Altrestorie_27

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ASSICURAZIONI DAL 1937

anno decimo

numero ventisette

dicembre 2008

IN QUESTO NUMERO Animali domestici, selvatici, fantastici.

A tu per tu con gli animali di Rodolfo Taiani La relazione uomo-animali nella società contemporanea: interviste con Giuseppe Pallante e Marcello Farina a cura di Paolo Piffer Uomini e animali in guerra a cura di Caterina Tomasi L’orso di Moena di Giovanni Kezich Bestiario alpino minimo (e limitato ai mammiferi) di Cesare Poppi In viaggio con Mauro di Antonio Marchi

Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1, D.C.B. Trento - Periodico quadrimestrale registrato dal Tribunale di Trento il 9.5.2002, n. 1132. Direttore responsabile: Sergio Benvenuti - Distribuzione gratuita - Taxe perçue - ISSN 1720 - 6812


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A tu per tu con gli animali di Rodolfo Taiani

Nel più ampio discorso relativo alla trasformazione storica del rapporto uomo-natura uno spazio a sé occupa la modificazione dell’atteggiamento dell’essere umano nei confronti del mondo animale. In particolare è a partire dal primo Cinquecento che si delinea in Inghilterra quel movimento di pensiero che mira a ridefinire le modalità di relazione fra i due ambiti fino ad allora proposti come nettamente separati dal requisito discriminatorio del possesso o meno della cosiddetta razionalità. Si tratta evidentemente di un percorso storico ricco di implicazioni scientifiche, filosofiche, nonché religiose, ma che si riconduce complessivamente a quel lento processo che nei secoli ha convinto “l’uomo a pensare che gli animali potessero avere un carattere e una personalità individuali e ha fornito le basi psicologiche per far accettare l’idea che almeno alcuni animali avessero diritto a considerazione morale”. Quest’idea, sintetizzata nel­ l’asserzione che qualsiasi crudeltà consumata

inutilmente nei confronti degli animali costituiva un male in sé e per sé, era già stata sostenuta da alcuni moralisti in età classica. In origine ciò non rifletteva, tuttavia, alcuna particolare sollecitudine per gli animali. Anzi di regola i moralisti condannavano i maltrattamenti alle bestie poiché dal punto di vista strettamente antropocentrico pensavano che questi avessero l’effetto di accentuare la brutalità del carattere umano e di rendere gli uomini crudeli gli uni con gli altri. Anche nel Medioevo non erano mancati singoli pensatori che avevano sostenuto la necessità di prestare più attenzione verso gli animali, riservando loro un trattamento migliore, ma tali posizioni si appoggiavano a considerazioni perlopiù di carattere utilitaristico. Ancora nel 1641, la prima norma “moderna” emanata per la Protezione degli animali dalla Corte Generale del Massachusetts, proibiva sì la tirannia e la crudeltà nei confronti di qualsivoglia delle creature animali ma limitava questa cautela solo a quelle che si allevavano per vantaggio dell’uomo. La svolta vera e propria si ebbe nel corso del Settecento. Fatto proprio oramai dalla dottrina cristiana il principio

che tutti i membri della creazione avessero diritto a un trattamento gentile, la mutata sensibilità nei confronti degli animali si declinava con una nuova percezione della vita, del creato e della posizione dell’uomo rispetto a tutto ciò. Già Linneo con la sua classificazione contribuì a dare un grosso scossone alla visione antropocentrica della natura: nelle sue tavole tassonomiche l’uomo non occupava una casella a sé ma coabitava con le scimmie in quella dei primati. Anche il progredire dell’osservazione anatomica comparata contribuiva a ridurre le distanze fra uomini e animali. Filosofi della levatura di JeanJacques Rousseau e Jeremy Bentham affermavano che nessun animale o uomo doveva essere maltrattato senza necessità. In particolare l’inglese sostenne, nel 1789, in un passaggio divenuto poi celebre, che non bisognava domandarsi se gli animali “sanno ragionare”, se “sanno parlare”, quanto piuttosto se “possono soffrire”. Mai in precedenza era stato espresso riguardo nei confronti degli animali in questi termini e passerà più di un secolo prima che simile orientamento trovi accoglienza ad esempio nel codice penale italiano elaborato dal ministro di Grazia e Giustizia Giuseppe Zanardelli. Costui, nella relazione di accompagnamento al codice, approvato nel 1889 ed entrato in vigore nel 1890, dichiarava, rispetto alla norma che si occupava di maltrattamento degli animali, l’articolo 491, che le crudeltà verso gli animali dovevano “essere condannate e proibite perché il martoriare con animo spietato esseri sensibili, recando loro fieri tormenti, non cessa di essere


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un male perché quelli che ne soffrono sono privi dell’umana ragione”. La convinzione che l’esercizio gratuito della violenza nei confronti degli animali costituisse di per sé una condotta riprovevole diventa pertanto elemento fondante di una diversa scala di valori che contribuì ad estendere ben oltre la specie umana l’area degli scrupoli morali. Si tratta di un cambiamento di prospettiva che conquista via via un crescente e significativo numero di persone e soprattutto nel corso dell’Ottocento. In Inghilterra, paese guida di questa nuova coscienza, nascono associazioni e si promulgano normative che assegnano agli animali una vera e propria identità pubblica. Si afferma il movimento antivivisezionista, nuovi adepti aderiscono alla causa e si rafforza complessivamente il fronte degli “animalisti”. Già nel 1809, Lord Thomas Erskine, famoso per la nutrita schiera di animali di ogni genere della quale amava circondarsi, propose una mozione parlamentare per condannare la crudeltà verso gli animali. Seguirono una normativa del 1822 in difesa dei cavalli e del bestiame (Martin’s Anticruelty

Act), del 1833 e del 1835 per l’abolizione, rispettivamente a Londra e nel resto del paese, delle arene per i combattimenti dei galli, del 1839 e del 1854 per perseguire la violenza contro i cani, del 1849 per vietare del tutto gli spettacoli di combattimento fra galli ed infine del 1876 (Cruelty to Animal Act). In precedenza nel 1824 era nata la Society for the Prevention of Cruelty to animals (in seguito Royal Society, ossia la Società per la prevenzione della crudeltà verso gli animali). Nel 1869 fu promossa una campagna contro la caccia alla volpe. Nel 1887, la regina Vittoria, nel suo discorso del giubileo, osservava con grande piacere “la diffusione di sentimenti più umani verso gli animali inferiori”. Nel 1891, Henry Salt, fondava la Humanitarian League, fra i cui obiettivi – in tutela sia dei diritti umani, sia dei diritti animali – vi erano la riforma del sistema carcerario, l’abolizione della pena di morte e l’abolizione della caccia sportiva. L’anno dopo ancora Henry Salt pubblicò un libro che ebbe una grande fortuna e notevole influenza: Animals’ Rights: Considered in Relation to Social Progress (I diritti animali considerati in

relazione al progresso sociale). Altrove e sempre nell’Ottocento si possono ricordare, a titolo d’esempio, la fondazione a Zurigo nel 1856 di quella che sarà la Protezione degli animali Svizzera (PAS) e nel 1871, a Torino, la nascita di quella che diventerà poi l’Ente nazionale per la protezione degli animali (vedi scheda). Il tema dei diritti animali è tornato prepotentemente alla ribalta nella seconda metà del Novecento in relazione anche alla crescita esponenziale in Europa occidentale del numero di animali domestici. La moltiplicazione degli scritti e degli interventi che muovono nella direzione di un ulteriore ampliamento dei diritti animali è un po’ anche il riflesso di questo fenomeno cresciuto rapidamente assieme all’urbanizzazione. Nel 1971 Stanley e Roslind Godlovitch e John Harris hanno pubblicato Animals, Men and Morals: an enquiry into the maltreatment of non-humans (Animali, uomini e morale: un’inchiesta sul maltrattamento dei non-umani). Dodici anni dopo è stata la volta del filosofo americano Tom Regan che ha dato alle stampe nel 1983 il suo celebre The Case for Animal Rights (pubblicato in Italia da Garzanti nel 1990 con il titolo I diritti animali). La tesi di Regan è che gli animali nonumani sono “soggetti di vita”, esattamente come gli esseri umani; se si accetta l’idea di dare valore alla vita di un essere umano a prescindere dal grado di razionalità che questi dimostra, allora si deve dare un valore simile anche a quella degli animali non-umani. Trattare un animale come un mezzo per un fine significa violare i suoi diritti e forse, si può aggiungere in conclusione, negare consapevolmente l’importanza che la diffusione degli animali di compagnia tra le classi medie all’inizio dell’età moderna ha rivestito sui piani sociale, psicologico e, non ultimo, commerciale.


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La relazione uomo-animali nella società contemporanea: interviste con Giuseppe Pallante e Marcello Farina a cura di Paolo

Abbiamo intervistato Giuseppe Pallante e Marcello Farina: l’uno medico veterinario, esperto di bioetica animale e di diritti degli animali, nonché docente all’università di Genova nel corso di perfezionamento post laurea per gli operatori di pet therapy; l’altro Piffer sacerdote, editorialista e docente di etica, direttore di Vita Trentina dal 1967 al 1989. Ad entrambi abbiamo posto domande su come si dovrebbe oggi impostare e interpretare il rapporto uomoanimali.

Giuseppe Pallante: “Animali in casa? Necessaria e inevitabile coesistenza” Per Giuseppe Pallante va fatta subito una precisazione. “Per capire meglio il rapporto uomo-animale si deve distinguere tra domestici e addomesticati. Ad esempio – afferma – l’orso e la tigre possono essere addomesticati. Altri, ad esempio il cane e il gatto, hanno le qualità per vivere con l’uomo. Li gettassimo in mezzo alla strada rimarrebbero domestici. Tanto è vero che, in questo rapporto uomoanimale, si parla ormai di coevoluzione perché, ad un certo punto della nostra evoluzione, quello che oggi chiamiamo “‘domestico’ ha iniziato ad

interagire con il branco umano indipendentemente dalla nostra volontà”. In Trentino quanti sono i cani e i gatti? Orientativamente posso dirle che una persona su otto ha un cane ed una su dieci un gatto. I gatti saranno pure domestici però se ne trovano anche allo stato brado. Certo, sono i cosiddetti gatti di colonia e sono tantissimi. Si trovano in alcuni punti della città, ad esempio. Però non sono “valorizzati”, per così dire. Ecco, a questo proposito si potrebbe individuare queste aree con una targhetta in legno che riporta la scritta “area protetta per colonia felina”. In questo modo si considererebbe l’animale un bene della comunità. Quanto sono diffusi gli animali esotici nelle nostre case? Ce ne sono parecchi, e parlo di quelli che è possibile commercializzare non di quelli che si importano contro la legge. Basta guardare nei negozi di animali: dai pesciolini esotici ai rettili, dalle salamandre alle tartarughe. Perché si tengono in casa degli animali? Seguendo il discorso coevolutivo si può dire che, se non ce li tenessimo in casa, si approprierebbero loro della città. Inoltre, e faccio l’esempio del cane, ormai, fin dai tempi antichi, l’uomo ha selezionato centinaia e centinaia di razze. In un primo tempo a scopo funzionale, adesso per il nostro “piacere”. E l’estetica sollecita la nostra sensibilità. Teniamo poi presente che questi tipi di animale sono disponibili a darci affetto come noi a loro. In questo modo il cerchio si chiude. Insomma, è “amore” per il cane, il gatto o altri domestici o per noi stessi? Preferisco ragionare su questo argomento in termini di confi-

ne. Cioè, l’”amore” per l’animale deve portare a riconoscere un suo confine, una sua dignità, un suo contesto. Senza adottare criteri antropomorfi. Se così non fosse l’animale verrebbe fagocitato dall’uomo. I confini devono essere precisi. Secondo me il rapporto con l’animale deve partire da qui per poi costruire condivisione, rispetto e comprensione. Avere un cane, un gatto o qualche altro domestico può portare dei benefici all’uomo? Pensi solo a come sono composte la maggioranza delle famiglie odierne. Mediamente c’è un solo figlio. Il bambino, se è solo e quindi al centro dell’attenzione, non avrà tanto bisogno di farsi capire, i genitori lo comprenderanno lo stesso. Comunque non dovrà sforzarsi più di tanto. Se invece in casa c’è anche un cucciolo e il bambino vuole giocarci dovrà imparare come fare, non andrà bene tutto. Non potrà spaventarlo perché se no il cucciolo scapperà. In altri termini il bimbo dovrà imparare a relazionarsi cioè ad autodisciplinarsi e autocontrollarsi. Il cucciolo diventerà una componente del processo educativo che una volta si sviluppava all’interno delle famiglie più numerose tra fratelli e sorelle. C’è sufficiente sensibilità verso questi nostri “compagni”? Quelli che acquistano un cane o un gatto senz’altro hanno una certa attenzione. Nel corso del tempo i proprietari hanno fatto dei buoni progressi. Certo, molti passi vanno fatti. Anche perché la società contemporanea si va sempre più spaccando tra zoofobi ovvero gli zoointolleranti e, viceversa, zoofili. Una volta era diverso, c’era la zootolleranza. Penso agli anni Sessanta, il cane faceva la guardia, il gatto mangiava i


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topi. Erano animali funzionali e tollerati, avvisavano dell’arrivo dei ladri, tenevano alla larga i ratti. Adesso, invece, viviamo in case che sembrano campane di vetro sterilizzate e con le porte blindate. Se il cane abbaia ci può dar fastidio, se il gatto arriva, eventualmente, con un uccellino tra i denti è un fastidio. In definitiva c’è da creare una cultura generalizzata dell’accettazione e della presenza dell’animale. Se no si arriva alla polpetta avvelenata. C’è da difendere una necessaria e ormai inevitabile convivenza. Attraverso una terapia dolce di coesistenza. A che punto siamo con la tutela legislativa? A livello di direttive europee c’è ancora una visione funzionale all’uomo e alla società ma non alla dignità dell’animale. Per quanto riguarda la provincia di Trento c’è l’anagrafe canina e dei servizi che funzionano. Tutto sommato le cose vanno abbastanza bene. Nel corso del tempo come è cambiato il rapporto uomoanimale? In termini evolutivi e storici si possono definire tre livelli della relazione uomo-animale: magico-totemico, cioè del sacrificio, una fase della domesticazione e la terza della parità dei diritti, tutta da costruire.

Don Marcello Farina: “Anche gli animali hanno un’anima” “Gli animali hanno un’anima, di sicuro”. Don Marcello Farina, cultore di etica, cita Paolo De Benedetti, docente all’Istituto di scienze religiose, che sull’argomento ha scritto Teologia degli animali. “Sono esseri animati e, proprio per questo, hanno un’anima. Probabilmente loro stessi verranno coinvolti nella liberazione conclusiva, quando Dio sarà tutto in tutti. Le racconto un episodio”. Prego. Sembra che Paolo VI, rivolto ad un bambino che gli era stato presentato in udienza, e che piangeva per la morte del suo cagnolino, abbia detto: “Non piangere. Vedrai, lo ritroverai”. Mi sembra una bellissima frase, anche dal punto di vista emotivo. E che dice molte cose. Non è sempre stato così nella teologia cristiana. Ovviamente. C’è stata un’evoluzione del pensiero teologico rispetto agli animali. Ed è un’evoluzione recente, degli ultimi vent’anni. Per quanto non condivisa ancora del tutto dalla teologia ufficiale. In precedenza, sia nella cultura laica come in quella cristiana, gli animali erano senza coscienza, ucciderli voleva dire sopprimere una realtà inanimata. E questo per quasi tutto il Novecento. Torniamo indietro nei secoli. Quali i punti di un “rapporto” tra la teologia cristiana e il mondo animale? Diciamo che lo snodo, il punto di svolta, è, come detto, recente. Si è passati da una visione antropocentrica ad una più ricca e completa, che tiene conto di tutta la creazione. Non è solo l’uomo al centro ma pure l’ambiente, le piante, gli animali. E’ mutata la sensibilità. Proprio così. Ci si è accorti, fortunatamente, che il bene

dell’uomo non è staccato dal bene dell’ambiente, inteso nel suo complesso, che comprende la ricchezza del mondo che ci circonda, nella sua interezza. E anche all’interno della teologia è nata una sensibilità diversa. Si potrebbe dire che la teologia ha scoperto l’ambiente. E’ successo, sul piano dottrinale, in tre grandi incontri tra le Chiese cristiane alla fine del secolo scorso, a Basilea, Seul e Camberra dove il tema era “la fede e la salvaguardia del creato”. In pratica, è stata definita una nuova teologia della creazione che coinvolge anche il mondo animale nel disegno di Dio. Nella teologia ci sono animali prediletti ed altri no? Se guardiamo alla Bibbia direi di no, tutto il mondo animale viene ammirato, affrontato in termini di relazionalità, potremmo dire di reciprocità. A partire, soprattutto, da due condizioni che sono diventate la cartina di tornasole dell’attenzione agli animali: la loro sofferenza e la conseguente compassione nei loro confronti, termine da intendersi nel suo significato originario, quindi, saper soffrire e godere insieme. Ma a lei gli animali piacciono? Certo. Molto. Però sono un solitario. E, diciamo così, non posso permettermi di tormentarli con la mia solitudine. E dell’orso, ormai “simbolo” trentino per eccellenza, che pensa? Un aspetto mi fa riflettere e mi dispiace. Che l’ambiente in cui vive sia precario, troppo antropizzato. Oltre a recuperare un’originalità del territorio, reintroducendo l’orso, il vero problema resta quello di un ambiente ormai inadatto per farlo vivere secondo natura. Cosa vuole, Yurka messa in un recinto è una contraddizione in termini. Gli orsi sono animali che chiedono libertà.


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Uomini e animali in guerra a cura di Caterina

La guerra disegna uno spazio e un tempo particolari nel quale anche il rapporto Tomasi dell’uomo con gli animali acquista una logica e una dimensione a sé stanti. Gli animali offrono compagnia, assurgono a simbolo di coraggio e spirito di sacri-

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Militare italiano accanto ad un cane precedentemente appartenuto ad un militare tedesco, Vallagarina (TN), 1915 ca. Foto da album: «Vita di Sergio Bossi, combattente ferito sul Carso, 1914-1921», donato nel 1973. Positivo cm 5,5 x 8

ficio, condividono la fatica delle marce e degli spostamenti, affrontano i medesimi pericoli, aiutano a recuperare nelle pause quel vago sentore di normalità che opacizza per brevi attimi la tragicità degli eventi che si stanno vivendo. Ma rappresentano anche la curiosità per l’esotico nonché il gusto per l’inesplorato là

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Ritratto di militare alla finestra con cane, Mukacëvo (Ucraina), 1917. Iscrizione ms. a inchiostro bianco: Munka’cs 1917. Foto da Album: «1915-1918. Vedute di Trento e altre località», acquistato nel 1993. Positivo cm 8 x 9,5

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Orsi siberiani catturati nella Selva del Kans, portati a Tien Tsin e poi in Italia. Fotografia allegata al canzoniere di Giovanni Anderle (1896-1988) «Ricordi della Russia, Siberia, e Cina! 1916 - 1920», composto tra il 15 dicembre 1915 e il 28 marzo 1920. Riproduzione da copia conservata nell’Archivio della scrittura popolare. 3

Tre militari italiani nel deserto con un cammello, Etiopia, 1936. Fondo Gino Tomasi: insieme di 167 fotografie, 5 cartoline e 4 negativi che raffigurano situazioni di vita militare e scene di vita locale in Etiopia settentrionale e in Eritrea, 19351936. Donato dalla famiglia nel 2006. Positivo cm 5 x 6,5 4

Militare austriaco che trasporta rifornimenti con il mulo in montagna, 1914-1918. Iscrizione ms. a inchiostro: Guido Moncher spia Austriaca. Positivo cm 9 x 14

dove le vicende belliche portano a calcare suoli stranieri e lontani. Molti di questi momenti sono ritratti in fotografie delle quali, nelle pagine seguenti, si propone una piccola selezione sulla base di quanto conservato negli archivi della Fondazione Museo storico del Trentino.

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Militare italiano mentre trattiene uno struzzo durante una caccia, Etiopia, 1936. Fondo Gino Tomasi: insieme di 167 fotografie, 5 cartoline e 4 negativi che raffigurano situazioni di vita militare e scene di vita locale in Etiopia settentrionale e in Eritrea, 19351936. Donato dalla famiglia nel 2006. Positivo cm 8 x 6

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Ritratto di Gino Tomasi con un cucciolo di sciacallo, Hanzien (Etiopia), 28 luglio 1936. Iscrizione ms. a matita: Nanzien 28/VII-36. Io... e lo sciacallo. Fondo Gino Tomasi: insieme di 167 fotografie, 5 cartoline e 4 negativi che raffigurano situazioni di vita militare e scene di vita locale in Etiopia settentrionale e in Eritrea, 1935-1936. Donato dalla famiglia nel 2006. Positivo cm 4 x 6

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Ritratto del volontario Alessandro Lonardi in compagnia di un cane, 1918. Alessandro Lonardi, originario di Riva del Garda (TN), si arruolò a New York con l’esercito degli Stati Uniti e cadde in Francia il 24 luglio 1918. Iscrizione ms. a inchiostro: Fotografia del volontario rivano (regnicolo) Alessandro Lonardi, caduto in Francia. Positivo cm 9 x 13,5

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Il comandante Carlo Mazzoli con i suoi cani addestrati per il trasporto merci in alta quota, Gruppo Ortles-Cevedale, valle dello Zebrù, 1917. Iscrizione ms. a china nera: Il comandante la difesa di Val Zebrù. Foto da album: «Azioni di guerra per il possesso del Trafoier Esiwand (Gruppo OrtlesCevedale) 27 agosto-1 settembre 1917». Positivo cm 14 x 9

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Silvio Tomasi con la scimmia Cocò, mascotte del Comando della compagnia, Zona di Mai Sullò (Etiopia), 21 febbraio 1936. Riproduzione da copia acquisita per la pubblicazione Un volontario nella guerra d’Etiopia: lettere di Silvio Tomasi al padre (1935-1937), a cura di Sergio Benvenuti (Trento, Museo storico in Trento, 2005)


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Proposte di lettura*

L’uomo e la natura: dallo sfruttamento all’estetica dell’ambiente, di Keith Thomas (Torino, Einaudi, 1994). Il volume, ricchissimo di dati e di aneddoti, ripercorre i principali aspetti di quella sorta di rivoluzione che investì l’universo culturale anglosassone tra Trecento e Ottocento. In Inghilterra, mentre si sviluppavano le manifatture e s’infittiva nelle città la presenza operaia, le classi superiori, che beneficiavano della ricchezza prodotta dalle attività industriali, cominciavano a immaginarsi una nuova conciliazione con la natura. Le case di campagna, i parchi, i giardini, l’amore per gli animali da compagnia, il bird watching, fino all’autentica venerazione per cani e cavalli, sostanziarono il mito di una nuova arcadia, divennero motivo letterario, si trasfigurarono in generi pittorici. Prendeva così corpo l’idea di una collocazione dell’uomo meno centrale rispetto all’intero creato (coll. Museo: CO 278). Storia delle idee ecologiche, di Donald Worster (Bologna, Il mulino, 1994). Il volume analizza l’evoluzione del pensiero ecologico dalle origini ad oggi attraverso episodi esemplari. L’ecologia, termine coniato in Germania nel 1866, nasce, secondo l’Autore, nel Settecento allorché l’uomo occidentale incomincia a considerare il mondo vivente come un insieme integrato e a riflettere su quale debba essere il proprio atteggiamento verso di esso. A un approccio “arcadico”, che sostiene la coesistenza pacifica tra l’uomo e gli altri esseri viventi si oppone quello “imperialista”, secondo il quale ogni cosa è fatta per l’uomo e l’uomo deve governare la natura. La storia del pensiero ecologico segue in larga parte questo dilemma originario fra atteggiamento “arcadico” e atteggiamento “imperialista”, pur connotata via via da accenti e formulazioni differenti, dall’utopismo sovversivo e romantico di Thoreau, alla “brutta” natura di Darwin, fino all’etica ambientalista contemporanea (coll. Museo: CDRv 1148). Diritti animali: storia e antropologia di un movimento, di Sabrina Tonutti (Udine, Forum edizioni, 2007). La pubblicazione ricostruisce la storia del movimento per i diritti degli animali, ripercorrendone la diffusione in ambito europeo ed italiano a partire dalla genesi risalente all’Inghilterra di inizio Ottocento. Attraverso l’analisi storica e socio-antropologica vengono messi in evidenza gli elementi di continuità e di rottura fra animalismo e zoofilia e vengono analizzati i tratti caratterizzanti della mobilitazione animalista attuale, descrivendo e contestualizzando gli eventi di un fenomeno che spesso assurge agli onori della cronaca. Chi è realmente “animalista”? Si possono accomunare i “gruppi di azione diretta” e i volontari che si prendono cura dei cani abbandonati? Che differenza c’è fra “animalismo” e “vegetarismo”? Che differenza c’è tra “vegetariano” e “vegan”? Il volume dà risposta a questi e altri quesiti, inserendoli in una cornice complessiva che permette di comprendere gli aspetti salienti del “movimento per i diritti animali” nella sua veste di “movimento sociale” (coll. Museo: BC 168). *schede a cura della biblioteca della Fondazione Museo storico del Trentino

Società zoofile in Italia La costituzione della più antica società zoofila italiana è datata all’aprile 1871 quando a Torino Giuseppe Garibaldi, su esplicito invito di una nobildonna inglese, lady Anna Winter, contessa di Southerland, incaricò il medico personale Timoteo Riboli di costituire la “Società Protettrice degli Animali contro i mali trattamenti che subiscono dai guardiani e dai conducenti”. Da lì a poco, molte altre società zoofile furono costituite e si federarono nella “Federazione nazionale fra le società zoofile e per la protezione degli animali”, costituita con R. D. 28 gennaio 1929, n. 55. Si ricordano la “Società Piemontese per la protezione degli animali” fondata nel 1871; la “Reale società protettrice Animali Sezione di Asti”; la “Società Zoofila Triestina”; la “Società Friulana per la Protezione degli Animali”; la “Reale Società Zoofila Romana; l’“Associazione Zoofila Lombarda”; l’“Associazione Zoofila Verona”; la “Società Napoletana per la Protezione degli Animali” fondata nel 1891; la “Società per la protezione degli Animali Riviera Centrale”; la “Società

zoofila emiliana (Croce azzurra)” fondata il 16 novembre 1924 (aveva varie sezioni anche fuori regione); la “Società zoofila Emiliana”; l’“Associazione Zoofila Provinciale ‘Leonardo da Vinci’ Bolzano”; la “Società Zoofila Bordighera”; la “Società Catanese per la protezione degli animali”; la “Società zoofila EmilianoRomagnola”; la “Regia Società Bolognese per la Protezione degli Animali”; l’“Associazione Ferrarese per la Protezione degli Animali”; la “Società fiorentina per la protezione degli animali”; l’“Associazione Ligure Protezione Animali Vigilanza sulla caccia e pesca”; la “Società goriziana per la protezione degli animali”; la “Società zoofila per la protezione degli animali Sanremo” fondata nel 1879; la “Società protezione animali La Spezia”; la “Società siciliana protezione animali”; il “Comitato zoofilo sezione di Partinico”; la “Società zoofila romana”; la “Società savonese per la protezione degli animali”; infine l’“Ente Nazionale Fascista per la protezione degli animali” che con la legge del 1938 sciolse tutte le società preesistenti.


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L’orso di Moena di Giovanni Kezich

L’argomento scelto per questo numero di Altrestorie ha suggerito di riproporre un breve, ma intenso racconto di Giovanni Kezich, direttore del Museo degli usi e costumi della gente trentina di San Michele (TN), scritto nel 1999 e pubblicato sul giornale l’Adige in due diverse occasioni nel corso del 2000. Si dice che tanti, tantissimi anni fa, gli abitanti di Moena fossero litigiosissimi. Non vi era affare o compravendita che andasse a buon fine, non vi era festa patronale che non finisse a randellate, non vi era occasione di incontro che non risultasse in screzi, inimicizie, bastonature. La riunione primaverile dei capifamiglia per l’elezione dello scario, che si svolgeva presso il gran pèzzo secolare della comunità, finiva poi regolarmente a spintoni, con gente che volava nell’Avisio ancor gelido, schiaffoni e calci nel sedere. Le donne, infatti, si erano abituate a portare i capelli cortissimi, per evitare di essere afferrate per la chioma e sbattute in terra, e tutti, incontrandosi, finivano per farsi le boccacce, digrignare i denti, o indicare il proprio deretano con le dita. Un inverno che le liti erano state particolarmente furibonde, e si erano interrotte solo per l’arrivo del gran freddo che costringeva tutti in casa a ruminare, apparvero d’improvviso nel paese delle tracce di orso. Ma siccome tra vicini, di regola, non ci si parlava affatto, la cosa andò avanti per parecchi giorni senza che nessuno mostrasse di farci caso. Presto, tuttavia, diventò difficile ignorare il bestione accovacciato la mattina presto dietro ai letamai, quando si andavano a vuotare i vasi da notte, o caracollare furtivo fuori dai fienili quando si an-

dava a prendere il fieno per le bestie. Ma correva proprio in quei giorni il carnevale e molti, nel paese semisepolto dalla neve, continuarono a pensare che fosse forse una maschera che si era persa, capitata per caso da San Giovanni o da Soraga, e che aveva cercato rifugio nel paese, protetta dal caldo del pelliccione, dopo qualche baldoria particolarmente nefasta. Ma tra i capifamiglia più anziani, molti avevano capito benissimo che di orso si trattava – un orso disperso, che aveva interrotto il letargo, e perciò particolarmente nervoso, affamato e aggressivo – e avevano deciso che era certamente meglio cercare di farselo amico, magari per poterlo lanciare un domani in qualche rappresaglia contro i vicini. Così, all’imbrunire, incominciarono a mettere di nascosto, e ognuno all’insaputa degli altri, una piccola ciotola di latte proprio davanti alla porta di casa. Quando tutti dormivano, andavano ad appostarsi dietro alla porta e, dal buco o dalla fessura segreta, aspettavano che passasse, e gli dicevano: Orso orso orsù, bevine un sorso... E l’orso non si faceva pregare, anzi incominciò a fare regolarmente, tutte le sere o quasi, il giro delle ciotole, finché era sazio, e finché la neve si sciolse e l’inverno finì. Quando i paesani incominciarono a fare di nuovo capolino fuori dalle case, alla fine del mese di marzo, la storia dell’orso era sulla bocca di tutti – anche se tutti, come è ovvio, ne avevano sempre un po’ di paura, perché l’orso sempre in agguato nei vicoli e negli spiazzi dietro le case rendeva impossibile l’uscire la sera mentre, visto il groviglio inestricabile delle liti in corso, non sarebbe stato mai possibile organizzare una battuta che non risultasse in una scazzot-

tatura generale. Ma mezzo inverno intero di cure notturne dovevano aver creato attorno all’orso dei legami segreti, se è vero che alla riunione di maggio dei capifamiglia sotto il grande pèzzo, quando qualcuno propose, un po’ per provocare e un po’ per scherzo, di eleggere a scàrio “quel orso”, la cosa, anziché la solita ridda di improperi e di spintoni, fu salutata da grandi risate e da urla di approvazione, e accompagnata da grandi manate sulle spalle. Si risolse di provvedere la notte stessa alla cattura del bestione di cui, dopo mesi di appostamenti, tutti conoscevano i movimenti a menadito, onde provvedere il giorno appresso all’elezione. La battuta andò bene, e l’orso inciampò in un laccio, e fu subito avviluppato in una rete da fieno robusta, senza che gli fosse fatto alcun male. Il giorno dopo, stretto a una catena e con il muso fermato da una museruola di ferro, di quelle che si usano per i vitelli per non farli poppare oltre il dovuto, venne condotto sotto il gran pèzzo, per l’elezione. Nessuno sapeva se era uno scherzo o cos’altro, ma comunque vennero portate all’orso la fascia e la mantellina dello scàrio, il collare e lo scettro e, con grande solennità, mentre non si sapeva se ridere o cosa, gli vennero fatti indossare. Fatto sta che l’orso incominciò fin da subito a esercitare con misurata saggezza le sue nuove funzioni di scàrio. Affrancato da museruola e catene, venne fatto alloggiare in un gabbiotto sul limitare del bosco, dal quale spesso e volentieri si assentava, per presentarsi tuttavia sempre puntuale alle riunioni dell’assemblea, che incominciarono però a diventare regolari, ordinate, fattive. Con sagacia, con moderazione, con clemenza, l’orso di-


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sponeva dei tagli dei lotti di legname, assegnava i diritti di pascolo, dirimeva le più acri controversie tra fratelli e tra cugini sulle questioni di eredità. E, dopo appena qualche mese, come per miracolo, gli abitanti di Moena non litigavano più. Anzi, proprio in quell’estate risistemarono i sentieri, i cippi confinari, gli argini del fiume, misero a posto i ponticelli pericolanti sull’Avisio, i capitelli, la chiesina. L’orso era molto benvoluto. Naturalmente, non disdegnava né un goccio di buona grappa, né qualche omaggio occasionale di frutta e di miele, ma cercava sempre di rendersi utile come poteva. C’è chi dice, ancora adesso, che è stato proprio lui a insegnare ai paesani a non buttare più via il latte, e a farlo cagliare per farci il formaggio, o a incoraggiare le donne a mettere al macero, e poi scotolàre e filare le piantine del lino, per farci dei buoni tessuti. E vi è chi lo ricorda molto bene starsene seduto al caldo di qualche stalla, con le zampe protese, a tener tesa la matassa per fare gomitoli. Solo nelle notti scure del novilunio, per qualche motivo, l’orso non si faceva trovare, e stentava a calare al paese. In quelle sere, come

quando arrivava qualche ospite, o qualche straniero, l’orso rimaneva nel bosco, e non si faceva avvicinare. Anzi, spesso i paesani lo sentivano da lontano soffiare forte e guaire, e prendere a calci le piante. In quelle notti, i paesani, che ormai volevano molto bene al loro orso, rimanevano a casa, e pregavano che finisse presto, e che l’orso stesse meglio. Ma durava due, tre notti al massimo, e dopo l’orso non mancava di tornare al paese, sobrio e puntuale come sempre. L’orso visse a Moena molti, moltissimi anni. Quando morì, le liti e le controversie di un tempo non erano più nemmeno un ricordo, perché nessuno se ne ricordava più. E l’orso era così benvoluto che i paesani decisero di imbalsamarlo, per tenerlo sempre con sé. Infatti, fu imbalsamato e fu messo sulla piazza di Moena, perché nessuno si dimenticasse del vecchio, saggio scàrio. Invece, se ne dimenticarono eccome, tanto è vero che, quando venne il progresso, il grande orso impagliato venne messo davanti al laboratorio di un fotografo, che lo usò a lungo per farci le foto ai turisti. Anzi, con il tempo, gli mise un paio di occhiali scuri, una mantellina da zorro, un cinturone e un cappello da cowboy, per essere al passo con i tempi. Quan- do la bottega

passò di mano ci si accorse che il vecchio bestione imbalsamato aveva perso quasi tutto il pelo, ed era pieno di tarme e di buchi, e che bisognava buttarlo via. Ma di chi fosse stato quell’orso, o del bene che aveva fatto al paese, non ne sapeva più niente nessuno. Così una bella mattina di trenta o quaranta anni fa, fu caricato di peso sul camietto comunale della nettezza, e portato in discarica. So questa storia perché un giorno ho trovato in un cassetto una piccola foto di mia madre da bambina, in piedi tra le zampe dell’orso. Chiesi spiegazioni a una vecchia zia ungherese, che da molti anni non c’è più, e che era stata una villeggiante storica della Moena del primo turismo. Mi disse di aver conosciuto bene il vecchio fotografo, detto da tutti “Foto Napoli”, chissà poi perché, che le aveva raccontato la storia. Io non so se sia vera, ma so che quando due o tre volte all’anno passo per Moena veloce come il vento per andare chissà dove, e passo per quella piccola, diseguale piazzetta oltre il ponte dove una volta c’era l’orso impagliato, e dove ormai di vero non c’è proprio più niente, io con emozione penso all’orso, penso all’antica ava magiara che fece fare la foto, penso alla mia povera mamma bambina tra le zampe dell’orso.


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Bestiario alpino minimo (e limitato ai mammiferi) di Cesare Poppi

La prima volta che un amico di Moena mi descrisse il dahu pensai che fosse un barzelletta ben congegnata. Il dahu, come tutti sanno, è un mammifero che vive sugli erti pendii di montagna. È caratterizzato dall’avere le zampe da un lato più corte di quelle dall’altro lato, in modo da muoversi più agevolmente sui pendii. Esistono dahu ‘destrogiri’ che camminano in senso orario, e dahu ‘levogiri’ che camminano in senso antiorario. Si capisce così, dunque, che il dahu preferisce camminare in circolo attorno alle montagne, ma sempre nello stesso verso, cambiando eventualmente altitudine spostandosi con movimenti a spirale. Difficile cacciare il dahu a causa della sua grande agilità. L’unico modo per catturarlo – dicono – è di avvicinarglisi alle spalle e gridare: ‘Dahu!’. L’animale è molto curioso e, girandosi di scatto, perderà l’equlibrio rotolando a valle. Ripeto: credevo allora che si trattasse di una barzelletta. E invece di dahu è piena la tradizione popolare dalle Alpi occidentali francofone ai Pirenei. Dahut, Daru, Darou, Dairi sono i nomi assunti dall’animale nelle varie località. Cacciatori, alpinisti e folcloristi ne inventano – pare – nuove varietà costantemente che vanno ad aggiungersi ad una letteratura dotta che cresce di an-

no in anno. Oltre a dare il nome ad un hotel al Passo del Tonale, il Dahu fu scelto anche come mascotte delle Universiadi invernali di Torino del gennaio 2007. Qui, però, curiosamente, l’animale perse la sua asimmetria deambulatoria per acquisire postura eretta, pelo di colore azzurro, un faccione a metà fra una vacca ed una focaccia e corna più simili a quelle di una giraffa che a qualsivoglia ungulato alpino. Ma su questo torneremo più tardi. Se ci spostiamo all’estremo opposto dell’arco alpino troviamo un equivalente del dahu nello Zlatorog del folclore sloveno, che ha tuttavia importanti presenze anche nell’immaginario popolare della Carinzia austriaca e fra le popolazioni di lingua slovena del Friuli Orientale. Il nome significa letteralmente ‘corna d’oro’ (zlati rog) in quanto l’animale – descritto come un camoscio bianco – avrebbe il trofeo fatto del prezioso metallo. Al pari dell’Unicorno, lo Zlatorog è associato alle giovani vergini: tre di queste lo accudiscono, e con lui guardano un fantastico tesoro sulla cima del Monte Triglav. Si dice che un giorno un cacciatore colpì a morte lo Zlatorog: il sangue delle sue ferite scese lungo le montagne fino ai laghi attorno a Trigav, donando loro il caratteristico cangiante colore. Alla fine da quel sangue crebbe un fiore meraviglioso che donò allo Zlatorog nuova e sempiterna vita. Oggi, più probabilmente, nuova e sempiterna vita è stata data allo Zlatorog dalla Birreria Laško, che ha intitolato al mitico camoscio una delle sue più pregiate produzioni. Assieme al popolo delle Marmotte, protagonista della popolarissima Saga dei Fanes – ricostruita con abbondanza di apporti personali da Karl Felix Wolff e dalle numerose rivisitazioni che ne hanno reso l’opera una delle più note del neofolclore alpino – Dahu e Zlatarog sono fra i pochi, pochissimi mammiferi (o pre-

sunti tali) che hanno nutrito l’immaginario alpino. Se le ragioni di questo stato di cose – per certi versi sorprendente – verranno considerate più avanti, occorre completare il quadro con la figura del Caza Beatrich. Il Caza Beatrich del folclore primierotto rappresenta la variante locale di uno dei paradigmi narrativi più diffusi nell’immaginario europeo. Raccontavano i vecchi – mi diceva un’anziana amica di Mezzano – che una certa nottataccia d’inverno un bacan udì al di fuori un gran frastuono. Corse fuori e vide sfilarsi davanti un orrendo corteo formato da una muta di cani enormi, dal corpo allungato, con grandi occhi rossi fiammeggianti che correvano furiosamente su sei zampe. Erano inseguiti da un cacciatore che trascinava con sé pesanti catene. Ignaro di cosa potesse essere la spaventevole visione, il contadino scappò a chiudersi in casa. Prima di sprangare la porta – tuttavia – gridò alla masnada: ‘Buona caccia, e portatemi qualcosa!’. Non l’avesse mai detto: la mattina dopo trovò brandelli di carne umana inchiodati alla porta di casa. La leggenda della caccia antropofaga è conosciuta in termini sostanzialmente analoghi in val dei Mocheni, ed era nota in val di Fiemme col nome di Teatrico o Pataù co la so cagnolera. Qual è la ragione di quei termini, evidentemente cognati, di Beatrich/Teatrico – e Beatrico nelle versioni venete? È del tutto probabile che qui ci si riferisca a Teodorico, re degli Ostrogoti, che regnò in Italia a cavallo fra il V ed il VI secolo. Di religione ariana, che negava ovvero la consustanzialità del Figlio col Padre subordinandolo a quello e quindi negando la validità del Credo unitario di Nicea del 325, Teodorico fu a lungo visto come un eretico che minava l’unità dell’ortodossia cristiana: alla sua morte l’arianesimo cominciò a vacillare sotto i colpi dell’Impero bizantino inten-


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to – al contrario – ad esaltare la natura divina di Cristo ai fini di supportare, per analogia, la natura ‘divina’ del mandato imperiale. Teodorico divenne il ‘cattivo’ della situazione: alla sua morte fu messo dalla nascente tradizione del cristianesimo popolare alla guida dell’esercito dei dannati – dannato lui stesso e costretto a vagare senza meta cibandosi dei suoi simili in una sorta di contrappasso ante litteram da qui all’eternità. Tuttavia, a loro volta, le motivazioni del paradigma della Caza Beatrich non sono affatto originali. Il tema della Caccia Selvaggia – Wild Hunt in Inghilterra, Wilde Jagde nei paesi germanici o Mesnie Ferale in quelli francofoni – predata quello che potremmo definire la versione ‘paneuropea’ che conosciamo oggi ed affonda le sue radici negli strati più profondi dell’immaginario del Continente. La sostanza del discorso è questa: in certi momenti critici dell’anno i Morti tornano sulla terra. Lo scopo di questa visita è duplice. Da un lato i Morti vengono a rivendicare la loro parte nella produzione dei raccolti che essi contribuiscono a far crescere dalle loro dimore sotterranee. Ecco allora il senso – per esempio – di Halloween (the Holy Evening – ‘la Santa Notte’) che cade alla celebrazione dei Defunti, a sua volta cristianizzazione di Simhain, il Capodanno ‘celtico’. Era questo il tempo nel quale i raccolti cruciali per il superamen-

to delle strettoie dell’inverno – essenzialmente rape e cavoli (saranno poi patate granturco) – venivano immagazzinati: i Morti tornavano per controllare che tutto avvenisse ‘secondo cultura’ – secondo quelle regole ovvero che Loro stessi, Lares atque Penates, avevano elaborato e che ora esigevano venissero rispettate. E dunque, d’altro lato, la ‘cavalcata di controllo’ dei Morti-Antenati assumeva i contorni di una ordalia per la quale sarebbero stati premiati i virtuosi e puniti i peccatori. Secondo una logica della moralità che mette in relazione universalmente, nello spazio e nel tempo, la performance morale con quella produttiva e materiale, i Morti che ritornano sono anche quei Morti che premiano o puniscono. E dunque, nelle Dodici Notti che passano fra il Natale e l’Epifania – il periodo simmetrico ovvero che vede compiersi prima il Solstizio Invernale e poi la nascita del Nuovo Anno – l’Esercito dei Morti passa in rivista i Vivi per certificarne – o meno – la conformità ai dettami eterni degli Antenati. Santa Klaus altri non è che la forma cristianizzata in San Nicola di Myra – nell’attuale Turchia – di Wodan/Odin, il Dio supremo del Walhalla scandinavo/germanico che torna a controllare la performance dei suoi adepti nelle Dodici Notti fra il Natale e l’Epifania rese celebri da William Shakespeare. A sua volta, Wodan/ Odin, viene tradotto e con-

segnato alla modernità – che ne farà un risibile Arlecchino – dalla cristianizzazione delle leggende relative all’Exercitus Mortuorum che cominciano a circolare in Europa dalla zona francofona a partire dall’XI secolo. Il documento del 1096, che narra dell’incontro fortuito fra il Prete Walchelin de Saint Aubin de Bonneval e la Mesnie Hellequin fungerà da falsariga per tutti i modelli di ‘Caccia Selvaggia’ a venire mentre attesta, al contempo, il forte radicamento del paradigma nella cultura popolare già a quell’epoca. La storia, in breve, ricalca nei tratti fondamentali, quanto testimoniato dalla tradizione orale primierotta. Si tratta dell’incontro fortuito, non cercato e non voluto, con l’Esercito dei Dannati. Nel caso francese Beatrich/ Teodorico è sostituito da Hellequin – il Re dell’Inferno (da Helle – Inferno, e Koenig, Re) – che insegue il corteo infernale di ladri, omicidi, prostitute – ma anche Re, Vescovi e Papi indegni, lo stesso package dell’immaginario che vedremo fiorire sui muri di tutta Europa fra il XIII ed il XIV secolo, quando, pienamente e finalmente normalizzata secondo le regole del cristianesimo ufficiale, il tema della Danza Macabra fungerà da memento mori da Pinzolo fino alla Cattedrale di Norwich, in Inghilterra. E se fino ad ora abbiamo esaminato il lato ‘maschile’ del Caza Beatrich, che dire allora del suo aspetto femminile? La Befana che porta doni ordaliaci ai bambini (doni ai buoni, carbone ai cattivi), altri non è se non l’italianizzazione di quella Berchta/Perchta dell’immaginario popolare germanico la quale, la notte del 6 gennaio, distribuisce doni o punizioni alle donne che hanno – o meno – adempiuto al precetto di filare tutta la lana dell’anno precedente per la notte a lei sacra (ricordate: ‘i tempi in cui Berta filava?’). Bene: Perchta/Berchta altri non è che la ‘interpretazio-


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ne germanica’ della Hera/Diane/Demetra dei Greci, divinità tanto degli inferi quanto dei raccolti e della fertilità in generale che fu poi, nel processo di cristianizzazione dei complessi delle antiche credenze, assimilata ad Erodiana (da Hera-Diana), figlia del re Erode che chiese in regalo la testa del Battista e che ritroviamo nell’immaginario popolare del Trentino e del Veneto come Domina Ludi, Signora del Gioco, Donna Abundia, Domina Orienti/Signora d’Oriente e così via. Quale la sua funzione? A questo punto della nostra cavalcata attraverso il folclore alpino dovrebbe essere deduttivamente chiaro. Erodiana/Domina Abundia – o Signora del Gioco come vuole la vulgata fiammazza – altro non sono che le guide femminili del Sabba delle Streghe – e, per inclusione, della saga dei Dannati. Siamo giunti – lo ammetto – molto lontano dal nostro Beatrich e dalla sua ca-

gnolera. Quanto basta – spero – per aver dimostrato che la cultura popolare che concerne ‘esseri immaginari di fantasia’ non è moto irrazionale di fantasie senza confini o – peggio, come è stato argomentato – fisima di un’immaginazione malata. Al contrario, essa risponde a logiche simboliche coerenti e razionali, governate – come la vita di tutti – da processi storici solo parzialmente consapevoli. Ma vi è un’ ultimo, inaspettato dettaglio che vorrei proporre all’attenzione di chi mi legge. Certo i più attenti di voi avranno notato come la descrizione dei cani furiosi della Caza Beatrich del Primiero fossero stranamente vicini all’immagine del cane dell’Agip: corpo allungato, sei zampe, fiato di fuoco (se non ‘occhi’ ‘fiato’ – ma ‘occhi’ e ‘fiato’ sono equivalenti dello spirito della ‘cosa’ in questione).

Bene: quando – si dice – l’artista Luigi Broggini disegnò l’originale logo, poi rifinito dal designer Giuseppe Guzzi nel 1953, si ispirò ad una leggenda dell’area di Lodi, dove l’ENI di Mattei scavava i primi pozzi del metano. Secondo la leggenda Tarantasio era un mitico drago del lodigiano che era un tempo guardiano delle paludi. Scomparso poi sottoterra a causa di un mondo che lo odiava sempre più, sarebbe poi ricomparso come effluvio dalla terra sotto forma di metano. Tempo di concludere: gli esseri fantastici delle Alpi ci propongono modi di pensare costruendo protagonisti in bilico fra questo e quel mondo, buoni allora per pensare – allora – il rapporto fra i Vivi e i Morti così come sono buoni, oggi, per essere geni tutelari di un Hotel, di una Birra, di una Mascotte sportiva o di una Potente Benzina Italiana. E i draghi, qualcuno fra i più attenti chiederà. Eh… i Draghi…: il più potente ed originale contributo delle Alpi ad un bestiario fantastico che neanche Luis Borges… Ma siamo addivenuti alla fine dello spazio consentito e – dunque – i Draghi saranno materia per un futuro intervento…


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In viaggio con Mauro di Antonio Marchi

L’1 settembre 2008 Antonio Marchi, socio del Museo storico in Trento, è partito da Trento per percorrere l’Italia in bicicletta: meta finale Lenzi, nel trapanese, luogo nel quale il 26 settembre 1988 fu assassinato Mauro Rostagno. Un viaggio intrapreso non solo per affetto nei confronti di un amico, ma anche come doveroso omaggio a un insieme di valori umani e sociali per i quali Mauro Rostagno sacrificò la propria vita. Le parole di Antonio Marchi aiutano a penetrare il senso e le aspettative più profonde di chi ha percorso questo itinerario e di chi lo ha accompagnato da lontano con simpatia, partecipazione e sincero coinvolgimento.

Ero in debito con Mauro Rostagno e non solo. Mi volto indietro e vedo che c’è un vuoto di conoscenza e indifferenza in quello che Mauro ha fatto. Lui ci ha messo passione nella vita, la stessa che ha spinto tanti a conquistare un pezzo di terra, di libertà,

che rende normale il sacrificio e la sofferenza quando hai un sogno da realizzare. Raggiungere il proprio ideale, a costo del bene anche il proprio male, scrutando da lontano, con fatica, quel fine che esiste in ognuno di noi che si chiama giustizia e libertà che ha come unici alleati in questa «trattativa senza incoraggiamento» il coraggio, la solitudine, il silenzio, la morte. Oggi il sacrificio è detestato, il coraggio trasformato in viltà. Nessuno vuole più soffrire né per se stesso e men che meno per gli altri. Il poco tempo dedicato (tre anni fa in un altro viaggio a Trapani, ricordando Alex Langer), reclamava «doveri», giusto tributo ad un amico combattente morto ammazzato per la libertà e la giustizia, anche per me. L’occasione del ventennale (della sua morte) mi permetteva di andare oltre il fatto celebrativo (a Trento neanche questo), di legarmi a quelle idee di pulizia morale, di libertà e di denuncia civile, per le quali Mauro si è battuto fino alla fine dei suoi giorni terreni e a quelle decine e decine di vite stroncate dal piombo mafioso, alla resistenza al Nazi-fascismo dei nostri padri, alle nostre lotte del ‘68 che ci hanno formato e a tutte quelle che continuano a formare e forgiare uomini e donne nell’idea di libertà che non è in vendita ai supermercati né nelle sedi dei partiti: perché ricordare è come ridare vita a quelli che l’hanno sacrificata, trattenerli tra noi. Un compito e un dovere per «chi» (come me) guardano

al mondo non come luogo di sofferenza, né di divertimento, ma d’impegno, di responsabilità e di condivisione; nel quale valga la pena di viverci senza esserne costretti, sofferenti e condannati alla dipendenza del mercato, all’indifferenza verso gli «Altri» diversi da noi per colore o fortuna, all’irresponsabilità e al cinismo di chi crede, stoltamente, che basti badare a se stessi per salvarsi. Nella minuscola terra degli addii mortali il silenzio è il primo passo verso lo spazio che ho percorso per buona parte con il mezzo più silenzioso ed ecologico che ci sia – la bicicletta –. Nell’occasione ho preparato una maglietta sportiva – sfondo bianco – da indossare strada facendo raffigurante davanti la faccia di Mauro con la scritta «Mauro Rostagno Vive», dietro le date del quarantennale del ‘68, «1968 la lotta, 2008 continua» con la fascia dei colori dell’arcobaleno, in fondo alle tasche il logo del «NO DAL MOLIN» e «NO TAV», in cima alle maniche il logo e la scritta «Fondazione Museo storico del Trentino» e sui bordi i colori dell’arcobaleno. Sono partito la mattina dell’1 settembre dalla sede della Fondazione Museo storico del Trentino, alla presenza del direttore Giuseppe Ferrandi (al quale ho donato la maglietta), di un folto gruppo d’amici e amiche che mi hanno accompagnato per un viaggio avventuroso, che non è un banale o turistico trascorrere il tempo lungo lo stivale e nelle isole, ma un impegno concreto d’incontri e di visite, di relazioni e di ascolti, passione civile per un’Italia ancora distaccata dalla Costituzione e di una politica sorda e impresentabile impegnata più a calpestarla che ad applicarla. Tutto da scoprire, perché, un conto è la lettura dei giornali o i resoconti televisivi, un conto è calarsi dentro la realtà, incontrarla, mettersi in relazione e cercare, dentro la stessa, di capire cosa succede e perché.


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INFOMUSEO Nei mesi di settembre-dicembre 2008 la Fondazione Museo storico del Trentino ha realizzato un fitto calendario di iniziative grazie al coinvolgimento e alla preziosa collaborazione di numerosi enti ed istituti cui va la nostra gratitudine. In particolare: A.N.A. Sezione di Trento – Zona Bassa Valsugana e Tesino, APT Rovereto e Vallagarina, APT San Martino di Castrozza, Biblioteca comunale di Trento, Casa editrice UTET di Torino, Casa Sociale di Saccone, Centro Studi sulla Storia dell’Europa Orientale, Comitato storico SAT, Comprensorio della Bassa Valsugana e Tesino, Comune di Brentonico-Assessorato alla Cultura, Comune di Levico Terme, Comune di Mori, Comune di Trento-Circoscrizione Centro Storico/Piedicastello, Consorzio Brentonico Vacanze, Consorzio Turistico pro loco Val Rendena, Coordinamento Teatrale Trentino, Equipe Teatro di Progetto 92, Format-Centro audiovisivi della Provincia autonoma di Trento, Gruppo Folkloristico Vecchia Rendena Bocenago, Liceo Leonardo da Vinci di Trento, Museo civico di Rovereto, Museo nazionale storico degli Alpini, Museo tridentino di scienze naturali, Pro Loco di Darè, Pro Loco di Mori e della Val di Gresta, Provincia autonoma di Trento, Regola Feudale di Predazzo, RTTR la Televisione, RTT la Radio, Università degli studi di Trento.

Settembre 2008 I bambini e la montagna Ultimo appuntamento nell’ambito della mostra permanente “Frabica delle scritture di montagna” presso i prati del Cimerlo (Valle di Primiero): il 13 settembre Quinto Antonelli ha intrattenuto i presenti con “I bambini e la montagna ovvero il mito di Heidi”, alcune riflessioni sul mutamento del vivere la fanciullezza in montagna. Una rete della storia e della memoria Si è tenuto martedì 16 settembre presso il Municipio di Levico Terme l’incontro pubblico dal titolo “Per una rete della storia e della memoria”. Sono intervenuti, dopo la proiezione del video “Memorie di comunità”, Lorenzo Dellai, Presidente della Provincia autonoma di Trento e della Fondazione Museo storico del Trentino, Giuseppe Ferrandi, direttore generale della Fondazione Museo storico del Trentino, Carlo Stefenelli, Sindaco di Levico Terme, Fernando Orlandi, presidente del Centro Studi sulla Storia dell’Europa Orientale. Lisistrata Il 18 settembre le Gallerie di Piedicastello hanno ospitato la rappresentazione “Lisistrata”, spettacolo liberamente tratto dalla commedia di Aristofane, messo in scena dalla compagnia Equipe Teatro di Progetto 92, con la regia di Michele Torresani e Gabriele Penner. Nell’occasione è stato presentato “Coi nostri occhi. La grande guerra e gli adolescenti”, laboratorio di teatro rivolto ai ragazzi tra i 14 e i 20 anni.

Girovagando in musica All’interno della cornice della mostra “Provato e Certo, rimedi segreti tra scienza e tradizione”, allestita presso palazzo Eccheli-Baisi di Brentonico, è stato organizzato un fine settimana in musica per promuovere la riscoperta delle erbe del Monte Baldo e il sapore delle tisane dell’Orto dei Semplici. Sabato 20 settembre il Duo Piergiorgio Pardo vocejazz e l’arpista Elena Trovato, hanno proposto canti popolari di paesi vicini e lontani; domenica 21 settembre il Gruppo Caronte in formazione classica (arpa,violino,violoncello e pianoforte con jazzvoice) ha eseguito, in un percorso musicale e letterario dagli anni sessanta agli anni ottanta, i classici del pop e rock angloamericano. Mondo globale mondi locali L’intervento di Giovanni Gozzini sul tema “Le migrazioni negli ultimi decenni” ha inaugurato il 24 settembre il corso di aggiornamento e di formazione per docenti di scuola secondaria di primo e secondo grado dal titolo “Mondo globale mondi locali: il presente come storia”. Gli incontri successivi, organizzati con cadenza settimanale presso il Liceo Leonardo da Vinci di Trento, sono stati tenuti da Gregorio Arena (“Cittadinanza e cittadinanze: i diritti nel mondo globale”), Marco Meriggi (“Globalizzazione e contemporaneità”) e Luigi Bonanate (“La guerra nel terzo millennio”). Progetto Grande Guerra Il 24 settembre presso le Gallerie di Piedicastello è stato presentato il volume, pubblicato dalla Provincia autonoma di Trento, “Progetto Grande Guerra: tutela e valorizzazione dei beni architettonici: esperienze a confronto”. Con quest’occasione si è così potuto fare il punto sull’attività promossa dall’Assessorato alla Cultura della Provincia, volta al recupero, allo studio, alla conoscenza e alla valorizzazione dei beni legati a questo evento bellico: un insieme organico e coordinato di iniziative, profondamente radicato sul territorio. Sono intervenuti Francesco Collotti dell’Università di Firenze, Sandro Flaim e Michela Favero della Soprintendenza per i Beni architettonici della Provincia autonoma di Trento.

Ottobre 2008 La bottega della memoria Nell’ambito della Ganzega d’autunno, manifestazione organizzata annualmente nel comune di Mori dalla Pro Loco di Mori e della val di Gresta, è stata allestita una piccola esposizione sui temi dell’emigrazione e della sua memoria. Inoltre, nella serata di sabato 4 ottobre e per tutta la giornata di domenica 5 ottobre, sono stati proiettati a contorno dell’iniziativa i più recenti documentari prodotti dal Museo e relativi alla storia trentina contemporanea. La biografia di Cesare Battisti Le Gallerie di Piedicastello hanno ospitato la presentazione del libro di Stefano Biguzzi “Cesare Battisti”. Sono


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intervenuti con l’autore il giornalista Gianni Faustini e lo storico Vincenzo Calì. La presentazione si è ripetuta a Rovereto, all’interno del ciclo di conferenze “Storie e storia. Per quale patria. Ricerche sulla Grande Guerra e sui conflitti del Novecento”, organizzato dall’Accademia Roveretana degli Agiati, dal Museo Storico Italiano della Guerra e dalla Fondazione Museo storico del Trentino, alla presenza dell’autore e dello storico Fabrizio Rasera. Costruire storia L’8 ottobre presso le Gallerie di Piedicastello si è svolto un confronto aperto su obiettivi e risultati del progetto “Costruire storia”, cui hanno partecipato Luigi Blanco dell’Università di Trento, Giuseppe Ferrandi direttore generale della Fondazione Museo storico del Trentino, Arduino Salatin dell’IPRASE del Trentino, Stefano Oss dell’Istituto di istruzione Arcivescovile di Trento, Renato Paoli dell’Istituto di istruzione “Lorenzo Guetti” di Tione di Trento, Francesco Pugliese e Roberto Trolli dell’Istituto di istruzione “La Rosa Bianca-Weisse Rose” di Cavalese. Uno dei principali risultati del progetto “Costruire storia: ricerca sui curricoli del ciclo secondario” è stata la serie di pubblicazioni “Quaderni di costruire storia” che documentano solo alcuni dei percorsi realizzati dagli insegnanti con i propri studenti. La strada degli Alpini Il direttore generale della Fondazione Museo storico del Trentino Giuseppe Ferrandi e Franco Martignoni hanno partecipato alla presentazione del volume di Filippo Degasperi e Andrea Selva “La strada degli alpini: Doss Trento 1940-1943”. Carzano in Galleria L’11 ottobre, presso le Gallerie di Piedicastello è stata inaugurata la mostra temporanea “Carzano in Galleria. Valsugana – fronte di Guerra 1917. Il sogno svanito”. Sono intervenuti Giuseppe Ferrandi, direttore generale della Fondazione Museo storico del Trentino; Pietro Tavernar, sindaco di Carzano; Luigi Sardi e Luciano Salerno, autori del libro Carzano 1917; Luca Girotto, storico. La mostra documenta una complessa vicenda che coinvolse il piccolo comune della Valsugana 37 giorni prima della disfatta di Caporetto. Emigrazioni, memorie, musei Il 16 ottobre le Gallerie di Piedicastello sono state teatro dell’incontro pubblico dal titolo “Emigrazioni, memorie, musei”. Sono intervenuti Pierangelo Capodonico del Galata Museo del Mare di Genova, Maddalena Tirabassi della Fondazione Giovanni Agnelli, Paola Corti dell’Università di Milano. Le Gallerie raccontano Ha preso avvio il 17 ottobre su RTTR la Televisione un ciclo di dodici trasmissioni, denominato “Le Gallerie raccontano”: prendendo a spunto le produzioni video del-

la Fondazione Museo storico del Trentino le trasmissioni hanno cercato di focalizzare l’attenzione del grande pubblico sull’importanza del patrimonio umano culturale e sociale che il Progetto Memoria per il trentino ha contribuito a raccogliere e valorizzare. Questi i titoli dellle diverse puntate: 17 ottobre: Palma Clara Agostini: testimonianza sulla «città di legno»; 24 ottobre: Stramentizzo: la memoria ritrovata; 31 ottobre: Farmacisti di famiglia; 7 novembre: Novembre ‘66; 14 novembre: Storie di mondi; 21 novembre: Don Domenico Girardi. Io, Matricola 10.626; 28 novembre: Zambana ‘55’56. Memorie di una comunità; 5 dicembre: I bombardamenti su Trento durante la seconda guerra mondiale; 12 dicembre: L’epopea di Santa Giustina. Storie di una valle; 19 dicembre: Era tutto Michelin. Memorie di una fabbrica; 26 dicembre: Zum Tode. A morte; 2 gennaio 2009: Sulle tracce di Garibaldi. La città romanzo E’ stata inaugurata il 18 ottobre presso Torre Vanga a Trento la mostra “La città romanzo: sei luoghi di Trento si raccontano”, a cura di Elena Tonezzer. L’esposizione si sofferma sulla storia di alcuni punti della città ritenuti particolarmente significativi perché in grado di evocare e rendere il clima politico e culturale che si respirava a Trento nei primi anni del Novecento. Avanti pop Il 19 ottobre un originale spettacolo itinerante dal titolo “Avanti pop: ex Italcementi. Quando la storia siamo noi” è partito dalla Fabbrica Ex Italcementi di Trento, ha fatto sosta nella piazza di Piedicastello per terminare nelle Gallerie. Si sono esibiti i Têtes de Bois, Francesco di Giacomo (Banco del Mutuo Soccorso), Sergio Staino, il Coro Bella Ciao, il Coro Martinella, il Quartetto Mandolinistico “Neuma”con la cantante Sabrina Modena. La Grande Guerra in Primiero Le Gallerie di Piedicastello hanno ospitato dal 21 ottobre due mostre temporanee: una sull’attività del Laboratorio di storia di Rovereto, sorto nel 1989, e caratterizzatosi come raccoglitore di storie orali, di memorialistica, di documenti, di immagini; l’altra su “La Grande Guerra in Primiero” e articolata in due spazi distinti: l’uno dedicato alla popolazione civile e l’altro ai soldati. Nel cuore del cuore d’Africa Il giornalista Paolo Ghezzi e il direttore della Cooperativa sociale Progetto 92 Michelangelo Marchesi hanno presentato, presso le Gallerie di Piedicastello, il libro “Nel cuore del cuore d’Africa: una nuova generazione per la riconciliazione in Burundi” scritto da Elena Patoner. Gli italiani in guerra Le Gallerie di Piedicastello hanno ospitato la presentazione dell’opera “Gli italiani in guerra” (Torino, Utet, 2008). I relatori Daniele Ceschin, storico e co-curatore dell’opera e Fabrizio Rasera sono stati moderati da Vincenzo Calì.


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Il Museo Storico degli Alpini e La Tradotta Alla fine di ottobre, presso la Galleria bianca di Piedicastello, sono state allestite due mostre temporanee: la prima, intitolata “1958-2008: 50 anni dall’inaugurazione del Museo Storico degli Alpini” era composta da 23 pannelli fotografici con testo didascalico; nella seconda, denominata “Propaganda di guerra: La Tradotta, giornale settimanale della 3° armata”, sono state esposte riproduzioni d’epoca con disegni a fumetti, tratte da “la Tradotta”, il più raffinato e celebre giornale di trincea.

Novembre 2008 Creative city Il 3 novembre, presso le Gallerie di Piedicastello, si è tenuta una conferenza e la presentazione del volume “Creative city. Dynamics, Innovations, Actions” (Barcelona, List, 2007), a cura di Maurizio Carta, professore di Urbanistica all’Università di Palermo. Creative City è una ricercarassegna, un atlante di progetti urbani e di paesaggio che raccoglie buone pratiche di creatività per il cambiamento della città contemporanea. Ne offrono esempi significativi Amsterdam, Barcelona, Bilbao, Bordeaux, Genova, Hamburg, Lyon, Lisboa, Marseille, Newcastle, Palermo, Rotterdam e Valencia. Riflessioni sulla Grande Guerra Il 3 novembre, presso Palazzo Geremia di Trento, si è riflettuto sulla Grande Guerra a novant’anni dalla fine del conflitto. Sono intervenuti Alessandro Andreatta sindaco di Trento e presidente dell’Associazione Museo storico in Trento, Vincenzo Calì, Fabrizio Rasera, Diego Leoni, Quinto Antonelli e Patrizia Marchesoni. Per quale patria Nell’ambito del ciclo di conferenze “Storie e storia” dedicato a “Per quale patria: ricerche sulla Grande Guerra e sui conflitti del Novecento” e organizzato dall’Accademia Roveretana degli Agiati, dal Museo Storico Italiano della Guerra e dalla Fondazione Museo storico del Trentino è stato presentato a Rovereto presso il Palazzo della Fondazione Cassa di Risparmio di Trento e Rovereto il volume di Quinto Antonelli “I dimenticati della Grande Guerra: la memoria dei combattenti trentini 1914-1920” (Trento, il Margine, 2008). Assieme all’autore è intervenuto Camillo Zadra, direttore del Museo storico italiano della Guerra di Rovereto. Il ciclo è proseguito con altre due presentazioni: il 14 novembre 2008, con il libro curato da Fabrizio Rasera “Taccuini di prigionia (1943-1945)” e il 20 novembre 2008 con il testo “Alpini. Parole e immagini di un mito guerriero” di Marco Mondini. Sono intervenuti con i rispettivi curatore e autore Angelo Bendotti e Piero Del Negro. Voci popolari della Grande Guerra Il 12 novembre nelle Gallerie di Piedicastello il gruppo musicale dei Destràni Taràf ha proposto lo spettacolo musicale “Mia memoria: voci popolari della Grande Guerra”,

tratto dal volume di Quinto Antonelli “I dimenticati della Grande Guerra. La memoria dei combattenti trentini 1914-1920” (Trento, Il Margine, 2008). La drammaturgia è stata curata da Amedeo Savoia. Coi nostri occhi Il 13 novembre le Gallerie di Piedicastello sono state nuovamente teatro dello spettacolo “Coi nostri occhi. La Grande Guerra e gli adolescenti”, realizzato dai ragazzi dell’omonimo laboratorio teatrale, per la regia di Michele Torresani e Gabriele Penner. Si è trattato di uno spettacolo itinerante all’interno della Galleria nera e ha visto interagire la recitazione dei ragazzi con le installazioni video della mostra stessa. Conoscere la città pubblica All’interno delle iniziative organizzate nell’ambito della mostra “La città romanzo. Sei luoghi di Trento si raccontano” si è tenuta il 18 novembre, presso la Biblioteca comunale di Trento, la prima conferenza del ciclo “Conoscere la città pubblica”, dal titolo “Luoghi e persone: abitare le città”. Hanno partecipato Fabio Campolongo della Soprintendenza per i beni architettonici della Provincia autonoma di Trento, Claudia Battaino dell’Università di Trento, Beppo Toffolon architetto, Mario Agostani Presidente dell’Ordine degli Architetti della Provincia autonoma di Trento. La rassegna si è articolata nei seguenti incontri: 25 novembre, “Luoghi e riti: la città ufficiale” (con la partecipazione di Massimo Martignoni, storico dell’arte, Fabrizio Rasera, storico; Benno Simma dell’Istituto Europeo di Design di Roma); 2 dicembre, “Luoghi e funzioni: nascere, crescere e morire in una città” (con la partecipazione di Marina Garbellotti della Fondazione Bruno Kessler, Hannes Obermair dell’Archivio storico della città di Bolzano, Emanuela Renzetti dell’Università di Trento); 9 dicembre, “Luoghi e trasformazioni: le città raccontate” (con la partecipazione di Alberto Brodesco, critico cinematografico; Franco Stelzer, scrittore, Claudio Coletta dell’Università di Trento. L’onorificenza della Croce Nera a Giuseppe Ferrandi Nella sala stampa del palazzo sede della Provincia autonoma di Trento, si è svolta il 26 novembre 2008 una cerimonia nel corso della quale è stata consegnata a Giuseppe Ferrandi, direttore del Museo Storico in Trento e ad Angelo Dalpez, sindaco di Peio, la Croce Nera, la massima onorificenza che l’omonima associazione concede alle personalità straniere.

Dicembre 2008 Memoria e mass media Il 2 dicembre il Palazzo della Regione Regione TrentinoAlto Adige ha ospitato “La memoria strappata. Contese e (con)testi”, primo seminario internazionale su memoria e mass media. Sono intervenuti Paolo Jedlowski dell’Uni-


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versità di Napoli, Paul Grainge dell’University of Nottingham, Rita Ponticelli dell’Università di Bologna, Fausto Colombo dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, Annette Kuhn dell’University of London, Eugenio Melloni, sceneggiatore e coordinatore del progetto “MemoFilm”. Più libri più liberi Dal 5 all’8 dicembre La Fondazione Museo storico del Trentino ha partecipato come editrice alla settima edizione di “Più libri più liberi”, la fiera della piccola e media editoria che si è svolta anche quest’anno presso il Palazzo dei Congressi dell’Eur a Roma. Una Regola della storia E’ stata inaugurata il 6 dicembre a Predazzo, presso la Casa della Regola Feudale, la mostra dal titolo “Una Regola della storia. Il Feudo di Predazzo si racconta a quattro secoli dal suo primo statuto: 1608-2008” a cura di Rodolfo Taiani. A quattro secoli dall’approvazione ufficiale del suo primo statuto, avvenuta nel 1608, la Regola feudale di Predazzo ha guardato alla sua storia con una mostra pensata per tutti quelli che desiderano avvicinarsi a una vicenda plurisecolare dai tratti singolari. Il percorso, che ha utilizzato documenti, immagini, oggetti e materiali video, è stato costruito attingendo soprattutto a quanto custodito nell’archivio della Regola feudale. Monte Baldo terra di confine Il 7 dicembre, presso Palazzo Eccheli-Baisi di Brentonico, è stata inaugurata la mostra fotografica e di reperti ”Monte Baldo terra di confine. Prima Guerra Mondiale novantesimo (1918-2008)”. Ricordo di Giulio Briani Tatti Sanguineti, storico del cinema, Lucia Maestri, assessore alla cultura del Comune di Trento, Mario Bernardo, don Marcello Farina, Francesco Guido/Gibba e Gino Tomasi hanno animato una speciale iniziativa realizzata presso il Museo di scienze naturali di Trento per ricordare il decimo anniversario della morte di Giulio Briani regista e uomo di cultura di origine trentina. Nel corso dell’incontro sono stati proiettati alcuni documentari e caroselli di Giulio Briani stesso. In viaggio con Mauro Il 19 dicembre si è parlato presso lo Spazio Incontri del Museo storico del Trentino del viaggio in bicicletta da Trento a Trapani che Antonio Marchi ha compiuto nel settembre 2008 scorso per ricordare l’impegno e la storia personale di Mauro Rostagno, il sociologo ucciso dalla mafia nel 1988. Sono intervenuti: Giuseppe Ferrandi direttore generale della Fondazione Museo storico del Trentino, Vincenzo Calì e Antonio Marchi stesso.

PRESENTAZIONI 8 settembre 2008, Borgo Valsugana Il documentario “Alpini che ritornano. Dalla Valsugana ai fronti di guerra (1940-1945)” è stato presentato al Teatro dell’Istituto Alcide Degasperi di Borgo Valsugana. Sono intervenuti Marino Sandri, responsabile ANA della Bassa Valsugana e Tesino; Giuseppe Ferrandi, direttore generale della Fondazione Museo storico del Trentino; Lorenzo Pevarello, regista, il Presidente del Comprensorio della Bassa Valsugana e Tesino; il Presidente della Provincia autonoma di Trento. Nell’occasione si è esibito il Coro Valsella di Borgo Valsugana ed è stato consegnato ai testimoni un riconoscimento. 26 settembre 2008, Molina di Fiemme; 2 ottobre 2008, Trento Il volume di Lorenzo Gardumi “Maggio 1945: ‘A nemico che fugge ponti d’oro’: la memoria popolare e le stragi di Ziano, Stramentizzo e Molina di Fiemme” è stato presentato in due occasioni: a Molina di Fiemme presso la sala “Tisti” e a Trento presso la biblioteca del Museo storico del Trentino. 22 ottobre, Trento Presso la Fondazione Museo storico del Trentino è stato presentato e proiettato in anteprima il documentario “Farmacisti di famiglia”. Assieme alla regista Micol Cossali sono intervenuti Edoardo de Abbondi, presidente dell’ordine provinciale dei farmacisti; Stefano Graiff, vicepresidente della Fondazione Museo storico del Trentino; Renato Mazzolini ed Emanuela Renzetti dell’Università di Trento; Rodolfo Taiani della Fondazione Museo storico del Trentino. 5 dicembre 2008, Trento Il volume “Come si porta un uomo alla morte. La fotografia della cattura e dell’esecuzione di Cesare Battisti” curato da Diego Leoni con interventi di Ando Gilardi, Sonia Pinato e Fabrizio Rasera, è stato presentato presso la Sala Falconetto di Palazzo Geremia a Trento. Assieme al curatore e agli autori sono intervenuti Vincenzo Calì, Antonio Gibelli dell’Università di Genova e Günther Pallaver dell’Università di Innsbruck. 5 dicembre 2008, Arco Il libro “La fabbrica, il lavoro, la memoria: l’industria ad Arco raccontata dagli operai: 1930-2007”, scritto da Tiziana Calzà, è stato presentato a Palazzo dei Panni di Arco, alla presenza di Ruggero Morandi, assessore alla cultura del Comune di Arco; Giuseppe Ferrandi, direttore generale della Fondazione Museo storico del Trentino; Stefano Ischia, giornalista e Romano Turrini, storico.


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La fabbrica, il lavoro e la memoria

NOVITÀ EDITORIALI

Tiziana Calzà

er allargarsi a a società italiana

29 dicembre 2008, San Martino di Castrozza Quinto Antonelli e Gianfranco Bettega, curatori del “Il prete, il podestà, la guerra: Primiero 1915-1918. I diari di don Enrico Cipriani ed Enrico Koch” hanno presentato e discusso del loro libro a San Martino di Castrozza assieme a Luca Brunet.

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Tiziana Calzà, La fabbrica, il lavoro, la memoria: l’industria ad Arco raccontata La fabbrica, il lavoro dagli operai: 1930-2007, e la memoria l’industria ad Arco raccontata dagli operai pp. 175, € 16,50 (Vesti del 1930-2007 Tiziana Calzà ricordo) Il volume ripercorre le vicende dell’industria Caproni attraverso le testimonianze di chi vi ha lavorato. Un tentativo di dare voce ad una storia che 13 ha significato molto per la comunità di Arco, in provincia di Trento, e per il suo sviluppo poiché per lungo tempo ha coinciso con una delle prime e più forti fonti di occupazione e di formazione professionale per i giovani di quel territorio. VESTI DEL RICORDO

09/10/2008 14.24.19

Elena Tonezzer (a cura di), La città romanzo: sei luoghi di Trento si raccontano, pp. 43, € 5,00 (Esposizioni) Catalogo dell’omonima mostra allestita a Trento, presso Torre Vanga, dal 19 ottobre 2008 all’ 1 marzo 2009. Il volume – così come la mostra - raccoglie la storia di alcuni punti della città di Trento ritenuti particolarmente significativi perché in grado di evocare e Sei luoghi di Trento si raccontano rendere il clima politico, carico di valori liberali e nazionali, che si respirava in città nei primi anni del Nove1

cento: l’albero del tiglio in Piazza Duomo, il Teatro Osele, la “strada fondamentale”, il Salone Manzoni, Passaggio Dorigoni, le cucine e i bagni popolari. Claudio Ambrosi, Vite internate: Katzenau 1915-1917, pp. 112, € 11,00 (Quaderni di Archivio trentino; 18) I sudditi cosiddetti «malfidi» e i civili di nazionalità nemica bloccati all’interno dei confini austro-ungarici al momento dello scoppio delle ostilità, furono nel corso della Grande Guerra trasferiti in vari campi di internamento. La ricerca dalla quale nasce questo libro si è concentrata su quello di Katzenau (Linz), cercando di definite il quadro sociale e le condizioni di vita degli internati. L’Autore riserva particolare attenzione a quei cittadini austriaci provenienti dal Trentino, che furono trattenuti a Katzenau dall’estate 1915 alla primavera 1917. Pier Luigi Raffaelli e Giulia Fiaccarini (a cura di), Giulio Briani: regista e uomo di cultura, pp. 142, € 16,00 (Quaderni di Archivio trentino) Il volume esce in occasione del decimo anniversario della morte di Giulio Briani, nato a Trento nel 1920 e scomparso a Roma nel 1998. Grazie ai contributi di amici, colleghi e studiosi viene così delineata la ricca e articolata personalità umana e professionale di un «intellettuale del cinema italiano», come lo ha definito nel suo intervento Mario Bernardo.

I lettori interessati ad acquistare o a informarsi sull’insieme delle pubblicazioni della Fondazione Museo storico del Trentino possono collegarsi all’indirizzo internet http://www.museostorico.it o scrivere all’indirizzo di posta elettronica bookshop@museostorico.it

ALTRESTORIE - Periodico di informazione - Direttore responsabile: Sergio Benvenuti Comitato di redazione: Giuseppe Ferrandi, Patrizia Marchesoni, Paolo Piffer, Rodolfo Taiani Hanno collaborato a questo numero: Giovanni Kezich, Antonio Marchi, Cesare Poppi, Francesca Rocchetti, Caterina Tomasi Periodico quadrimestrale registrato dal Tribunale di Trento il 9.5.2002, n. 1.132 ISSN 1720-6812 Via Torre d’Augusto, 35/41 Progetto grafico: Graficomp - Pergine (TN) 38100 TRENTO Tel. 0461.230482 Fax 0461.237418 Nel precedente numero l’autrice di “Cinema nei Balcani, Luisa Chiodi, è stata erroneamente indicata con il nome di Laura. Ce ne scusiamo con i lettori e l’interessata.. info@museostorico.it Per ricevere la rivista o gli arretrati, fino ad esaurimento, inoltrare richiesta alla Fondazione Museo storico del Trentino. www.museostorico.it


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