio Vicari racconta un paese in difficoltà, che sta tuttavia cambiando pelle: assieme all’Italia del declino emerge quella della riconversione, di una nuova trasformazione. Storie e storia: biografie, testi e ricerche Nell’ambito della rassegna Storie e storia: biografie, testi, ricerche promossa dal Museo storico italiano della guerra di Rovereto, dal Museo storico in Trento, dall’Accademia roveretana degli agiati e dall’Ufficio cultura del Comune di Rovereto nel mese di maggio hanno avuto luogo le seguenti iniziative: Giovedì 3 maggio, presentazione a cura di Paolo Pombeni e Fabrizio Rasera del primo volume degli Scritti e discorsi politici di Alcide Degasperi curato da Elena Tonezzer, Mariapia Bigaran e Maddalena Guiotto (Bologna, il Mulino, 2006). Giovedì 17 maggio, presentazione, in forma di dialogo con l’autore, del volume Il signore degli Agnelli: don Giovanni alla Fiat di Marino Biondi (Pistoia, Libreria dell’Orso, 2006).
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Giugno 2007 Storie e storia: biografie, testi e ricerche Sempre nell’ambito della rassegna Storie e storia: biografie, testi, ricerche promossa dal Museo storico italiano della guerra di Rovereto, dal Museo storico in Trento, dall’Accademia roveretana degli agiati e dall’Ufficio cultura del Comune di Rovereto nel mese di giugno hanno avuto luogo le seguenti iniziative: Giovedì 7 giugno, presentazione a cura di Stefano Bruno Galli e Alessio Quercioli del volume Scritti di Damiano Chiesa curato da Stefano Bruno Galli (Rovereto, Museo storico italiano della guerra, 2007). Venerdì 15 giugno, “Un ragazzo del novantanove”: radiodramma con canzoni e musiche segnatempo di Quinto Antonelli con il gruppo Cantastoria. Un archivista ritrova e legge in scena il diario di un ragazzo nato a Trento nel 1899. Le note irregolari e lacunose del ragazzo rimandano ad una pallida belle époque trentina, ad una città appassionatamente musicale, alla questione nazionale. Finché la guerra non arriva a svuotare le città, e il diario registra le partenze per il fronte, l’evacuazione dei civili, il clima di sospetto, gli internamenti coatti; interrompendosi il 12 luglio 1916 con l’esecuzione di Cesare Battisti. Giovedì 28 giugno, conferenza spettacolo sulla Resistenza e sulle guerre civili in Italia (1917-1945) di Emilio Franzina e la Piccola Bottega Baltazar “Cantandone da vivi…”: scherzi della memoria e abusi nella storia della guerra civile. Sulle immagini di sfondo (foto d’epoca, brevi spezzoni di Film Luce, Combat Film) si rievocano le storie di una miriade di personaggi, protagonisti grandi e piccoli di quello scontro, spesso atroce, fra italiani (e fra giovani e giovanissimi “in armi”). Figure famose o anonime come i soldati del Carso e di Caporetto, i “neri” e i “rossi” del primo dopoguerra, Mussolini e Matteotti, le Brigate Nere e i partigiani, la Repubblica sociale italiana e il fronte resistenziale e così via, sono chiamati in causa, da Francesco De Gregori a Pier Paolo Pasolini, da Luigi Meneghello a Beppe Fenoglio, a Nuto Revelli. Emilio Franzina ha condotto in scena la trama del racconto. 2007 06 03 mgr lessico pieghevole 3.qxp
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Il Museo storico: il lessico, le funzioni, il territorio Il convegno è stato realizzato dal Museo storico italiano della guerra, dal Museo storico in Trento e dal Comitato nazionale italiano dell’International Council of Museums (ICOM Italia) con il sostegno della Fondazione Cassa di Risparmio di Trento e Rovereto. L’incontro, svoltosi il 22 e 23 giugno nelle sedi rispettivamente di Rovereto e Trento, si è prefisso l’obiettivo d’individuare gli elementi che Il convegno è promosso da
Museo Storico Italiano della Guerra (o.n.l.u.s.) di Rovereto Museo storico in Trento (o.n.l.u.s.) ICOM - Italia
Con il contributo di
Provincia autonoma di Trento Fondazione Cassa di Risparmio di Trento e Rovereto
Sedi del convegno
Museo Storico Italiano della Guerra Via Castelbarco 7 38068 Rovereto
Palazzo Geremia Via Belenzani 20 38100 Trento
È stato chiesto il riconoscimento della validità del convegno ai fini dell’aggiornamento degli insegnanti
Per informazioni e iscrizioni Museo Storico Italiano della Guerra (o.n.l.u.s.) Via Castelbarco 7 38068 Rovereto www.museodellaguerra.it info@museodellaguerra.it T 0464 438100 F 0464 423410
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Il Museo storico Il lessico, le funzioni, il territorio 22-23 giugno 2007 Rovereto-Trento
accomunano la variegata realtà dei musei storici italiani a partire dalle parole con cui ciascuno si autodefinisce o viene identificato. I numerosi interventi sono stati presentati e organizzati in tre sessioni, secondo le diverse tipologie di responsabili di museo: i musei della patria (napoleonici, del Risorgimento, della Grande Guerra, della Resistenza-Deportazione-seconda guerra mondiale); i luoghi della memoria e della storia (monumenti, sacrari, case museo); i musei della città (civici, del lavoro e dell’industria, religiosi). A conclusione dei lavori il presidente dell’ICOM-Italia Daniele Jalla ha moderato una tavola rotonda che ha permesso di focalizzare stimoli e proposte per ulteriori approfondimenti sul tema. Gli Atti del convegno saranno pubblicati nel corso del 2008. Feste di San Vigilio
Il Museo storico in Trento ha partecipato con un proprio stand promozionale alle serate delle Feste Vigiliane. Dal 24 al 26 giugno è stato possibile conoscere più da vicino le pubblicazioni del Museo ed informarsi sui suoi servizi.
Luglio 2007 La “Frabica” delle scritture di montagna Il 7 luglio al Prà del Cimerlo nel Parco naturale di Paneveggio-Pale di San Martino è stata inaugurata una mostra permanente che documenta lo stretto rapporto tra la vita di montagna e le diverse, diffuse, pratiche di scrittura dovute ad uno storicamente precoce apprendimento in area alpina della lettura e della scrittura, diffusa a partire dal XVII secolo. La mostra, permanente allestita in un vecchio maso del secolo XVII, rimanda, per approfondimenti, ad un piccolo archivio che può essere agevolmente consultato dai visitatori: i documenti, tratti dalle scritture autobiografiche, o la copia delle scritte murali, fanno intravvedere le vite dei montanari di altri tempi, quando la montagna, ben prima delle pratiche alpinistiche, era un
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luogo di lavoro, popolato da boscaioli, carrettieri, carbonai, fabbricatori di calce, pastori, malgari, raccoglitori e raccoglitrici di erbe, di funghi, di piccoli frutti. Durante l’estate sono state organizzate alcune visite alla “Frabica delle scritture di montagna”, di volta in volta accompagnate dalle riflessioni di esperti. Il progetto “Frabica”, la cui responsabilità scientifica è stata affidata a Quinto Antonelli, è il risultato di una ricerca avviata grazie alla collaborazione del Parco di Paneveggio con il Museo storico in Trento. La più alta d’Europa. Santa Giustina 1951 Nell’ambito del più ampio progetto “Val di Non: il portale della storia e della memoria”, il Museo storico in Trento e il Comprensorio della Valle di Non hanno collaborato alla realizzazione dell’esposizione “La più alta d’Europa: Santa Giustina 1951”. La mostra, inaugurata il 27 luglio e aperta fino alla fine di ottobre presso i locali della Società Edison alla diga di Santa Giustina, ha ripercorso attraverso straordinari materiali fotografici tratti dall’archivio inedito dello “Studio Ing. Claudio Marcello” di Milano la storia della costruzione della diga dal 1946 al 1954. Le fotografie sono state accompagnate da documenti d’archivio provenienti dalla Società Edison e dal documentario “L’epopea di Santa Giustina: storie di una valle” per la regia di Lorenzo Pevarello realizzato dal Museo storico in collaborazione con Format–Centro audiovisivi di Trento. La mostra ha registrato un notevole successo con oltre 25.000 visitatori in poche settimane.
Tracce di memoria: ricordi, esperienze e testimonianze sull’istituzione manicomiale Il seminario permanente “Alla ricerca delle menti perdute”, promosso dall’Università degli studi di Trento e dal Museo storico in Trento, ha contribuito con Pergine spettacolo aperto all’organizzazione, per il 14 luglio 2007, di un incontro pubblico sul tema della valenza terapeutica dell’espressione artistica nella storia del manicomio con la partecipazione di Claudio Misculin (Accademia della Follia, Trieste), Casimira Grandi (Università degli studi di Trento), Nazario Zambaldi (Teatro Pratiko, Merano), Alfredo Vivaldelli (direttore dell’UO3 di Psichiatria, distretto Alta Valsugana) e Lorenzo Toresini (Casa Basaglia, Merano). Sono intervenuti inoltre Nicola Valentino (Cooperativa Sensibili alle Foglie), Daniela Rosi (Centro di riabilitazione neurologica “Franca Martini”, Trento), Alberto Puliafito (artista), Michele Poli e Rosa Valer (Centro di salute mentale di Trento-UFE), Marco Varner (Scuola musicale, Pergine).
Agosto 2007 XIII film festival della Lessinia Il Museo storico in Trento è stato presente alla XIII edizione del film festival della Lessinia. Nel corso della rassegna, svoltasi a Bosco Chiesanuova in provincia di Verona fra il 18 e il 26 agosto, sono state presentate alcune produzioni video e a stampa del Museo stesso.
91. anniversario della morte di Cesare Battisti (12 luglio 1916) In occasione dell’anniversario della morte di Cesare Battisti, Il Museo storico in Trento ha proposto, come tradizione, una conferenza di argomento battistiano. Vincenzo Calì, storico, già direttore del Museo storico e curatore dell’Archivio Battisti, ha svolto un intervento su Ernesta Bittanti (1871-1957), moglie di Battisti, nonché figura di alto profilo intellettuale, di cui è ricorso nel 2007 il 50. della morte. Calì ha delineato il percorso culturale e personale della Bittanti, il suo fondamentale ruolo al fianco del marito nelle lotte politiche e sociali nel Trentino asburgico e, dopo la condanna a morte, il suo paziente lavoro di ricomposizione, attraverso le carte di famiglia, dell’itinerario umano, scientifico e politico del marito Cesare.
Via Torre d’Augusto, 35/41 38100 TRENTO Tel. 0461.230482 Fax 0461.237418 info@museostorico.it www.museostorico.it
ALTRESTORIE - Periodico di informazione - Direttore responsabile: Sergio Benvenuti Comitato di redazione: Giuseppe Ferrandi, Patrizia Marchesoni, Paolo Piffer, Rodolfo Taiani Hanno collaborato a questo numero: Quinto Antonelli, Emanuela Renzetti e Guido Zanella Periodico quadrimestrale registrato dal Tribunale di Trento il 9.5.2002, n. 1.132 ISSN 1720-6812 Progetto grafico: Graficomp - Pergine (TN)
Per ricevere la rivista o gli arretrati, fino ad esaurimento, inoltrare richiesta al Museo storico in Trento.
«Forse mai prima di allora la fotografia aveva svelato, attraverso la morte di un uomo, il legame indissolubile tra l’immagine, che è la produzione del simile, e l’aggressività, che è la distruzione del simile, assumendo nel simbolo (l’immagine-icona) il sacrificato».
Come si porta un uomo alla morte
la fotografia della cattura e dell’esecuzione di Cesare Battisti
PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO
libro fotografico a cura di Diego Leoni saggi di Ando Gilardi, Diego Leoni, Sonia Pinato, Fabrizio Rasera
a cura di Diego Leoni
Trento 2007, pagine 286 ISBN 978-88-7197-097-4 € 58,00