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ASSICURAZIONI DAL 1937
anno nono
numero ventiquattro
dicembre 2007
IN QUESTO NUMERO Natale: albero o presepe? di Elena Tonezzer
La tradizione e l’arte del presepio a Tesero di Paolo Piffer
Un “altro” Natale di Valentina Galasso
Un buon pranzo (di Natale) di Quinto Antonelli
Il Natale del 1914 sul fronte occidentale: una proposta di lettura (e di visione)
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Natale: albero o presepe? di Elena Tonezzer
Rovistando negli archivi a volte succede di imbattersi in una carta inaspettata, che non risponde per niente ai bisogni che la ricerca impone in quel momento, ma per qualche motivo rimane impigliata alla nostra attenzione. Possono essere le strane formule del linguaggio burocratico a destare la curiosità dello storico, quando si parla di bevande spiritose a proposito degli alcoolici ad esempio, oppure la presenza stessa di un argomento in un periodo o in un ambito del tutto inatteso. È quello che mi è successo a proposito del titolo di un documento diligentemente riportato in uno dei repertori che raccolgono anno per anno in rigoroso indice alfabetico tutti gli atti del Comune di Trento, si trattava di quello del 1900,
che alla F di Forestale recitava: “Divieto di porre in vendita senza licenza ‘Alberi di Natale’ pianticelle di pino ed abete – da in vigilare”. La notizia in sé, che vendessero alberelli tagliati abusivamente, apparentemente non è straordinaria, i trasgressori alle norme e in particolare a quelle fiscali sono sempre esistiti. Lo strano sta proprio nell’oggetto, in quell’albero di Natale che comunemente si sa diffuso in Italia solo all’indomani della seconda guerra mondiale, con l’inizio del boom economico e l’assunzione dei modelli di comportamento e dei simboli natalizi di derivazione statunitense. Non era il presepio la tradizione per eccellenza del Natale cattolico e latino? Questo frammento documentario sembra insinuare un dubbio sulle abitudini trentine e confermare il carattere plurimo dell’identità culturale di questa regione, che si manifesterebbe anche nella celebrazione della più importante festa religiosa cristiana. La tradizione dell’albero di Natale risale ai popoli germanici, mentre quella del presepio è di origine italiana, tanto che lo realizzò per la prima volta San Francesco con i suoi frati nella notte tra il 24 e il 25 dicembre 1223 a Greccio, vicino a Rieti. Le leggende circa l’origine dell’abete come simbolo natalizio sono numerose e affondano nelle narrazioni precristiane, che attribuivano un valore sacro alla caratteristica dell’abete di essere un sempreverde e dunque di riuscire a simboleggiare la vita anche in pieno inverno. Fonti documentarie dicono che in Alsazia si autorizzarono nel 1521 dei contadini a tagliare il loro albero di Natale, e una cronaca di Strasburgo del 1605 precisa che si portarono in casa degli
abeti ornati con rose di carta, mele, zucchero e oggetti dorati. Nel 1840 la principessa Elena di Germania, sposa del duca d’Orleans, stupì la corte parigina decorando il suo albero alle Tuileries. La moda dell’albero di Natale si diffuse poi nelle corti europee attraverso i matrimoni con nobili tedeschi, dopo la Francia fu il caso dell’Inghilterra, dove il principe Alberto di Sassonia, tedesco e sposo della regina Vittoria, inaugurò questa abitudine. A differenza dell’albero di Natale, l’abitudine del presepio ha le sue radici nella tradizione etrusca e latina, per la precisione nella consuetudine che i bambini di casa in prossimità della festa Sigillaria (il 20 dicembre!) lucidassero le statue dei lari, che rappresentavano i defunti della famiglia, per disporle in un piccolo recinto nel quale si costruiva in miniatura un ambiente bucolico. Come in molti altri casi, i cristiani tramutarono feste già esistenti in feste cristiane, mantenendo talvolta le date o i nomi ma mutandone il significato. La tradizione tutta italiana del presepio risale come detto all’intervento di San Francesco, venne legittimata dal Concilio di Trento per la sua capacità di trasmettere la fede in modo semplice, e proseguì nei secoli trovando nelle famiglie nobili un terreno fertile perchè le statuine erano in grado di fornire un argomento in più per mostrare la ricchezza e l’opulenza del casato. La metafora del Trentino come ponte tra mondo germanico e italiano è nota e forse addirittura abusata, ma le tracce dei due mondi affiorano nei dialetti e nella cultura materiale della popolazione locale soprattutto fino alla Grande Guerra. La tradizione del presepio era sicuramente presente anche prima di questo
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terribile evento separatore, sebbene solo in poche chiese si costruisse l’intera scena della natività e di solito si preferisse porre la semplice mangiatoia con la statua del piccolo Gesù bambino a grandezza naturale, tuttavia è probabile che anche l’albero di Natale fosse diffuso a livello popolare. L’appiattimento operato dal fascismo, che tentò di omologare l’intero Paese imponendo celebrazioni ovunque uguali e ‘italianissime’, rende però difficile recuperare ora la presenza in Trentino di un’abitudine nordica come quella dell’albero decorato. Non si può escludere che la diffusione del presepio latino a scapito del albero natalizio tedesco rientri nell’insieme delle strategie volte deliberatamente a conquistare politicamente e culturalmente anche l’ultima delle regioni annesse al Regno d’Italia. A un fenomeno di questo tipo sembra alludere nel 1934 una frase pubblicata sulla Stampa di Torino a proposito delle abitudini natalizie delle valli del Tesino, quando si sottolinea che «il Fascismo ha pure ridato vita ad una antica tradizione italica, quella del Presepio, che in molte località della nostra regione ha ormai sostituito l’usanza nordica dell’albero di Natale» («Folclore natalizio». La Stampa. Torino, 26 dicembre 1934). Se in quegli anni si era verificata una «sostituzione» di una abitudine precedente con una nuova, significa che l’albero di Natale era almeno fino a quel
momento molto più presente nella popolazione del presepio, e che la successiva diffusione di quest’ultimo è stata in qualche modo indotta («il fascismo ha ridato vita») in modo artificiale. Il documento da cui siamo partiti, sulla vendita abusiva degli alberelli per Natale, sembra lasciare intendere che la presenza di tradizione dell’albero in quell’anno non fosse nuova né limitata a pochi sporadici casi. Si tratta di un’indagine solo indiziaria ma già capace di aprire dei coni di luce su questo tema. In primo luogo gli attori di questa lettera sono esponenti istituzionali di primo piano e il loro interessamento fa sospettare che il fenomeno della vendita degli abeti per Natale avesse una certa importanza e diffusione. Nella lettera il Consigliere aulico chiede al Magistrato civico di Trento di intervenire per far osservare la legge e “incaricare le guardie municipali ad invigilare entro il raggio della città sull’esatta osservanza delle disposizioni […] e di passare alla confisca degli ‘Alberi di Natale’ non muniti della prescritta licenza e del marchio del martello d’ufficio, nonché denunciare i contravventori a quest’ordine”. La preoccupazione dell’autorità, prosegue la lettera, ha addirittura motivazioni “di precauzione forestale”, un’indicazione che aggiunge peso all’ipotesi che il fenomeno fosse molto diffuso, tanto da far temere per la sicurezza
dei boschi, e abbastanza significativo da richiedere la collaborazione dell’ispezione forestale del capoluogo, di Pergine e di Mezzolombardo. Alla lettera è accompagnato il testo della circolare da rendere pubblico alla popolazione, in cui si avvertono soprattutto i venditori abusivi dei rischi in cui sarebbero incorsi se colti in flagrante. Il testo viene diffuso anche dai giornali locali, che lo pubblicano senza particolari commenti nei giorni che precedono la festa della natività. Anche la Voce Cattolica, legata alla Curia, non trova necessario intervenire a rimarcare per motivi religiosi una condanna dell’albero di Natale o una difesa del presepio. Sono passati più di cento anni da quel natale del 1900 in cui le autorità austriache erano allarmate per i danni che un taglio smodato degli alberi avrebbe potuto infliggere al patrimonio forestale trentino, e la festa del Natale – con la sua apparente immobilità – è cambiata assecondando i gusti e le mode di una società sempre più vasta e globalizzata. Negli anni cinquanta del XX secolo l’albero di Natale si è diffuso anche nell’Europa mediterranea non da Nord, dalla vicina Germania o dalla Francia, ma da oltre oceano. L’albero e le sue decorazioni è approdato come fenomeno di massa in Italia dagli Stati Uniti, così come il rosso Babbo Natale, che ha lentamente sostituito Gesù bambino come destinatario delle letterine con cui i bambini esprimono i loro desideri. Il Trentino fa parte di questo mondo che unisce in modo indifferenziato ogni latitudine e smussa le specificità delle storie locali, ma a volte una singola carta in un archivio può almeno farci ricordare di quante stratificazioni di tradizioni e culture è frutto.
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La tradizione e l’arte del presepio a Tesero di Paolo Piffer
Il paese dei presepi: intervista con Walter Deflorian
In valle di Fiemme, a Tesero, da 42 anni l’associazione Amici del presepe ha il compito di rinverdire l’antica tradizione presepistica e da 12 propone la manifestazione “I Presepi nelle corti”. Tanto che i presepi del paese hanno trovato anche la strada del Vaticano dove fanno bella mostra di sé. Oltre, ovviamente, ad incorniciare il centro fiemmese nel corso d e l l e f e s t e fin dopo l’epifania. “La tradizione della realizzazione dei presepi in legno – dice Walter Deflorian, presidente dell’associazione Amici del presepe – è secolare. È una tradizione le cui fonti sono due affreschi del 1534 che si trovano nella chiesa di San Leonardo. L’altro simbolo è una stufa ad olle del 1630 che riporta delle immagini sulla natività. Da questi elementi simbolici si sviluppa una tradizione lignea, di carattere scultoreo, parecchio significativa. Tanto che, in diverse case private del paese, sono ancora conservati diversi presepi storici che vanno dal 1780 al 1900.
Del secolo scorso, fino a circa gli anni settanta, c’è invece un intenso lavoro di copia dei presepi storici. Un lavoro artigianale che, mano a mano, va a scomparire a favore di figure professionali specifiche ed artistiche che si impegnano in questo settore”. Si può dire che ogni famiglia di Tesero ha in casa un presepe? “Diciamo così: nelle case private, di presepi storici veri e propri ce n’è una trentina. Si arriva ad un centinaio se consideriamo il periodo che va fino al 1900. E che attività svolgete, come associazione, per far conoscere questa antica tradizione? “I presepi più vecchi sono stati raccolti per una mostra in Vaticano, a Roma, che andrà avanti fino al 2 febbraio e che vede presenti anche presepi che arrivano da altre valli trentine. Proprio lì contribuiamo, inoltre, come lo scorso anno, a realizzare il presepe ad “altezza” naturale in piazza San Pietro. Qui a Tesero, invece, allestiamo i nostri presepi nelle corti. Sono circa un centinaio tra storici, artistici, realizzati da scultori. Ma anche più moderni o interpretazioni di presepi”. C’è qualche aspetto particolare che avete voluto mettere in evidenza nell’edizione di quest’anno dei “Presepi nelle corti”? Abbiamo fatto una mostra personale di uno dei fondatori dell’associazione, Leo Deflorian. È un’esposizione che propone gli oltre quarant’anni di carriera di Leo in campo presepistico. E poi un’altra mostra, questa volta fotografica, che ripercorre le fasi della collaborazione dello scorso anno con il Vaticano. Quanti sono, a Tesero, gli arti-
giani che lavorano alla realizzazione dei presepi? L’associazione ha 160 soci. Una ventina di questi, tra artigiani e artisti, lavora con continuità il legno per realizzare i presepi.
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Una vita di intervista con Felix Deflorian
presepi: vecchio pastore del posto.
“Non so proprio quanti presepi in legno ho fatto. È 45 anni che lavoro e ogni anno qualcuno l’ho realizzato”, dice Felix Deflorian, 70 anni, scultore e pittore da una vita, uno dei pionieri dell’associazione Amici del presepe di Tesero, diplomato alla scuola d’arte di Moena. “Certo – prosegue – quello grande, ad ‘altezza’ naturale, l’ho scolpito tanto tempo fa e fu messo sul vecchio ponte romanico qui a Tesero. Allora, quarant’anni fa, fu il primo presepe esposto, di quel tipo, di tutto l’arco alpino. Ma poi ne ho fatti tanti altri, sia per enti e associazioni che per le famiglie. Quello ad altezza naturale adesso lo allestiamo in piazza. Nel corso degli anni lo rinnovo. Magari metto nuove figure e vestiti diversi. L’anno scorso l’abbiamo portato a Roma dal Papa”. Dove sono tutti i suoi presepi? Solo qui a Tesero o anche in giro per l’Italia? “No, no. In giro per l’Italia ma pure in Europa e in America. C’è un mio presepe a New York, sulla quinta avenue, nella sede dell’Alitalia e un altro nella chiesa di San Patrick. E un altro ancora a San Francisco, nella chiesa di padre Efrem Trettel. Poi anche nell’America del sud”. E che caratteristiche hanno? “Mi ispiro molto all’ambiente naturale, alle montagne della valle. Inoltre, per i volti, prendo spunto da personaggi locali realmente esistiti. C’è, ad esempio, la figura del Tita Oca, rappresentazione di un
Adesso ho finito un trittico a portele dove sono presenti un po’ tutte le componenti del presepe. È bello grande, 70 centimetri di larghezza per un metro e venti di altezza. C’è l’annunciazione dell’angelo ai pastori, la venuta dei Magi e, al centro, la natività. L’ho mandato alla mostra di Roma insieme ad un dipinto, sempre sullo stesso tema”. Che cosa le piace del lavoro che porta alla realizzazione del presepe? “È uno stimolo per la fantasia. Ci si può sbizzarrire prendendo spunto, come dicevo prima, dall’ambiente naturale ma anche dai rustici e dai tabià. Ho inserito, ad esempio, il Corno Bianco con la rocca. La mia ispirazione la prendo quasi sempre da soggetti locali. Un altro esempio è proprio il trittico che ho finito da poco. La scena centrale è ovviamente classica ma i pastori indossano i nostri vecchi costumi di valle. E le fisionomie sono quelle dei paesani di una volta. Anche perché è più difficile, adesso, ritrovare i visi caratteristici, tipici, dei contadini del passato che sono quelli giusti in un presepe”. Quanto tempo ci è voluto per fare l’ultimo presepe e che legno ha usato? “L’ho iniziato nel luglio scorso. Quattro mesi di lavoro in tutto. Ho usato legno di cirmolo e di tiglio. Continuerò fino a quando riuscirò a lavorare il legno. La nostra, qui a Tesero, è veramente una tradizione popolare, che si vive giorno per giorno, perché è vicina alla gente”.
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Un “altro” Natale di Valentina
Dariya Rozlohysta è ucraina. Vive in Italia dal 2002, e quello Galasso che si appresta a festeggiare è il suo sesto Natale lontano da casa. I cittadini ucraini che come Dariya vivono e lavorano nella provincia di Trento, e che rappresentano il 4,3% della popolazione di origine straniera presente in Trentino, sono circa 1.400. Le cifre sono riportate dal rapporto 2007 sull’immigrazione in Trentino, secondo il quale gli immigrati stabilmente residenti in provincia di Trento sono circa 33.300, con un’incidenza totale sulla popolazione locale pari al 6,6% (percentuale superiore a quella riferita al territorio nazionale nel suo complesso, ma in linea con la media delle province settentrionali) (L’immigrazione in Trentino. Rapporto annuale 2007, a cura di Maurizio Ambrosiani, Paolo Boccagli e Serena Piovesan, Trento, Provincia autonoma di Trento, 2007, p. 34-37). Parlare oggi di immigrazione dovrebbe richiamare alla mente, quasi naturalmente, le grandi ondate migratorie di cui gli italiani, e tra loro i trentini, furono protagonisti fino alla fine degli anni sessanta del XIX secolo. Eppure parole come “integrazione”, “discriminazione”, “cittadinanza” o “seconda generazione”, sono troppo spesso applicate univocamente e talvolta semplicisticamente ai fenomeni immigratori attuali, tralasciando di ricordare, volutamente o inconsciamente, quando le stesse definizioni venivano attribuite alle esperienze migratorie degli italiani all’estero. Lo studio della memoria e della storia della grande emigrazione italiana (e trentina), infatti, rappresenta una stra-
ordinaria opportunità di ridiscutere criticamente quei fenomeni che accomunano gli emigrati italiani del secolo scorso e gli immigrati di oggi, in modo che la comprensione di eventi recenti ed incalzanti come quello immigratorio, sia più agevolata e facilitata da preziosi strumenti interpretativi. Del resto, se la presenza ed il radicamento di comunità straniere sul territorio trentino rappresentano ormai un dato incontrovertibile, molto meno scontata è la conoscenza dei loro costumi e delle loro abitudini. Da questo punto di vista, un primo passo verso una necessaria apertura a ciò che di “diverso” oggigiorno riscontriamo nel nostro vivere collettivo, può essere quello di avvicinarsi alle differenti modalità di celebrazione che festività così largamente ed internazionalmente diffuse, come il Natale, assumono al di fuori dell’Italia.
Il ricordo delle Feste trascorse con la famiglia in un piccolo paese nella provincia di Leopoli è per Dariya molto vivo, a cominciare dai giorni che lo precedono, all’inizio del primo mese dell’anno. I cristiani ortodossi, infatti, celebrano il Natale il 7 gennaio, dal momento che la religione russo-ortodossa ha conservato per le festività religiose il vecchio calendario giuliano, sostituito nel 1582 da quello introdotto da Papa Gregorio XII, da cui il nuovo calendario, tuttora in uso, prese il nome. Per questo motivo per gli ortodossi il Natale ricade il 7 gennaio del nostro calendario, che corrisponde al 25 dicembre del calendario giuliano. Dariya racconta come il “suo” Natale sia all’insegna della sobrietà ma allo stesso tempo di una forte compartecipazione tra i membri della famiglia. In Ucraina infatti, il Natale rappresenta una delle festività “familiari” più impor-
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tanti dell’anno, secondo solo alla Pasqua. Come per i cattolici, la Natività è preceduta da una quaresima di 40 giorni, allo scadere della quale ogni nucleo familiare si ritrova a casa dei genitori. Fin dalla mattina del 6 gennaio, le donne si occupano della preparazione della cena della Vigilia, riservata ai componenti della famiglia. Il digiuno mantenuto durante tutto il giorno che precede il Natale, viene rotto all’apparire della prima stella nel cielo, che, tradizionalmente, viene considerata quella di Betlemme.L’inizio dei festeggiamenti è preceduto da una serie di antichi gesti tradizionali che tuttora sopravvivono: il capofamiglia si reca nella stalla ed offre agli animali un pezzo di pane; successivamente rientra in casa portando con sé un ciuffo di erba secca (ricordando in questo modo quella sulla quale nacque Gesù), e ringrazia Dio per l’anno appena trascorso. Il pasto non può cominciare prima che il pane,
rigorosamente senza lievito, venga tagliato e distribuito dal capofamiglia a tutti i commensali. La cena della vigilia, priva di carne ed a base di piatti semplici e di “cutià”, un impasto di frumento secco, sbucciato, cotto e condito con il miele, ha finalmente inizio. È tradizione che gli invitati si servano tutti dallo stesso piatto, mentre le dodici portate, il cui numero richiama gli apostoli, tra le quali troviamo pietanze a base di pesce, crauti, funghi, e ravioli di patate (i famosi “varenyky”), vengono sistemate in mezzo alla tavola. Durante la cena alle preghiere ed ai canti natalizi si alternano le chiacchiere ed i ricordi condivisi dai numerosi componenti della famiglia, fino a che, alle 24.00, si assiste, in chiesa, alla Messa di Natale. Da quel momento cominceranno le vere e proprie celebrazioni tradizionali della Natività, in ucraino il “Krystos Razhdaietsia”, e cioè il giorno di “Gesù nato”. Durante il 7 di gennaio, infatti, le case si aprono ad amici e conoscenti, mentre il cibo, terminata la quaresima, sarà più ricco e variegato. Per tutto il giorno di Natale gruppi di adolescenti animano i tradizionali presepi viventi percorrendo le strade e le abitazioni dei villaggi e dei paesi, porgendo gli auguri ed intonando le tipiche canzoni natalizie. Anche nei centri abitati di maggiori dimensioni, o nella capitale Kiev, può capitare di assistere al passaggio dei presepi
viventi, anche se meno frequentemente e generalmente in seguito alla esplicita richiesta di una o più famiglie. Per gli ucraini ortodossi non è abitudine scambiarsi regali nel giorno di Natale, come accade invece il 19 di dicembre, al passaggio di San Nicolò, quando bambini ed adulti al loro risveglio trovano dolci, caramelle ed oggetti sotto al proprio cuscino. Dal racconto di Dariya traspare che festeggiare il Natale fa ormai parte di una tradizione condivisa dalla maggioranza delle famiglie ucraine, al contrario di ciò che avveniva negli anni precedenti la caduta del regime sovietico. Secondo Dariya, infatti, le persone che occupavano posti importanti all’interno della struttura di partito e burocratica del sistema sovietico, nel caso in cui fossero comunque legate alle tradizionali celebrazioni natalizie, non erano solite festeggiare il Natale, o lo facevano il più segretamente possibile. A dimostrazione di come la comunità ucraina sia presente in Trentino, ogni 7 gennaio, nella chiesa di San Giuseppe a Trento, viene celebrata la messa di Natale ortodossa. Segue un pranzo nell’oratorio cui i fedeli contribuiscono portando qualcosa di caldo e tipico preparato in casa. Indipendentemente dal valore che ognuno di noi attribuisce al Natale, è ormai indispensabile prendere atto dell’esistenza e del radicamento di culture e religiosità distinte sul territorio trentino. Sentirsene minacciati sarebbe del tutto ingiustificato, apprezzarne la diversità e la ricchezza culturale non può che contribuire alla costruzione di una comunità più tollerante ed inclusiva. Così che… SROZHDESTOVOM KRISTOVYM (Buon Natale) a tutti!
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Un buon pranzo (di Natale) di Quinto Antonelli
I pranzi delle feste natalizie d’ambiente contadino dovevano essere innanzitutto abbondanti. Non sembra di notare in autobiografie, diari e ricettari la presenza di cibi rituali, a parte lo zelten che appare nella seconda metà dell’Ottocento. Come scrive Giorgio Bugna nella sua arte culinaria (1915) un buon pranzo (anche di Natale) si compone di tre galline cotte dapprima nell’acqua e poi arrostite nel burro per mezz’ora; di una minestra di riso cotto nel brodo delle galline; di paste concie, ovvero condite con formaggio e burro. “Si mangia quindi la minestra, poi le paste, poi le galline arrostite
col pane, poi il caffè coll’acquavite, poi i sigari di virginia”. Un pranzo abbondante, ma semplice, di poche portate. Invece per un’anonima cuoca di Primiero, un buon pranzo deve prevedere tutto ciò che si conosce ed è possibile preparare; nell’ordine (o nel disordine): zuppa, fritto, carne, verdura, salame, “allesso con dolce, paste e sopra conza”, lingua salata, pollame, budino, offelle, arrosto, una torta, il caffé. Sono desideri, propositi, modelli di pranzi festivi che dovevano celebrare, almeno per un giorno, l’abbondanza. Ma c’era chi quell’abbondanza poteva
permettersela per davvero. Il 31 dicembre 1905, secondo il ricettario della cuoca, la facoltosa famiglia Oss-Mazzurana cena in questo modo: “Brodo ristretto, pesce con maijones, tartufi con pasta sfoglia e intingolo di latticini, cottole[tte] di vitello con tegoline e piselli, arrosto di pollo con broccolo, dolce plombier a 4 colori, formaggio, castagne e frutta. A ½ notte budino fiamante e scampang”. Già, il pesce a Natale. Non è solo la facoltosa famiglia trentina a rispettare quella che appare una tradizione aristocratica e borghese. Sappiamo dall’autobiografia di Angelo Michele Negrelli che il consumo natalizio di pesce in quel di Primiero esiste già a metà Settecento. Quando
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può lo porta lui stesso dai suoi frequenti viaggi a Venezia, dove ha amici e conoscenti. Ecco come racconta il ritorno a casa da uno di questi: “Sul far della sera rimontando a cavallo, e facendo a tutta notte lo Schener senza aver incontrato alcun altro sinistro, Dio volle, che arrivassimo felicemente a casa prima del giorno, e gli amici continuando verso le loro famiglie, congedatisi da me io entrai tutto consolato nella mia famiglia dove ancora tutti dormivano, e fù quello il primo viaggio, ossia vero il secondo ch’io facessi di notte tempo, protestando di non farne mai più alcun altro di notte. Tanto la Bettina, che i genitori, e sorella si mostrarono contenti, nonché sorpresi dell’innaspettato mio arrivo, ed io rimasi ancora più di essi contento, e pel viaggio felice che aveva fatto, e per averli ritrovati tutti sani. Io aveva portato con me una sporta di pesce Veneziano nella supposizione, che la mia famiglia non ne avesse avuto da altre parti, ma rimasi sorpreso, quando mi si disse, che per parte degli amici di Venezia e senza mia presaputa avevano ricevuto altre 2 sporte di pesca, cosicché ho
potuto farne parte ad alcuni amici”. È un rituale che dura nel tempo. Quasi un secolo dopo, nel 1878, il figlio Michele Angelo annota nel “giornale di famiglia” di aver consumato in ritardo il “pesce veneziano”. Ma ecco l’intero brano del giudice Negrelli dedicato al mese di dicembre 1878: “Mese cattivissimo. Poco sole, freddo a 9 gradi e più, neve e, sul finire, scirocco e pioggia. Il 20 cadette in Rolle una valanga che ammazzò un cavallo di Siror ed un uomo di Mezzano. Il 23 venne aperta la Latteria sociale di Primiero con spari, illuminazione, fuochi di artificio, cena sociale e benedizione. Tutto passò bene. Il contadino però osteggia l’istituto. Non sa quel che fa. Il 30 ebbi a pranzo Costanza e consumammo il pesce veneziano per Natale venuto in ritardo. L’anno 1878 fu buono per Primiero ma cresce col vizio la povertà. Laus Deo Semper”. In anni più recenti il pranzo natalizio si caratterizza per la presenza dello zelten, che troviamo in ogni ricettario. Il 28 dicembre 1929 Emerina Grigolli di Mori scrive la ricetta del “suo” zelten “di Natale”: “fioco [farina di] 28-30 dec; burro 14 d; zucchero 14 dec.
due uova intere un ottavo di latte fichi 20 d; pinoli a piacere uva passa noci, corteccia di un limone, ed arancio poco sale. modo: si lavora le uova col burro e farina ben bene, poi si aggiunge a poco a poco il resto, per fine 1/2 polvereta. forno caldo”. Una delle tante ricette, tutte piuttosto simili, ma tutte diversissime da quel “Celtem” primierotto e contadino di fine Ottocento che si faceva mescolando una libbra di mandorle, una di pinoli (“pignolli”), una di uva passa con mezzo pane di segala ammorbidito nell’acqua. *Nell’articolo si fa riferimento all’Autobiografia di Giorgio Bugna; al ricettario manoscritto anonimo proveniente da Fiera di Primiero (seconda metà dell’Ottocento); al ricettario di Angelina Andreoli, cuoca presso la famiglia OssMazzurana; alle Memorie di Angelo Michele Negrelli (1764-1851); al “Giornale della famiglia Negrelli” tenuto da Michele Angelo Negrelli (1805-1881); al ricettario di Emerina Grigolli. Tutti i manoscritti consultati sono depositati presso il Museo storico in Trento, Archivio della scrittura popolare.
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Una proposta di lettura (e visione): il Natale del 1914 sul fronte occidentale raccontato da Michael Jürgs e Christian Carion
Accade che il corso di eventi maggiori sia attraversato da episodi all’apparenza piccoli, quasi privati, che si sottraggono alla logica della Storia e, pur non potendo modificarne le sorti, possiedono una forza sovversiva straordinaria. Il testo, La Piccola pace nella Grande Guerra: Fronte occidentale, 1914: un Natale senza armi (Milano, Il Saggiatore, 2006) di Michael Jürgs ne racconta uno, un lampo di umanità tra gli orrori che hanno fatto del primo conflitto mondiale la Grande Guerra. Sono passati sei mesi dall’inizio delle ostilità e lungo la linea che dalla Manica corre giù fino alle Alpi svizzere si fronteggiano le truppe tedesche e quelle alleate. Una guerra di posizione, estenuante, combattuta corpo
a corpo da ragazzi di vent’anni che, per conquistare pochi metri di terreno, trascorrono settimane nel fango delle trincee sotto i colpi del fuoco nemico, della fame, del freddo e del terrore. Ma d’improvviso, alla vigilia di Natale, c’è qualcosa di nuovo sul fronte occidentale: in un luogo imprecisato delle Fiandre, dalle trincee tedesche si levano canti natalizi e cartelli con la scritta We not shoot, you not shoot. Superata la diffidenza, gli inglesi abbassano le armi e rispondono con i loro canti di Natale. A poco a poco i soldati dei due schieramenti escono allo scoperto e concordano una tregua di tre giorni, ribellandosi agli ordini delle autorità militari. Ciò che accade in quelle ore nella “terra di nessuno” ha il fascino e il mistero delle vicende umane: i soldati fraternizzano, mostrano le foto dei propri cari, seppelliscono i cadaveri rimasti a marcire sul campo, organizzano partite di calcio con mezzi di fortuna. La piccola pace si diffonde come corrente elettrica lungo
l’intera linea del fronte, e fa notizia. Ma non avrà lunga vita: i soldati imbracceranno di nuovo i fucili, i giornalisti per lo più saranno costretti al silenzio e la guerra per altri quattro anni mieterà le sue vittime. Materiali d’archivio, diari, fotografie, lettere hanno consentito a Michael Jürgs di raccontare quegli incredibili giorni come in un lungo piano sequenza, regalando al lettore una piccola grande storia. l volume ha anche ispirato il film “Joyeux Noël” di Christian Carion, una cooproduzione di Francia, Gran Bretagna, Germania, Belgio e Romania del 2005.
Primi passi della Fondazione Museo storico del Trentino Si è svolta nel pomeriggio di mercoledì 19 dicembre 2007 la riunione di insediamento del Consiglio di amministrazione della Fondazione Museo storico del Trentino. Sono stati approvati il primo bilancio e il piano di attività. Inoltrte su proposta del presidente Lorenzo Dellai, il Consiglio ha nominato con voto unanime Stefano Graiff, sindaco di Romeno e Assessore del Comprensorio valle di Non, vicepresidente della Fondazione, e Giuseppe Ferrandi, direttore del Museo storico in Trento, direttore generale. Comitato di amministrazione: Lorenzo Dellai (presidente), Franca Broseghini, Stefano Graiff (vicepresidente), Claudio Martinelli, Alberto Pacher, Alessandra Schiavuzzi, Guglielmo Valduga. Collegio revisori dei conti: Fulvia Deanesi (presidente), Mauro Angeli, Ettore Luraschi. Soci fondatori: Museo storico in Trento onlus, Comune di Trento, Provincia autonoma di Trento, Comune di Rovereto, Comune di Brentonico, Comune di Lavarone, Comune di Levico Terme, Comprensorio della valle di Non, Comprensorio delle Giudicarie, Comprensorio di Primiero, Camera di commercio industria artigianato e agricoltura di Trento, Unione dei comuni valle di Ledro, Museo storico italiano della guerra onlus, Associazione trentini nel mondo onlus, Centro studi sulla storia dell’Europa Orientale, Centro documentazione Luserna onlus, Fondazione Stava 1985 onlus, Ordine dei farmacisti della provincia di Trento, Comunità delle regole di Spinale e Manez, Magnifica Comunità di Fiemme, Federazione trentina della cooperazione, Cassa rurale di Trento.
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INFOMUSEO NOVITÀ EDITORIALI DEL MUSEO STORICO IN TRENTO
Sommario: Quinto Antonelli – Anna Iuso, Scritture popolari e idolo mediatico nell’Italia del Miracolo: l’archivio di Gigliola Cinquetti; Andrea Giorgi – Alessandra Pedrotti, Lo zio in archivio: sulle tracce del sistema di gestione dell’archivio di Gigliola Cinquetti; Serenella Baggio, Lettere a Gigliola Cinquetti: aspetti storico-linguistici; Silvia Cocco – Laura Crosara, Lettere a Gigliola Cinquetti da Vicenza e provincia; Serenella Baggio – Francesca Bolza, Lettere a Gigliola Cinquetti dal Trentino; Rita Fresu – Ugo Vignuzzi, «Scusami gli errori ma in italiano non sono molto brava»: scrittura giovanile degli anni Sessanta e alfabetizzazione di massa in un corpus di lettere dell’archivio di Gigliola Cinquetti; Attilio Bartoli Langeli, Note sull’uso popolare della macchina da srivere; Alessandro Casellato, Santi e madonne per l’Italia del boom: lettere a papà Cervi e a Gigliola Cinquetti; Liviana Gazzetta, Eredità cattolica e modelli femminili nelle lettere dell’archivio di Gigliola Cinquetti; Günther Pallaver, Gigliola Cinquetti come testimonial politico: la cantante del centro che guarda a sinistra; Felice Ficco, Un’ancora di salvezza; Anna Iuso, Presentazione; Alessio Catalini – Francesco Della Costa, Cara Gigliola mi scusate se chiedo...; Tiziana Franceschini – Caterina Giannottu, «Non ho l’età (per amarti)»: Gigliola Cinquetti e il trionfo di Lolita; Anna Iuso, Scrivere agli idoli: lineamenti di un’epistolografia fra Gutenberg e i media; Daniele Fabre, Anni Sessanta: una giovinezza tra due mondi; Emmanuel Ethis, Relazionarsi alla star: una modalità del sentimento di esistere; Sophie Maisonneuve, Il medium ed i suoi usi: il disco, tra cultura di massa e individualizzazione delle pratiche e dei gusti; Dominique Cardon – Smaïn Laacher, Scrivere all’amica delle onde: le lettere alla trasmissione radiofonica di Menie Grégoire (19671981); Paolo De Simonis, Distinti saluti. Viva Villa, Bella ciao, claudio.it; Stefano Moscadelli, «Volta la carta: suggestioni dall’archivio Fabrizio De André; Bibliografia complessiva; Indice dei nomi.
SCRIVERE AGLI IDOLI
Quando, nel 2002, Gigliola Cinquetti volle depositare presso il Museo storico in Trento-Archivio della scrittura popolare le lettere che i suoi fans le avevano scritto nell’arco della sua carriera (dal 1964 fino al termine degli anni Settanta, con un piccolo rivolo che correva anche nel decennio successivo), un rapido calcolo fornì l’impressionante numero di 150.000. Un fondo di ricchezza straordinaria che permette ai ricercatori di oggi di leggere attraverso diversi approcci disciplinari e metodologici il grande sommovimento sociale che avvenne in quegli anni e di indagare le trasformazioni e le permanenze culturali. Il volume, che raccoglie gli atti del IX seminario internazionale della scrittura popolare, tenutosi a Trento nel novembre 2005, va in questa direzione, svelando come le lettere a Gigliola Cinquetti possano offrire uno straordinario racconto soggettivo (quasi una giovanile autobiografia collettiva) di quegli anni stessi.
a cura di Anna Iuso e Quinto Antonelli
Anna Iuso e Quinto Antonelli (a cura di), Scrivere agli idoli: la scrittura popolare 14 negli anni Sessanta e dintorni a partire dalle 150.000 lettere a Gigliola Cinquetti, pp. 456, E 20.00 (Quaderni di Archivio trentino, 14). Quando, nel 2002, Gigliola Cinquetti volle depositare presso il Museo storico in Trento-Archivio della scrittura popolare le lettere che i suoi fans le avevano scritto nell’arco della sua carriera (dal 1964 fino al termine degli anni Settanta, con un piccolo rivolo che correva anche nel decennio successivo), un rapido calcolo fornì l’impressionante numero di 150.000. Un fondo di ricchezza straordinaria che permette ai ricercatori di oggi di leggere attraverso diversi approcci disciplinari e metodologici il grande sommovimento sociale che avvenne in quegli anni e di indagare le trasformazioni e le permanenze culturali. Il volume, che raccoglie gli atti del IX seminario internazionale della scrittura popolare, tenutosi a Trento nel novembre 2005, va in questa direzione, svelando come le lettere a Gigliola Cinquetti possano offrire uno straordinario racconto soggettivo (quasi una giovanile autobiografia collettiva) di quegli anni stessi.
SCRIVERE AGLI IDOLI a cura di Anna Iuso e Quinto Antonelli
Quinto Antonelli è responsabile dell’Archivio della scrittura popolare presso il Museo storico in Trento nonché autore di numerosi studi nei quali si è occupato perlopiù delle cosiddette scritture «minori» e popolari, ma anche della formazione del senso comune, dell’immaginario folklorico, di storia della scuola e dell’alfabetizzazione.
Anna Iuso è docente di antropologia culturale all’Università degli studi di Roma «La Sapienza», e membro del laboratorio di ricerca LAHIC; lavora su tematiche come i monumenti abitati, la case degli scrittori, il patrimonio e la scrittura. Impegnata da anni su questioni riguardanti la patrimonializzazione delle scritture autobiografiche, ha lavorato sugli archivi autobiografici europei. È vicedirettore della rivista Primapersona.
ISBN 978-88-7197-093-6
E 20.00
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«Forse mai prima di allora la fotografia aveva svelato, attraverso la morte di un uomo, il legame indissolubile tra l’immagine, che è la produzione del simile, e l’aggressività, che è la distruzione del simile, assumendo nel simbolo (l’immagine-icona) il sacrificato».
Come si porta un uomo alla morte
la fotografia della cattura e dell’esecuzione di Cesare Battisti PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO
libro fotografico a cura di Diego Leoni saggi di Ando Gilardi, Diego Leoni, Sonia Pinato, Fabrizio Rasera
a cura di Diego Leoni
Trento 2007, pagine 286 ISBN 978-88-7197-097-4 ` 58,00
MUSEO STORICO IN TRENTO ONLUS
www.museostorico.it – info@museostorico.it telefono: 0461 230482 – fax 0461 237418
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06/12/2007 9.07.43
Diego Leoni (a cura di), Come si porta un uomo alla morte: la fotografia della cattura e dell’esecuzione di Cesare Battisti, pp. 286, E 58,00. Cuore di questo volume di grande formato – e ciò che in fondo lo giustifica – è la straordinaria serie fotografica che documenta la cattura di Cesare Battisti, il suo trasferimento a Trento, l’esecuzione nella fossa del Castello. Tale serie, costituita da immagini, è stata predisposta attingendo da archivi pubblici e collezioni private, fotografie di origine e natura affatto diverse (diversi i formati, i supporti, diverse e molte le mani che le fecero), sì da ricomporre una sorta di film dell’accaduto. “Forse mai prima di allora la fotografia aveva svelato, attraverso la morte di un uomo, il legame indissolubile tra l’immagine, che è la produzione del simile, e l’aggressività, che è la distruzione del simile, assumendo nel simbolo (l’immagine-icona) il sacrificato”. Hanno collaborato con propri saggi Ando Gilardi, Diego Leoni, Sonia Pinato e Fabrizio Rasera.
60 anni dopo: ricordi di vita, guerra e Resistenza in Fiemme e Fassa, Istituto «La Rosa Bianca-Weisse Rose» di Cavalese (TN), pp. 190, E 5.00 (Quaderni di costruire storia, 4) Nell’anno scolastico 2003-2004 (avvicinandosi il sessantesimo anniversario della conclusione del secondo conflitto mondiale) alcuni docenti e studenti del Liceo di Cavalese si sono proposti di indagare sugli avvenimenti conclusivi della guerra nelle valli di Fiemme e di Fassa. Nelle ultime fasi convulse della ritirata tedesca si verificarono, infatti, in queste zone alcuni episodi cruenti che coinvolsero tragicamente la popolazione civile. La sollecitazione ulteriore a indagare è derivata dalla constatazione della scarsa conoscenza di questi eventi tra le nuove generazioni: un chiaro indizio della difficoltà (o forse della reticenza) da parte di famigliari e anziani nel fornire informazioni su eventi controversi e dolorosi. È così iniziato un lavoro di raccolta di informazioni sugli eventi della seconda guerra mondiale, scegliendo – come fonte privilegiata, ma non esclusiva – il racconto degli anziani e dei nonni che quegli eventi hanno vissuto. Ne è risultato il lavoro presentato in questo volume realizzato per ricordare in modo meno formale e più autentico le vicende della guerra e della Liberazione, mettendo a confronto la memoria storica locale con le vicende più generali del periodo storico considerato. I lettori che volessero informarsi sull’insieme delle pubblicazioni del Museo storico in Trento possono collegarsi al seguente indirizzo internet: http://www.museostorico.it/editoria_ricerca/bookshop • e-mail: rtaiani@museostorico.it
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Settembre 2007 La FilmWork di Trento dona al Museo storico in Trento un fondo di 166 videonastri degli anni 1988-1992: l’intervento di riversamento e schedatura del materiale finanziato dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Trento e Rovereto La FilmWork di Trento ha donato al Museo storico in Trento un fondo di 166 videonastri relativo all’attività svolta dalla società VIDEO REPORTER (poi FILMWORK) nel periodo 1988-1992. Il grande interesse del materiale acquisito ha suggerito l’opportunità di affidare a Matteo Gentilini l’incarico di riversare e schedare tutti i nastri. L’intervento, conclusosi nell’agosto del 2007 e sostenuto dalla Fondazione Cassa di risparmio di Trento e Rovereto, si è articolato nelle seguenti fasi: • trasferimento in copia dei materiali filmici dal supporto originale U-matic a supporto DVD con contestuale segnatura del time code; • compilazione della scheda di catalogazione già predisposta e utilizzata dal Museo per tutti gli altri materiali filmici conservati; • descrizione del contenuto dei filmati. Risulterà così più agevole la consultazione del materiale ai fini sia della ricerca, sia della produzione interna di documentari tematici. Questi in sintesi i contenuti dei nastri: • centro storico della città di Trento; • cantieri nella città di Trento; • luoghi del Trentino; • materiali per spot pubblicitari di società e attività locali; • attività ed eventi sportivi (sci, tennis, tennis tavolo, hockey, calcio, calcetto, arrampicata, mountain bike, corsa campestre); • “5 minuti con gli aquilotti”, programma settimanale sulla squadra di calcio del Trento; • spettacoli teatrali e festival; • attività rurali, artigianali e manifatturiere; • moda e costume; • cronaca locale per i tg regionali e per il tg nazionale “Studio Aperto”; • attività del presidente del Consiglio regionale (Franco Tretter); • materiali preparatori per alcune delle prime puntate della trasmissione televisiva “Girovagando in Trentino”. Storia regionale del Trentino-Alto Adige Il 5 settembre 2007 è stato presentato presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli studi di Trento il primo volume dell’opera edita dal Museo storico in Trento La regione Trentino-Alto Adige/Südtirol nel XX secolo dedicato agli aspetti politico-istituzionali.
Hanno partecipato con i curatori, Giuseppe Ferrandi e Günther Pallaver, il presidente della Provincia autonoma di Trento Lorenzo Dellai, il rettore dell’Università di Trento, Davide Bassi e il preside della Facoltà di Giurisprudenza Roberto Toniatti. E… state con la storia Anche ques’anno si è rinnovato il tradizionale appuntamento con la Festa della storia, giunto alla sua settima edizione. Promosso dal Museo storico in Trento nei giorni 5-8 settembre l’iniziativa è stata occasione epr offrire alla cittadinanza incontri pubblici, proiezioni filmiche e una serata di intrattenimento musicale. Il programma di quest’anno si è aperto con la presentazione del primo volume dell’opera edita dal Museo storico “La regione Trentino Alto Adige/Südtirol nel XX secolo”. Sono seguite, in collaborazione con Format-Centro audiovisivi del Trentino, le proiezioni su due serate dei documentari prodotti nell’ambito del progetto memoria per il Trentino: Zambana ’55-’56: memorie di una comunità (regia di L. Pevarello) e L’epopea di S. Giustina: storie di una valle (regia di L. Pevarello). L’evento conclusivo si è svolto nel parco della Predara dove la sera dell’8 settembre si è esibito il quartetto “Barrio Mundo”.
Ottobre 2007 La raccolta di memorie: interventi sul territorio Il Museo storico in Trento, il Comprensorio di Primiero e l’Ente Parco naturale Paneveggio-Pale di San Martino hanno proposto il 6 ottobre a Tonadico un incontro pubblico nel corso del quale è stata presentata, alla presenza del presidente della Provincia autonoma di Trento Lorenzo Dellai, una proposta collegata al Progetto memoria per il Trentino, che individua nella promozione della raccolta di memorie e nella loro valorizzazione uno degli strumenti fondamentali per rafforzare il senso di appartenenza alle comunità che abitano il territorio provinciale. La scelta del Primiero è nata dal rapporto di collaborazione che oramai da anni lega quest’area e le istituzioni che lo rappresentano al Museo storico in Trento, testimoniato dalla realizzazione di numerose iniziative editoriali, di ricerca ed espositive, fra le quali, la più recente, l’inaugurazione a Prà del Cimerlo della “Frabica delle scritture di montagna”. Memorie di comunità Il Museo storico in Trento e la Circoscrizione Centro storico/Piedicastello del Comune di Trento hanno proposto per sabato 6 ottobre 2007 presso la Sala circoscrizionale di Piedicastello una riflessione pubblica cui hanno partecipato il Presidente della Circoscrizione Centro storico-
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Piedicastello Melchiore Redolfi, il direttore del Museo storico in Trento Giuseppe Ferrandi, il sindaco di Trento Alberto Pacher e il presidente della Provincia autonoma di Trento Lorenzo Dellai. Scopo dell’iniziativa era quello di avviare un confronto fra la cittadinanza, a partire dai residenti di Piedicastello e dei quartieri interessati, e le istituzioni cittadine e provinciali, per elaborare insieme idee e proposte su alcuni temi di interesse collettivo quali: la valorizzazione del Doss Trento e del suo complesso monumentale, in luogo della memoria di valenza nazionale dal doppio significato storico e ambientale; la ricerca di un nuovo rapporto con la città e con l’intero Trentino; la proposta di allestire un percorso sulla storia e la memoria del Trentino e della città di Trento. Il dibattitto è stato introdotto dalla proiezione del documentario “Memorie di comunità”, un percorso tra storie, biografie e immagini (a cura del Museo storico in Trento). I libri di famiglia: una fonte, un convegno Il Museo storico in Trento, la Fondazione Bruno KesslerIstituto per gli studi storici italo-germanici e l’Università degli studi di Trento-Dipartimento di filosofia, storia e beni culturali, hanno organizzato nei giorni 4-5 ottobre 2007, presso la Sala Grande della Fondazione Kessler, un convegno sul tema “Famiglia, memoria, identità tra Italia ed Europa nell’età moderna”. Hanno partecipato con proprie relazioni: James Amelang (Universidad Autonoma de Madrid), Quinto Antonelli (Museo storico in Trento), Marina Caffiero (Università di Roma La Sapienza), Giovanni Ciappelli (Università di Trento), Siglinde Clementi (Archivio Provinciale Bolzano), Rudolf Dekker (Erasmus Universiteit Rotterdam), Rita Foti (Università di Palermo), James Grubb (University of Maryland), Sylvie Mouysset (Université de Toulouse), Claudia Ulbrich (Freie Universität Berlin).
Alpinismo e ricerche storiche: nuove pubblicazioni e prospettive di studio per una storia alpina La Società degli alpinisti tridentini, l’Università degli studi di Trento e il Museo storico in Trento hanno proposto per il 25 ottobre 2007 un confronto aperto sul tema “Alpinismo e ricerche storiche: nuove pubblicazioni e prospettive di studio per una storia alpina”. Al centro dell’incontro, condotto da Claudio Ambrosi, Luciana Palla e Michael Wedekind, la presentazione dei tre testi “Alla conquista dell’immaginario: l’alpinismo come proiezione di modelli culturali e sociali borghesi tra Otto e Novecento” (Treviso, Antilia edizioni, 2007, a cura di Claudio Ambrosi e Michael Wedekind), “Ricordi Alpini: diario di Pino Prati” (Trento, SAT, 2006, a cura di Claudio Ambrosi) e “Tita Piaz a confronto con il suo mito” (Trento, Museo storico in Trento; Vigo di Fassa, Istituto ladino, 2006 di Luciana Palla). L’autobiografia di Renato Ballardini Il Museo storico in Trento in collaborazione con la Casa editrice “Il Margine” ha proposto per il 30 ottobre presso la sede del Comune di Trento a Palazzo Geremia, la presentazione del libro di Renato Ballardini “I guizzi di un pesciolino… rosso: ricordi di vita e di politica”. L’autore, avvocato, deputato e parlamentare europeo, il più autorevole rappresentante della sinistra trentina – racconta in chiave autobiografica la sua vita pubblica e gli affetti privati e familiari. Entrato nella Resistenza a 16 anni sfugge alla strage nazista del 28 giugno 1944 che vede l’uccisione di molti compagni del gruppo di giovani resistenti costituitosi a Riva del Garda. Parte importante della sua esperienza è la militanza nel Partito socialista, fino allo scontro con Craxi e all’espulsione dal partito nel 1981. Importante la sua attività di avvocato e militante nelle aule di tribunale e in quelle parlamentari su temi quali la questione altoatesina, la legge sul divorzio, l’incontro con i protagonisti della grande politica a Roma e a Strasburgo, fino ai suoi viaggi politici negli Stati Uniti e in Unione Sovietica negli anni settanta. A conclusione dell’incontro, in cui hanno preso la parola l’ex presidente della Giunta provinciale Flavio Mengoni e il senatore Roland Riz, l’assessore alla cultura Lucia Maestri ha consegnato ufficialmente, a nome del presidente del Museo sindaco Alberto Pacher, il diploma di socio onorario dell’Associazione Museo storico in Trento. Tale titolo è stato attribuito negli anni scorsi ad eminenti figure nel campo della storiografia nazionale ed internazionale. A Ballardini è riconosciuto il ruolo di protagonista e testimone delle lotte per la libertà e la democrazia oltre che l’importante contributo come parlamentare all’elaborazione e al consolidamento dell’autonomia speciale del Trentino Alto Adige/Südtirol.
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Novembre 2007 Bando per tesi di laurea sulla storia dell’emigrazione trentina L’Assessorato all’emigrazione, solidarietà internazionale, sport e pari opportunità della Provincia autonoma di Trento e il Centro di documentazione sulla storia dell’emigrazione trentina, attivo presso il Museo storico in Trento, hanno pubblicato un bando finalizzato a premiare tesi di laurea relative alla storia dell’emigrazione trentina. Al premio erano ammessi autori di tesi di laurea (vecchio ordinamento, triennale, specialistico) discusse nelle Università italiane negli anni accademici 2005-2006 e 2006-2007. La memoria della Shoah: incontro con Leo Zelikowski Il Museo storico in Trento ha proposto per l’8 novembre 2007 un incontro con Leo Zelikowski, diretto testimone della tragedia della Shoah. Leo Zelikowski, nato a Wilna il 15 aprile 1910, arrivò in Italia, e per la precisione ad Arco, il 12 aprile 1937. Qui fu arrestato il 27 aprile 1940 e trasferito al carcere di Trento in quanto cittadino di razza ebraica di uno stato nemico (la Polonia). Rilasciato il 6 agosto 1940 fu assegnato al domicilio coatto sempre ad Arco. Fu nuovamente arrestato il 21 dicembre 1943 e trasferito al carcere di Trento. Di qui transitò successivamente nel campo di concentramento di Fossoli ed infine Auschwitz (il 22 febbraio 1944) dal quale potè rientrare ad Arco circa un anno e mezzo dopo, il 9 settembre 1945.
Dal 1991 vive e risiede in Canada. Il Museo è in procinto di pubblicarne l’autobiografia che ricostruisce in forma di cronaca tutta la sua vicenda esistenziale alla luce della tragica esperienza vissuta durante l’internamento nei campi di concentramento tedeschi. Protagonisti e racconti dell’emigrazione trentina dal Vanoi L’Assessorato all’emigrazione, solidarietà internazionale, sport e pari opportunità della Provincia autonoma di
Per informazioni: Museo storico in Trento, via Torre d’Augusto, 41 – 38100 Trento tel. 0461.230482 • fax 0461.237418 www.museostorico.tn.it info@museostorico.tn.it qantonelli@museostorico.tn.it
Trento, in collaborazione con il Museo storico in Trento-Centro di documentazione per la storia dell’emigrazione trentina, ha proposto per il 13 novembre 2007, in occasione della riunione annuale della Conferenza dei Consultori Trentini all’Estero, la presentazione del volume di Renzo Maria Grosselli “Oltre ogni confine: l’emigrazione da un distretto alpino tra Ottocento e Novecento: il Vanoi nelle testimonianze orali”. Hanno partecipato con l’autore l’assessore Iva Berasi e Quinto Antonelli. La montagna scritta: alfabetizzazione alpina e scritture popolari Il Museo storico in Trento ha organizzato, con la collaborazione del Laboratoire d’anthropologie et d’histoire de l’institution de la culture di Parigi, dell’Ente Parco di Paneveggio e Pale di San Martino e della Biblioteca della montagna-SAT, nei giorni 15-17 novembre 2007 presso la Casa della SAT a Trento, il X Seminario Archivio della scrittura popolare sul tema “La montagna scritta: alfabetizzazione alpina e scritture popolari”. Il nesso con l’alfabetizzazione (evidenziato nel titolo) ha inteso sottolineare il cosidetto “paradosso delle Alpi”, ovvero il fatto che uno dei tratti distintivi dell’area alpina è costituito da una alfabetizzazione precoce (a partire dal XVII secolo) e che i livelli di istruzione, per quanto differenziati da valle a valle, sono mediamente più alti che nelle pianure circostanti. Nel seminario si è cercato di mettere a fuoco pratiche e scritture popolari diffuse, connotate dal loro “essere di montagna”, dal loro legame con il territorio, con una determinata struttura economica e sociale, nonché con radicate tradizioni cultuX Seminario Archivio della scrittura popolare rali e religiose. Il seminario, aperto dall’asLa montagna scritta Alfabetizzazione alpina sessore provinciale Margherita e scritture popolari Cogo e dal direttore del Museo storico in Trento Giuseppe Ferrandi, è proseguito con un intervento di Quinto Antonelli sui vent’anni dell’Archivio della scrittura popolare e l’illustrazione delle attività promosse 15-17 novembre 2007 all’interno della collaborazione Trento, Casa della SAT, Palazzo Saracini-Cresseri tra il Parco di Paneveggio e il via Manci 57 Museo storico stesso. Hanno
nella farmacia di Condino
bondi, i
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presentato relazioni nelle sessioni successive Claudio Ambrosi, Quinto Antonelli, Marta Bazzanella, Enrico Camanni, Pierre Campmajo, Denis Crabol, Christian Desplat, Daniel Fabre, Gian Paolo Gri, Anna Iuso, Giovanni Kezich, Diego Leoni, Nathalie Magnardi, Luciana Palla, Glauco Sanga e Silvia Vinante. La storia della farmacia a Brentonico: esperienze museali a confronto Il Museo storico in Trento, il Comune di Brentonico, l’Ordine dei farmacisti della provincia di Trento e l’Ordine dei medici chirurghi e degli odontoiatri del Trentino, hanno organizzato per il giorno 24 novembre 2007 presso Palazzo Baisi a Brentonico un seminario sul tema “La storia della farmacia a Brentonico: esperienze museali a confronto”. Brentonico e il particolare contesto naturale nel quale sorge il paese, a ridosso delle pendici del Baldo, da secoli meta di vagabondaggi botanici da parte di esperti ed appassionati erboreggiatori, quali il celebre Francesco Calzolari, si collocano al centro di una riflessione sulla storia della professione e delle arti farmaceutiche cui il Comune di Brentonico sta guardando nell’ambito di una collaborazione con La storia vari soggetti: fra quedella sti il Museo storico farmacia a in Trento, l’Ordine Brentonico esperienze museali a dei farmacisti della confronto provincia di Trento, l’Associazione titolari di farmacia della provincia di Trento, l’Ordine dei medici della provincia di Trento e la Provincia autonoma di TrentoAssessorato alla cultura. Uno degli obietCoordinamento: tivi possibili è anche Romano Cainelli, Edoardo de Abbondi, Dante Dossi, Rodolfo Taiani la realizzazione di Per informazioni: Museo storico in Trento 24 novembre 07 un’esposizione pervia Torre d’Augusto, 35/41, 38100 TRENTO tel. 0461.230482 – fax 0461.237418 Brentonico, manente che sappia www.museostorico.tn.it info@museostorico.tn.it palazzo Baisi valorizzare la storia della professione farmaceutica e di tutte le scienze collegate al tema della salute e del benessere. L’incontro pubblico «La storia della farmacia a Brentonico» ha inteso fornire una prima
occasione per trarre dalle esperienze museali presentate utili spunti e suggerimenti per lo sviluppo futuro dell’intero progetto. Hanno presentato proprie relazioni Marco Berni, Alessio Bertolli, Antonio Corvi, Livio Cristofolini, Giorgio Du Ban, Alberto Foletto, Secondino Gatta, Valentino Mercati, Fabrizio Zara.
Dicembre 2007 Storia regionale del Trentino-Alto Adige Il 4 dicembre 2007 è stata riproposta presso l’Università degli studi di Bolzano la presentazione del primo volume dell’opera edita dal Museo storico in Trento La regione Trentino-Alto Adige/Südtirol nel XX secolo dedicato agli aspetti politico-istituzionali. Hanno partecipato con i curatori, Giuseppe Ferrandi e Günther Pallaver, la rettrice della Libera Università degli studi di Bolzano Rita Franceschini, il presidente della Provincia autonoma di Trento Lorenzo Dellai, il presidente della Provincia autonoma di Bolzano Luis Durnwalder.
Foto: il farmacista Luigi Maturi e la moglie Mariella Casagrande nella farmacia di Condino
COMUNE DI BRENTONICO
ORDINE DEI FARMACISTI DELLA PROVINCIA DI TRENTO
ORDINE DEI MEDICI CHIRURGHI E DEGLI ODONTOIATRI DEL TRENTINO
Via Torre d’Augusto, 35/41 38100 TRENTO Tel. 0461.230482 Fax 0461.237418 info@museostorico.it www.museostorico.it
La storia della farmacia a Brentonico
esperienze museali a confronto
Protagonisti e racconti dell’emigrazione trentina dal Vanoi L’Assessorato all’emigrazione, solidarietà internazionale, sport e pari opportunità della Provincia autonoma di Trento, in collaborazione con il Museo storico in TrentoCentro di documentazione per la storia dell’emigrazione 24 novembre 07 trentina, ha riproposto il 20 dicembre 2007 a Canal San Brentonico, Bovo la presentazione del volume di Renzo Maria Grospalazzo Baisi selli “Oltre ogni confine: l’emigrazione da un distretto alpino tra Ottocento e Novecento: il Vanoi nelle testimonianze orali”. Hanno partecipato con l’autore, l’assessore provinciale Iva Berasi e il responsabile dell’area editoria e servizi del Museo storico in Trento Rodolfo Taiani.
ALTRESTORIE - Periodico di informazione - Direttore responsabile: Sergio Benvenuti Comitato di redazione: Giuseppe Ferrandi, Patrizia Marchesoni, Paolo Piffer, Rodolfo Taiani Hanno collaborato a questo numero: Quinto Antonelli, Valentina Galasso ed Elena Tonezzer Periodico quadrimestrale registrato dal Tribunale di Trento il 9.5.2002, n. 1.132 ISSN 1720-6812 Progetto grafico: Graficomp - Pergine (TN)
Per ricevere la rivista o gli arretrati, fino ad esaurimento, inoltrare richiesta al Museo storico in Trento.